Andrea Bacchi. Matilde di Canossa. Un bronzetto di Bernini degli anni Trenta

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1 Andrea Bacchi Matilde di Canossa Un bronzetto di Bernini degli anni Trenta Milano aprile 2013

2 CARLO ORSI Andrea Bacchi Matilde di Canossa Un bronzetto di Bernini degli anni Trenta Milano aprile 2013

3 Indice «Una statuetta cioè la Contessa Amatilde di bronzo» p. 4 Per la realizzazione di questo catalogo desidero ringraziare: Fortuna di un invenzione p. 17 Andrea Bacchi Fernando Loffredo Stefano Pierguidi Susanna Zanuso Carlo Orsi «Statue di metallo di sua mano» p. 28 Il monumento alla contessa Matilde p. 37 Catalogo a cura di: Ferdinando Corberi Bibliografia p. 44

4 GIAN LORENZO BERNINI (Napoli 1598 Roma 1680) La contessa Matilde di Canossa bronzo, altezza: 40,2 cm PROVENIENZA: collezione Barberini, Roma BIBLIOGRAFIA: MUÑOZ 1917, pp ; WITTKOWER 1955, cat. 33, p. 196; WITTKOWER 1966, p. 202; LAVIN 1967, p. 103; WEIHRAUCH 1967, p. 240; WITTKOWER , pp ; ARONBERG LAVIN 1975, pp. 393, 423, , ; SCHLEGEL 1978, pp ; MEZZATESTA 1982, s.i.p.; VISONÀ 1995, p. 101; BACCHI 1996, p. 779; MONTAGU 1996, p. 214, n. 219; AVERY 1997, p. 76; BEWER 1999, pp , nota 9; MONTANARI 2000, p. 709; GUERRINI 2003, pp «Una statuetta cioè la Contessa Amatilde di bronzo» Nel corso degli anni Trenta del Seicento l impegno professionale di Gian Lorenzo Bernini è tutto «pubblico», rivolto cioè alle monumentali imprese commissionategli da Urbano VIII Barberini soprattutto per la basilica di San Pietro: quasi solo alcuni busti straordinari rimangono a testimoniare la sua attività nel campo delle opere da stanza o da galleria; un attività attestata però anche dal bronzetto raffigurante la Contessa Matilde. In quest opera, infatti, l artista ha voluto eternare nel bronzo per il suo maggiore committente, Urbano VIII, l impronta fedele di un modelletto da lui realizzato. Il modelletto preparatorio, cioè, per la figura principale di uno dei monumenti più fortemente voluti dal pontefice, quello della contessa Matilde, «proda guerriera e duce», «alla chiesa romana scudo», come l aveva cantata proprio il Barberini che ne aveva trafugato le spoglie da San Benedetto Po per portarle a Roma, dove aveva voluto per lei la prima sepoltura di una donna entro le mura di San Pietro, realizzata tra il 1633 e il In questi anni il collezionismo di bozzetti in terracotta era ancora di là da venire e Bernini, insieme ad Urbano VIII, doveva avere deciso che la fusione in bronzo avrebbe nobilitato il modelletto, gli avrebbe garantito una maggiore durevolezza e ne avrebbe altresì consentito la 4

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6 riproduzione. Fu inoltre il frutto di una precisa scelta quella di identificare con certezza l esemplare in questione con quello in volere mantenere nel bronzo il carattere non perfettamente finito bronzo dorato oggi alla National Gallery of Victoria di che doveva contraddistinguere la terracotta e serbare dunque, Melbourne, in Australia, provvisto ancora di una base in pietra anche nel materiale più nobile, la percezione di un pensiero figu- «mischia» (ovvero pietra negra venata bianca), e dell iscrizione rativo còlto nel suo divenire. Si trattò peraltro di una pratica del tutto eccezionale anche all interno del percorso berniniano e la ricomparsa dell esemplare rimasto fino ad oggi presso i discen- MATHILDI/ GRATI ANIMI/ ERGO/ VRBANVS VIII/ POSVIT 4. Nel 1687, tra i beni del figlio di Maffeo, Francesco Barberini ( ), ricomparivano entrambi i bronzetti: 4 WITTKOWER , pp Il bronzo oggi a Melbourne misura 40,5 cm denti del pontefice sollecita a riconsiderare la questione. Una statuetta cioè la Contessa Amatilde di bronzo con piedestallo di Il bronzetto qui in esame proviene infatti dalla collezione ebano 5. 5 ARONBERG LAVIN 1975, p. 423, n. 17 Barberini ed è identificabile con quello citato per la prima volta Una statuetta indorata di metallo, cioè la contessa Amatilde con nell inventario post mortem dei beni del pronipote di Urbano basa di pietra 6. 6 ARONBERG LAVIN 1975, p. 423, n. 23 VIII, il principe Maffeo Barberini ( ), inventario stilato Negli inventari Barberini sono dunque citati due bronzetti raffi- nel 1686, nel quale compaiono insieme due raffigurazioni del guranti Matilde; l identificazione di quello in bronzo dorato, come medesimo soggetto: già detto, è certa, e quello qui in esame, già presso gli eredi Due Contesse Matilde di bronzo, cioè una dorata, e l altra semplice, Barberini, è senza dubbio l altro, che nel corso dei secoli ha perso 1 ARONBERG LAVIN 1975, p. 393, n. WW con piedestalli, uno di pietra, e l altro d ebano 1. la sua originaria, più povera, base in ebano. In merito a quest ul- L esemplare dorato, e con piedistallo di pietra, era certamente timo, pur non potendo stabilirne la collocazione nel corso degli quello menzionato una prima volta nell inventario dei beni del anni Trenta del Seicento, è comunque possibile fare qualche ipo- padre di Maffeo, Taddeo Barberini ( ), a sua volta figlio tesi circa la sua assenza dagli inventari più antichi. È possibile di Carlo, fratello del pontefice. Taddeo era morto in esilio a Parigi intanto che, privo dell iscrizione, non venisse identificato fino a e l inventario dei suoi beni venne redatto a Roma alcuni mesi quando non venne riunito all esemplare dorato; poteva forse tro- dopo la sua scomparsa. Nel febbraio 1648 troviamo infatti regi- varsi in ambienti poco prestigiosi ed essere quindi ignorato da chi strata a Palazzo dei Giubbonari: redigeva l inventario e non è neppure da escludere che, a un certo Una statua della Contessa Amatilda di bronzo indorato alto palmi punto, fosse stato donato da Urbano VIII a qualche personaggio 2 ARONBERG LAVIN 1975, p. 197, n ¾ con suo piedestallo di pietra nera mischia 2. della sua cerchia che, in seguito, secondo una prassi attestata in Il bronzo appartenuto a Taddeo ricompare di lì a poco, nel 1649, altri casi, l avrebbe lasciato a sua volta agli eredi del pontefice. descritto più analiticamente, nell inventario dei beni del fratello di Come per tutti gli altri bronzetti citati negli inventari a cui si è fatto Taddeo, il cardinale Francesco Barberini ( ): qui riferimento, il nome dell autore del modello e/o del fonditore Una statua di bronzo di Matilda tutta in dorata con un regno in è taciuto; la questione dell attribuzione delle due opere è stata però mano alto d.a statua p.mi uno e mezzo con il suo piedestallo ovato risolta già da molti anni. Il bronzetto qui esaminato venne pubbli- e scorniciato di pietra negra venata bianca con l re [i.e. lettere]che cato per la prima volta nel 1917 da Antonio Muñoz, allorché si tro- 3 ARONBERG LAVIN 1975, p. 255, n. 968 dicono Mathildi 3. vava «nella collezione privata del principe Barberini», a quel La leggera discrepanza fra i due inventari (1648 e 1649) relativa- tempo Luigi Sacchetti Barberini ( ). Lo studioso lo aveva mente all altezza del bronzo palmi 1 e tre quarti (39,8 cm ca.) a semplicisticamente presentato come un «modelletto» o un «boz- Alla pagina precedente (Figure 1,2,3,4): In senso orario partendo in alto a sin.: Contessa Matilde, Raleigh; Contessa Matilde, Berlino (Kunstgewerbe Museum); Contessa Matilde Cambridge (Mass.); Contessa Matilde, Melbourne fronte di un palmo e mezzo (33,5 cm ca.) si spiega con le consuete approssimazioni nel rilevamento delle dimensioni riscontrabili molto spesso negli inventari antichi. Inoltre, la citazione particolarmente puntuale nell inventario di Francesco permette di zetto» eseguito prima dell opera da collocare in San Pietro. Ne aveva comunque bene evidenziato le differenze nei confronti della statua: «nel marmo la matrona ha forme opulente, poderose; largo è il collo, il volto pieno; e il panneggio forma grandi pieghe, ampie Alla pagina seguente (Figure 5,6,7,8): In senso orario partendo in alto a sin.: Contessa Matilde, Raleigh; Contessa Matilde, Berlino (Kunstgewerbe Museum); Contessa Matilde Cambridge (Mass.); Contessa Matilde, Melbourne 8 9

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8 7 MUÑOZ 1917, pp WITTKOWER 1955, p. 256, cat. 33; WITTKOWER , pp Lo studioso poté esaminare il bronzetto a Palazzo Barberini negli anni Cinquanta del secolo scorso allorché apparteneva al figlio di Enrico, Urbano Barberini, scomparso nel 1973 cannellature, e si distacca molto dal corpo. Invece il modellino di bronzo è più raccolto; le forme sono più fini; il panneggio più stretto intorno alla persona; e il manto non si annoda affagottato intorno alla cintola, ma è più serrato e aderente. Il volto della gentildonna è fine, i capelli raccolti e tirati, mentre nella statua grande ricadono abbondantemente dalle due parti» 7. Fu poi Rudolf Wittkower a notare come il trattamento della parte Figura 9: Fotografia storica della Matilde già Barberini, pubblicata da Muñoz nel 1917 Alla pagina a fianco (Figura 10): Monumento alla contessa Matilde, Roma, basilica di San Pietro, part. posteriore, che traduce fedelmente l aspetto abbozzato di una terracotta, tradisse la derivazione diretta da quello che doveva essere stato il modelletto piccolo approntato da Bernini per l approvazione da parte del pontefice 8. Siffatti modelletti non erano inizialmente realizzati per essere fusi in bronzo, ma solo per servire da traccia per l esecuzione dei modelli in grande, destinati a loro volta alla traduzione in marmo (o alla fusione). L opera in esame è 12

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10 quindi del tutto eccezionale all interno del corpus berniniano, ed è bene chiarire fin da subito come, al pari del Baldacchino o del Monumento funebre di Urbano VIII, pur non essendo certo paragonabile per importanza a quelle imprese colossali, deve essere collocata all interno della seconda delle quattro categorie delle opere berniniane individuate da Wittkower, quella cioè delle sculture «realizzate, in maggiore o minore misura, da lui». È ben noto, infatti, che Wittkower, a tutt oggi il massimo studioso dell artista, individuò quattro categorie di opere berniniane: «le opere da lui disegnate, ed eseguite di sua mano; quelle realizzate, in maggiore o minore misura, da lui; altre, nelle quali egli teneva saldamente le redini, contribuendo poco o nulla all esecuzione; ed infine quelle per le quali non fece altro che alcuni schizzi preliminari» 9. Se tra le prime andavano naturalmente annoverati prima di tutto i celeberrimi marmi Borghese, dal Plutone e Proserpina all Apollo e Dafne, tra le seconde Wittkower indicava, sintomaticamente, proprio due opere «in metallo», il Baldacchino e il Monumento funebre di Urbano VIII, entrambi in San Pietro 10. Sempre Wittkower, nella sua fondamentale monografia sull artista, fin dal 1955 aveva sottolineato come il bronzetto qui in oggetto non fosse una replica dalla figura della contessa del Monumento funebre di Matilde di Canossa in San Pietro, realizzato da Bernini con ampio intervento della bottega 11, bensì una fusione da un modelletto approntato dall artista in preparazione di quella monumentale statua in marmo, poi scolpita in gran parte da un suo collaboratore, Niccolò Sale. A un modelletto preparatorio per la statua della contessa allude del resto esplicitamente una relazione autografa dell artista, stesa nel 1644, alla conclusione dei lavori al monumento, nella quale Gian Lorenzo precisa il proprio ruolo, affermando fra l altro di avere eseguito «di sua mano tutti li modelli del opere di scoltura, cioè dela statua dela matilda, del bassorilievo e delli quattro angeli» 12. Da allora il riferimento a Bernini del bronzetto barberiniano non è mai stato messo in discussione dalla critica. Fortuna di un invenzione Per circa quarant anni il bronzetto pubblicato da Muñoz rimase un esemplare unico ma poi, a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, iniziarono a emergere numerose, nuove versioni della composizione. Oggi ne sono note una dozzina ma nessuna di quelle comparse negli ultimi sessant anni ha messo seriamente in discussione il primato del bronzetto Barberini, quello che Wittkower riteneva richiesto proprio da Urbano VIII per possedere «a small bronze as a memento of the venerated Countess in his private apartment» 13. Manca uno studio comparativo delle varie versioni oggi note, uno studio reso più complicato dal fatto che solo una parte di questi bronzi sono nel frattempo approdati in collezioni pubbliche e dunque la difficile accessibilità e la mancanza di buone fotografie per alcuni degli esemplari citati nella bibliografia non consente una analisi sistematica. Il riemergere di tanti bronzetti raffiguranti la contessa Matilde negli anni successivi alla pubblicazione del Bernini di Wittkower (1955), dove era riprodotto quello Barberini qui discusso, forse non è casuale e costituisce indubbiamente un capitolo minore ma significativo della fortuna berniniana, una vicenda dunque che vale la pena ripercorrere nelle sue tappe fondamentali. La sequenza si apre con la Contessa Matilde acquistata nel 1958 dal North Carolina Museum of Art, un bronzetto che reca incisa sulla parte posteriore della base la scritta OPUS EQUITIS BERNINI 14. Successivamente, nel , Rudolf Wittkower rendeva note altre tre versioni della composizione: la prima si trovava allora nella collezione Max Falk a New York 15, la seconda apparteneva all antiquario Cyril Humphris 16 e la terza, in bronzo dorato, era stata appena venduta da Heim alla National Gallery of Victoria a Melbourne 17. Di lì a poco, la pubblicazione degli inventari Barberini consentiva di stabilire un antica provenienza dalla collezione di quella famiglia non solo per l esemplare ancora in loro proprietà ma anche, come abbiamo già visto, per quello del museo di Melbourne 18. Frattanto, nel 1975, la Contessa Matilde di Cyril Humphris entrava nei Musei statali di Berlino e, in occasione della sua pubblicazione, Ursula Schlegel segnalava un altra versione conservata sempre a Berlino WITTKOWER , p WITTKOWER 1958, p. 144; MONTANARI 2004, p WITTKOWER , p. 12. Il bronzetto, dapprima nella collezione di Karl Henschel a Kassel, era appartenuto quindi a G. Cramer all Aia in Olanda e da questi era stato venduto al Museo di Raleigh 10 WITTKOWER 1958, p. 164, note Ibidem, p. 12 e fig. 20. Questo bronzetto reca incisa sulla base la scritta: CONTESSA MATILDA 16 Ibidem, p. 12 e fig BELDON SCOTT 1985; BACCHI, TUMIDEI 1998, pp e 104; MONTANARI 2000, pp POLLAK 1931, II, p. 207, doc Già solo questa dichiarazione rende difficile condividere l ipotesi di attribuire la realizzazione del modelletto da cui vennero tratti i bronzetti a Stefano Speranza, cui i documenti assegnano l esecuzione del rilievo nel Monumento (VISONÀ 1995, p. 101). Inoltre Stefano Speranza rimane di fatto uno scultore privo di opere autonome e dunque di imprecisata fisionomia artistica. E soprattutto i caratteri stilistici del modelletto, quali si ricavano dai bronzetti, appaiono quelli tipici e inconfondibili di Gian Lorenzo 17 Ibidem, p. 12 e figg. 15, 17. Wittkower segnala come vi fosse una tradizione che voleva che questo bronzetto si trovasse in Palazzo Altieri, fosse poi passato ai Ruspoli e quindi in una collezione di Parigi. Fra le illustrazioni che corredavano i testi sulla scultura preparati da Wittkower per le Mellon Lectures (testi che sarebbero stati pubblicati dopo la sua scomparsa nel 1977), lo studioso segnalava una versione della Contessa Matilde indicata come nella Art Gallery della University of Saint Thomas a Houston ma che, esaminando la fotografia, sembrerebbe il bronzo già Falk e oggi a Cambridge 18 ARONBERG LAVIN 1975, pp. 197, 255, 393, 423 Alla pagina precedente (Figura 11): Contessa Matilde, Melbourne 19 SCHLEGEL 1978, pp

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12 Nel 1982 alcuni di questi bronzetti venivano quindi esposti al Kimbell Art Museum di Fort Worth in una mostra sullo scultore organizzata da Michael Mezzatesta: un apposita sezione era dedicata proprio ai bronzetti della Contessa Matilde e vi comparivano la versione di Raleigh, quella allora di Max Falk 20 e un terzo esemplare in collezione privata che proveniva da una vendita Sotheby s 21. Il Fogg Art Museum di Cambridge (Massachusetts) avrebbe invece acquistato nel 1998 la versione della Matilde appartenuta a Max Falk e già pubblicata da Wittkower 22. Venne quindi promosso un fascicolo monografico berniniano dell «Harvard University Art Museum Bulletin», nel quale Francesca Bewer esaminava proprio il bronzetto appena entrato al Museo e stilava un elenco delle varie versioni della composizione. Oltre alla maggior parte di quelle già pubblicate, la studiosa ne segnalava altre quattro: una presso Michael Hall a New York, una seconda già Christie s (London, 2 dicembre 1997, lotto 116), acquisita successivamente anche questa da Hall, una terza in collezione privata americana (forse identificabile con quella pubblicata da Mezzatesta nel 1982) e una quarta in una collezione privata romana 23. Un ulteriore versione della composizione, presso C. Vecht ad Amsterdam, era stata resa nota da Charles Avery all interno della monografia berniniana da lui pubblicata nel 1997, mentre in seguito è comparsa una seconda versione in bronzo dorato presso Carlo Orsi a Milano, presentata alla XXII Biennale dell Antiqua - riato di Firenze del 2001 e oggi in collezione privata. Dunque le versioni oggi note del bronzetto dovrebbero essere le seguenti: 1. Milano, Carlo Orsi (già Roma, collezione Barberini); h. 40,2 cm; 2. Melbourne, National Gallery of Victoria (già Roma, collezione Barberini); h. 40, 5 cm; 3. Cambridge (Massachusetts), Fogg Art Museum (inv ); h. 40,3 cm; 4. Raleigh North Carolina Museum of Art (inv ); h. 40 cm; 5. Berlino, Kunstgewerbe Museum im Schloss Köpenick (inv. 1977, 159); h. 39,4 cm; si tratta della versione pubblicata dalla Schlegel nel 1978 allorché si trovava nel museo di Berlino- Dahlem, passata in seguito alla sede attuale; 6. Berlino, Kunstgewerbe Museum im Schloss Köpenick; h. 40 cm. Nel pubblicare la versione al punto 5, la Schlegel (1978, p. 166) segnalava altresì un altro bronzetto con la Contessa Matilde che nel 1978 si trovava a Köpenick e che la studiosa riteneva provenisse dalla Kunstkammer dei re di Prussia. Di questa versione non sono state pubblicate riproduzioni fotografiche; 7. New York, Michael Hall, (cfr. BEWER, 1999, p. 166; non riprodotta); 8. New York, Michael Hall (già Christie s, Londra, 2 dicembre 1997, lotto 116); h. 39,1 cm; 9. Stati Uniti, collezione privata (già Sotheby s Londra, 11 dicembre 1980, lotto 264; vd. MEZZATESTA 1982, n. 4, h. 41,5 cm). Non è possibile stabilire se questa versione sia quella citata da Francesca Bewer (1999, p. 166) come in una collezione privata statunitense; 10. Amsterdam, C. Vecht; 11. Roma, collezione privata (cfr. BEWER 1999, p.166 che non la riproduce ma la definisce un «very rough cast» che presenta ancora visibili i «core pins»); 12. Collezione privata, già Milano, Carlo Orsi (si tratta di una versione in bronzo dorato, h. 39,2 cm) MEZZATESTA (1982, nn. 2-4, s.i.p.) aveva segnalato che questo bronzo nel 1941 era stato messo in vendita a New York presso le Parke-Bernet Galleries (asta 30 aprile-3 maggio, lotto 1306) e che proveniva dalla collezione della moglie di Henry Walters 21 Sotheby s, London, 11 dicembre 1980, lotto 264. Stando a Mezzatesta (1982), questo bronzo misura 41,5 cm e sarebbe quindi più alto della maggior parte degli altri. Ma, a giudicare dalla foto, la base sembra più alta di quella degli altri esemplari. Inoltre Mezzatesta segnalava come questa versione non presentasse sul retro quei segni della spatola, visibili di contro negli altri esemplari fino a quel momento noti 22 WITTKOWER , p. 12. Alcune foto di un bronzo che sembra senza dubbio quello oggi a Cambridge si conservano nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze (inv ) e vi si afferma che la scultura si trovava a Princeton nella collezione di Irving Lavin 23 Non mi è possibile stabilire se la Contessa Matilde di collezione privata (già Sotheby s 1980) illustrata da Mezzatesta nel 1982 sia la stessa indicata dalla Bewer (1999, p. 166) semplicemente come di collezione privata statunitense A Francesca Bewer dobbiamo alcune interessanti osservazioni tecniche, fondate però soltanto sull esame dell esemplare di Cambridge (il solo illustrato nel testo), dei due di Michael Hall e di quello di collezione privata romana. Già Mezzatesta aveva indicato come verosimilmente fosse stato tratto uno stampo in stucco, un «cavo» in più pezzi della terracotta (o della cera 25?) originale di Bernini e, da questo, fossero poi stati realizzati vari esemplari in cera per le diverse fusioni. Ogni cera sarebbe poi stata rilavorata e questo spiega le varianti che distinguono i diversi esemplari in dettagli quali ad esempio le decorazioni della tiara; nondimeno è ben possibile che alcune versioni derivino direttamente da un bronzo e solo uno studio sistematico dei diversi esemplari potrebbe recare utili chiarimenti sulla questione. Come evidenzia la lista delle varie versioni non sono disponibili misurazioni attendibili per tutti gli esemplari (in alcuni casi poi le dimensioni di uno stesso bronzo variano da pubblicazione a pub- 24 Non è chiaro se possa essere identificato con uno degli esemplari noti quello di cui esiste una vecchia fotografia presso il Kunsthistorisches Institut di Firenze (inv ), indicato come di ubicazione ignota 25 L ipotesi che il modelletto di partenza fosse in terracotta sembrerebbe la più verosimile anche perché non sono giunti fino a noi modelletti in cera riferibili a Bernini. Nondimeno si dovrà ricordare come Joachim von Sandrart, che visitò lo studio di Bernini negli anni Trenta, affermi di avervi visto oltre venti modelli in cera per il Longino (cfr. SANDRART 1675, p. 414) Alla pagina precedente (Figure 12,13,14): In senso orario partendo in alto a sin.: Contessa Matilde, Raleigh; Contessa Matilde, Berlino (Kunstgewerbe Museum); Contessa Matilde Cambridge (Mass.); 20 21

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14 26 BEWER 1999, p WITTKOWER , p. 13 Alla pagina precedente (Figure 15,16,17,18): In senso orario partendo in alto a sin.: Contessa Matilde, Raleigh; Contessa Matilde, Berlino (Kunstgewerbe Museum); Contessa Matilde Cambridge (Mass.); Contessa Matilde, Melbourne blicazione); inoltre la Bewer ha osservato che «due to the number of variables introduced by distortions resulting from the manipulation of the wax, casting flaws or chasing the metal, most measurements are of limited use 26». Un elemento dunque, quello delle dimensioni, che non aiuta più di tanto nel tentativo di stabilire una gerarchia fra i vari esemplari. Significativa invece, anche da questo punto di vista, è piuttosto la storia collezionistica delle diverse versioni. Gli inventari secenteschi barberiniani menzionano solo due bronzetti con questo soggetto, identificabili in quello di Melbourne e in quello qui discusso mentre tutte le altre versioni sono venute alla luce nella seconda metà del XX secolo e per nessuna di queste è possibile individuare una storia più antica. Ciò non significa, è ovvio, che si tratti di fusioni moderne ma, nondimeno, va ribadito il primato dei due esemplari barberiniani. Un primato confermato peraltro dalla qualità delle fusioni e della successiva rinettatura; già Wittkower, del resto, segnalava come i bronzi Barberini, insieme a quello di Cyril Humphris, fossero «beautifully chased» con «rich and warm surfaces 27». La campagna fotografica realizzata in questa occasione credo confermi pienamente lo straordinario livello qualitativo della versione già Barberini. Con l eccezione dell esemplare di collezione privata pubblicato da Mezzatesta (il solo peraltro con una base rettangolare), quasi tutte le varie versioni presentano sul retro le medesime caratteristiche del bronzetto barberiniano: è possibile quindi che si tratti di fusioni antiche, realizzate forse sempre a partire dal medesimo modelletto, o comunque dal primo esemplare. I bronzetti più accessibili e quindi meglio esaminabili sono naturalmente quelli apparte nenti a collezioni pubbliche (Melbourne, Cambridge, Berlino, Raleigh) alcuni dei quali sono con evidenza fusioni meno nitide, più stanche rispetto a quella Barberini. Un aspetto che risulta evidente, ad esempio, nel particolare dei piedi, ben individuati anche nelle dita nel nostro esemplare e in quelli di Melbourne e Raleigh, quasi informi invece in quelli di Berlino e Cambridge, a denunciare la possibile derivazione di questi ultimi da un bronzetto e non dall originaria terracotta berniniana. Il volto della Matilde barberiniana presenta una qualità quasi impressionistica, risultato di un intervento di rinettatura molto sottile, vòlto a mantenerne il carattere 24

15 28 New York 2012, pp bozzettistico, diversamente da quanto osserviamo negli esemplari di Berlino e Cambridge. Nel bronzo di Berlino inoltre la resa del diadema appare molto rifinita ma fraintende, nel taglio smussato delle gemme, la soluzione studiata da Bernini che ritroviamo invece nel nostro bronzetto e in quelli di Melbourne e Raleigh. Anche a confronto con la versione di Raleigh una delle migliori quella Barberini appare più sottilmente rifinita, in virtù di una lavorazione del bronzo che mira ad esaltare il carattere vibrante e mosso delle superfici. Si vedano ad esempio le tracce del minutissimo lavoro di cesello in corrispondenza del collo o del risvolto della veste e anche la maggiore incisività e nitidezza dell intaglio nelle chiavi, tanto nella parte finale quanto nell impugnatura. Quanto all aspetto più abbozzato della versione qui discussa a confronto con quella di Melbourne (per la quale si dovrà però tenere in conto l effetto della doratura), è intanto istruttivo osservare la diversità con cui sono rese nei due bronzi le decorazioni della tiara: ben delineate nell esemplare australiano, indicate in modo più compendiario in quello qui presentato. Ma solo un confronto diretto e ravvicinato fra gli originali consentirebbe di valutarne in modo sistematico le singole differenze che le riproduzioni fotografiche non sempre consentono di precisare. Già la Bewer osservava come in alcuni esemplari compaiano sulla superficie una serie di linee sottili e rilevate ad indicare il segno della giuntura fra le varie parti del cavo, un dettaglio che ritroviamo anche nel bronzetto qui esaminato, ad esempio nella testa, in corrispondenza dei capelli. La studiosa affermava inoltre che, per quanto riguarda il retro con le superfici abbozzate, i bronzetti lasciano scorgere solo parzialmente la freschezza della terracotta. Una considerazione del tutto condivisibile di fronte all esemplare di Cambridge (rivisto recentemente alla mostra delle terrecotte berniniane 28 ), discutibile invece davanti alla illusionistica fragranza materica che anche la foto qui pubblicata restituisce pienamente per l esemplare Barberini (che, va ricordato, la Bewer sembra conoscere solo attraverso le foto): un bronzetto che, soprattutto in questa parte, appare difficilmente distinguibile da una terracotta patinata a finto bronzo. Una ricognizione ravvicinata del bronzetto Barberini mette in luce proprio come vi convivano parti di indubbio carattere boz- zettistico accanto ad altre rinettate con un minuziosissimo lavoro di cesello vòlto a individuare le varie superfici: dalle stoffe agli incarnati, specificate da diversi gradi di lavorazione con lo scopo di esaltare le vibrazioni chiaroscurali. Se non sappiamo chi ha fuso questo bronzo, vi è però da credere che Bernini abbia fornito precise indicazioni al fonditore. Non si spiegherebbe diversamente la volontà di far trapelare dal metallo la freschezza scabra della terracotta: un aspetto che, come vedremo meglio più avanti, troviamo anche in altre opere eseguite da Bernini negli anni Trenta del Seicento e che, a quanto mi risulta, non si ritrova in altri bronzi romani dell epoca. A giudicare dai bronzetti, la terracotta (o la cera) da cui Bernini partiva doveva essere un modelletto, un opera dunque complessivamente rifinita nelle parti principali ma ancora in grado di mostrare la freschezza del bozzetto, specie nel retro. Lo status di prima fusione del bronzetto qui in discussione è comprovato infine non solo dalla qualità e dalla sua provenienza, ma anche dall assenza di ogni iscrizione. Il bronzetto di Raleigh reca nella base, sul retro, l indicazione OPUS EQUITIS BERNINI e sulla fronte quella di COMTESSA MATILDA, variata in CONTESSA MATILDA nell esemplare di Cambridge. Per un opera destinata a rimanere nelle collezioni barberiniane non era certo necessario specificare l autore dell invenzione, né tanto meno il soggetto. Come aveva già affermato Wittkower, quindi, se ne deduce che il bronzetto qui in esame fosse stato fuso come ricordo per il pontefice committente, mentre quello dorato, e provvisto di un elegante iscrizione in latino posta sulla preziosa base in pietra «mischia» (non direttamente sul bronzetto), poteva essere stato pensato come un dono per una figura di prestigio (magari semplicemente per uno dei componenti della famiglia Barberini 29 ). Da un punto di vista strettamente stilistico, il bronzetto barberiniano della Matilde, che dovrebbe risalire al 1635 circa, appartiene, al pari del corrispondente marmo in San Pietro, a quella che è stata definita la fase classicista di Bernini, sostanzialmente rivalutata dalla critica più recente dopo i numerosi attacchi di tanti studiosi 30. Se l immagine della contessa non ha certo l irruenza del San Longino, la cui esecuzione, del tutto autografa, è immediatamente successiva, questo si deve certamente al soggetto stesso del- 29 WITTKOWER , pp Si veda, a tale proposito, BELDON SCOTT 1985, p

16 l opera, non ad un improbabile influenza sull artista da parte del dal Monumento funebre di Urbano VIII alla Cattedra di San Pietro. suo maggiore rivale nella scultura del tempo, Alessandro Algardi, Si spiega così perché Pier Filippo Bernini, il primogenito dello che a quella data non aveva ancora scolpito nulla di davvero scultore, potesse indicare come di sua mano queste opere del monumentale che potesse costituire un parametro di riferimento padre. Nei primi anni Settanta del Seicento, infatti, quando Gian per Gian Lorenzo. La ricchezza del panneggio, in particolare, Lorenzo era quasi al termine della sua lunga e prolifica carriera, certo più convincente grazie al suo effetto bozzettistico, quasi Pier Filippo stilò un elenco delle opere del padre, via via aggior- magmatico, del bronzo, nella sua traduzione in formato ridotto nato, che sarebbe poi stato pubblicato in appendice della biogra- dell opera qui presentata, non può che essere indicata come un fia di Filippo Baldinucci, uscita a Roma all indomani della morte risultato tipicamente «barocco», in un inedito (per Bernini) «com- 31 BACCHI, TUMIDEI 1998, p. 26 promesso classicista 31». «Statue di metallo di sua mano» Il problema di Bernini scultore in bronzo è un tema spinoso, più 32 Cfr. da ultimo MONTANARI 2009 volte affrontato dalla critica novecentesca 32. A questo proposito in particolare, Jennifer Montagu ha invitato alla massima cautela, ritenendo di fatto assai improbabile la diretta partecipazione di 33 MONTAGU 1996, pp. 3-4; MONTANARI 2004, p. 180 Bernini alla realizzazione di bronzetti tratti dai suoi modelli 33. Nonostante la grande studiosa abbia giustamente rivalutato il ruolo fondamentale giocato da artigiani specializzati e fonditori 34 MONTAGU 1989, pp per la nascita di opere in bronzo complesse come il Baldacchino 34, non possono però esserci dubbi che anche per i contemporanei di Bernini, così come per noi oggi, la traduzione di un bozzetto o di un modelletto in bronzo era un operazione assai diversa da quella della sua possibile traduzione in marmo: la prima era considerata un processo prima di tutto tecnico, che l autore dell opera non doveva necessariamente svolgere in prima persona, la seconda, invece, non poteva essere affidata ad un collaboratore senza che venisse messa in discussione l autografia della scultura. Se quindi gli Angeli del ponte di Castel Sant Angelo sono stati giu- 35 MONTAGU 1985 stamente indicati dalla Montagu come esempi paradigmatici di Bernini Sculptures not by Bernini 35, lo stesso discorso non può essere valido per i bronzi. Non a caso le guide dell epoca indica- del grande maestro avvenuta nel In una versione di quella lista databile tra la fine del 1675 e l inizio del 1676, e contenuta nelle carte di Cristina di Svezia conservate a Stoccolma, le opere Figura 19: Gian Lorenzo Bernini, Monumento alla contessa Matilde, Roma, basilica di San Pietro, particolare del rilievo no spesso, come nel caso dei Fiumi della fontana di Piazza erano divise in quattro grandi sezioni, ovvero i Retratti, le Statue 36 MONTANARI 1998, p. 403 Navona, anche i nomi degli scultori che tradussero in marmo le di marmo, le Statue di metallo di sua mano e le Opere d architettu- invenzioni del maestro, mentre solo attraverso gli scavi documen- ra, e miste 37 : per quelle in bronzo, quindi, veniva specificato di sua 37 D ONOFRIO 1967, pp tari novecenteschi abbiamo appreso i nomi di coloro che presero mano, una precisazione che non era sembrata necessaria in meri- parte alla fusione delle grandi realizzazioni bronzee berniniane, to a quelle in marmo. I contemporanei di Bernini sapevano bene 28 29

17 38 WITTKOWER 1958, pp. 144 e 164, nota BACCHI 2009, pp Un «non finito» che compare già nelle opere del padre di Gian Lorenzo, Pietro Bernini, come testimonia l Assunzione della Vergine in Santa Maria Maggiore a Roma e il Carlo Martello della controfacciata del Duomo di Napoli, recentemente riconosciutogli da Fernando Loffredo (2010, p. 89) come il grande artista non fosse mai stato un fonditore di professione, e certo nessuno avrebbe mai potuto pensare che Gian Lorenzo avesse fuso da solo i quattro colossali Padri della Chiesa alla base dell enorme Cattedra di San Pietro nella tribuna della basilica vaticana, pure elencati in quella lista; l espressione di sua mano serviva sostanzialmente a indicare la paternità dell invenzione, della realizzazione dei modelli ma anche una stretta sorveglianza nelle fasi di fusione e rinettatura. Opere da considerarsi quindi, tanto per i parametri dell epoca quanto per noi oggi, delle creazioni assolutamente autografe dell artista. L elenco approntato da Pier Filippo Bernini era piuttosto sintetico, e considerava quasi unicamente le grandi opere monumentali in San Pietro. Anche se potrebbe sembrare paradossale, il bronzetto della Matilde, fusione fedele di un modelletto perduto di Bernini, è dunque, lo ripetiamo, un opera ascrivibile alla seconda delle quattro categorie individuate da Wittkower, mentre lo stesso Monumento funebre di Matilde di Canossa in San Pietro, scolpito materialmente dai vari Niccolò Sale, Stefano Speranza, Andrea Bolgi e Luigi Bernini, rientra nella terza, quella delle opere nelle quali il maestro «tenne saldamente le redini, ma attivamente contribuì poco o niente all esecuzione 38». Il carattere bozzettistico del bronzetto barberiniano, connotato da una finitura scabra che non mira ad ottenere superfici estremamente pulite e traslucide ma piuttosto a sottolineare la prossimità del bronzo a materiali morbidi come la terracotta e la cera e a restituirne un irregolarità ricchissima di modulazioni chiaroscurali, assolutamente in linea con quanto vediamo nei bronzi certamente fusi sotto la direzione del maestro, a partire da quello del Ritratto di Urbano VIII in bronzo e porfido anch esso ancora oggi presso gli eredi del pontefice e databile al 1632 circa 39, è un altra conferma dell autografia dell opera. Si tratta, infatti, di una caratteristica davvero sorprendente, che può trovare spiegazione proprio in una precisa scelta da parte dell artista: negli anni Trenta, infatti, Bernini sperimenta una sorta di «non finito», forse di ideale ascendenza michelangiolesca, non solo nel bronzo, ma anche nel marmo 40. Nel San Longino collocato in uno dei pilastri della cupola di San Pietro ( ) è evidente ovunque la finitura a scalpello dentato, che contrasta fortemente con il trattamento iper-levigato della Santa Veronica di 30

18 Francesco Mochi. Una finitura che ritroviamo, alle stesse date, anche in vari passaggi della statua di Urbano VIII dei Palazzi Capitolini ( ). E proprio nel Monumento funebre a Matilde di Canossa si ritrova il più clamoroso esempio di questa innovativa scelta berniniana: il rilievo del sarcofago, la cui esecuzione venne affidata al già citato Stefano Speranza, esibisce la medesima finitura a scalpello dentato, paragonabile a quella che si vede nel retro del bronzetto della Matilde, senza dubbio voluta proprio da Bernini, a dimostrazione che non era solo la distanza dall occhio del riguardante a determinare un diverso grado di finitura, poiché in questo caso la statua di Matilde, posta più in alto e in secondo piano, appare perfettamente lustrata laddove il rilievo, assai più vicino all occhio, mostra quest aspetto quasi non finito. Se Bernini non avesse diretto personalmente la fusione del suo modelletto, o non avesse comunque dato direttive in proposito, sarebbe stato più naturale per un allievo o imitatore rinettare il bronzo fino ad ottenere quegli effetti di lucentezza e politezza che lo stesso Bernini avrebbe perseguito nei suoi più tardi, autografi Crocifissi bronzei, ma che non era evidentemente tra i suoi obiet- Figura 20: Monumento alla contessa Matilde, Roma, basilica di San Pietro, part. 33

19 41 Su questi cfr. MONTANARI 2009 tivi negli anni Trenta 41. Il nome dell autore materiale della fusione non è al momento individuabile. Nel 1621 era stato Sebastiano Sebastiani a fondere i busti di Paolo V e Gregorio XV 42 e poco dopo, nel , ancora Sebastiani insieme a Giacomo Laurenziani aveva realizzato la traduzione in bronzo del modelletto in cera del Ritratto di Paolo Giordano Orsini eseguito da Bernini (le due opere sono probabilmente identificabili, rispetti- ( ), in anni cioè non lontani dalla realizzazione del Monumento di Matilde di Canossa: lo stesso Laurenziani, Orazio Albrizzi, Gregorio de Rossi, Francesco Beltramelli, Innocenzo Albertini e Ambrogio Lucenti. In particolare quest ultimo avrebbe lavorato con Bernini anche nel 1640, realizzando la fusione del Busto di Urbano VIII del Duomo di Spoleto 44. Per il Monumento a Urbano VIII invece, in un primo tempo ( ), quando cioè si lavora alla statua del pontefice, troviamo gli stessi fonditori del Baldacchino (Orazio Albrizzi, Gregorio de Rossi), peraltro costantemente seguiti da Bernini che, nel momento della fusione dichiara: «se bene sto convalescente, non mi parto dal focho ne giorno ne notte che cosi e necessario» 45. Successivamente ( ), allorché si eseguono le altre parti in bronzo, il fonditore è Cesare Sebastiani, probabilmente un parente di Sebastiano. Resta il fatto, però, che di nessun altro modelletto berniniano sono giunte a noi tante fusioni come queste della Contessa Matilde, e sorprende davvero il numero così alto di esemplari noti. Se infatti, come ha osservato la Bewer, sono numerose le «reductions», i bronzetti cioè derivati dalle opere monumentali di Bernini in larga misura eseguiti fuori dal controllo del maestro, molto più rari sono i «casts of models», categoria in cui, oltre ai bronzetti con la contessa Matilde, è stato ipotizzato possano rientrare il Costantino dell Ashmoleam Museum di Oxford e il Carlo II di collezione privata 46. Uno statuto più incerto spetta ad altri bronzi come la Sant Agnese e la Santa Caterina (collegabili a due delle figure del colonnato), ma anche al Busto di Richelieu e al Nettuno e il delfino 47. Il solo confronto possibile per il bronzetto barberiniano della Matilde, quanto alla fortuna di un determinato modello, è la Sant Agnese, nota in cinque esemplari, anch essa tratta da un modelletto in terracotta, eseguito tuttavia molto probabilmente da Lazzaro Morelli, il principale collaboratore di Gian Lorenzo per il Colonnato 48. È probabile che fosse la valenza politica dell immagine di Matilde di Canossa a sollecitare la realizzazione di tante versioni di quel bronzetto, destinate ad essere inviate agli ambasciatori e ai regnanti d Italia e d Europa. Negli stessi anni del resto Urbano VIII commissiona a Giovan Francesco Romanelli la decorazione ad affresco con Storie della Contessa Matilde di un intera sala dei 42 Los Angeles 2008, pp Le notizie su questi fonditori sono ancora assai scarse; si vedano almeno i documenti pubblicati da POLLAK 1931, II, e le rispettive voci nel THIEME-BECKER. Per il Busto di Urbano VIII a Spoleto si rimanda a MARTINELLI , ed. 1994, p POLLAK 1931, II, pp doc Più in generale i documenti sul Monumento sono pubblicati alle pagine Per il Costantino si veda WEIHRAUCH 1967, p. 240; PENNY 1992, p. 15; BEWER Per il Carlo II, FAGIOLO DELL ARCO 2002, pp Su questi bronzi si veda BEWER 1999, pp. 162, 164, 165 e FUSCO 2002 (con bibliografia precedente) Figura 21: Giovan Francesco Romanelli, La Prudenza, Roma, Città del Vaticano, Palazzi Apostolici, sala della contessa Matilde, affresco 43 BENOCCI 2006, pp. 57 e 60 vamente, con gli esemplari del Metropolitan Museum di New York e del Plymouth City Museum and Art Gallery 43 ). Sebastiani era già morto nel 1626, mentre Laurenziani sarebbe scomparso nel 1650 e avrebbe collaborato con Gian Lorenzo anche in altre occasioni, come per il perduto Busto di Urbano VIII già nel refettorio della Trinità dei Pellegrini di Roma. Si dovranno poi qui ricordare i fonditori documentati nell impresa del Baldacchino 48 MONTAGU 1967, pp (che la riteneva una derivazione da un modelletto di Bernini). Ipotesi messa in dubbio dalla stessa Montagu già nel 1989 (MONTAGU 1989, p. 212 n.69). Più di recente inoltre (cfr. Edinburgh 1998, p. 208 n. 68) la studiosa ha suggerito il nome di Morelli quale autore del modello. Per un elenco degli esemplari si veda Emma Stirrup in Edinburgh 1998, p

20 49 Sugli affreschi della sala della contessa Matilde si veda FALDI 1970, p. 321; BRUNO 1999, pp Per gli arazzi si veda HARPER 2007 (con bibliografia precedente). Per il Busto, ROSSINI 1693, p. 53: «la testa, e busto della Contessa Matilde». Stessa citazione in DE ROSSI 1697, p BELDON SCOTT 1985, pp Si veda anche RICE 1997, p. 115 e ANDRETTA 1999 e MONTANARI 2000, p Su tutte queste vicende cfr. soprattutto COLANTUONO 1997, pp Su queste tele cfr. da ultimo SPARTI 2004/05, pp , che peraltro ha rifiutato la tradizionale lettura «politica» dei dipinti di Poussin 55 SUTHERLAND HARRIS 1977, p. 58, cat. 17 Palazzi Apostolici ( ) ed è significativo osservare come qui la raffigurazione della Prudenza alluda esplicitamente alla Matilde berniniana 49. E la contessa Matilde compare poi, accanto al pontefice, anche negli arazzi con storie della Vita di Urbano VIII realizzati dalla Arazzeria Barberini intorno al 1660 mentre, alla fine del Seicento, le guide di Roma ricordavano a Palazzo Barberini un Busto della Contessa Matilde oggi non più rintracciabile ma probabilmente frutto di questa stessa stagione 50. Il significato del Monumento funebre di Matilde di Canossa nel contesto della politica barberiniana è stato più volte indagato, soprattutto da John Beldon Scott 51. Urbano VIII aveva fatto traslare a San Pietro le spoglie della contessa dal convento di San Benedetto Po, al Polirone, in virtù del ruolo svolto dalla nobildonna al tempo della lotta per le investiture tra l imperatore Enrico IV e il pontefice Gregorio VII. Come avrebbe infatti sottolineato il cardinale Guido Bentivoglio in una sua lettera, Maffeo Barberini era «risoluto d honorar quella memoria della Contessa, per esempio ad altri principi della protettione che devono tenere della Sede Apostolica» 52. A quel tempo si era ancora nel pieno della guerra dei Trent anni ( ), che nelle sue fasi più recenti, il conflitto della Valtellina e quello per la successione al ducato di Mantova, avevano interessato direttamente l Italia, mettendo in allarme il pontefice, sempre alla ricerca di un equilibrio tra la Francia di Luigi XIII (e del cardinale Richelieu) e la Spagna di Filippo IV (e del conte-duca Olivares 53 ). I Barberini utilizzarono più volte le opere d arte come doni diplomatici, senza limitarsi a scegliere oggetti di grande valore, ma selezionandole con attenzione in rapporto ai loro soggetti: le due tele di Nicolas Poussin raffiguranti Tito ferma la distruzione del Tempio di Gerusalemme, una sorta di invito alla pace, donate dai Barberini agli ambasciatori di Francia e dell Impero, sono l esempio più illuminante di questa attenta politica delle immagini (il primo dipinto è stato identificato con la tela oggi all Israel Museum di Gerusalemme; il secondo è certamente quello del Kunsthistorisches Museum di Vienna 54 ). Anche dell Allegoria della Divina Sapienza affrescata da Andrea Sacchi sulla volta di una sala di Palazzo Barberini alle Quattro Fontane vennero tratte diverse copie impiegate come doni diplomatici 55, e lo stesso discorso poteva forse essere valido anche per le repliche dal Ratto di Elena di Guido Reni (Parigi, Louvre 56 ). I bronzetti raffiguranti la Contessa Matilde, quindi, dovettero essere realizzati per conto dei Barberini come doni diplomatici con l obiettivo di richiamare i potenti d Italia e d Europa al loro dovere di difensori della Chiesa. Ma il primo esemplare, che doveva servire da prototipo agli altri, rimase sempre presso la famiglia del pontefice. Il Monumento alla contessa Matilde * Già ai contemporanei non era certo sfuggito come, nella scelta del nome da papa, per Maffeo Barberini avesse giocato non tanto la memoria del predecessore trecentesco morto in odore di santità, Urbano V, quanto quella ben più «militante» di Urbano II ( ). L erede cioè di Gregorio VII nella sua mitica lotta contro l imperatore, il restauratore dell idea universalistica del papato, il pontefice della prima crociata, il rinnovatore della liturgia romana. Ma importa ancor più che in quella scelta venisse allo scoperto una ben più profonda riflessione sul papato e la sua storia, che per Maffeo, dalla traccia degli Annali del Baronio e del clima dei tempi, era iniziata almeno dagli anni in cui era cardinale. «Portava Urbano fin da Cardinale una profonda venerazione alla memoria illustre della Contessa Matilde, che generosamente dotò la Sede Apostolica con l accrescimento di molti Stati che si dissero Patrimonio di S. Pietro» 1. L identificazione con l energico e vincitore Urbano II, rispetto al modello più sofferto ed esistenziale offerto da Gregorio VII, morto in solitudine dopo una vita spesa nella lotta contro Enrico IV, andrà tutta a credito del carattere del nuovo pontefice. Ma in entrambi i casi il richiamo storico e, poi- 56 COLANTUONO 1997, pp * Viene qui ripubblicato, con alcune varianti, il testo scritto nel 1998 insieme a Stefano Tumidei per il volume Bernini in San Pietro, Federico Motta editore, Milano 1998, pp BERNINI 1713, p

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