UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI MARCO FANNO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE TESI DI LAUREA IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE: ANALISI GENERALE DEL FENOMENO RELATORE: CH.MA PROF.SSA Elena Sapienza LAUREANDO: Tommaso Zanon MATRICOLA N ANNO ACCADEMICO

2 INDICE INTRODUZIONE 1 1. IL DELISTING: ASPETTI GENERALI DEFINIZIONE, FISIONOMIE E CARATTERI GENERALI DEL DELISTING IL TRADE OFF TRA I COSTI E I BENEFICI DEL GOING PUBLIC: I PRESUPPOSTI PER IL DELISTING EARNINGS MANAGEMENT E DELISTING DAL DELISTING AL GOING DARK FOREIGN LISTING E FOREIGN DELISTING DELISTING INVOLONTARIO E DELISTING VOLONTARIO: DUE DIVERSE TIPOLOGIE DI USCITA DAL MERCATO REGOLAMENTATO IL DELISTING INVOLONTARIO: UN FENOMENO TIPICO DEL MERCATO USA IL DELISTING VOLONTARIO E LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE IL PROFILO GIURIDICO DEL DELISTING: INQUADRAMENTO DEL FENOMENO NELLE DIVERSE NORMATIVE QUADRO NORMATIVO GENERALE DEL DELISTING NEGLI USA IL REGIME LEGALE DI DELISTING NEI MERCATI REGOLAMENTATI EMERGENTI IL DELISTING NELLA NORMATIVA ITALIANA 93 CONCLUSIONI 103 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 109 2

3 INTRODUZIONE Il delisting, una manifestazione per molto tempo percepita come complessa e lontana tipica dei mercati regolamentati statunitensi, ha conosciuto una significativa diffusione a livello internazionale a partire dalla fine del XX secolo, con grandi ondate di revoche dalle contrattazioni che hanno interessato i principali listini mondiali, e in particolare quelli dell Europa continentale. La recente affermazione del delisting spiega la scarsità di studi e di lavori di ricerca sul tema, in particolare in ambito europeo, dove soltanto nei primi anni 2000 sono cominciati ad emergere significativi contributi dottrinali improntati su una disamina di tale fenomeno. Da qui l interesse a realizzare un analisi generale a tutto campo del fenomeno del delisting e dei principali aspetti di carattere economico finanziario, culturale e giuridico ad esso connessi, in modo da fornire un quadro d insieme che quantomeno dal punto di vista teorico permetta di conoscere maggiormente un fenomeno sempre più ricorrente. Una delle principali ragioni alla base di questa progressiva espansione del fenomeno sono senza dubbio da ritenersi gli eventi macroeconomici negativi manifestatisi successivamente all avvento del XXI secolo, quali lo scoppio della dot.com bubble nei primissimi anni Duemila e la crisi economica finanziaria esplosa nel Tuttavia sembrano emergere anche altre driving forces rilevanti che, anche se in un primo momento risultano essere meno evidenti, hanno giocato un ruolo altrettanto importante nel determinare un numero crescente di delistings. Nel primo capitolo, verrà realizzata un accurata disamina del delisting con l aiuto della più significativa letteratura internazionale disponibile sul tema. Fornendo una preview di come sarà strutturato tale capitolo, occorre precisare come innanzitutto si cercherà di dare un adeguata definizione al fenomeno in esame, per poi analizzare i trend che esso ha assunto nel corso del tempo nei principali mercati regolamentati globali con particolare attenzione al suo andamento nel mercato borsistico italiano, e le fisionomie e i connotati con cui tende a presentarsi; verranno poi evidenziati gli effetti positivi e negativi generalmente associati alla sua manifestazione, seppure i primi sembrino prevalere nettamente sui secondi facendo supporre già in questa sede preliminare come il delisting sia da considerare una minaccia da fronteggiare piuttosto che un evento favorevole da ricercare. Verrà inoltre realizzata un indagine sulle diverse motivazioni che possono determinare l uscita di una società dal mercato regolamentato ove è quotata, e le finalità generalmente perseguite da questa in caso di abbandono volontario. Congiuntamente a ciò saranno illustrati quelli che possono considerarsi dei key successuful factors di una listing strategy ovvero dei requisiti che la società deve necessariamente presentare per poter ambire ad una quotazione duratura e di 3

4 successo, e per allontanare il pericolo di un eventuale delisting. Sin dalle prime battute saranno rimarcate le importanti differenze esistenti tra i cd. delisting di stampo anglosassone e quelli di tipo continentale, che sembrano emergere in particolare relativamente alla forma e alla struttura dell operazione, alle motivazioni alla sua base, al soggetto promotore, e alle finalità con essa perseguite. Sempre nell ottica di un analisi generale sul delisting, si è ritenuto opportuno trattare una serie di argomenti oggetto di grande attenzione per gli studiosi, quali earnings management, going dark, going public e cross-listing, indagando sui legami significativi che sembrano presentare con il fenomeno in esame. A tal proposito, verranno analizzati i benefici e i costi generalmente associati al going public, rimarcando come il sostanziale peggioramento registrato dal loro trade off abbia contribuito in modo determinante alla recente diffusione del fenomeno del delisting, e come la perdita dei vantaggi di quotazione sia una delle principali implicazioni negative conseguenti all abbandono di un mercato borsistico. In seguito si approfondirà l interessante tema dell earnings management, valutando l effettiva esistenza della relazione che pare emergere tra l aggressività con cui il management della società può realizzare una manipolazione degli utili di bilancio, tendenza particolarmente ricorrente in sede di IPO, e il rischio di delisting involontario che grava sulla società. Necessario sarà anche soffermarsi sull analisi del fenomeno del going dark, sempre più frequente negli USA, ovvero del processo con cui una società abbandona più o meno volontariamente il mercato regolamentato ove è quotata per entrare in un OTC market, valutando le ripercussioni generate da un tale evento sul prezzo, sulla liquidità e sul rischio del suo titolo. Infine, a conclusione del primo capitolo si indagherà sui fenomeni di foreing listing e foreign delisting, identificando i target markets maggiormente interessati da tali eventi, e cercando di comprendere le finalità che possono spingere una società a quotarsi in un listino differente da quello domestico, e d altro canto le motivazioni più ricorrenti alla base della situazione opposta, ovvero dell abbandono del mercato estero ove si era quotata; si valuteranno anche gli importanti effetti prodotti da questi due fenomeni sul prezzo, sulla liquidità e sul livello di rischio caratterizzanti il titolo della società nell home market. Nel secondo capitolo verrà condotta un accurata analisi delle caratteristiche, della struttura e delle fisionomie riguardanti le due diverse tipologie di uscita da un mercato regolamentato, dapprima focalizzandosi sulla fattispecie di delisting involontario, tipica dei mercati regolamentati USA, per poi considerare la più ampia ed eterogenea categoria di delisting volontari, all interno della quale assumono particolare importanza le operazioni di going private, sostanzialmente riconducibili ad OPA e Fusioni, ma potenzialmente in grado di assumere diverse denominazioni, forme e strutture a seconda del soggetto che le promuove e delle finalità perseguite. 4

5 Nel terzo capitolo infine si cercherà di tracciare un profilo giuridico del delisting, realizzando un quadro generale di come il fenomeno in trattazione venga regolamentato a livello internazionale, attraverso una disamina delle principali caratteristiche dei regime legali vigenti sul tema in tre diversi contesti economici, politici e culturali: USA, Sud Est asiatico e Europa continentale. 5

6 6

7 1. IL DELISTING: ASPETTI GENERALI Il delisting è un fenomeno che, a causa della considerevole espansione che sta conoscendo a livello internazionale, è diventato un argomento di rilevante interesse in ambito dottrinale, con un numero crescente di studi e di ricerche volte ad indagare sui vari aspetti ad esso collegati. Nel seguente capitolo verrà condotta un accurata review della più significativa letteratura internazionale presente sul delisting. Dopo aver inizialmente definito e presentato il fenomeno, si cercherà di indagare sulle fisionomie e le caratteristiche che esso tende solitamente ad assumere, per poi proseguire con un analisi generale su alcuni argomenti, da più tempo oggetto dell attenzione degli studiosi, che sembrano presentare dei legami significativi con il tema in trattazione, quali: earnings management, going dark, going public e cross-listing. Nello specifico, verrà evidenziato come il sostanziale peggioramento del trade off tra i costi e i benefici di quotazione abbia costituito i presupposti per le grandi ondate di delisting verificatesi a livello internazionale con l avvento del XXI secolo, per poi indagare sulla relazione che pare emergere tra il fenomeno dell earnings management e le probabilità di delisting che caratterizzano una listed company, e sulle caratteristiche esibite dai sempre più ricorrenti, soprattutto nei mercati d oltreoceano, processi di going dark, con i quali una società abbandona il mercato regolamentato ove è quotata per accedere ad un Over The Counter Market. Infine, ci si focalizzerà sulle grandi ondate di cross-listing che hanno caratterizzato i principali mercati azionari mondiali negli anni Novanta a cui sono seguiti numerosi foreign delistings, approfondendo le cause e gli effetti associati ad un tale evento. 1.1 DEFINIZIONE, FISIONOMIE E CARATTERI GENERALI DEL DELISTING Con il termine delisting si intende la rimozione permanente di un titolo azionario dal mercato regolamentato ove era quotato, o altresì il processo attraverso cui una società quotata perviene alla revoca dalle negoziazioni. La parola delisting trova le sue radici nel termine listing, che rappresenta l esatta situazione opposta, ovvero l ammissione del titolo di una società alla quotazione in un certo mercato borsistico. Con l ingresso in un listino, una società acquisisce un valore di mercato riconosciuto e condiviso da un ampia comunità finanziaria, e permette ai suoi shareholders di poter scambiare le azioni in loro possesso, e di ottenere così importanti benefici in termini di liquidità. Con il delisting invece, la società abbandona lo Stock Exchange perdendo quel valore di mercato precedentemente acquisito, e le sue azioni non possono più costituire oggetto di negoziazione in quel mercato. 7

8 L operazione di delisting di un titolo da un mercato regolamentato è denominata a livello internazionale anche con l appellativo di going private o public to private 1, termini che denotano chiaramente come a seguito di un tale evento il capitale sociale venga privatizzato, ovvero ristretto ad un numero limitato di azionisti, e diventi inaccessibile per gli investitori presenti nel mercato azionario ove la società era quotata. Il fenomeno oggetto di trattazione, ha conosciuto una significativa diffusione soltanto a partire dalla fine degli anni Novanta, registrando i livelli di massima espansione nei primissimi anni 2000 a seguito dell esplosione della dot.com bubble, e successivamente al propagarsi della crisi economico - finanziaria globale nel 2007, originatasi alla fine dell anno precedente negli USA con il problema dei mutui sub prime. A sostegno di quanto asserito, emergono le evidenze riportate da You (2008), in uno dei più significativi contributi presenti in dottrina che analizza il delisting in una dimensione internazionale, considerando la totalità delle imprese revocate dai vari listini mondiali dal 1964 al 2008, e permettendo così di individuare i patterns che il fenomeno ha assunto nel tempo: nel periodo considerato si sono verificati complessivamente delisting, di cui ben l 80% realizzatesi dopo il Altri importanti risultati, che testimoniano come il numero di going privates sia incrementato in modo considerevole con l avvento del XXI secolo, sono contenuti nella ricerca, focalizzata sul mercato USA, condotta da Chaplinsky e Ramchand (2007). Da tale contributo, si evince che la percentuale di imprese, domestiche e non, che soggiornano in uno dei tre maggiori mercati regolamentati USA 2 per un periodo superiore ai 10 anni è passata da circa il 98% per le società quotatesi prima del 1980 all esiguo 30% per quelle che hanno fatto il loro ingresso in Borsa dal 1990 in poi; con il passare del tempo, si è quindi registrata una netta contrazione del periodo di permanenza di una società nel mercato regolamentato, che spiega il significativo incremento, in termini di numero e frequenza, delle operazioni di delisting. La durata media di quotazione ha subito un drastico calo soprattutto a partire dai primi anni 2000, passando dai 10 anni registrati a metà anni Novanta, ai soli 5 anni emersi nel 2004, in seguito al manifestarsi degli effetti provocati dall esplosione della dot.com bubble, e all introduzione nei principali mercati regolamentati di standard di quotazione più rigorosi. Coerentemente con quanto sopra evidenziato, You, Parhizgari e Srivastava (2012) sottolineano come il gran numero di imprese approdate alla quotazione nei vari listini mondiali negli anni Novanta, abbia comportato negli anni successivi la riduzione delle probabilità di sopravvivenza di ciascuna, poiché l eccessiva competizione nell attirare su di sé l attenzione di analisti e investitori ha incrementato le difficoltà nel realizzare i benefici teorici connessi alla 1 Da qui in avanti si utilizzeranno in modo alternato questi vocaboli. 2 NYSE, NASDAQ e AMEX. 8

9 quotazione; ciò, associato alle due circostanze sopra menzionate, ha costituito i presupposti per le grandi ondate di delisting degli anni Duemila. La recente diffusione del fenomeno del delisting spiega la scarsità di significativi contributi dottrinali e lavori di ricerca sul tema, soprattutto in ambito europeo, ove il delisting era percepito sino a poco tempo fa come una manifestazione complessa e lontana, tipica di mercati maturi e consolidati come quelli Nord americani, e perciò avvolta da un alone di velato mistero 3. Tuttavia, risulta opportuno precisare come il fenomeno in esame abbia cominciato ad acquisire maggiore visibilità, e diventare argomento di rilevante discussione in ambito dottrinale e non, anche a fronte del netto calo delle nuove ammissioni verificatosi negli ultimi tempi, che ha comportato un sostanziale peggioramento del differenziale IPO 4 Delisting nella pressoché totalità dei listini mondiali 5. A sostegno di quanto appena affermato, la Figura 1 riporta la situazione relativa al mercato regolamentato italiano. FIGURA N. 1: ANDAMENTO DEL DIFFERENZIALE IPO DELISTING NEL LISTINO DI PIAZZA AFFARI, DAL 1997 A GIUGNO Grafico frutto di un elaborazione personale. Dati rilevati da target=statistic&family=group. 3 Negli anni del secolo scorso il delisting aveva interessato principalmente il mercato statunitense e quello canadese. Dalla pressoché totalità degli studi sul tema emerge chiaramente come gli Usa sono da considerarsi i pionieri di questo fenomeno, successivamente diffusosi in Gran Bretagna, e a seguire negli altri Paesi dell Europa Continentale. 4 Initial Public Offering. 5 In particolar modo nei mercati regolamentati dei Paesi più sviluppati. 9

10 L andamento del mercato italiano negli ultimi 15 anni può essere considerato rappresentativo, con le dovute precisazioni, di quello che ha caratterizzato gli altri principali mercati regolamentati dell Europa continentale, e sembra giustificare la tesi ampiamente condivisa in dottrina, tra gli altri da You (2008), Macey, O Hara e Pompilio (2008) e Geranio (2004), in base alla quale le nuove quotazioni e le uscite dal mercato tendono a seguire rispettivamente i cicli rialzisti e ribassisti del mercato. Questo diffuso orientamento trova le sue radici nella teoria del hot and cold market di Helwege e Liang (2004), la quale sottolinea come la distribuzione delle IPO tenda a concentrarsi nei periodi in cui il mercato presenta un andamento positivo, ovvero nelle fasi di hot market, mentre viceversa si riduce nei periodi di mercato al ribasso, di cold market, dove le società quotate sono maggiormente incentivate al delisting. Dai contributi di You (2008) e You, Parhizgari e Srivastava (2012) emerge come le determinanti alla base della significativa estensione a livello mondiale registrata dal fenomeno del going private successivamente all avvento del XXI secolo, siano numerose e variegate, pur presentando non pochi legami tra loro. Queste driving forces possono essere sostanzialmente riconducibili a tre fattori principali: all elevata volatilità che caratterizza l andamento dei prezzi di mercato in seguito all esplosione della crisi economico finanziaria del 2007, e che ha generato un crollo della fiducia degli investitori, e di conseguenza una netta riduzione dei trade volumes sui titoli, e dei relativi valori di mercato di questi ultimi; ai rilevanti problemi di carattere strutturale e alle inefficienze varie caratterizzanti gran parte dei mercati regolamentati mondiali, che si mostrano sempre meno capaci di sostenere, valorizzare e tutelare le società in essi quotate; all innalzamento dei requisiti minimi richiesti per la quotazione a seguito dell introduzione, nei primi anni 2000, di provvedimenti più rigorosi che hanno reso più difficile e oneroso mantenere lo status di società quotata. Con riferimento ai Paesi dell Unione Europea, occorre inoltre evidenziare come le modifiche apportate alla normativa comunitaria disciplinante le operazioni di M&A 6, ne abbiano favorito la diffusione, dando un ulteriore slancio ai public to privates. Sin da queste prime battute, in linea con quanto evidenziato nelle ricerche di You(2008), Martinez e Serve (2011) e Geranio e Zanotti (2010), è bene precisare come l ondata di delisting che ha investito il Vecchio Continente presenta dei connotati ben differenti rispetto a quelli con cui il fenomeno tende a manifestarsi nei mercati azionari più maturi e consolidati, i 6 Merger and Acquisitions. 10

11 cd. mercati anglosassoni: USA, Canada e UK. Nella maggior parte dei casi infatti, il ritiro dal listino nei mercati dell Europa continentale, è stato più o meno espressamente inseguito dalle imprese, attraverso operazioni di delisting volontario, spesso realizzate tramite M&A o Offerte Pubbliche di Acquisto (OPA). Limitati sono stati invece i casi di delisting involontario, molto diffusi nei più competitivi e rigorosi mercati Nord americani, ovvero quelle situazioni in cui la revoca dalla quotazione è disposta coattivamente dallo Stock Exchange, solitamente a seguito del venir meno di uno o più requisiti minimi richiesti per la quotazione, di gravi irregolarità e/o inadempimenti da parte dell emittente, o più semplicemente per le scarse performance registrate dall impresa 7. Gli stessi autori evidenziano inoltre, come la revoca dalle contrattazioni in ambito europeo, e in particolar modo nel mercato regolamentato italiano, abbia frequentemente riguardato imprese di medio - piccola dimensione e ridotta capitalizzazione, le cd. small caps 8, spesso caratterizzate da performance assai discutibili. Diversamente da ciò, nei mercati anglosassoni, il fenomeno del delisting ha colpito imprese con le più svariate caratteristiche in termini di dimensione, market capitalization, performance economico - finanziarie, storia e provenienza. Un altra importante differenza, rimarcata da Martinez e Serve (2011), tra i delisting di stampo anglosassone e quelli di tipo continentale, riguarda la forma che tende generalmente ad assumere un operazione di delisting volontario: nei mercati Nord americani, così come in quello britannico, sovente una consapevole e volontaria uscita dal mercato regolamentato è realizzata tramite un operazione di LBO 9, solitamente coadiuvata da investitori istituzionali come i Fondi di Private Equity, mentre nei mercati regolamentati dell Europa continentale molto più ricorrenti sono le già menzionate OPA, nella gran parte dei casi promosse dagli stessi azionisti di controllo, spesso coincidenti con i soci fondatori dell impresa che in passato l avevano condotta alla quotazione. Per quanto riguarda le modalità attraverso cui una società può essere delistata, Chaplinsky e Ramchand (2007) sembrano distinguere tre principali fattispecie esistenti di public to private: - Imprese che non riuscendo a soddisfare gli standard richiesti per la quotazione, o avendo commesso particolari inadempimenti e/o irregolarità, o per una qualche altra ragione, si vedono costrette ad abbandonare le contrattazioni su decisione vincolante dello Stock Exchange. Sono queste le cd. operazioni di delisting involontario, dove l uscita dal mercato prescinde dall effettiva volontà dell emittente. Solitamente queste 7 Le due fattispecie esistenti di delisting, volontario ed involontario, verranno singolarmente trattate nel secondo capitolo. 8 Il sistema imprenditoriale italiano è caratterizzato in prevalenza da small caps, ovvero da aziende di piccola e media dimensione, spesso a conduzione familiare. 9 LBO o Merger Leveraged Buyout. 11

12 imprese, prima del delisting, erano caratterizzate da performance economico - finanziarie molto negative e declinanti, e anzi, in certi casi già in sede di IPO presentavano un assai discutibile stato di salute e quindi un elevato rischio di delisting nel breve termine, tale da considerare inopportuna la decisione della Borsa di ammetterle. Spesso, ma non sempre, si tratta di imprese di ridotte dimensioni e modesta market capitalization Imprese che decidono di delistare volontariamente dal mercato borsistico, poiché necessitano di una maggior flessibilità strategica e gestionale per implementare un qualche programma di ristrutturazione e/o risanamento, o perché semplicemente non ritengono più soddisfacente il rapporto tra benefici e costi connessi allo status di impresa quotata. In altri casi invece, le performance dell impresa hanno subito un drastico deterioramento dopo l IPO, e la decisione di abbandonare le contrattazioni è quindi da considerarsi soltanto una mossa per anticipare il probabile futuro provvedimento di revoca dello Stock Exchange. Le società che richiedono intenzionalmente la revoca dalle contrattazioni spesso sono piccole medie imprese con bassa capitalizzazione, che hanno subito un peggioramento delle proprie performance in seguito all ingresso nel mercato, evidenziato da un progressivo declino del prezzo del titolo. - Imprese che abbandonano il mercato regolamentato successivamente ad un OPA, ad un LBO o ad un operazione di M&A. Solitamente queste imprese sono caratterizzate da buone performance economico finanziarie e soddisfano a pieno i requisiti minimi di quotazione, mostrando quindi di avere la capacità di poter continuare a soggiornare in modo profittevole nel mercato; tuttavia, in seguito al verificarsi di una delle tre operazioni sopra menzionate, si vedono costrette ad abbandonare le contrattazioni. A differenza delle società che delistano volontariamente o involontariamente, le imprese rientranti in questa categoria presentano le più svariate caratteristiche in termini di performance, size e market capitalization. Inoltre, in media esse evidenziano un maggiore livello di prossimità tra le performance registrate in sede di IPO e quelle al momento del delisting, tale da giustificare come in questi casi, il delisting spesso non sia una conseguenza del declino del prezzo e della liquidità del titolo azionario. Pertanto, sia poor quality e low performing company, che high quality e high 10 Per market capitalization si intende il valore complessivo delle azioni negoziate di una società quotata; si ottiene moltiplicando il numero di azioni out standing della società per il relativo prezzo di mercato; è una misura dell Entreprise Value di una società quotata. La somma delle market capitalizations di tutte le società quotate in un certo mercato azionario dà il valore complessivo di quel mercato. 12

13 performing company 11, possono optare, seppur con motivazioni diverse, alla realizzazione di un operazione di OPA, LBO o di M&A 12. Queste operazioni, un tempo tipiche dei mercati anglosassoni, hanno conosciuto una recente diffusione nei mercati dell Europa continentale, sia in seguito alla flessibilizzazione della normativa comunitaria sul tema, sia per l aumento su questi mercati del numero di rilevanti investitori istituzionali come Fondi di Private Equity, di Venture Capital e Banche d Investimento. Con riferimento alle considerate operazioni di revoca dalle contrattazioni, potrebbe sorgere qualche perplessità circa la categoria nella quale farle rientrare. Macey, O Hara e Pompilio (2008) e Geranio (2004), tendono a risaltare come la finalità primaria perseguita con esse non sia di certo l uscita da un mercato regolamentato; ciò, ne è soltanto una mera conseguenza tecnica, venendo meno alcuni dei requisiti minimi richiesti per la quotazione. È lo Stock Exchange, pur avendo pressoché nulla discrezionalità, ad assumere in questi casi la decisione di delistare il titolo della società. Quanto appena evidenziato, potrebbe quindi indurre a considerare OPA, LBO e M&A operazioni di delisting involontario. Tuttavia, la dottrina prevalente 13 fa rientrare queste tre differenti fattispecie di going private nell ambito dei delistings volontari, sostenendo che, anche se formalmente la decisione di delisting è assunta dallo Stock Exchange, spesso dietro ad una delle considerate operazioni sussiste l intenzione, implicita e secondaria, della società di abbandonare le contrattazioni, e in ogni caso c è la piena consapevolezza che la sua realizzazione comprometterà irrimediabilmente il proseguo della quotazione. Chaplinsky e Ramchand (2007), anche se maggiormente indirizzati verso questo orientamento dominante, sottolineano come sia inadeguato fare una rigida e incondizionata classificazione di queste tre operazioni, facendole rientrare a priori nell una o nell altra categoria; più opportuno pare indagare caso per caso sulle reali motivazioni che spingono una società a realizzare un operazione di OPA, di LBO o di M&A, analizzando accuratamente i comportamenti e le azioni, implicite e non, assunte nell ultimo periodo di quotazione dalla società stessa, l andamento delle sue performance economico - finanziarie durante il soggiorno nel listino, e le motivazioni 11 Chaplinsky e Ramchand (2007). 12 Alcune imprese scelgono di realizzare un operazione di M&A, LBO o OPA, perché la considerano l unica alternativa possibile al probabile dissesto economico - finanziario a cui sono prossime. Altre imprese invece, pur presentando delle buone performance, scelgono di fondersi o di essere acquisite perché possiedono degli assets, o altri valori potenziali, che altre imprese sono disposte a pagare per averli, e quindi a valorizzarli. Più in generale, tutte e tre le operazioni considerate possono soddisfare l esigenza di ristrutturazione della corporate governance che un impresa può presentare in particolari momenti della sua vita. 13 Tra i tanti vedi: Geranio e Zanotti (2010), Martinez e Serve (2011), Chaplinsky e Ramchand (2007), Renneboog, Simons, e Wright (2007) e You (2008). 13

14 che sostavano dietro alla passata scelta di quotarsi. Secondo i due autori, soltanto procedendo in questo modo, si ha una maggior probabilità di comprendere se dietro alla realizzazione di una delle considerate operazioni sussiste o meno l effettiva volontà della società di delistarsi. Da quanto sinora emerso, pare evidente come il delisting debba essere considerato un fenomeno altamente negativo, una minaccia da fronteggiare sempre più fortemente negli ultimi tempi; come rimarcato da Chandy, Sarkar e Tripathy (2004), la manifestazione di un tale evento potrebbe provocare effetti dannosi per tutti: per la società, che venendo estromessa dalle contrattazioni rinuncerebbe a tutti i più svariati benefici connessi alla quotazione, per i suoi shareholders, i quali vedrebbero ridursi nettamente il valore e la liquidità dei titoli posseduti, per i managers che perderebbero in prestigio, visibilità e motivazione, e per lo Stock Exchange, che da una parte assisterebbe alla riduzione della sua market capitalization complessiva e delle opportunità di investimento offerte agli investitori, oltre che al peggioramento del differenziale IPO - Delisting, perdendo così di attrattività e prestigio, e dall altra non potrebbe più beneficiare delle varie commissioni di quotazione e di negoziazione che la società delistata li riconosceva. In aggiunta a tutto ciò, Macey, O Hara e Pompilio (2008) evidenziano come spesso i processi di uscita dal mercato regolamentato siano lunghi, complessi e costosi, a causa di normative poco trasparenti e inefficaci, e di un trattamento non egalitario che gli Organi di competenza riservano alle imprese; può infatti accadere che un impresa continui a soggiornare in un mercato regolamentato per mesi o addirittura anni, nonostante manifesti una palese non conformità agli standard di quotazione, o ancor di più che sia coinvolta in particolari scandali o frodi 14, recando così danno a sè stessa, ai suoi investitori oltre che al mercato. Emerge quindi la necessità di normative più chiare e rigorose, che riducano la discrezionalità concessa agli Stock Exchanges nell assumere i provvedimenti di revoca, oltre che di una maggior attenzione e competenza degli organi di Borsa, in modo da regolare più efficacemente i sempre più numerosi processi di delisting 15. Alcuni autori, tra i quali Renneboog, Simons, e Wright (2007) e Leuz, Triantis e Wang (2008), hanno realizzato un analisi più estesa, non limitandosi a considerare le conseguenze negative associate al delisting, ma risaltandone anche gli effetti e le implicazioni positive. Essi tendono ad evidenziare come, nel caso una società sia costantemente sottovalutata dal mercato, e che quindi il prezzo di mercato del titolo non rispecchi il suo reale valore, l abbandono delle contrattazioni possa dimostrarsi un evento favorevole per l impresa e i suoi 14 Numerosi casi negli USA nei primi anni Enron su tutti. 15 Il tema della regolamentazione del delisting sarà approfondito nel terzo capitolo, nel quale verrà condotta un analisi generale su come il fenomeno in esame è disciplinato a livello internazionale. 14

15 shareholders, così come quando la stessa presenta la necessità di una maggior flessibilità strategica e gestionale al fine di attuare un programma di ristrutturazione e/o risanamento. Inoltre, il going private generalmente comporta un maggior allineamento dei comportamenti e degli obbiettivi, tendendo così a ridurre lo storico conflitto tra manager e shareholders. Macey, O Hara e Pompilio (2008) sottolineano che per certi aspetti il delisting potrebbe essere considerato addirittura come un fenomeno fisiologico che si manifesta ciclicamente per compiere una sorta di necessaria selezione delle imprese soggiornanti nei vari Stock Exchanges, al fine di permettere a quest ultimi di mantenere elevati livelli di competitività, efficienza e prestigio. In tal modo, questo processo di pulizia dei mercati regolamentati tenderà gradualmente ad escludere tutte quelle imprese scarsamente performanti, con l obbiettivo di massimizzare il numero di high quality company quotate nel listino, ovvero di imprese con un buon stato di salute economico finanziaria, evidenziato da un titolo con un prezzo di mercato stabilmente elevato e un significativo trade volume. Considerato quanto appena evidenziato, sembrerebbe che i mercati borsistici dovrebbero incentivare anziché contrastare i delistings. Tuttavia, i sopra citati autori precisano che una tale affermazione sia da considerarsi azzardata; la soluzione più ragionevole, come nella maggior parte dei casi, sembra infatti sostare nel mezzo: il delisting di una società è un fenomeno che presenta numerose conseguenze negative ed alcuni risvolti positivi, e deve perciò essere analizzato e valutato ponderatamente caso per caso dallo Stock Exchange. Detto ciò, non tutte le cd. low quality company, ovvero le imprese con scarse performance economico finanziarie, devono essere escluse dalle contrattazioni, o comunque indotte a farlo, nel più breve tempo possibile, verificando piuttosto l esistenza di eventuali possibilità di ripresa o di rilancio della società, e se opportuno, fornirle il necessario supporto cercando di fare quanto possibile per evitarne il delisting; pertanto, è da ritenere totalmente sconsiderato l atteggiamento, assunto da diversi Stock Exchanges negli ultimi tempi, di abbandonare una società al proprio destino o addirittura revocarla non appena presenta un calo di performance o una qualche non conformità agli standard di quotazione. In aggiunta a quanto detto, come sostenuto da Chaplinsky e Ramchand (2007), gli Stock Exchanges dovrebbero evitare un eccessivo squilibrio tra IPO e delisting, e perciò attuare una sorta di gestione dinamica dei due fenomeni cercando di regolarne stabilmente l andamento, in modo da impedire che un eventuale ondata di delistings comporti perdite significative per il mercato in termini di attrattività, prestigio e competitività, e che d altra parte invece un eccessivo numero di IPO implichi uno smisurato incremento della competizione tra le diverse società quotate nel listino nell accaparrarsi i benefici connessi alla quotazione, realizzabili soltanto attirando l attenzione di analisti e 15

16 investitori sul proprio titolo, portando così alla riduzione delle probabilità di sopravvivenza di ciascuna. You (2008) evidenzia inoltre la tendenza di alcuni mercati regolamentati, specie quelli dei Paesi emergenti, Honk Kong su tutti, di abbassare eccessivamente gli standard di quotazione al fine di attirare sempre più nuove IPOs e di ridurre le potenziali revoche, con l obbiettivo di dare un ulteriore slancio alla già rilevante crescita, misurabile in termini di market capitalization e volume complessivo delle negoziazioni, che li ha contraddistinti a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Le preoccupazioni degli autori dottrinali, risaltate nello studio di You (2008), circa le conseguenze negative che lo sconsiderato comportamento adottato da questi Stock Exchanges avrebbe potuto generare, si sono rivelate giustificate. L elevata deregolamentazione che vige nei mercati borsistici emergenti ha contribuito al dissesto di molte società quotate che, pur presentando un cattivo stato di salute economico - finanziario sin dal momento dell IPO e quindi irrisorie prospettive di un soggiorno profittevole nel mercato, sono state comunque ammesse alle contrattazioni; il going public sembra infatti aver inflitto il colpo decisivo a tali imprese, provocandone il tracollo. Sempre nell ottica di un analisi generale del fenomeno, You(2008) e You, Parhizgari, e Srivastava (2012) risaltano come negli ultimi anni esso abbia interessato prevalentemente i mercati occidentali, ovvero quelli dei Paesi più sviluppati. Il mercato statunitense, da sempre considerato il mercato regolamentato per eccellenza, per anni destinazione finale del processo di crescita ed espansione di numerose imprese nazionali e non, ha registrato una significativa perdita di attrattività e di competitività in seguito agli eventi verificatesi nel primo decennio del XXI secolo, rimarcata da un netto calo delle IPOs e da un consistente numero di delistings. In direzione opposta sembrano muoversi i cd. mercati emergenti, in gran parte riconducibili a quelli del Sud Est asiatico 16 ; essi stanno attraversando un periodo di grande crescita ed espansione, e sono diventati sempre più mercato target di numerose imprese provenienti dai Paesi vicini, ma anche da Europa e Nord America. Questi mercati infatti, sono stati toccati soltanto parzialmente dalla crisi economico finanziaria esplosa nel 2007, e offrono allettanti opportunità d investimento per le imprese e gli investitori, oltre che, come sopra evidenziato, ridotti standard di quotazione e obblighi in tema di disclousure; a quest ultimo aspetto però conseguono importanti problemi strutturali del mercato, legati ad una normativa carente e poco chiara, che non tutela a dovere gli investitori e la concorrenza tra le imprese, e che pare essere un significativo freno alla definitiva consacrazione di questi listini. 16 Cina, India, Honk Kong, Singapore, Corea del Sud. 16

17 Indagando sui fattori che contribuiscono ad un soggiorno duraturo e profittevole in un mercato regolamentato, e che perciò tendono ad allontanare il rischio delisting che grava intorno ad una società quotata, Chaplinsky e Ramchand (2007) considerano fondamentale la capacità dell impresa di insediarsi efficacemente sin da subito nel mercato, attirando in modo persistente l attenzione di analisti e investitori. Infatti, soltanto con una significativa analyst coverage 17, ovvero con un elevato livello di market recognition, la società è in grado di garantire un importante trade volume al suo titolo, favorendone così un andamento positivo in termini di prezzo e liquidità. Un impresa che mostra di avere tale capacità, riesce a godere in misura rilevante dei benefici teorici associati al going public, che l avevano incentivata ad accedere al listino, e quindi a sopportare più facilmente i considerevoli costi ed oneri che la quotazione implica, allontanando il pericolo di un eventuale delisting. Tuttavia, quest ultimo aspetto non è di semplice realizzazione, poiché è collegato a numerosi altri fattori. Chaplinsky e Ramchand (2007) sottolineano che il presentarsi al mercato al momento dell IPO con un buon stato di salute economico finanziaria, ovvero come un high quality company, e con una size elevata, in termini di assets ed equity, gioca un ruolo importante nel determinare la futura capacità dell impresa di calamitare su di sé l interesse del mercato. Una società che si presenta al momento dell ingresso nel mercato borsistico con dei buoni fundamentals, in particolare con apprezzabili livelli di earnings, ROA 18, fatturato, e debito, e con una size rilevante, ha maggiori probabilità di mantenere a lungo lo status di società quotata. A sostegno di ciò, dallo studio di Li e Zhou (2006), emerge come gran parte delle imprese delistate dal 1980 al 1999 dai tre principali mercati regolamentati USA, mostravano in sede di IPO scarsi fondamentali, e spesso erano di dimensioni non particolarmente elevate. Come sottolineato da Fama e French (2004), sembra esserci una relazione diretta tra prezzo di collocamento e durata di quotazione. In altre parole, le società che si presentano al mercato con un prezzo del titolo elevato hanno minor probabilità di incorrere in un delisting nel breve termine. Infatti, tanto più elevato è il prezzo del titolo in sede di IPO tanto più probabile è che l impresa riesca ad attirare sin da subito l attenzione di investitori e analisti, garantendo un significativo trade volume delle proprie azioni, e facendo così emergere i presupposti per un durevole e profittevole soggiorno nel listino. 17 L analyst coverage è il principale indicatore dell andamento di un titolo in un mercato borsistico; misura il livello di investor recognition, ovvero il grado di attenzione posto dal mercato (investitori e analisti) verso l impresa e il suo titolo. Tanto più grande è la size dell impresa e tanto più essa è conosciuta, tanto maggiore tenderà ad essere la sua analyst coverage. D altra parte invece, le cd. small caps tenderanno ad assistere, successivamente alla fase di IPO, ad un progressivo calo del valore di questo indicatore, poiché a causa della loro ridotta dimensione e modesta market capitalization, sono considerate poco attraenti dal mercato, e analisti e investitori non sono incentivati a spendere tempo e denaro nel ricercare informazioni e dati su di esse. Il valore di questo indicatore è misurabile attraverso il numero di opinioni, pareri, articoli e raccomandazioni pubblicate dagli analisti sull impresa e sul suo titolo. 18 Return of Assets: indicatore misurante la redditività prodotta dalla gestione operativa di un azienda. 17

18 Fungáčová (2007) evidenzia invece come l entità del capitale sociale di una società quotata detenuta da enti pubblici sia inversamente proporzionale alle probabilità di un eventuale uscita dal mercato regolamentato della stessa nel medio periodo. Dal suo contributo, focalizzato su un analisi del fenomeno del delisting nei mercati regolamentati dell Est Europa, si rileva come un aumento dell 1% della frazione di capitale sociale posseduta da enti pubblici comporti una riduzione dello 0,3% delle probabilità di delisting futuro della società; ciò pare essere giustificato dal fatto che quando lo Stato o un altro ente pubblico è coinvolto nella struttura proprietaria di una società, tende ad assumere un ruolo strategico, ovvero mira a perseguire un piano di ristrutturazione, di risanamento o di crescita ed espansione, conseguibile con una quotazione a medio lungo termine. Un altro importante fattore che può allontanare il rischio delisting che incombe sul titolo di una certa società, è il capital rising. Per Merton (1987), la decisione di presentarsi in sede di IPO con un un offerta pubblica di sottoscrizione (OPS) 19, e di aumentare periodicamente il capitale sociale durante il soggiorno nel listino, dando così la possibilità ai nuovi investitori presenti nel mercato di sottoscrivere azioni di nuova emissione, e perciò allargando la quota di public capital, ovvero della porzione di capitale sociale detenuta da azionisti diversi da quelli di controllo, aumenta le probabilità di un soggiorno duraturo nello Stock Exchange. Infatti, il capital rising è considerato una tecnica di sensibilizzazione degli investitori, poiché segnala al mercato come la strategia di quotazione dell impresa sia basata su finalità strategiche di medio - lungo termine e non su propositi speculativi di breve periodo; questo le permette di attirare stabilmente l attenzione del mercato e di garantire significativi livelli di trade volume al proprio titolo. L elevato livello di commitment che la società ha nel mercato costituisce il presupposto per una quotazione duratura e profittevole. A sostegno di quanto affermato, dallo studio di Chaplinsky e Ramchand (2007) emerge come un numero consistente delle imprese revocate dai tre principali mercati regolamentati USA nel periodo , non abbia realizzato alcun aumento di capitale successivamente all ingresso nel mercato regolamentato, neppure in sede di IPO, e che quindi nessuna azione di nuova emissione sia stata sottoscritta durante il soggiorno nel listino. Considerato quanto sopra emerso, sembrano dunque sussistere elementi a sufficienza per sostenere l esistenza di una relazione inversa tra l entità dei capital risings effettuati e la probabilità di revoca dalle contrattazioni. 19 Un IPO può essere realizzata con un offerta pubblica di sottoscrizione (OPS), ovvero provvedendo al momento dell ingresso nel mercato ad un aumento del capitale sociale, e perciò proponendo agli investitori azioni di nuova emissione; in alternativa, può verificarsi una semplice offerta pubblica di vendita (OPV), quando la società quotanda non delibera alcun aumento di capitale, ma si limita a vendere al mercato parte delle proprie azioni di vecchia emissione. Infine, l impresa può decidere di adottare congiuntamente le due tecniche, offrendo al mercato sia azioni di nuova emissione, che quelle già esistenti. 18

19 Quando uno o più di questi fattori, considerati di fondamentale importanza per soggiornare con successo in un mercato borsistico, non si verifica, ecco che per una società quotata incombe il pericolo delisting. La revoca dalle contrattazioni, se da una parte può conferire maggior flessibilità strategica e operativa per poter implementare un eventuale processo di rinnovamento o ristrutturazione, e libera l impresa dai rigidi obblighi in tema di disclousure e dai rilevanti oneri di quotazione, dall altra, comporta la perdita dei benefici connessi al listing, in particolar modo di quelli relativi alla facilità d accesso alle fonti di capitale, alla liquidità delle proprie azioni, all avere un valore di mercato riconosciuto e condiviso da un ampia comunità finanziaria, e tutti gli effetti positivi in termini di immagine e notorietà conseguiti con il going public. Come rimarcato da Macey, O Hara e Pompilio (2008) e da Chandly, Sarkar e Tripathy (2004), abbandonando il listino la società e i suoi shareholders assistono ad un drastico calo del prezzo del titolo, che perde in media circa il 50% del suo valore, e della sua liquidità, evidenziando un netto calo del trade volume, e il triplicarsi del bid ask spread. Un ulteriore aspetto di carattere generale associato al tema oggetto di trattazione, sul quale merita brevemente soffermarsi, è il ruolo giocato dallo Stato, e dalle sue istituzioni politiche, economiche, finanziarie e legali nel contribuire alla crescita del mercato regolamentato nazionale e nel contrastare il fenomeno del delisting. In tale ambito, assume particolare rilievo il contributo di Fungáčová (2007), che indaga sullo sviluppo dei mercati borsistici nelle cd. economie di transizione negli anni Novanta e Duemila 20, e sui connotati che le revoche dalle contrattazioni hanno in essi assunto. Lo studio in questione, sottolinea come un diverso processo di privatizzazione, e più in generale un differente operato delle istituzioni abbiano comportato un percorso di crescita del mercato regolamentato nazionale assai dissimile, pur trattandosi di Paesi confinanti con caratteristiche geografiche, culturali e storiche molto simili. Emerge infatti che, mentre Polonia, Ungheria e Slovenia presentano un mercato borsistico in espansione ed un processo di transizione verso un sistema economico di libero mercato, tipico dei Paesi più sviluppati, sempre più vicino al raggiungimento degli obbiettivi iniziali cui si era preposto, la R. Ceca e la R. Slovacca mostrano ancora un significativo livello di sottosviluppo economico e finanziario, e un mercato regolamentato scarsamente attrattivo e competitivo, con gravi problemi strutturali. Queste evidenze sembrano sostenere la tesi di Levine e Zervos (1998), in base alla quale il mercato borsistico svolge un ruolo chiave nel determinare lo sviluppo del sistema economico e finanziario di un Paese, in quanto incentiva gli scambi e gli investimenti, drivers principali della crescita di un Economia. I diversi livelli di sviluppo economico e finanziario sopra rimarcati, possono essere spiegati dalle differenti dinamiche con cui è avvenuto il processo di privatizzazione in questi Paesi, 20 Ovvero i Paesi dell Est Europa, un tempo sotto l influenza del regime comunista imposto dall URSS. 19

20 avviato nei primi anni Novanta, in seguito alla disaggregazione dell URSS e alla fine del regime comunista cui erano sottoposti. Come spiegato da Fungáčová (2007), nei primi, si è adottato un cd. approccio top down, che prevedeva una graduale e pianificata transizione verso il libero mercato, e poneva come primaria fondamentale esigenza a cui far fronte la forte ristrutturazione strategica e organizzativa delle grandi imprese collettiviste, accompagnata da una significativa riforma delle varie istituzioni politiche, economiche, finanziarie e legali. Nei due Paesi dell ex Cecoslovacchia invece, si è adottato un approccio di tipo bottom up, che ha portato ad un accellerata e sconsiderata ondata di privatizzazioni, senza realizzare ex ante un accurata pianificazione di quello che si presentava come un radicale cambiamento del sistema economico - finanziario. In questi due Paesi, lo Stato spinse erroneamente un gran numero di imprese appena privatizzate a quotarsi nel nascituro mercato regolamentato nazionale, senza considerare la prioritaria e profonda necessità di ristrutturazione che esse presentavano prima di anche solo poter pensare di accedere al listino, e l impossibilità per un mercato appena costituito e con gravi problemi strutturali di poter accogliere e supportare un così elevato numero di imprese. Fungáčová (2007) evidenzia come a metà del 1993, neanche un anno dopo la sua attivazione, il Prague Stock Exchange (PSE) ospitava circa un migliaio di società, e il numero continuò a salire negli anni successivi, fino a raggiungere la quota record di Maggio 2006, con la bellezza di ben 1792 società quotate; sebbene per size complessiva fosse addirittura paragonabile ai listini dei Paesi occidentali, la gran parte delle imprese soggiornanti nel mercato ceco presentava tuttavia delle performance economico - finanziarie disastrose, e in aggiunta, il mercato non era in grado di svolgere le sue funzioni principali, in particolare quella informativa, mostrando prezzi completamente disconnessi alla realtà. Tutto ciò, comportò a partire dalla fine degli anni Novanta, l inizio di una ondata di delisting di dimensioni enormi, che si manifestò con la stessa rapidità con cui negli anni precedenti si erano registrate le nuove IPOs. Le revoche dalle contrattazioni assunsero svariate fisionomie: alcune imprese delistarono volontariamente, altre in seguito al fallimento o ad altre procedure concorsuali, ma la maggior parte vennero revocate su decisione dello Stock Exchange, che all improvviso decise di innalzare i pressoché inesistenti standard di quotazione sino a quel momento in vigore, dimostrandosi consapevole dell errore fatto in passato nell ammettere imprese che neanche lontanamente meritavano lo status di società quotata, comportando così conseguenze assai negative per le imprese stesse, per il mercato e per l economia ceca in generale. Tuttavia, questi numerosi delistings involontari susseguitesi in un breve lasso di tempo non fecero altro che peggiorare ulteriormente la già critica situazione del mercato regolamentato ceco, rallentandone pesantemente il processo di 20

21 crescita. A sostegno di ciò, si segnala a Settembre 2012 la presenza di soli 15 titoli listati nel PSE. Quanto sopra evidenziato fornisce pertanto elementi a sufficienza per sostenere come sia fondamentale il ruolo giocato dalle varie Istituzioni di un Paese nel contribuire alla sviluppo di un mercato regolamentato efficiente e competitivo, in grado di gestire efficacemente il fenomeno del delisting e le implicazioni negative ad esso associate 21. Sempre nell ambito degli aspetti generali connessi al fenomeno in esame, si registra infine una crescente propensione da parte degli investitori presenti nei diversi mercati regolamentati ad acquistare le azioni di una società non appena essa manifesti delle prospettive di delisting nel breve periodo, con l obbiettivo di rivenderle dopo poco tempo a prezzo maggiorato, conseguendo così importanti guadagni. Shumway (1997) e Eisdorfer (2008) evidenziano come l elevata volatilità che caratterizza l andamento del prezzo di un titolo a rischio delisting possa infatti offrire importanti opportunità di profitto per gli investitori. In seguito all emergere delle voci di un possibile delisting da parte della società, si intensificano i bias informativi che la riguardano, ovvero cominciano a circolare con sempre maggior insistenza informazioni contrastanti relative allo stato di salute economico - finanziario della società, ai comportamenti e alle decisioni future che essa adotterà; queste dinamiche producono un rilevante signaling effect sul prezzo del titolo, generandone così un andamento anomalo e altalenante. Tuttavia, non sempre le aspettative ottimistiche degli investitori si avverano, poiché la minaccia di delisting potrebbe improvvisamente realizzarsi, o comunque intensificarsi, provocando un netto e inesorabile calo del prezzo del titolo, e causando così grosse perdite per gli investitori. Detto ciò, pare opportuno valutare in modo accurato la decisione se realizzare o meno questi investimenti altamente rischiosi, in ogni caso cercando prima di ottenere informazioni attendibili sul reale stato di salute economico - finanziario dell impresa e sulle probabili dinamiche future che la caratterizzeranno. 1.2 IL TRADE OFF TRA I COSTI E I BENEFICI DEL GOING PUBLIC: I PRESUPPOSTI PER IL DELISTING A differenza di quanto emerso relativamente al delisting, il fenomeno del going public ha origini molto più datate, e ciò spiega i numerosi contributi presenti in ambito dottrinale sul tema. Il going public, conosciuto a livello internazionale anche con l appellativo di private to public o listing, consiste nella decisione di una società di procedere ad un Initial Public 21 A tale conclusione oltre che a Fungáčová (2007), sembrano giungere anche You (2008) e You, Parhizgari, e Srivastava (2012). 21

22 Offering (IPO) con l obbiettivo di accedere ad un certo mercato regolamentato e rendere le proprie azioni negoziabili tra il pubblico in esso presente. Listing e delisting, seppur siano da considerarsi due fenomeni ben distinti, per molti versi opposti, presentano tuttavia legami non poco significativi tra loro. Infatti, il venir meno delle motivazioni che hanno indotto un impresa a quotarsi in un certo mercato borsistico può costituire i presupposti per un suo imminente abbandono delle contrattazioni. Da qui la decisione di analizzare brevemente i costi e i benefici, reali e potenziali associati allo status di listed company. In linea con quanto evidenziato da Röell (1996) e da Pagano, Panetta e Zingales (1998), in due dei più significativi contributi presenti sul tema in ambito europeo, è da ritenere che quando una società non riesce a realizzare i benefici teoricamente conseguibili con il soggiorno in un mercato regolamentato, o qualora essi risultino essere inferiori ai costi relativi, ci sono elevate probabilità che la stessa manifesti l intenzione di procedere alla revoca dalle negoziazioni. Per ciò che concerne i principali benefici potenzialmente realizzabili con la quotazione, Pagano, Panetta e Zingales (1998) evidenziano innanzitutto come l ingresso in uno Stock Exchange permetta all impresa di raccogliere con maggior facilità nuove risorse finanziarie a titolo di capitale proprio, e perciò di ottenere importante liquidità e al contempo di diversificare le proprie fonti di finanziamento, che per una società non quotata sono solitamente costituite da capitale di credito e dai conferimenti iniziali dei soci fondatori. Dallo studio di Röell (1996) emerge come questo beneficio costituisca la principale motivazione che induce un impresa ad approdare in un mercato regolamentato. Il going public le permette infatti di recuperare le risorse necessarie ad implementare il suo programma di crescita ed espansione, realizzabile anche grazie attraverso le operazioni di M&A, molto più ricorrenti per le public companies. Inoltre, avendo minori difficoltà di accesso al capitale di rischio, l impresa tende ad acquisire un maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori del capitale di credito: si potrebbe pertanto registrare anche un netto calo del WACC 22. Chemmanur e Fulghieri (1999) evidenziano come il più facile accesso al capitale comporti vantaggi non solo in termini quantitativi, ma anche dal punto di vista qualitativo. Infatti, la differenziazione delle fonti di finanziamento utilizzate permette all impresa di bilanciare la propria capital structure, e di diversificare, e quindi ridurre il rischio affrontato. Anche i soci 22 Weighted Average Cost of Capital o costo medio ponderato del capitale. Consiste nella media ponderata tra il costo del capitale proprio e il costo del capitale di debito. Il WACC è il tasso minimo che un'azienda deve generare come rendimento dei propri investimenti per remunerare i creditori, gli azionisti e gli altri fornitori di capitale. Può essere rappresentato da questa formula: WACC = (D/V) *Kd *(1-Tm) + (E/V)*Ke. D = ammontare capitale di debito o indebitamento; E = Equity o patrimonio netto; V = Entreprise Value, calcolato come somma tra D e E; Kd = costo dell indebitamento; Ke = costo del capitale proprio; Tm = marginal tax rate. Per un approfondimento sul tema si veda: KOLLER, T., GOEDHART, M., e WESSELS, D., Valuation. Chicago: Mc Kinsey & Company, pp

23 fondatori dell impresa, che in ambito europeo, e soprattutto in Italia 23, tendono a coincidere con l imprenditore e i suoi familiari, a seguito dell ingresso di nuovi azionisti e perciò dell innesto di ulteriore capitale proprio, vedono ridursi il rischio gravante sul loro investimento. Inoltre, essi hanno la possibilità di monetizzare in qualunque momento parte più o meno rilevante della propria partecipazione sociale, ottenendo importanti capital gains, grazie al fatto che solitamente in seguito alla quotazione il valore delle azioni della società si apprezza, permettendo loro di vendere quelle in proprio possesso ad un prezzo superiore a quello pagato in precedenza per sottoscriverle. Un altro importante vantaggio che il going public comporta per la società, consiste nell acquisizione di un pricing di mercato, ovvero di un valore oggettivo, riconosciuto e condiviso da un ampia comunità finanziaria. Pagano, Panetta e Zingales (1998) tengono tuttavia a precisare che questa implicazione potrebbe presentare anche dei risvolti negativi per l impresa: qualora il mercato regolamentato non fosse in grado di svolgere efficacemente la sua funzione informativa, ovvero di riflettere sul prezzo di mercato del titolo dati e informazioni attendibili sull impresa, o più in generale non avesse la capacità di riconoscere e far emergere il suo reale valore, ecco che essa risulterebbe essere svalutata; ciò comporterebbe effetti assai negativi sul trade volume del titolo e sul relativo prezzo, costituendo i presupposti per un necessario delisting. A sostegno di quanto appena evidenziato, dagli studi di You (2008) e di Martinez e Serve (2011) emerge come la pressoché totalità dei listini mondiali, a seguito della crisi economico finanziaria esplosa nel 2007, presenti inefficienze tali da non riuscire ad esprimere tutto il valore potenziale che le società ospitate racchiudono in sé; anzi, spesso emergono dei prezzi di mercato altamente discordanti dal reale valore delle imprese. Altri significativi effetti positivi associati al listing sono quelli riconducibili ai molteplici benefici in termini di immagine, che sulla base dei risultati emersi dall indagine di Röell (1996) costituiscono la seconda ragione principale per cui una società è incentivata al going public. Innanzitutto, l essere sottoposta a numerosi e stringenti obblighi in tema di disclousure e a rigorosi standard di quotazione fa percepire l impresa come caratterizzata da un elevata qualità intrinseca, permettendole di creare un clima favorevole di consenso e approvazione presso i suoi stakeholders, fattore molte importante per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati. Pagano, Panetta e Zingales (1998) rimarcano inoltre che con l ingresso in un mercato regolamentato la società ottiene un grande incremento in termini di visibilità e di reputazione, a cui però fa fronte un significativo ampliamento delle responsabilità verso i 23 La fattispecie d impresa più ricorrente nel mercato italiano è la piccola - media impresa a conduzione familiare. 23

24 propri stakeholders. Ogni suo comportamento, azione o decisione diventerà infatti oggetto del giudizio del mercato e degli attori in esso operanti, influenzando l andamento del prezzo del titolo. La quotazione implica pertanto non solo importanti cambiamenti organizzativi per l impresa, ma soprattutto in termini culturali, dovendo garantire un elevata trasparenza della propria attività oltre che una continua comunicazione con il pubblico. I notevoli miglioramenti in termini di immagine possono avere risvolti positivi per l impresa sia dal punto vista finanziario, nell approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie al sostentamento della sua attività, facilitando i rapporti con investitori e istituti di credito, e avendo maggior potere contrattuale nel negoziare le condizioni di finanziamento, sia dal punto di vista commerciale, attirando nuovi clienti potenziali e rafforzando la fedeltà di quelli già in portafoglio 24. Coerentemente con quanto appena asserito, Geranio (2004) sottolinea come spesso le imprese tendano ad approdare nei mercati regolamentati dei Paesi che costituiscono il principale mercato di sbocco dei propri prodotti e/o servizi, ove generalmente sono quotati anche i maggiori competitors. Ecco che, come evidenziato da Pagano, Panetta e Zingales (1998), in alcuni casi, soprattutto per le imprese europee, la decisione di listing non è accompagnata da una strategia di quotazione accuratamente pianificata, ma risulta essere erroneamente motivata soltanto dalla volontà di rispondere ad azioni intraprese in precedenza dai concorrenti. Spesso, il soggiorno nel mercato di queste imprese si rivela sin da subito infruttuoso, inducendole dopo breve tempo al delisting. Altre implicazione positive che il listing di una società generalmente comporta sono legate all aspetto motivazionale. Insieme all impresa, infatti, anche il management e lo staff acquisiscono un elevata visibilità, e il loro operato diventa oggetto di valutazione da parte della comunità finanziaria; di conseguenza, essi sono maggiormente involved and committed 25 nell impresa, e tenderanno a massimizzare il proprio impegno al fine di realizzare gli obbiettivi che la società si è prefissata. Infine, per una società quotata sembrerebbero emergere anche dei benefici di natura fiscale. Tuttavia, Pagano, Panetta e Zingales (1998) e Röell (1996), con riferimento alle decisioni di going public in ambito europeo, tengono a precisare come il ruolo giocato da quest ultimi nell indurre un impresa al listing sia marginale, poiché modesta è la loro entità. Le normative vigenti nei principali Paesi europei, a differenza di quella statunitense, non riconoscono significativi vantaggi fiscali alle società quotate in un mercato regolamentato. Questa può essere considerata una delle cause della scarsa propensione al listing da parte delle imprese europee, le quali tendono a considerare maggiormente conveniente finanziarsi attraverso l utilizzo della leva finanziaria 24 Geranio (2004, p. 6). 25 Pagano, Panetta e Zingales (1998). 24

25 piuttosto che con il capitale di rischio, essendo gli interessi a differenza dei dividendi da pagare agli azionisti fiscalmente deducibili. Da quanto sinora emerso sembrerebbe che il private to public non faccia altro che presentare importanti vantaggi per un impresa e i suoi shareholders. Tuttavia, a fianco dei numerosi potenziali benefici sopra elencati, la quotazione in un mercato regolamentato comporta per l impresa anche una serie di costi rilevanti da sopportare. Questi costi sono della più svariata natura: diretti e indiretti, evidenti e nascosti, reali e potenziali. Come evidenziato da Carney (2006), in seguito all innalzamento dei requisiti minimi di quotazione e degli obblighi in tema di disclousure verificatosi nei principali mercati regolamentati mondiali nei primi anni Duemila, si è assistito ad un inasprimento dei costi che un impresa deve sostenere per poter accedere e soggiornare in un listino. Per quanto riguarda i costi diretti espliciti, essi sono in gran parte riconducibili ai costi sostenuti durante l iter di ammissione per la realizzazione dell IPO, a quelli relativi alla raccolta e all elaborazione di dati e info per la redazione dei bilanci e dei rendiconti infrannuali, e alle rilevanti fees da pagare periodicamente per il soggiorno nel listino e per il trading delle azioni. Con riferimento ai costi diretti impliciti, particolare rilevanza assume il ricorrente fenomeno dell underpricing, da sempre oggetto di numerosi studi e ricerche in ambito dottrinale. Loughran e Ritter (2003), evidenziano infatti come spesso il prezzo del titolo in sede di IPO sia inferiore al fair value riconosciuto dal mercato. Nella loro ricerca emerge come l entità dell extra rendimento iniziale connesso all underpricing del titolo cambi nel corso del tempo, in relazione alle dinamiche esogene che caratterizzano l andamento dei mercati. Nei Paesi industrializzati, dal 1990 al 1998 si è registrato un underpricing medio del 15%, che è salito a valori intorno al 65% negli anni immediatamente successivi, in corrispondenza della dot.com bubble. Secondo la maggior parte degli autori dottrinali 26, sebbene tale fenomeno potrebbe essere in certi limitati casi riconducibile ad errori di valutazione e di pricing commessi dalla società quotanda e dai suoi intermediari che ne seguono l IPO, pare opportuno considerarlo come volontariamente ricercato dalla stessa con l obbiettivo di attirare sin dal suo ingresso nel mercato l attenzione di analisti ed investitori e garantire elevati trade volumes sul titolo, riuscendo così a sottoscrivere in breve tempo per intero il capitale sociale, e a realizzare i potenziali vantaggi connessi alla quotazione. Pagano, Panetta e Zingales (1998) sottolineano come la misurazione dei costi diretti della quotazione sia relativamente semplice, mentre più complesso risulti identificare e quantificare quegli oneri che colpiscono indirettamente una listed company, la cui entità presenta 26 Vedi tra gli altri: Chemmanur e Fulghieri (1999), Pagano, Panetta e Zingales (1998), Geranio (2004), e Loughran e Ritter (2003). 25

26 un elevata variabilità da impresa a impresa. Gran parte dei costi indiretti sono collegati ai numerosi interventi che un impresa deve apportare alla propria corporate governance al fine adottare un regime di full disclousure. L introduzione della cd. cultura della trasparenza richiede una profonda riorganizzazione interna tale da facilitare la raccolta, l elaborazione e la diffusione di dati e informazioni, e permettere all impresa di adempiere ai stringenti obblighi informativi cui è sottoposta. Un altro importante costo indiretto, evidenziato da Geranio (2004) e da You (2008), che colpisce più frequentemente le small caps è riconducibile alla tendenza degli Stock Exchanges di emarginare progressivamente queste imprese di modeste dimensioni una volta terminato il periodo di IPO, per focalizzare l attenzione su quelle con una size rilevante. Ecco che queste small caps registrano con il passare del tempo un netto calo del trade volume del proprio titolo e della liquidità che lo caratterizza, procedendo così progressivamente verso il delisting. Tali imprese inoltre, spesso presentano difficoltà nell accettare il significativo cambiamento culturale che il going public impone, dimostrandosi poco propense ad esporsi al giudizio del mercato sul loro operato, oltre a non essere in grado di gestire efficacemente le numerose relazioni con i vari stakeholders, adottando politiche comunicazionali inadeguate. In altri casi, invece non realizzano un accurata pianificazione ex ante della strategia di quotazione e degli obbiettivi che con essa intendono perseguire, avendo così ben poche possibilità di rimanere quotati a lungo. Infine, sempre tra quelli che si possono considerare costi indiretti del listing, è da evidenziare come lo status di quotata comporti per l impresa una significativa diminuzione della propria autonomia e liberta d azione, oltre che una perdita di flessibilità strategica ed operativa. Ciò potrebbe rappresentare uno svantaggio rilevante soprattutto quando un impresa riscontra la necessità di attuare un programma di ristrutturazione, di risanamento o di rinnovamento, emersa per molte imprese negli anni successivi allo scoppio della crisi economico finanziaria del A conclusione di tale paragrafo, in linea con quanto rilevato da numerosi autori dottrinali, tra i quali Chaplinsky e Ramchand (2007), Geranio e Zanotti (2010), Renneboog, Simons e Wright (2007), e You (2008), occorre ribadire come sia sempre più difficile per una società quotata realizzare i benefici teorici associati al soggiorno in un mercato regolamentato. Da un lato, ciò può essere spiegato dal fatto che le grandi ondate di IPOs che hanno interessato i principali listini mondiali negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, hanno comportato un eccessiva competizione tra le imprese nell attirare in modo persistente su di sé l attenzione del mercato e nel realizzare i listing benefits, provocando una progressiva contrazione delle probabilità di sopravvivenza nel listino di ciascuna; dall altro, dai crescenti problemi strutturali ed inefficienze che hanno cominciato a caratterizzare i vari Stock Exchanges a seguito degli 26

27 eventi macroeconomici negativi manifestatisi in questi primi anni del XXI secolo, compromettendo uno svolgimento efficace delle loro funzioni principali, e la loro capacità di creare le condizioni ottimali per un soggiorno profittevole e duraturo delle imprese ospitate. Parallelamente all emergere di quanto appena evidenziato, si è registrato un significativo inasprimento dei costi che l accesso e il soggiorno in un mercato borsistico richiedono, a seguito dell introduzione nei principali mercati regolamentati di standard di quotazione e di obblighi in tema di disclousure considerati eccessivamente stringenti e rigorosi. Si è assistito quindi ad un sostanziale peggioramento del trade off costi benefici connessi allo status di public company, costituendo da una parte i presupposti per numerosi delisting, e dall altra scoraggiando nuove IPOs. 1.3 EARNINGS MANAGEMENT E DELISTING Oggetto di grande attenzione in ambito dottrinale negli ultimi tempi, l earnings management rappresenta un interessante elemento di discussione, anche in virtù dei legami che sembra presentare con il fenomeno in trattazione. Una sua precisa definizione è stata elaborata da Healy e Wahlen (1999), nel cui studio realizzano un ampia literature review sul tema. Essi affermano che Earnings management occurs when managers use judgment in financial reporting and in structuring transactions to alter financial reports to either mislead some stakeholders about the underlying economic performance of the company or to influence contractual outcomes that depend on reported accounting numbers 27. In altre parole, l earnings management consiste in una pratica attraverso cui i managers di una società, approfittando dell ampia discrezionalità loro concessa dai principi contabili internazionali nella redazione del bilancio e nella valutazione delle varie poste contabili in esso contenute, possono realizzare una manipolazione più o meno aggressiva degli utili, con l obbiettivo di influenzare le scelte e i comportamenti degli stakeholders dell impresa, e provocare determinate reazioni nel mercato regolamentato. E bene rimarcare come un tale fenomeno sia considerato illegale nella pressoché totalità degli ordinamenti giuridici internazionali, i quali hanno progressivamente ridotto gli spazi per la sua realizzazione al fine di garantire una maggiore trasparenza dei mercati regolamentati 28. L earnings management assume particolare rilevanza soprattutto con riferimento alle società quotate in un certo mercato borsistico, considerato che le informazioni e i dati sulle performance economico finanziarie di una 27 Healy e Wahlen (1999, p. 368). 28 Negli USA si è agito in tale direzione con l introduzione della SOX nel 2003, da una parte imponendo alle listed companies più rigorosi obblighi informativi e l adozione di un regime di full disclousure, e dall altra prevedendo pesanti sanzioni in capo al management e alla società stessa in caso di riscontrata falsificazione dei dati di bilancio. 27

28 listed company vengono comunicate al mercato e si riflettono sull andamento del titolo. Gli utili di una società, rappresentando uno dei suoi fundamentals, hanno una particolare valenza informativa, poiché trasmettono al mercato un importante informazione circa le performance dell impresa, producendo così significativi effetti sul prezzo del titolo. Come sottolineato da Healy e Wahlen (1999), l asimmetria informativa tra i managers e i vari stakeholders dell impresa presenti nel mercato, ovvero tra insiders e outsiders, è da considerarsi un presupposto fondamentale per l esistenza di tale fenomeno. In uno dei più significativi contributi presenti in dottrina nell ambito dell earnings management, focalizzato sull analisi dei legami che sembrano emergere tra l aggressività con cui si realizza l earnings management in sede di IPO e il rischio di delisting gravante sull impresa, Li e Zhou (2006) evidenziano come un gran numero di imprese quotatesi negli USA tra il 1980 e il 1999, ha deciso di gonfiare gli utili in sede di IPO per presentarsi al mercato con un prezzo di collocamento del titolo allettante, con l obbiettivo di attirare sin da subito l attenzione di analisti e investitori, e massimizzare il trade volume sul titolo. Dall indagine condotta dai due autori, risulta esserci una relazione diretta tra l intensità con cui gli utili della società vengono manipolati al momento del suo ingresso nel mercato e le prospettive di delisting che la stessa presenta nel breve periodo. Gran parte delle società che sono state delistate dai tre principali mercati regolamentati USA tra il 1980 e il 1999, esibivano nei bilanci pubblicati in sede di IPO dei dati che con il passare del tempo si sono dimostrati assai discordanti da quelli reali. Li e Zhou (2006) sottolineano come la tendenza a distorcere i reali dati economico finanziari di bilancio assuma rilevanza soprattutto nei periodi di hot market, ovvero di andamento positivo dei prezzi azionari di mercato, in corrispondenza dei quali avviene solitamente un gran numero di IPO, e dove perciò c è una maggior competizione tra le società quotande nell attirare su di sé l attenzione di analisti e investitori. L earnings management particolarmente diffuso in sede di IPO è motivato dal fatto che tanto più elevato è il prezzo di collocamento iniziale, tanto più consistenti saranno le probabilità che le azioni emesse dalla società quotanda vengano sottoscritte per intero in breve tempo, attirando anche investitori prestigiosi come Fondi di Private Equity e di Venture Capital, e Banche d Investimento. Come evidenziato da Fama e French (2004), uno dei fattori critici per una quotazione duratura e di successo sembra infatti essere il prezzo di collocamento iniziale. Presentarsi al mercato con delle buone performance economico finanziarie evidenziate da un elevato prezzo di IPO, oltre che con dei sottoscrittori prestigiosi, fornisce i presupposti per un soggiorno profittevole nel listino, favorendo la realizzazione dei benefici teorici associati alla quotazione e minimizzando il rischio di un eventuale delisting nel breve termine. 28

29 L earnings management può inoltre ricorrere anche successivamente alla fase di IPO. I managers di una società quotata possono incautamente avvalersi delle diverse tecniche di manipolazione degli utili, quali l attribuzione impropria di ricavi, la sopravvalutazione di rimanenze attive e la sottovalutazione di elementi passivi ogni qual volta desiderano aggiustare le voci di bilancio, facendole coincidere con determinati valori target prefissati o più semplicemente richiesti per poter essere apprezzati dal mercato. Nonostante quanto sopra evidenziato, l aggressivo gonfiamento degli utili, oltre che essere illegale, è aspramente criticato in ambito dottrinale, tra i tanti da Li e Zhou (2006), Healy e Wahlen (1999) e da Leuz, Nanda, e Wysocki (2003). Tali autori rimarcano come l earnings management non presenti soltanto potenziali benefici ma anche rilevanti costi, diretti e indiretti, e soprattutto rischi. Pare infatti che la reale situazione economico finanziaria dell impresa tenda gradualmente ad emergere, poiché l asimmetria informativa esistente in origine tra i managers e gli altri stakeholders progressivamente si annulla; perciò, ci sono elevate probabilità che il mercato prima o poi riesca a scoprire l eventuale manipolazione degli utili realizzata dall impresa. Quando ciò avviene, si determinano effetti assai negativi per la società, che potrebbe assistere ad un netto calo del prezzo del titolo e della sua liquidità, accompagnato da un incremento della volatilità; il mercato tende a punire la società per il suo comportamento scorretto e poco trasparente, spingendola gradualmente verso il dimenticatoio, senza preoccuparsi dei danni che ciò provocherà per i suoi incolpevoli shareholders. Nei casi estremi lo Stock Exchange può decidere di revocare la società dalle contrattazioni, o in ogni caso indurla ad abbandonare il mercato di propria spontanea iniziativa; il delisting genererà conseguenze ancor più disastrose per la stessa e i suoi investitori. In linea con quanto sinora emerso, Li e Zhou (2006, p. 3) affermano che IPO s associated with more aggressive earnings management are more likely to delist due to performance failure and they tend to delist sooner. Sembrerebbe che soprattutto le cd. poor quality company, ovvero le imprese che manifestano un assai discutibile stato di salute economico finanziario e fondamentali deboli, tendano ad adottare una manipolazione degli utili in sede di IPO, con l obbiettivo di mascherare le loro reali performance e risultare così più attraenti al pubblico presente nel mercato. Tuttavia, anche in questi casi l earnings management è da ritenersi una pratica assolutamente da non adottare. Healy e Wahlen (1999) sottolineano infatti come i benefici associati al gonfiamento degli utili siano solamente potenziali, in quanto di incerta realizzazione oltre che di durata temporanea, a fronte invece di costi reali richiesti dalla manipolazione contabile dei dati di bilancio e della possibile realizzazione in futuro di eventi assai dannosi, come il delisting e soprattutto il sorgere di azioni legali contro l impresa e il suo management; queste minacce sono altamente concretizzabili nel caso 29

30 emergano significative divergenze tra i reali dati economico - finanziari e quelli presentati al momento dell IPO. Dallo studio di Leuz, Nanda, e Wysocki, (2003) emerge una relazione inversa tra la reale qualità economico - finanziaria di un impresa e l aggressività con cui essa ha implementato l earnings management. Tanto più un impresa esibisce un discutibile stato di salute economico - finanziario, tante più probabilità ci sono che essa abbia adottato in passato un aggressivo earnings management, presentando in conseguenza a ciò un elevato rischio delisting nel breve termine. Li e Zhou (2006) tracciano una sorta di profilo delle imprese che più frequentemente tendono ad adottare un aggressivo earnings management in sede di IPO, e che quindi mostrano sin da subito significative probabilità di abbandono del listino. Solitamente si tratta di imprese scarsamente performanti, di size ridotta, con modesti fondamentali evidenziati da contenuti valori di assets, fatturato e utile, di età relativamente giovane, e poco conosciute. Quelle appena elencate sono da considerarsi infatti caratteristiche non propriamente idonee ad una società che ambisce ad un soggiorno profittevole e duraturo nel mercato regolamentato, e che quindi potrebbero spiegare, ma non giustificare, la manipolazione degli utili al momento dell IPO. Healy e Wahlen (1999) evidenziano inoltre, come le grandi imprese siano meno incentivate ad adottare comportamenti di earnings management, poiché, da una parte la maggior size, spesso associata ad un elevato livello di notorietà, permettono già di per sé di attirare l attenzione di analisti e investitori e perciò di garantire un sufficiente trade volume sul titolo, e dall altra perché i costi e i rischi che dovrebbero sopportare in seguito alla manipolazione degli utili sono nettamente superiori rispetto alle imprese di minor dimensione e market capitalization, anche in virtù dei continui controlli e verifiche a cui vengono sottoposte dagli Organi di Borsa, e degli stringenti obblighi in tema di disclousure cui devono adempiere. Considerato quanto emerso nel suddetto paragrafo, si può concludere affermando come durante il processo di redazione del bilancio i managers di un impresa debbano utilizzare in modo ragionevole l elevata discrezionalità loro concessa nella valutazione delle diverse poste contabili, evitando di incorrere nel fenomeno dell earnings management; risulta infatti inopportuno oltre che illegale alterare la reale situazione economico finanziaria in cui versa l impresa, considerando che, come in precedenza evidenziato, essa tende gradualmente ad emergere e, qualora risultasse molto distante da quella comunicata al mercato, potrebbe implicare conseguenze assai negative per la società, come il sorgere di azioni legali contro il suo operato e l inesorabile declino del prezzo del titolo. Gli Stock Exchanges tendono a punire eventuali comportamenti poco trasparenti, spingendo sempre più la società nel dimenticatoio con gravi conseguenze sulle sue performance, sino addirittura ad escluderla coattivamente 30

31 dalle contrattazioni o inducendola al delisting volontario, e nei casi più gravi determinandone il default. 1.4 DAL DELISTING AL GOING DARK Un fenomeno assai diffuso negli ultimi tempi, e complementare a quello del delisting, è il cd. going dark, ovvero il processo attraverso il quale un impresa che, in seguito ad una decisione volontaria, o per imposizione dello Stock Exchange, abbandona un mercato regolamentato, e inizia a negoziare le proprie azioni in un Over the counter market (OTC) 29. Anche se spesso si tende a considerare sinonimi i due termini, l orientamento dottrinale prevalente 30 rimarca come questa tendenza sia assolutamente ingiustificata: delisting e going dark sono due fenomeni distinti, caratterizzati da differenti connotati e fisionomie; tuttavia, è opportuno evidenziare come essi presentino un legame significativo tra loro, essendo da ritenere la realizzazione dell uno una condizione necessaria per il verificarsi dell altro. Il going dark è infatti considerato uno step successivo al delisting, poiché si realizza soltanto quando la società delistata e successivamente approdata ad un OTC market, espleta il suo processo di deregistration dalla normativa disciplinante lo status di listed company, non dovendo più sottostare ai stringenti obblighi da questa imposti. Il going dark è un fenomeno particolarmente ricorrente soprattutto negli USA, dove ci sono mercati OTC più maturi ed efficienti. A partire dalla fine degli anni Novanta, in seguito alla grande ondata di delisting che ha investito i tre principali mercati regolamentati statunitensi 31, un numero sempre più significativo di imprese quotate in essi, una volta abbandonato per una qualche ragione il listino, ha deciso di accedere ai mercati OTC, continuando così a negoziare le proprie azioni tra un pubblico rilevante. Negli USA ci sono due 32 principali mercati OTC: a) l Over the Counter Bulletin Board, meglio conosciuto come OTCBB, che è gestito e regolato dalla National Association of Securities Dealers, e prevede una relativamente flessibile regolamentazione in tema di disclousure al pubblico e degli standard di quotazione che, seppur meno rigorosi rispetto a quelli richiesti 29 Un mercato OTC è un mercato generalmente molto deregolamentato, in cui c è connessione diretta tra domanda ed offerta, senza l intermediazione dello Stock Exchange. Risultato di ciò è la riduzione dei costi di transazione, ma anche l assenza della garanzia che il Mercato acquisti i titoli oggetto di negoziazione nel caso in cui una delle controparti faccia default. Il prezzo viene determinato sulla base della legge della domanda e dell offerta. 30 Tra i tanti vedi: Macey, O Hara e Pompilio (2008), Leuz, Triantis e Wang (2008) e Bollen e Christie (2009). 31 AMEX, NYSE, NASDAQ. 32 Da segnalare che anche il NASDAQ presenta un apposita sezione dedicata al trading di titoli unlisted, che non devono seguire i rigidi requisiti previsti per i titoli delle società quotate nel listino regolamentato. 31

32 per soggiornare in un mercato regolamentato, sono da considerarsi comunque un peso non indifferente per la società che decide di accedere alle contrattazioni in questo mercato. b) Il Pink Sheets market, o mercato dei fogli rosa, un mercato OTC altamente deregolamentato e permissivo. Considerato che gran parte delle imprese che decidono di intraprendere un processo di going dark scelgono di entrare in questo secondo mercato, pare opportuno concentrarsi sull analisi delle caratteristiche, delle dinamiche e degli andamenti che esso presenta, tralasciando l OTCBB. Il Pink Sheets è stato di rado oggetto di studi e di ricerche, anche in virtù delle scarse informazioni che si avevano a disposizione su di esso. Tuttavia, la grande espansione che ha registrato negli ultimi tempi ha spinto un numero crescente di autori ad indagare sulle dinamiche che lo caratterizzano. Alcuni contributi particolarmente interessanti che analizzano i processi di going dark aventi come mercato di destinazione il Pink Sheets market, soffermandosi sulle sue caratteristiche intrinseche e sul grande sviluppo che ha avuto negli ultimi tempi, sono quelli forniti da Bollen e Christie (2009), e da Leuz, Triantis e Wang (2008). Bollen e Christie (2009) evidenziano come il mercato dei fogli rosa si sia originato nel lontano 1904, insieme ad un altro mercato con le medesime peculiarità ma destinato alla contrattazione dei bond, il cd. Yellow Sheets, anch esso tutt ora operativo. Il suo nome deriva dal fatto che in passato le negoziazioni avvenivano tramite dei fogli di carta rosa. Dal 1999, il Pink Sheets è diventato un sistema di quotazione e negoziazione elettronico, e ciò, congiuntamente alla creazione di uno specifico web site interattivo, ha permesso a questo mercato OTC di incrementare notevolmente la propria visibilità, favorendone la grande crescita degli ultimi tempi. Come rimarcato da Leuz, Triantis e Wang (2008), tale sviluppo pare essere giustificato anche dal fatto che il soggiorno in un mercato borsistico è diventato sempre più difficile ed oneroso, specie dopo l introduzione del Serbaney Oxley Act del 2003, che ha portato ad un inasprimento dei requisiti minimi richiesti per la quotazione, oltre che ad un incremento dei relativi costi, comportando così un gran numero di delistings volontari e non dai mercati regolamentati USA. Ecco che negli ultimi anni sempre più imprese statunitensi e non, non essendo in grado di accedere ad un mercato regolamentato o in seguito al delisting da esso, hanno optato per l ingresso nel mercato dei fogli rosa, che presenta non pochi vantaggi rispetto agli Stock Exchange. Bollen e Christie (2009) e Leuz, Triantis e Wang (2008) sottolineano come le società che vogliono accedere al Pink Sheets market non debbano seguire la complessa procedura di IPO richiesta per la quotazione in un mercato regolamentato, e pagare le ingenti fees per la quotazione e la negoziazione delle proprie 32

33 azioni, oltre che appunto a non essere costrette a sottostare a particolarmente rigidi standard di quotazione, a stringenti obblighi di natura informativa, e alle continue verifiche e controlli da parte degli Organi di Borsa. Questo mercato OTC si presenta infatti come altamente deregolamentato, destrutturato e permissivo, prevedendo un insieme ristretto e unitario di norme in capo alle società ospitate. Inoltre, si propone come un mercato eterogeneo, in quanto le imprese soggiornanti in esso presentano caratteristiche molto differenti tra loro. Il Pink Sheets market accoglie imprese di piccola, media e grande dimensione, quotate o meno in mercati regolamentati, di diversa nazionalità, cultura ed età, operanti in differenti settori, con livelli di performance economico - finanziarie assai divergenti. Bollen e Christie (2009) evidenziano come in questo mercato convivano imprese aventi un prezzo del titolo superiore ai 10 $, con imprese il cui titolo ha un valore addirittura intorno a 0,0001 $. Per quanto riguarda i titoli che vengono negoziati nel Pink Sheets market, gli stessi autori 33 propongono una loro suddivisione in quattro categorie: 1. Titoli economicamente stressati, ovvero relativi a società prossime al dissesto economico finanziario, e che generalmente in passato erano quotate in mercati regolamentati. 2. Titoli scarsamente performanti, chiamati più comunemente penny stock, e riferiti alle cd. poor quality company, cioè a quelle società con performance assai discutibili, che non potrebbero accedere ad un mercato borsistico non riuscendo a rispettare i requisiti minimi previsti, e che presentano un prezzo di mercato del titolo costantemente al di sotto della soglia di 1 $. 3. Titoli di società con una ridotta quota di flottante 34, ovvero altamente controllate dagli azionisti di maggioranza. Questi titoli sono caratterizzati da ridotte e sporadiche contrattazioni. 4. Titoli che presentano elevati prezzi di mercato, significativi trade volumes, buona liquidità, e relativamente bassa volatilità. Rappresentano quindi opportunità d investimento meno rischiose per gli investitori rispetto ai precedenti. Solitamente riguardano grandi imprese, domestiche e non, operanti a livello globale e quotate in uno o più mercati regolamentati, ma che scelgono tuttavia di negoziare le proprie azioni anche in questo mercato OTC. Tuttavia, questa categoria risulta essere marginale, poiché più del 50% dei titoli negoziati nel Pink Sheets sono caratterizzati 33 Bollen e Christie (2009, p. 1328). 34 Il termine flottante indica la quantità di azioni, emesse da un'azienda quotata, che gli investitori possono liberamente negoziare nel mercato. Queste azioni non fanno parte della partecipazione di controllo della società, perché sono le azioni che l'azienda cede ai possibili investitori esterni. 33

34 da modesti prezzi di mercato, ridotti volumi di contrattazione, notevoli bid ask spread, ed elevata volatilità. Come rimarcato da Leuz, Triantis e Wang (2008), il mercato dei fogli rosa presenta un elevata volatilità dei prezzi azionari, che hanno un valore medio nettamente inferiore a quello dei titoli quotati in un mercato regolamentato, accompagnata da dei contenuti trade volumes, e da dei bid ask spreads decisamente superiori a quelli di uno Stock Exchange. L elevata volatilità dei prezzi di mercato è in gran parte riconducibile ai continui pump e dump 35 informativi che caratterizzano questo mercato OTC, provocati dalla forte tendenza degli attori operanti in esso di adottare comportamenti opportunistici, approfittando dell ampia libertà d azione che è loro concessa, e manipolando le informazioni circolanti tra il pubblico al fine di ricavarne un qualche beneficio personale. In tal modo, sovente si manifestano dei veri e propri shock informativi che generano un continuo alternarsi di variazioni positive e negative dei prezzi azionari, spiegando così l elevato livello di incertezza che avvolge questo mercato. Gli investitori disponendo di scarse, incomplete e spesso inattendibili informazioni e dati sulle imprese presenti nel Pink Sheets market, devono quindi prestare molta attenzione nello loro scelte d investimento, consapevoli dell esistenza dei frequenti sopra menzionati comportamenti opportunistici, che potrebbero recare loro ingenti danni economici. Considerato quando sinora emerso, si può pertanto sostenere che gli investimenti in questo mercato presentano un elevato livello di rischio, offrendo elevate prospettive di guadagno ma altresì significative perdite potenziali. Macey, O Hara e Pompilio (2008) hanno invece cercato di analizzare gli effetti provocati dalla decisione di going dark sull impresa e i suoi shareholders, considerando un significativo campione di imprese delistate dal NYSE nel Dalla ricerca emerge come il delisting dal mercato regolamentato e la successiva decisione di approdare nel Pink Sheets market, generalmente comportino rilevanti costi per la società e i suoi azionisti, evidenziati da una netta riduzione del valore del titolo, accompagnata da un notevole aumento del bid ask spread e della sua volatilità. Non ci sono invece sufficienti evidenze per poter affermare significative riduzioni del trade volume. Dai risultati dell indagine, si evince che in media il prezzo del titolo assiste ad un declino di circa il 50% del suo valore, lo spread percentuale triplichi, e la volatilità raddoppi. I volumi di negoziazione sul titolo tendono invece a mantenere livelli accettabili. Per Bollen e Christie (2009) uno dei fattori che sembra maggiormente incidere sull entità delle perdite connesse al going dark, è la dimensione dell impresa: generalmente, imprese di grandi dimensioni registrano minori riduzioni del prezzo del titolo, e più contenuti incrementi 35 Leuz, Triantis e Wang (2008, p. 195). 34

35 del bid ask spread e della volatilità. Si potrebbe quindi sostenere l esistenza di una relazione inversa tra i costi del going dark e la size di un impresa. Un interessante aspetto da chiarire riguarda le dinamiche con cui avviene la significativa riduzione del valore del titolo, verificando in tal modo se essa sia da collegare al delisting dal mercato regolamento oppure al successivo ingresso nel Pink Sheets market. Per ottenere una risposta attendibile a tale questione, Macey, O Hara e Pompilio (2008) hanno considerato opportuno analizzare l andamento che caratterizza il prezzo del titolo in seguito all annuncio al mercato del delisting della società, nel caso di uscita volontaria dalle contrattazioni, o all emergere palese del mancato rispetto degli standard di quotazione, precursore di un probabile delisting involontario. A tal proposito, si registra come gran parte delle imprese del campione considerato, subisca circa il 70% del declino totale del prezzo del titolo conseguente al going dark, negli ultimi giorni di quotazione che precedono l abbandono delle contrattazioni, e non nel periodo successivo alla cancellazione. Pertanto, si può affermare come sia il delisting, non tanto inteso come revoca ufficiale dalla contrattazioni ma piuttosto come consapevolezza del mercato di una probabile prossima uscita dell impresa, e non il successivo accesso al Pink Sheets Market, a giocare un ruolo determinante nella riduzione del valore del titolo, e perciò a comportare significative perdite per la società e i suoi shareholders. D altra parte invece, sembra che al secondo evento siano maggiormente riconducibili gli incrementi del bid ask spread e della volatilità. 1.5 FOREIGN LISTING E FOREIGN DELISTING Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da grandi ondate di foreign listings, ovvero di IPOs realizzate da imprese in mercati differenti dal loro listino domestico, con l obbiettivo di espandere la propria presenza a livello internazionale e dare uno slancio importante al proprio processo di crescita. Con l avvento del XXI secolo, complici la manifestazione dei più volte citati eventi macro economici sfavorevoli, e del progressivo deterioramento del trade off tra i costi e i benefici della quotazione, un numero considerevole di queste imprese ha abbandonato le contrattazioni dai mercati regolamentati stranieri ove si era precedentemente quotato, in certi casi di propria spontanea iniziativa e in altri su decisione dello Stock Exchange. Da qui la decisione di analizzare brevemente il fenomeno del cross-listing, identificando i benefici potenziali con esso perseguibili, la cui mancata realizzazione, parziale o totale, può costituire i presupposti per la manifestazione del fenomeno, per certi versi opposti, del foreign delisting, con l obbiettivo ultimo di valutare gli effetti provocati da un tale evento sul prezzo, la liquidità e il rischio caratterizzante il titolo nel mercato domestico. 35

36 Si parla di cross-listing o foreign listing quando una società decide di quotare le proprie azioni, e perciò rendere negoziabile il suo equity, in uno o più mercati regolamentati stranieri, in aggiunta o in alternativa al mercato borsistico domestico. You (2008), in uno dei più significativi contributi dottrinali in grado di realizzare un analisi trasversale dei fenomeni di foreign listing e foreign delisting in una dimensione internazionale, dal 1964 al 2008, evidenzia come solitamente un impresa che decide di accedere ad un listino estero, presenta una precedente esperienza di quotazione nel mercato regolamentato del Paese di provenienza, e quindi considera il cross-listing come un importante step per espletare il suo graduale processo di crescita ed espansione. Uno dei principali mercati target delle strategie di foreign listing implementate dalle imprese, risulta essere quello statunitense. Da sempre i mercati regolamentati USA presentano un elevato livello di competitività ed efficienza, e di conseguenza sono ritenuti molto attraenti non solo dalle imprese nazionali, ma anche da quelle straniere, le quali considerano l ingresso in questi Stock Exchanges prestigiosi come l ultimo decisivo passo da compiere per dare un definitivo slancio al proprio processo di crescita ed espansione. A sostegno di quanto appena asserito, emergono le evidenze riportate dalla ricerca di Chaplinsky e Ramchand (2007), che analizza tutti i foreign listings e i foreign delistings manifestatesi nei tre principali mercati regolamentati USA dal 1961 al Nel periodo considerato si sono registrati ben 1330 listings e 728 delistings da parte di imprese estere, numeri che risaltano la grande dinamicità che da sempre caratterizza i listini statunitensi. Delle complessive 728 revoche dalle negoziazioni, 463 si sono concretizzate nel NASDAQ, e 265 nel NYSE e nell AMEX. Il maggior numero di delistings concretizzatesi dal NASDAQ pare essere giustificato dal fatto che da sempre questo listino accoglie un maggior numero di foreign companies, presentando standard di quotazione relativamente meno stringenti rispetto agli altri due mercati, soprattutto in tema di size e market capitalization, spesso punti di debolezza per le imprese provenienti dal Vecchio Continente. Quindi, a fronte di un maggior numero di foreign listings il NASDAQ tende ragionevolmente a presentare anche un numero superiore di foreign delistings. You (2008) evidenzia come il fenomeno del cross-listing abbia conosciuto una significativa espansione a livello internazionale a partire dalla fine degli anni Ottanta, contribuendo alla progressiva integrazione dei mercati regolamentati mondiali. Dal suo studio, emerge come ben il 76 % dei cross-listings che hanno interessato i vari listini dal 1964 al 2008 si sia manifestato dopo il 1990, ovvero a partire dagli anni in cui sempre più imprese cominciarono ad assumere consapevolezza degli importanti vantaggi realizzabili con il going public, e quindi a maggior ragione con il cross-listing. Si registra come circa il 70% dei foreign 36

37 listings verificatesi a seguito del 1990 si concentri nel decennio Nel periodo , emerge come la maggior parte delle imprese che hanno deciso di quotarsi in un listino diverso da quello nazionale, ben il 44% del totale dei foreign listings, risulti essere proveniente dagli USA, e abbia scelto come mercato di destinazione l Europa, e in particolare il mercato regolamentato tedesco che, insieme a quello statunitense, mostra di essere così il principale target market per i foreign listings. Il fatto che gli USA siano il principale mercato di destinazione per le imprese provenienti da Europa e Sud Est asiatico è confermato anche dalle ricerche di Karolyi (2006), Sarkissian e Schill (2004), e di Pfister e VonWyss (2010), i quali ribadiscono anche come le imprese statunitensi siano coloro che più spesso tendono ad attuare una strategia di cross-listing, e come gran parte di esse decida di quotare le proprie azioni nel mercato regolamentato tedesco. Ciò spiega il perché questo mercato, seppur meno attrattivo e competitivo rispetto a quello USA, presenti un valore superiore in termini di numero di imprese straniere ospitate; secondo Daugherty e Georgieva (2011), tale evidenza può essere inoltre spiegate dal fatto che, a seguito dell introduzione della SOX nel 2003, nei principali listini d oltreoceano sono stati introdotti requisiti minimi e obblighi in tema di disclousure particolarmente stringenti, che impediscono a molte imprese estere, soprattutto europee, che desiderano realizzare un foreign listing, di entrare in questi mercati azionari molto selettivi, costringendole così a ripiegare sullo Stock Exchange tedesco, che rappresenta il mercato regolamentato più sviluppato del Vecchio Continente, e che per ragioni di prossimità culturale, storica, normativa e geografica favorisce loro i presupposti per una quotazione vantaggiosa. You (2008) mette a confronto inoltre, le dinamiche assunte nel tempo dai foreign listings con quelle dei domestic listings, ovvero delle IPOs effettuate dalle imprese nei relativi mercati nazionali. Tra il 1964 e il 2008, si sono registrati complessivamente listings realizzatesi nei vari mercati regolamentati mondiali, dei quali circa il 70% ha riguardato quotazioni di imprese nel proprio mercato domestico, mentre il restante 30% sono stati foreign listings. USA e Canada risultano essere gli Stock Exchanges che raccolgono il maggior numero di imprese nazionali, con ben il 40% dei domestic listings totali avvenuto in questi due mercati. Dalla ricerca considerata emerge come in media la durata dei domestic listings sia nettamente superiore a quella dei foreign listings. In altre parole, tendenzialmente un impresa che decide di quotarsi nel listino nazionale presenta più elevate probabilità di sopravvivenza a medio - lungo termine rispetto ad un impresa che approda in un mercato estero: la durata media di quotazione è di circa 9 anni per i domestic listings e di 5 anni per i foreign listings. Queste evidenze sembrano essere supportate da quanto rimarcato nei contributi di Daugherty e Georgieva (2011) e di Sarkissian e Schill (2004), nei quali si 37

38 sottolinea come risulti essere molto più difficile realizzare i benefici teorici associati al going public in un mercato estero rispetto ad un mercato domestico; solitamente i mercati di destinazione del cross-listing sono mercati altamente competitivi e selettivi, lontani non solo geograficamente dal mercato di provenienza dell impresa, ma anche dal punto di vista culturale e normativo, dove l impresa fatica ad attirare l attenzione di analisti ed investitori, e a garantire elevati trade volume al proprio titolo; in aggiunta a ciò, emerge come spesso le imprese che optano per il cross-listing sono quotate anche nel proprio mercato nazionale, e hanno quindi già goduto di tali benefici, rendendo così difficile una loro ulteriore realizzazione o amplificazione. Al fine di analizzare le caratteristiche delle imprese che generalmente tendono ad adottare una strategia di cross-listing, di particolare utilità risulta essere il contributo di Chaplinsky e Ramchand (2007) nel quale, indagando sui connotati delle imprese straniere quotatesi in uno dei tre principali mercati statunitensi dal 1961 al 2004, emerge una rilevante eterogeneità tra di esse, che rende impossibile tracciare un profilo ideale tipico di un impresa che effettua un foreign listing. Innanzitutto, si evidenzia una differenza sostanziale tra le imprese provenienti dal Vecchio Continente e quelli originarie dei Paesi emergenti del Sud Est asiatico, che rappresentano i due principali luoghi di provenienza dei cross listings diretti nei mercati statunitensi. Le prime spesso sono seasoned firms, ovvero imprese che presentano una struttura economico finanziaria consolidata, con precedenti esperienze di quotazione nel mercato domestico e/o di foreign listings in altri listini europei, e ridotte opportunità di crescita, che considerano l ingresso nel mercato statunitense come un ultimo step necessario per rafforzare la loro già rilevante presenza a livello globale. Le seconde invece, sono imprese molto giovani, spesso in fase di start up, che mirano a realizzare interamente il proprio processo di crescita ed espansione in un mercato competitivo e prestigioso come quello statunitense. Esse sono caratterizzate da enormi margini di sviluppo, e attirano sin dal loro ingresso l attenzione di analisti e investitori, presentando così ottime probabilità di un soggiorno profittevole e duraturo nel mercato. Solitamente per queste imprese, a differenza di quelle europee, la decisione di rendere il proprio equity negoziabile nel mercato USA non è preceduta da quella di quotarsi nel listino domestico o in quello di Paesi confinanti, spesso caratterizzati da inefficienze e problemi strutturali. Oltre a questa prima grande differenza, Chaplinsky e Ramchand (2007) rilevano altre numerose divergenze tra le imprese estere quotate nei principali listini statunitensi, riscontrabili in termini di dimensione, cultura, storia, settore d attività, performance economico finanziarie, e driving forces alla base della decisione di realizzare un foreign listing. You (2008), sempre indagando sui connotati delle imprese che hanno adottato, nel periodo , la decisione di quotarsi in un mercato 38

39 differente da quello domestico, evidenzia come il fenomeno del cross-listing abbia riguardato soprattutto le imprese operanti nell industria mineraria, seguite da quelle attive nei settori ad elevato tasso tecnologico, come software e computer. Ritornando alle fisionomie generali che ha presentato nel tempo il fenomeno del cross-listing, You, Parhizgari e Srivastava (2012) sottolineano come nel primo decennio del XXI secolo si sia manifestata una grande crescita ed espansione dei mercati azionari emergenti, come Cina, Honk Kong, India e Singapore i quali, nonostante presentino problemi strutturali ed inefficienze non di poco conto, sono stati toccati soltanto in modo marginale dalla crisi economico - finanziaria globale, e offrendo importanti opportunità di crescita per le imprese e di profitto per gli investitori, attirano sempre di più l attenzione delle società che intendono realizzare un foreign listing. Contrariamente a ciò, si registra un netto calo dei cross-listings aventi come destinazione i mercati europei e quelli nord americani, che hanno subito gravi perdite in termini di efficienza e competitività a seguito della crisi economico - finanziaria scoppiata nel 2007, riducendo così la loro attrattività. Il fenomeno del cross-listing ha invece conosciuto una limitata diffusione nei mercati regolamentati Sud americani, da sempre caratterizzati da elevati livelli di sottosviluppo, e da una ridotta tutela degli investitori e delle imprese, risultando così poco allettanti non solo per le società estere ma anche per quelle nazionali, che tendono a migrare in massa verso gli Stock Exchanges Nord americani; quanto appena evidenziato spiega le ragioni per cui i mercati regolamentati Sud americani sono quelli che presentano i più bassi livelli sia di domestic che di foreign listings. Le motivazioni che spingono un impresa a quotarsi in un mercato borsistico estero coincidono in gran parte con le ragioni per le quali normalmente essa decide di going public, rendendo il proprio equity negoziabile nel mercato regolamentato domestico. In altre parole, considerato quanto evidenziato da You (2008), ovvero che un impresa che opta per un foreign listing è solitamente già quotata nel proprio listino nazionale, si può assumere che tale decisione è in parte guidata dalla volontà di rafforzare e amplificare gli effetti favorevoli associati al going public, e quindi di godere in maggior misura dei benefici già parzialmente realizzati con la precedente scelta di quotarsi nel mercato domestico. Coerentemente con quanto appena asserito, Karolyi (1998) e Roosenboom e Van Dijk (2009), evidenziano le seguenti motivazioni alla base del foreign listing di una società: - Ampliare la quantità di risorse finanziarie a disposizione per realizzare il proprio processo di crescita ed espansione. - Differenziare le fonti di finanziamento utilizzate, e perciò ridurre il rischio gravante sull impresa e i suoi shareholders. 39

40 - Realizzare una potenziale riduzione del WACC, ovvero del costo medio di raccolta del capitale. - Equilibrare la capital structure, facendo un maggiore utilizzo del capitale di rischio, e riducendo i finanziamenti concessi a titolo di capitale di credito. - Incrementare il potere negoziale verso i fornitori del capitale di credito, come conseguenza del più agevole accesso al capitale proprio. - Godere di rilevanti benefici in termini di immagine e di reputazione, con implicazioni favorevoli sia nell ambito finanziario che in quello commerciale. - Miglioramento della corporate governance e della qualità intrinseca percepita dagli stakeholders, soprattutto nel caso di approdo in mercati azionari altamente efficienti e competitivi, caratterizzati da normative stringenti e rigorose. - Maggiori possibilità che il prezzo del mercato del titolo sia prossimo al reale valore dell impresa, ovvero che almeno uno dei listini ove l impresa è quotata svolga efficacemente la sua funzione informativa, compensando l eventuale inefficienza in tale senso dell altro/i mercato/i in cui le azioni dell impresa vengono negoziate. - Aumento di prestigio e di visibilità anche per il management e per lo staff dell impresa, con impatti postivi sul profilo motivazionale. - Riduzione del rischio per gli shareholders esistenti, che inoltre hanno la possibilità di monetizzare facilmente parte più o meno consistente della propria partecipazione sociale, ottenendo significativi capital gains. - Potenziali benefici fiscali. Tale effetto rileva particolarmente per le imprese europee, che nei relativi mercati regolamentati nazionali non godono in misura importante di questi vantaggi, e che quindi accedendo in mercati come quelli nord americani, ove allo status di public company sono di norma associati significativi benefici in tale direzione, potrebbero finalmente godere di un trattamento fiscale privilegiato. Come appurato in precedenza per il listing nel mercato domestico, anche il cross-listing implica, a fronte di numerosi potenziali benefici, rilevanti costi da non sottovalutare, che tendono a presentare un elevata variabilità da impresa a impresa, soprattutto quelli indiretti. Innanzitutto, emergono gli ingenti costi diretti da sostenere in sede di IPO per espletare il procedimento di ammissione al listino, le notevoli commissioni di quotazione e di trading da corrispondere periodicamente allo Stock Exchange, e i costi di consulenza legale e finanziaria di cui l impresa necessita durante il soggiorno nel mercato. In aggiunta a ciò, sussistono importanti costi indiretti, che come rimarcato da Pfister e VonWyss (2010) e Röell (1996) sono quelli che pesano maggiormente sull impresa a seguito di un foreign listing, e più in generale ogni qual volta essa decide di rendere il proprio equity negoziabile in un certo 40

41 mercato regolamentato. Tali costi sono in gran parte riconducibili a tutti quegli oneri necessari a conformarsi alla normativa prevista dal mercato ospitante, soprattutto relativamente ai requisiti minimi di quotazione e agli obblighi in tema di disclousure; emergono pertanto in corrispondenza della sopravvenuta necessità di adottare efficaci politiche di comunicazione, di predisporre bilanci infrannuali, e più in generale di introdurre la cd. cultura della trasparenza. Questi costi rilevano soprattutto per le imprese estere, in gran parte europee e Sud Est asiatiche, che decidono di approdare in uno dei principali mercati regolamentati statunitensi, caratterizzati da stringenti e rigorose norme di quotazione. Ecco che, soltanto coloro che tra queste esibiscono un buon stato di salute economico finanziario, con delle discrete dimensioni in termini di assets ed equity, e una corporate governance già improntata verso un regime di full disclousure, possono ambire all ammissione in tali mercati, presentando delle prospettive di quotazione favorevoli. Se come affermato da Geranio (2004), a seguito della quotazione nel mercato azionario domestico si assiste ad una netta contrazione della flessibilità gestionale e strategica dell impresa, approdare ad un ulteriore listino oltre a quello nazionale ovviamente amplifica gli effetti negativi in tal senso. Pertanto, pare risultare inopportuno realizzare un cross-listing quando l impresa riscontra la necessità o l opportunità di attuare un piano di ristrutturazione e/o di rinnovamento, la cui implementazione richiede una certa libertà d azione. Pfister e VonWyss (2010) considerano infine come un ulteriore svantaggio presentato dal foreign listing, tutte le implicazioni negative tipicamente connesse all eventuale concretizzarsi di un azione legale contro l impresa in un mercato straniero. Come osservato per il listing nel mercato domestico, l entità dei costi e degli svantaggi connessi al cross-listing, sono indirettamente proporzionali alla dimensione dell impresa, in termini di assets ed equity, e al livello di esperienza acquisita con la quotazione in altri mercati azionari. Appare quindi ragionevole per una società, prima di assumere una decisione di cross listing, analizzare accuratamente le caratteristiche legali, economico finanziarie, politiche e culturali del mercato regolamentato in cui si intende approdare, e più in generale del Paese di riferimento, verificandone la compatibilità con la struttura attuale dell impresa, oltre che realizzare una ponderata valutazione del trade off tra i benefici e i costi offerti dal foreign listing. Alla significativa diffusione del fenomeno del cross-listing concentratasi tra la fine degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, hanno fatto seguito negli anni Duemila grandi ondate di foreign delistings dai principali mercati borsistici mondiali; un numero considerevole di imprese che in precedenza aveva scelto di quotarsi in uno o più mercati regolamentati stranieri, dopo alcuni anni li ha abbandonati, in alcuni casi volontariamente, in altri su 41

42 decisione dello Stock Exchange, concentrando così il proprio business sul solo mercato azionario domestico. Dai contribuiti di Karolyi (2006), You (2008), You, Parhizgari e Srivastava (2012) e Chaplinsky e Ramchand (2007), sembra emergere come le ragioni alla base di questi numerosi foreign delistings, che hanno comportato un sostanziale peggioramento dei differenziali IPO delisting nella pressoché totalità dei mercati regolamentati mondiali, in corrispondenza anche del netto calo registrato dai foreign listings, possano essere riconducibili principalmente a tre fattori: - Introduzione nei primi anni Duemila, nei principali mercati azionari, di normative sul listing più stringenti e rigorose, che hanno comportato un innalzamento dei requisiti minimi di quotazione e degli obblighi in tema di disclosure, generando un considerevole inasprimento dei costi, diretti e indiretti, da sostenere per soggiornare in un mercato borsistico. - I numerosi foreign listings avvenuti negli anni Novanta, hanno determinato un eccessiva competizione tra le società quotate nei vari listini nell attirare su di sé l attenzione di analisti e investitori, condizione necessaria al fine di garantire elevati trade volumes sul titolo e massimizzare i listing benefits. I mercati, dal canto loro, non si sono dimostrati in grado di accogliere una tale quantità di nuove IPOs, e quindi di supportare efficacemente le società durante il periodo di soggiorno nel listino. Ciò ha provocato una progressiva riduzione delle probabilità di sopravvivenza di ciascuna impresa, incrementandone il rischio di incorrere in un delisting nel breve termine. - A seguito degli eventi macroeconomici negativi verificatesi nel primo decennio del XXI secolo, si è assistito ad una progressiva perdita di efficienza e di competitività dei principali mercati regolamentati mondiali, sempre più incapaci di svolgere le loro funzioni fondamentali, e di supportare le imprese durante il periodo di quotazione, compromettendone la capacità di realizzare i benefici teorici associati al going public, presupposto fondamentale per sopravvivere nel listino. Pertanto, a fronte di costi reali sempre più ingenti, si deve registrare una crescente difficoltà nel godere dei vantaggi potenzialmente collegati allo status di listed company; si è dunque verificato un sostanziale peggioramento del trade off tra i costi e i benefici del cross listing, e più in generale del going public. Ciò, non solo ha costituito i presupposti per numerosi foreign delistings, ma ha anche scoraggiato nuove IPOs, provocando un netto ridimensionamento a livello globale del fenomeno del cross- listing. Indagando sulle modalità con cui si sono realizzati questi numerosi foreign delistings, You (2008), evidenzia come i circa foreign delistings verificatesi a livello globale tra il 1964 e il 2008, si siano realizzati per approssimativamente il 45% a seguito di una decisione 42

43 di revoca imposta direttamente dallo Stock Exchange, per circa il 40% attraverso operazioni di M&A, e per il residuo 15% su richiesta esplicita della società. Rispetto ai domestic delistings realizzati dalle imprese dal proprio mercato nazionale, soprattutto in ambito europeo, emerge una forte frequenza di delistings involontari. Tale evidenza pare essere giustificata dal fatto che gran parte dei foreign delistings si sono verificati dal mercato statunitense, che costituisce anche il principale mercato di destinazione per i foreign listings; tale mercato presenta standard di quotazione e obblighi di trasparenza assai rigorosi e stringenti, che spesso le società non riescono a rispettare, venendo così costrette dallo Stock Exchange ad abbandonare le negoziazioni. Sempre dalla ricerca di You (2008), emerge come la maggior parte dei foreign delistings abbia riguardato imprese statunitensi, e ciò pare essere naturale considerato che da sempre risultano essere le più propense a realizzare le strategie di cross-listing. Nello specifico, circa il 40% delle operazioni di delisting da un mercato regolamentato estero è stato realizzato da società USA. Pertanto anche i mercati europei, e in particolare quello tedesco, il principale target market per le imprese USA, sono stati caratterizzati da numerosi foreign delistings, che hanno tuttavia più frequentemente assunto i connotati di revoche volontarie dalle contrattazioni. Il mercato tedesco e quello statunitense, seppur con dinamiche assai differenti, risultano essere i due mercati borsistici che sono stati maggiormente interessati dal fenomeno del foreign delisting; ciò pare essere ragionevole, considerato che nel tempo si sono dimostrati gli Stock Exchanges che più di ogni altro mercato azionario hanno avuto la capacità di attirare le società straniere. Rispetto al foreign listing, il fenomeno del foreign delisting ha ricevuto minor attenzione da parte degli autori dottrinali, poiché diffusosi significativamente soltanto a partire dalla fine degli anni Novanta. Ecco che, per analizzare le conseguenze generate dall eventuale decisione di una società di delistarsi da un qualche mercato estero ove era quotata, risulta utile considerare come punto di partenza i benefici e gli effetti positivi associati al cross listing precedentemente evidenziati. In altre parole, in linea con quanto asserito da Liu, Stowe e Hung (2012) e Pfister e VonWyss (2010), si potrebbe teoricamente assumere che il foreign delisting provoca la perdita dei benefici potenzialmente associati alla quotazione in un mercato regolamentato straniero, i quali avevano funto da motivazione dominante alla precedente decisione dell impresa di realizzare il foreign listing. Quindi, a seguito dell abbandono delle contrattazioni da uno o più mercati stranieri ove era quotata, la società tende a registrare un inferiore disponibilità di capitale di rischio, una minor opportunità di differenziazione delle fonti di capitale utilizzate che, accompagnata alla concentrazione del business sul solo mercato domestico, potrebbe comportare un notevole incremento del rischio 43

44 gravante su di essa e sui propri shareholders. Inoltre, l uscita da un mercato azionario estero, specie se esso è considerato particolarmente competitivo e prestigioso, potrebbe causare gravi danni in termini di immagine e reputazione per l impresa e i suoi manager, generando ripercussioni negative in ambito finanziario e commerciale per la prima, e sull aspetto motivazionale dei secondi. Coerentemente con quanto sostenuto da You, Parhizgari e Srivastava (2012) pare opportuno sottolineare che le imprese che più hanno beneficiato dal soggiorno nel listino estero, sono quelle che realizzerebbero maggiori perdite con un eventuale delisting da tale mercato, e che quindi devono fare il possibile per scongiurare il verificarsi di questo evento. You (2008), You, Parhizgari e Srivastava (2012) e Liu, Stowe e Hung (2012), evidenziano come a fronte di tutti questi svantaggi non di poco rilievo, il foreign delisting potrebbe tuttavia presentare anche dei risvolti positivi: innanzitutto, si potrebbe acquisire la flessibilità strategica e gestionale necessaria per implementare dei programmi di ristrutturazione e/o rinnovamento; non dovendo più sottostare ai numerosi vincoli ed obblighi imposti ad un impresa quotata in più mercati regolamentati, si avrebbe maggior autonomia e liberta d azione nel realizzare i propri obbiettivi, oltre a non doversi più preoccupare prima di prendere una qualsiasi decisione o adottare un qualunque comportamento, degli effetti che ciò provocherebbe nel mercato, e del giudizio della comunità finanziaria. Inoltre, abbandonando il foreign market l impresa non deve più sostenere i numerosi costi, diretti e indiretti, che il soggiorno in esso implicava, con conseguente miglioramento della sua situazione economico - finanziaria. Particolare attenzione bisogna porre nella valutazione degli effetti generati da foreign listing e foreign delisting su prezzo, liquidità e rischio del titolo nel mercato domestico. Da numerosi lavori focalizzati sul cross-listing e i suoi effetti 36, emerge innanzitutto come, a seguito del foreign listing, l entreprise value (EV) dell impresa tenda generalmente ad incrementare in misura considerevole, e quindi pare logico aspettarsi che un eventuale successivo abbandono del mercato estero generi forti ripercussioni negative in tal senso. Dal lavoro di Karolyi (2006) sembra tuttavia emergere che, l EV di una società propende ad aumentare in modo permanente una volta che essa decide di attuare un cross-listing, e che un futuro potenziale delisting dal mercato estero ove era quotata non comporti alcun annullamento di tale effetto positivo precedentemente acquisito. Ciò nonostante, l orientamento dottrinale dominante, condiviso tra gli altri da Pfister e VonWyss (2010), You (2008) e You, Parhizgari e Srivastava (2012), evidenzia come a seguito del foreign delisting si 36 Vedi tra gli altri: Miller (1999), King e Mitoo (2007), Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002), Roosenboom e Van Dijk (2009), Chaplinsky e Ramchand (2007). 44

45 registri un netto calo dell entreprise value, in alcuni casi addirittura superiore all incremento verificatosi al momento dell ingresso nel mercato straniero. Pare opportuno precisare, in linea con quanto rimarcato da Chaplinsky e Ramchand (2007), che soltanto la scelta di quotarsi in listini contraddistinti da un elevato livello di competitività e di prestigio può comportare significativi e duraturi incrementi dell entreprise value; infatti, soggiornando in tali mercati, caratterizzati da normative particolarmente rigorose, l impresa viene percepita agli occhi dei suoi stakeholders, anche di quelli presenti nel mercato domestico, come portatrice di un elevata qualità intrisenca, e ottiene così importanti benefici in termini di immagine, che si ripercuotono favorevolmente sia sul piano finanziario che su quello commerciale. Viceversa, l abbandono di questi listini prestigiosi può comportare gravi danni in termini di immagine e reputazione con svariati risvolti negativi sotto diversi punti di vista; l home market tende a penalizzare l impresa per il suo foreign delisting, gettandola progressivamente nel dimenticatoio, e dando avvio ad un inesorabile declino del prezzo del suo titolo, e della liquidità da esso offerta, spingendola così verso un ulteriore delisting. La maggior parte degli studi 37 presenti in ambito dottrinale si è focalizzata sull analisi dell andamento che il prezzo del titolo assume nel mercato domestico in seguito alla realizzazione del foreign listing della società, senza valutare, o in certi casi facendolo soltanto in via marginale e indiretta, gli effetti che potrebbero manifestarsi sulla medesima variabile conseguentemente all eventuale decisione della stessa di effettuare un foreign delisting. I risultati emersi dalle sopra citate ricerche evidenziano come generalmente si registrino significative variazioni positive del prezzo del titolo nell home market nel periodo immediatamente precedente all ufficializzazione dell ingresso della società nel mercato straniero, e nella fase di IPO. Tuttavia, sembra che questi effetti positivi tendano nella maggior parte dei casi ad attenuarsi con il passare del tempo. Di particolare rilievo sono da considerarsi i lavori di Pfister e Von Wyss (2010), Liu (2005), Liu, Stowe e Hung (2012), Miller (1999) e You, Parhizgari e Srivastava (2012), che risultano essere tra i pochi contributi presenti dottrina che non si limitano a valutare gli effetti generati da un foreign listing sul prezzo del titolo della società nel mercato domestico, ma anche, o meglio soprattutto a realizzare un analisi approfondita delle conseguenze provocate sulla medesima variabile da un foreign delisting. In queste ricerche, partendo da una valutazione complessiva dei risultati riportati dai più numerosi studi focalizzati sugli effetti e sulle implicazioni del foreign listing, si tenta di realizzare un analisi delle dinamiche caratterizzanti il prezzo del titolo nell home market in seguito al manifestarsi del fenomeno del foreign 37 Vedi tra gli altri: King e Mitoo (2007), Karolyi (1998), Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002) e Roosenboom e Van Dijk (2009). 45

46 delisting. Liu (2005), analizzando un campione di 103 imprese provenienti da 20 differenti Paesi, involontariamente delistate dai tre principali mercati regolamentati statunitensi dal 1990 al 2003, mostra come in seguito all annuncio del probabile delisting dal mercato estero, il prezzo del titolo della società nel mercato domestico tenda mediamente a declinare del 4,5%, e nella maggior parte dei casi, tale riduzione risulta perdurare nel tempo. Pfister e Von Wyss (2010), realizzano un importante indagine su un campione totale di 255 foreign delistings verificatesi dal 1998 al 2008 in tre dei principali mercati regolamentati mondiali: Deutsche Börse, Tokyo Stock Exchange e SIX Swiss Exchange. Tali autori, al fine di analizzare gli effetti provocati dal delisting dal mercato straniero sul prezzo del titolo nel mercato di provenienza dell impresa revocata, considerano l andamento che esso assunto dal duecento ottantesimo giorno precedente all annuncio della probabile uscita dal listino al centesimo giorno successivo alla realizzazione del delisting effettivo. Dall indagine sembra emergere come generalmente gli effetti sul prezzo del titolo nell home market a seguito del delisting dal mercato estero siano poco significativi, poiché tendono a concentrarsi nei giorni immediatamente successivi all annuncio del delisting, per poi dissolversi gradualmente; ciò è spiegabile dal fatto che il mercato domestico tende a sovra reagire alla notizia del probabile imminente delisting della società, a causa dell importante signaling effect che un evento di tale tipo provoca sul prezzo del titolo. In media, si registra che il declino del prezzo del titolo avvenga in gran parte nei 20 giorni seguenti all annuncio di delisting, per poi rapidamente annullarsi entro i 100 giorni successivi alla realizzazione effettiva dello stesso. Liu, Stowe e Hung (2012), considerando tutte le imprese statunitensi delistatesi volontariamente dal Tokyo Stock Exchange dal 1982 al 2005, rilevano che mediamente al foreign delisting faccia seguito una riduzione poco significativa del prezzo del titolo nell home market, che si aggira intorno al 2% e che tende a scomparire entro 20 giorni dall annuncio del delisting. Miller (1999), indagando su un campione di 181 imprese provenienti da 35 differenti Paesi, che hanno abbandonato il NYSE dal 1985 al 1995, evidenzia come la reazione del prezzo del titolo nel mercato domestico conseguente al foreign delisting della società presenti un elevata variabilità da impresa a impresa, poiché dipende da numerosi fattori quali le motivazioni alla base dell abbandono del listino, le driving forces che avevano indotto la società a quotarsi nel mercato straniero, lo stato di salute economico finanziario attuale e prospettico della società, la porzione del suo business focalizzata sul foreign market, e le caratteristiche strutturali del mercato domestico e di quello estero. Dall analisi in questione, emerge come mediamente il prezzo del titolo nell home market registri una riduzione media di circa il 6%, che tuttavia tende ad essere anche in questo caso solamente provvisoria, e ad annullarsi nel breve termine. 46

47 Infine, You, Parhizgari e Srivastava (2012) considerando nel campione d analisi 465 società provenienti da diversi Paesi che hanno deciso di approdare in un mercato regolamentato straniero per poi dopo poco tempo abbandonarlo, nel periodo , sembrano ribadire quanto sopra evidenziato dagli altri autori considerati, ovvero che a seguito di un foreign delisting si tende ad osservare una riduzione effettiva irrilevante del prezzo del titolo nel mercato domestico. Quanto sopra emerso non sembra dunque permettere di sostenere l esistenza di una significativa relazione tra il foreign delisting e l andamento del prezzo del titolo nel mercato domestico, in quanto nella maggior parte dei casi si tratta di variazioni negative di modesta entità e di breve durata, in gran parte riconducibili al signaling effect generato dall annuncio del probabile delisting sul prezzo del titolo. Seppur in modo contenuto, il prezzo del titolo sembra essere maggiormente influenzato dall evento di foreign listing. Un altra importante variabile di mercato rilevante che necessita di essere analizzata è il livello di liquidità offerto dal titolo nell home market. Anche in questo caso, gran parte dei lavori si è focalizzata sull analisi dell andamento che la liquidità caratterizzante il titolo di una società nel mercato domestico assume a seguito della decisione della stessa di quotarsi in un mercato straniero, e non sugli effetti generati su tale variabile dall opposta decisione di realizzare un foreign delisting. Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002), King e Mitoo (2007) e You, Parhizgari e Srivastava (2012), evidenziano come generalmente a seguito della decisione di una società di realizzare un foreign listing, si registrino significativi aumenti della liquidità offerta dal titolo nell home market, generati da un effetto combinato manifestatosi sui due fattori che sono da considerarsi le determinanti chiave del livello di liquidità presentato da un titolo azionario: il trade volume e il bid ask spread. La liquidità caratterizzante un titolo presenta con il primo elemento una relazione direttamente proporzionale, mentre con il secondo un legame inverso. Infatti, successivamente all ingresso di una società in un mercato borsistico straniero, si tende ad osservare un netto incremento del volume di negoziazioni del titolo nel mercato domestico, accompagnato da una consistente riduzione del bid ask spread, ovvero del differenziale tra il prezzo più basso a cui uno shareholder dell impresa è disposto a vendere un titolo (ask) e il prezzo più alto che un compratore presente nel mercato è disposto ad offrire per quel titolo (bid). Dai contributi sopra menzionati, sembra quindi emergere l esistenza di una relazione significativa tra il cross-listing e la liquidità del titolo nel mercato domestico, poiché gli effetti positivi generati su tale variabile da un foreign listing, a differenza di quelli emersi sul prezzo, sembrano perdurare nel tempo, e non gradualmente dissolversi una volta terminata la fase di IPO. In disaccordo con questo orientamento dottrinale dominante, Levine e Schmukler (2006) tendono a sminuire i risvolti positivi sulla 47

48 liquidità del titolo nel mercato domestico associati al fenomeno del cross-listing, rimarcando come a seguito della decisione della società di accedere ad un mercato straniero, si assista ad un semplice trasferimento di trade volume, e quindi di liquidità, dal mercato domestico al mercato estero ove l impresa si è quotata; in altre parole, nel foreign market si registra un incremento del volume delle negoziazioni sul titolo con conseguenti effetti positivi in termini di liquidità offerta all impresa e ai suoi shareholders, mentre nell home market si verifica una variazione di analoga entità ma di segno opposto sulle medesime variabili. Anche in questo ambito, molto contenuta è la quantità dei contributi che hanno come focus d indagine principale gli effetti provocati sulla liquidità del titolo nell home market dal delisting della società dal mercato estero ove era quotata. I lavori di Pfister e Von Wyss (2010), Liu (2005), Chandy, Sarkar e Triphaty (2004) e You, Parhizgari e Srivastava (2012) risultano essere tra i più significativi in tale direzione. I seguenti autori evidenziano l esistenza di una relazione negativa tra il livello di liquidità offerto dal titolo nell home market e la decisione della società di realizzare un foreign delisting. A seguito dell uscita dal mercato estero sembrano registrarsi infatti significative variazioni negative dello stato di liquidità caratterizzante il titolo nel mercato domestico, segnalate da un calo del trade volume e da un incremento del bid ask spread. Un ultimo interessante elemento di discussione consiste nel valutare gli effetti generati da foreign listing e foreign delisting sul livello di rischio gravante sull impresa e i suoi shareholders. Poiché, a seguito della decisione di una società di quotarsi in un listino straniero e quindi di raccogliere ulteriore capitale proprio, si verifica una diversificazione del suo business con conseguente riduzione del grado di esposizione al rischio per l impresa e i suoi azionisti, sembrerebbe logico ritenere che l inversa operazione di delistare il titolo dal mercato estero ove essa era quotata, focalizzando interamente il proprio business sul mercato domestico, comporti un incremento del rischio affrontato. Tuttavia, Pfister e Von Wyss (2010), You, Parhizgari e Srivastava (2012) e Lowengrub e Melvin (2002), evidenziano che, mentre a seguito della decisione di cross-listing si registrano solitamente importanti riduzioni del beta di mercato e del livello di volatilità che caratterizza il titolo nel mercato domestico, l eventuale delisting dal mercato estero non produce significativi effetti su tali variabili. Nonostante quanto sinora emerso, risulta opportuno precisare, come sottolineato più volte da Roosenboom e Van Dijk (2009) nel loro contributo sul tema, che l entità e la durata degli effetti generati sul prezzo e la liquidità del titolo nell home market, e sul rischio gravante sull impresa e i suoi shareholders, a seguito della decisione di quotarsi in un mercato borsistico straniero, o viceversa da quella di abbandonarlo, presentano un elevato livello di variabilità da impresa a impresa, poiché sono strettamente legate a numerosi fattori, fra i 48

49 quali: stato di salute economico finanziario attuale e prospettico dell impresa, motivazioni alla base del foreign delisting e del precedente foreign listing, caratteristiche strutturali del mercato estero e del mercato domestico, situazione macroeconomica generale, solo per citarne alcuni. A conclusione del paragrafo, pare interessante evidenziare anche i fattori comuni, relativi all impresa e al mercato, alla base dei numerosi foreign delistings che dalla fine degli anni Novanta hanno interessato imprese della più svariata nazionalità e la pressoché totalità degli Stock Exchanges mondiali. A tal merito, dal contributo di You, Parhizgari e Srivastava (2012) emerge il ruolo chiave giocato dalle performance dell impresa, dalle performance del mercato straniero ove essa è quotata e dalle condizioni di trade al suo interno, nel determinare un foreign delisting. Relativamente alle performance dell impresa: low firm return, high firm risk and low firm trade volume in host market causes foreign delisting ; con riferimento alle performance del mercato straniero ospitante: low market return and low trading volume in the host market causes foreign delisting You, Parhizgari e Srivastava (2012, p. 208). 49

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51 2. DELISTING INVOLONTARIO E DELISTING VOLONTARIO: DUE DIVERSE TIPOLOGIE DI USCITA DA UN MERCATO REGOLAMENTATO I regimi legali disciplinanti il funzionamento dei mercati regolamentati più efficienti e competitivi 39, prevedono l esistenza di due diverse modalità di uscita da un mercato regolamentato: il delisting volontario e il delisting involontario. Nel primo caso, è la società stessa che richiede allo Stock Exchange, di sua spontanea iniziativa e in totale autonomia, l autorizzazione ad abbandonare il mercato. Il compulsory delisting invece si manifesta ogni qualvolta è la Borsa a deliberare per una qualche ragione la revoca del titolo dalle negoziazioni. Questa seconda tipologia di delisting è più ricorrente nei mercati anglosassoni, e in particolare in quelli statunitensi, che si contraddistinguono per una normativa assai rigorosa in tema di standard di quotazione e di obblighi vari associati allo status di listed company, rendendo particolarmente complicato e oneroso per una società soggiornare in essi. Le uscite volontarie dal mercato sono invece la fattispecie di delisting predominante nei mercati borsistici dell Europa continentale, dove le normative di quotazione risultano essere molto meno stringenti e selettive, e i mercati presentano alcuni problemi di carattere strutturale che riducono le probabilità di una quotazione profittevole per le società ospitate; accade infatti frequentemente che una società, dimostrandosi sin dal suo ingresso scarsamente performante e incapace di attirare significativi livelli di analyst coverage, sia costretta dopo poco tempo ad abbandonare le contrattazioni al fine di evitare il tracollo definitivo. Tuttavia pare opportuno ribadire che, poiché le revoche dalle contrattazioni a seguito di una richiesta esplicita della società sono abbastanza limitate, la macrocategoria dei delisting volontari risulta complessivamente prevalere su quella dei delisting involontari a causa della tendenza dottrinale dominante nel far rientrare in tale ambito anche i numerosi processi di going private, ovvero tutti quei casi in cui a determinare l uscita dal mercato sia un operazione di OPA o di Fusione. Nel seguente capitolo si realizzerà un accurato approfondimento sulle caratteristiche, sulla struttura e sulle fisionomie con cui generalmente si manifestano gli eventi di delisting involontario e di delisting volontario, analizzando le motivazioni più ricorrenti alla base della loro realizzazione e gli effetti che ne conseguono. 39 ovvero quelli riconducibili ai Paesi sviluppati. 51

52 2.1 IL DELISTING INVOLONTARIO: UN FENOMENO TIPICO DEL MERCATO USA You (2008) sostiene che ci si trova dinanzi ad un delisting involontario o compulsory delisting ogni qualvolta lo Stock Exchange decide di propria spontanea iniziativa di revocare definitivamente un titolo dalle negoziazioni. In questi casi, la volontà della società non viene considerata in alcun modo, e il provvedimento assunto dalla Borsa, o meglio dall organismo preposto all organizzazione e alla gestione del mercato regolamentato, deve considerarsi vincolante e incontrastabile. Pertanto, ogni qual volta lo Stock Exchange dichiara ufficialmente il delisting di una società, il suo titolo viene automaticamente cancellato dal listino, e le sue azioni non possono più costituire oggetto di trading in quel mercato. L orientamento dottrinale dominante 40 sostiene che una revoca dalle contrattazioni per poter essere considerata a tutti gli effetti un caso di delisting involontario, deve sorgere come conseguenza di un provvedimento assunto, non soltanto dal punto di vista formale ma anche da quello sostanziale dallo Stock Exchange, senza che questo sia in qualche modo motivato dalla volontà più o meno esplicita della società di abbandonare le contrattazioni. Ecco la ragione per cui, in linea con quanto evidenziato da tale orientamento maggioritario, risulta inadeguato far rientrare in tale ambito i delisting che avvengono a seguito di OPA o di Fusioni, ovvero quelle situazioni in cui seppur il provvedimento di revoca è formalmente assunto dallo Stock Exchange, sussiste la finalità più o meno dichiarata e rilevante da parte della società di abbandonare le contrattazioni, o quantomeno la sua piena consapevolezza che il concretizzarsi di una tale operazione comporterebbe automaticamente il delisting del titolo, venendo meno alcuni dei requisiti minimi richiesti per la quotazione in un mercato regolamentato. Da qui la decisione di trattare i processi di going private nel prossimo paragrafo, dedicato all analisi dell ampia ed eterogenea categoria dei delisting volontari, per concentrarsi ora sulle revoche involontarie dalle contrattazioni. Dai numerosi studi presenti in dottrina sul tema, tra i quali si citano quelli di You (2008), Wolff e Long (2010) e Djama, Martinez e Serve (2012), emerge chiaramente come a seguito dell introduzione di standard di quotazione sempre più stringenti e rigorosi nei principali mercati regolamentati mondiali, e del deterioramento generale delle performance economico finanziarie delle imprese successivamente all esplosione della crisi globale nel 2007, risulta essere sempre più complicato per una società quotata rispettare i requisiti minimi, quantitativi e non, richiesti per la quotazione in un listino, e quindi conservare a lungo lo status di public company. Quanto appena evidenziato spiega la significativa diffusione che il fenomeno del 40 Tra i tanti vedi You (2008), Macey, O Hara e Pompilio (2008), Chaplinsky e Ramchand (2007), Geranio (2004), Djama, Martinez e Serve (2012), Leuz, Triantis e Wang (2008). 52

53 delisting involontario ha conosciuto a livello internazionale negli ultimi tempi, seppur soltanto nei mercati regolamentati statunitensi sia da considerarsi una delle principali cause di abbandono del listino. Questi mercati sono infatti caratterizzati da rigidi standard di quotazione e dalla stringente normativa SEC gravante sulle listed companies, che hanno la funzione di realizzare una continua e spietata selezione delle società in essi quotate. Da qui la scelta di analizzare i connotati e le fisionomie che il fenomeno tende ad assumere nel mercato regolamentato statunitense, considerando alcuni tra i più significativi contributi dottrinali improntati sull analisi dei delisting involontari d oltreoceano. Dalle ricerche di Chaplinsky e Ramchand (2007), Macey, O Hara e Pompilio (2008) e You (2008), emerge come i compulsory delistings trovino generalmente manifestazione a seguito del verificarsi di una delle seguenti condizioni: Mancato rispetto da parte della società di un qualunque standard, quantitativo o non, di quotazione; Inadempimento ad un qualche obbligo associato allo status di public company, tra i quali assumono particolare rilevanza quelli di natura informativa, il cui rispetto, dopo i numerosi scandali finanziari verificatisi nei primissimi anni Duemila, è considerato fondamentale per garantire la trasparenza del mercato e pertanto condizione assolutamente inderogabile per poter continuare a soggiornare in esso; Adozione da parte della società di comportamenti ritenuti dallo Stock Exchange scorretti o inopportuni, in quanto potenzialmente in grado di recare danno al pubblico presente nel mercato; Andamento declinante del prezzo del titolo, che riflette un progressivo deterioramento delle performance dell impresa e dei suoi fundamentals 41 successivamente alla fase di IPO; Coinvolgimento dell impresa in particolari scandali o inchieste che potrebbero minare la competitività e il prestigio del mercato; Fallimento della società, o anche il solo annuncio di un suo possibile ma non certo dissesto economico - finanziario nel breve termine; Titolo caratterizzato da un trade volume ritenuto dallo Stock Exchange troppo contenuto per poter giustificare i costi sostenuti per quotarlo; Ogni qualvolta lo Stock Exchange ritiene che non sussistano più i presupposti per il proseguo della quotazione della società. 41 I valori chiave rappresentanti l andamento economico finanziario di un impresa sono: total assets, equity, earnings, sales e total debts. 53

54 Queste appena elencate sono da considerarsi, con riferimento alla pressoché totalità dei mercati regolamentati mondiali, delle condizioni di carattere generale al verificarsi delle quali potrebbero sorgere sufficienti elementi da indurre uno Stock Exchange a deliberare la revoca del titolo dalle contrattazioni. Tuttavia da quanto evidenziato nell ultimo punto, emerge chiaramente come gli Stock Exchanges godano di una significativa discrezionalità, più o meno variabile a seconda dei casi, nell assumere una decisione di radiation. Pertanto, il manifestarsi di una delle sopra menzionate condizioni non comporta automaticamente il delisting del titolo, ma costituisce semplicemente i presupposti per un eventuale legittima decisione di revoca dello Stock Exchange. Carney (2006) e Wolff e Long (2010), analizzando le dinamiche caratterizzanti i tre principali mercati regolamentati USA successivamente all introduzione della SOX nel 2003, evidenziano il ruolo fondamentale giocato da tale provvedimento nel determinare la notevole diffusione degli eventi di delisting involontario. Con la SOX infatti, sono stati innalzati gli standard di quotazione 42 con la finalità di realizzare un continuo processo di selezione delle imprese soggiornanti in tali mercati, cercando da una parte di massimizzare il numero delle cd. high quality companies, ovvero delle imprese più performanti, e escludendo dall altra le low performing firms, in modo tale da permettere così al mercato di conservare elevati livelli di efficienza e di prestigio; l introduzione di un tale provvedimento è stata considerata necessaria poiché la significativa caduta dei prezzi azionari registratesi nei primissimi anni 2000, complice anche i numerosi scandali finanziari verificatisi in quel periodo di cold market, aveva provocato un forte crollo della fiducia degli investitori e danneggiato la competitività dei mercati. Macey, O Hara e Pompilio (2008), evidenziano come nel periodo si siano registrati approssimativamente novemila delisting dal NYSE, dal NASDAQ e dall AMEX, e come circa il 50% rientrino nella categoria delle revoche involontarie dalle contrattazioni; questi dati confermano ancora una volta quanto il delisting involontario sia un fenomeno particolarmente diffuso nel mercato USA. Un numero altamente significativo di questi compulsory delistings si è concentrato nel periodo a seguito dell esplosione della dot.com bubble e soprattutto dell introduzione della SOX. Chaplinsky e Ramchand (2007), analizzando i movimenti in entrata ed uscita dai mercati regolamentati USA da parte di imprese estere nel periodo , rimarcano come le revoche 42 In particolare sono stati innalzati gli obblighi di natura informativa in capo ad una listed company. Tali vincoli infatti non riguardano più soltanto la cd. comunicazione finanziaria relativa alla trasmissione dei bilanci e dei rendiconti infrannuali, ma mirano a indurre le varie società quotate ad introdurre un regime di full disclosure, obbligandole a garantire una piena trasparenza di tutti i vari aspetti relativi alla loro attività. Tra le varie novità apportate con la SOX, è stata resa obbligatoria l adozione di un codice etico e la comunicazione di eventuali sue violazioni, sono stati introdotti obblighi di certificazione e valutazione in capo al CFO e CEO, e più in generale si è notevolmente rafforzato il principio di corporate responsability. 54

55 involontarie dalle contrattazioni abbiano riguardato numerose imprese domestiche ma soprattutto foreign companies provenienti da altri Paesi, principalmente da quelli europei, che hanno invano tentato di realizzare un profittevole processo di crescita nel mercato statunitense. Molte di queste imprese, che spesso venivano da precedenti esperienze di quotazione nel listino nazionale e/o in quello di Paesi vicini, non sono riuscite ad implementare quel significativo processo di cambiamento culturale e organizzativo che la quotazione in un mercato altamente competitivo come quello USA richiede, mostrando dopo breve tempo dal loro ingresso di essere incapaci di adeguarsi ai rigorosi standard di quotazione. A sostegno di quanto appena evidenziato, ritornano utili i già riportati risultati contenuti nello studio di You (2008), nel quale emerge come la durata media dei domestic listings nei mercati regolamentati USA sia nettamente superiore a quella dei foreign listings. Nello specifico, mentre la durata media di quotazione è di circa 9 anni per le imprese domestiche, si riduce drasticamente ai soli 4 anni per quelle straniere. Continuando ad indagare sulle fisionomie e sui connotati che il fenomeno del delisting involontario assume nei mercati regolamentati USA, dallo studio di Macey, O Hara e Pompilio (2008) emergono alcune evidenze che permettono di tracciare una sorta di profilo ideale di quelle società che tendono a presentare un più elevato rischio di compulsory delisting: La maggior parte delle revoche involontarie dalle contrattazioni si verifica nel NYSE, ovvero nel primo mercato regolamentato mondiale per market capitalization e trade volume complessivo, caratterizzato dai più rigorosi standard di quotazione e da un estremamente accurata selezione delle imprese in esso soggiornanti. La size delle imprese che possono incorrere in un delisting involontario risulta essere la più variabile, anche se solitamente tanto più ridotta è la dimensione dell impresa, misurabile in termini di assets e equity, tante più difficoltà essa incontra nell implementare il profondo cambiamento organizzativo che il going public implica, e nell adeguarsi ai stringenti requisiti richiesti per il soggiorno nel mercato. Si potrebbe pertanto sostenere l esistenza di una relazione inversamente proporzionale tra la size dell impresa e le probabilità di un suo delisting involontario nel breve periodo. La causa più ricorrente alla base della decisione dello Stock Exchange di revocare un titolo dalle negoziazioni è il mancato rispetto del requisito del prezzo di 1$ per azione. I compulsory delistings hanno più spesso riguardato imprese caratterizzate da un progressivo peggioramento delle proprie performance, evidenziato da un declino del prezzo del titolo successivamente alla fase di IPO. In altri casi invece, emergono imprese che già al momento dell ingresso nel mercato presentavano un discutibile 55

56 stato di salute economico finanziario e ridotte probabilità di una quotazione duratura e profittevole, e che pertanto non avrebbero dovuto essere ammesse alle contrattazioni. Imprese non particolarmente note e prestigiose, caratterizzate da un ridotto volume di negoziazione del proprio titolo sembrano presentare significative probabilità di incorrere in un delisting involontario nel breve periodo. Dai contributi di Chaplinsky e Ramchand (2007), Macey, O Hara e Pompilio (2008) e You (2008) emerge inoltre come nei periodi di cold market, ovvero di prezzi di mercato al ribasso, si tenda a registrare un maggior numero di delisting involontari dai mercati regolamentati USA, poiché in queste fasi le imprese quotate presentano una maggior difficoltà nell attirare l attenzione del mercato su di sé e garantire un elevato trade volume al proprio titolo, complice la poca fiducia che vige tra gli investitori; spesso ciò comporta un deterioramento delle performance economico finanziarie delle imprese, che rende loro più complicato conformarsi stabilmente agli standard di quotazione, specialmente a quello del prezzo del titolo superiore all 1$, il cui mancato rispetto consiste nella principale causa di revoca involontaria dalle contrattazioni nel mercato statunitense. Viceversa, nei periodi di hot market le imprese solitamente sono caratterizzate da un più contenuto rischio di incorrere nel breve termine in un delisting involontario, poiché grazie al clima di ottimismo ed euforia che avvolge il mercato in queste fasi, esse sono in grado di garantire importanti trade volumes al proprio titolo e di ottimizzare così il trade off tra i costi e i benefici della quotazione. Con riferimento a quei fattori che possono ritenersi dei key successuful factors di una listing strategy, quali l elevato prezzo di IPO, la significativa size dell impresa, l effettuazione di periodici capital risings nel mercato regolamentato in cui si è approdati, la presenza nell azionariato di investitori istituzionali e prestigiosi, evidenziati da Chaplinsky e Ramchand (2007) e già rimarcati nel primo capitolo della trattazione, è opportuno sottolineare come questi svolgano un ruolo ancor più determinante nel favorire un soggiorno profittevole e duraturo nel listino per le società quotate nei mercati regolamentati USA, considerata l elevata competitività e selettività che li contraddistingue, e perciò nell allontanare il rischio di un possibile delisting involontario. Un altro elemento di rilevante discussione in ambito dottrinale su cui risulta interessante soffermarsi è la significativa relazione che pare emergere tra la corporate governance di un impresa e il rischio di delisting involontario che essa presenta nel breve periodo. Charitou, Louca e Vafeas (2007), analizzando un campione di 161 revoche involontarie manifestatesi tra il 1998 e il 2004 nel NYSE, indagano sull effettiva esistenza di una tale relazione, e più specificatamente mirano a verificare se le competenze e le caratteristiche dell organo gestorio, ovvero del Board of Directors, congiuntamente alla struttura proprietaria dell impresa, 56

57 svolgano un ruolo chiave nell influenzare la capacità della stessa di soggiornare in modo profittevole nel mercato regolamentato e di adeguarsi agli standard di quotazione richiesti. Il Board of Directors (BOD) o Consiglio di Amministrazione (CDA), composto dai principali managers dell impresa, è il detentore del potere gestorio nella maggior parte delle società quotate in un mercato regolamentato, specialmente in quelli anglosassoni, dove la fattispecie dell impresa familiare è pressoché inesistente. Si presenta pertanto al vertice del processo decisionale dell impresa, e ogni decisione o azione, sia essa di carattere strategico o operativo, deve sempre essere deliberata da tale organo, o quantomeno necessita della sua approvazione per poter esser implementata. Da quanto appena emerso, si evince come il ruolo giocato dal BOD sia fondamentale nel determinare l andamento delle performance economico finanziarie dell impresa nel mercato borsistico ove è quotata, e quindi le dinamiche caratterizzanti le tre principali variabili di mercato di un titolo quotato: prezzo, rischio e liquidità. Tanto meglio l organo gestorio di una società è strutturato tanto più sarà potenzialmente in grado di svolgere efficacemente i suoi compiti, e pertanto minori saranno le probabilità che l impresa incorra in un delisting involontario nel breve periodo. Charitou, Louca e Vafeas (2007) tracciano una sorta di profilo ideale di BOD, in corrispondenza del quale una società presenta buone probabilità di soggiornare in modo profittevole e duraturo in un mercato borsistico e quindi un ridotto rischio di incorrere in un delisting involontario nel breve termine. A tal merito si individuono quattro caratteristiche o meglio fisionomie che l organo gestorio di una società dovrebbe presentare: 1. Indipendenza: un board of director composto da amministratori esterni 43 garantisce una maggior indipendenza e ininfluenzabilità dell organo gestorio dagli altri stakeholders della società, in particolare dagli azionisti di controllo, e ciò spesso si traduce in un più efficace svolgimento delle sue funzioni con risvolti positivi sulle performance economico finanziarie dell impresa. Gli outsider managers da una parte risultano essere maggiormente incentivati a tutelare indistintamente gli interessi di tutti gli azionisti, senza privilegiare quelli di maggioranza, e dall altra poco propensi ad adottare comportamenti opportunistici finalizzati alla realizzazione di un qualche interesse personale e potenzialmente in grado di recare danno all impresa e ai suoi shareholders. Inoltre, la presenza di un BOD esterno tende a ridurre lo storico conflitto tra proprietà e controllo, esistente tra gli interessi e le priorità del manager e quelle dell azionista. 2. Size: un eccessiva numerosità del BOD potrebbe far sorgere problemi di comunicazione e di coordinamento, rallentando il processo decisionale e impedendo 43 Denominati anche Outsider Directors o External Managers. 57

58 all organo di svolgere efficacemente i suoi compiti. Emerge infatti una relazione inversa tra size del BOD, misurabile in termini di numero di directors, e performance aziendali, dalla quale deriva un ulteriore legame, questa volta di carattere positivo: quello tra la dimensione del BOD e la probabilità della società di incorrere in un delisting involontario nel breve periodo. 3. Frequenza di meeting: il livello o grado di attività del BOD, misurato dalla frequenza con il quale esso tende a riunirsi, sembra presentare una relazione negativa con il rischio di delisting gravante su una società. In altre parole, tanto minore sarà la cadenza temporale con il quale il BOD si radunerà, tanto più i managers realizzeranno un monitoraggio continuo ed accurato dell andamento dell impresa, e quindi saranno in grado di prendere tempestivamente le adeguate decisioni volte a garantirne il corretto funzionamento. Successivamente al 2007, con lo scoppio della crisi economico finanziaria globale, l elevata instabilità dei mercati azionari richiede fortemente un notevole grado di attività dei BOD delle varie imprese, in modo tale da permetter loro di adeguarsi ai continui cambiamenti esterni. Sembra essere opportuno inoltre sostenere che il BOD dovrebbe presentare una significativa frequenza di meeting soprattutto per quelle società che stanno attraversando un periodo di crisi, evidenziato da un trend negativo del prezzo del titolo e da ridotti volumi di negoziazione, al fine di evitare che la situazione precipiti a tal punto da indurre lo Stock Exchange ad escludere la società dal mercato. In queste situazioni, l organo gestorio deve dimostrare una competenza e un esperienza tale da individuare le opportune azioni da intraprendere con l obbiettivo di favorire la ripresa della società e scongiurare il pericolo di un delisting involontario. 4. Ingresso dei managers nel capitale sociale: la partecipazione al capitale sociale degli insiders, ovvero di coloro che sono direttamente coinvolti nella gestione dell impresa, i managers, deve essere considerata un importante meccanismo di allineamento di interessi, obbiettivi e comportamenti, in grado di ridurre lo storico conflitto tra proprietà e controllo, e scongiurare il verificarsi di comportamenti opportunistici da parte dei managers; essendo essi stessi shareholders, sono infatti maggiormente incentivati a tutelare gli interessi dell impresa e degli altri azionisti. Si potrebbe sostenere quindi l esistenza di una relazione positiva tra il livello di partecipazione dei managers al capitale sociale e il rischio di delisting involontario che incombe sulla società: tanto più gli amministratori di una società sono coinvolti nella sua struttura proprietaria, ovvero maggiore è l identificazione tra insiders e outsiders, tante più 58

59 possibilità ci sono che il BOD svolga efficacemente la sua attività di gestione, e che quindi l impresa sia caratterizzata da ottime performance economico finanziarie. Charitou, Louca e Vafeas (2007), evidenziano inoltre come in seguito all introduzione della SOX nel 2003 la relazione esistente tra le caratteristiche dell organo gestorio e le probabilità che la società si imbatti in una revoca involontaria dalle contrattazioni nel breve termine si sia intensificata; il NYSE infatti, successivamente ai numerosi scandali finanziari verificatisi nei primissimi anni Duemila, è diventato più sensibile ai problemi di corporate governance che possono caratterizzare le società in esso quotate. Con la SOX, lo Stock Exchange ha introdotto più rigorosi e stringenti standard di quotazione in tale direzione, il cui mancato rispetto comporta quasi automaticamente il delisting della società. Da quanto sopra evidenziato, sembrano emergere pertanto elementi sufficienti per poter sostenere che i connotati presentati dalla corporate governance di un impresa, riscontrabili dalle fisionomie assunte dal BOD e dalla struttura proprietaria, svolgano un ruolo chiave nel determinare l andamento della sua attività, e quindi nel decretare il successo o l insuccesso della quotazione nel mercato regolamentato. Sempre con riferimento al mercato USA, Macey, O Hara e Pompilio (2008) evidenziano la ricorrenza di eventi di listings e delistings involontari sequenziali ed incrociati tra i diversi mercati statunitensi regolamentati e non. Spesso si verificano situazioni in cui imprese che, non riuscendo ad adeguarsi ai rigorosi requisiti richiesti per la quotazione nel NYSE, sono costrette ad abbandonare tale mercato, accedendo successivamente a mercati regolamentati meno selettivi o addirittura a OTC markets. I sopra menzionati autori sottolineano infatti come l esistenza negli USA di una struttura di mercato multilivello altamente integrata e caratterizzata da diversi stadi di quotazione, ciascuno dei quali corrispondente ad una differente tipologia di mercato con proprie fisionomie e caratteristiche, consenta ad una società che viene revocata dal mercato ove era quotata di approdare in un altro mercato, continuando a rendere negoziabili le proprie azioni tra un pubblico rilevante, ed evitando così la privatizzazione del suo capitale sociale. I diversi stages di quotazione sono caratterizzati da una decrescente regolamentazione, ma anche da declinanti livelli di liquidità, di tutela delle imprese e degli investitori, di prestigio e di reputazione, e da un crescente livello di rischio misurato da un progressivo aumento della volatilità dei prezzi azionari. Questa multi-level structure prevede come primo livello di quotazione ove una società può decidere di rendere negoziabile il proprio equity il NYSE, ovvero il mercato borsistico più prestigioso e competitivo al mondo, caratterizzato dai più stringenti standard di quotazione. Al secondo stadio corrispondono invece il NASDAQ e l AMEX, gli altri due maggiori mercati regolamentati statunitensi per market capitalization e volume delle negoziazioni, caratterizzati 59

60 tuttavia da una normativa di quotazione lievemente più morbida rispetto al NYSE 44. Accade però sovente che un impresa non riesca a conformarsi neppure ai requisiti richiesti per il soggiorno in tali mercati azionari, e che decida quindi di negoziare le proprie azioni nell OTC Bullettin Board, il principale mercato non regolamentato statunitense; anche in questo mercato vigono però alcuni standard di quotazione che, seppur meno stringenti rispetto a quelli previsti nei mercati borsistici, costituiscono comunque un vincolo non indifferente per le imprese in esso soggiornanti. Infine, il quarto ed ultimo livello della struttura è rappresentato dal Pink Sheets market, un mercato altamente deregolamentato e permissivo 45. È bene evidenziare come un impresa possa essere quotata in due o più dei sopra menzionati mercati, anche se Macey, O Hara e Pompilio (2008) tengono tuttavia a precisare come la situazione più frequente sia quella di una quotazione in un mercato regolamentato accompagnata dal soggiorno in un OTC market. Molto rari sono invece i casi in cui una società che viene revocata dalla quotazione in un mercato regolamentato decida di privatizzare completamente il suo equity senza accedere in nessun altro mercato, neppure in uno OTC. Il delisting involontario, così come ogni altra tipologia di revoca dalle contrattazioni, è da considerarsi un evento traumatico per le imprese e i loro azionisti. Sembra infatti che oltre alle perdita dei listing benefits si tenda a registrare una netta riduzione dell Entreprise Value, evidenziata da una drastico calo del valore del titolo e da un peggioramento dello stato di liquidità che caratterizza l impresa. Inoltre, trattandosi di un uscita obbligata dal mercato, si potrebbero avere ritorsioni assai negative in termini di immagine e reputazione, con ripercussioni sia sul piano finanziario che su quello commerciale. Pertanto, pare opportuno sostenere come una società quotata debba fare il possibile per evitare di incorrere in una revoca involontaria dalle contrattazioni 46, e che d altra parte lo Stock Exchange debba valutare ponderatamente la situazione prima di assumere un tale provvedimento. Liu (2005), considerando un significativo campione di imprese domestiche e straniere revocate dai tre principali listini USA su decisione dello Stock Exchange tra il 1988 e il 2003, indaga sugli effetti provocati da un delisting involontario sulle principali variabili di mercato che rappresentano l andamento di un titolo quotato: prezzo, rischio e liquidità. A tal fine si analizzano le implicazioni generate su queste variabili nel periodo che intercorre tra 44 Come verrà approfondito nel terzo capitolo, sia i requisiti formali che quelli sostanziali richiesti per la quotazione in questi due listini risultano essere meno stringenti e selettivi rispetto a quelli imposti dal NYSE. 45 Per un approfondimento sulle caratteristiche presentate da questo OTC market e sulle dinamiche che lo hanno contraddistinto negli ultimi tempi si rimanda al Cap.1, par.4 del suddetto lavoro. 46 Quanto appena affermato ha validità a patto che la prosecuzione della quotazione non presenti per la società e i suoi azionisti delle prospettive di perdita addirittura superiori a quelle che si realizzerebbero con un delisting. In questi casi infatti, l uscita dal mercato potrebbe rappresentare una soluzione favorevole, e pertanto sarebbe da considerarsi più un evento da ricercare che un pericolo da evitare. 60

61 l annuncio al mercato dell imminente revoca dalle contrattazioni e la realizzazione effettiva del delisting del titolo, confrontando le conseguenze negative che si ripercuotono in tal senso sulle imprese straniere da quelle caratterizzanti le imprese domestiche. Innanzitutto, emerge che l annuncio del probabile delisting a breve della società produce un importante signaling effect sul mercato, generando un clima di sfiducia e pessimismo tra gli analisti e gli investitori circa le prospettive di performance future per la società, che tende a provocare un declino del prezzo di mercato del suo titolo. Liu (2005), in linea con quanto emerso dal significativo contributo di Sanger e Peterson (1990), evidenzia come nei 20 giorni successivi all announcement day una società domestica registri mediamente una riduzione dell 8,5% del prezzo del titolo, che tenderà ad accentuarsi successivamente all event day, ovvero al giorno del delisting effettivo; nel medesimo periodo una società straniera assiste invece in media ad una variazione negativa del 4,5% di tale variabile. Emerge pertanto come il fenomeno del delisting involontario incida maggiormente sul valore del titolo delle società domestiche, poiché le società estere delistate da un mercato USA conservano solitamente lo status di impresa quotata nel mercato regolamentato d origine, riuscendo così a godere ancora di un certo livello di analyst coverage, di visibilità e dei principali listing benefits. In ogni caso, sembra evidente come la caduta del valore del titolo a seguito di una revoca involontaria dalle contrattazioni comporti una netta riduzione dell Entreprise Value. Queste variazioni negative del prezzo del titolo e dell EV sono causate dalle prospettive sfavorevoli che l annuncio di un probabile delisting nel breve termine genera sul livello futuro di liquidità e di investor recognition che caratterizzerà l impresa. Con l abbandono delle contrattazioni infatti, l impresa subirà una netta contrazione del trade volume sul proprio titolo, la principale determinante della liquidità, e una significativa perdita di prestigio e di visibilità. Questo scenario prospettico tutt altro che favorevole spiega il motivo per cui a seguito dell annuncio al mercato del delisting, si registri normalmente un rilevate declino del prezzo del titolo. Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, risulta essere il ruolo giocato dalle implicazioni negative che si genereranno sul capitale reputazionale dell impresa con l uscita della società dal mercato borsistico, nel causare congiuntamente agli elementi sopra considerati, il declino del prezzo del titolo a seguito dell announcement day. Il delisting comporterà per la società significative perdite in termini di visibilità e di prestigio, a maggior ragione se si tratta di una revoca involontaria, con importanti ripercussioni negative sul piano finanziario e su quello commerciale; si registrerà infatti non soltanto una riduzione del potere contrattuale verso le Banche e gli altri erogatori di capitale di credito, e quindi un più elevato costo dell indebitamento, ma anche di quello nei confronti di clienti e fornitori nel definire le 61

62 condizioni di incasso e pagamento, che potrebbe causare problemi di liquidità per l impresa. In aggiunta a tutto ciò, c è da evidenziare come generalmente una società non quotata risulti essere meno attrattiva rispetto ad una listed company, e questo potrebbe tradursi in maggiori difficoltà per la stessa non solo nell attirare a sé nuovi clienti, ma anche a trattenere quelli già presenti in portafoglio. Liu (2005) rimarca inoltre che tanto più la domanda del titolo della società è elastica, e quindi più elevato è il grado di dipendenza che la lega al prezzo, maggiormente significativi saranno gli effetti prodotti sul prezzo del titolo e sul trade volume dall annuncio al mercato del delisting. Eisdorfer (2008), sottolinea come generalmente tra l announcement day e il giorno di realizzazione ufficiale del delisting della società, tenda a registrarsi un andamento anomalo e altalenante del prezzo del suo titolo, che pare spiegare la tendenza diffusa tra gli investitori nel realizzare rilevanti operazioni di speculazione su questi titoli ad elevato rischio revoca, acquistandoli nel momento in cui sono caratterizzati da un improvvisa caduta del prezzo per rivenderli qualche istante più tardi, non appena si verifichi una significativa variazione positiva del prezzo tale da permettere il conseguimento di un importante guadagno. Queste operazioni di investimento sono da considerarsi altamente rischiose, poiché se da una parte presentano prospettive di profitto assai allettanti, dall altra potrebbero risolversi in ingenti perdite. 2.2 IL DELISTING VOLONTARIO E LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE A fianco alla categoria dei delisting involontari, che comprende quei casi in cui la revoca dalle contrattazioni è disposta direttamente dallo Stock Exchange, emerge l ampia ed eterogenea famiglia dei delisting volontari, all interno della quale sono racchiuse tutte quelle operazioni di delisting motivate dalla volontà, più o meno esplicita, della società di abbandonare il mercato borsistico ove è quotata. A differenza del compulsory delisting, che ricorre con frequenza soltanto nei mercati regolamentati statunitensi, il fenomeno del delisting volontario presenta un elevata diffusione a livello globale. Tralasciando i limitati casi in cui la revoca del titolo dalle negoziazioni è richiesta esplicitamente dalla società, i quali verranno trattati nel capitolo successivo nell ambito dell analisi giuridica sul tema, pare interessante soffermarsi ora sulle cd. operazioni di going private o public to private che, come sostenuto dall orientamento dottrinale dominante 47, sono da considerarsi a tutti gli effetti fattispecie di uscita volontaria dal listino, poiché celano la finalità più o meno rilevante della società di 47 Tra i tanti vedi: Geranio e Zanotti (2010), Martinez e Serve (2011), Chaplinsky e Ramchand (2007), Renneboog, Simons e Wright (2007), Renneboog e Simons (2005) e You (2008). 62

63 procedere al delisting, e in ogni caso la piena consapevolezza del suo management e dei suoi shareholders che la realizzazione di una tale operazione comporterà automaticamente per la società la perdita dello status di listed company, venendo meno alcuni dei requisiti minimi richiesti per il soggiorno in un mercato azionario. Anche se c è una tendenza diffusa nel considerare i termini going private e public to private come sinonimi di delisting, Renneboog e Simons (2005, p. 2) tengono a precisare come essi siano opportuni da utilizzare soltanto nel considerare determinate situazioni di revoca volontaria dalle contrattazioni, evidenziando che when a listed company is acquired and subsequently delisted, the transaction is referred to as a public to private or a going private transaction ; Palm (2004, p. 1) sostiene invece che a going private transaction is a transaction or series of transactions which has the effect of transforming a public company into a private company and thereby eliminating the public shareholders. Da questa seconda definizione emergono due step fondamentali che caratterizzano una tale operazione: il considerevole cambiamento che interviene nella struttura proprietaria e nella corporate governance della società, e la conseguente uscita dal mercato regolamentato, che implica la privatizzazione del capitale sociale. Le operazioni di going private sono sostanzialmente riconducibili alle Offerte Pubbliche di Acquisto (OPA), e alle Mergers and Acquisitions (M&A), seppur all interno di queste due macro categorie emerge un elevata varietà di operazioni, ciascuna della quali contraddistinta da una propria denominazione, da una propria struttura, e da dei connotati peculiari. Dallo studio di Renneboog e Simons (2005), improntato su un analisi generale dei patterns assunti nel tempo dal fenomeno del going private a livello internazionale, emerge come le operazioni di public to private, dopo un iniziale diffusione negli anni Ottanta, dapprima nei mercati anglosassoni e successivamente anche in quelli dell Europa continentale, abbiano conosciuto un periodo di stallo nella prima metà degli anni Novanta, per poi subire una nuova graduale espansione a partire dalla fine del XX secolo, che le ha portate a diventare una delle principali cause e al contempo modalità di uscita da un mercato regolamentato, certamente la più ricorrente in ambito europeo. A sostegno di quanto appena detto, la Figura 2 riporta la situazione per il mercato azionario italiano, le cui dinamiche, con le dovute precisazioni, possono essere considerate per rappresentare l evoluzione che ha caratterizzato il fenomeno del going private negli altri mercati borsistici dell Europa continentale. 63

64 FIGURA 2: MOTIVAZIONI ALLA BASE DEL DELISTING DAL LISTINO DI PIAZZA AFFARI, NEL PERIODO (Giugno) Figura frutto di un elaborazione personale dei dati raccolti da /bitapp/statsearch.bit? target=statistic&family=group. La Figura 2 evidenzia come nel periodo considerato, le motivazioni alla base dei delisting incorsi nel mercato borsistico italiano siano state le più svariate. Tuttavia, emerge chiaramente come le OPA e le Fusioni per incorporazione prevalgano nettamente su tutte le altre fattispecie di uscita dal mercato: dal 1999 al 2012, delle complessive 198 revoche dalle contrattazioni registrate dal listino di Piazza Affari, ben 94 sono avvenute in seguito ad OPA, e 65 come conseguenza di M&A. Questi dati sembrano fornire elementi importanti per evidenziare la grande diffusione che le operazioni di going private hanno subito a livello globale a partire dalla fine degli anni Novanta, misurabile sia in termini di numero che di valore. Renneboog e Simons (2005) individuono nel 1997 l anno a cui ricondurre l inizio di questa nuova ondata di public to private, e in linea con quanto emerso da altri numerosi contributi dottrinali 48 sul tema, identificano i seguenti due fattori di carattere generale alla base della propagazione di tali operazioni, che coincidono in gran parte con le driving forces in grado di spiegare l espansione registrata negli stessi anni dal fenomeno del delisting: 1 L introduzione di normative più chiare e flessibili disciplinanti i vari aspetti delle operazioni in esame, ha permesso di facilitarne la realizzazione. Da un lato ciò ha attenuato le discussioni in ambito politico e dottrinale circa la loro legalità, e dall altro ha permesso di superare le remore da parte delle società europee nell affrontare un 48 Vedi: Renneboog, Simons e Wright (2007), Martinez e Serve (2011), Palm (2004), Geranio e Zanotti (2010), Croci e Del Giudice (2010). 64

65 going private, causate dalla loro arretratezza culturale e dall avversione verso tutti quegli eventi generatori di significativi cambiamenti organizzativi. 2 La manifestazione di eventi macroeconomici negativi nel primo decennio del XXI secolo, ha generato una crisi congiunturale dei mercati azionari, e gravi ritorsioni sulla situazione economica - finanziaria di molte società in essi quotate. I mercati regolamentati presentano sempre più inefficienze e problemi strutturali, che impediscono loro di svolgere efficacemente le funzioni fondamentali di uno Stock Exchange e di creare le condizioni ottimali per permettere alle società ospitate una quotazione duratura e profittevole; ciò, congiuntamente all introduzione di standard di quotazione più rigorosi ha comportato un sostanziale peggioramento del trade off tra i costi e i benefici associati al going public, costituendo i presupposti per numerosi going privates. La Figura 3, illustrante i dati contenuti nello studio di Geranio e Zanotti (2010), fornisce una visione delle dinamiche, in termini di numero e valore, che hanno caratterizzato le operazioni di going private nei principali mercati mondiali dal 1984 al 2009: emerge chiaramente, in linea con quanto sinora evidenziato che, mentre il mercato USA, e in secondo piano quello britannico sono stati ampiamente interessati da tali eventi già negli anni Ottanta, questi hanno conosciuto una crescente diffusione nei mercati dell Europa continentale soltanto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. FIGURA 3: LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE NEI PRINCIPALI MERCATI MONDIALI La figura qui sopra riportata è tratta dallo studio di Geranio e Zanotti (2010, p. 872). Nel contributo di Renneboog e Simons (2005), viene realizzata un accurata analisi delle più importanti motivazioni che sostano dietro alle sempre più ricorrenti decisioni delle società quotate di realizzare un going private: Beneficiare di Tax advantages : l uscita dal mercato regolamentato comporta per la società più ridotte opportunità e minor convenienza nel raccogliere il capitale di rischio; pertanto, una private company è maggiormente incentivata a finanziare la 65

66 propria attività facendo ricorso alla leva finanziaria. Il più elevato utilizzo del debito permette alla società di realizzare importanti vantaggi fiscali, in virtù del fatto che a differenza dei dividendi gli interessi sono fiscalmente deducibili. Realizzare un incentive realignment : a seguito dell operazione di going private si realizza generalmente una concentrazione della proprietà dell impresa, assistendo alla riunificazione tra proprietà e controllo. Ciò comporta una forte attenuazione dello storico conflitto tra managers e shareholders, che in ambito europeo, considerata l elevata dipendenza che solitamente esiste tra l azionariato di controllo e il management di una società, tende spesso a tradursi in un significativo conflitto tra azionisti di maggioranza e di minoranza. Il public to private permette un maggior allineamento tra gli interessi, gli obbiettivi e i comportamenti adottati dai principali attori organizzativi, favorendo così l introduzione di un clima positivo all interno della società, e facilitando la realizzazione degli obbiettivi che essa si è prefissata. Inoltre, a seguito di una tale operazione, gli azionisti dispongono in maggior quantità delle informazioni riservate relative all attività d impresa, essendo così in grado di esercitare un più stretto controllo sul suo andamento; si tende quindi ad assistere ad una riduzione dei cd. costi di agenzia, grazie all eliminazione dell asimmetria informativa tra principale ed agente, tra insider e outsider. Questi costi sono sostanzialmente distinguibili in tre differenti categorie: monitoring costs, bonding costs e residual losses 49. Considerato quanto sopra detto, si può dunque sostenere come con il going private una società miri a rifocalizzare la propria attività sulla finalità fondante di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale, ovvero sulla creazione di valore per gli shareholders. Godere di transactions costs savings, ovvero di importanti riduzioni dei costi di transazione, i quali si distinguono in search and information costs, bargaining costs and policing and enforcement costs. I primi riguardano tutti quei costi che una società deve sostenere nella ricerca e valutazione degli input da reperire, dei clienti e dei fornitori con cui relazionarsi, dei partners con cui collaborare, e più in generale ogni qualvolta deve interfacciarsi con il mercato per soddisfare un qualche bisogno. La 49 Presupposto fondamentale per l esistenza dei costi di agenzia è l asimmetria informativa tra principale ed agente, ovvero tra azionista e manager. I monitoring costs sono i costi sostenuti dal principale per controllare l operato dell agente; i bonding costs riferiscono a quegli oneri sostenuti dall agente per rassicurare il principale sul rispetto di quanto pattuito nel contratto e sull adozione di comportamenti leali, corretti e non opportunistici; infine, le residual losses misurano la perdita di entreprise value che il principale deve sopportare a causa delle delega data all agente, e sono rappresentate dalla differenza tra il valore creato per l impresa e i suoi shareholders dal comportamento effettivamente adottato dal manager e quello che avrebbe dovuto essere generato se quest ultimo avesse tenuto un comportamento perfettamente conforme a quanto stipulato nel contratto di agenzia. Per un approfondimento si veda Jensen e Meckling (1976). 66

67 seconda categoria di costi di transazione comprende tutti quegli oneri che una società deve sostenere durante la negoziazione con l altra parte contrattuale per arrivare a concludere un accordo. Infine, ci sono i costi per la realizzazione del contratto e della transazione da esso prevista. Non dover più sopportare i diversi costi, diretti ed indiretti, richiesti dalla quotazione in un mercato regolamentato, tra i quali spiccano soprattutto le commissioni da corrispondere allo Stock Exchange per la permanenza nel mercato e il trading delle proprie azioni, e quelli sostenuti per rispettare i vari standard e obblighi di quotazione; quest ultimi hanno subito un notevole incremento a seguito dell introduzione nei primi anni Duemila di listing rules particolarmente rigorose nei principali listini mondiali. Takeover defenses. Il going private può essere considerato anche una strategia implementata dal management di una società con l obbiettivo di difenderla da possibili takeovers. Spesso accade che i managers di una società, preoccupati dalle pressioni del mercato e dall intensa minaccia di possibili tentativi di acquisizione, più o meno ostili, da parte di soggetti esterni, decidano di privatizzare il capitale sociale conducendo la società al di fuori dal mercato regolamentato attraverso un operazione di Management Buyout (MBO), solitamente supportati finanziariamente da un Fondo di Private Equity. Corporate undervaluation. A seguito dello scoppio della crisi economico finanziaria nel 2007, i mercati regolamentati presentano rilevanti problemi strutturali ed inefficienze. Può accadere così che il mercato borsistico ove la società è quotata non riesca a riconoscere ed esprimere il reale valore dell impresa, riflettendo un prezzo di mercato discordante dalla sua effettiva situazione economico finanziaria. In altri casi, ciò può essere dovuto al fatto che il management attuale della società non ha la competenza, l esperienza o l interesse necessari per impiegare in modo ottimale gli assets dell impresa, non riuscendo così a far emergere tutto il suo potenziale valore. Questo fenomeno, conosciuto a livello internazionale come share underperformance, riguarda più frequentemente le società di ridotta dimensione e market capitalization, e emerge in presenza di uno stabile disinteresse del mercato per il titolo della società. Pertanto, un operazione di going private, producendo significativi impatti sulla corporate governance di una società e l abbandono del listino, può risolvere l eventuale problema di undervaluation che la affligge. Corporate restruction. Lo status di listed company impedisce alla società di avere quel livello di flessibilità strategica ed operativa, e più in generale quella libertà d azione, necessari per poter realizzare efficacemente eventuali programmi di 67

68 ristrutturazione organizzativa. Negli ultimi tempi, a causa degli eventi macroeconomici sfavorevoli verificatisi nel primo decennio del XXI secolo, molte imprese, manifestando l esigenza di una profonda opera di restruction, rinnovamento e/o risanamento, si sono dimostrate altamente propense al going private, evento che fornisce loro le condizioni ottimali per implementare quanto prestabilito e reagire così alla crisi economico finanziaria. Permettere alla società e ai suoi shareholders di avere l effettiva disponibilità dei flussi di cassa prodotti, evitando che essi siano impiegati in progetti a VAN negativo. Tale motivazione alla base della decisione di una società di privatizzare il proprio capitale è ricorrente soprattutto negli USA, dove le società che generalmente realizzano un going private presentano un business maturo e consolidato con elevati cash flow. Non compatibilità tra la politica dei dividendi che si intende implementare e lo status di società quotata. Per esempio, una politica di trattenimento degli utili volta a garantire l autofinanziamento dell impresa in un periodo di crescita può essere valutata negativamente dal mercato e provocare un declino del prezzo del titolo; in questi casi, il going private pare quindi essere la soluzione più indicata. Ridurre i waste, ovvero gli sprechi di diversa natura che sussistono nelle varie unità organizzative, e costituire perciò una higher-value added allocation of resources. Il going private sembra infine essere un evento altamente consigliato per tutte quelle società quotate che sono caratterizzate da una ridotta analyst coverage, e il cui titolo presenta un limitato trade volume, un prezzo declinante, e problemi di liquidità. Queste driving forces della decisione di una società di procedere ad un going private, solitamente si presentano in modo combinato, anche se con un diverso ordine di importanza da impresa ad impresa. Geranio (2004) sottolinea che dal soggetto che promuove il going private, e quindi dalla struttura dell operazione di OPA, si possono desumere le motivazioni alla base della stessa. Innanzitutto, l operazione di public to private può essere intrapresa da un gruppo di investitori esterni non facenti parte dell azionariato attuale, e solitamente di carattere istituzionale come i Fondi di Private Equity, che mirano ad acquisire il controllo della società attraverso un buyout. A seconda delle finalità perseguite dai promotori dell operazione, emergono tre differenti fattispecie di buyout: strategico industriale, quando l acquirente intende realizzare un integrazione strategica e operativa della propria attività con quella dell impresa acquisita 50 ; finanziario, qualora l acquirente svolga tipicamente 50 Geranio (2010, p. 12). 68

69 l attività di gestione di partecipazioni in altre imprese 51 ; e infine il management buyout, quando l operazione è condotta dal management attuale dell azienda, con l obbiettivo di acquisirne il controllo al fine di gestirla in totale autonomia. Accanto ai buyouts, una diversa tipologia di going private emerge quando l OPA non viene promossa da degli investitori esterni o dal management della società, ma bensì dagli stessi azionisti di maggioranza in essere di quest ultima, solitamente con la finalità prioritaria di condurla al di fuori del listino, in modo tale da acquisire la flessibilità strategica e gestionale necessaria per la realizzazione di un qualche programma di ristrutturazione. Se l operazione di OPA, con conseguente abbandono delle contrattazioni, è intrapresa dagli stessi azionisti che avevano precedentemente optato per il going public della società, può significare anche che la strategia di quotazione implementata non ha realizzato gli obbiettivi prefissati, o che era motivata esclusivamente da finalità speculative di breve periodo. FIGURA 4: LE DIVERSE TIPOLOGIE DI BUYER Figura frutto di una rielaborazione personale di quanto evidenziato nel lavoro di Geranio e Zanotti (2010, p. 878). La Figura 4 classifica i 106 going privates avvenuti nel periodo nei principali Paesi dell Europa continentale e oggetto dello studio di Geranio e Zanotti (2010), secondo le categorie sopra discusse, evidenziando come la maggior parte delle operazioni di public to private intraprese abbia avuto come promotore Fondi di Private Equity, Banche d Investimento o società di grandi dimensioni, ovvero financial e corporate buyers. In Italia, considerata la significativa diffusione di piccole e medie imprese a conduzione familiare che caratterizza il mercato nazionale, gran parte delle operazioni di OPA sono state promosse dalle stesse famiglie detentrici del pacchetto di controllo della società, e sono pertanto da considerarsi dei family buyouts. Nonostante quanto detto sinora potrebbe indurre a considerare il public to private un evento dai soli risvolti positivi per un impresa, Renneboog e Simons (2005), Martinez e Serve (2011) 51 Per esempio, i fondi chiusi e le merchant bank. 69

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