Il segreto di Dario Fo. Lezioni di teatro dal commediografo Nobel

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1 Il segreto di Dario Fo. Lezioni di teatro dal commediografo Nobel N ZSUZSANNA 216 MÓNIKA KERTÉSZ EL QUADRO TEATRALE DELL ITALIA DEL SECONDO NOVECENTO, LA PRODUZIONE ARTISTICA DI DARIO FO OCCUPA UNA POSIZIONE NOTEVOLE NON SOLO PER IL PREMIO NOBEL PER LETTERATURA, RICE- VUTO NEL 1997, MA AHE PERCHÉ HA CREATO UN NUOVO GENERE TEATRALE APPLICATO CON ME- TODI DI RECITAZIONE RICAVATE DALLA TRADIZIONE DEL TEATRO COSIDDETTO POPOLARE, CIOÈ DAI ME- TODI DEI GIULLARI DEL MEDIOEVO E DAI CLASSICI FABULATORI DEL PAESE DELL ATTORE-AUTORE. Nella mia relazione cercherò di dimostrare in che cosa consiste questo nuovo tipo di rappresentazione, e per quale motivo viene introdotto nella produzione artistica di Fo. La necessità di creare una nuova forma di espressione deriva dal fatto che l artista fin dagli inizi della sua carriera considerava come elemento base delle sue rappresentazioni l impegno sociale. Col passare degli anni questo elemento diventa sempre più dominante: la critica provocatoria al potere, la denuncia della condizione sociale dei ceti sociali considerati inferiori negli anni Sessanta risulteranno il tema principale delle sue commedie. Le rappresentazioni eseguite in questo periodo hanno uno scopo esplicitamente didattico: richiamare l attenzione del pubblico sui problemi presenti nella società e sollecitarlo a reagire, anzi ad agire e formare una sua propria opinione. Considerando l impegno sociale come elemento indispensabile del teatro, Fo non perde mai l occasione di parlare dell attualità in scena, anzi scrive interi pezzi teatrali in pochissimi giorni per poter conversare di un evento recente. Nella forte volontà di influenzare il pubblico, Fo cerca e rielabora una forma teatrale e una tecnica di recitazione che possano rendere più efficace le sue pièce teatrali. Questa forma drammaturgica, o per meglio dire forma di comunicazione adatta agli scopi dell autore sarà il monologo narrativo, come, infatti, afferma Dario Fo:

2 [IL SEGRETO DI DARIO FO. LEZIONI DI TEATRO DAL COMMEDIOGRAFO NOBEL] «Il mezzo più diretto, che trae la propria forza e lo stile anche dalle viscere del teatro popolare, è il monologo» 1. Fo crea un tipo di monologo in cui racconta in chiave comica dei brani, recitando da solo i singoli personaggi e nello stesso tempo compie anche la funzione del narratore, che è la figura centrale della performance, non come quella dei romanzi. Le storie raccontate possono essere collegate in modo da formare una storia completa (Johan Padan e la descoverta de le Americhe) o hanno un protagonista comune (Lu santo Jullare Francesco) o possono essere completamente indipendenti come nel caso più famoso del Mistero buffo e nel Dario Fo recita Ruzzante. Per trovare questa forma per le sue pièce teatrali Fo ha fatto delle ricerche filologiche e ha trovato come modello ideale da seguire la tecnica di recitazione dei giullari medievali, specialmente quelli della piazza. La figura del giullare medievale è molto vicina a Fo perché a suo parere i giullari di piazza hanno svolto lo stesso compito che un teatro del secondo Novecento deve assumere: era una specie di giornale vivente che raccontava i fatti di cronaca, criticava il potere recitando scene della vita quotidiana della gente semplice e divertiva il suo pubblico con le sue battute. L altra fonte importante di Fo è la propria infanzia. Essendo nato vicino al Lago Maggiore, da bambino ascoltava i fabulatori del lago osservando le loro tecniche del raccontare, scoprendo i loro metodi individuali di tenere viva l attenzione del pubblico e l uso della lingua (cioè del dialetto). In base a queste due fonti Fo costruisce un nuovo tipo di monologo che sarà un esempio per la generazione dei narr-attori. La rappresentazione dei monologhi segue un ordine fisso: ogni storia viene introdotta da un prologo in cui Fo spiega e commenta gli eventi che reciterà e poi, con un semplice passaggio («adesso comincio»), inizia a recitare la storia introdotta. Finita la recitazione, riprende il discorso e passa alla prossima storia, e così via. Le rappresentazioni possono essere interrotte in qualsiasi momento per comunicare con il pubblico o a causa di un evento inaspettato. La maggior parte dei monologhi sono scritti in dialetto o in grammelot, perché Fo li considera mezzi più espressivi della lingua italiana. Il grammelot è una lingua comica inventata, derivata dai dialetti e dalle parole onomatopeiche che possono variare a seconda dei dialetti o lingue applicate come base del grammelot (così esiste il grammelot francese o inglese ma anche quello meridionale, siculo-calabrese). Il recitare in grammelot o in dialetto richiede all attore una preparazione straordinaria: da una parte deve imitare una lingua con la sua voce e dall altra spiegare il significato con il corpo attraverso la gestualità e la mimica. Ma questo metodo di recitazione richiede un attenzione particolare anche da parte dello spettatore. Per aiutare la comprensione dei testi che costituiscono il monologo essi vengono sempre introdotti da una specie di prologo, cioè da spiegazioni dettagliate e da commenti dell artista (che tra l altro danno spazio anche ai commenti ideologici, rendendo questa forma ideale per scopi didattici). Nel caso del Mistero buffo nei prologhi Fo racconta al pubblico quando e come ha trovato la storia che reciterà e nello stesso tempo guida lo spettatore a riconoscere nella storia del passato la situazione del presente. Dopo il cosiddetto prologo Dario Fo recita la storia in chiave sempre comica, ma alla base di questa comicità si trova sempre la tragedia di un 217

3 [ZSUZSANNA MÓNIKA KERTÉSZ] membro della società e non dell individuo che appartiene ad un certo ceto sociale. La scelta della chiave comica della rappresentazione dei monologhi viene spiegata varie volte da Fo. Anche questa scelta è motivata dall impegno politico: la tragedia fa commuovere, crea la catarsi, fa lacrimare il pubblico, ma lo porta alla rassegnazione. Il riso invece libera energie, influenza la ragione e non le emozioni, come la tragedia, quindi è molto più adatto agli scopi didattici di Fo. M. B. non si serve della comicità superficiale, epidermica, legata al tic, alla parodia dei modi di esprimersi, all inciampo. Non è la parodia della vecchia biliosa, del vecchio rincoglionito, del giovane stordito, della bella un po puttana che è cosciente del proprio corpo. Non c è insomma in Mistero Buffo la comicità di consumo. C è, al contrario, la comicità che parte dal tragico, dalla fame, dalla disperazione, dal bisogno di dignità, dalla paura, dal terrore verso il soldato, la polizia, l aggressività dei potenti. 2 Fin qui abbiamo visto che sia la scelta della forma sia la scelta del modo comico satireggiante della rappresentazione sono al servizio del teatro didattico di Fo. Ma per suscitare reazioni per attivare il pubblico bisogna avere un contatto diretto, un rapporto di complicità con gli spettatori. Fo, secondo il modello dei giullari medievali e dei fabulatori del lago, per raggiungere il suo pubblico fa un tentativo di distruggere la quarta parete che separa l attore dal suo pubblico. All inizio di ogni suo spettacolo c è sempre un antiprologo che serve a prendere contatto con il pubblico: prima di iniziare lo spettacolo Fo, da buon padrone di casa, aspetta gli spettatori sul palcoscenico e li aiuta personalmente a trovare posto, anzi li invita a sedersi sul palcoscenico, dialoga sugli eventi recenti, fa delle battute improvvisate e quando tutti si sono seduti, a luci accese, fa un discorso introduttivo in cui di solito racconta come ha ritrovato il materiale del monologo e il pubblico, senza accorgersene, entra nel mondo dello spettacolo e si trova a seguire il prologo e la recitazione successiva. Senza il solito brusco inizio degli spettacoli teatrali borghesi il pubblico si sente parte integrante dello spettacolo e questa sensazione viene conservata grazie ai commenti indirizzati direttamente al pubblico, e agli slittamenti dalla scena, al fuori scena durante la recitazione. In questo teatro il referente centrale è davvero il pubblico presente in sala che è consapevole collaboratore dell artista e insieme a lui scopre il mondo del passato e, attraverso la chiave offerta nel prologo dall artista, capisce anche il presente attuale. Il grande attore attore è quello che riesce a portare lo spettatore in modo da farlo diventare parte integrante del racconto. Il grande attore è quello che riesce a portare lo spettatore sul palcoscenico, [ ] a staccarlo dalla condizione di ascoltare per farlo diventare partecipe della storia L esecuzione di questi spettacoli di solito viene in un palcoscenico completamente vuoto, senza costumi, con le luci accese in sala. L unico strumento che viene applicato durante gli spettacoli è l uso di quadri o diapositive per aiutare il pubblico nella comprensione del pezzo, ma anche questi vengono spesso eliminati (il caso

4 [IL SEGRETO DI DARIO FO. LEZIONI DI TEATRO DAL COMMEDIOGRAFO NOBEL]S di Mistero buffo) perché, secondo Fo, ostacolano la concentrazione. Fo recita le sue pièce senza il supporto dei costumi e della sceneggiatura, opera solo con l aiuto del suo corpo. In assoluta padronanza dei gesti e movimenti applica elementi della pantomima (ha studiato da Lecoq), la mimica e in una maniera particolare la voce. Visto che il testo recitato non è sempre comprensibile (come nel caso del grammelot) o poco evidente (nel caso del dialetto), invece della parola i movimenti del corpo, l intonazione, gli effetti speciali prodotti con l aiuto della voce, la gestualità e la mimica raccontano la storia. Fo usa lo spazio scenico in modo eccezionale. È capace di recitare un intera folla (La resurrezione di Lazzaro) o l incontro di due personaggi e nello stesso tempo commentare la situazione (Storia della tigre). Questo metodo di recitazione richiede una tecnica molto efficace e veloce: basta un movimento con una mano per rievocare un personaggio o il cambio del modo di parlare per riferire ad un altra persona della scena recitata: i gesti appena accennati che non rappresentano ma alludono ai personaggi, tagli veloci e una forte mimica che caratterizzano le recite dell artista. Non si tratta di imitare pedissequamente le gestualità naturali, [...] ma di alludere, indicare, sottindere, far immaginare. Il teatro è finzione della realtà, non imitazione [...]. 4 Bisogna avere il coraggio e l intelligenza di alludere piuttosto che descrivere per intero. Mettere a fuoco alcuni particolari e glissarne altri. 5 Fo recita sempre in terza persona rimanendo sempre fuori dal personaggio recitato: non si immedesima perché trova assolutamente sbagliata la teoria di STANISLAV- SKIJ. In questo metodo trova più vicino BERTOLD BRECHT, anche se non lo riconosce come maestro. Ritiene che la teoria dello straniamento sia troppo artificiosa, rende la rappresentazione troppo pesante, anzi trova la teoria di BRECHT ben spiegata ma poco comprensibile nella pratica teatrale. In un intervista Fo confessa che recita così perché gli viene naturale: presta il suo corpo e la sua voce ai personaggi ma è sempre lui, Dario Fo in prima persona, ad essere in scena, è lui che racconta una storia e presta il suo corpo ad un personaggio della storia, e ogni tanto ne esce per fare un commento al pubblico, o per reagire a un evento della platea. L uso della tecnica dello slittamento tra dimensione didascalico-narrativa e performativo-rappresentativa, il prevalere della gestualità, l improvvisazione, il recitare in terza persona, l inferiorità del testo rispetto al resto dello spettacolo richiedono un attenzione e uno sforzo straordinario da parte dello spettatore, che così non perderà il messaggio dello spettacolo. Con queste tecniche geniali un attore solo in scena senza strumenti e costumi riesce a catturare l attenzione del pubblico e renderlo parte integrante dello spettacolo. Una domanda che sorge molto spesso nel caso dei monologhi di Fo è se esiste lo spettacolo di Fo autore senza il Fo attore. La risposta è ormai ovvia: ci sono pochi attori che riescono ad eseguire questi monologhi in modo autentico, ma esistono talenti come, per esempio, Mario Pirovano che recita in modo eccezionale opere di Dario Fo. Ma c è sempre una difficoltà nel mettere in scena delle pièce teatrali di Fo e così anche i monologhi: una parte 219

5 [ZSUZSANNA MÓNIKA KERTÉSZ] delle rappresentazioni sono improvvisazioni o reazioni spontanee e riferimenti ad eventi attuali di politica. Questi problemi sono facilmente risolvibili con un attore professionalmente preparato, capace di improvvisare in base all opera scritta e abbastanza abile nell essere capace di fare riferimenti al presente. Con la rappresentazione delle sue commedie e dei suoi monologhi Dario Fo ha occupato oltre ai teatri tutti gli spazi dello spettacolo: è andato a recitare nelle fabbriche, sulle piazze, ha condotto programmi teatrali, spettacoli di burattini e marionette, ha composto canzoni, ha dipinto intere scenografie, ha creato un pubblico di spettatori partecipi e un teatro di indignazione civile e di protesta. Un teatro di narrazione basato sulle farse e sui monologhi medievali dei giullari di piazza e sulla tecnica di recitazione brechtiana, ma anche su quella tecnica di recitazione antica che considera come fondamento di uno spettacolo il gesto, la mimica e il movimento. Lo schema elaborato da Fo per il Mistero buffo costituisce una sorta di modello archetipo di un genere drammaturgico che si è soliti definire teatro di narrazione e che sarà la strada che seguirà una nuova generazione di narr-attori come Marco Baliani, Marco Paolini e Davide Enia. B IBLIOGRAFIA FO D., Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione (con L. ALLEGRI), Laterza, Roma Bari FO D., Manuale minimo dell attore, Einaudi, Torino SORIANI S. D ANGELI C., Coppia d arte, Edizioni Plus Pisa University Press, Pisa SORIANI S., Dario Fo. Dalla commedia al monologo ( ), Titivillus, Pisa VALENTINI C., La storia di Dario Fo, Feltrinelli, Milano N OTE 1 D. FO, Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione (con L. ALLEGRI), Laterza, Roma Bari 1990, p L opinione di D. FO cit. in: S. SORIANI, Dario Fo. Dalla commedia al monologo ( ), Titivillus, Pisa 2007, p L opnione di D. FO cit. in: ivi, p D. FO, Manuale minimo dell attore, Einaudi, Torino 1987, p Ivi, p

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