PREVENZIONE del DANNO RENALE ACUTO da MEZZO di CONTRASTO ORGANO-IODATO

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1 Servizio Sanitario Nazionale - Regione Veneto AZIENDA ULSS N. 6 VICENZA Viale F. Rodolfi n VICENZA COD. REGIONE 050 COD. U.L.SS. 006 COD.FISC. E P.IVA PREVENZIONE del DANNO RENALE ACUTO da MEZZO di CONTRASTO ORGANO-IODATO Dr. Luigi La Vecchia, UOS Emodinamica, Dipartimento Cardiovascolare Dr. Vittore Pinna, UOC Neuroradiologia Prof. Claudio Ronco, Dipartimento Nefrologia Dialisi e Trapianto Dr. Sergio Savastano, UOC Radiologia Ospedale San Bortolo, ULSS 6 - Vicenza Introduzione In passato si definivano come nefropatia da mezzo di contrasto (MdC) le alterazioni renali da reazione avversa ai MdC organo-iodati. Più recentemente, in accordo con la letteratura scientifica, che definisce Danno Renale Acuto (Acute Kidney Injury AKI) lo spettro sindromico dell insufficienza renale (dalle forme minori, subcliniche, a quelle più gravi), si preferisce usare il termine di Danno Renale Acuto Indotto da Mezzo di Contrasto (Contrast induced Acute Kidney Injury CI-AKI) [1]. Il CI-AKI è una delle possibili complicanze delle procedure radiologiche diagnostiche e terapeutiche che necessitano della somministrazione intrarteriosa o intravenosa di MdC organo-iodato. Il CI-AKI coinvolge specialisti di varie discipline, e necessita dello sforzo multidisciplinare e condiviso per la prevenzione, la diagnosi precoce e la protezione del rene.

2 Definizione La CI-AKI è definita come un alterazione della funzionalità renale che determina un incremento della creatininemia 0.5 mg/dl o 25% rispetto ai valori di partenza, che si sviluppa in genere ore dopo la somministrazione del MdC in assenza di altre cause accertate [2-7]. La sua incidenza, indipendentemente dal tipo di MdC, è pari al 2% circa nella popolazione generale [8, 9], ma sale al 12-50% nei pazienti con aumentato rischio di danno renale [3-7, 10-18]. Il CI-AKI è la terza causa in ordine di frequenza (11% dei casi) di insufficienza renale acquisita nel corso di un ricovero [19] e comporta un aumento significativo della durata di ricovero, dei costi relativi e dei rischi di morbilità e mortalità sia a breve che a lungo termine (Tab. I). La mortalità da CI-AKI è sovrapponibile a quella osservata in pazienti con AKI da farmaco (10-20% dei casi) [20-31]. Tabella I: Mortalità a breve e a lungo termine per CI-AKI Autore Mortalità intraospedaliera in assenza di CI-AKI Mortalità intraospedaliera in presenza di CI-AKI Mortalità a lungo termine in assenza di CI-AKI Mortalità a lungo termine in presenza di CI-AKI Levy et al [22] 7% 34% McCullough et al [23] 1.1% 7.1% 81.2% (5 anni) 35.4% (1 anno no Gruber et al [24] 4.9% 14.9% 19.4% (1 anno) dialisi) 3.7% (1 anno) 14.5% 12.1% (1 anno) Rihal et al [10] 1.4% 22% (5 anni) 44.6% (5 anni) Iakovu et al [25] 0.9% 4.7% 13.9% (1 anno) 32.3% (1 anno) Lindsay et al [26] 2.7% (1 anno) 9.5% (1 anno) Eziopatogenesi Il meccanismo del CI-AKI non è ancora completamente chiarito; attualmente tre sono le teorie più accreditate: 1) danno tossico diretto per passaggio delle molecole iodate nell interstizio renale; 2) danno tubulare per generazione di radicali liberi (aumentata in ambiente acido) con aumento dello stress ossidativo; 3) vasocostrizione con danno endoteliale per riduzione del flusso midollare. Fattori di rischio Il rischio di CI-AKI dipende in gran parte dalla funzionalità renale di base. La egfr (estimated Glomerular Filtration Rate) è un indice validato per descrivere il livello di funzione renale, anche se la sua accuratezza è limitata per valori di filtrato <60 ml/min/1.73 m 2. Tale indice, tuttavia, non è utile quando la generazione o la filtrazione della creatinina cambiano rapidamente; in tali situazioni il valore stimato non corrisponde più al valore reale o misurato (GFR, Glomerular Filtration Rate). I pazienti che sviluppano AKI hanno frequentemente una compromissione renale latente (acuta o cronica) o derivante da un pregresso insulto; è quindi difficile accertare lo stato di normalità della 2

3 funzione renale in condizioni basali o preesistenti a una procedura diagnostico-interventistica. In tali situazioni è difficile la diagnosi di CI-AKI sulla base della sola creatininemia, che può invece avvantaggiarsi dalla ricerca dei marcatori di danno renale acuto. Un qualche contributo potrebbe essere fornito da un anamnesi volta alla ricerca del rischio renale, specie nei pazienti ambulatoriali [32]. Il CI-AKI deve quindi essere inteso come uno spettro che va da un aumentata predisposizione all insulto (basata sui fattori di rischio) al danno anatomo-funzionale vero e proprio che esita nella guarigione o nel danno cronico. In Tabella II sono elencati i fattori di rischio per CI-AKI [33]. Tabella II: Fattori di rischio di danno renale da mezzo di contrasto [33] Correlati al paziente o egfr <60 ml/min/1.73 m 2 prima della somministrazione intrarteriosa o egfr <45 ml/min/1.73 m 2 prima della somministrazione intravenosa o In particulare in presenza di Nefropatia Diabetica Disidratazione Insufficienza cardiaca congestizia (NYHA classe 3-4) e ridotta frazione di eiezione FE IMA recente (<24 h) Contropulsatore aortico Ipotensione peri-procedurale Basso ematocrito Età >70 aa Assunzione farmaci nefrotossici Insufficienza Renale acuta nota o sospetta Correlati alla procedura Iniezione intrarteriosa di MdC MdC ad elevate osmolalità Elevate quantità di MdC Somministrazioni ripetute di MdC in pochi giorni Nota: Nessuna profilassi farmacologica (con vasodilatatori renali, antagonisti dei recettori dei mediatori endogeni vasoattivi o farmaci citoprotettivi) si è dimostrata offrire una protezione adeguata contro il CI-AKI 3

4 Prevenzione del danno renale acuto Le strategie di prevenzione del CI-AKI si basano sulle raccomandazioni di pratica clinica indicate nel documento del Gruppo di Lavoro K-DIGO [1], che: raccomanda l espansione del volume con salina isotonica o sodio bicarbonato nei pazienti ad aumentato rischio per CI-AKI; raccomanda di non usare fluidi per via orale in pazienti ad aumentato rischio di CI-AKI; suggerisce l utilizzo orale di N-acetilcisteina insieme all uso endovenoso di soluzioni isotoniche di cristalloidi in pazienti ad aumentato rischio di CI-AKI; suggerisce di non utilizzare per prevenire il CI-AKI la teofillina né il fenoldopam; suggerisce di non utilizzare l emodialisi o l emofiltrazione intermittenti profilattiche per la rimozione del MdC nei pazienti a rischio di CI-AKI. Lo schema di pretrattamento con Acetilcisteina prevede l assunzione di 2 compresse 12 h e 2 compresse 6 h prima dell esame, e 2 compresse 6 h e 2 compresse 12 h dopo l esame. Lo sviluppo di CI-AKI, tuttavia, non dipende solo da fattori correlati al paziente (per i quali si adottano le strategie preventive sopra descritte) ma anche dal tipo di procedura, dalla nefrotossicità intrinseca del MdC, legata alle sue caratteristiche chimico-fisiche e alla modalità di somministrazione (Tab. II). Pazienti in terapia con Metformina Un esame radiologico che richiede la somministrazione intravascolare di MdC crea ansia nei pazienti diabetici in terapia con Metformina. La Metformina è un biguanide di prima scelta nel trattamento del diabete dell adulto non insulinodipendente, non controllato dalla dieta e dall esercizio fisico [34, 35]. E un farmaco a rapido assorbimento intestinale, con picco ematico a 2,5 h, e rapida eliminazione per via renale attraverso la filtrazione glomerulare e l escrezione tubulare (90% nelle prime 12 h) [36]. Nella formulazione a rilascio ritardato il picco ematico è raggiunto 7 h dopo l assunzione. Il rischio di acidosi lattica da Metformina nei diabetici è molto basso (9 casi/ pazienti/anno) [37, 38]. In presenza di danno renale, l eliminazione della Metformina è ridotta (fino al 78% circa in pazienti con CKD 4 e 5) e i livelli ematici di Metformina rimangono elevati per lungo tempo aumentando il rischio di acidosi lattica [39]. Le line guida della UK National Institute for Clinical Excellence (NICE) stabiliscono che la Metformina può essere prescritta con egfr 45 ml/min/1.73 m 2, mentre il dosaggio deve essere rivisto per egfr <45 ml/min/1.73 m 2. In pazienti con egfr <30 ml/min/1.73 m 2 la terapia dovrebbe essere sospesa [35]. La Metformina è controindicata anche in altre situazioni che predispongono alla acidosi lattica (epatopatie, ipossiemia, malattie cardiache e respiratorie, infezioni gravi) [36]. Il rischio di CI-AKI è ridotto nei diabetici con funzione renale conservata, ma più alto in quelli con trapianto renale [13, 14, 40]. 4

5 Alla luce delle nuove conoscenze, la European Society of Urogenital Radiology (ESUR) ha nel 2009 aggiornato le linee guida sull impiego dei MdC organo-iodati nei pazienti in terapia con Metformina (Tab. III) [35]. Queste nuove linee guida stabiliscono che i pazienti con egfr 45 ml/min/1.73 m 2 possano continuare regolarmente la terapia ipoglicemizzante se devono eseguire un esame che prevede la somministrazione intravenosa del MdC. I pazienti con egfr di ml/min/1.73 m 2 che devono sottoporsi ad un iniezione intrarteriosa di MdC e quelli con egfr ml/min/1.73 m 2 in cui il MdC deve essere somministrato per via intravenosa devono interrompere l assunzione di Metformina 48 h prima dall iniezione del MdC; la funzione renale deve quindi essere rivalutata dopo 48h dalla somministrazione del MdC e la terapia con metformina dovrebbe essere ripresa solo in assenza di un deterioramento della funzione renale [3]. Tabella III: Linee guida ESUR nei pazienti in terapia con Metformina [33] I pazienti con: 1. egfr 60 ml/min/1.73 m 2 (CKD 1 and 2) possono continuare ad assumere normalmente la Metformina 2. egfr ml/min/1.73 m 2 (CKD3) egfr 45 ml/min/1.73 m 2 e somministrazione del MdC per via intravenosa: possono continuare normalmente ad assumere la metformina egfr 45 ml/min/1.73 m 2 e somministrazione del MdC per via intrarteriosa: dovrebbero sospendere la terapia con metformina 48 h prima dell esame e riprenderla dopo 48 h in assenza di deterioramento della funzione renale egfr ml/min/1.73 m 2 e somministrazione del MdC intravenosa: dovrebbero sospendere la terapia con metformina 48 h prima dell esame e riprenderla dopo 48 h in assenza di deterioramento della funzione renale 3. egfr <30 ml/min/1.73 m 2 (CKD 4 and 5), o con malattie intercorrenti causa di ipossia o riduzione della funzione epatica: la Metformina è controindicata e la somministrazione di MdC organoiodato dovrebbe essere evitata 4. Procedure d emergenza: la Metformina dovrebbe essere sospesa dal momento della somministrazione del MdC. Dopo la procedura il paziente dovrebbe essere monitorato per ricerca di segni di acidosi. La terapia con Metformina dovrebbe essere ripresa dopo 48 h dopo la procedura se la creatininemia/egfr è invariata rispetto ai valori pre-procedurali. I mezzi di contrasto organo-iodati I MdC sono farmaci particolari, impiegati a soli fini diagnostici, somministrati in grande quantità, alto volume ed elevata velocità di iniezione. La ricerca farmaceutica ha permesso nel tempo la sintesi di composti ad alto profilo di sicurezza. I MdC organo-iodati si differenziano per la struttura 5

6 della molecola legante l atomo di iodio, per il numero degli atomi di iodio legati, per l osmolalità e la viscosità [42]. Gli effetti biologici dei MdC sono dovuti alla tossicità intrinseca delle molecole, alla tossicità relativa alle proprietà chimico-fisiche delle soluzioni (osmolalità, viscosità, concentrazione) che alterano l omeostasi corporea a partire da quella del sangue (in quanto primo organo con il quale vengono in contatto) fino a quelli sugli altri sistemi e apparati, con particolare riguardo agli apparati cardiovascolare, urinario, respiratorio e al sistema nervoso. Gli effetti sistemici sono dovuti, oltre che alla tossicità intrinseca della molecola, alle caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni mentre gli effetti neurotossici sono legati esclusivamente alla tossicità delle molecole. L indice di sicurezza degli attuali MdC organo-iodati è molto elevato; la tollerabilità sistemica dei composti di ultima generazione ha raggiunto valori tali da permetterne un impiego clinico con alti margini di rischio e migliori profili di sicurezza. A livello ematico i MdC determinano modificazione della deformabilità degli eritrociti, riduzione dell ematocrito e formazione di radicali liberi con azione vasocostrittrice [43, 44]. Gli effetti cardiaci correlati all osmolalità delle soluzioni sono l incremento del ritorno venoso e del lavoro cardiaco da ipervolemia per il richiamo d acqua dallo spazio extravascolare. I MdC hanno un effetto vasodilatatore per diminuzione del tono vascolare e quindi ipotensivo per riduzione delle resistenze vascolari sistemiche [45]. Nella somministrazione intracoronarica di MdC, il sangue nell arteria è completamente sostituito per breve tempo dal MdC stesso, con possibili aritmie (quali fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare e asistolia) [46]. Gli effetti collaterali polmonari più severi sono il broncospasmo, l ipertensione polmonare e l edema polmonare. La somministrazione di MdC influenza il flusso sanguigno in tutti i tipi di vasi, da quelli più grandi ai capillari. Gli effetti collaterali sui grandi vasi sono mediati dal tono vascolare e dell aumento della volemia, mentre quelli sui piccoli vasi dall aumento della viscosità ematica. Studi preclinici evidenziano che il rene, quale organo deputato all eliminazione degli agenti di contrasto per filtrazione glomerulare, è sensibile alle alte concentrazioni, all osmolalità e alle relative alte viscosità dei composti in sede tubulare [45, 47]. I principali meccanismi potenzialmente responsabili della nefrotossicità sono di tipo diretto, a livello glomerulare e tubulare, e mediato dalla compromissione del circolo [48]. La diminuzione del flusso renale può essere anche imputata a un anormale vasodilatazione dovuta a un alterata produzione di monossido di azoto. Gli effetti tossici diretti verificati su cellule tubulari includono danni al metabolismo energetico ATP-dipendente, alterazioni dell omeostasi del calcio, alterazioni della polarità cellulare e apoptosi [49-51]. I Mezzi di Contrasto nella Pratica Clinica Con riferimento al rischio nefrotossico da MdC, il medico radiologo deve essere consapevole dei fattori di rischio, legati sia alle caratteristiche del paziente sia alla procedura, e deve essere in grado di attuare le opportune strategie profilattiche nel soggetti a rischio. E indubbio, peraltro, che le condizioni operative costringono il medico radiologo ad affrontare situazioni cliniche molto diverse e che l impiego clinico del MdC rientri in scenari molto vari. La realtà operativa del radiologo interventista che utilizza il MdC in sala angiografica è simile a quella del cardiologo emodinamista, ma molto diversa da quella del collega che effettua esami in una sezione TC, in cui si eseguono prestazioni ambulatoriali, o quanto meno d elezione, nella 6

7 maggior parte dei casi. Ai diversi scenari corrispondo differenti profili di rischio di danno nefrotossico. Nefrotossicità dei mezzi di contrasto Nella programmazione di uno studio che prevede la somministrazione intravascolare di MdC il radiologo deve sempre prendere in considerazione i fattori di rischio individuali per un danno nefrotossico. Il radiologo deve quindi ricevere dal medico curante informazioni in merito. A tal fine il Contrast Media Safety Committee dell ESUR ha predisposto un questionario [32]. Il radiologo deve inoltre essere ben consapevole dei fattori di rischio legati al paziente, recentemente puntualizzati dallo stesso Committee [33] (Tab. II). In assenza di fattori di rischio non vi sono precauzioni particolari per prevenire un danno nefrotossico. In presenza di fattori di rischio il medico radiologo deve invece: verificare l appropriatezza dell esame; mettere in atto tutte le misure preventive in grado di ridurre il rischio, predisponendo l espansione di volume (cosiddetta idratazione ); discutere l opportunità di sospendere eventuali terapie con farmaci nefrotossici; valutare l opportuno intervallo di tempo, situazione clinica permettendo, per l esecuzione di due esami contrastografici necessari nello stesso paziente a rischio per CI-AKI. Il medico radiologo infine sceglie il MdC più opportuno e la dose minima necessaria per il raggiungimento delle informazioni diagnostiche richieste. Nella pratica clinica si pone spesso il problema di programmare due procedure consecutive che necessitano di somministrazione intravascolare di MdC. Purtroppo non esistono evidenze cliniche che permettano di stabilire l intervallo temporale più opportuno. Tenuto conto della priorità imposta dalle esigenze cliniche (urgenza/emergenza), si considera ragionevole far trascorrere un periodo di almeno due settimane tra due indagini contrastografiche per consentire il recupero di un possibile danno renale acuto. CI-AKI da somministrazione intravenosa (TAC, urografia) La maggior parte degli studi clinici sul CI-AKI riguarda pazienti afferenti alle sale di emodinamica, molto diversi da quelli indagati con TC, dove sono generalmente studiati pazienti ambulatoriali. Le indicazioni ricavate dall esperienza della cardiologia interventistica non possono pertanto essere tout court trasferite a questa diversa realtà operativa. Il Contrast Media Safety Committee dell ESUR indica come rischio nefrotossico valori di egfr <45 ml/min/1.73 m 2 nei pazienti da sottoporre a TC (iniezione intravenosa di MdC), riconoscendo quindi un rischio minore rispetto ai soggetti in cui è prevista l iniezione intrarteriosa, considerati a rischio per egfr <60 ml/min/1.73m 2 [33]. Questa differente stima del rischio per gli esami TC si basa su alcune evidenze cliniche, sulle dosi usualmente inferiori usate nelle procedure endovenose, sulla minore concentrazione del MdC che raggiunge il rene, sulle diverse caratteristiche dei pazienti (soprattutto minor instabilità emodinamica) e sulla possibilità che nelle procedure intrarteriose l embolizzazione colesterinica aumenti l incidenza di nefropatia. 7

8 L organizzazione dell attività nelle sezioni di TC deve far fronte a carichi di lavoro crescenti e con apparecchiature sempre più veloci. La gestione del paziente a rischio per CI-AKI rappresenta in questo contesto un carico operativo non trascurabile che il medico radiologo deve affrontare assieme alla sua equipe. Va anzitutto prevista un organizzazione dell attività che permetta che le informazioni cliniche necessarie per identificare un paziente a rischio pervengano al medico radiologo assieme alla richiesta dell esame TC. Devono quindi essere predisposti specifici modelli da utilizzare sia all interno delle strutture ospedaliere sia da parte dei medici di medicina generale [32]. Il medico radiologo deve quindi valutare l esistenza di fattori di rischio e deve discutere con un approccio multidisciplinare l appropriatezza dell indicazione all esame e l eventuale opportunità di sospendere gli eventuali farmaci nefrotossici assunti dal paziente. Sotto il profilo operativo, l impostazione dell espansione di volume ( idratazione ) nei pazienti a rischio crea notevoli problematiche nella routine quotidiana delle sezioni di TC. In particolare, non costituisce un problema nei pazienti ospedalizzati, ove sono attuabili protocolli che ne prevedano l inizio anche 12 ore prima della procedura e il termine a distanza di 12 ore, ma il tutto è difficilmente gestibile nei pazienti ambulatoriali. La proposta di effettuare l espansione di volume con bicarbonato di sodio tramite un protocollo che prevede l inizio della somministrazione un ora prima della procedura e il termine 6 ore dopo [52] rappresenta un alternativa, comunque impegnativa, ma indubbiamente più applicabile anche al paziente ambulatoriale. Un ulteriore aspetto di cui il medico radiologo deve farsi carico è il controllo della funzionalità renale del paziente a rischio. Questa problematica è più rilevante nel paziente ambulatoriale, per il quale sono necessari un contatto con il medico curante e l organizzazione di percorsi che permettano una verifica della funzionalità renale di questi pazienti ore dopo l esame. Per gestire queste problematiche si impone l attuazione di modelli organizzativi efficienti e la collaborazione diretta con i nefrologi e i medici di medicina generale. La recente revisione delle Linee Guida dell ESUR [33] ha considerevolmente semplificato i problemi quotidiani, indentificando a rischio i pazienti candidati a TC con egfr <45 ml/min/1.73 m 2, per i quali propone il protocollo di espansione di volume con bicarbonato di sodio. Ciò ha ridotto notevolmente il numero dei soggetti in cui mettere in atto misure preventive e ha reso gestibile l idratazione dei pazienti ambulatoriali. I MdC in emodinamica Le procedure diagnostiche e terapeutiche di emodinamica sono sempre più utilizzate, specie nella popolazione più anziana, che presenta molteplici fattori di rischio cardio-renali, comorbidità, necessità di ripetizione degli esami, e, per alcune procedure, la somministrazione di elevati volumi di MdC. Il deterioramento acuto della funzione renale osservabile in questi pazienti si associa a una prognosi peggiore a breve termine [10, 53] e a un considerevole incremento dei costi sia per la gestione clinica sia per la prolungata durata dei ricoveri [31]. E pertanto indispensabile una definizione più precisa di CI-AKI [54, 55], che prenda in considerazione non solo l impatto prognostico a breve termine ma anche quello a lungo termine [56]. Il proliferare di lavori scientifici e di messe a punto che adottano definizioni differenti non contribuisce a fare chiarezza. 8

9 Accertato il peggioramento della prognosi durante il ricovero nei pazienti che sviluppano CI-AKI, l attenzione si sta spostando sulle conseguenze a medio-lungo termine di questo danno, ovvero sia sul progressivo deterioramento della funzione renale (per gli effetti sommatori di più procedure angiografiche ripetute nel tempo o per l associazione di eventi acuti nefrologici che incrementano il danno) sia sulla maggiore incidenza di eventi clinici negativi che influenzano la prognosi [57, 58]. Studi su pazienti sottoposti a coronarografia e/o angioplastica coronarica con disfunzione renale da moderata a severa (egfr <60 ml/min/1.73 m 2 ) dimostrano che lo sviluppo di CI-AKI costituisce un fattore prognostico negativo dell outcome a lungo termine (Fig. 1). Fig. 1 Curve di sopravvivenza a 5 anni (A: mortalità; B: mortalità, dialisi ed eventi cardiovascolari maggiori) nei 3 gruppi: pazienti che non sviluppano CI-AKI e pazienti con CI-AKI con danno renale transitorio o persistente [42]. Il paziente che sviluppa CI-AKI (transitoria o persistente) è comunque a maggior rischio generale ed è complessivamente più fragile, per effetto della depressione della funzione cardiorenale, della maggiore incidenza di comorbidità e di fattori di rischio cardiovascolare e renale. Prevenzione di CI-AKI in cardiologia Nel paziente stabile o in cui sia programmabile con alcune ore di anticipo l esecuzione di una coronarografia e/o di un angioplastica coronarica, c è consenso sull efficacia dell espansione del volume intravascolare, ottenibile idratando preventivamente i pazienti con soluzione fisiologica o sodio bicarbonato (che avrebbe il vantaggio di un effetto antiossidante e alcalinizzante le urine). La superiorità del sodio bicarbonato nei confronti della soluzione fisiologia è ancora oggetto di dibattito [59-62]. Peraltro, a parità di efficacia, il protocollo di somministrazione del sodio bicarbonato prevede un contemporaneo reintegro della volemia, prevenendo sia l ipovolemia indotta dal diuretico sia l ipervolemia da idratazione forzata. I primi studi randomizzati [63, 64] su un numero limitato di pazienti hanno mostrato una significativa riduzione dell incidenza di CI-AKI, senza un eccesso di complicanze. 9

10 D altra parte, a parità di efficacia, il protocollo di somministrazione del sodio bicarbonato prevede una fase di carico di un ora soltanto, seguita da un infusione per 6-12 ore (sodio bicarbonato, 154 meq/l a 3 ml/kg per la prima ora, seguito dall infusione di 1 ml/kg/ora), ed è quindi praticabile anche nelle situazioni di urgenza come l infarto miocardico acuto trattato con angioplastica primaria, in cui vi è un rischio elevato di sviluppo di CI-AKI. Per stabilire i livelli ottimali di idratazione e i target da mantenere o raggiungere in misurazioni successive sono stati inoltre sviluppati dispositivi che forzano l idratazione bilanciando automaticamente i liquidi persi con la diuresi (RenalGuard System, PLC Inc. USA) o che prevedono l utilizzo di tecnologie quali la bioimpedenza (CardioEFG, EFG Ireland). Conclusioni La nefropatia da MdC, come conosciuta nel passato, ha lasciato il posto oggi a un entità ben definita chiamata CI-AKI. I nuovi schemi classificativi e la concordanza sulla definizione delle diverse classi di severità della sindrome consentono una valutazione più accurata del rischio e degli effetti collaterali del CI-AKI, e quindi un azione preventiva più efficace. E indubbio che i progressi relativi ai nuovi MdC rappresentino un importante passo avanti nella gestione delle procedure diagnostiche nei pazienti a rischio. Risulta infine evidente che questo è un settore decisamente multidisciplinare, in cui le competenze dei diversi specialisti coinvolti nei percorsi diagnostici e terapeutici devono fondersi per ottenere un miglioramento dei risultati clinici. 10

11 Bibliografia 1. KDIGO Clinical Practice Guideline for Acute Kidney Injury. Kidney Int 2012; Suppl 2 (Section 4: Contrast-induced AKI:69-88) Morcos SK Contrast medium-induced nephrotoxicity. In: Dawson P, Cosgrove DO, Grainger RG, eds. Textbook of Contrast Media, Oxford: Isis Medical Media, 1999; Murphy SW, Barrett BJ, Parfrey PS Contrast nephropathy. J Am Soc Nephrol 2000;11: Fishbane S, Durham JH, Marzo K, Rudnick M N-Acetylcysteine in the prevention of radiocontrast-induced nephropathy. J Am Soc Nephrol 2004;15: Gleeson TG, Bulugahapitiya S Contrast-induced nephropathy. AJR Am J Roentgenol 2004;83: Maeder M, Klein M, Fehr T, Rickli H Contrast nephropathy: review focusing on prevention. J Am Coll Cardiol 2004;44: Goldenberg I, Matetzky S Nephropathy induced by contrast media: pathogenesis, risk factors and preventive strategies. CMA J 2005;172: Barrett BJ, Parfrey PS, Vavasour HM, et al. Contrast nephropathy in patients with impaired renal function: high versus osmolar media. Kidney Int 1992;41: Murakami B, Tajima H, Kumazaki T, Yamamoto K Effect of iodixanol on renal function immediately after abdominal angiography: clinical comparison with iomeprol and ioxaglate. Acta Radiol 1998;39: Rihal CS, Textor SC, Grill DE, et al. Incidence and prognostic importance of acute renal failure after percutaneous coronary intervention. Circulation 2002;105:

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