Ematologia e dintorni

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3 PERIODICO DI AGGIORNAMENTO MEDICO Volume 2 - Numero 4 - Settembre 2014 ISSN Ematologia e dintorni Rivista trimestrale - Reg. Trib. PI n. 11/13 del 25 novembre 2013 Direzione scientifica Massimo Offidani (Ancona) Esther N. Oliva (Reggio Calabria) Davide Rossi (Novara) Direttore responsabile Domenico Santucci (Pisa) Editore Primula Multimedia S.r.l. Via G. Ravizza, 22/b Pisa - Loc. Ospedaletto Tel ; fax info@primulaedizioni.it Realizzazione editoriale Primula Multimedia S.r.l. Responsabile di redazione Massimo Piccione Stampa Litografia Varo - San Giuliano Terme (PI) Avvertenza ai lettori La responsabilità per i contenuti e le opinioni espresse in questa rivista è unicamente degli Autori. L Editore declina ogni responsabilità derivante da errori od omissioni in merito a dosaggio e impiego di prodotti eventualmente citati negli articoli, e invita il lettore a controllarne personalmente l esattezza, facendo riferimento alla bibliografia relativa. Copyright 2015 by Primula Multimedia Finito di stampare nel mese di aprile 2015 Indice Anemie in Medicina Interna Dalla Clinica al paziente virtuale A. Mazzone Alleanza terapeutica: le parole che si capiscono L. Borin Temi in evidenza L apertura di un nuovo Centro di Trapiantologia che coinvolge il Dipartimento di Ematologia dell Università di Salerno C. Selleri Under 40 La collaborazione fra il farmacista e l ematologo migliora la qualità del percorso assistenziale: l esperienza degli Ospedali Riuniti di Ancona S. Guglielmi, A. Marinozzi, C.Bufarini Appuntamenti

4 Antonino Mazzone Dipartimento di Area Medica, Azienda Ospedaliera di Legnano (MI) Anemie in Medicina Interna Dalla Clinica al paziente virtuale Inquadramento diagnostico e terapie innovative Dalla relazione al Corso FADOI (Bologna, 10 maggio 2014) di Antonino Mazzone, Antonio Azzarà, Sabine Stioui, Gianpietro Semenzato, Carlo Finelli, Enrico Maria Pogliani, Paola Maria Cozzi e Paola Faggioli Parole chiave: anemia, medicina interna, mielodisplasie, lenalidomide, azacitidina Corrispondenza: Antonino Mazzone, Dipartimento di Area Medica, Azienda Ospedaliera di Legnano, via Papa Giovanni II 1, Legnano (MI) antonino.mazzone@ao-legnano.it Accettato per la pubblicazione il 24 marzo 2015 Le anemie in Medicina Interna Le sindromi mielodisplastiche L anemia è una patologia estremamente diffusa su scala mondiale. Secondo stime recenti dell Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tale patologia interessa circa un miliardo di pazienti, con una prevalenza pari al 25%. Questa percentuale è in accordo con quanto emerso da una serie di studi coordinati dalla FADOI (Federazione delle Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti) e volti a valutare la prevalenza dell anemia nei reparti di Medicina Interna in Italia. Le cause di anemia sono molteplici (per es. carenza marziale, emorragie, leucemie croniche, linfomi, mielomi, diabete e deficit di vitamina B12). Molti studi in USA, Canada ed Europa hanno osservato che oltre un terzo dei casi di anemia negli anziani, anche se diagnosticate, rimangono di eziologia sconosciuta. Nel 2011 Rauw e colleghi [1] hanno studiato una coorte di 313 individui con esame del midollo osseo per citopenie inspiegate e/o macrocitosi per un periodo di oltre tre anni in una casa di cura in Canada: il 32% dei pazienti avevano diagnosi di sindromi mielodisplastiche (SMD). La corretta diagnosi di un paziente che si presenta anemico in un ambulatorio di Medicina Interna è il primo parametro per valutare la clinical competence di un clinico. L internista ha interesse / necessità di diagnosticare correttamente la causa dell anemia indirizzando il paziente ad un percorso diagnostico-terapeutico specialistico; infatti, spesso, le anemie sono solo il segno di patologie d organo più complesse (insufficienza renale, epatopatia o gastropatia cronica e scompenso cardiaco). Tuttavia, sia in comunità che in Unità Operativa per acuti vi è un elevata percentuale di casi in cui l anemia ha un origine sconosciuta. I sintomi dell anemia sono molteplici ed interessano vari distretti corporei: i sistemi cardiovascolare e respiratorio (dispnea da sforzo, tachicardia, palpitazioni, angina e claudicatio); il sistema nervoso (cefalea, perdita di concentrazione, fatica e sensibilità al freddo); la cute (pallore e unghie a vetrino di orologio ); il tratto gastrointestinale (anoressia, nausea, costipazione e diarrea); e il tratto genitourinario (irregolarità mestruali, amenorrea, menorragia e alterazione della sessualità). Un test fondamentale, spesso trascurato, per la diagnosi d anemia è rappresentato dal conteggio dei reticolociti. Si distinguono varie tipologie d anemia: 2

5 Anemie in Medicina Interna. Dalla Clinica al paziente virtuale anemia normocromica normocitica, anemie correlate a malattie autoimmuni (nelle quali ha un ruolo fondamentale l epcidina, quale elemento cruciale per la disregolazione dei meccanismi fisiologici di assorbimento del ferro); anemia associata ad artrite reumatoide (per la quale la distinzione tra forma cronica e/o sideropenica; è di fondamentale importanza per la scelta della strategia terapeutica); anemia perniciosa (una patologia dovuta a deficit di vitamina B12 che interessa il 5% dei soggetti anziani); anemia macrocitica (dovuta a deficit di folati); anemia emolitica sia di tipo ereditario (correlata ad un difetto intrinseco o estrinseco) che acquisito (ad esempio, indotta dall uso di farmaci per il trattamento di malattie autoimmuni). La presenza di anemia non altrimenti spiegabile o riconducibile ad altra patologia costituisce, insieme al basso numero di reticolociti e a monocitosi, un importante anche se non esclusivo elemento diagnostico per l identificazione di SMD. Le SMD sono un gruppo molto eterogeneo di malattie clonali delle cellule staminali emopoietiche, caratterizzate da mielopoiesi displastica (o inefficace), citopenie nel sangue periferico e tendenza variabile ad evolvere verso forme di leucemia mieloide acuta (LMA). Sono patologie tipiche del paziente anziano: l età mediana al momento della diagnosi è infatti di circa settanta anni, mentre è rara la diagnosi in pazienti di età inferiore a cinquanta anni. In relazione alla loro origine, le SMD si distinguono in primitive (o de novo) e secondarie a trattamento con agenti alchilanti, inibitori delle topoisomerasi (antracicline o mitoxantrone) [2]. I fattori di rischio e le cause eziopatogenetiche dell insorgenza di SMD sono molteplici: l età avanzata (ad esempio, tra i 2,1-12,6 nuovi casi ogni individui all anno registrati in Italia, l incidenza della patologia è di 0,5/ tra i soggetti di età inferiore a cinquanta anni e di 49/ e 81/ tra soggetti di età superiore a settantacinque o ottantuno anni, rispettivamente); l esposizione ambientale o professionale a fattori di rischio quali: derivati del petrolio, solventi organici, insetticidi, diserbanti, esplosivi nitroderivati, semi-metalli come arsenico e tallio, polveri minerali e radiazioni ionizzanti; fattori genetici predisponenti: anemia di Fanconi, sindrome di Bloom (difetti di riparazione del DNA), neurofibromatosi (in seguito ad attivazione dell oncogene RAS conseguente alla delezione del gene oncosoppressore NF-1); modificazioni genetiche e molecolari: mutazioni del DNA nucleare o mitocondriale, insufficienza del meccanismo di riparazione del DNA, sbilanciamento fra proliferazione e differenziazione cellulare, alterazione della regolazione dell apoptosi, mutazioni a carico di alcuni oncogeni (RAS, p53, FLT3) ed inattivazione conseguente a ipermetilazione di geni oncosoppressori (gene p15); alterazioni del microambiente midollare: iperproduzione di citochine inibitrici della differenziazione cellulare o proapoptotiche, della produzione di EPO (TNF-a, TGF-b, IL-1b), anomala produzione di molecole di adesione (b1-integrine), ridotta sensibilità della linea eritroide all EPO endogena, aumento della vascolarizzazione midollare (iperproduzione di fattore di crescita degli endoteli vasali, VEGF), diminuzione dei segnali apoptotici (oncoproteina c- Myc e antigene FAS) ed aumento dei segnali antiapoptotici (oncoproteina bcl-2); concomitanza o insorgenza di malattie autoimmuni: gammopatie monoclonali, espansione clonale di cellule T e sovraespressione di HLA DRB1-15. Seppure con frequenza variabile, le SMD possono evolvere in LMA, con una percentuale di rischio pari circa al 35%, entro i sessanta mesi. Tuttavia, molto frequentemente, il decesso avviene prima che si realizzi una chiara evoluzione in LMA, ed è essenzialmente attribuibile agli effetti dell insufficienza midollare (emorragie e danni d organo dovuti al carico trasfusionale ed insorgenza d infezioni). Secondo la classificazione della World Health Association (WHO) del 2001, le neoplasie mieloidi venivano distinte in tre grandi gruppi: malattie mieloproliferative; malattie mielodisplastiche / mieloproliferative (leucemia mielomonocitica cronica, leucemia mieloide cronica atipica e leucemia mielomonocitica giovanile); malattie mielodisplastiche SMD (anemia refrattaria, anemia refrattaria con sideroblasti ad anello, citopenia refrattaria con displasia multilineare con o senza sideroblasti ad anello, anemia refrattaria con eccesso di blasti (Tipo 1 e 2), sindrome associata a del(5q) isolata ed SMD non-classificabile). Tale classificazione è stata successivamente rivista ed ampliata nel 2008, in modo da includere altre categorie patogenetiche ed elementi diagnostici (tipologia delle displasie midollari, percentuale di blasti, etc.). A causa dell elevata eterogeneità delle SMD, l identificazione della strategia terapeutica ottimale per ciascuna delle differenti categorie di pazienti è estremamente articolata e complessa. Il corretto inquadramento del tipo di mielodisplasia così come la determinazione del rischio evolutivo sono elementi fondamentali per la determinazione della tipologia e, di conseguenza, dell appropriatezza dei trattamenti. Accanto ai principali test standard su sangue periferico (esame emocromocitometrico, sideremia, transferrinemia, ferritinemia, dosaggio di eritropoietina, vitamina B12 e folati), il conteggio dei reticolociti e l esame morfologico di striscio periferico (colorazione May Grunwald-Giemsa, MGG) rappresentano una fase cruciale ed indispensabile per la diagnosi di SMD. L esame morfologico è essenzialmente basato sulla conta dei blasti e sulla valutazione di segni di displasia 3

6 Antonino Mazzone in una o più linee emopoietiche su sangue periferico e midollare. Talvolta, possono essere consigliati esami di tipo invasivo, quali la biopsia osteomidollare che permette il riconoscimento di particolari forme di SMD, tra cui quelle caratterizzate da fibrosi midollare o da alterata localizzazione (intertrabecolare invece che paratrabecolare) di precursori immaturi (ALIP, Abnormal Localization of Immature Precursors). Le anomalie morfologiche periferiche e midollari che caratterizzano le SMD possono essere mono-, bi- o trilineari ed interessare la serie eritroide, la serie mieloide o la serie megacariocitaria. Per la serie eritroide, nell esame del Sangue Venoso Periferico (SVP), si possono evidenziare: anisocitosi, poichilocitosi, caratteristiche emazie a sigaro, macrovalociti ed emazie con punteggiature basofile. All esame morfologico midollare si evidenziano, invece, ponti intercellulari in elementi immaturi, ponti intercellulari plurimi, ponti internucleari, bi- o plurinuclearità e carioressi. Nel caso di anemia refrattaria con sideroblasti ad anello, si osservano sideroblasti di tipo 3, caratterizzati da cinque o più granuli in posizione perinucleare, circondanti il nucleo per almeno un terzo della circonferenza nucleare nel 15% della cellularità eritroide. Alterazioni morfologiche tipiche della serie granulocitica, sia a livello midollare che periferico, sono invece rappresentate da neutrofili agranulati o ipogranulati, neutrofili con granuli abnormi pseudo Chediak-Higashi, neutrofili con nucleo ad anello, corpi di Döhle, neutrofili a nucleo ipersegmentato Steffen-like, neutrofili con nucleo Pelger-like, neutrofili con nucleo Pince-nez, eosinofili con nucleo Pelger-like ed eosinofili con granuli basofili. Nell anemia refrattaria con eccesso di blasti, si osservano blasti granulati o agranulati e blasti con caratteristici corpi di Auer. Infine, le alterazioni tipiche della serie megacariocitaria sono rappresentate principalmente da megacariociti con nuclei multipli, con nucleo unico o ipolobato. Ruolo della Citogenetica nella diagnostica delle mielodisplasie In aggiunta all analisi microscopica per l identificazione di alterazioni morfologiche associate con le SMD, l analisi citogenetica riveste un ruolo fondamentale nell iter diagnostico di tali patologie (Figura 1). Le tecniche di Citogenetica convenzionale si basano sull analisi del profilo di bandeggio del cariotipo e permettono l individuazione di riarrangiamenti cromosomici sia numerici (monosomie o trisomie parziali o di interi cromosomi) che strutturali (inversioni, traslocazioni o delezioni). Tali indagini vengono generalmente effettuate su cellule in metafase ottenute da campioni midollari (per una corretta diagnosi è necessario l esame di venti cellule metafasiche). Analisi morfologica Analisi citogenetica (tecniche convenzionali di analisi del cariotipo e FISH) In futuro Identificazione di mutazioni/alterazioni a carico di singoli geni (TET2, KRAS, CBL, U2AF1, UTX, WT1, FLT3, MLL-PDT, ETV6, EZH2, ASXL1, SF3B1, SRSF2, TP53) mediante microarray CGH-a/SNP-a, NGS, real-time PCR Figura 1 Iter diagnostico per l identificazione di sindrome mielodisplastica. FISH, Fluorescence In Situ Hybridization, ibridazione in situ a fluorescenza; NGS, Next Generation Sequencing, sequenziamenti di nuova generazione; PCR, Polymerase Chain Reaction, reazione a catena della polimerasi. Il sangue periferico costituisce un campione meno idoneo per questo tipo di indagini, con una validità riscontrabile solo nel 50% dei casi. Tra le anomalie più frequentemente osservate vi è la delezione del braccio lungo del cromosoma 5 (5q-) che si osserva in circa il 15-20% dei casi. Secondo una recente classificazione dell OMS, la sindrome mielodisplastica associata a del(5q) isolata rappresenta un entità clinica distinta (percentuale di blasti midollari inferiore al 5%, trombocitosi, dismegacariocitosi tipica ed anemia macrocitica), caratterizzata da prognosi favorevole e ottima risposta al trattamento con lenalidomide [3]. L analisi del cariotipo è un tipo d indagine diagnostica molto importante, in quanto la determinazione di natura e tipologia delle alterazioni cromosomiche rappresenta un fattore prognostico indipendente inserito nella maggior parte dei differenti sistemi di classificazione prognostica (IPSS, International Prognostic Scoring System; IPSS-R, IPSS revised ; WPSS, WHO classification-based Prognostic Scoring System). La profonda eterogeneità delle anomalie citogenetiche ha reso necessario delineare un sistema di valutazione prognostico citogenetico diverso: l NCCSS (New Comprehensive Cytogenetic Scoring System) che identifica cinque differenti categorie citogenetiche, comprendenti circa l 86% di tutte le anomalie cromosomiche associate a SMD e caratterizzate da un diverso impatto prognostico: prognosi molto buona / rischio molto basso:, del(11q), -Y; prognosi buona / rischio basso: cariotipo normale, del(5q), del(12p), del(20q); prognosi intermedia / rischio intermedio: del(7q), +8, i(17q), +19; 4

7 Anemie in Medicina Interna. Dalla Clinica al paziente virtuale prognosi sfavorevole / rischio alto: cariotipo complesso (tre anomalie cromosomiche), anomalie del cromosoma 7; prognosi molto sfavorevole / rischio molto alto: più di tre anomalie cromosomiche. Negli ultimi anni sono state messe a punto tecniche citogenetiche molecolari più sofisticate ed innovative, quali la FISH (Fluorescence In Situ Hybridization, ibridazione in situ a fluorescenza), gli array CGH e/o l analisi di SNP (Single Nucleotide Polimorphism). Tali metodiche sono estremamente utili per la diagnosi di SMD caratterizzate da anomalie cromosomiche non evidenziabili con le tecniche convenzionali di analisi del bandeggio cromosomico, che rappresentano circa il 40% dei casi. La FISH si basa sull identificazione di specifiche sequenze geniche mediante l utilizzo e l ibridazione di opportune sonde geniche. A differenza delle tecniche di citogenetica classiche non necessita di cellule in metafase e può essere eseguita anche su cellule in interfase. Gli altri due metodi (array CGH ed array SNP) sono molto costosi, ma permettono di identificare mutazioni genetiche a carico di singoli geni e, quindi, di ottenere un cariotipo molecolare ad altissima risoluzione. Essi presentano numerosi vantaggi, quali l identificazione di anomalie cromosomiche nel 60-80% circa dei casi definiti a cariotipo normale secondo le metodiche classiche, l individuazione di ulteriori anomalie presenti nei cariotipi anomali, ed infine l identificazione di piccole delezioni a carico dei cromosomi # 1, 5, 7, 11, 17 e 21. Il principale svantaggio di questo tipo di metodiche è l impossibilità di identificare anomalie clonali minori del 20% o traslocazioni bilanciate. La stratificazione prognostica La stratificazione prognostica dei pazienti affetti da SMD, intesa come predizione della probabilità di sopravvivenza del paziente e possibilità d evoluzione della patologia in LMA, si basa sulle indicazioni del sistema internazionale di scoring IPSS. I parametri utilizzati per la stratificazione prognostica sono: la percentuale di blasti midollari; il numero di citopenie periferiche; le anomalie citogenetiche specifiche. Si possono identificare quattro livelli di rischio: basso (score 0), intermedio 1 (score 0,5-1), intermedio 2 (score 1,5-2), alto (score maggiore di 2,5). L IPSS è stato successivamente rielaborato nell IPSS-R in modo da includere, tra i fattori prognostici fondamentali, anche la profondità delle citopenie unitamente ad un ampliamento del valore prognostico delle alterazioni citogenetiche. Secondo tale classificazione, il numero di categorie di rischio viene aumentato da tre a cinque, in modo da includere due nuovi sottogruppi di SMD: SMD a prognosi molto buona, caratterizzate da cariotipi -Y o del(11q); SMD a prognosi molto sfavorevole (caratterizzate da cariotipi complessi con più di tre anomalie). Altre variabili che possono avere un impatto sulla prognosi sono rappresentate dai livelli sierici della lattato-deidrogenasi, della ferritina e della b 2 -microglobulina, dall entità della fibrosi midollare ed, infine, dalle comorbidità del paziente. Nei prossimi anni sarà probabilmente necessaria una nuova revisione dell IPSS, in conseguenza della progressiva identificazione di alterazioni/mutazioni a carico di specifici geni associati alle SMD e della valutazione dell impatto (positivo o negativo) di tali mutazioni sulla prognosi di queste patologie. Il trattamento delle mielodisplasie a basso rischio Le principali Linee Guida della Sanità italiana per il trattamento delle mielodisplasie risalgono al 2010, e sono contenute nel documento SIE SIES GITMO [4]. Secondo tali indicazioni, si possono individuare due categorie di pazienti: pazienti che non necessitano di alcun trattamento e pazienti a basso rischio che vanno trattati. Al primo gruppo appartengono pazienti con un indice di rischio IPSS basso/intermedio 1, asintomatici, che presentano una percentuale di blasti midollari inferiore al 5% e assenza di altre citopenie significative o alterazioni citogenetiche a cattiva prognosi. Per tali pazienti è previsto un follow-up basato sull analisi dell emogramma ogni tre mesi ed analisi morfologica e citogenetica su campioni midollari ogni dodici mesi. Il trattamento di pazienti definiti a basso rischio è finalizzato al miglioramento dell ematopoiesi ed è basato sull impiego di agenti terapeutici quali agenti stimolanti i precursori eritroidi, agenti immunomodulanti, agenti immunosoppressivi e agenti chelanti il ferro (Tabella 1). L epoietina, così come le forme modificate della molecola dotate di emivita più lunga rispetto alla molecola originale (darbepoietina), è una molecola il cui utilizzo per il trattamento di pazienti a basso rischio è stato proposto recentemente. L azione di questi farmaci si esplica mediante stimolazione dei precursori eritroidi ed inibizione di apoptosi prematura. I risultati dell utilizzo di epoietina, riportati in tre diversi studi di metanalisi, non hanno evidenziato alcun effetto collaterale conseguente all utilizzo del farmaco. La valutazione ed il confronto dell effetto di somministrazione di epoietina in dosi standard e dosi elevate, come singolo farmaco o in associazione a G-CSF (Grow-Colony Stimulating Factor) ha confermato la maggiore efficacia delle dosi più elevate, ma non ha confermato la maggiore efficacia del trattamento combinato epoietina-g-csf. Altri studi retrospettivi volti a valutare l efficacia della terapia con epoietina in termini di rischio di progressione verso la forma leucemica e probabilità di sopravvivenza, hanno dimostrato l efficacia del farmaco nel prevenire la progressione verso la forma 5

8 Antonino Mazzone Tabella 1 Principali tipologie di farmaci per il trattamento delle varie categorie di rischio delle sindromi mielodisplastiche (SMD) e per la terapia della leucemia acuta mieloide ipoproliferativa. Modificata da [4]. Sindromi mielodisplastiche a basso rischio Farmaci stimolanti i precursori eritroidi: epoietina e darbepoietina efficaci nel ridurre la trasfusione dipendenza, l anemia e la sopravivenza globale [4-5] Elevata tollerabilità Farmaci immunomodulatori: lenalinomide Lenalinomide: efficace per il trattamento di SMD a basso rischio / int-1 trasfusione dipendenti e con delezione del cromosoma 5q-; elevata tollerabilità Farmaci chelanti il ferro Trattamento di SMD resistenti ai trattamenti di prima linea con eritropoietina Sindromi mielodisplastiche ad alto rischio Azaticidina Aumento della sopravvivenza versus regimi di cura convenzionali Significativa riduzione del fabbisogno trasfusionale Elevata tollerabilità anche nei pazienti di più di 75 anni Leucemia acuta mieloide Decitabina Aumento della sopravvivenza globale Buon profilo di tollerabilità Azaticidina Aumento della sopravvivenza in soggetti con bassa percentuale di blasti Efficacia paragonabile ai trattamenti convenzionali in pazienti con elevata percentuale (20-30%) di blasti Miglioramento dell anemia e riduzione della necessità di supporto trasfusionale Elevata tollerabilità leucemica, ma non hanno permesso di correlare direttamente terapia e sopravvivenza dei soggetti trattati, in quanto una prognosi favorevole potrebbe essere dovuta non tanto alla terapia quanto ad altre caratteristiche della malattia. Un altro gruppo di farmaci proposti per il trattamento di pazienti a basso rischio è costituito dai farmaci immunomodulatori (ImmunoModulatory Imide DrugS, IMiDS) che agiscono mediante inibizione della produzione di TNF-a, stimolazione della produzione di IL-2 e INF-g, attivazione della proliferazione di cellule T e dell attività di cellule NK. Lenalidomide farmaco orale, derivato sintetico dell acido glutammico ha un efficace attività stimolatoria sull eritropoiesi. Inoltre presenta un miglior profilo di tollerabilità. Studi recenti indicano che il trattamento con lenalidomide è stato in grado di indurre in pazienti con SMD a basso rischio/intermedio 1 trasfusione dipendenti e con delezione del cromosoma 5, il raggiungimento dell indipendenza trasfusionale in circa il 70% dei pazienti trattati e di determinare alti tassi di remissione citogenetica [6]. Infine, anche se off label i farmaci chelanti il ferro possono essere utilizzati per il trattamento di pazienti a basso rischio, con sufficiente aspettativa di vita. Mediante somministrazione di una monodose giornaliera è possibile controllare il livello del ferro nell arco di 24 ore. In due studi recenti è stato mostrato un vantaggio di sopravvivenza nei pazienti con sindrome mielodisplastica che ricevono terapia ferrochelante [7-8] Trattamento delle sindromi mielodisplastiche ad alto rischio e delle leucemie mieloidi acute oligoblastiche Secondo la classificazione WHO del 2008 attualmente in uso per la classificazione delle SMD, la LMA è caratterizzata da una percentuale di blasti uguale o superiore al 20%. Tra i principali fattori che determinano/influenzano la probabilità di sopravvivenza di pazienti affetti da SMD ad alto rischio/lma vi sono sia la presenza concomitante di altre patologie (comorbidità) che le caratteristiche biologiche della patologia, che comprendono eventuali mielodisplasie associate ed una citogenetica avversa (la probabilità di sopravvivenza è infatti molto bassa in pazienti con profili citogenetici anomali). Nel caso particolare di pazienti con una percentuale di blasti midollari compresa tra 10 e 30%, la prognosi di SMD e LMA non è associata al numero di blasti, ma è principalmente correlata alle caratteristiche genetiche e molecolari. È ormai dimostrato che l alterazione genetica-molecolare alla base dell evoluzione in LMA è rappresentata dall ipermetilazione di geni soppressori antitumorali, con conseguente alterazione della loro espressione. L ipermetilazione è riscontrabile nel 6

9 Anemie in Medicina Interna. Dalla Clinica al paziente virtuale 60% dei pazienti già al momento della diagnosi, ma tale percentuale aumenta nell 83% dei soggetti al momento di recidive. Numerosi studi/trial clinici hanno dimostrato l efficacia del trattamento con agenti demetilanti analoghi delle pirimidine, in particolare azaticidina e decitabina. Incorporati sia nel DNA che nel RNA (azacitidina) oppure solo nel DNA (decitabina), entrambi i farmaci determinano un ipometilazione del DNA che permette la riespressione di geni (silenziati epigeneticamente) che controllano la soppressione tumorale e la differenziazione cellulare. La decitabina è un desossinucleoside, analogo della citidina, capace di inibire selettivamente l enzima DNA-metiltransferasi. È considerato il prototipo di molti agenti ipometilanti, tra cui l azaticidina, ottenuta per aggiunta di un gruppo idrossile alla molecola della decitabina. Numerosi studi hanno dimostrato l efficacia del trattamento di LMA con decitabina, sia in termini di sopravvivenza globale che profilo di tollerabilità. Gli inibitori della DNAmetiltransferasi possone essere potenzialmente somministrati in differenti fasi della terapia: prima o durante il trattamento chemioterapico, come terapia di mantenimento, prima del trapianto allogenico di cellule staminali o nei casi di ricaduta in seguito a trapianto allogenico [9-10]. Ad oggi, l azacitidina risulta approvata da EMEA per il trattamento di: pazienti adulti non eleggibili al trapianto di cellule staminali emopoietiche, che presentano SMD a rischio intermedio 2 o alto secondo l IPSS; pazienti affetti da leucemia mielomonocitica cronica con 10-29% di blasti midollari in assenza di disordine mieloproliferativo; soggetti affetti da LMA con 20-30% di blasti e displasia multilineare. Uno studio randomizzato ha dimostrato che il trattamento con azacitidina prolunga significativamente la sopravvivenza globale rispetto agli schemi di trattamento convenzionali in pazienti con SMD intermedio-2/alto rischio e LMA con bassa percentuale di blasti midollari [11-12]. Un analisi del sottogruppo di pazienti anziani con LMA con percentuale di blasti tra 20-30%, la risposta al trattamento con azacitidina risultata paragonabile a quello con farmaci convenzionali [13]. In questo stesso studio è stato dimostrato che le mediane di sopravvivenza sono più elevate nei soggetti trattati con azacitidina rispetto ai trattamenti convenzionali. Inoltre, nel gruppo di pazienti che necessitano di un supporto trasfusionale, il trattamento con azacitidina determina un miglioramento dell anemia con conseguente riduzione della necessità di supporto trasfusionale. Tale farmaco è risultato ben tollerabile in pazienti affetti da SMD intermedio-2/alto rischio e con LMA oligoblastica, e non sono state descritte differenze in termini di neutropenia o trombocitopenia rispetto ai trattamenti convenzionali. Inoltre, il trattamento con azacitidina si accompagna ad una riduzione della necessità di ospedalizzazione, e/o ad una riduzione della durata dell ospedalizzazione stessa. Uno studio differente, volto a determinare la durata ottimale della terapia con azacitidina [14], ha evidenziato che la durata ottimale del trattamento è di almeno quattro mesi, sebbene dopo sei o dodici mesi di trattamento le percentuali di pazienti nei quali è osservabile una risposta positiva sono pari al 91 e al 98%, rispettivamente. È molto importante sottolineare che il trattamento con azacitidina presenta numerosi vantaggi. Questo farmaco si sta valutando in combinazione con altri farmaci in pazienti ad alto rischio, prima del trapianto allogenico e nei casi di imminente relapse, per il trattamento di pazienti precedentemente sottoposti a trapianto allogenico in recidiva o che sono in terapia di mantenimento [15]. Il paziente virtuale: simulazione di un percorso diagnostico d identificazione delle sindromi mielodisplastiche Data l importanza del corretto inquadramento diagnostico e terapeutico delle SMD, è stato recentemente sviluppato un software che permette non solo la simulazione di un percorso diagnostico di SMD in un paziente virtuale ma anche il monitoraggio dell evoluzione dello stato di salute del paziente in relazione alle scelte diagnostiche e terapeutiche effettuate dall operatore. Le opzioni di cui dispone l operatore sono molteplici: la possibilità di effettuare un anamnesi del paziente; l attuazione di esami obiettivi; la prescrizione di varie tipologie di esami di laboratorio (i cui risultati sono visibili soltanto al momento della visita successiva); la possibilità di richiedere consulenze; la possibilità di scegliere un tipo di terapia al termine di ciascuna visita. Questo software rappresenta, quindi, uno strumento particolarmente utile per lo studio e l apprendimento delle caratteristiche patologiche delle varie categorie di SMD, degli strumenti diagnostici ad oggi disponibili, e degli effetti di differenti strategie. 7

10 Antonino Mazzone Bibliografia 1. Rauw J, Wells RA, Chesney A, et al. Validation of a scoring system to establish the probability of myelodysplastic syndrome in patients with unexplained cytopenias or macrocytosis. Leuk Res 2011; 35 (10): Arslan C, Uslu R. Secondary haematological malignancies in the BCIRG 001 study. Lancet Oncol 2013; 14 (3): e87-e Vardiman JW, Thiele J, Arber DA, et al. The 2008 revision of the World Health Organization (WHO) classification of myeloid neoplasms and acute leukemia: rationale and important changes. Blood 2009; 114 (5): Santini V, Alessandrino PE, Angelucci E, et al.; Italian Society of Hematology. Clinical management of myelodysplastic syndromes: update of SIE, SIES, GITMO practice guidelines. Leuk Res 2010; 34 (12): Jädersten M, Malcovati L, Dybedal I, et al. Erythropoietin and granulocyte-colony stimulating factor treatment associated with improved survival in myelodysplastic syndrome. J Clin Oncol 2008; 26 (21): List A, Dewald G, Bennett J, et al.; Myelodysplastic Syndrome- 003 Study Investigators. Lenalidomide in the myelodysplastic syndrome with chromosome 5q deletion. N Engl J Med 2006; 355 (14): Rose C, Brechignac S, Vassilief D, et al. Positive Impact of Iron Chelation Therapy (CT) on Survival in Regularly Transfused MDS Patients. A Prospective Analysis by the GFM. Blood (ASH Annual Meeting Abstracts) 2007; 110: Abstract Leitch HA, Goodman TA, Wong KK, et al. Improved Survival in Patients with Myelodysplastic Syndrome (MDS) Receiving Iron Chelation Therapy. Blood (ASH Annual Meeting Abstracts) 2006; 108: Abstract Curran MP. Decitabine: a review of its use in older patients with acute myeloid leukaemia. Drugs Aging (6): Thomas X. DNA methyltransferase inhibitors in acute myeloid leukemia: discovery, design and first therapeutic experiences. Expert Opin Drug Discov 2012; 7 (11): Seymour JF, Fenaux P, Silverman LR, et al. Effects of azacitidine compared with conventional care regimens in elderly ( 75 years) patients with higher-risk myelodysplastic syndromes. Crit Rev Oncol Hematol 2010; 76 (3): Fenaux P, Mufti GJ, Hellström-Lindberg E, et al. Azacitidine prolongs overall survival compared with conventional care regimens in elderly patients with low bone marrow blast count acute myeloid leukemia. J Clin Oncol 2010; 28 (4): Fenaux P, Mufti GJ, Hellstrom-Lindberg E, et al.; International Vidaza High-Risk MDS Survival Study Group. Efficacy of azacitidine compared with that of conventional care regimens in the treatment of higher-risk myelodysplastic syndromes: a randomised, open-label, phase III study. Lancet Oncol 2009; 10 (3): Silverman LR, Fenaux P, Mufti GJ, et al. Continued azacitidine therapy beyond time of first response improves quality of response in patients with higher-risk myelodysplastic syndromes. Cancer 2011; 117 (12): Field T, Perkins J, Huang Y, et al. 5-Azacitidine for myelodysplasia before allogeneic hematopoietic cell transplantation. Bone Marrow Transplant 2010; 45 (2):

11 Lorenza Borin Clinica Ematologica e Unità di Trapianto di Midollo Osseo, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza (MB) Alleanza terapeutica: le parole che si capiscono Le basi della comunicazione: dare parole al malato Parole chiave: alleanza terapeutica, ascolto, comunicazione di diagnosi, leucemia, figli di malati Corrispondenza: Lucia Borin, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Reparto di Ematologia, settore E, piano 2, via G.B. Pergolesi 33, Monza (MB) l.borin@virgilio.it Accettato per la pubblicazione il 30 settembre 2014 Introduzione La diagnosi di una malattia grave ematologica giunge spesso inaspettata. Ero al mare e mi sono accorta di avere delle strane macchioline sulle gambe racconta una signora abbronzata in un letto di ospedale pensavo fossero punture di insetto, poi dopo alcuni giorni sanguinavano le gengive. Sono tornata ieri, stamattina sono andata dal mio medico perché ho degli ematomi strani e adesso sono ricoverata... Non capisco e lei rivolgendosi al medico mi sta dicendo che ho la leucemia. Ma come è possibile? È proprio sicuro? Non vi state sbagliando?. Ogni ematologo ha vissuto più volte l esperienza di questo breve racconto, che non è la storia di nessuno in particolare, ma che ricorda quella di molti pazienti. Incredulità è spesso la prima reazione poi mentre il medico spiega di quale malattia si tratta, come si cura, cosa succederà e cerca di essere preciso e dettagliato gli occhi del malato si perdono nella La malattia ematologica sconvolge la vita. La diagnosi di malattia ematologica spesso arriva inaspettata, richiede un ricovero immediato e strappa il malato dalla sua vita familiare e lavorativa. nebbia della consapevolezza che nulla sarà come prima e fugacemente attraversa la sua mente il pensiero che forse non ci sarà un dopo. Pochi osano chiedere: Morirò?. Quasi tutti lo pensano. La comunicazione tra medico e paziente Il medico ha il dovere di comunicare la diagnosi e di raccogliere un consenso informato alle procedure ed alle terapie. Questo fa parte del quotidiano ma, nonostante l esperienza più o meno lunga che ciascuno di noi medici può avere accumulato, nessuno è abbastanza preparato. Esistono metodi e modalità che si possono apprendere, ma la comunicazione non è a senso unico, non è una lezione frontale. Se consideriamo l etimologia latina del termine comunicare (cum + munīre) il suo significato risulta costruire, legare insieme. Esistono scuole ed università della comunicazione, ci sono tante tecniche, linguaggi, codici, ma per costruire qualcosa insieme occorre l ascolto. Spesso quando il paziente parla lo interrompiamo perché sappiamo già cosa vuole dire, lo abbiamo sentito in molti altri casi simili. Ma ogni persona è diversa, ha una sua storia, che deve essere ascoltata. Ognuno di noi ha sentito tanti racconti, a volte 9

12 Lorenza Borin ha ascoltato vicende in cui in piccola parte si è identificato e proprio la paura di trovarsi in una situazione simile ci porta ad erigere delle sane barriere di difesa, senza le quali non potremmo essere di nessun aiuto. Ma, come sempre, c è una via di mezzo fra l identificarsi, farsi completamente assorbire da un vissuto e, all opposto, dare solo fredde indicazioni. Ascoltare una persona significa comprendere i suoi timori, rispondere alle sue domande, ripetere più volte le stesse spiegazioni perché non sempre questa ha lo spazio mentale per accogliere tutto ciò che gli stiamo dicendo. Il pensiero del malato può essere già saturo per le tante nozioni ricevute tutte insieme. Creare un alleanza terapeutica Quando il medico mi parla ha detto una paziente non vede me, ma la mia malattia. È vero che sono malata, ma qui su questa sedia ci sono io, non la leucemia. Per combattere la malattia, il medico deve allearsi con la persona malata. Con il riscontro di una patologia grave, la vita non può più essere quella di prima. Ogni crisi comporta dei cambiamenti, non è pensabile che si possa ristabilire la condizione originaria: non ci sarebbe un evoluzione. È però possibile creare un nuovo equilibrio che consenta alla persona di mantenere alcuni ruoli per lei importanti. Il primo pensiero che sovviene immediatamente è quello di indirizzare il paziente dallo psicologo. Ciascuno di noi medici pensa di aver assolto ai propri compiti, dando questa indicazione dopo la comunicazione di una diagnosi. Ogni Centro di Ematologia ha tante strutture di supporto: ambulatorio psicologico, riunioni di accoglienza per i pazienti, gruppi di ascolto, etc. Sono come tanti salvagenti gettati nel mare in tempesta in cui il malato sta affogando; ma lui avrà la forza di alzare la mano e aggrapparsi? Il medico non può fare lo psicologo, né sostituirsi ai servizi presenti, deve solo prendere la mano del malato e far sì che si aggrappi ad un salvagente. Medico o psicologo? Il medico ha il compito di comunicare la diagnosi in modo comprensibile e di condurre il paziente ad accettare un lungo programma terapeutico. Deve conquistare la fiducia del paziente. Accordare le parole Quando un medico incontra per la prima volta un malato dovrebbe cercare di conoscerlo un po come persona; spesso ci viene spontaneo adattare il linguaggio che utilizziamo alla persona che abbiamo davanti. Questo presuppone che abbiamo fatto lo sforzo di capire il livello culturale, lo stato emotivo e le fragilità della persona che abbiamo di fronte. È un analisi complessa quella che, più o meno inconsciamente, facciamo per trovare le parole giuste da dire. Le parole poi si adattano continuamente in base ai rimandi che abbiamo; è come cercare di accordare le corde di una chitarra. Si ascolta una corda e si adatta a questa la successiva. Non è facile, si procede per tentativi ed errori. Ma è molto meglio sbagliare e correggere che adottare sempre la stessa spiegazione preimpostata. Spesso cerchiamo di utilizzare un linguaggio scientifico e corretto, perché la fiducia del paziente passa anche attraverso la valutazione della nostra professionalità, ma a volte confondiamo la correttezza dei contenuti con la complessità espressiva. Si possono, invece, spiegare concetti difficili in modo scientificamente corretto usando il linguaggio del quotidiano, anche se paradossalmente ci risulta più complesso. Per creare un rapporto di fiducia è, poi, determinante saper ascoltare i bisogni del paziente ed accoglierlo nella sua complessa personalità, ricordandosi che è calato in una specifica realtà familiare e sociale. Come diceva la malata citata prima, noi spesso vediamo la patologia, il caso clinico avulso da qualsiasi contesto. Ci interessano le comorbidità, l anamnesi familiare è un compito da studenti... Empatia ed interesse Ma se, dopo aver parlato della malattia e delle terapie, dei tempi di degenza e delle complicanze, chiediamo semplicemente al paziente con chi vive, se ha figli, nipoti o genitori... il suo sguardo si illumina! Il suo pensiero può tornare per un attimo alle cose di tutti i giorni, alle persone care e allora puntualmente arriva un altra preoccupazione: Come dico a mio figlio che ha cinque anni, a mia madre che soffre di cuore... che sono malato?. La prima reazione è sempre quella di proteggere i propri cari dal dolore causato dalla notizia della propria malattia. Con questa semplice domanda il malato ha fatto due passi importanti: è riuscito a pensare oltre la sua malattia, in sostanza a creare nella propria mente satura di pensieri un piccolo spazio, ed è tornato nel suo ruolo di figlio, genitore o nonno che adesso, però, deve gestire una comunicazione grave. Il medico, a sua volta, con una semplice domanda ha aiutato il paziente a non identificarsi con la malattia, ma a sentirsi la stessa persona di prima, anche se con un problema in più da affrontare. Il medico, a questo punto, può affrontare con il paziente il tema della difficoltà di comunicazione con i familiari ed offrire il suo aiuto. 10

13 Alleanza terapeutica: le parole che si capiscono Comunicare la malattia ai familiari Dare la possibilità di parlare delle proprie preoccupazioni le rende di per sé meno pesanti, fa sentire il paziente accolto nella sua interezza e pone le basi per la fiducia e l alleanza terapeutica. Parlare con i familiari della propria malattia è spesso difficile e gravoso. Il primo pensiero è sempre quello di nascondere, far finta che si tratti di una cosa lieve, costruire delle valide giustificazioni ed una storia credibile per proteggere da un grande dolore le persone più fragili, i genitori anziani oppure i figli piccoli, come se questi non si accorgessero che qualcosa non va e senza pensare che la malattia e le terapie indurranno delle modificazioni corporee che renderanno vana qualsiasi bugia. Proteggere chi ci è caro è una reazione comprensibile. In genere ogni persona a qualsiasi età ma soprattutto gli anziani ed i bambini che hanno una particolare capacità di cogliere il lato emotivo è in grado di sentire che sta succedendo qualcosa di grave, anche se tutti intorno a lei lo negano. L inganno rovina il rapporto di fiducia tra due persone, soprattutto se si tratta della coppia genitorefiglio: un bambino piccolo perde la fiducia nel mondo adulto e si trova costretto a crescere senza una base sicura a cui appoggiarsi. In secondo luogo, accorgersi che c è qualcosa che non va ma non sapere di cosa si tratta apre le porte alla fantasia e può indurre ad immaginare una situazione peggiore di quella reale. Quindi nascondere una situazione dolorosa nel tentativo di proteggere una persona cara, porta a far sì che questa resti spaventata, sola con i propri pensieri. Il medico può aiutare il paziente a spiegare ai familiari qual è la sua situazione, spesso comunicando lui stesso con loro. Anche se si tratta di bambini, col consenso dei genitori il medico può cercare di spiegare loro la malattia della mamma o del papà, in termini molto semplici, con la finalità di far capire cosa sta succedendo, spiegando perché il genitore non può stare a casa, perché perderà i capelli, perché sarà stanco e, soprattutto, sottolineando che non è colpa di nessuno se è arrivata una malattia e la mamma o il papà possono guarire anche se loro non fanno i bravi. I bambini, a qualsiasi età, ascoltano con attenzione il dottore che parla a loro, così come ascoltano la maestra, ne riconoscono il ruolo, si sentono considerati e soprattutto è importante per loro avere delle spiegazioni vere e semplici su quanto sta succedendo, sapere di poter fare delle domande e di poter parlare con spontaneità e serenità. Per spiegare una malattia non serve uno psicologo, ma un medico. Questo approccio iniziale apre un canale di comunicazione all interno della famiglia che riduce il senso di solitudine causato dalla malattia; dopo la difficoltà iniziale ognuno sa di poter parlare di ciò che sta succedendo e questo è di grande aiuto. Di riflesso il paziente è più sereno e si fida del medico che ha mostrato tanta attenzione nei suoi riguardi. Questo pone delle solide basi per l alleanza terapeutica. Accogliere la persona per l alleanza terapeutica. Il paziente è una persona con una famiglia ed una sua vita che non possono essere cancellate e annullate dalla malattia. Bibliografia 1. De Santi A, Morosini PL, Noviello S, et al. (a cura di). La comunicazione con il paziente oncologico. Valutazione e interventi. Trento: Erickson Freud S. Lutto e melanconia (1915). Trad it. in Opere di Sigmund Freud , vol. VIII, Torino: Bollati Boringhieri Marcoli A. La nonna è ancora morta? Milano: Mondadori

14 Temi in evidenza L apertura di un nuovo Centro di Trapiantologia che coinvolge il Dipartimento di Ematologia dell Università di Salerno Carmine Selleri Unità Operativa Complessa di Ematologia e Trapianti di Midollo, Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Salerno Accettato per la pubblicazione il 2 ottobre 2014 Si stima che nella sola Campania circa cinquecento persone ogni anno, un quinto delle quali sono bambini, potrebbero trovare beneficio da un trapianto di cellule staminali allogeniche o autologhe. Nella Regione Campania sono attive cinque Strutture ematologiche dedite al trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche che soddisfano solo il 60% della domanda regionale di autotrapianti (circa 350 l anno). Per quanto riguarda i trapianti allogenici, i limiti strutturali delle Ematologie campane che effettuano tale procedura (Reparti di Ematologia dell ospedale policlinico Federico II di Napoli e dell ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino) soddisfano meno del 20% della domanda regionale (circa 100 l anno, di cui 40 per pazienti della provincia salernitana), costringendo a frequenti viaggi della speranza presso altri Centri ematologici italiani ed esteri con notevole esborso economico da parte della Sanità regionale (circa 17 milioni di euro negli anni , di cui 3 milioni di euro nel 2010 per i soli pazienti della provincia salernitana). Alla luce di tali esigenze, l Azienda Ospedaliera Universitaria (AOU) San Giovanni di Dio Ruggi d Aragona di Salerno ha recepito la necessità e l urgenza di avviare un programma di sviluppo delle attività di trapianto di cellule staminali emopoietiche e ha inaugurato di recente, il 21 giugno 2014, il nuovo reparto di Ematologia e Centro Trapianti di Midollo Osseo dell AOU di Salerno, intitolato alla memoria del professor Bruno Rotoli (Figura 1). Al taglio del nastro hanno partecipato numerose autorità locali e regionali, il rettore dell Università di Salerno Aurelio Tommasetti, e i professori di Ematologia Lucio Luzzatto, Giovanni Pizzolo, Sergio Amadori e Luigi Del Vecchio. L Unità Operativa Complessa (UOC) di Ematologia e Trapianti dell AOU di Salerno, nata nel gennaio 2011 per la diagnosi e la cura delle malattie ematologiche in soggetti sopra i 14 anni, ha visto un incremento progressivo di tutte le sue attività, effettuando cumulativamente (prima dell apertura del nuovo reparto): 304 ricoveri ordinari (con soli quattro posti letto), ricoveri in Day Hospital, visite ambulatoriali, chemioterapie e seguendo complessivamente 850 pazienti con emopatie neoplastiche. Inoltre, dal marzo 2012 fino all apertura del nuovo reparto, avendo a disposizione una sola camera a due posti letto per autotrapianto sono stati effettuati trentasei autotrapianti di cellule staminali emopoietiche che hanno permesso l accreditamento del Centro al Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO). L Ematologia ed il Centro Trapianti di Salerno hanno direzione universitaria ma, al loro interno, svolgono le attività figure professionali ospedaliere e Figura 1 Il gruppo di lavoro del nuovo Centro di Trapiantologia dell Università di Salerno il giorno dell'inaugurazione (21 giugno 2014). 12

15 L apertura di un nuovo Centro di Trapiantologia che coinvolge il Dipartimento di Ematologia dell Università di Salerno universitarie non solo con l obiettivo principale di erogare servizi assistenziali, ma anche al fine di svolgere attività di didattica e ricerca clinica e biologica. La struttura, con l apertura del nuovo Centro Trapianti, è funzionalmente suddivisa in quattro sezioni: la Sezione di Degenza Ordinaria è costituita sia dall Area Trapianti con tre camere sterili singole per allotrapianto e una camera ultrapulita a due posti per autotrapianto, posizionate in modo tale che direttamente o indirettamente (attraverso monitor) possano essere visualizzate dal personale sanitario in ogni momento sia dall Area di Degenza, costituita da tre camere con due posti letto ognuna. Tutte le camere sono fornite di comfort alberghieri (televisore per singolo paziente con cuffia audio, frigorifero e wireless) e sono allestite con possibilità di visionare direttamente al letto del paziente le indagini bioumorali e strumentali archiviate nella cartella clinica elettronica in corso di sperimentazione; la Sezione di Day Hospital, costituita da una sala di oltre 50 metri quadri con poltrone elettricamente regolate per la chemioterapia (ognuna delle quali è fornita del suo televisore e di connessione internet) ed una camera dedicata alle procedure, permette l effettuazione complessiva di quindici ricoveri in Day Hospital terapeutici al giorno; La Sezione dell Ambulatorio costituita da quattro camere per le visite e una sala procedure, dedicata alla diagnosi delle patologie ematologiche e al follow-up di quelle croniche; Il nuovo Centro Trapianti di Midollo e Reparto di Ematologia dell AOU di Salerno (tre camere sterili, quattro camere di degenza ordinaria, un Day Hospital per quindici ricoveri diurni terapeutici al giorno e un ambulatorio, con quattro camere per le visite e una sala procedure) permetterà di porre un freno alla massiccia migrazione dei pazienti ematologici campani verso altre Regioni. la Sezione dei Laboratori di Citomorfologia, Citofluorimetria ed Immunogenetica, dedicata alla diagnosi e caratterizzazione delle malattie ematologiche. Il Centro Trapianti costituito dall Unità Clinica, nonché l Unità di Raccolta, Manipolazione e Criopreservazione di Cellule Staminali presenti all interno del Servizio Immuno-Trasfusionale dell ospedale ha intrapreso l accreditamento internazionale ISCT/JACIE che si concluderà nel Sia nella Sezione di Degenza che in quella degli Ambulatori esistono punti di accoglienza della sezione salernitana Marco Tulimieri dell AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie), i cui volontari offrono ai pazienti ed ai loro familiari, direttamente o telefonicamente, informazioni dettagliate relative a tutti i servizi erogati dall Ematologia. In occasione dell apertura del nuovo Centro Trapianti, la Sezione Salernitana dell AIL, ha finanziato cinque borse di studio per giovani laureati in Infermieristica volte all acquisizione di competenze specialistiche avanzate nella gestione del paziente trapiantato, oltre all annuale erogazione di finanziamenti per un medico, due biologi e per attrezzature medico-scientifiche atte a migliorare le prestazioni assistenziali. In casi selezionati, l AIL offre supporto anche alla necessità di alloggio presso la Casa di Accoglienza Lions presente all interno dell ospedale. L attività assistenziale dell Ematologia di Salerno è strettamente connessa alla didattica ed alla ricerca. L attività didattica viene svolta per la formazione degli studenti del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, del corso di Laurea in Professioni Sanitarie, degli specializzandi delle Scuole di Specializzazione in Medicina Interna ed Ematologia, e dei dottorandi di ricerca in Medicina Traslazionale. L attività di ricerca scientifica, testimoniata dalle numerose pubblicazioni e partecipazioni a congressi nazionali ed internazionali, è volta sia all esecuzione di numerosi protocolli diagnostico-terapeutici della Fondazione Italiana Linfomi (FIL), Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell Adulto (GIMEMA), del GITMO e dell European Bone Marrow Transplantation group (EBMT), nonché di studi biologici svolti prevalentemente pressi il laboratorio di Ematologia del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell Università di Salerno, sito in Baronissi (Salerno), dove è in allestimento anche una Cell Factory per la produzione di prodotti di terapia cellulare. Gli studi biologici sono focalizzati sui meccanismi cellulari e molecolari coinvolti nella mobilizzazione e nell homing delle cellule staminali emopoietiche normali e leucemiche, sulle interazioni con il microambiente midollare dopo un trattamento con farmaci a bersaglio molecolare, sui processi di rimodellamento osseo dopo chemioterapia e trapianto, sui meccanismi immunologici e molecolari coinvolti nelle sindromi mielodisplastiche e in emopatie clonali non neoplastiche. 13

16 Under 40 La collaborazione tra il farmacista e l ematologo migliora la qualità del percorso assistenziale: l esperienza degli Ospedali Riuniti di Ancona Sabrina Guglielmi, Andrea Marinozzi, Cesarino Bufarini Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona Accettato per la pubblicazione il 27 settembre 2014 Nell Azienda Universitaria Ospedaliera (AOU) Ospedali Riuniti di Ancona la collaborazione fra il farmacista e l ematologo è andata nel tempo man-mano ampliandosi e diversificandosi, migliorando la qualità delle svariate attività svolte e garantendo al paziente ematologico un percorso assistenziale con elevati standard di cura e di assistenza (Figura 1). Queste due figure professionali hanno iniziato a interagire con la nascita della clinica di Ematologia per le attività legate alla logistica dei farmaci e dei dispositivi medici necessari in un reparto di alta specializzazione come un Ematologia universitaria. Il rapporto era inizialmente legato a problematiche di tipo logistico e quasi mai clinico. Dal 1999 seguendo le Linee Guida ministeriali per la Sicurezza e gestione dei farmaci citotossici, vi è stata la completa centralizzazione in Farmacia della logistica e dell allestimento di tutti i farmaci citotossici e biologici utilizzati in Ematologia. Il laboratorio centralizzato Unità di Manipolazione Centralizzata Antiblastici (UMaCA) è sotto la responsabilità del farmacista cha ha a disposizione quattro infermieri professionali e due tecnici di laboratorio altamente specializzati nella manipolazione dei farmaci antiblastici e/o biologici. Dal 2008 nel laboratorio di allestimento delle terapie citotossiche della farmacia dell AOU Ospedali Riuniti di Ancona è iniziato un graduale processo di automazione con l ausilio di un sistema robotizzato chiamato APOTECAchemo. Questo sistema, progettato dal Gruppo Loccioni di Angeli di Rosora (Ancona), è stato sviluppato ed introdotto nella pratica quotidiana proprio con l esperienza maturata nella nostra farmacia. Con APOTECAchemo si è introdotta una tecnologia biomedicale con la quale si è migliorata la sicurezza dell operatore in laboratorio, del paziente (tracciabilità di tutte le operazioni, diminuzione Logistica dei farmaci e dei dispositivi medici in Reparto Sperimentazioni cliniche di fase I, II, III e IV Farmacista di Reparto: farmacovigilanza Farmacista Ematologo Filiera ematologica informatizzata: dalla cartella clinica alla prescrizione, all allestimento, alla somministrazione Centralizzazione in Farmacia della logistica e dell allestimento di tutti i farmaci citotossici e biologici mediante metodica robotizzata e/o manuale Farmacista di Reparto: monitoraggio dei Registri AIFA ed HTA delle nuove procedure/ protocolli e dei farmaci innovativi Figura 1 Azienda Universitaria Ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona: effetti della collaborazione fra il farmacista e l ematologo. AIFA, Azienda Italiana del Farmaco; HTA, Health Technology Assessment, valutazione delle tecnologie sanitarie. 14

17 La collaborazione tra il farmacista e l ematologo migliora la qualità del percorso assistenziale... del rischio di errori di processo e molteplici controlli di qualità sul preparato finale), è aumentata enormemente la qualità del prodotto finale e si è ottenuto un grande risparmio con il completo recupero dei residui e la riduzione degli sprechi. Attualmente circa il 90% degli allestimenti nel laboratorio vengono condotti in modo robotizzato e il restante 10% in modalità manuale in cappa a flusso laminare. Il passo successivo è stato l informatizzazione di tutta la filiera onco-ematologica, dalla prescrizione alla somministrazione con l integrazione della cartella clinica informatizzata con il software della farmacia per la preparazione e la successiva fase di somministrazione in reparto. Tutte le terapie sono completamente tracciate con l utilizzo di codici a barre con elevati standard di sicurezza e qualità [1]. La realizzazione del laboratorio centralizzato ha portato, fin dal 2000, anche alla gestione integrata di tutte le sperimentazioni cliniche di fase I, II, III e IV attive nel reparto di Ematologia, per cui nella farmacia è gestita tutta la logistica, la ricezione, la preparazione, la registrazione ed il monitoraggio delle sperimentazioni cliniche attive, sia orali che infusionali. Si eseguono periodicamente monitoraggi e audit clinici delle varie sperimentazioni con la data manager di reparto, il clinico e il monitor. Con la legge 405/2001 si è attivato il percorso assistenziale di distribuzione diretta per la fornitura del primo ciclo di terapia farmaceutico per il paziente ematologico in dimissione [2], ciò ha portato anche ad un notevole risparmio economico. Con il progetto ministeriale Il Farmacista di Dipartimento quale strumento per la prevenzione degli errori in terapia e l implementazione delle politiche di Governo Clinico in ambito oncologico realizzato nel 2010 si è avuto l inserimento della nuova figura del farmacista clinico in Ematologia che si affianca al medico in diverse attività come la prescrizione sia on-label che off-label dei farmaci dei pazienti ricoverati o in dimissione, la farmacovigilanza, il monitoraggio dell Agenzia Italiana del Farmaco dei farmaci onco-ematologici e la gestione/presentazione delle domande di autorizzazione aziendale per lo svolgimento della Sperimentazione Clinica nel reparto al Comitato Etico dell Azienda. Il farmacista clinico ha, tra i vari obiettivi di appropriatezza, la valutazione dell impatto economico dei farmaci innovativi, ponendosi come strumento d implementazione delle procedure di Health Technology Assessment (HTA, i.e. valutazione delle tecnologie sanitarie), e garantendo la convivenza tra innovazione e sostenibilità economica anche attraverso l attuazione dei criteri di rimborsabilità condizionata [3]. Non di minore importanza è il riconoscimento dei casi di prescrizione dei farmaci per indicazioni offlabel o compresi nelle liste della legge 648/96. L incrocio dei dati informatici delle sacche allestite e delle informazioni contenute nel file F consente al farmacista di tracciare il grado di utilizzo dei farmaci per indicazioni non registrate (off-label). Quest analisi si traduce in una maggiore appropriatezza e distribuzione delle risorse nonché in una maggiore tutela per il medico prescrittore che segue la corretta procedura di autorizzazione. Il farmacista di Dipartimento cura, inoltre, i rapporti con i colleghi del territorio garantendo al paziente la puntualità nell approvvigionamento del farmaco e la correttezza del prodotto. In conclusione, il consolidarsi del rapporto tra clinico e farmacista ha posto le basi ad una metodologia di approccio alle problematiche terapeutiche secondo un modello multidisciplinare, incrementando anche un coinvolgimento reciproco nelle scelte terapeutiche ed una migliore efficienza organizzativa. Il coinvolgimento del farmacista ospedaliero in tutte le fasi del percorso di cura trova la sua ragion d essere nella constatazione che il farmacista che opera in ambiente ospedaliero, per le sue peculiari conoscenze sulla natura dei farmaci, sul loro utilizzo appropriato, sulla corretta gestione e l attento monitoraggio, sempre di più deve muoversi in un ambito clinico-assistenziale al fine di ricoprire quel ruolo di farmacista clinico che gli è proprio e che meglio valorizza, oggi, il suo contributo professionale. La diffusione e la trasferibilità di qualsiasi iniziativa tesa al miglioramento delle cure deve trovare riscontro e riflettersi nella continua evoluzione dell assistenza sanitaria e nell equilibrio tra autonomia organizzativa del singolo ospedale e soddisfazione sia del paziente che dell operatore sanitario. Bibliografia 1. Ministero della Salute. Raccomandazione n. 14, ottobre Raccomandazione per la prevenzione degli errori in terapia con farmaci antineoplastici. Disponibile on-line su: /imgs/c_17_pubblicazioni_1861_allegato.pdf. Ultimo accesso il 2 ottobre Legge n. 405, 16 novembre 2001, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 17 novembre Disponibile on-line su: Ultimo accesso il 2 ottobre Russo P, Mennini FS, Siviero PD, et al. Time to market and patient access to new oncology products in Italy: a multistep pathway from European context to regional health care providers. Ann Oncol 2010; 21 (10):

18 Appuntamenti OTTOBRE Riunione Nazionale FIL (Fondazione Italiana Linfomi) Rimini, 2-4 ottobre 2014 Informazioni: 8 th BIC - Bari International Conference Bari, 3 ottobre 2014 Informazioni: Italian Red Cell Club 2014 Napoli, 3-4 ottobre 2014 Informazioni: XIII Congresso Nazionale SIES (Società Italiana di Ematologia Sperimentale) Rimini, ottobre 2014 Informazioni: NOVEMBRE Innovazioni in Ematologia Pesaro (PU), 3-5 novembre 2014 Informazioni: 4 th Pan-European Conference on Haemaglobinopathies & rare anaemias Atene (Grecia), 7-9 novembre 2014 Informazioni: Grandangolo in Ematologia 2014 Milano, novembre 2014 Informazioni: DICEMBRE 56 th ASH Annual Meeting and Exposition (American Society of Hematology) San Francisco (CA, USA), 6-9 dicembre 2014 Informazioni: 16

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