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1 INTRODUZIONE Il termine diabete mellito descrive una sindrome che in realtà include diverse condizioni patologiche e che è caratterizzata, nelle sue manifestazioni cliniche, dagli effetti di un alterato metabolismo dei carboidrati e conseguente iperglicemia. Questa condizione è determinata da un deficit, assoluto o relativo, della secrezione insulinica pancreatica, associato o meno ad una ridotta azione dell insulina a livello periferico (insulino-resistenza). Il diabete mellito di tipo 1 o insulino-dipendente (T1DM) è una malattia autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule ß insulari pancreatiche. Il complesso processo distruttivo autoimmune che sottende la malattia si manifesta clinicamente con un deficit funzionale caratterizzato da una carenza pressoché assoluta, e fisiologicamente inadeguata, della secrezione insulinica. Il termine insulino-dipendente, ora obsoleto, deriva, infatti, dall inderogabile necessità di trattare con insulina esogena i pazienti affetti da tale forma di malattia. In effetti, un tempo, le persone colpite da T1DM presentavano un elevatissimo tasso di mortalità, a breve termine dall esordio clinico della malattia, a causa della insostituibile perdita della capacità di secrezione dell insulina da parte del pancreas e delle conseguenti alterazioni metaboliche, incompatibili con la sopravvivenza. La scoperta ed il successivo impiego terapeutico dell insulina hanno reso possibile la sopravvivenza a milioni di pazienti, rendendo il T1DM una malattia cronica, gravata dalla comparsa di numerose ed invalidanti complicanze. Il miglioramento delle terapia del T1DM e, possibilmente, la prevenzione della completa perdita della capacità secretiva betacellulare in individui a rischio migliorerebbero la qualità di vita dei singoli pazienti e rappresenterebbero un reale vantaggio sociale. La prima evidenza scientifica del coinvolgimento del sistema immunitario nella patogenesi del T1DM si è avuta nei primi anni 60 con la descrizione autoptica dell infiltrato cellulare delle insule pancreatiche in soggetti diabetici venuti a morte per le complicanze acute della malattia. Sebbene tale rilievo non sia 3

2 stato chiaramente compreso all inizio, esso rappresenta la prima descrizione della lesione istologica alla base del T1DM: l insulite. L insulite è un processo infiammatorio, che coinvolge le insule di Langerhans, caratterizzato da un infiltrato linfo-monocitario che inizia nella zona insulare perivasale e si estende poi a circondare ed invadere l insula. Durante tale processo le cellule beta-insulari appaiono il bersaglio ultimo del processo immunitario e diminuiscono progressivamente di numero finché, al termine del processo lesivo, l insula risulta atrofica e costituita esclusivamente da cellule alfa e delta. La distruzione completa delle cellule beta comporta la successiva scomparsa, nel tempo, dell infiltrato. È indubbio quindi che il processo distruttivo immuno-mediato è chiaramente focalizzato sulla cellula beta-insulare o su suoi componenti. Altre evidenze in favore dell ipotesi autoimmune nella patogenesi del T1DM sono rappresentate dall associazione della malattia con determinati assetti genetici, dalla capacità che talune terapie immunosoppressive hanno di modificare la storia naturale della malattia, dall associazione con altre malattie a chiara genesi autoimmunitaria, come la tiroide di Hashimoto, la malattia di Graves, la gastrite atrofica e il morbo di Addinson, dalla ricorrenza autoimmune della malattia diabetica su pancreas trapiantato da gemello monocoriale sano a gemello diabetico, dalla comparsa di T1DM in soggetti sani dopo trapianto di midollo osseo da donatore diabetico compatibile, ed infine dalla comparsa, nel siero dei pazienti con T1DM, di anticorpi rivolti contro varie componenti self delle cellule insulari, come sarà più estesamente trattato in seguito. Ma quali fattori inducono la comparsa di autoimmunità anti-insulare e quali ne condizionano l evoluzione? Per rispondere a questi quesiti è necessario comprendere meglio i meccanismi generali dei processi autoimmuni. 4

3 L AUTOIMMUNITA È chiaro che la ricerca di singoli fattori genetici o meccanismi trigger atti a spiegare tutte le malattie autoimmuni appare inadeguata, data la complessità delle interazioni immunologiche alla base di tali processi, la maggior parte delle quali è, tutt oggi, poco conosciuta. Il processo autoimmune coinvolge cellule immuno-competenti che sono passabili di attivazione dopo contatto con appropriati determinati antigenici. L esito di tali reazioni non è, però, scontato potendo evolvere verso la distruzione del target antigenico, verso la proliferazione di cellule della memoria o verso la produzione clonale di anticorpi. A tale proposito sia le cellule B, responsabili della produzione di anticorpi, che le cellule T, effettrici della immunità cellulo-mediata, possiedono sulla loro superficie recettori unici per l antigene originatisi in seguito ad elaborati processi di ricombinazione genetica. Sebbene le cellule T presentino delle affinità con le cellule B nei meccanismi genetici responsabili della generazione della diversità dei recettori di superficie, esse differiscono in quanto sono in grado di interagire esclusivamente con antigeni complessati a molecole di classe I o di classe II del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) presente sulla superficie delle cellule presentanti l antigene (Antigen Presenting Cells: APC). Fig.1 5

4 Fig.1: Presentazione dell antigene da parte di una APC, con il peptide nella tasca della molecola MHC di classe 2 (DP, DQ o DR). Le cellule T esprimono recettori di superficie complessati a molecole corecettoriali denominate CD4, che interagiscono con molecole HLA (il sistema MHC umano) di classe II, e a co-recettori CD8, che invece interagiscono con molecole HLA di classe I. Differenze nelle molecole HLA tra i diversi individui possono essere responsabili della risposta individuale ad un determinato antigene ed anche della possibilità di individuare un determinato disordine autoimmune. Ciò è dovuto alla capacità potenziale del sistema immune di rispondere ad antigeni estranei, ma anche ad antigeni propri, o self come vengono più comunemente indicati. 6

5 In aggiunta alla richiesta di presentazione dell antigene nel contesto delle molecole MHC primo segnale, le cellule T esigono, per la loro attivazione, la contemporanea presenza di un secondo segnale, mediato dalle cellule presentanti l antigene, il segnale costimolatorio. La mancanza di un appropriato segnale costimolatorio può indurre tolleranza o energia immunologica verso uno specifico antigene. Questi concetti saranno approfonditi più avanti (vedi: Anergia in periferia). Questo rappresenta un efficace meccanismo per prevenire reazioni mediate dalle cellule T specifiche per antigeni self. Pur tuttavia ciò pone il quesito di come facciano le APC a sapere quando attivare, con un appropriato secondo segnale il linfocita T necessario ad ottenere una determinata risposta immune. Un linfocita T, appropriatamente attivato da uno specifico antigene, contribuisce ad innescare la risposta umorale dell immunità acquisita, mediata dai linfociti B. L attività help dei linfociti T nei confronti della immunità umorale si realizza, a livello linfonodale o splenico, quando un linfocita T, antigene-specifico e attivato, riconosce l antigene per cui è specifico presentanto in associazione alle molecole MHC di classe II sulla superficie di un linfocita B il cui recettore immunoglobulinico ha già riconosciuto ed internalizzato lo stesso patogeno. Questo fenomeno è chiamato linked recognition, o riconoscimento congiunto, e assicura che le cellule T e B riconoscano lo stesso antigene, anche se non necessariamente lo stesso epitopo. Questa interazione comporta la up-regulation del ligando CD40 sulla superficie della cellula T con conseguente produzione di molecole attivanti il linfocita B, come le interleuchine 4,5 e 6. La combinazione di questi segnali stimola la cellula B a proliferare e a secernere anticorpi specifici per lo stesso antigene. La necessità di questa interazione, per la corretta attivazione di entrambi i bracci del sistema immune, rappresenta un valido sistema di controllo nei confronti dell autoimmunità. Infatti, se una cellula B autoreattiva non incontra una cellula T, 7

6 specificamente attiva per lo stesso antigene self, nessun anticorpo viene prodotto. Pur tuttavia l incontro di un linfocita T attivato, specifico per un antigene nonself, con un linfocita B che ha fagocitato e presentato lo stesso antigene, ma ha anticorpi specifici per una proteina self può portare l attivazione di quel linfocita B ed alla produzione di autoanticorpi con conseguente malattia autoimmune. Tre sono i principali meccanismi attraverso cui il sistema immunitario si mantiene tollerante agli antigeni self : la delezione intratimica dei linfociti potenzialmente autoreattivi, il mantenimento, in periferia, in condizioni di energia dei cloni linfocitari sottrarsi alla delezione ed, infine, la soppressione/regolazione di tali cloni, potenzialmente capaci di mediare l autoaggressione [1]. DELEZIONE INTRATIMICA I progenitori dei timociti raggiungono lo spazio subcapsulare del timo come cellule non esprimenti ancora né il recettore proprio dei linfociti T né le molecole accessorie CD4 e CD8 (cellule doppiamente negative). In seguito, migrano più in profondità, nel corteccia timica, acquisiscono per riarrangiamento genetico il recettore di superficie ed entrambe le molecole accessorie (cellule doppiamente positive). L interazione con le cellule corticali epiteliali timiche, e con il loro complesso di superficie peptide:molecola HLA di classe I o di classe II, inizia il processo definito di selezione positiva dei timociti, per effetto del quale continueranno la maturazione solo i timociti capaci di riconoscere i peptidi antigenici nel contesto delle proprie molecole HLA, cioè i timociti ristretti per il proprio HLA. I timociti così prodotti, vista la corretta interazione del CD4 con le molecole HLA di classe II e del CD8 con quelle di classe I, esprimeranno quindi solo una delle due molecole accessorie: saranno cioè singolarmente positive, o per CD4 o per CD8. 8

7 Il processo maturativo continua con l ulteriore migrazione dei timociti verso la giunzione corto-midollare. Qui essi vengono in stretto rapporto con alcune cellule derivate dal midollo osseo (macrofagi e cellule dendritiche) e pienamente capaci di presentare loro vari peptici antigenici, compresi quelli self, nel giusto contesto HLA. Gli antigeni self espressi a livello timico legano le proprie molecole HLA ad alta affinità e risultano presenti ad alta densità sulla superficie delle cellule capaci di presentarli ai timociti di maturazione. Quando tali requisiti vengono soddisfatti i corrispondenti timociti ricevano da tale interazione un efficace stimolo apoptotico e vengono eliminati. Questo processo di eliminazione dei timociti potenzialmente autoreattivi viene definito selezione negativa intratimica e comporta, in modo molto efficace, la loro delezione. I restanti timociti, correttamente ristretti per il proprio HLA e tolleranti verso il self, completano la maturazione e lasciano il timo attraverso i vasi linfatici e le venule della giunzione cortico-midollare. Il processo di selezione negativa intratimica rappresenta la maggiore garanzia contro l autoimmunità. Pur tuttavia i timociti specifici per antigeni self non espressi a livello timico o quelli che non trovano il corrispondente antigene self espresso con adeguata densità e giusta affinità per le molecole HLA sulla superficie delle APC (antigen presentino cells: macrofagi e cellule dendritiche) possono sfuggire a questo processo e comparire in periferia originando, di fatto, linfociti pienamente autoreattivi. ENERGIA IN PERIFERIA Il secondo meccanismo con cui si mantiene la tolleranza verso il self è quindi quello che si attua in periferia nei confronti dei cloni linfocitari autoreattivi che hanno evitato la delezione intraritmica. Questi restano normalmente in uno stato di quiescenza. La loro attivazione e proliferazione, come per ogni linfocita T, non dipende infatti solo dal 9

8 riconoscimento attraverso il proprio recettore del complesso autoantigene: molecola HLA per il quale sono specifici (primo segnale), ma anche, e soprattutto, dal contemporaneo rilascio di un secondo segnale, il segnale costimolatorio, che solo le APC professionali sono in grado di fornire. Solo da qualche anno si è dimostrato che il secondo segnale, a lungo ipotizzato sulla base dei dati sperimentali, è dovuto all interazione della molecola accessoria di superficie linfocitaria CD28 con le corrispondenti molecole macrofagiche di superficie B7.1 e B7.2. Solo la contemporanea provvisione dei due segnali permetterà al linfocita di attivarsi ed iniziare a proliferare. È stata di recente descritta anche una costimolazione soppressoria, mediata dall interazione tra B7 e la molecola di superficie linfocitaria CTLA-4 [2]. Tale interazione comporta l attivazione dell enzima macrofagico indolamica diossigenaasi e la conseguente deplezione, nel microambiente, di triptofano, con apoptosi del linfocita. È quindi chiaro che, se il linfocita autoreattivo incontra l autoantigene sulla superficie delle cellule, quali quelle epiteliali, incapaci di fornire il secondo segnale per l attivazione, esso resterà quiescente, ignorando la presenza dell autoantigene ed il legame ad esso del suo recettore (primo segnale). Evidenza sperimentale per tale dato viene dalla immunobiologia dei trapianti. È infatti provato che la eliminazione dai trapianti cellulari delle APC, ottenibile con particolari procedure colturali, porta al definitivo attecchimento del trapianto in organismi allogenici in assenza di qualsivoglia terapia antirigetto. A ciò consegue che la reintroduzione, in tale sistema instabile, delle APC, e quindi del secondo segnale, porta al pronto rigetto del trapianto. Questi concetti sono importanti per comprendere il meccanismo patogenetico, a cui è stato dato il nome di mimetismo molecolare (molecular mimicry), proposto recentemente per spiegare l associazione che talora si registra tra l insorgenza di alcune malattie autoimmuni e certe infezioni virali. Se infatti un virus condividesse con un auotantigene una determinata sequenza aminoacidica, 10

9 sarebbe possibile per un linfocita T specifico per quell autoantigene essere impiegato dalla corretta presentazione, su un APC professionale, dell analogo peptide virale. Una tale interazione, comportando la provvisione contemporanea del primo e del secondo segnale al linfocita autoreattivo, sarebbe ora capace di attivarlo erroneamente, interrompendo la sua condizione di energia e dando così origine ad un clone linfocitario autoreattivo potenzialmente patogenico. In effetti, l aumento in talune zone dell incidenza del diabete mellito di tipo I è stato di volta in volta messo in relazione ad epidemie sostenute dal virus della rosolia, della parotite epidemica, dal virus coxsackie B4 e da enterovirus. Del tutto recentemente il virus coxsackie B4 ha dimostrato di condividere una specifica sequenza aminoacidica, definita P2C, con la glutammicodecarbossilasi (GAD), un enzima presente nel tessuto nervoso e nelle insule pancreatiche, che molte osservazioni epidemiologiche e sperimentali inducono a ritenere un autoantigene chiave nell autoimmunità anti-insulare. SOPPRESSIONE/REGOLAZIONE Per comprendere quest ultimo meccanismo di protezione dell immunità, anch esso, come l energia, operante in periferia, bisogna rifarsi ai modelli animali di autoimmunità. Il topo NOD (Non Obeso Diabetico) sviluppa spontaneamente mellito autoimmune estremamente simile, anatomo-patologicamente e clinicamente, alla malattia umana. In questo ceppo murino la malattia colpisce circa l 80% delle femmine ed il 40% dei maschi, pur essendo gli individui tutti egualmente predisposti genericamente all autoimmunità. È impossibile, nella colonia, distinguere alla nascita gli animali che diverranno diabetici da quelli che resteranno euglicemici. Nel 100% dei casi, però, si sviluppa un movimento immunitario anti-insulare, come dimostra l insulite, presenti in tutti gli animali indipendentemente dal sesso. Il differente destino del singolo animale risiede nei 11

10 caratteri dell infiltrato. Gli animali che sviluppano il diabete mostrano tutti un insulite distruttiva, invasiva e destruente, mentre quelli che rimangono euglicemici mostrano un insulite non distruttiva in cui i linfociti si accumulano alla periferia dell insula senza invaderla e danneggiarla. Nel topo NOD, quindi, tutti gli animali sviluppano autoimmunità anti-insulare, come prevede il loro patrimonio genetico, ma solo in alcuni di essi tale processo assume i caratteri distruttivi che portano all eliminazione delle cellule beta insulari ed alla comparsa clinica della malattia. È chiaro che altri fattori, di natura ambientale, modulano e regolano l espressione geneticamente determinata dell autoimmunità, sopprimendo, in modo casuale, l evento lesivo finale. Una parte importante in tale processo sembra essere giocata dal contatto degli animali con microrganismi ambientali o loro prodotti. Le colonie NOD mantenute in condizioni di sterilità, infatti, presentano un significativo aumento dell incidenza del diabete, che al contrario, diminuisce nelle colonie mantenute in condizioni ambientali di non sterilità. Bisogna quindi concludere che, in questo modello animale di autoimmunità, una appropriata stimolazione immunitaria può regolare ciò che è determinato geneticamente, modificandone l esito finale. Queste osservazioni hanno ovvie implicazioni cliniche. Ma come si realizza una simile deviazione immunologica? Come sopra accennato, i linfociti CD4 + sono stati divisi, sulla base della diversa produzione di citochine, in tre sottoclassi denominate Th0 (probabili precursori cellulari delle altre due sottoclassi), Th1 (linfociti infiammatori) e Th2 (linfociti helper propriamente detti). I Th1 producono interleuchina (IL) 2, IFNγ e TNFß, mentre i Th2 producono IL-4, IL-5, IL-6 e IL-10. I due tipi cellulari mediano, in modo reciprocamente esclusivo, risposte immunologiche diverse. I Th1 sono per lo più coinvolti nelle reazioni cellulomediate del tipo dell ipersensibilità ritardata, mentre i Th2 sono responsabili della funzione helper per i linfociti B ed intervengono quindi nelle risposte anticorpali. 12

11 Si è ipotizzato che il diabete autoimmune si produca in individui geneticamente predisposti quando le risposte mediate da Th1 e Th2 non sono bilanciate. L adiuvante di Freund (CFA), una sospensione di micobatteri tubercolari in olio minerale, è capace di bloccare la comparsa del diabete nel topo NOD. Una singola iniezione di vaccino antitubercolare (BCG) si è dimostrata egualmente efficace nello stesso modello animale. Gli infiltrati cellulari che si sviluppano nel topo NOD dopo trattamento con CFA o BCG (insulte non distruttiva) sono morfologicamente diversi da quelli che sviluppano nell animale non trattato (insulite distruttiva). Le lesioni non distruttive, indotte da terapia adiuvante, sono inoltre caratterizzate da una predominanza di linfociti producenti IL-4 (Th2), mentre le lesioni distruttive sono caratterizzate da linfociti producenti per lo più IFNγ (Th1). Ciò significa che l espressione o la prevenzione del diabete autoimmune nel topo NOD dipendono dalla stimolazione appropriata del sistema immunitario da parte di fattori che alternativamente promuovono l espansione preferenziale di linfociti Th1 o Th2. È chiaro infatti che, in un processo patologico di cui gli effettori finali di danno tissutale sono rappresentati dai linfociti infiammatori Th1, spostare la bilancia immunologia a favore dell immunità umorale (Th2) significa prevenire il danno. Questo meccanismo regolatorio di soppressione dell autoimmunità è, al contrario degli altri sopradescritti, che si realizzano per la mancanza di qualcosa che risulta indispensabile al compimento dell autoaggressione immunologica, assolutamente attivo e dominante: i linfociti autoaggressivi sono presenti e correttamente attivati, ma non possono svolgere il loro compito distruttivo per il modificarsi delle popolazioni cellulari e delle citochine nella sede del processo autoimmune. Nonostante i meccanismi di controllo della risposta immune sopra menzionati, e prescindendo dalla possibilità, comunque reale, della comparsa in circolo di cloni linfocitari proibiti autoreattivi per mutazioni che scavalchino i 13

12 normali controlli immunologici, il sistema immune è potenzialmente capace, con appropriata presentazione, di reagire ad ogni antigene, compresi gli antigeni self. Varie evidenze sperimentali suggeriscono che la perdita di tolleranza verso un determinato antigene tissutale, e l infiammazione conseguente alle reazioni autoimmunitarie innescate, causa la perdita di tolleranza verso altri autoantigeni dello stesso tessuto. Questi processi comportano l amplificazione del danno tissutale autoimmune e la diversificazione di linfociti T e B auoreattivi. GENETICA DELL AUTOIMMUNITA Il concetto generalmente accettato è che l autoimmunità si sviluppi su un substrato di suscettibilità genetica, in particolare in associazione ad una serie di specifici alleli HLA. È importante notare che lo stesso allele HLA può proteggere da un disordine autoimmune e può essere associato con una differente malattia autoimmune. Per esempio l HLA DR2 è raro nei pazienti con T1DM, ma è associato con un altra malattia a chiara patogenesi autoimmunitaria: la sclerosi multipla [3,4]. Appare chiaro che la suscettibilità legata a specifiche regioni allaliche dell HLA non comporta necessariamente lo sviluppo di autoimmunità, ma influenza la probabilità che specifici disordini autoimmuni si realizzino. Gli alleli HLA determinano la suscettibilità genetica alla malattia e per questo possono anche essere definiti geni della risposta immune. La loro capacità di determinare la suscettibilità alla malattia autoimmune può dipendere dalla capacità di presentare uno specifico autoantigene o, in alternativa, di alterare lo sviluppo del repertorio T linfocitario, interferendo sui processi di selezione positiva intratimica. Pur tuttavia la concordanza per le malattie autoimmuni, nei gemelli monocoriali, non è mai del 100% e varia tra il 30% e il 70% [5,6]. Inoltre essa è più alta nei gemelli monocoriali che nei familiari HLA-identici. Entrambe queste osservazioni suggeriscono che altri geni, al di fuori del sistema maggiore di 14

13 istocompatibilità contribuiscano a determinare la suscettibilità genetica alle malattie autoimmuni. Nell uomo per esempio l autoimmunità è associata a difetti del complemento nel L.E.S. [7], a polimorfismo dei geni dell insulina nel T1DM, con possibile influenza sulla tolleranza verso di essa [8, 9, 10] ed a mutazioni del gene AIRE (Autoimmune Regulator) sul cromosoma 21, codificante per fattori di trascrizione, nella sindrome autoimmune poliendocrina di tipo 1. 15

14 INDUZIONE DELL AUTOIMMUNITA Sperimentalmente è possibile ottenere malattie autoimmuni, in modelli animali, attraverso l immunizzazione con proteine self in adiuvante. Gli adiuvanti hanno la funzione di attivare aspecificamente le APC. In tal modo è possibile indurre un modello sperimentale di sclerosi multipla dopo immunizzazione con la proteina di base della mielina [11]. Una volta che la malattia è stata indotta è possibile trasferirla ad altri animali trasferendo esclusivamente i linfociti T. Questi dati dimostrano che linfociti autoreattivi sono normalmente presenti in ogni organismo e che l immunizzazione provvede esclusivamente alla espansione dei cloni autoreattivi. In modelli animali le manipolazioni genetiche ed ambientali del sistema immune possono portare ad autoimmunità organo-specifica. La timectomia in età neonatale sembrerebbe provocare autoimmunità attraverso l eliminazione di specifiche sottoclassi di linfociti T regolatori [12, 13]. Nonostante le evidenze sperimentali, resta spesso impossibile determinare il momento trigger dell autoimmunità. Pur tuttavia ciò è, in alcuni casi, possibile tanto da permettere una classificazione eziologica dell autoimmunità (Tab. 1). Tab. 1: Classificazione eziologica dell autoimmunità Classificazione Esempi Oncogenica Carcinoma ovario e degenerazione cerebellare Dietetica Gliadina e malattia celiaca Farmacologia Penicillamina e miastenia gravis Infettiva Streptococchi e febbre reumatica Idiopatica Diabete autoimmune I tumori possono indurre autoimmunità attraverso l espressione di specifici autoantigeni. Una delle più note associazioni in tal senso è quella tra il carcinoma 16

15 ovarico e la degenerazione cerebellare. In questo caso la malattia autoimmune, che si accompagna alla produzione di autoanticorpi specifici per le cellule del Purkinje, sembra dovuta all espressione, da parte delle cellule carcinomatose ovariche, di antigeni correlati alla degenerazione cerebellare e denominati CDR antigens [14]. Altre associazioni note sono quelle tra il pemfigo ed il linfoma e tra la miastenia grave e il timoma. Questo tipo di autoimmunità a distanza è stata definita autoimmunità remota. La forma di autoimmunità più comune indotta da alimenti è la malattia celiaca, caratterizzata da produzione di autoanticorpi anti-transglutaminasi e da marcata infiltrazione linfocitaria dei villi intestinali con loro distruzione. Alcuni farmaci sono associati ad un largo numero di differenti disordini autoimmuni. Tra questi la penicillamina, frequentemente associata allo sviluppo di miastenia grave, pemfigo bolloso, L.E.S., dermatomiosite ed altre patologie autoimmuni, sembra agire per aptenazione di varie proteine. L autoimmunità associata alle infezioni da virus di Epstein-Barr è invece correlata all abilità del virus di infettare direttamente la cellula B. Ciò comporta la stimolazione e la proliferazione di tali linfociti e la conseguente produzione di anticorpi policlonali i quali, reagendo con antigeni self, possono portare alla malattia. Oltre ai fattori ambientali trigger dell autoimmunità, altri fattori ambientali possono invece sopprimere l autoimmunità in organismi geneticamente predisposti. Nel topo NOD le infezioni virali o una singola iniezione di adiuvante di Freund possono prevenire completamente l autoimmunità anti-insulare. La presenza di un gran numero di differenti autoanticorpi verso differenti autoantigeni in ogni singola malattia autoimmune suggerisce che, sebbene si possa spesso ipotizzare un insulto iniziale che inneschi l autoimmunità, la risposta immune d esordio causa la liberazione di una serie di epitopi antigenici e di molecole self da parte del tessuto interessato, con conseguente amplificazione 17

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