L ABC DELLE VASCULOPATIE DEGLI ARTI INFERIORI

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1 Università degli Studi di Milano-Bicocca FACOLTA DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA Azienda Ospedaliera della Valtellina e della Valchiavenna Sezione CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA A.I.S.Le.C Società Scientifica a carattere Interdisciplinare 6 Corso Universitario di Perfezionamento per Infermiere Esperto in Wound Care L ABC DELLE VASCULOPATIE DEGLI ARTI INFERIORI Manenti Maria Grazia Anno accademico

2 Indice Premessa Introduzione 1. Sistema venoso: Anatomia e fisiopatologia Comportamento del flusso venoso a riposo ed in posizione supina Comportamento del flusso venoso in ortostatismo Comportamento del flusso venoso durante l attività fisica Le patologie del sistema venoso 2.1 L insufficienza venosa Flebopatie ectasianti Flebopatie obliteranti Trombosi venosa profonda Tromboflebiti superficiali Diagnostica della trombosi venosa profonda Trattamento T.V.P. e tromboflebiti superficiali Sindrome Post-flebitica Flebopatia ipotonica costituzionale La prevenzione ed il trattamento delle patologie flebologiche 3.1 Norme igieniche Trattamento farmacologico Trattamento chirurgico Il sistema arterioso: anatomia e fisiopatologia Arteriopatia obliterante arti inferiori Morbo di Buerger Trattamento dell AOCP Il sistema linfatico: anatomia e fisiopatologia. 49 2

3 5.1 L insufficienza linfatica La gestione infermieristica nella diagnosi e cura del linfedema Diagnostica strumentale Doppler c.w Indice caviglia-braccio, ABPI o Indice di Winsor Eco-Color-Doppler Pletismografia Reografia a luce riflessa (RLR) Test monofilamento di Semmes-Weinstein, Diapason, biosiometro Tensiometria transcutanea di O 2 e CO Laserdoppler Claudicometria o treadmill test Arteriografia Diagnosi differenziale lesioni cutanee:.flussi, reflussi, ostruzioni. Origine dell ulcera venosa? Ulcera flebostatica Ulcere arteriose Ulcere diabetiche Ulcere ipertensive o di Martorell Ulcere linfatiche Ulcere linfangitiche Ulcere vasculitiche Ulcere angiodisplasiche Ulcere miste Elastocompressione: principi e indicazioni

4 8.1 Basi teoriche: Legge di Laplace Materiali per l elastocompressione Indicazioni cliniche e compliance del paziente Controindicazioni. 93 Conclusioni. 94 Allegati 4

5 PREMESSA Dall approccio giornaliero con le patologie vascolari nasce l idea di creare uno strumento utile per i colleghi che vogliono approfondire o intendono colmare le lacune del loro iter formativo in merito all argomento. Le patologie vascolari dell arto inferiore sono in netto aumento e dalle ultime indagini statistiche viene riportata un incidenza di vene varicose del 57% per gli uomini e del 68 % per le donne, l insufficienza venosa cronica sembra avere una maggiore frequenza nei paesi del Mediterraneo e le complicanze ulcerative sono destinate a crescere in modo esponenziale. La causa dei frequenti fallimenti delle terapie in gran parte è dovuta alla mancanza di conoscenza della fisiopatologia di base e del trattamento dei semplici problemi venosi; d altra parte la patologia vascolare è una patologia cronica che ha nell ignoranza degli operatori il primo alleato per poter progredire. Spesso si confonde la tromboflebite superficiale con la trombosi venosa profonda, che è in potenza più pericolosa, la si cura con il riposo a letto, con anticoagulanti ed antibiotici, mentre con molto meno si riesce a risolvere il problema. Se i disturbi delle vene vengono accuratamente diagnosticati e curati si hanno alti tassi di guarigione riducendo le prognosi e le recidive. Se è vero che è obbligo e dovere del medico la giusta prescrizione terapeutica, è altrettanto vero che il compito dell infermiere non si debba limitare alla sua applicazione ma deve estendersi a ribadire e sottolinearne le motivazioni che la rendono necessaria ed indispensabile. Essere pronti a rispondere alle domande dei pazienti e dei parenti con un linguaggio semplice, diretto ed esauriente nella consapevolezza che la nostra competenza non è affatto subalterna nei confronti del ruolo primario del medico responsabile ma è piuttosto complementare; ciò sarà un requisito indispensabile al fine di rendere realmente efficace ed effettivamente applicata la terapia preventiva dell ulcera vascolare. Da un modello di tipo piramidale, in cui il medico decide e l infermiere esegue è pertanto necessario passare ad un modello di tipo partecipativo in cui medico ed infermiere sono entrambi coinvolti con la propria responsabilità sia nella fase di decisione che di realizzazione delle scelte terapeutiche e diagnostiche. 5

6 INTRODUZIONE La formazione in ambiente sanitario nell ultimo quinquennio è diventata obbligatoria, a seguito dell introduzione del progetto Evoluzione Continua in Medicina e dei crediti formativi. L esperienza personale e l approccio quotidiano con le molteplici patologie vascolari degli arti inferiori mi hanno indotto a redigere un progetto formativo di I e II livello che mira a contribuire alla formazione del personale infermieristico fornendo i principi fondamentali per un assistenza di tipo olistico in merito a tali problematiche ponendo molta attenzione sulla prevenzione e sul trattamento. Il corso di I livello è articolato in tre giornate formative con contenuti di anatomia, fisiopatologia del sistema venoso, arterioso e linfatico degli arti inferiori oltre alla diagnostica strumentale, l elastocompressione e il trattamento delle lesioni cutanee. Il corso di II livello, è rivolto agli infermieri che intendono intraprendere un percorso di approfondimento in patologia vascolare finalizzato all espletamento del proprio mandato con conoscenze e competenze specifiche nell ambito di un team pluri-specialistico per lo svolgimento della propria professione in modo autonomo. Lo svolgimento del programma prevede lezioni didattiche, lavori di gruppo, roleplaying su casi clinici presentati in aula, oltre alle esercitazioni pratiche sull elastocompressione. All interno del testo ho voluto sviluppare gli argomenti che devono essere trattati nel corso del programma formativo. L elaborato è composto da capitoli principali con paragrafi che sviluppano ogni argomento a partire dall anatomia fino alla prevenzione e al trattamento. Nella stesura del testo sono state presentate diverse immagini che ci permettono di valutare e differenziare i vari quadri clinici. Peraltro si tratta non di immagini tratte da testi o da riviste scientifiche ma derivanti da casi clinici personalmente da me indagati. 6

7 1. IL SISTEMA VENOSO: Anatomia e fisiopatologia La parete venosa come quella delle arterie è formata da tre strati: intima, media ed avventizia. Le vene a differenza delle arterie presentano una relativa debolezza dello strato muscolare (quello medio) e una minore elasticità. Diversamente dalle arterie, possiedono al loro interno un apparato valvolare che dirige il flusso sanguigno dalla periferia verso il cuore. Le valvole sono costituite da due lembi derivati da estroflessioni dello strato intimo e rinforzate da uno strato interposto di tessuto connettivo. (Fig. 1) Fig. 1 Apparato valvolare Nell arto inferiore esse hanno una grande importanza nel controllo della direzione della corrente ematica. Tutte le vene profonde della gamba sono densamente valvolate. Ad eccezione della vena poplitea che ha di solito due valvole, il numero varia negli altri distretti venosi della gamba ed è differente sia per numero sia per posizione, tra gamba destra e sinistra di uno stesso individuo come da persona a persona. La circolazione venosa degli arti inferiori può essere suddivisa schematicamente in due sistemi di cui l uno superficiale e l altro profondo in comunicazione fra loro attraverso le vene perforanti. Le vene superficiali decorrono nello spessore del connettivo sottocutaneo, raccolgono il sangue dei tessuti soprafasciali e attraverso una fitta rete di vasi anastomizzati tra loro lo convogliano nel circolo profondo. 7

8 Esse traggono origine dalle vene digitali plantari e dorsali; le digitali dorsali confluiscono nell arcata venosa anteriore prolungandosi nelle vene marginali mediale e laterale del piede; le vene plantari costituiscono l arcata venosa plantare ed una ricca rete anastomotica, la suola plantare di Lejars. (Fig. 2) Fig. 2 Suola plantare di Lejar I collettori principali di tale sistema sono rappresentati dalla vena grande safena e dalla vena piccola safena. La Grande safena nasce dalla confluenza della vena marginale mediale e della vena interna del malleolo, decorre davanti al malleolo mediale, risale verticalmente lungo la faccia mediale della tibia, si porta nella faccia antero-mediale della coscia e raggiungendo il triangolo femorale dello Scarpa sbocca nella vena femorale formando un arco denominato crosse. Durante tale tragitto, la grande safena riceve vari affluenti come le femoro - cutanee, la pudenda esterna superficiale, l epigastrica superficiale e l iliaca circonflessa, prima dello sbocco nella vena femorale; a livello della coscia riceve le vene antero laterale e safena posteriore accessoria, ed a livello di gamba la vena di Leonardo importante per i collegamenti con il circolo profondo. La vena Grande safena è inoltre in comunicazione con la piccola safena tramite un ramo anastomotico chiamato Vena del Giacomini ( terzo inferiore di coscia posteriormente). La giunzione safeno - femorale munita di valvola che permette fisiologicamente il flusso unidirezionale (dal superficiale al profondo) si trova a circa 3-4 cm sotto e 6-7 cm lateralmente alla spina del pube. (Fig. 3) 8

9 Fig. 3 Grande safena 1) Grande Safena 2) Vena di Leonardo 3) Safena accessoria 4) Safena accessoria 5) Pudende esterne 6) Epigastrica superficiale 7) Circonflessa 8) Marginale interna La piccola safena origina dietro il malleolo laterale, sale verticalmente lungo la faccia posteriore della gamba fino alla fossa poplitea dove sbocca nella vena poplitea, dopo avere perforato la fascia muscolare; drena il sangue della porzione superficiale laterale e posteriore della gamba. (Fig. 4) 9

10 Fig. 4 - piccola safena Il sistema venoso profondo che origina dalle vene profonde del piede, è costituito essenzialmente dalle vene tibiali anteriori, posteriori e peroneali satelliti delle omonime arterie. (Fig. 5) Fig. 5 Vene profonde della gamba Tali vasi confluendo al di sotto del margine inferiore del muscolo soleo formano la vena poplitea e questa sale verticalmente lungo il cavo popliteo; a questo livello confluiscono 10

11 in tale vaso venoso le vene dei muscoli del polpaccio che sono rappresentate da grandi vasi tortuosi ed avalvolati oppure da rami dritti e sottili muniti di valvole che confluiscono nella vena poplitea. Quest ultima continua a livello del muscolo grande adduttore della coscia, con la vena femorale, che confluisce a livello del triangolo di Scarpa nella vena iliaca esterna. A questo livello, affluente della vena femorale, è la vena femorale profonda che origina circa 5 cm. sotto il legamento inguinale. (Fig. 6) Fig. 6 Vene profonde della coscia Il sistema delle vene perforanti consiste in un insieme di vene che mettono in comunicazione a vari livelli il circolo venoso superficiale con quello profondo; sono così chiamate perché perforano la fascia profonda. (Fig. 7) La comunicazione può avvenire direttamente o indirettamente tramite una rete di vasi venosi nei muscoli. 11

12 Fig. 7 Vene perforanti Anch esse sono dotate di apparato valvolare che consente il flusso solamente dalla porzione superficiale a quella profonda, ad eccezione del piede dove la corrente circolatoria avviene nei due sensi, secondo le effettive necessità. Le vene perforanti più importanti sono le vene di Dodd (terzo medio di coscia), di Boyd ( terzo medio superiore regione mediale di gamba) e di Cockett ( terzo distale di gamba regione sopramalleolare mediale). (Fig. 8) Le perforanti di Cockett alla palpazione sono simili alle fontanelle craniche dei neonati. Fig. 8 Vene perforanti Immagine riepilogativa del sistema venoso dell arto inferiore. (Fig.9) 12

13 Fig. 9 Schema dei nervi e delle vene superficiali dell arto inferiore visti anteriormente (da F.H. Netter, Atlante di Anatomia Umana, Milano, Masson, 2001). Il flusso venoso dell arto inferiore è regolato da alcuni fattori: dalla vis a tergo, dalla pompa muscolare, dalle variazioni pressorie intraaddominali e toraciche e dal tono venoso attivo e passivo. (Fig. 10) 13

14 Fig. 10 Il ritorno venoso degli arti inferiori si verifica costantemente contro la forza di gravità. Nell uomo disteso il punto zero di pressione corrisponde all atrio destro che può essere situato al terzo spazio intercostale sulla linea margino sternale. Quando si misura la pressione venosa a tale livello si rilevano alla caviglia valori di poco superiori a 10 mmhg. (Fig. 11) Fig. 11 In posizione ortostatica, la pressione venosa alla caviglia risulta compresa fra mmhg essendo tale incremento dovuto essenzialmente alla pressione idrostatica esercitata dall altezza della colonna di sangue dal punto zero di pressione a quello di rilevamento. (Fig. 12) 14

15 Fig. 12 La pressione idrostatica e l energia cinetica residua cardiaca determinano quindi il regime pressorio vigente all interno del vaso venoso. La vena subisce però anche una compressione da parte dei tessuti circostanti; la differenza tra pressione intraluminale ed extraluminale determina il gradiente pressorio che si definisce pressione transmurale ( pressione di distensione del vaso). L aumento della pressione idrostatica determina una modificazione della pressione trans-murale che si traduce in una progressiva distensione della vena che in ortostatismo passa da una superficie ellittica a circolare. (Fig. 13) Fig. 13 Questo meccanismo consente un adeguato mantenimento del deflusso venoso. Esiste però un limite critico oltre il quale ulteriori incrementi di volume di sangue si traducono in consistenti aumenti di pressione. 15

16 Sia la posizione eretta prolungata come pure ad esempio l ostruzione trombotica, riempiono e distendono le vene superficiali distali e per questo sono sempre di sezione circolare. In queste circostanze un aumento anche minimo del volume del sangue provocherà un significativo aumento pressorio. Le vene hanno la funzione di drenare il sangue distribuito dalle arterie e si comportano come un serbatoio dinamico capace di variare il volume ematico totale, ai fini di assicurare il ritorno del sangue al cuore ed un adeguata gittata cardiaca aderente ad ogni stato funzionale. Numerosi fattori concorrono a determinare il ritorno venoso, alcuni costantemente presenti ed indipendenti dalla postura, dallo stato di riposo o di attività del soggetto, altri invece influenzati dall ortostatismo e dall attività muscolare. 1.1 Comportamento del flusso venoso a riposo ed in posizione supina. Il flusso venoso agli arti inferiori, in posizione supina, a riposo è discontinuo ed in gran parte condizionato dai movimenti respiratori. (Fig. 14) Esso è essenzialmente regolato dalla vis a tergo, dalla vis a fronte, dal tono venoso attivo e passivo e dalla vis a latere ; quest ultima definita quale pressione esercitata sulla parete del vaso dai tessuti peri-venosi. Fig. 14 La vis a tergo può essere definita come l energia residua della sistole ventricolare che si trasmette al circolo venoso. 16

17 E una pressione soggetta a notevoli variazioni che risente dell attività vasomotoria delle arteriole dei capillari e delle anastomosi artero-venose, cioè di tutto il distretto vasale che precede la vena propriamente detta. La vis a fronte è la risultante di una forza aspirativa condizionata sia dalla attività cardiaca sia dai movimenti respiratori. In particolare durante l inspirazione la pressione intratoracica diviene negativa e contemporaneamente per l abbassamento del diaframma, aumenta la pressione endoaddominale e di conseguenza la pressione totale che agisce sul ritorno venoso. Nell espirazione aumenta la pressione pleurica e cade quella addominale favorendo in tal modo un nuovo riempimento. Il tono venoso attivo è determinato dalla muscolatura liscia della tunica media, mentre quello passivo è dato dalle proprietà elastiche della parete venosa. I cambiamenti del tono sono mediati dai nervi simpatici e da sostanze circolanti capaci di stimolare la muscolatura liscia (l acetilcolina provoca sia contrazione sia rilasciamento, le prostaglandine vasodilatazione). Esso è controllato dal tronco encefalico nel quale si trova il centro vasomotorio che regolando la scarica simpatica causa veno-dilatazione o veno-costrizione. Tale centro ha anche un ruolo importante sulla termoregolazione agendo sulle vene sottocutanee e può essere influenzato da diversi fattori (l emozione, il dolore, l inspirazione profonda, l esercizio fisico e la posizione eretta provocano venocostrizione; l iperpiressia, il sonno, veno dilatazione). Le cellule endoteliali venose sono inoltre produttrici di attivatore fibrinolitico in misura maggiore di quelle presenti nell endotelio delle arterie. La vis a latere è essenzialmente costituita dalle pulsazioni delle arterie perivenose e dall attività muscolare e contribuisce all accelerazione del sangue venoso. 1.2 Comportamento del flusso venoso in ortostatismo In posizione eretta, a riposo, la progressione del sangue è sempre favorita dalle forze della vis a tergo e della vis a fronte ma è ostacolato dalla pressione idrostatica e dalla facile distensibilità delle vene. In queste condizioni la pompa muscolare periferica si comporta come fattore favorente, determinando un aumento del flusso ematico. L apparato valvolare gioca un ruolo importante; in condizioni fisiologiche, le valvole venose si mantengono aperte favorendo il ritorno ematico in senso centripeto della 17

18 corrente venosa e chiudendosi quando alla fine della sistole cardiaca si formano quelle onde retrogade che diversamente consentirebbero il reflusso e la caduta verso il basso della colonna di sangue all interno dei collettori venosi. Tali onde retrograde sono date dalla differenza di pressione che si forma tra il flusso ascendente verso il cuore e quello discendente dipendente dalla forza di gravità. La progressione del sangue è indotta dalla trasformazione della pressione parietale in pressione di spinta, tale da consentire la progressione del volume ematico in senso centripeto. 1.3 Comportamento del flusso venoso durante l attività fisica E stato dimostrato che un solo passo è sufficiente a ridurre la pressione alla caviglia a poco più della metà del valore di base. Proseguendo l esercizio fisico per circa 10 passi, la pressione venosa si riduce di oltre 60 mmhg. Il fattore più importante che incide durante l esercizio fisico, è determinato dalla pompa muscolare del polpaccio capace di configurare un sistema di svuotamento del letto venoso in grado di ridurre drasticamente la pressione idrostatica. La struttura anatomica del polpaccio è caratterizzata da: - un sistema di afflusso valvolato ( vene tibiali peroneali e safene) - un sistema di propulsione (vene del soleari e gemellari con i rispettivi ventri muscolari) - un letto di efflusso valvolato (vene gemellari e tronco popliteo) - un sistema di comunicazione tra i diversi distretti ( vene perforanti). Fig

19 L insieme di questi elementi anatomici costituisce infatti una vera e propria unità funzionale di importanza fondamentale per il controllo del volume e della pressione venosa degli arti inferiori. Durante la contrazione muscolare i sinusoidi venosi dei muscoli soleali e gemello si svuotano spingendo il sangue nella vena poplitea (sistole muscolare); contemporaneamente le vene tibiali sono compresse nel loro segmento prossimale mentre la porzione distale si dilata. (Fig ) Fig. 16 Tale dilatazione causa un aumento di pressione nei tratti distali ed anche nella vena poplitea per effetto della spremitura del sangue contenuto nel letto muscolare a causa di riflessi veno costrittori. Si viene cosi a creare un gradiente pressorio tra i tratti distali e prossimali della vena poplitea che, unitamente alla competenza dell apparato valvolare sostiene un flusso centripeto unidirezionale. In fase di rilasciamento muscolare (diastole), le vene del soleo gemellari si dilatano aspirando sangue dal distretto tibiale e dal circolo superficiale attraverso le vene perforanti. Tutto ciò determina la presenza del cosiddetto cuore periferico che da un lato favorisce la progressione del sangue venoso profondo verso il cuore in corso di sistole, dall altro lo svuotamento del circolo superficiale in corso di diastole. A livello della coscia, l influenza dei ventri muscolari sul ritorno venoso è assai modesta, sia per condizioni anatomiche, che per mancanza di sinusoidi venosi cosi come sono presenti nel polpaccio. 19

20 Tutto questo ci spiega l importanza della pompa muscolare del polpaccio sul sistema di svuotamento venoso e come patologie secondarie legate a sofferenza muscolare possono determinare l insorgenza della patologia venosa. Fig. 17 Fig

21 2. LE PATOLOGIE DEL SISTEMA VENOSO 2.1 L insufficienza venosa cronica La condizione fisiopatologica per la quale il sistema venoso non è in grado di svolgere adeguatamente la sua funzione di riportare in modo congruo il sangue al cuore, è definita: insufficienza venosa. L insufficienza venosa è una sindrome caratterizzata da un quadro clinico che va dalle semplici manifestazioni oggettive, quali pesantezza alle gambe, dolenzia in fase premestruale, soprattutto col primo caldo e durante la stagione estiva (flebopatia ipotonica), fino all espressione clinica tipica della flebopatia, costituita dalla presenza d edema, linfostasi fino al coinvolgimento cutaneo caratterizzato nella fase finale dall ulcera varicosa. Dal punto di vista nosologico le flebopatie possono essere suddivise in tre grandi gruppi: FLEBOPATIE ECTASIANTI o DILATATIVE ( varici primitive o secondarie) FLEBOPATIE OBLITERANTI (trombosi venosa profonda e tromboflebite superficiale) FLEBOPATIE FUNZIONALI ( flebopatia ipotonica costituzionale) A queste va aggiunto lo stato propriamente detto di insufficienza venosa cronica periferica comprendente tutte quelle manifestazioni fisiopatologiche di una malattia varicosa non trattata o le sequele di una trombosi venosa profonda ( S. posttrombotica). 2.2 Flebopatie ectasianti La varice per definizione è una dilatazione tortuosa o fusiforme del sistema venoso superficiale che si accompagna ad un alterazione emodinamica del ritorno venoso che è chiamato reflusso. (Fig. 1) Il reflusso è l inversione della corrente ematica all interno della vena che da centripeto diventa centrifugo a causa dell incontinenza dell apparato valvolare. 21

22 Fig. 1 - Varice Dal punto di vista etiopatogenetico le varici sono distinte in: Varici primitive o essenziali che compaiono ad un certo momento della vita senza apparente causa scatenante; l etiologia è sconosciuta anche se l ipotesi più accreditata è rappresentata da una disfunzione congenita valvolare e dall alterazione della componente elastica parietale su cui agiscono fattori facilitanti quali l obesità, la stipsi, l ortostatismo prolungato, la gravidanza e fattori endocrini. I meccanismi con cui agiscono i fattori facilitanti sono sostanzialmente rappresentati dall aumento della pressione endovenosa laterale, sia per aumento della pressione endoaddominale che per riduzione del tono elastico di parete. E stato inoltre dimostrato che la disfunzione della componente elastica trova ragione nella riduzione del tessuto collagene e in un alterazione degli enzimi che comportano un alterazione del metabolismo energetico e conseguente disfunzione dell attività contrattile dei miociti della parete venosa e relativa riduzione del tono parietale. In conclusione l ipotonia parietale sembrerebbe rappresentare l alterazione organica primitiva che causa l evoluzione della malattia varicosa. L aumento della pressione venosa laterale, legato all ipotonia della parete, aumenta il calibro della vena, creando una diastasi dei lembi valvolari, che divengono incontinenti causando il reflusso. Tale reflusso induce un aumento della pressione laterale, portando progressivamente ad un progressivo sfiancamento della parete, che diventa assottigliata e dilatata sino all assunzione della forma tortuosa o serpiginosa tipico di una varicosità. 22

23 Progressivamente il reflusso ematico e l incontinenza valvolare coinvolgono progressivamente distretti più caudali con dilatazione ed incontinenza di tutto l asse venoso. La fase finale di questa situazione emodinamica porta alla formazione di un reflusso sempre più lungo e ad una severa ipertensione venosa che si ripercuote maggiormente nel punto più declive dell arto inferiore, più specificamente alla regione perimalleolare. Nella fase iniziale della malattia il sistema profondo è ancora in grado di vicariare tale sovraccarico di sangue; ma col passare del tempo tale sovraccarico si estenderà al sistema delle perforanti che perderanno l efficienza del loro apparato valvolare creando un reflusso corto dal sistema profondo al superficiale. Tale circolazione privata, tra il circolo venoso profondo e superficiale, crea uno stato d ipertensione venosa anche nel circolo profondo che si ripercuote sul sistema venulare sottocutaneo dilatandolo. La fase successiva è il coinvolgimento del microcircolo con evidenza di marcata stasi venulare e capillare che darà luogo a tutta una serie di quadri clinici cutanei il cui evento finale sarà la lesione ulcerosa. Varici secondarie: comprendono le varici vicarie o post-trombotiche, secondaria a fistola A-V. varici displastiche. Le varici vicarie o post-trombotiche, sono così chiamate perché si formano a seguito di un ostacolo al deflusso venoso profondo; esse costituiscono la sequela di una trombosi venosa profonda. La presenza di una trombosi del circolo profondo provoca, infatti, un aumento della pressione nel distretto colpito che tenta di superare l ostacolo attivando dei circoli di supplenza attraverso vie collaterali. La parete di queste vene tenta di compensare il sovraccarico emodinamico con l aumento del tono venoso, la persistenza del sovraccarico determinerà una dilatazione della parete vasale, con susseguente incontinenza valvolare e formazione della varice. Il circolo di supplenza sarà valido fino a quando la vena mantiene un certo tono di parete. In seguito lo sfiancamento del vaso non riuscirà più a compensare il sovraccarico emodinamico, aggravando ulteriormente il quadro clinico, quindi la dilatazione dei circoli di supplenza con l incontinenza valvolare determinando il quadro di varice vicaria o post-trombotica. 23

24 Questa dal punto di vista morfologico si presenta rettilinea con pareti ispessite, mentre la varice essenziale è tortuosa, ed è limitata al tratto di vena sede dell ostruzione profonda. Le varici secondarie a fistola A-V sono la risultante del sovraccarico del sistema venoso superficiale dopo confezionamento di una fistola. Le varici angiodisplastiche sono da considerarsi "varici essenziali" legate ad un elevata alterazione del tessuto elastico della parete venosa. Si manifestano abbastanza precocemente e compaiono precocemente, colpiscono il territorio della v. safena accessoria ed hanno un andamento serpiginoso. Frequentemente si accompagnano a malformazioni arteriose. 2.3 Flebopatie obliteranti Comprendono le Trombosi venose profonde e le tromboflebiti superficiali. I termini usati in passato di flebotrombosi, per indicare la condizione di stasi ematica come l elemento di maggiore valenza nella formazione del trombo, e di tromboflebite per indicare l elemento flogistico ( trauma, sforzi muscolari, iniezioni) a carico della parete venosa come elemento primario, sono oggi superate, poiché è oggi noto che i fenomeni trombotici comportano sempre un attivazione dei fenomeni dell infiammazione. E quindi auspicabile definire come trombosi venosa profonda la patologia ostruttiva a carico del circolo venoso profondo, e con il termine di tromboflebite superficiale la sintomatologia clinica riguardante una vena del distretto superficiale che si presenta dolente, arrossata e alla palpazione è dura come un cordone Trombosi venosa profonda La trombosi venosa profonda è definita come un ostruzione totale o parziale da parte di un trombo a carico del circolo venoso profondo. Rappresenta una patologia severa, che merita attenzione per la possibilità delle gravi complicazioni che può dare come l embolia polmonare. (Fig. 2) Non è sempre facile porre diagnosi di TVP, poiché soltanto il 25% dei pazienti presentano segni e sintomi tipici, mentre nella stragrande maggioranza (75%) la trombosi decorre asintomatica. L incidenza annuale di embolia polmonare, 1-3/1000 individui per anno rende conto della necessità di giungere il più precocemente possibile alla diagnosi di TVP e di ricercare con ogni metodo di prevenire il tromboembolismo venoso su tutte quelle 24

25 categorie di pazienti a rischio come quelli sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore e/o pazienti con patologie internistiche, con malattie croniche sistemiche che predispongono alla stasi ematica venosa. Fig. 2 - TVP Dal punto di vista etiologico l insorgenza della TVP può ricondursi a tre cause elementari necessarie a scatenare l evento trombotico ( Triade di Virchow): Danno parietale (alterazione endoteliale); Rallentamento del flusso (stasi venosa in rapporto alla funzione della pompa muscolare e presenza di flusso turbolento a livello delle tasche valvolari); Ipercoagulabilità ematica (alterazione della coagulazione, della fibrinolisi, trombofilia). A questi vanno aggiunti fattori estrinseci rappresentati dalla chirurgia maggiore, età, allettamento prolungato, gravidanza, fattori endocrini, politrauma, ustioni estese, neoplasie, etc. Fisiopatologicamente, la compartecipazione di questi fattori (intrinseci ed estrinseci) porta alla formazione del trombo. Le sedi più frequenti sono rappresentate dalle tasche valvolari delle vene del polpaccio dove la corrente ematica è sottoposta a turbolenze durante il passaggio del sangue attraverso le cuspidi valvolari. 25

26 In queste sedi il rallentamento e la turbolenza del flusso creano le condizioni per l adesione d ammassi piastrinici e di fibrina alla parete dell endotelio con susseguente adesione d eritrociti in senso stratificato che da origine al trombo rosso che nel giro di circa 10 gg. si organizza occludendo il lume del vaso e subendo un processo d organizzazione con apposizione di tessuto di granulazione e fibroso. Il processo successivo di ricanalizzazione porta ad una distruzione di tutte le valvole del segmento venoso colpito, con presenza di tutte le complicanze successive ( stasi venosa incontinenza valvolare reflusso ipertensione venosa varici vicarie = S. posttrombotica). Va ricordato che il rischio d embolia polmonare è alto sino a quando il trombo non aderisce completamente alla parete, perciò i pazienti con TVP recente non vanno mobilizzati per congruo periodo di tempo. I sintomi e segni clinici della trombosi venosa profonda più comunemente rappresentati sono: 1. Edema localizzato o tumefazione dell intero arto; 2. Dolore spontaneo o provocato alle manovre di flesso-estensione o compressione delle masse muscolari definito segno di Homans e di Bauer (Fig. 3); 3. Evidenza di circoli venosi sottocutanei; 4. Aumento della temperatura locale. Fig. 3 - Segno di Homans e di Bauer La cianosi marcata (phlegmasia cerulea dolens), il pallore (phlegmasia alba dolens) o la presenza di una gangrena franca sono molto meno comuni. 26

27 Di norma più prossimale è il trombo e più intensi saranno i sintomi e segni fisici. La trombosi venosa può alle volte esordire con un iperpiressia d origine sconosciuta o con i sintomi dell embolia polmonare, in assenza di sintomi evidenti a livello dell arto Tromboflebiti superficiali Si definisce tromboflebite superficiale un processo trombotico coinvolgente una vena del sistema superficiale, associata a fenomeni infiammatori o flebite di parete. (Fig. 6) Fig. 6 - Tromboflebite La tromboflebite è una complicanza comune delle vene varicose, probabilmente perché la loro distensione e tortuosità li rende più vulnerabili al trauma locale. Le cause più frequenti sono: Esterne per trauma diretto o bendaggio troppo stretto; Interne per puntura venosa, posizionamento di cateteri, iniezione di mezzi di contrasto e sostanze ipertoniche; Infiammazione primitiva della parete venosa (alterazioni infiammatorie adiacenti ad una vena); Infiltrazione della parete venosa (neoplasie maligne); Alterazioni ematiche primitive (Trombocitopenia, anemia falciforme, policitemia). Dal punto di vista fisiopatologico si verificano tutte quelle condizioni che portano all alterazione dell endotelio venoso con formazione d edema infiltrato leucocitario e successivamente trombosi. I sintomi classici sono rappresentati da: 27

28 Dolore spontaneo; Arrossamento e presenza di un cordone duro e fibroso in corrispondenza del tratto venoso interessato; Aumento della temperatura locale. Di particolare interesse sono le tromboflebiti interessanti il territorio della grande safena per la possibilità di poter estendersi al sistema profondo e per tale motivo meritano particolare attenzione. La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi clinici. L indagine ultrasonografica, soprattutto l ecocolordoppler, permette di valutare la pervietà del circolo venoso profondo e l estensione del trombo nel caso di coinvolgimento della crosse safenica. 2.4 Diagnostica della trombosi venosa profonda Per anni oltre ai sintomi clinici, la flebografia è stato l unico mezzo diagnostico per confermare il sospetto di TVP. (Fig. 4) Essa rappresenta tuttora il gold standard per la diagnosi, ma i limiti rappresentati dall invasività e dalla difficoltà all esecuzione ne riducono l uso nella pratica clinica. L avvento e lo sviluppo delle metodiche ultrasonografiche rappresentate dal doppler c.w. e più particolarmente dall ecografia duplex, capace di abbinare la valutazione morfologica (ecografia) a quella emodinamica (doppler) hanno finito per rappresentare l esame di prima scelta nell approccio alla TVP, relegando la flebografia a quadri particolarmente complessi o in determinate situazioni a rischio. Fig. 4 - Flebografia 28

29 L indagine ultrasonografica rappresenta infatti una metodica sicura, ripetibile e di facile accesso ed è abbastanza sensibile e specifica nella diagnosi di trombosi venosa profonda. La tecnica d indagine è semplice e si basa sull insonorizzazione della vena profonda che si vuole studiare secondo punti di repere anatomici. (Fig. 5) Fig. 5 Ecocolordoppler La diagnosi si basa sulla dilatazione e sull incomprimibilità della vena interessata. Si pratica una semplice pressione con la sonda e se ne provoca il collabimento; se questo avviene vuol dire che il vaso è pervio essendo il sangue allo stato liquido; se è presente una formazione trombotica endoluminale, la vena risulterà totalmente o parzialmente incomprimibile e dilatata. Tale manovra è denominata CUS (Compression Ultrasonografy). L indagine ecoduplex ci permette di seguire l evoluzione della trombosi dalle fasi iniziali in cui il trombo è poco riflettente a quelle più tardive, dove si presenta più ecogeno; ci permette inoltre di valutare i lembi valvolari che in sede di trombosi appaiono immobili, e di monitorare l evoluzione successiva fino alla ricanalizzazione o di evidenziare quelle situazioni a rischio d embolia polmonare. La sensibilità dell esame si riduce nelle TVP di gamba e ancor di più nelle TVP asintomatiche distali. A tal proposito è stato proposto un algoritmo diagnostico che associa all ecografia per compressione, l esecuzione del dosaggio dei D-dimeri ( prodotto di degradazione specifico della fibrina). 29

30 Un ecografia per compressione normale, associata a D-Dimeri negativi, permette di escludere con ragionevole certezza una trombosi venosa profonda Trattamento della T.V.P. e tromboflebiti Il trattamento della trombosi venosa profonda persegue contemporaneamente diversi obiettivi: impedire l estensione del processo ai tronchi prossimali; prevenire l embolia polmonare; limitare i danni provocati dalle complicazioni della trombosi; ridurre la sintomatologia. Prima di intraprendere una terapia farmacologica è bene che il soggetto adotti un adeguata elastocompressione, sia nella forma del bendaggio che del tutore elastico, che va mantenuta almeno sino alla sospensione degli anticoagulanti orali. Il bendaggio compressivo aumenta l aderenza dell eventuale trombo alla parete venosa, a condizione che non oltrepassi il limite superiore del bendaggio; uno studio di Partsch e coll. del 1997 mostra una minore incidenza di episodi embolici se trattati con bendaggio, terapia eparinica e mobilizzazione rispetto alla sola terapia eparinica. Per limitare la sintomatologia è consigliato l uso di antinfiammatori non steroidei, così come le sostanze estrattive ad azione antiedemigena e flebotropa (es. diosmina, rutosidi, ecc.). L indicazione della terapia anticoagulante è imperativa in pazienti con trombosi venosa profonda prossimale accertata, con rischio di embolia polmonare. La terapia anticoagulante và coadiuvata dall eparina a basso peso molecolare che ci permette di trattare tutti i casi di T.V.P. distale, oltre a proteggere il soggetto da rischi prima che si stabilisca il range terapeutico con un I.N.R. compreso tra 2 3. Questo supporto farmacologico di eparina a basso peso molecolare e anticoagulante viene definita imbricatura. Nelle tromboflebiti superficiali si consiglia nella prima fase l elastocompressione con bendaggio all ossido di zinco (antinfiammatorio e lenitivo), in associazione alla terapia medica già descritta per la T.V.P ad eccezione della terapia anticoagulante orale. La terapia antibiotica nella T.V.P. e nella tromboflebite superficiale non ha nessun fondamento scientifico. 30

31 2.6 Sindrome Post-Flebitica E definita con il termine di Sindrome post-flebitica (SPF) quel complesso di sintomi, localizzati agli arti inferiori, ad andamento cronico ed ingravescente tra i quali predominano l edema, il dolore e le alterazioni trofiche tissutali, conseguenti ad un episodio di trombosi delle vene profonde degli arti inferiori. L ostruzione del circolo venoso profondo e la vicariante dilatazione del circolo venoso superficiale rappresenta il fulcro di tutto il danno emodinamico che si concretizza in un insufficienza valvolare secondaria (insufficienza valvolare profonda, superficiale e delle perforanti) e rappresenta l origine dello squilibrio emodinamico e metabolico della SPF. Lo scompenso emodinamico (macro e microcircolatorio) inizia a varia distanza di tempo dall episodio di TVP e dipende essenzialmente dalla sede dell evento trombotico, dalla sua estensione, dalla validità dei circoli di supplenza, dall entità della ricanalizzazione (o dalla sua assenza), dal trattamento instaurato configurandosi quindi come un entità clinica molto variabile con segni e sintomi in parte comuni ed in parte dipendenti anche dai fattori aggravanti. Fattori aggravanti sono considerati tutti quelli tendenti ad incrementare la stasi venosa, quali l obesità, la sedentarietà, la gravidanza, la stipsi cronica ecc. Obiettivamente l arto interessato si presenta edematoso, con zone discromiche specie a livello delle perforanti di Cockett (atrofia cutanea, dermite ocra ecc.); frequente la comparsa di una dermoipodermite, di un eczema cronico, di un indurimento fibroso delle zone distali mediali (panniculopatia edemato-fibrosclerotica). L ulcera flebostatica rappresenta l esito finale di una patologia così complessa e dipende dallo scompenso metabolico del microcircolo di tipo ipossico (vedi capitolo sull ulcera). 2.7 Flebopatia ipotonica costituzionale Con questo termine ci si riferisce a quell evidenza clinica caratterizzata dalla presenza di sintomatologia flebostatica in assenza d alterazioni anatomiche. Fisiopatologicamente è caratterizzata dalla presenza di una congenita ipotonia della parete venosa con riduzione del tono venoso che si manifesta maggiormente dopo stazione eretta prolungata ma con normale deflusso del sangue in ortodinamismo. E caratterizzata clinicamente da senso di pesantezza in ortostatismo, sub-edema serotino, crampi notturni. 31

32 Le cause più frequenti che inducono tale sintomatologia sono determinati da fattori slatentizzanti quali l obesità, la stipsi, la gravidanza e la contraccezione. Nelle donne ha la massima espressione nel secondo decennio di vita e diventa sintomatica alla terza decade probabilmente in rapporto con le gravidanze; nel sesso maschile si pensa possa essere messo in relazione con la riduzione dell attività fisica e con l obesità. 32

33 3. La prevenzione e il trattamento delle patologie flebologiche L insufficienza venosa cronica periferica, consequenza di una malattia varicosa scompensata o di una Trombosi Venosa Profonda (SPF), necessitano di particolare attenzione in modo da prevenire ulteriori complicanze come le ulcere. Il trattamento della malattia di base deve mirare alla prevenzione e consta di diverse fasi quali: a) le norme igieniche o educazione sanitaria; b) l elastocompressione; c) la farmacoterapia. 3.1 Norme Igieniche La farmacoterapia, pur avendo una sicura efficacia, non può rappresentare la soluzione unica e definitiva per la guarigione ma deve essere accompagnata da comportamenti igienico-sanitari atti a contrastare gli aspetti patogenetici della malattia. Il ruolo dell infermiere diviene di fondamentale importanza sia nell applicazione della terapia che nell opera di convincimento della necessaria correzione di abitudini sbagliate. Oltre alla responsabilità diretta della medicazione e dell esecuzione del bendaggio elastocompressivo bisogna sottolineare che questa patologia necessita di una terapia a medio-lungo termine, consentendo al personale infermieristico una conoscenza approfondita della psicologia dell utente e della sua volontà e capacità di mantenere e seguire le indicazioni elastocompressive ed igienico-sanitarie che risultano importantissime nella prevenzione delle recidive dell ulcera. Assumere comportamenti sbagliati fa parte integrante della patologia vascolare in genere, ad esempio il paziente arteriopatico pur di evitare l insorgenza del dolore durante la deambulazione assume abitudini sedentarie, chi soffre di patologie flebolinfatiche, superato il momento di acuzia tende ad abbandonare le necessarie precauzioni che comportano impegno e sacrifici anche economici. E nostro obbligo quindi avere una conoscenza il più possibile approfondita delle problematiche legate alla patologia vascolare, non trascurandone gli aspetti etiopatogenetici e le possibilità evolutive, cercando di motivare l utente nel proseguire la terapia oltre e al di là dell evento acuto, pronti a risolverne gli inevitabili dubbi e a fugarne le incertezze. 33

34 In questo contesto si inseriscono le norme igienico-sanitarie che quando, e solo quando vengono applicate, costituiscono la parte principale e preminente dell educazione sanitaria. L igiene personale è fondamentale per ogni individuo, ma diventa ancora più importante quando sono presenti lesioni trofiche degli arti inferiori. Nella fase attiva dell ulcera NON è opportuno che la persona si sottoponga a bagni in vasca o a docce, perché il pericolo d infezione legato alla penetrazione di sostanze estranee all interno della medicazione è assai elevato. E indicata una toilette quotidiana dell arto interessato dall ulcera purché sia delicata ed avvenga con l ausilio di una morbida spugna, con l uso di acqua tiepida e detergenti privi di alcool e con profumi. Sarà opportuno consigliare alla persona di effettuare bagni in vasca o in doccia solo a completa guarigione, dopo una settimana per permettere un maggior rinvigorimento della cute insultata, raccomandando di asciugare attentamente l arto con asciugamani morbidi e di non strofinare la cute. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla cura dell igiene dei piedi soprattutto negli spazi interdigitali poiché spesso risultano essere sede di complicanze infettive, evitando di asportare le pellicole cutanee, e alla cura delle unghie. Dopo il bagno e comunque almeno una volta al giorno suggerire di idratare la cute della gamba con prodotti privi di alcool e con profumi (es.: olio di mandorle, pasta all acqua, vaselina, lanolina). Il sovrappeso oltre che da un punto di vista generale, risulta dannoso anche alle gambe per diversi motivi quali: - rende meno efficiente il ritorno venoso per un deficit della pompa respiratoria aspirante; - rende più faticoso il cammino ed ogni esercizio muscolare, fino a favorire la vita sedentaria. Sarà quindi di estrema importanza la prescrizione di un regime alimentare idoneo a spezzare quel circolo vizioso che normalmente lega peso ed attività motoria ed incentivare il raggiungimento o mantenimento del peso-forma. L alimentazione è un aspetto spesso sottovalutato nei soggetti in età avanzata. Una dieta ricca di vegetali e ad alto contenuto di fibre è da raccomandare al fine di tenere regolato l intestino ed evitare la stitichezza per le conseguenze negative sul sistema venoso (aumento della pressione endoaddominale). 34

35 Importantissima appare anche una corretta ed adeguata idratazione con la costante assunzione di liquidi (preferibilmente acqua) in modo da ripristinare o mantenere una normale volemia e favorire l escrezione renale dei liquidi con conseguente riduzione dell edema linfatico. Il fumo è uno dei fattori di rischio più importanti da eliminare nelle patologie arteriose e flebolinfatiche in quanto agisce negativamente in più elementi. In primo luogo riduce l efficienza dei due meccanismi che facilitano il ritorno del sangue venoso al cuore, ovvero la pompa cardiaca e l espansione del torace, che agisce da pompa aspirante sul circolo venoso. Il fumo di sigaretta, inoltre, presenta un potente effetto vasocostrittore sulle piccole arteriole aumentando tra l altro la pressione arteriosa con conseguenti danni endoteliali e incremento delle resistenze periferiche. Altro elemento è il distretto microcircolatorio ove riduce sensibilmente l ossigenazione dei distretti più periferici oltre che a carico dell apparato muscolatorio. L abbigliamento gli indumenti devono essere comodi, ampi e non devono essere troppo stretti poiché costituiscono un ostacolo ad un normale ritorno venoso del sangue verso il cuore. Sono da abolire tutti gli indumenti elastici e costrittivi che fasciano l addome e le gambe come guaine, calze autoreggenti, jeans troppo attillati oltre agli stivali (inibiscono il ritorno venoso a livello di polpaccio e non permettono l attivazione della pompa muscolare). Le calzature sono da abolire tacchi troppo alti o troppo bassi; infatti ai soggetti con flebopatie si consiglia l uso di scarpe con tacco di 3-5 cm. Il deficit di pompa plantare può essere favorito anche da difetti posturali o malformazioni del piede, quali il piede piatto, il piede cavo, il valgismo o varismo, oltre alle patologie artrosiche delle dita. In presenza di tali situazioni, che possono essere messe in evidenza dal consumo eccessivo della suola delle scarpe o da callosità sotto la pianta del piede, è bene effettuare la correzione con la prescrizione da parte del medico specialista di plantari correttivi. Un altra attenzione va data all uso di scarpe con lacci; è bene che non compaiono segni sulla cute del piede oltre ad eventuali processi di ischemia nei soggetti arteriopatici o con scarsa sensibilità tipica dei soggetti diabetici. 35

36 Per quanto riguarda la moda femminile, le scarpe a tacco alto e punta stretta sono un concentrato di tutti gli errori possibili: azione della muscolatura del polpaccio pressoché abolita; calcagno non fornisce un sostegno sufficiente con ripercussioni negative sull articolazione della caviglia; le ossa metatarsali non sono sostenute lateralmente e tendono ad allargarsi; le teste metatarsali sono eccessivamente verticali e sono schiacciate contro la suola; le dita sono compresse entro la punta della scarpa e non partecipano al movimento e alla spremitura della Suola di Lejar. Sarà pertanto utile consigliare l utilizzo di scarpe con suola ampia, comode, con un tacco a base larga non superiore a 5 cm, possibilmente in materiali naturali come cuoio e pelle per consentire una buona traspirazione. Le fonti di calore: il calore eccessivo tende a dilatare la parete delle vene quindi sarà opportuno evitare l esposizione diretta e prolungata delle gambe a stufe, radiatori, scaldaletti, ecc. E bene rinunciare a fare bagni in acqua calda come anche la sauna, l idromassaggio e le cure balneotermali, preferire sempre la doccia. Il sole: l esposizione diretta delle gambe al sole d estate è da evitare per la dilatazione delle pareti dei vasi. Al mare, risulta molto utile raffreddare frequentemente le gambe con immersioni in acqua o con docce fredde, che hanno un effetto tonificante sulla parete delle vene. Sono assolutamente vietate le sabbiature o il coprire con indumenti o con asciugamani per impedire il diretto irraggiamento della luce solare in quanto si produce un effetto sauna. Si consiglia di fare lunghe passeggiate in acqua fino alla vita o comunque sopra il ginocchio. La posizione di riposo: durante il riposo è opportuno adottare un decubito antideclive, mantenendo i piedi lievemente più in alto rispetto al bacino, evitando però di lasciare senza appoggio l articolazione del ginocchio perché provocherebbe, a livello del cavo popliteo, uno stiramento ed una compressione della vena omonima. Negli stadi avanzati con edema, il decubito antideclive dovrà realizzarsi anche durante il riposo notturno, sollevando di 5 10 centimetri i piedi del letto. Il cuscino sotto i piedi, oltre a risultare scomodo per il paziente, non ha alcun significato terapeutico. 36

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