Le produzioni sulle aree agricole e marginali

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1 Le produzioni sulle aree agricole e marginali L evoluzione della Politica agricola comunitaria ha aperto scenari fino a qualche anno fa impensabili per l azienda agricola. All originario imperativo produrre di più si sono aggiunti i nuovi obiettivi produrre meglio e produrre altro in un mercato sempre più globale dove nuove opportunità di reddito sono legate all offerta di prodotti e di servizi di elevata qualità, connessi al rispetto dei fondamentali vincoli ambientali che caratterizzano i principi dello sviluppo sostenibile. Ecco quindi che le attività forestali e agroforestali tornano ad avere spazio nelle aziende agricole. I possibili interventi da realizzare nell ambito delle aree marginali del territorio del GAL MERIDAUNIA, possono essere cosi riassunti: arboreti da legno con impianti di specie a legname di pregio ; impianti per la produzione di biomassa a fini energetici SRF (Short rotation forestry); coltivazione di piante officinali; coltivazione di piccoli frutti; coltivazione di tartufi; produzione di funghi spontanei; allevamenti alternativi. ARBORICOLTURA DA LEGNO CON IMPIANTI DI LATIFOGLIE A LEGNAME DI PREGIO L'industria è sempre costretta a importare legname e l'abbandono dei terreni agricoli è in costante aumento, in tale contesto l'arboricoltura da legno con latifoglie di pregio può rappresentare un valido investimento, riducendo l'importazione di legname e contribuendo a migliorare l'ambiente. Le latifoglie a legname pregiato utilizzate sono molte: noce comune, ciliegio selvatico, acero montano, frassino maggiore, frassino meridionale, sorbo domestico, ecc.., ma l'attenzione è incentrata soprattutto sul noce comune per il maggiore valore del legname.

2 L'uso di piante idonee alle caratteristiche locali del clima e del terreno, l'attenta progettazione delle consociazioni e dei sistemi d'impianto sono le premesse per la buona riuscita degli impianti. Nella scelta delle aree e delle specie da utilizzare, bisogna porre particolare attenzione alle caratteristiche fisiche, alla profondità e alla stratificazione del terreno. Questi parametri possono influire in modo determinante sulla crescita delle piante arboree. I terreni argillosi e pesanti sono assai sfavorevoli soprattutto per la crescita delle specie più esigenti (es. noce e ciliegio), mentre i suoli molto superficiali sono totalmente inadatti all'arboricoltura da legno. La presenza di orizzonti sottosuperficiali più compatti e poco permeabili (es. suola di lavorazione) può ostacolare la penetrazione delle radici e determinare periodi di asfissia radicale anche in suoli non particolarmente argillosi. Se tali difetti non possono essere eliminati o mitigati con opportune lavorazioni ed sistemazioni pre-impianto, le aree devono essere scartate, o, al massimo, destinate alle specie meno esigenti. Gli impianti monospecifici sono oggetto di molte critiche perché richiedono alti apporti di energia sussidiaria, sono sistemi instabili, in quanto, nel momento in cui subiscono stress ambientali, diventano vulnerabili alle malattie, alla competizione, al parassitismo e alla predazione. Per ridurre gli aspetti negativi della monocoltura si tende a realizzare impianti plurispecifici o misti, caratterizzati dalla presenza sulla stessa superficie di una specie "principale" che di solito è una specie a legname pregiato e una di "accompagnamento", sia albero che arbusto, il cui scopo è quello di svolgere un'azione benefica a vantaggio della principale. Questi benefici consistono nel: maggiore sviluppo in altezza del fusto; contenimento della ramificazione; miglioramenti del suolo sia per apporti di lettiera che per la fissazione biologica di Azoto che può ridurre al necessità di riduzione delle concimazioni azotate; ottenimento di eventuali prodotti integrativi: frutti, miele, ecc.; maggiori incrementi iniziali in diametro e altezza della specie principale rispetto agli impianti monospecifici; maggiore stabilità biologica. Riguardo alle potenzialità produttive degli impianti, per il noce comune, sono state rilevate nell'italia centrale produzioni unitarie, riferita al solo tronco da lavoro, comprese tra 25 e 50 m3 a 16 anni, tra 30 e 55 m3 a 20 anni e tra 35 e 60 m3 a 26 anni, pari a incrementi medi annui di 1-3 m3. Il ciliegio è specie a rapido accrescimento, almeno in

3 fase giovanile: l'accrescimento è elevato fino a 20 anni in altezza e fino a 50 in diametro. Sono stimati incrementi medi annui di 4-5 m3. Oltre all'aspetto quantitativo occorre tener presente anche della qualità: il valore degli assortimenti varia non solo in relazione alle dimensioni. Così, i fusti più apprezzati non sono solo quelli, dritti, lunghi almeno 3 m, con diametro maggiore di 30 cm, ma anche quelli senza nodi, danni meccanici, attacchi parassitari, rami laterali, innesti e fibra storta. Il Piano di Sviluppo Rurale (Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 114 del ), prevede la realizzazione di impianti di arboreti da legno su terreni con buona fertilità, sufficiente franco di coltivazione (almeno 100 cm) e con disponibilità irrigue. Questi impianti sono da considerarsi colture legnose agrarie finalizzate alla produzione di legname e come tali rientranti nella definizione di arboricoltura da legno di cui all art. 2, comma 5, del D. Lgs. 227/2001 Orientamento e modernizzazione del settore forestale. Pertanto non sono considerati boschi e neppure soggetti ai vincoli che la legislazione pone sui boschi. Gli interventi previsti dovranno in ogni caso rispettare la tutela dell ambiente e in particolare garantire l integrità dei siti della Rete Natura 2000 (Direttiva 79/409/CEE - Uccelli selvatici e Direttiva 92/43/CEE - Habitat). Gli impianti dovranno essere effettuati con materiale di propagazione compatibile con le condizioni pedoclimatiche dell area interessata e secondo le prescrizioni della normativa europea in materia di commercializzazione di semi o piante forestali. Il materiale di propagazione, appartenente a specie vegetali per le quali la normativa vigente lo preveda, dovrà essere munito della certificazione relativa alla provenienza o all identità (L. 269/1973 e s.m.i., D. Lgs. 386/2003) e, per le specie che lo richiedono, anche della certificazione riferita allo stato fitosanitario (passaporto verde). Gli impianti dovranno essere costituiti da popolamenti arborei di latifoglie, governati ad alto fusto, con turno superiore a 20 anni. Al fine di consentire un adeguato sviluppo delle specie di maggior pregio (principali) e di assicurare nel contempo un sufficiente grado di naturalità, deve essere realizzata preferibilmente la consociazione di specie accessorie associate a quelle principali. Le specie arboree principali, ovvero quelle che raggiungeranno la fine del turno e forniranno la maggior parte del reddito, devono essere in grado di produrre legname prevalentemente per segati e/o tranciatura.

4 La superficie minima dovrà essere di almeno 1 ettaro, con corpi di almeno 0,5 ettari. La superficie minima su cui realizzare gli impianti deve calcolarsi al netto di eventuali tare esistenti (es. strade, capezzagne, fabbricati, canali, boschi, siepi, filari ecc.). La superficie dell impianto deve essere omogenea e ravvicinata, cioè un qualsiasi e singolo corpo che compone l impianto, al netto di tare di qualsiasi tipo, deve trovarsi ad una distanza non superiore ai 200 metri da almeno un altro corpo dell impianto stesso. In ogni caso, l area oggetto di intervento deve presentare caratteristiche ecologiche, ambientali ed economiche adatte all impianto e all accrescimento della piantagione. principali). La densità minima d'impianto dovrà essere di 400 piante/ettaro (specie arboree IMPIANTI PER LA PRODUZIONE DI BIOMASSA A FINI ENERGETICI SRF (SHORT ROTATION FORESTRY) Oggi la ricerca insaziabile di energia porta un rinnovato interesse verso il legnoenergia. Ecco quindi la coltivazione short rotation forestry (SRF), ossia impianti di colture legnose a turno breve, un mix di coltura agronomica e forestale: si coltivano piante legnose a rapido accrescimento (arboree o arbustive) destinate a fornire biomassa per la produzione di energia elettrica e/o termica. La realizzazione di un impianto SRF comporta la necessaria presenza di alcuni fattori indispensabili per la realizzazione della filiera di produzione di biomassa per la trasformazione in energia, in particolare, la domanda di mercato del prodotto finale. Le coltivazioni legnose di biomassa sono impianti di specie forestali a rapido accrescimento, per lo più pioppo, salice, eucalipto e robinia, con impianto ad elevata densità (oltre 5000 piante per ettaro) con turni che vanno dai 2 ai anni. Nel territorio del GAL, occorre realizzare impianti a più alta sostenibilità ambientale, con potenzialità produttive medio alte, le cui caratteristiche sono: impianto a struttura iniziale a densità media (1500 piante/ha); composizione multispecifica, di specie con ritmi di accrescimento differenziati; turni medi (4-12 anni); polifunzionalità degli impianti; meccanizazione medio bassa. La funzione principale di questi impianti è quella di produrre biomassa legnosa sotto forma di cippato, di legna in pezzi o di ambedue gli assortimenti. Un esempio di ceduo a media rotazione che potrebbe essere realizzato: specie impiegate: frassino meridionale, olmo campestre e platano ibrido; turno per il platano e l olmo: 5 anni, per il frassino meridionale: 6-7 anni; mescolanza delle specie impiegate per piccoli gruppi.

5 Il Piano di Sviluppo Rurale (Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 114 del ), prevede la realizzazione impianti di specie forestali a rapido accrescimento a fini energetici. Questi impianti sono da considerarsi colture legnose agrarie finalizzate alla produzione di biomassa e come tali rientranti nella definizione di arboricoltura da legno di cui all art. 2, comma 5, del D. Lgs. 227/2001 Orientamento e modernizzazione del settore forestale. Pertanto non sono considerati boschi e neppure soggetti ai vincoli che la legislazione pone sui boschi. Gli interventi previsti dovranno in ogni caso rispettare la tutela dell ambiente e in particolare garantire l integrità dei siti della Rete Natura 2000 (Direttiva 79/409/CEE - Uccelli selvatici e Direttiva 92/43/CEE - Habitat). Gli impianti dovranno essere effettuati con materiale di propagazione compatibile con le condizioni pedoclimatiche dell area interessata e secondo le prescrizioni della normativa europea in materia di commercializzazione di semi o piante forestali. Il materiale di propagazione, appartenente a specie vegetali per le quali la normativa vigente lo preveda, dovrà essere munito della certificazione relativa alla provenienza o all identità (L. 269/1973 e s.m.i., D. Lgs. 386/2003) e, per le specie che lo richiedono, anche della certificazione riferita allo stato fitosanitario (passaporto verde). Gli impianti dovranno essere costituiti da popolamenti arborei di latifoglie e/o conifere, a rapido accrescimento e turno inferiore a 15 anni. Sono considerate specie a rapido accrescimento, infatti, quelle che, nella stazione di impianto, giungono a maturità con un turno inferiore a 15 anni. La superficie minima dovrà essere di almeno 1 ettaro, con corpi di almeno 0,5 ettari. La superficie minima su cui realizzare gli impianti deve calcolarsi al netto di eventuali tare esistenti (es. strade, capezzagne, fabbricati, canali, boschi, siepi, filari ecc.). La superficie dell impianto deve essere omogenea e ravvicinata, cioè un qualsiasi e singolo corpo che compone l impianto, al netto di tare di qualsiasi tipo, deve trovarsi ad una distanza non superiore ai 200 metri da almeno un altro corpo dell impianto stesso. In ogni caso, l area oggetto di intervento deve presentare caratteristiche ecologiche, ambientali ed economiche adatte all impianto e all accrescimento della piantagione. La densità minima d'impianto dovrà essere di 400 piante/ettaro (specie arboree principali).

6 COLTIVAZIONE DI PIANTE OFFICINALI Il consumo di piante medicinali ed aromatiche da parte dell industria farmaceutica, alimentare, liquoristica, cosmetica ed erboristica è in continuo aumento in tutto il mondo. Nel nostro paese, mentre il settore della trasformazione e di quello della commercializzazione dei prodotti finiti hanno fatto registrare negli ultimi anni un notevole incremento (il consumo annuo di piante medicinali ed aromatiche coltivabili in Italia è stimato in circa 100/120 milioni di euro, dati ASSOERBE), quello della coltivazione stenta a svilupparsi e la superficie investita in Italia a piante officinali erbacee rimane modesta (circa ha). Ciò dipende dal fatto che la produzione Italiana di piante medicinali ed aromatiche deve confrontarsi per qualità e prezzo con quella di altri Paesi, specialmente dell'europa dell Est e di quelli in via di sviluppo, dai quali proviene circa il 70% delle erbe consumate nel nostro paese. I maggiori produttori, in campo mondiale di piante medicinali ed aromatiche coltivabili anche in Italia sono: Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Jugoslavia, Macedonia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Turchia, Ungheria, Egitto, Marocco, Tunisia, Cina, India, Pakistan, Argentina, Brasile, Cile, Messico, Centro America, ecc. Il fatto che il 70% del fabbisogno nazionale di erbe venga importato, porta a dedurre che in Italia ci dovrebbero essere buone possibilità di incrementare le coltivazioni di piante medicinali ed aromatiche e numerosi produttori agricoli vedono nelle coltivazioni di queste piante delle nuove opportunità che si augurano più remunerative di quelle tradizionali. Prima di intraprendere questo tipo di attività è tuttavia opportuno tenere conto di alcune condizioni di fattibilità. A causa dell elevato numero di specie officinali richieste dal mercato ed in considerazione delle diverse situazioni pedoclimatiche ed aziendali si dovrà valutare caso per caso quali siano le specie più adatte ad essere coltivate. Fra le specie che più si adattano alle condizioni pedoclimatiche caratteristiche dei nostri boschi (e che in alcuni casi vi crescono spontaneamente) ci sono: Sambucus nigra L., Viola odorata L., Primula officinalis (L.) Hill., Galium odoratum (L.) Scop, Glechoma hederacea L., Aegopodium podagraria L., Convallaria majalis L., Vinca maior L., Vinca minor L., Buxus sempervirens L., Hedera helix L. Una volta definite le possibili piante coltivabili nell azienda occorrerà valutarne le possibilità di vendita e la remuneratività prendendo contatti con le ditte di commercializzazione oppure con le industrie di trasformazione che possono acquistare le piante essiccate oppure i prodotti semilavorati.

7 In breve, non si dovrà mai coltivare senza conoscere la possibile via di commercializzazione ed i prezzi minimi che si possono realizzare oppure si dovrà ipotizzare, oltre alla coltivazione, la trasformazione in azienda e la vendita in mercati di nicchia, che, in realtà particolari, possono rivelarsi abbastanza remunerativi. Sono da escludere terreni infestati da erbe perenni, troppo sassosi oppure troppo argillosi, ma si scelgano i terreni migliori come quelli che si usano per le colture orticole. In caso di terreni incolti si tenga presente che i migliori sono quelli che sono stati precedentemente coltivati a prato stabile polifita. Le attrezzature necessarie alla coltivazioni sono quelle che si usano normalmente per una coltivazione orticola specializzata. La coltivazione delle piante officinali richiede per lo più un elevato impiego di manodopera, che fa lievitare i costi di produzione. Se la manodopera impiegata fa parte dell'impresa coltivatrice (è il caso delle piccole aziende famigliari) essa creerà un redddito da lavoro interno all'azienda, ma se si deve ricorrere a manodopera esterna, essa contribuirà ad elevare i costi di produzione. Per cui, nel programmare le coltivazioni officinali, la manodopera è uno degli elementi fondamentali che può determinare le scelte di chi si accinge a coltivare. L'azienda produttrice può avere diversi indirizzi: - ottenere piantine da vendere sul mercato vivaistico ad altre aziende coltivatrici - produrre erbe fresche da vendere sui mercati ortofrutticoli - ottenere piante o loro parti aeree essiccate da destinare all'erboristeria oppure alle industrie estrattive - produrre radici, tuberi, rizomi essiccati - ottenere olii essenziali Le macchine necessarie alla produzione di qualsiasi gruppo di piante sopra elencato, sono in dotazione alle comuni aziende orticole e cioè quelle che servono alla preparazione del terreno (trattrice, aratro, erpice) all esecuzione delle operazioni colturali (seminatrici, trapiantatrici) ed al mantenimento delle colture (zappatrici, sarchiatrici multiple, motocoltivatori per la lavorazione interfila) il cui numero e la cui potenza dipenderà dall'indirizzo e della dimensione aziendale. Per produrre piantine da trapianto (primo indirizzo) sono necessari: - semenzaio a letto caldo, tunnel con copertura in film plastico oppure serre con le principali attrezzature (irrigazione, riscaldamento, ecc.)

8 Per la produzione di erbe fresche si può fare riferimento a quelle attrezzature largamente usate dalle aziende che producono per esempio basilico: seminatrici di precisione per semina in cellette o contenitori alveolari, serre, ecc. Per la produzione di erbe essiccate e di radici, che è il caso più frequente, oltre alla attrezzature per la coltivazione, saranno necessarie le seguenti macchine: - raccoglitrici dimensionate alla grandezza delle superfici coltivate - essiccatoio (che è l'attrezzatura fondamentale) - taglierina per tagliare le erbe o le radici prima o dopo la essiccazione - selezionatrice per ottenere diversi tipi di assortimenti commerciali - macchine di pressaggio del prodotto secco e di confezionamento in balle - magazzini adeguati allo stoccaggio dalle piante medicinali e/o aromatiche prodotte. Per la produzione di olii essenziali (di menta, lavanda, timo, ecc.) è naturalmente necessario un distillatore, che solitamente è un'attrezzatura molto costosa Per la produzione di semi (anice, finocchio, cardo mariano, coriandolo, ecc.) è fondamentale disporre della seguente attrezzatura: - seminatrici di precisione con possibilità di semina da 13 a 70 cm - trebbiatrici (possono essere adottate quelle usuali con modifiche a seconda dei tipo di seme da produrre) - aree di essiccazione - magazzino Come si può notare da quanto detto finora, la coltivazione delle piante officinali richiede un investimento in macchinari più elevato rispetto alle colture tradizionali perché rispetto a queste ultime necessitano di un grado di trasformazione più o meno spinto. Un fattore che può contenere i costi di produzione è la disponibilità di manodopera aziendale. La produzione agricola a basso costo di mano d'opera è tipica delle famiglie coltivatrici. In caso contrario l alto costo della mano d'opera salariata rende spesso improponibile ogni tipo di coltivazione, a meno che il ricorso a quest ultima non sia limitato al massimo, grazie ad un elevata tecnologia ed alla realizzazione di adeguate economie di scala, il chè tuttavia comporta investimenti in macchinari molto elevati. I macchinari per la raccolta e/o trasformazione delle piante officinali (separatrici foglie/fusti, trance per taglio tisana ecc.) sono nella maggioranza dei casi di produzione straniera e quindi molto costosi e non sempre facili da procurare. Una soluzione per

9 ovviare agli alti costi è quella di modificare o da soli o con l aiuto di meccanici specializzati, macchine agricole destinate ad altre piante o alla lavorazione di altri prodotti. I prezzi ottenibili per le piante medicinali ed aromatiche coltivate sono sempre correlati alla qualità del prodotto. Come scelta strategica e competitiva (superiore qualità dei prodotti e quindi prezzi di vendita più remunerativi), è opportuno adottare tecniche di coltivazione biologiche e/o biodinamiche. Tuttavia occorre tener conto che entrambe comportano costi di produzione, nonché capacità tecniche di gestione delle colture e dell impresa più onerosi rispetto a quella convenzionale. Le piante medicinali ed aromatiche per essere commerciabili devono inoltre possedere i seguenti requisiti: - residui tossici (diserbanti, pesticidi, ecc.) nei limiti di legge; - assenza di impurezze e contaminanti; - sufficiente essiccazione del prodotto; - carica batterica nei limiti di legge; - aflatossine nei limiti di legge; - metalli pesanti nei limiti di legge; - contenuto di principi attivi secondo farmacopea o monografie relative al prodotto. Queste caratteristiche possono essere ottenute solo con un alta specializzazione ed adeguati macchinari di trasformazione ed ambienti di conservazione. La resa agronomica è molto influenzata dalla specie coltivata e dal tipo di prodotto che si vuol ottenere. Ad esempio un ettaro di camomilla fornisce in media 6 q di capoloni essiccati, un ettaro di menta circa 70 kg di olio essenziale ed un ettaro di lino q di semi. Nelle nostre zone dove la durata del periodo vegetativo è maggiore, la presenza dell irrigazione permette di aumentare la produzione di massa verde e quindi di eseguire più tagli. Inoltre, grazie alle temperature più elevate, i costi dell essiccazione sono minori. Relativamente ai prezzi, quelli praticati dai grossisti fanno riferimento al prezzo praticato a livello internazionale e per tanto sono bassi (in media 1, 5 /kg di prodotto secco). Il prezzo poi, a causa delle dimensioni intrinseche del comparto, in relazione ai quantitativi di prodotto commercializzato a livello mondiale, è soggetto a notevoli oscillazioni cicliche collegate alla disponibilità dell offerta. Ogni iniziativa di coltivazione, non dovrà tenere conto dei prezzi momentanei, specialmente se sono alti, ma dei prezzi medi avuti negli ultimi anni.

10 Lo sbocco commerciale di produzioni elevate potranno essere indifferentemente le industrie farmaceutiche, alimentari, liquoristiche, cosmetiche ed erboristiche Occorre tuttavia tener conto che mentre l offerta delle officinali è piuttosto polverizzata, il commercio delle medesime è in mano a pochi grossisti, concentrati nel nord Italia. Nella maggior parte dei casi le partite trattate, a questi livelli, sono decisamente consistenti. In caso di grosse produzioni, per potere avere la certezza del collocamento del prodotto ottenuto, prima di iniziare a coltivare, è necessario concludere un contratto di vendita con i potenziali acquirenti. Da parte dell industria tuttavia, una programmazione nel lungo periodo è oltremodo difficile, verificandosi spesso variazioni notevoli per prezzo, quantità e qualità da un raccolto all altro. Qualora si intenda avvalersi di questo canale commerciale è indispensabile assicurarsi preliminarmente con adeguati contratti di coltivazione, che prevedano il ritiro del prodotto, e (come già anticipato) ipotizzare grossi investimenti sia per quanto riguarda le superfici che si intendono destinare alla coltivazione di piante officinali, sia per quanto riguarda l aspetto finanziario collegato (adeguamento aziendale con attrezzature specifiche). In questo caso è consigliabile produrre piante medicinali ed aromatiche di consumo consolidato. Le maggiori richieste di informazioni sulle possibilità di coltivazione di piante medicinali piante medicinali ed aromatiche provengono però da aziende agricole situate in zone collinari e montane che dispongono di piccole superfici di terreno. Risulta particolarmente difficile per un produttore agricolo, che intenda diversificare la propria produzione sperimentando la coltivazione di piante officinali, proporsi come possibile fornitore dei grossisti e le coltivazioni con bassi volumi rischiano di non trovare acquirenti, indipendentemente dal prezzo e gli unici sbocchi commerciali di queste produzioni possono essere i laboratori cosmetico/erboristici. Un altra strada possibile è la creazione di consorzi o cooperative che possono coltivare piante officinali da affiancate ad altre culture tradizionali. Per le aziende di piccole dimensioni, singole od associate in cooperative, è opportuno cercare di valorizzare il prodotto occupandosi direttamente dell intera filiera produttiva, trasformando e vendendo direttamente la materia prima lavorata. Ciò è più facile se si ha a disposizione un azienda agrituristica, oppure se si opera in zone turisticamente sviluppate. La presenza del turismo aumenta moltissimo le possibilità di vendere il prodotto attraverso spacci di prodotti tipici locali o presso gli alberghi, oppure direttamente.

11 Per le famiglie coltivatrici proprietarie di piccole aziende di collina montagna poste in luoghi lontani dall inquinamento, un altra possibilità oltre a quella della coltivazione è quella della raccolta spontanea. E questa un'attività che può essere fatta sia a tempo pieno, oppure nel tempo libero. In questo caso, non ci sono problemi di investimenti e di alta specializzazione, come richiesto dalle coltivazioni, ma solo la conoscenza delle specie da raccogliere, del loro tempo balsamico e del processo ottimale per il loro essiccamento. Essendo le quantità giornaliere raccolte molto basse, si potranno essiccare le piante medicinali ed aromatiche avvalendosi di telai posti in locali preesistenti, senza l investimento in costose attrezzature. Le piante medicinali ed aromatiche spontanee più importanti da raccogliere sono: Iperico, Tiglio, Ononide, Santoreggia, Timo, Fumaria, Ortica, Equiseto, Achillea, Ginepro, Assenzio, Ruta. Occorre, tuttavia, tenere conto che in mancanza di una legge quadro di riordino del settore, il Ministero della Salute sta emanando delle circolari che adeguano la nostra legislazione a quella europea. Questo adeguamento preoccupa non poco i piccoli coltivatori e/o trasformatori perché esige una qualificazione del prodotto (analisi) i cui costi non sono assolutamente sostenibili da parte di piccole aziende o piccoli consorzi. Inoltre molti compratori richiedono già che il produttore fornisca la documentazione che garantisca l adozione delle G.A.P. (Good Agricultural Practices) e delle H.A.C.C.P. (Hazard Analisis Critical Control Point) nelle varie fasi produttive. Occorre, infine, sottolineare che per vendere anche semplicemente una tisana, occorre poter disporre del supporto di un erborista. La legislazione attuale prevede infatti che qualsiasi formulazione erboristica messa in commercio sia garantita e certificata nella sua composizione da questa figura professionale. COLTIVAZIONE DI PICCOLI FRUTTI I frutti di bosco, detti anche piccoli frutti, sono delle colture che richiedono un elevato fabbisogno di manodopera, una buona disponibilità di acqua e un basso investimento in termini di superficie e quindi particolarmente adatti alle piccole e medie aziende a conduzione familiare La coltivazione dei piccoli frutti rappresenta un interessante opportunità per integrare il reddito e diversificare le produzioni delle aziende collinari e montane.

12 Queste colture hanno una spiccata resistenza naturale nei confronti di patogeni, di conseguenza si prestano bene a sistemi di produzione integrata o biologica e possono rappresentare una fonte di reddito interessante per i terreni marginali. Le principali specie di frutti minori coltivate in Italia sono il lampone (Rubus idaesum), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) e il mirtillo rosso (Vaccinium vitis idaea), la mora di rovo (Rubus fruticosus), l uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) e la fragola (Fragaria vesca). Tutte queste specie sono caratterizzate da un elevata resistenza al freddo, ma soffrono la mancanza d acqua, fattore che in alcuni casi può diventare limitante per la loro diffusione nelle aree meridionali della nostra penisola. Anche se le informazioni disponibili sulle quantità e i valori della produzione sono carenti, si può affermare che questi prodotti possono rappresentare nicchie di mercato che alimentano delle micro-filiere particolarmente importanti per promuovere politiche di tipicità, origine e qualità dei prodotti. La raccolta dei frutti minori avviene durante i mesi estivi e deve essere programmata adeguatamente attraverso una scelta varietale che consenta di ricoprire le esigenze di mercato soprattutto in controstagione (aprile-maggio e ottobre-novembre), quando cioè si riescono a spuntare elevati prezzi. Moltissimi sono gli esempi e i risultati: di notevole importanza quelli della Garfagnana conseguenti all attività svolta dall ASFD. Piantine di fragoline selvatiche derivanti dal bosco vengono trapiantati su terreni di montagna irrigui, ben lavorati e fertilizzati con concimi organici e quindi coltivate. Le coltivazioni danno prodotti di qualità non inferiore a quelli spontanei. Produzioni di oltre 50 quintali ad ettaro con una redditività molto elevata. Dati economici parlano di fragoleti di circa mezzo ettaro che rendono oltre all anno. Impianti produttivi vengono realizzati anche con altre specie del sottobosco, come il lampone, partendo più spesso da materiale con caratteristiche superiori a quelle del selvatico. Con questo sistema si può arrivare a produzioni che oscillano fra gli 80 e i 120 quintali per ettaro. Un ettaro di lamponeto può rendere anche all anno. D'altra parte, però, i piccoli frutti non concedono tante alternative: o ci si associa in cooperative od in altre forme associative, o si soccombe alla realtà di un mercato sempre più esigente e competitivo.

13 La disponibilità di prodotto fresco sul mercato trova riscontro in un largo consenso tra i consumatori e soprattutto nei laboratori di gelaterie e pasticcerie, anche perché queste ultime utilizzano prodotto conservato. La facile deperibilità del prodotto obbliga una rapida collocazione dello stesso, fatto che richiede una organizzazione di vendita molto dinamica e flessibile. L utilizzo prevalente dei piccoli frutti è dato dal consumo allo stato fresco: questo tipo di utilizzazione consente la migliore valorizzazione commerciale del prodotto. La presenza di picchi produttivi comporta la considerazione di destinazioni alternative quali dolci confezionati, sciroppi, marmellate e preparati per yogurt. Tali ulteriori opportunità possono essere sfruttate da piccole aziende di trasformazione che, apprezzato il prodotto, possono iniziare, con interesse e inventiva, la produzione di dolci confezionati, sciroppi, marmellate e preparati per yogurt a base di frutti di bosco. Il lampone è un arbusto che può raggiungere i 2,5 metri di altezza. Si mette a dimora in novembre, in terreno sciolto, ma tendenzialmente umido e fertile; non cresce bene nei terreni alcaline siccitosi. Al momento della preparazione del terreno, è consigliabile distribuire un buon quantitativo di letame maturo; successivamente si ricorre ai concimi minerali, che devono essere distribuiti ogni anno, nel periodo primaverile. In novembre si staccano i polloni radicati, cercando di non rovinare le radici, e si mettono direttamente a dimora; in seguito si tagliano all altezza di 25 centimetri dal livello del terreno. Se questa operazione è stata effettuata in primavera, è consigliabile evitare che la pianta produca frutti nel primo anno, altrimenti potrebbe indebolirsi notevolmente: in questo caso si asportano i frutti appena cominciano a formarsi. Alla fine del primo anno di vita delle piante, si eliminano tutti i fusti deboli. I frutti si raccolgono quando sono completamente maturi e sono utilizzati freschi o usati nella preparazione di dolci, gelati, sciroppi, succhi, marmellate, caramelle, liquori. Il lampone può avere un impiego anche farmacologico, in quanto ha azione rinfrescante e diuretica. La mora di rovo è un arbusto da frutto, spontaneo in Italia, alto centimetri; cresce bene nei terreni freschi e ben drenati, al sole o in posizioni parzialmente ombreggiate. Dato che la fioritura non avviene all inizio della primavera, ma più tardi, in genere non si verifica il problema delle gelate primaverili. Si mette a dimora in autunno e subito si tagliano i fusti all altezza di centimetri dal livello del terreno. La mora si coltiva come arbusto prostrato oppure munito di sostegni e si moltiplica facilmente per propaggine apicale, in quanto radica facilmente all estremità dei rami. Questi ultimi

14 vengono interrati in agosto-settembre e staccati dalla pianta madre nella primavera successiva; si mettono direttamente a dimora o si piantano in vivaio, dove si coltivano fino all autunno. La produzione dei frutti inizia nel corso dell annata seguente. Dopo la raccolta, si asportano i rami che hanno prodotto i frutti. Questi ultimi si raccolgono quando sono diventati neri e hanno sapore dolce e vengono consumati direttamente o destinati alla produzione di marmellate, sciroppi, succhi e gelati. Il mirtillo, sia rosso sia nero, è un arbusto semilegnoso che raggiunge il mezzo metro d altezza e cresce bene nei terreni torbosi non calcarei. Si mette a dimora in autunno o all inizio della primavera, al sole o in ombra parziale. In settembre si possono eseguire propaggini, che vengono staccate dalla pianta madre dopo 1-2 anni. In ottobre o in febbraio-marzo si dividono le piante e si mettono direttamente a dimora. In luglio si prelevano talee lunghe 5-8 centimetri e, dopo averle fatte radicare in un miscuglio di torba e sabbia, si invasano in piccoli contenitori riempiti con miscugli di torba, sabbia grossolana e terriccio da giardino non calcareo e si tengono in letto freddo fino al mese di ottobre, quando si trapiantano in vivaio, dove si coltivano per 2-3 anni. I frutti maturi del mirtillo nero, dal sapore dolce e aromatico, si possono consumare crudi o cotti e vengono impiegati nella preparazione di succhi, marmellate, gelatine e per aromatizzare grappe e liquori digestivi. I frutti maturi del mirtillo rosso, dal sapore acidulo-amarognolo, vengono impiegati nella preparazione di marmellate, gelatine, grappe e liquori casalinghi. L uva ursina è un arbusto a fusti prostrati..si mette a dimora in settembre-ottobre o in marzo-aprile in terreno umido, torboso, al sole o in ombra parziale. Si moltiplica per propaggini, interrando i lunghi rami a marzo; questi vengono separati dalla pianta madre dopo 1-2 anni, quando hanno radicato bene. Si effettuano anche le talee, prelevando germogli laterali lunghi 5-8 centimetri, in luglio-agosto; si depongono in un miscuglio di torba, terriccio privo i calcare e sabbia grossolana; i vasi si interrano all aperto; in settembre-ottobre, le piante giovani possono essere messe definitivamente a dimora. La fragola è una pianta orticola molto diffusa, coltivata in molte zone d Italia per ottenere i frutti; si adatta a condizioni ambientali molto diverse e può essere coltivata anche in zone collinari e montane, fino ai 1000 metri di altezza. Non ha particolari esigenze pedologiche, anche se sono da sconsigliare i terreni calcarei; resiste bene al freddo, ma teme le gelate tardive. È una pianta che cresce bene all ombra, quindi si presta bene a essere coltivata nel sottobosco. La coltura delle fragole può essere effettuata per un periodo variabile da 3 a 5 anni sul medesimo terreno. La messa a dimora può essere

15 effettuata a una distanza di 30 centimetri tra loro e in file distanti 30 centimetri in settembre-ottobre o in marzo-aprile. La moltiplicazione si effettua per via vegetativa, sfruttando la caratteristica delle fragole di produrre nuove piantine in corrispondenza dei nodi degli stoloni. Quando queste sono ben sviluppate, si staccano e si mettono direttamente a dimora. I frutti della fragola selvatica, ricchi di zuccheri e vitamine, sono molto più profumati di quelli ottenuti dalle grosse fragole coltivate e si utilizzano per profumare e decorare gelati, macedonie e torte di frutta. Le foglie si possono utilizzare in gradevoli tisane primaverili. COLTIVAZIONE DI TARTUFI La tartuficoltura può essere considerata un attività agronomico-forestale piuttosto recente se paragonata a coltivazioni quali la viticoltura o l olivicoltura che si praticano da tempi biblici. I fattori da tenere sotto controllo per arrivare al risultato finale vale a dire una produzione di tartufi economicamente valida e costante nel tempo sono molteplici e non tutti ancora perfettamente noti. Sicuramente rimane molto da fare nel settore della ricerca e della sperimentazione ma, ne vale la pena, in quanto la tartuficoltura permette di produrre un bene di elevato valore economico, la cui domanda è in continua crescita sui mercati mondiali e la cui produzione ha un impatto positivo sull ambiente in quanto non può prescindere dal rimboschimento, con tutti i benefici ambientali e paesaggistici che esso comporta. In Italia sono presenti allo stato spontaneo, numerose specie di tartufo, di queste solo sette sono ammesse al commercio, esse sono: il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittad), il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico), il tartufo nero estivo (Tuber aestivum Vittad.) il tartufo uncinato (Tuber uncinatum Chat.), il tartufo brumale (Tuber brumale Vittad.), il tartufo nero moscato (Tuber brumale Vittad. forma moschatum Ferry), il tartufo nero di Bagnoli (Tuber mesentericum Vittad.), il tartufo nero liscio (Tuber mascrosporum Vittad.) e il tartufo bianchetto o marzuolo (Tuber borchii Vittad.). La specie più largamente coltivata e che ha dato i migliori successi produttivi è il tartufo nero pregiato; è stata tentata la coltivazione del tartufo bianco ma con esiti alquanto deludenti; buoni risultati si sono avuti con il tartufo bianchetto e con il tartufo estivo.

16 La coltivazione dei tartufi in Italia è incominciata verso la metà degli anni ottanta del secolo scorso, in questo arco di tempo sono stati registrati risultati estremamente diversi: da buone produzioni a completi fallimenti. Sulla scorta delle esperienze fatte, si può affermare che una tartuficoltura razionale ed economicamente valida debba tenere nella giusta considerazione i seguenti aspetti: 1 - Idoneità del sito alla coltivazione dei tartufi I tartufi hanno esigenze pedologiche e climatiche molto precise e specifiche per ciascuna specie. Prima di intraprenderne la coltivazione, bisogna valutare se il terreno scelto è idoneo ed eventualmente, a quale specie. I terreni estremamente compatti o con ph acido vanno comunque scartati, quelli che hanno altre caratteristiche vanno attentamente analizzati. E indispensabile un indagine pedologica in cui vengano analizzati la tessitura, la struttura, il ph, la presenza di carbonato di calcio totale e di quello libero nella soluzione circolante. E necessaria anche un analisi stazionale che prenda in considerazione l altitudine, l esposizione, la pendenza e un esame della vegetazione che metta in evidenza le specie forestali presenti nei boschi limitrofi e il loro sviluppo allo stato adulto. 2 - Scelta della giusta combinazione pianta tartufo Stabilita la specie di tartufo più indicata ad essere coltivata nella tipologia di suolo a disposizione, bisogna scegliere la specie forestale simbionte in base alle caratteristiche climatiche e vegetazionali della stazione. Il tartufo nero di Norcia ad esempio ha dato ottimi risultati produttivi in simbiosi con il leccio però, questa specie forestale non è adatta alle quote elevate. E preferibile realizzare impianti con due o tre essenze forestali per avere una maggiore variabilità fonte di garanzia verso gli eventuali stress climatici o patologici. 3 - Fornitura delle piante Le piante micorrizate sono prodotte da vivai specializzati dislocati soprattutto nel Centro - Nord Italia. Generalmente la qualità delle piante prodotte in Italia è buona ma, è sempre opportuno richiedere piante certificate. La certificazione della qualità delle piante viene effettuata da strutture pubbliche (Università e altri enti di ricerca) sulla base di un protocollo abbastanza rigido, essa non è obbligatoria in quanto i vivaisti possono fornire

17 un autocertificazione, la maggior parte dei vivai italiani comunque, richiede la certificazione alle strutture preposte. Il prezzo medio di una pianta micorrizata oscilla dai 6,5 euro ai 10,5 euro soprattutto in base alla specie di tartufo simbionte, (le piante micorrizate col tartufo nero pregiato costano in media uno o due euro in più rispetto a quelle micorrizate con altre specie), e al fatto se sono certificate o autocertificate (la certificazione incide per circa 0,5 euro). E bene prenotare le piante con un certo anticipo in quanto, negli ultimi anni, si sta verificando una vera corsa alla piantagione di tartufaie e pertanto i vivai migliori ne rimangono presto sforniti. 4 - Lavorazioni pre impianto Tutti gli interventi agronomici devono essere decisi in base alla tipologia di suolo e alla combinazione pianta tartufo prescelta. In generale le operazioni pre impianto sono: Decespugliamento La vegetazione legnosa, sia arbustiva che arborea, deve essere eliminata per facilitare le lavorazioni, per avere maggiore spazio di piantagione, ma, soprattutto, perché alcune specie potrebbero essere già micorrizate con funghi presenti nel terreno e quindi rappresentare una fonte di inoculo di funghi competitori. Prima di intervenire sulla vegetazione arborea e/o arbustiva, è buona norma verificare la legislazione vigente. Spietramento Nel caso di presenza di grossi massi, sarebbe opportuno provvedere al loro allontanamento, compatibilmente con i costi che questa operazione comporta. In alcuni impianti, i sassi sono stati macinati sul posto e sparsi sul terreno per sfruttare il loro effetto pacciamante ma, è una operazione non consigliabile in quanto troppo onerosa. Lavorazione del terreno La lavorazione principale deve essere decisa in base al tipo di suolo e alle colture precedenti l impianto. In generale la profondità dell aratura non dovrebbe superare i cm, profondità maggiori potrebbero portare in superficie orizzonti sterili o troppo argillosi inoltre, verrebbe alterato l assetto della flora microbica del suolo. In generale, per terreni mediamente profondi si consiglia una rippatura incrociata in modo da favorire la circolazione dell aria e dell acqua senza rovesciamento del suolo, seguita da un aratura

18 piuttosto superficiale e un successivo affinamento delle zolle. Sarebbe opportuno eseguire i lavori prima dell estate in modo che, i probabili propaguli di funghi competitori presenti naturalmente nel terreno, vengano esposti il più possibile all aria e inattivati dalle elevate temperature e dalla carenza idrica estiva. Sesto d impianto Il sesto di impianto deve essere deciso in base alla specie forestale simbionte, allo sviluppo probabile che la pianta avrà da adulta, alla specie di tartufo e all esposizione del terreno. In pratica, si deve riuscire a prevedere l ombreggiamento operato dalle chiome delle piante adulte considerando che: il tartufo nero tollera male ombreggiamenti superiori al 60%, il tartufo estivo tollera ombreggiamenti maggiori, il tartufo bianco predilige un ombreggiamento del 100%. E buona norma adottare sesti larghi piuttosto che stretti: numerose tartufaie realizzate con la combinazione carpino nero - tartufo nero pregiato, in stazioni favorevoli allo sviluppo della specie forestale, dopo anni risultano troppo ombreggiate. In questi casi bisogna intervenire con le potature che sono abbastanza onerose o con il diradamento, una scelta molto difficile quando la maggior parte delle piante sono in produzione. Piantagione L epoca più idonea per la piantagione è quella autunno - vernina se le temperature non sono troppo basse, se il terreno non è occupato dalla neve per lunghi periodi, ecc., oppure la primavera ponendo attenzione ai ritorni di freddo. Qualche giorno prima della messa a dimora è bene sospendere l irrigazione delle piantine in vaso, in modo che il pane di terra sia asciutto e quindi la sua estrazione facilitata. Irrigazione Deve essere prevista l irrigazione di soccorso alle giovani piantine in modo da favorire il loro attecchimento. Una pianta ben micorrizata è più resistente alla siccità ma, la fase di affrancamento è molto delicata, uno stress idrico prolungato può compromettere oltre alla pianta, le micorrize. Verifica della produzione

19 La verifica della produzione si incomincia intorno al quarto -quinto anno, dopo questo lasso di tempi infatti, se gli impianti sono stati realizzati e condotti razionalmente, è possibile raccogliere i primi tartufi. Per tutte le specie, ad esclusione del tartufo bianco, produzioni interessanti incominciano ad esserci, in media, dal decimo anno in poi. In caso di assenza di produzione, si può verificare la permanenza delle micorrize sugli apparati radicali mediante l analisi di campioni di radici. Sono analisi che possono essere effettuate solo in pochi laboratori specializzati e sono abbastanza costose (30-60 euro a campione). Truffe e raggiri Da almeno un decennio operano alcune strutture che hanno truffato molti imprenditori agricoli in tutta Italia. La loro tecnica consiste nel presentarsi come professionisti esperti del settore, nel dichiarare che le piante micorrizate da essi proposte, sono eccezionali in quanto prodotte con metodologie innovative in collaborazione con strutture scientifiche particolarmente note, di volta in volta, italiane o francesi; nel garantire l entrata in produzione delle loro piante micorrizate già al terzo anno dall impianto; nell assicurare una produzione di tartufo da 1 a 3 chili per ciascuna pianta; nel rendersi disponibili a ritirare essi stessi il tartufo prodotto a prezzo di mercato. Nei primi tre anni forniscono assistenza tecnica con uno o due sopralluoghi sull impianto e consigliano una mistura liquida contenente sostanze che favorirebbero la produzione dei tartufi. Le piante micorrizate vengono vendute a un prezzo che oscilla dai euro, i sopralluoghi vengono effettuati dietro pagamento e il costo della pozione è di parecchie centinaia di euro a litro. Purtoppo le persone truffate sono centinaia e distribuite in tutta Italia A scanso di equivoci si precisa che: 1 - non esistono piante micorrizate italiane o straniere in grado di produrre un chilo di tartufo dopo tre anni; 2 - nessuno è in grado di garantire l entrata in produzione di una pianta micorrizata e prevedere la quantità di tartufo prodotto; 3 - le strutture di ricerca pubbliche italiane non collaborano con i vivai per la produzione delle piante micorrizate, su richiesta dei vivaisti e mediante apposite convenzioni, effettuano il controllo della qualità delle piante e rilasciano un certificato. 4 - Non esistono, attualmente, misture miracolose che possano favorire la fruttificazione dei tartufi.

20 Un altra truffa meno frequente è quella d i vendere come micorrizate, essenze quali l olivo, il rosmarino o altre piante che non contraggono la simbiosi micorrizica con le specie del genere Tuber. Risultati produttivi delle tartufaie realizzate con piante micorrizate tartufo nero pregiato (con particolare riferimento all esperienza delle regioni dell Italia Centrale) Nelle zone di collina e montagna che presentano caratteristiche pedoclimatiche idonee a diverse specie di tartufi neri (Tuber aestivum Vittad., Tuber brumale Vittad., Tuber mesentericum Vittad.), è stata privilegiata la coltivazione di Tuber melanosporum perché più pregiato. Nel primo decennio di coltivazione dei tartufi, la tendenza purtroppo, è stata quella di dare importanza soprattutto alla micorrizazione della pianta simbionte, senza tenere nella giusta considerazione i caratteri pedoclimatici del sito di impianto, nell errata convinzione che piante ben micorrizate avrebbero comunque prodotto tartufi. Ovviamente queste prime piantagioni hanno fornito risultati produttivi diversificati e poco soddisfacenti: accanto a piantagioni produttive se ne registrano altre improduttive realizzate in ambienti non idonei, oppure con piante simbionti non ben micorrizate o coltivate in maniera irrazionale. Gli impianti di tartufo nero pregiato realizzate negli ambienti idonei, utilizzando la specie di pianta simbionte adatta al sito e adottando opportune pratiche colturali di impianto e post-impianto, stanno fornendo produzioni soddisfacenti ed in alcuni casi eccezionali (da kg/ha a oltre 100 kg/ha). Risultati produttivi delle tartufaie realizzate con piante micorrizate da tartufo bianco. Gli impianti di tartufo bianco sono stati realizzati soltanto fino al ; successivamente le micorrize che, su basi morfologiche, si ritenevano di tartufo bianco non sono state confermate come tali dall analisi molecolare e ciò ha determinato un blocco della produzione delle piante micorrizate. Nelle ultime due stagioni produttive, due tartufaie realizzate nel e situate in due località distanti tra di loro, hanno iniziato a produrre ottimi carpofori di tartufo bianco. Per cui riteniamo che sia possibile coltivare con successo anche questa specie, debbano però, essere continuati e approfonditi gli studi sull ecologia, sulle tecniche di micorrizazione e di coltivazione, fortunatamente ci sono vari gruppi di ricercatori, prevalentemente italiani che stanno affrontando le varie tematiche ancora da chiarire per riuscire a coltivare questo prezioso tartufo.

21 Risultati produttivi delle tartufaie realizzate con piante micorrizate da tartufi minori: tartufo nero estivo o scorzone e tartufo bianchetto o marzuolo. Negli ambienti ritenuti non idonei alle due specie pregiate di tartufo, sono state realizzate tartufaie utilizzando i così detti tartufi minori e cioè Tuber aestivum Vittad. e Tuber borchii Vittad. In alcune piantagioni di Tuber melanosporum si è verificata la sostituzione delle micorrize del tartufo nero con quelle di Tuber aestivum. In particolare, in una tartufaia situata nel comune di Spoleto, una parcella di 5000 mq di carpino nero realizzata con piante micorrizate da Tuber melanosporum, impiantata nel 1984, ha fornito nelle ultime stagioni produttive buoni quantitativi di tartufi estivi (25-70 kg). Impianti realizzati con piante micorrizate da Tuber aestivum in siti idonei, hanno dimostrato una precoce entrata in produzione (quarto - quinto anno dall impianto) e una produzione piuttosto elevata ( kg/ha). Tuber borchii (bianchetto) è notoriamente una specie a larga diffusione e apparentemente molto adattabile alle condizioni pedoclimatiche più diverse. Esso, comunque, mostra una forte dipendenza dalle conifere: in moltissimi rimboschimenti a Pinus nigra Arnold si raccolgono discreti quantitativi di carpofori di questa specie. Ricerche sull ecologia del bianchetto hanno rilevato una larga distribuzione e la capacità di colonizzare anche i terreni sub-acidi. I migliori risultati produttivi verificati in tartufaie presenti in Umbria, Lazio e Campania, sono stati ottenuti in terreni con tessitura francosabbiosa o franco-sabbiosa-argillosa, quindi suoli assolutamente non compatti, caratterizzati da bassi valori di densità apparente, con calcare in basse percentuali e con ph che può variare dalla lieve acidità a leggermente alcalino. Anche in questo caso le produzioni sono state relativamente precoci e quantitativamente significative.

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