Fattori di rischio: l alcol

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1 Capitolo 2 Fattori di rischio 35 Fattori di rischio: l alcol Francesco Donato, Claudia Zani Introduzione Fin dall antichità, l uomo ha prodotto e consumato sostanze alcoliche. Gli effetti acuti dell abuso di alcol erano già evidenti nell antichità, soprattutto quelli relativi alla perdita della capacità di giudizio, agli attacchi di collera e a episodi di violenza. Gli effetti tossici del consumo cronico di elevate quantità di alcol erano invece in gran parte trascurati. Solo nel XIX secolo si è iniziato a studiare la relazione tra alcolismo e danni epatici e solo nella seconda metà del XX secolo sono stati identificati i diversi effetti dell alcol mediante studi tossicologici, clinici ed epidemiologici, nonché studi di base e sperimentali sull animale. Oggigiorno, l alcol viene considerato la causa di circa 60 malattie o eventi nocivi. Nei Paesi occidentali, la mortalità per malattie epatiche è correlata ai consumi di alcol pro capite di un Paese. Già nel 1956, Lederman sosteneva che il consumo di alcol pro capite era un ottimo indicatore della percentuale di forti bevitori presenti in quel Paese e che le malattie alcol-correlate erano maggiori per un consumo di alcol pro capite maggiore. Nei Paesi in via di sviluppo e nei Paesi asiatici, in cui il consumo di alcol era, fino agli anni 80, molto basso, il consumo di alcol e soprattutto di superalcolici è in crescita. Negli Stati Uniti, i consumi alcolici sono aumentati fino agli anni 80 e da allora sembrano stazionari, mentre in Europa i consumi sono stabili nei Paesi occidentali e in rapido incremento nei Paesi dell Est. 1 In Italia, è documentato un decremento dei consumi di alcol a partire dagli anni 50 e attualmente il nostro Paese si colloca tra le nazioni europee con un consumo di alcol pro capite giudicato intermedio (Figura 2.5). Gli ultimi dati ISTAT (2007) riportano una riduzione dei consumi regolari di al- Norvegia Svezia Polonia Olanda Italia Grecia Finlandia Inghilterra Svizzera Germania Francia Danimarca Belgio Spagna Austria Ungheria Repubblica Ceca FIGURA 2.5 Consumo di alcol pro capite nel 2003 in alcuni Stati europei in soggetti di età 15 anni. (Dallo European Commission Health & Consumer Protection Directorate General, 2003.)

2 36 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE col e un aumento di quelli occasionali in eccesso (binge drinking); la bevanda più consumata rimane il vino (56%), seguito dalla birra (46%). Il 14% circa della popolazione dichiara di consumare una quantità di alcol superiore ai livelli comunemente raccomandati (1-2 unità alcoliche al giorno per le donne e 2-3 unità alcoliche al giorno per gli uomini; si veda oltre). 2 L alcol come agente epatolesivo Numerosi studi epidemiologici hanno valutato la relazione tra consumo di alcol e rischio di sviluppare malattie croniche del fegato. L alcol viene oggi considerato la principale causa di epatopatie nel mondo, unitamente alle infezioni da virus dell epatite C (HCV) e B (HBV). 1,3 Attualmente, si ritiene che un consumo di elevate quantità di alcol per diversi anni causi una sequenza di condizioni morbose via via più gravi, quali steatosi epatica, epatite (o steatoepatite) alcolica, cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare. 4 Tra i tumori primitivi del fegato, il carcinoma epatocellulare (CE) è di gran lunga il tipo prevalente nel mondo ed è quello maggiormente associato al consumo di alcol; tra le altre neoplasie primitive del fegato, anche il colangiocarcinoma epatico primitivo è stato associato all alcol in alcuni studi. 5 Si pensa che un consumo elevato di alcol induca lo sviluppo di steatosi epatica nella quasi totalità dei soggetti; tra questi, il 10-35% sviluppa fibrosi epatica, con o senza infiammazione, e quindi epatite alcolica, che nell 8-20% dei casi progredisce in cirrosi, la quale a sua volta evolve in CE nell 1-2% dei casi/anno (Figura 2.6). 4 Le prime due condizioni sono considerate reversibili se il soggetto cessa di consumare alcolici. Se la cirrosi si è già sviluppata, l astinenza completa dall alcol sembra rallentare l evoluzione della malattia verso lo scompenso epatico e la morte, mentre è meno chiaro se essa sia in grado di ridurre anche il rischio di sviluppare CE. La possibilità di sviluppare CE anche in assenza di cirrosi è da tempo riconosciuta per alcuni agenti eziologici, come i virus epatitici, in particolare l HBV, e l esposizione alimentare ad aflatossi- CE 1-2% per anno Cirrosi 8-20% Epatite cronica 10-35% Steatosi % FIGURA 2.6 Progressione della malattia epatica da consumo di alcol. (Modificata da Seitz e Stickel. 4 )

3 Capitolo 2 Fattori di rischio 37 ne. Non è noto se l alcol determini l insorgenza della neoplasia anche in assenza di cirrosi. Alcuni studi condotti in Europa e negli Stati Uniti sull eziologia del CE su fegato non cirrotico hanno rilevato, in alcuni di questi casi, la presenza di un epatopatia alcolica o almeno una storia di consumi elevati di alcol. 6 Gli studi prospettici condotti su alcolisti, tuttavia, mostrano che il rischio di CE aumenta di 30 volte e più in presenza, rispetto all assenza, di diagnosi di cirrosi. L etanolo viene assorbito a livello del tratto gastrointestinale per diffusione a causa delle ridotte dimensioni della molecola e della solubilità elevata nell acqua rispetto ai lipidi. L assorbimento dell alcol avviene principalmente a livello del duodeno (80%) e in parte anche a livello gastrico. La diffusione dell etanolo è molto veloce attraverso il sangue e pertanto tutti gli organi fortemente vascolarizzati, come il cervello, sono più suscettibili alla sua azione. La sua concentrazione è in diretta relazione con la quantità di acqua corporea. La concentrazione di alcol nei tessuti, e quindi anche l alcolemia, è maggiore nella donna rispetto all uomo, a parità di dosi assunte, anche per la maggiore quantità di acqua corporea mediamente presente nell organismo femminile. L alcol è metabolizzato soprattutto a livello epatico attraverso l ossidazione dell etanolo ad acetaldeide a opera dell enzima alcol deidrogenasi (ADH) presente nel citosol dell epatocita (Figura 2.7). L acetaldeide, a sua volta, è degradata ad acetato dall enzima aldeide deidrogenasi (ALDH) a livello mitocondriale. 4 Una via alternativa ai sistemi enzimatici ADH/ALDH di metabolizzazione dell etanolo e dei suoi prodotti secondari è il sistema microsomiale di ossidazione dell etanolo (Microsomal Ethanol Oxidizing System, MEOS). Il citocromo CYP2E1 è il principale componente di questo complesso, che in caso di abuso di alcol diventa il sistema principale di metabolizzazione dell etanolo poiché è indotto dall alcol stesso. I meccanismi con i quali l alcol produce danni al fegato sono complessi, su più vie, e ancora in parte non ben definiti. 4 Di seguito sono riportati i principali meccanismi descritti finora. 1. L ossidazione dell etanolo avviene principalmente attraverso l alcol deidrogenasi, con la formazione di acetaldeide. L acetaldeide è una spe- MEOS CYP2E1 Acetato Etanolo ADH NAD NADH ALDH NADH NAD AcetaIdeide Mitocondri Citosol FIGURA 2.7 Metabolismo epatico dell etanolo. ADH, alcol deidrogenasi; ALDH, aldeide deidrogenasi; NAD/NADH, nicotinamide adenina nucleotide; MEOS, sistema microsomiale di ossidazione dell etanolo.

4 38 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE cie molto reattiva che genera radicali liberi e superossidi, inducendo un effetto epatotossico da stress ossidativo. L alcol, attraverso questo meccanismo, può aumentare lo stress ossidativo da altri fattori di nocività, il che potrebbe spiegare l effetto sinergico con le infezioni da HCV e HBV. 2. L alcol induce l attivazione del citocromo CYP2E1, che comporta la maggior produzione di radicali liberi. I radicali liberi sono specie instabili, caratterizzate da un elettrone spaiato sull orbitale più esterno, che conferisce a questi composti un elevata reattività. I radicali liberi tendono a reagire con diverse componenti cellulari, tra cui gli acidi grassi insaturi, portando alla formazione di perossidi lipidici, che stimolano la fibrogenesi epatica. La produzione di collagene e il relativo deposito, nel tempo, riducono le funzioni del fegato, l apporto di sangue e il ricambio cellulare, portando a cirrosi. Le proteine interagiscono con i radicali liberi perdendo la loro struttura terziaria e/o quaternaria e, di conseguenza, anche la loro funzione recettoriale, enzimatica, respiratoria o di trasporto. L accumulo di proteine ossidate può portare a degenerazione vacuolare con comparsa di epatomegalia. I radicali liberi possono reagire anche con le basi nucleiche, provocando la rottura delle catene e formazione di prodotti ossidati. L aumento di proteine istoniche ossidate e di prodotti nucleici ossidati può favorire i meccanismi di derepressione genica. 3. L alcol può determinare la formazione di specie reattive ossigenate e nitrogenate, derivanti dalle cellule del parenchima del fegato in risposta al segnale di stress indotto dalle citochine e dall attivazione delle cellule di Kupffer. 4. La capacità dei radicali liberi derivanti dall etanolo di indurre danni ossidativi deriva anche dal fatto che essi sono in grado di inibire i meccanismi antiossidanti a livello sia cellulare sia extracellulare: l etanolo riduce le concentrazioni del GSH (glutatione ridotto), un importante molecola antiossidante, riducendo così la capacità della cellula epatica di inattivare le sostanze tossiche. 5. L acetaldeide stimola l attivazione delle cellule stellate perisinusoidali, con la conseguente sintesi delle diverse componenti della matrice extracellulare (collagene di tipo I e fibronectina), e inibisce gli enzimi deputati alla degradazione della matrice extracellulare (metalloproteinasi), favorendo i processi di fibrogenesi. 6. Alcune componenti extraepatiche intervengono nella patogenesi del danno al fegato, come l alterazione dell equilibrio della flora intestinale, che aumenta la permeabilità del tubo digerente e conseguente maggior assorbimento di lipopolisaccaridi. Questi raggiungono il fegato attraverso la vena porta, attivano le cellule di Kupffer, aumentano la produzione di radicali liberi e quindi portano all attivazione dei NF-kB (Nuclear Factor-kB) e al rilascio di citochine (Tumor Necrosis Factor a, TNFa), interleuchine e prostaglandine. Anche in questo caso si ha un induzione delle cellule stellate con un iperproduzione di collagene. 7. Infine, alcuni meccanismi immunopatologici sono coinvolti nella cronicizzazione e nel mantenimento del danno epatico alcol-correlato, come suggerito dall ipergammaglobulinemia policlonale, caratterizzata da un variabile incremento delle singole immunoglobuline, in particolare delle IgA. L etanolo induce una stimolazione antigenica dovuta a una maggiore permeabilità della mucosa gastrointestinale, che permette il passaggio di molecole normalmente non assorbite (riduzione della clearance epatica degli antigeni assorbiti e rilascio di materiale antigenico dal fegato danneggiato). Anticorpi diretti contro componenti delle membrane epatocitarie sono molto frequenti negli alcolisti cronici perché l alcol è in grado di alterare alcune strutture della membrana facilitando l esposizione di neoantigeni. Nei pazienti cirrotici sono presenti costantemente linfociti, prevalentemente CD8+, con una maggiore tossicità nei confronti degli epatociti, rispetto ai linfociti prelevati da un soggetto con una semplice steatosi. L alcol come cancerogeno epatico L etanolo è un agente cancerogeno per l uomo, classificato nel gruppo 1 (cancerogeni certi) dalla International Agency for Research on Cancer (IARC), soprattutto sulla base degli studi osserva-

5 Capitolo 2 Fattori di rischio 39 zionali sull uomo. 7 L alcol aumenta il rischio di sviluppare tumori in diversi distretti dell organismo, soprattutto le vie aeree e digestive superiori (cavo orale, faringe, laringe ed esofago) e il fegato. Mentre l evidenza nell uomo è ritenuta conclusiva, gli studi di cancerogenesi sperimentale hanno fornito risultati incerti: nell animale, l alcol non induce mutazioni nel DNA delle cellule e non aumenta la frequenza di tumori, in particolare quelli del fegato, se non in combinazione con cancerogeni e diete particolari, suggerendo che l alcol ha un ruolo promotore piuttosto che iniziatore del processo di cancerogenesi, o come co-cancerogeno piuttosto che come cancerogeno. Diversi meccanismi sono stati ipotizzati per spiegare come l alcol possa causare il CE, schematizzati nella Figura ,9 L epatocancerogenesi è un processo che vede coinvolti anche fattori epigenetici, cioè fattori che modificano l espressione dei geni cellulari. In primo luogo, l abuso cronico di alcol causa un elevata produzione di acetaldeide, classificata dalla IARC come possibile cancerogeno per l uomo, mentre è un cancerogeno certo per l animale (classe 2B): l acetaldeide è un mutageno diretto in grado di indurre mutazioni puntiformi. Legandosi alle proteine nucleari, essa danneggia i sistemi di riparazione del DNA e induce la formazione di addotti al DNA, determinando errori di replicazione o mutazioni di oncogeni e geni oncosoppressori. L effetto tossico dell acetaldeide è dose-dipendente e dipende da quanto velocemente essa viene metabolizzata (ossidata) dall enzima acetaldeide de i- drogenasi (ALDH) e dalla xantina ossidasi, in grado di rilasciare radicali liberi anche in comparti extracellulari. L acetaldeide, pertanto, potrebbe agire sulle prime fasi dello sviluppo del CE, quelle di iniziazione. Una via alternativa ai sistemi enzimatici ADH/ALDH di metabolizzazione dell etanolo e dei suoi prodotti secondari è costituita, come visto prima, dal sistema microsomiale di ossidazione del- Alcol Attivazione Riduzione CYP2E1 GSH Pro-cancerogeni Attivazione CYP2E1 Ridotta capacità di metilazione Ridotta produzione di acido retinoico Attivazione Radicali liberi Ipometilazione degli oncogeni Attivazione della proteina AP-1 e proliferazione cellulare Cancerogeni INIZIAZIONE PROMOZIONE PROGRESSIONE CE AcetaIdeide Polimorfismi ADH/ALDH Ipermetilazione geni oncosoppressori Ridotta metilazione del DNA Meccanismi di immunosoppressione FIGURA 2.8 Etanolo come iniziatore e promotore del processo di cancerogenesi. (Modificata da Stickel et al. 8 )

6 40 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE l etanolo (MEOS), di cui il citocromo CYP2E1 è il principale componente. L attivazione del citocromo CYP2E1 può favorire la trasformazione di molecole pro-cancerogene in composti con attività cancerogena (attivazione). Nello stesso tempo, l assunzione cronica di alcol riduce anche l attività dei sistemi antiossidanti della cellula epatica perché l ossidazione dei lipidi e delle proteine derivanti dallo stress ossidativo causato dall etanolo determina un alterazione della funzione e della struttura del mitocondrio. Questo meccanismo porta a una riduzione del livello di glutatione ridotto (GSH), una molecola antiossidante che interviene nella catena respiratoria, riducendo la capacità della cellula di difendersi dai danni derivanti dai radicali liberi. La riduzione del GSH segue una relazione dose-dipendente dalla quantità di alcol assunta. In questo quadro di fenomeni ossidativi indotti dall alcol, sono coinvolti alcuni metalli, in particolare il ferro, accumulato a livello epatico, che interviene nella produzione di ulteriori specie reattive. Queste, in condizioni normali, vengono neutralizzate dai meccanismi antiossidanti, che però risultano meno attivi nei soggetti con abuso di alcol, come già detto. I radicali liberi che si accumulano nella cellula provocano diverse modifiche nel DNA e possono quindi intervenire direttamente nei meccanismi di iniziazione. Un altro meccanismo individuato riguarda la ridotta metilazione (ipometilazione) del DNA. La metilazione del DNA è molto importante nel controllo dell espressione genica, attivando o inibendo l espressione di alcuni geni si inducono alterazioni post-trascrizionali di proteine ed enzimi. Nell epatocancerogenesi, l ipermetilazione di alcuni segmenti di DNA è generalmente accoppiata ad aree di ipometilazione: l ipermetilazione di geni oncosoppressori induce un decremento di proteine come la p53 (che ha funzioni di regolazione del ciclo cellulare) e la contemporanea ipometilazione di alcuni oncogeni, che permettono la differenziazione e la proliferazione cellulare. Questi processi inducono la replicazione (promozione) di cellule epatiche anche danneggiate, essendo alterati i sistemi di riparazione del danno. A tal fine, alcuni studi condotti sull animale e sull uomo hanno dimostrato che i metaboliti dell etanolo riducono i livelli di S-adenosilmetionina (SAM), un importante donatore di gruppi metilici, riducendo così la capacità di metilazione della cellula, con effetti sull integrità del DNA e sui meccanismi di riparazione dei danni nucleari. Tali metaboliti, inoltre, alterano anche l attività di molecole che hanno funzione di segnali di trasduzione e trascrizione nei tessuti sia epatici sia non epatici, tra cui un alterazione dell espressione e delle funzioni della proteina G. Nel complesso, l attività di ipometilazione del DNA da parte dei metaboliti dell alcol potrebbe favorire la fase di promozione di cellule già mutate in senso cancerogeno. Infine, i prodotti secondari dell etanolo possono ridurre i livelli dell acido retinoico a livello epatico, che aumenta la proliferazione cellulare e la loro trasformazione a cellule tumorali attraverso la sovraespressione della trascrizione della proteina AP-1 (Activator Protein-1) e una ridotta capacità di immunosoppressione, come già detto in precedenza, con conseguente effetto di favorire la progressione di un tumore in fase iniziale. Studi epidemiologici sulla relazione tra consumo di alcol e CE È possibile indagare le cause delle malattie nell uomo mediante studi di base, tossicologici, clinici ed epidemiologici. Poiché si tratta di fattori nocivi alla salute, non è ovviamente possibile condurre studi sperimentali sull uomo. In questi casi, gli unici studi possibili per indagare l associazione tra un determinato fattore, detto di rischio, e una malattia sono gli studi epidemiologici osservazionali. Questi consentono di misurare l entità del rischio nei soggetti esposti a uno o più fattori, in termini di rischio assoluto, o probabilità di contrarre la malattia, e di rischio relativo (RR), cioè aumento (o riduzione) del rischio di sviluppare la malattia negli esposti al fattore in studio rispetto ai non esposti al medesimo fattore. È possibile condurre due tipi di studi epidemiologici per indagare le cause delle malattie a livello individuale: gli studi di coorte (o di follow-up) e gli studi caso-controllo. I primi possono essere prospettici e prevedono che un gruppo di soggetti esposti e uno di soggetti non esposti a un determinato fattore di rischio vengano seguiti nel tempo, in parallelo, per

7 Capitolo 2 Fattori di rischio 41 valutare l incidenza di una o più malattie in entrambi i gruppi contemporaneamente. Gli studi caso-controllo sono sempre retrospettivi e consistono nel valutare l esposizione pregressa a un determinato fattore di rischio in un gruppo di soggetti malati (casi) e in uno di soggetti non affetti dalla malattia in studio (controlli). Gli studi di coorte consentono di calcolare direttamente rischi, tassi di incidenza o di mortalità e rischi relativi. Gli studi caso-controllo, invece, consentono di calcolare solo una misura di associazione tra malattia ed esposizione, denominata odds ratio (OR), che può stimare il rischio relativo con buona approssimazione in diverse situazioni. Gli studi epidemiologici, pur con i limiti propri delle indagini osservazionali e quindi di poter essere affetti da diversi tipi di errore, hanno consentito di individuare fino a oggi numerosi fattori di rischio o cause di malattia per l uomo, fornendo in molti casi un evidenza conclusiva. Questo approccio è difficile nello studio dell alcol come causa di malattie croniche, per diversi motivi. In primo luogo, l entità e la durata del consumo di bevande alcoliche, aspetti fondamentali della relazione di causa-effetto, sono difficili da determinare: in assenza di marcatori biologici, l unico modo per stimare questo parametro è l intervista del paziente, non esente da errori e imprecisioni. Gli errori di tipo casuale consistono nella difficoltà di stimare con precisione l entità del consumo: quanto è pieno un bicchiere? Quanti bicchieri di vino, birra, aperitivi, digestivi, superalcolici, long drink e altro vengono complessivamente consumati ogni giorno od ogni settimana, in media? L imprecisione nella misura dell esposizione comporta in genere una sottostima del rischio relativo. Gli errori sistematici (bias), invece, sono ad esempio le tendenze dei soggetti con malattia epatica a riferire un consumo inferiore a quello reale (sottostima), mentre i soggetti privi di tali patologie tendono a riferire un consumo corretto o superiore al reale. Nel caso dell alcol, anche questo tipo di errore contribuisce alla sottostima del rischio relativo perché i soggetti con patologia epatica vengono classificati in modo errato per livelli di consumo alcolico ( misclassificazione dell esposizione), con un conseguente fenomeno di diluizione dell effetto. Negli studi retrospettivi, inoltre, è difficile per il paziente ricordare con precisione la quantità di alcol assunta nel passato, amplificando così la possibilità di errori di misura e quindi di distorsione nella stima del rischio. In ogni area geografica, poi, è possibile l associazione tra consumo di alcol e altri fattori ambientali, soprattutto le infezioni con i virus HCV e HBV: la sottostima di queste associazioni tra fattori di rischio, capaci peraltro di interazione, come si dirà più avanti, può generare un terzo tipo di errore, detto di confondimento. Infine, lo sviluppo della malattia epatica cronica non dipende solo dalla quantità di alcol mediamente assunta, ma anche dalla durata del consumo nell arco della vita del soggetto, nonché dal possibile cambiamento di abitudini dall adolescenza all età di comparsa della patologia epatica indagata, dalla tipologia di consumo e dalla diversa suscettibilità all alcol dei diversi gruppi etnici (la tolleranza all alcol è inferiore, per ragioni di suscettibilità genetica che verranno discusse più avanti, tra le popolazioni orientali rispetto a quelle occidentali). Si tenga anche presente che gli studi su banche dati, come quelli basati sui dati dei ricoveri ospedalieri o di mortalità, sottostimano il ruolo dell alcol per problemi di codifica delle patologie alcol-correlate. 1 Tutti questi aspetti rendono spesso difficili i confronti tra i diversi studi: nell area mediterranea, ad esempio, il consumo è generalmente giornaliero ed è costituito prevalentemente da vino, mentre nel Nord Europa e in Nord America prevalgono birra e superalcolici e in Giappone la bevanda tradizionale è il sake. La quantità di alcol contenuta in un bicchiere standard (unità alcolica) è di 12 g di alcol nei Paesi mediterranei, 8 g in Gran Bretagna, 14 g negli Stati Uniti e 20 g in Giappone. 1 Questa variabilità spiega alcune incongruenze degli studi epidemiologici. Negli studi di coorte condotti su popolazioni della Cina o Taiwan, che fino a qualche anno fa consumavano in genere modeste quantità di alcol, i soggetti esposti erano considerati bevitori quando consumavano almeno un bicchiere di bevanda alcolica (pari a circa g di etanolo) alla settimana, mentre i non bevitori erano totali o quasi astemi. In queste condizioni, non stupisce il riscontro di assenza di rischio o di rischio solo modestamente elevato nei bevitori rispetto ai non bevitori. Negli studi caso-controllo, poi, è frequente riscontrare soggetti con CE o cirrosi avanzata e con storia di epatopatia alcolica che han-

8 42 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE no ridotto il consumo di alcol a seguito dell aggravarsi delle condizioni cliniche, fatto che all atto dell intervista spinge questi pazienti a dichiarare di non bere più o di bere molto poco. Paradossalmente, quindi, tra i soggetti con CE si può riscontrare una percentuale di bevitori, al momento della diagnosi, inferiore rispetto alla popolazione generale, 10,11 il che configurerebbe l alcol come fattore protettivo se si considerassero solo i consumi rilevati al momento della diagnosi! Nonostante queste difficoltà nella valutazione dei consumi di alcol, un rapporto causale tra consumo di bevande alcoliche e diverse patologie umane è stato dimostrato già negli anni 70 e 80 per tumori in diverse sedi, compreso il carcinoma epatico, e successivamente anche per le malattie epatiche non tumorali. Gli studi più accurati sono apparsi dagli anni 90 in poi, quando si è potuto misurare anche il ruolo dell infezione da HCV e sono stati utilizzati metodi di valutazione dei consumi di alcol più accurati. La forza della relazione tra alcol e diverse patologie è stata valutata da metanalisi. Bagnardi et al. 12 hanno analizzato 235 studi, condotti in diversi Paesi, per 18 sedi tumorali diverse, evidenziando una forte relazione tra quantità di alcol assunta e rischio di insorgenza di tumore in varie sedi anatomiche, soprattutto cavo orale, faringe, esofago e laringe. Per i tumori del fegato è emersa una relazione dose-effetto ed è stato calcolato un aumento del rischio quasi doppio per una quantità uguale o superiore a 100 g/die di etanolo, con un rischio relativo maggiore nelle donne a parità di quantità di alcol consumato. Il rapporto alcol-tumori del fegato, tuttavia, è probabilmente sottostimato poiché diversi studi utilizzati per la metanalisi sono di scarsa qualità. In particolare, appaiono affetti da errori di misura del consumo di alcol poiché, oltre a calcolare solo misure grezze, non tengono conto di importanti fattori di confondimento, come le infezioni da HCV e HBV. La Tabella 2.8 riporta i risultati degli studi di coorte finora condotti su alcol e tumore del fegato, classificando i soggetti in relazione alla presenza di sola sindrome alcolica e senza diagnosi clinica di cirrosi (alcolismo) o alla presenza anche di cirrosi alcolica (alcolismo e cirrosi). Gli studi di popolazione hanno il vantaggio di non soffrire di fenomeni di selezione, anche se utilizzano dati correnti, di qualità non elevata (ricoveri ospedalieri, cause di morte) e mancano di informazioni sulla presenza di infezione da virus epatitici. Su quest ultimo punto, tuttavia, va ricordato che questi studi sono stati condotti in popolazioni del Nord Europa, a bassa prevalenza di infezione da HCV/HBV, e quindi le stime dei tassi di incidenza di CE e dei rischi relativi da essi fornite non dovrebbero essere affette da bias sostanziali. Gli TABELLA 2.8 Studi di coorte con valutazione dell incidenza e del rischio relativo (RR) di CE in soggetti con presenza di patologie alcol-correlate (alcolismo), in assenza e in presenza di cirrosi epatica Autori e anno Nazione Condizione clinica Tipo Età media dei pazienti di studio alla diagnosi (anni) Adami et al., 1992 Svezia Alcolismo Di popolazione 66,5 Kuper et al., 2001 Svezia Alcolismo Di popolazione NI Adami et al., 1992 Svezia Alcolismo e cirrosi Di popolazione 69,3 Kuper et al., 2001 Svezia Alcolismo e cirrosi Di popolazione NI Sorensen et al., 1998 Danimarca Alcolismo e cirrosi Di popolazione NI Serra et al., 2003* Spagna Alcolismo e cirrosi Ospedaliero 56,3 Velasquez et al., 2003* Spagna Alcolismo e cirrosi Ospedaliero 51,0 Henrion et al., 2003* Belgio Alcolismo e cirrosi Ospedaliero NI Miyakawa et al., 1996* Giappone Alcolismo e cirrosi Ospedaliero NI Uetake et al., 2003* Giappone Alcolismo e cirrosi Ospedaliero 59,6 * Negli studi su base ospedaliera sono inclusi solo pazienti negativi per anti-hcv e HbsAg. NI, non indicato.

9 Capitolo 2 Fattori di rischio 43 studi di casistiche cliniche, invece, comprendono solo soggetti con cirrosi senza infezioni da HCV/HBV. Gli studi quindi includono pazienti selezionati, afferenti a centri di secondo o terzo livello, con malattia epatica avanzata e ridotti consumi riferiti di alcol rispetto a quelli che precedevano lo sviluppo di cirrosi. Per questi motivi, gli studi clinici riportano tassi di incidenza di CE maggiori di quelli degli studi di popolazione (1-2 vs 0,01-0,3 per 100 persone-anno). Gli studi di popolazione, tuttavia, rilevano tassi di incidenza molto maggiori in pazienti con cirrosi rispetto ai pazienti non cirrotici. Rispetto alla popolazione generale, il rischio di CE da alcol aumenta di 2-3 volte in presenza della sola sindrome alcolica in assenza di cirrosi e di volte in presenza di cirrosi alcolica. Il nesso di causalità tra fattore di rischio e malattia richiede la dimostrazione di una relazione dose-effetto, presente per la maggior parte delle sostanze tossiche e in particolare per i cancerogeni. All aumentare dell entità e della durata dell esposizione in genere corrisponde un aumento del rischio di sviluppare malattia. Per l alcol, esistono pochi studi che hanno stimato il rischio di CE per diversi livelli di consumo, in genere solo per 2 o 3 livelli ( basso / alto o basso / medio / alto ). Una curva dose-effetto del rischio di CE per quantità di alcol consumato, tenuto conto degli altri fattori di rischio, è stata prodotta da un recente studio condotto nella provincia di Brescia, una delle aree italiane a più elevata incidenza di CE: 10 in questo studio, il rischio di CE aumentava con l aumentare della quantità di alcol consumata giornalmente, a partire dal livello di circa 60 g/die, sia per gli uomini sia per le donne (Figura 2.9). Lo stesso studio ha evidenziato un aumento del rischio di CE di 5-7 volte per un consumo di alcol superiore a 80 g/die protratto per almeno 10 anni. Gli studi condotti sull eziologia della cirrosi mostrano risultati analoghi: la metanalisi di Corrao et al., 13 condotta su 156 lavori, dimostra una chiara relazione dose-effetto tra quantità di etanolo consumato quotidianamente e rischio di sviluppare cirrosi. Questa relazione dose-effetto non compare in alcuni lavori epidemiologici, che però rilevano un aumento del rischio di cirrosi tra gli alcolisti, indipendentemente dall entità dei consumi, suggerendo l esistenza di una soglia per le lesioni neoplastiche da alcol anziché di una relazione dose-effetto. 14 Tuttavia, in questo come in altri studi prospettici di coorte, i consumi di alcol erano molto elevati (da 80 a 420 g/die) nella quasi totalità dei soggetti e peraltro valutati una sola volta, all inizio dello studio. Non tener conto di eventuali riduzioni dei consumi che si sono verificati, presumibilmente, soprattutto nei forti bevitori, comporta una sottostima degli effetti % maschi Durata media del N. di N. di casi Incidenza CE/100 RR follow-up (anni) pazienti di CE anni-persona (IC 95%) 89 7, ,02 3,1 (1,6-5,3) 80 10, ,008 2,4 (2,0-2,8) 88 5, ,2 34,3 (17,1-61,3) 77 10, ,08 22,4 (16,8-29,2) 71 5, ,3 70,6 (59,2-83,2) 80,5 6, ,8 NI NI 3, ,4 NI ,9 NI ,4 NI 100 5, ,4 NI

10 44 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE 10 8 Odds ratio Assunzione di alcol (g/die) 140 FIGURA 2.9 Odds ratio (OR) e intervallo di confidenza (95%) (linee tratteggiate) per il CE nei maschi, per grammi di alcol consumati al giorno, aggiustati per età, residenza e infezioni virali. (Modificata da Donato et al. 10 ) dell alcol per i consumi più elevati. Anche lo studio di Brescia sembra mostrare un appiattimento della curva del rischio di CE da consumo di alcol per i livelli più elevati (oltre 140 g/die, pari a circa 2 litri di vino al giorno), 10 sebbene risulti difficile indagare gli effetti di livelli così elevati di consumo, poco comuni nella popolazione generale e in particolare in soggetti senza epatopatie. D altro canto, è anche possibile che in diversi soggetti consumi elevati di alcol causino la rapida evoluzione dell epatopatia verso lo scompenso epatico e quindi la morte, sottraendo il tempo necessario allo sviluppo di CE. L alcol come causa di CE: la soglia di non tossicità, gli effetti della riduzione dei consumi e dell astinenza, il tipo di bevanda alcolica consumata Recenti metanalisi hanno suggerito un possibile effetto benefico del consumo moderato di alcol in termini di riduzione della mortalità generale e in particolare delle morti per malattie cardiovascolari ischemiche. 13,15 Tipicamente, la relazione doseeffetto tra consumi di alcol e mortalità per tutte le cause, in particolare per le malattie cardiovascolari ischemiche, è una curva detta a J, con il livello più basso di mortalità nei modici bevitori (fino a 4 unità alcoliche nell uomo e 1-2 nella donna) rispetto agli astemi e ai bevitori di quantità maggiori. L effetto protettivo dell alcol sembra reale e non dovuto a bias, indipendente dal tipo di bevanda consumata e dalla popolazione in studio, per quanto i meccanismi patogenetici siano ancora poco chiari. Se basse dosi di alcol sono possibilmente innocue o perfino benefiche per la salute, dosi elevate sono certamente dannose ed è perciò importante stabilire il livello di consumo che meglio discrimina tra i due effetti per ridurre al minimo i rischi e massimizzare i benefici. Per definizione, tuttavia, per tutti i cancerogeni non esiste il rischio nullo di tumore, ma viene considerato accettabile un rischio molto ridotto, in genere dell ordine di 10 6, cioè un

11 Capitolo 2 Fattori di rischio 45 caso su di un milione di persone esposte al fattore di rischio. L esistenza di una dose-soglia per l alcol è plausibile dal punto di vista biologico, ma risulta difficile identificare dove si collochi tale soglia. Quasi tutti gli studi epidemiologici condotti finora hanno indagato 2 o 3 categorie di consumo con cut-off differenti e del tutto arbitrari. La già citata metanalisi di Corrao et al. 13 ha evidenziato come anche per bassi consumi aumenti il rischio di cirrosi e di tumore al fegato: infatti, già la dose di 25 g/die di alcol, equivalente a circa a due bicchieri di vino al giorno, corrisponde a un aumento del rischio di cirrosi di quasi 3 volte (RR = 2,9) e anche di tumore al fegato, se pure più modesto (RR = 1,2). Lo studio di Brescia 10 ha evidenziato un aumento del rischio di CE del 60% negli uomini che consumavano g/die per almeno 10 anni e del 40% nelle donne per consumi di g/die. Un ampliamento della casistica ha mostrato un aumento lineare del rischio di sviluppare CE anche per consumi mediobassi: il rischio aumentava del 4%, 11% e 52% per consumi di 1-20, e g/die di etanolo, rispettivamente, rispetto ai non bevitori. 5 Il trend di incremento del rischio supporta quindi l ipotesi che anche basse dosi di alcol conferiscono un rischio di sviluppare CE, seppur di modesta entità. Questo risultato è confermato da uno studio condotto negli Stati Uniti, che ha dimostrato un OR di 1,5 per un consumo di g/die di alcol e un OR di 2,1 per un consumo giornaliero superiore a 40 g in soggetti senza infezione da HCV e HBV. 16 Lo studio italiano di popolazione Dionysos, condotto su un campione di popolazione adulta di Campogalliano (MO) e Cormons (UD), ha evidenziato un aumento del rischio di epatopatia cronica lineare con l aumentare dei consumi di alcol a partire da una dose di 30 g/die. 17 Nel complesso, quindi, i risultati dei diversi studi suggeriscono che il consumo di g/die di etanolo corrisponde a una soglia di non tossicità per gli uomini. Per le donne, invece, il livello di consumo non pericoloso è ritenuto di g/die, data la maggiore suscettibilità femminile all alcol. In linea con questi risultati, l OMS raccomanda consumi non superiori a 2-3 unità alcoliche (UA) per gli uomini e 1-2 per le donne (con 1 UA equivalente a 12 g di alcol) e, analogamente, il Codice Europeo Contro il Cancro e l American Cancer Society raccomandano di non superare la soglia di 2 e 1 UA per uomini e donne, rispettivamente. Queste raccomandazioni valgono per gli adulti in buona salute e di costituzione normale, mentre in presenza di altri fattori di rischio per malattie epatiche, come le epatiti virali, è consigliabile l astensione completa dall alcol. Un terzo elemento per valutare la consistenza di una relazione di causa-effetto tra alcol e CE, oltre a quanto già visto, è la dimostrazione di un eventuale riduzione del rischio alla cessazione, o riduzione, dei consumi. Gli effetti della cessazione o riduzione del consumo di alcol appaiono sensibili in presenza di steatosi o epatite alcolica, con possibilità di una completa regressione del quadro patologico, ma assai incerti quando la cirrosi è già presente, visto il carattere evolutivo di questa malattia. Pochi studi hanno fino a oggi indagato tali effetti. Due studi italiani caso-controllo hanno dimostrato che, come già osservato per la relazione tra consumo di alcol e tumori del tratto digestivo superiore, il rischio più elevato di CE è presente negli ex bevitori nei primi anni successivi all interruzione dell abitudine, senza alcun decremento per i 10 anni successivi all interruzione. 10,11 Non vi sono a tutt oggi dati su altri aspetti del consumo, in particolare l età dell inizio dell abitudine e gli anni di durata del consumo di bevande alcoliche. Analogamente, poco indagato è l aspetto riguardante il tipo di bevanda alcolica più consumato. Becker et al. 18 hanno dimostrato che il rischio di cirrosi era ridotto del 50% nei bevitori di vino rispetto ai bevitori di altri alcolici, per ogni livello di consumo. Questi risultati sembrano in contrasto con l osservazione di una maggiore incidenza di cirrosi nei Paesi con alte percentuali di consumo di vino rispetto a quelli con maggior consumo di birra e liquori. Tuttavia, va notato che nei Paesi principalmente consumatori di vino è maggiore il livello di consumo medio di alcol. Gli studi sperimentali dimostrano che alcuni componenti del vino, come i flavonoidi e la quercitina, riducono il danno ossidativo derivante dall etanolo e inibiscono l attivazione delle cellule stellate, confermando un possibile ruolo protettivo di alcune componenti del vino nei confronti degli effetti nocivi dell alcol, che non sarebbero presenti in altre bevande alcoliche di largo consumo.

12 46 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE L interazione tra l alcol e altri fattori di rischio: le infezioni da virus epatitici e il fumo di tabacco. Possibile ruolo del caffè e di fattori alimentari nella modulazione del danno da alcol Nei Paesi occidentali e in Giappone, l infezione cronica da HCV costituisce attualmente il principale fattore di rischio per lo sviluppo di malattie epatiche, insieme all alcol. 3 Numerosi studi clinici ed epidemiologici dimostrano una frequente associazione tra infezione da HCV e consumi elevati di alcol, vista la maggiore prevalenza di infezione da HCV tra gli alcolisti rispetto alla popolazione generale. 19,20 Meno frequente è invece il riscontro di un associazione tra infezione da HBV ed elevato consumo di alcol, a causa della bassa prevalenza dell infezione da HBV nei Paesi a elevato consumo di alcol, come quelli occidentali, e, per contro, dei modesti consumi di alcol nelle popolazioni orientali (Cina, Taiwan e Sud-Est asiatico) tra le quali l HBV è maggiormente presente. È intuitivo che la presenza di più fattori di danno epatico possa causare un danno maggiore al fegato rispetto alla presenza di uno solo fattore ( due è peggio di uno ). Tuttavia, un interazione positiva tra fattori di rischio, denominata anche sinergismo, non è sempre evidente nelle malattie umane; è nota, ad esempio, l interazione tra cancerogeni, come il fumo di tabacco e l amianto, e del resto lo stesso fumo di tabacco è una miscela di cancerogeni il cui effetto complessivo risulta maggiore di quello dei singoli componenti. Esiste anche, però, un fenomeno di interferenza tra i diversi fattori di rischio, ad esempio agenti virali che agiscono attraverso medesimi meccanismi, legandosi ai medesimi recettori cellulari o agendo sugli stessi sistemi enzimatici: in questo caso, il rischio complessivo è ridotto rispetto a quello di ciascun fattore considerato da solo: questo è antagonismo. La presenza di un interazione tra HCV e alcol è stata inizialmente segnalata in casistiche cliniche, dove soggetti con infezione cronica da HCV o alcolisti presentavano un quadro clinico mediamente più grave, con più rapida evoluzione della malattia in presenza di entrambi i fattori di rischio rispetto ai pazienti con un solo fattore. 20,21 Nella Tabella 2.9 si riportano i risultati di alcuni studi caso-controllo condotti in Paesi occidentali che hanno analizzato l interazione tra un consumo di g/die di alcol e la presenza di infezione da HCV o HBV (soprattutto il primo): il rischio relativo di CE risulta maggiore nei pazienti con sola infezione da HCV o HBV da solo rispetto al consumo elevato di alcol, ma l effetto è influenzato dalla compresenza di due fattori, mostrando così un effetto sinergico tra alcol e virus. Questi effetti sono più difficilmente dimostrabili negli studi di coorte, in primo luogo per il piccolo numero di soggetti con entrambe le condizioni (bassa potenza) e poi perché in genere gli studi non distinguono tra coloro che, dal momento della diagnosi di epatite cronica o cirrosi da HCV, continuano a consumare ele- TABELLA 2.9 Studi caso-controllo condotti in Paesi occidentali sul rischio relativo (odds ratio, OR) di CE per consumo di alcol in assenza o in presenza di virus epatitici (HCV o HBV) Autori Consumo Virus Virus Virus + Virus + (nazione) di alcol Alcol Alcol + Alcol Alcol + e anno (g/die) ca/co ca/co OR ca/co OR ca/co OR Hassan et al. 60 NR NR 2,4 NR 19,1 NR 53,9 (USA), 2002 Yuan et al /173 29/22 2,6 85/23 8,1 51/2 48,3 (USA), 2004 Franceschi et al /305 37/78 5,0 133/43 46,1 39/5 74,4 (Italia) 2006 Donato et al / /406 7,3 189/58 50,8 176/38 72,1 (Italia), 2006 ca/co, casi/controlli.

13 Capitolo 2 Fattori di rischio 47 vate quantità di alcolici da coloro che invece hanno ridotto i consumi o hanno smesso del tutto di bere. Un recente vasto studio nella popolazione americana ha rilevato tassi di mortalità per tutte le cause più elevati, a parità di età, in compresenza di HCV ed elevato consumo di alcol rispetto a ciascun fattore presente da solo, dimostrando che un consumo elevato di alcol contribuisce sostanzialmente alle morti premature da HCV. 22 Anche gli studi sull eziologia della cirrosi hanno dimostrato un sinergismo tra consumo di alcol e infezione da HCV. 23 Una metanalisi di 20 lavori pubblicati tra il 1995 e il 2004 dimostra che il rischio di cirrosi nei soggetti HCV-positivi raddoppia in presenza di un consumo di alcol medio-elevato (superiore a g/die a seconda degli studi) rispetto ai soggetti con un consumo inferiore. 24 Lo studio Dionysos ha dimostrato che tra i soggetti HCV-positivi il rischio di cirrosi e di CE era decisamente maggiore quando consumavano 30 g/die o più di alcol rispetto a quelli con consumi inferiori. 25 L interazione positiva tra alcol e HCV è confermata da altri rilievi: nei soggetti HCV-positivi l entità e la progressione della fibrosi aumentano in parallelo con la quantità di alcol assunta, mentre non sembra che l alcol aumenti i livelli di replicazione dell HCV; d altro canto, il rischio di cirrosi e CE nei soggetti con epatopatia alcolica aumenta in presenza di HCV. 5 Dato l assunto che il consumo di alcol aumenta il rischio di evoluzione dell infezione da HCV, e viceversa, resta da stabilire quale sia la soglia di non tossicità dell alcol in questa condizione. Pochi studi hanno valutato il rischio di cirrosi o CE per diversi livelli di consumo di alcol. La Figura 2.10, basata sui risultati dello studio di Brescia, riporta la curva dose-effetto per i soggetti con infezione da HCV, HBV e in assenza di infezioni virali per diversi livelli di consumo di alcol: 10 la presenza di infezione da HCV e, in misura minore, anche quella da HBV, comporta un innalzamento della curva del rischio, per cui soggetti HCV/HBV-positivi hanno maggior rischio di CE per consumi di alcol relativamente bassi (pari a 40 g/die). Questi risultati sono stati confermati dagli studi sull eziologia della cirrosi, che dimostrano un analogo aumento del rischio di cirrosi da alcol, per Con infezione da HCV Con infezione da HBV Senza infezione da HBV e HCV Log (odds ratio) Assunzione di alcol (g/die) 140 FIGURA 2.10 Odds ratio (OR) per CE in maschi e femmine insieme, sulla base della quantità di alcol assunta giornalmente, in presenza e assenza di infezioni da HCV e HBV. (Modificata da Donato et al. 10 )

14 48 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE ogni livello di consumo, in presenza anche di infezione da HCV. 23 Gli studi clinici sull entità della fibrosi e sulla progressione verso la cirrosi in soggetti HCV-positivi confermano questi risultati, dimostrando effetti nocivi dell alcol anche per bassi consumi. Nel complesso, quindi, esiste l evidenza che nei soggetti HCV-sieropositivi anche modesti consumi di alcol danneggiano il fegato e che quindi solo la completa astinenza dall alcol è esente da rischio epatopatia. Meno chiaro è se esista un interazione tra infezione da HBV e consumo di alcol, a causa soprattutto dei pochi pazienti con entrambe le condizioni in quasi tutte le popolazioni studiate. Alcuni studi prospettici condotti in Paesi asiatici negano il sinergismo tra i due fattori di rischio, che invece si riscontra in alcuni studi caso-controllo condotti nell area mediterranea. 5 Non è chiaro se queste differenze siano il riflesso della diversa epidemiologia dell infezione da HBV nelle due aree geografiche: in Asia prevale la trasmissione HBV perinatale, nel Mediterraneo quella intrafamiliare e sessuale. È stato ipotizzato un ruolo anche del fumo di tabacco nell eziologia del CE, che appare biologicamente plausibile perché il fumo contiene diverse sostanze che, metabolizzate a livello epatico, hanno proprietà cancerogene. Una recente valutazione della IARC ha concluso per un evidenza sufficiente per l associazione tra fumo di tabacco e cancro del fegato. 26 È probabile, tuttavia, che il rischio di CE da fumo di tabacco, se pur esiste, sia di modesta entità e che esso si sovrapponga in buona parte all effetto del consumo di alcol, dal quale non sarebbe ben differenziabile. Infatti, è ben nota l associazione tra consumo di alcol e fumo di tabacco: la percentuale di fumatori è maggiore tra i forti bevitori di alcolici rispetto ai modici bevitori e astemi e, reciprocamente, il consumo di alcol è mediamente maggiore tra i fumatori rispetto ai non fumatori. È evidente quindi la necessità di considerare il ruolo cancerogeno del fumo di tabacco e dell alcol sia separatamente sia insieme, nell ipotesi che vi sia un sinergismo tra questi due fattori nel causare il cancro del fegato, così come si osserva per i tumori di cavo orale, faringe, laringe ed esofago. 7 Fino a oggi, tuttavia, non vi sono dati sufficienti per una valutazione adeguata di tali effetti, tenendo conto nello stesso tempo degli altri, più rilevanti, fattori di rischio di CE. Studi recenti hanno correlato anche il diabete mellito e l obesità al CE, sebbene non sia chiaro se questi fattori svolgano un ruolo autonomo o siano semplici co-fattori di malattia. 3 Mancano dati sull interazione tra obesità, diabete e consumo di alcol. Il consumo di caffè è un altra abitudine di vita ampiamente studiata in relazione a diverse patologie. Molti studi suggeriscono un effetto protettivo del caffè per il fegato, con una relazione inversa tra quantità di caffè assunta e rischio di sviluppare cirrosi epatica e CE, come riportato da recenti metanalisi. Non è tuttavia chiaro se questo effetto sia spurio, dovuto cioè a fattori di selezione dei soggetti (i soggetti con epatopatie spesso riducono il consumo di caffè), o se invece sia reale, come suggeriscono alcuni studi prospettici di popolazione. Anche per il caffè vale quanto detto per il fumo di tabacco: è possibile un associazione con il consumo di alcol e quindi va effettuata una valutazione dei due fattori singolarmente e in combinazione. Fino a oggi, tuttavia, sono pochi i dati al riguardo. La dieta è un fattore di rischio di grande interesse, che è stato in genere molto indagato dagli studi sull eziologia dei tumori, ma relativamente poco per quanto riguarda il CE. Dal punto di vista fisiopatologico, l assunzione eccessiva di grassi con la dieta può indurre steatosi epatica, che può evolvere in cirrosi, seppur in una piccola percentuale di casi (5-10%), e comunque potrebbe aggravare un epatite cronica virale o da alcol. Inoltre, una dieta ricca di grassi spesso si accompagna a eccessi di calorie e quindi ad alterazioni metaboliche, tra cui il diabete e l obesità, che a loro volta inducono steatosi epatica, potenziando il danno epatico da alcol o altri fattori. Poco è noto sul ruolo di altri fattori alimentari. Sono necessarie ulteriori ricerche per definire il ruolo dell alimentazione e dei disturbi metabolici nell insorgenza delle malattie epatiche in genere e del CE in particolare. Differenze sessuali nel rischio di CE e cirrosi Gli studi epidemiologici mostrano, pressoché in tutte le aree del mondo, una maggiore incidenza di CE tra gli uomini rispetto alle donne, con un rap-

15 Capitolo 2 Fattori di rischio 49 porto che varia da 2:1 a 5:1 nelle diverse aree geografiche. 27 Se questo fatto depone per un minore rischio di CE nella donna rispetto all uomo, va anche detto che la distribuzione dei fattori di rischio per il CE, in particolare il consumo di alcol, è spesso diverso nei due sessi, in differenti popolazioni. Vanno considerati due aspetti del differente rischio per malattie di fegato nelle donne, rispetto agli uomini: (1) la minor tendenza a sviluppare epatopatie, soprattutto le forme più avanzate, cirrosi e CE; (2) la maggiore suscettibilità agli effetti dell alcol, a parità di consumi. Per quanto riguarda il primo aspetto, si osserva in genere anche un età inferiore di comparsa di tali patologie negli uomini rispetto alle donne, a riprova di una maggiore velocità di evoluzione delle malattie epatiche, soprattutto da HCV o HBV, nei primi. Le ragioni di questa protezione del sesso femminile sono ancora ignote, sebbene si ritenga che essa dipenda in parte da una diversa prevalenza di fattori di rischio ambientale, soprattutto il consumo di alcol, e in parte da fattori ormonali. Da tempo si pensa che gli ormoni femminili, soprattutto gli estrogeni, abbiano un importante effetto protettivo verso le cellule epatiche, indipendentemente dal tipo di agente epatolesivo presente. Si è visto inoltre che le donne in menopausa hanno una progressione della malattia epatica simile a quella degli uomini. 28 Nel modello animale si osserva una minore incidenza di cancro del fegato nelle femmine rispetto ai maschi e questa differenza scompare somministrando estrogeni ai maschi o sottoponendo le femmine a ovariectomia. L effetto protettivo degli estrogeni potrebbe essere dovuto alla loro capacità di sopprimere la sintesi di interleuchina-6 (IL- 6) da parte delle cellule di Kupffer, riducendo l apoptosi e la proliferazione delle cellule epatiche. 29 Gli estrogeni risultano essere anche forti antiossidanti e possono proteggere gli epatociti dal danno ossidativo indotto da altri agenti epatotossici, riducendo i livelli epatici di lipidi perossidati. Un ulteriore fattore da considerare è la concentrazione di ferro a livello epatico, che risulta inferiore in media nelle donne in età fertile rispetto agli uomini. Si ritiene che il ferro possa facilitare la replicazione dei virus epatitici negli epatociti, per cui le donne, grazie al minore accumulo del metallo a livello epatico, potrebbero avere una maggior capacità di protezione cellulare dal danno causato da diversi fattori. 28 Sebbene l effetto protettivo degli estrogeni o di altri fattori presenti nel sesso femminile sembri indipendente dal fattore di rischio cui il soggetto è esposto, per quanto riguarda l alcol tale effetto sembra ridimensionato o annullato da una maggiore suscettibilità della donna verso l alcol. In effetti, il rischio di cirrosi o CE sembra maggiore nella donna rispetto all uomo, a parità di consumo alcolico. Becker et al. 30 hanno dimostrato, in uno studio di popolazione condotto in Danimarca, che le donne hanno un maggior rischio relativo di sviluppare cirrosi degli uomini a parità di consumo alcolico. Una recente metanalisi evidenzia un rischio relativo di insorgenza del tumore del fegato maggiore nelle donne rispetto agli uomini, a parità di quantità di alcol assunta. 12 Non è ancora chiaro quali siano i motivi della maggiore suscettibilità della donna all alcol. La donna ha una maggiore concentrazione di alcol nei tessuti, e quindi nel fegato, a parità di consumi alcolici dovuta alla minore massa muscolare e alla maggiore quantità di acqua presente, che facilita la diffusibilità dell alcol. Inoltre, la donna ha ridotta attività dell alcol deidrogenasi gastrica, che determina quantità maggiore di alcol nel fegato, a parità di consumi. Questo causa un maggiore stress ossidativo e quindi un maggior danno epatico da alcol. Infine, l etanolo ha un effetto apoptotico sulle cellule epatiche sia nei maschi sia nelle femmine, ma è più evidente nel fegato delle donne. Alcuni studi hanno evidenziato, nei forti bevitori, maggiori livelli di TNFa e di recettori per le endotossine CD14 nelle cellule di Kupffer delle donne rispetto agli uomini, mentre la produzione di interleuchine, soprattutto IL-6, è maggiore nei maschi. Questa differenza dei livelli epatici di TNFa (che promuove l apoptosi cellulare) e di IL-6 (che induce la proliferazione epatica) potrebbe giustificare la maggior suscettibilità delle donne all alcol. Il fegato presenta sulle cellule recettori estrogenici (ER). Nell uomo, l abuso di alcol altera il livello degli ormoni steroidei e aumenta gli ER a livello epatico, mentre le donne non presentano queste alterazioni. L incremento di ER è legato a un aumento della proliferazione degli epatociti e potrebbe spiegare perché il fegato maschile è più resistente all azione tossica dell alcol.

16 50 IL CARCINOMA EPATOCELLULARE Ruolo della suscettibilità genetica nel modulare il danno epatico L assunzione elevata di alcol per lunghi periodi di tempo induce un danno agli epatociti per diverse vie metaboliche, come anticipato in precedenza (si veda la Figura 2.7). Tuttavia, solo una parte dei forti consumatori di alcol sviluppa una vera e propria patologia alcol-correlata. Ogni individuo ha un diverso grado di suscettibilità ai danni da assunzione di alcol e questo può essere dovuto alla presenza di polimorfismi nei geni che codificano per enzimi coinvolti nel metabolismo dell alcol. In primo luogo, va tenuto conto della velocità con cui l acetaldeide, il primo metabolita dell alcol e di per sé un potenziale cancerogeno, viene metabolizzata dall ALDH. L ALDH può presentare diverse varianti alleliche, indicate come ALDH2*1 e ALDH2*2. I soggetti omozigoti per ALDH2*2 sono incapaci di metabolizzare velocemente l acetaldeide. In questi individui, i valori ematici di acetaldeide sono 6-20 volte maggiori che nei soggetti ALDH2*1. I soggetti eterozigoti, invece, hanno una capacità di metabolizzare l acetaldeide del 30-50% inferiore rispetto all attività normale. 9 Esiste un associazione tra varianti polimorfiche a livello del gene per ALDH2 e rischio di sviluppare tumori all esofago nei bevitori abituali e nei forti bevitori, soprattutto nelle popolazioni giapponesi. Nei metilatori lenti, le concentrazioni di acetaldeide nella saliva e nelle mucose erano più elevate rispetto al gruppo di controllo. Recenti revisioni della letteratura suggeriscono che individui che accumulano concentrazioni maggiori di acetaldeide, a causa di polimorfismi nei geni che codificano per ALDH, hanno anche un rischio maggiore di sviluppare tumore al fegato. Tuttavia, tali polimorfismi sono rari nelle popolazioni caucasiche, che risultano in un certo senso più protette dall effetto epatolesivo dell alcol, mentre sono piuttosto comuni nelle popolazioni asiatiche. Per contro, nelle popolazioni occidentali sono più frequenti i polimorfismi genetici per l alcol deidrogenasi di tipo 3 (ADH3), che trasforma l etanolo in acetaldeide ed è uno dei principali enzimi coinvolti nel metabolismo dell etanolo. La variante allelica ADH3*1 metabolizza l etanolo ad acetaldeide 2,5 volte più velocemente della variante ADH3*2. Pertanto, i soggetti omozigoti ADH3*1 dovrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare forme tumorali alcol-correlate. Tuttavia, i dati di letteratura appaiono discordanti e una recente metanalisi ha dimostrato l esistenza di una correlazione tra polimorfismo ADH3*1 e aumento di rischio per CE. 31 Il glutatione S-transferasi (GST) è un complesso enzimatico coinvolto nei processi di detossificazione di molti composti cancerogeni. Il GSTM1 e il GSTT1 presentano polimorfismi dovuti a delezione che sono frequenti soprattutto nella popolazione caucasica, varianti che vengono definite null perché prive di attività enzimatica. I soggetti omozigoti GSTM1 null hanno una capacità ridotta di inattivare i lipidi perossidati, che sono composti citotossici, e i radicali liberi generati dal metabolismo dell alcol e dovrebbero quindi avere un rischio maggiore di danno epatico per consumo di alcol. Il ruolo dei polimorfismi del GSTM1 e del GSTT1 nell insorgenza di CE è stato indagato in diversi studi. Una recente metanalisi ha dimostrato un piccolo eccesso di rischio di insorgenza di CE tra i portatori del genotipo GSTT1 null (OR = 1,19) e per il GSTM1 null (OR = 1,16), indipendentemente dal fattore di rischio per CE. 32 Nel complesso, i dati finora disponibili sui più comuni polimorfismi dei geni coinvolti nel metabolismo dell alcol (ADH e ALDH) e nella detossificazione dei radicali liberi e di altri metaboliti tossici (GST) non sembrano indicare un ruolo sostanziale di questi enzimi nel determinare un diverso grado di suscettibilità nei confronti dell etanolo e sono necessarie ulteriori ricerche su questi aspetti. Quota di tumori causati dall alcol Data la sua diffusione a livello mondiale, l alcol è una delle principali cause ambientali di tumori nell uomo. Secondo una recente stima, il 3,6% di tutti i casi di tumore nel mondo (il 5,2% negli uomini) sarebbe infatti attribuibile al consumo di alcol. 33 Per il tumore al fegato, il contributo di ciascun agente e della loro combinazione può essere valutato solo in studi che tengano conto di tutti i principali fattori di rischio nell area. Gli studi italiani sull eziologia del CE e della cirrosi mostrano che l alcol, le infezioni da HCV e, in misura minore, quelle da HBV svolgono il ruolo principale nell insorgenza delle epatopatie nel nostro Paese, essendo responsabili dell 85-90% di tutti i casi. 10,11,23 Analogamente, lo stu-

17 Capitolo 2 Fattori di rischio 51 dio Dionysos ha mostrato che gli stessi fattori sono responsabili del 90% circa di tutti i casi di cirrosi e CE, considerando come soglia di consumo di alcol 30 g/die di etanolo. 25 Vanno segnalate le differenze di genere: negli studi italiani, la proporzione di casi di CE e cirrosi dovuti a infezione da HCV è maggiore tra le donne rispetto agli uomini e il contrario si osserva per l alcol, a causa dei consumi mediamente più elevati tra gli uomini, nonostante la maggiore suscettibilità della donna agli effetti nocivi dell alcol già discussa. Va infine notato che il ruolo dell alcol nell insorgenza della cirrosi e del CE è talvolta sottostimato in ambito clinico, a causa dell inadeguata valutazione dei consumi pregressi e di una storia di epatopatia alcolica nei pazienti che si presentano con cirrosi epatica o CE. In ogni caso, la quota di tumori dovuta all alcol varia nelle diverse aree geografiche e popolazioni: è maggiore nei Paesi a elevati consumi di alcolici e bassa prevalenza di epatiti virali, come il Nord Europa e gli Stati Uniti, nei quali tuttavia l incidenza delle epatopatie da HCV è in costante crescita. Anche in Italia, peraltro, si evidenziano differenze per aree geografiche: il ruolo dell alcol nell insorgenza del CE appare maggiore (e quello dell HCV inferiore) nel Nord Italia rispetto al Meridione, e viceversa. 10,11 Conclusioni: linee guida e raccomandazioni sulla prevenzione degli effetti dell alcol L alcol è riconosciuto come fattore di rischio per molte malattie e condizioni nocive alla salute ed è evidente una relazione dose-effetto tra alcol e rischio di insorgenza di varie patologie. Per quanto riguarda la relazione tra alcol e malattie epatiche, sono noti le principali vie metaboliche dell alcol e diversi meccanismi di patogenesi. È ampiamente dimostrato dagli studi osservazionali che l alcol è un agente cancerogeno per l uomo ed è causa di vari tumori, in particolare il CE, che si sviluppa soprattutto, ma non esclusivamente, in un fegato cirrotico. È evidente una relazione dose-effetto tra alcol e rischio di insorgenza di CE, con sostanziali differenze tra uomini e donne: queste ultime risultano più suscettibili al danno epatico da alcol a parità di dosi. L alcol può determinare un aggravamento della malattia epatica dovuta ad altri fattori, soprattutto HCV, aumentando in maniera sinergica il rischio di progressione della malattia e di insorgenza di CE. Per quanto un consumo moderato di alcol venga genericamente considerato non pericoloso, o addirittura benefico per gli effetti protettivi nei confronti della cardiopatia ischemica, non è possibile definire con certezza una dose soglia di assenza di rischio. A oggi, i limiti di consumo di alcol raccomandati dai principali organismi internazionali, espressi in UA, sono 1-2 per le donne e 2-3 per gli uomini, essendo 1 UA equivalente a 12 g di alcol, per cui i limiti di non pericolosità sono di g/die di alcol per le donne e g/die per gli uomini. Questi limiti sono validi per una popolazione adulta sana. In presenza di malattia epatica non esistono soglie di rischio accettabili, ma è prudente astenersi completamente dall assunzione di bevande alcoliche. Bibliografia 1. Mandayam S, Jamal MM, Morgan TR. Epidemiology of alcoholic liver disease. Semin Liver Dis 2004; 24: Rapporto ISTAT, 17/04/2008: L uso e l abuso di alcol El-Serag HB, Rudolph KL. Hepatocellular carcinoma: Epidemiology and molecular carcinogenesis. Gastroenterology 2007;132: Seitz HK, Stickel F. Risk factors and mechanisms of hepatocarcinogenesis with special emphasis on alcohol and oxidative stress. Biol Chem 2006;387: Donato F, Gelatti U, Limina RM, Fattovich G. Southern Europe as an example of interaction between various environmental factors: A systematic review of the epidemiologic evidence. Oncogene 2006;25: Fattovich G, Stroffolini T, Zagni I, Donato F. Hepatocellular carcinoma in cirrhosis: Incidence and risk factors. Gastroenterology 2004;127(Suppl 1):S35-50.

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