La profilassi della recidiva HCV: strategie pre-trapianto

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1 1/2007 RIASSUNTO La cirrosi epatica HCV-correlata costituisce una frequente indicazione al trapianto di fegato (LT). Dopo il trapianto, però, la reinfezione da HCV si verifica praticamente nella totalità degli organi trapiantati, determinando una recidiva epatitica di severità variabile, da quadri minimi a forme gravi. Ciò ha indotto allo studio di possibili fattori predittivi di severità di recidiva e di strategie di profilassi da attuare previamente o successivamente al LT. La viremia pre-trapianto è uno dei fattori coinvolti nella gravità della recidiva. Pertanto, il trattamento antivirale dei pazienti in lista d attesa sembra una possibile strategia di prevenzione della recidiva di HCV. I pochi studi finora effettuati sono eterogenei in quanto a caratteristiche e numerosità dei pazienti, regimi terapeutici e conclusioni, non consentendo così ancora la definizione di linee guida basate su evidenze solide. Un punto rilevante di questi studi è dato dagli effetti collaterali, che sono stati gravi in un numero considerevole di casi. Il trattamento in lista d attesa è pertanto una possibilità da prendere in considerazione, ma solo in pazienti selezionati, e con un regime terapeutico graduale data la severità che caratterizza spesso le condizioni cliniche dei pazienti in attesa di LT. Infine, un approccio più agevole per limitare la severità della recidiva di HCV è effettuare un accurato matching donatore-ricevente, alla luce dei dati che suggeriscono l impatto negativo dei fattori di marginalità sull evoluzione successiva della recidiva epatitica. Tea Restuccia 1 Mario Strazzabosco 1,2 1 Ospedali Riuniti di Bergamo, U.O. Gastroenterologia e CeLiveR, Bergamo 2 Section of Digestive Diseases, Yale University, School of Medicine, New Haven, CT, USA Parole chiave Trapianto di fegato, HCV, reinfezione, trattamento, interferone, ribavirina, interferone peghilato. Pretransplant prophylaxis of HCV reinfection SUMMARY HCV-related cirrhosis is a common indication to liver transplantation (LT). After transplantation HCV reinfection occurs virtually in all grafts, leading to a recurrent disease with different patterns of severity. In the last years several studies have focused on factors affecting the natural history of the graft recurrent disease and on possible protective strategies prior or after LT. The pretransplant viral load seems to be predictive of the severity of recurrence. Therefore, antiviral treatment of waitlisted patients could be a possible strategy to prevent graft reinfection. Until now a few studies are available, but differences in the size of enrolled populations, their varied epidemiologic characteristics, and the different treatment schedules do not allow for definition of evidence-based guidelines. Moreover, safety of pre-transplant treatment modalities is a common concern in all such studies, since a high number of adverse and serious adverse events have been reported so far. Based on current evidence, treatment while on the waitlist is warranted only in selected patients and with stepwise treatment schedules. On the other hand, the impact of other pre-transplantation factors on LT outcome has to be considered, since appropriate donor-recipient matching could be a simpler approach to prevent severe HCV recurrence. Key words Liver transplantation, HCV, reinfection, treatment, interferon, ribavirin, pegylated interferon 9

2 Introduzione La cirrosi epatica HCV-correlata costituisce una delle più frequenti indicazioni al trapianto di fegato (liver transplantation, LT); infatti, a seconda delle varie casistiche, sino al 45% dei trapianti sono eseguiti in pazienti infetti dal virus dell epatite C (hepatitis C virus, HCV) 1. Sfortunatamente, dopo il trapianto l HCV reinfetta il fegato e vi determina un epatite di severità variabile, da quadri minimi alla rara, quanto drammatica, forma fibrosante colestatica. È ormai accertato che nel paziente trapiantato, il decorso dell epatite è più accelerato rispetto all ospite non immunocompromesso. Dopo 5 10 anni dal trapianto la reinfezione del graft conduce allo sviluppo di cirrosi in circa il 25% dei pazienti (con un range che varia dal 20 al 40% nelle diverse casistiche) 2,3. Inoltre, nel paziente trapiantato la cirrosi stessa sembra avere un decorso clinico più rapido di quanto non avvenga nei pazienti non trapiantati. Infatti, ad un anno dalla diagnosi, quasi il 40% dei pazienti con cirrosi da recidiva di HCV presenta uno scompenso ascitico 3,4. La stessa comparsa di scompenso clinico è poi associata ad una ridotta sopravvivenza del paziente (il 40% di sopravvivenza a 1 anno dal primo episodio di scompenso) 3,4. Ciononostante la sopravvivenza a medio termine dei pazienti trapiantati per epatopatia HCV correlata è ancora accettabile, pur scostandosi di qualche punto percentuale rispetto a quella dei pazienti trapiantati per altre indicazioni. Nel follow-up a lungo termine (dopo 10 anni), invece, si può osservare una riduzione delle percentuali di sopravvivenza. Negli HCV-positivi in Italia la sopravvivenza a 5 anni dal trapianto è del 68% circa, mentre scende intorno al 57% dopo 10 anni 1. L opzione di sottoporre questi pazienti ad un nuovo trapianto di fegato è molto controversa e molti centri non ritengono il retrapianto indicato. Mentre nel caso dell epatopatia da virus dell epatite B (hepatitis B virus, HBV), l utilizzo di farmaci antivirali in associazione all immunoprofilassi passiva ha rapidamente eliminato il problema delle recidive, l approccio clinico al paziente trapiantato per epatopatia HCVcorrelata non è ancora chiaro. Tre sono le strategie proposte: il trattamento dell infezione prima del trapianto; il trattamento precoce nel post-trapianto, al fine di impedire lo stabilirsi di un infezione cronica; il trattamento dell epatite cronica istologicamente significativa, al fine di bloccarne l evoluzione in cirrosi. Ciascuna di queste opzioni presenta dei pro e dei contro. Il trattamento precoce post-trapianto, infatti, è gravato da importanti effetti collaterali; d altronde, il trattamento dell epatite cronica già instauratasi ha forse un efficacia inferiore. Le costituiscono l aspetto di cui qui trattiamo, anche se i dati disponibili al riguardo sono molto scarsi. 10

3 Revisione della letteratura Vari studi retrospettivi hanno associato una serie di variabili (concernenti il donatore, il ricevente, le procedure chirurgiche ed alcuni fattori virologici) con la severità di malattia post-trapianto e con la sua peculiare evoluzione. Tra queste varabili sembra che l entità della carica virale pre-trapianto sia predittiva della severità della recidiva e della mortalità post-trapianto, mentre non vi sono ancora dati certi sul ruolo del genotipo infettante 2. L importanza dei fattori virologici pre-trapianto nell influenzare il decorso successivo dell infezione ha suggerito la strategia di ridurre la carica virale, sottoponendo a trattamento i pazienti preventivamente al LT stesso. L opportunità di tale trattamento è stata oggetto di una Consensus Conference dell ILTS (International Liver Transplantation Society) su Trapianto epatico ed Epatite C che nel 2003, pur in assenza di studi realmente convincenti, ha proposto le prime linee guida in proposito 5. In questo documento si riconosce che il trattamento dei pazienti in lista pone comunque alcune problematiche serie: sulla selezione dei pazienti da trattare, sulla scelta del regime terapeutico, sulla gestione delle complicanze del trattamento, e sulla definizione dei criteri predittivi di risposta. Nei pazienti non candidati a LT la cirrosi epatica compensata è ormai considerata una potenziale indicazione alla terapia con interferone peghilato (PEG-IFN) e ribavirina (RIBA) 6,7, e gli studi disponibili dimostrano che i risultati sono buoni in termini di risposta virologica sostenuta soprattutto nei genotipi 2 e 3. Il problema dell opportunità del trattamento si pone, quindi, soprattutto per i pazienti con cirrosi in fase di scompenso o in condizioni troppo scadenti, quali i pazienti in lista per trapianto vengono generalmente considerati. In realtà dall esame degli score MELD (model for end-stage liver disease) dei pazienti in lista attiva per trapianto di fegato negli Stati Uniti, è emerso che circa il 90% dei pazienti HCV-positivi avevano un MELD inferiore od uguale a 18, che corrisponde ad una bilirubina di 2,5 mg/dl, INR 1,5 e creatinina 1,5 mg/dl5. Anche in Italia i dati del Centro Nazionale Trapianti (CNT) fanno rilevare come una quota considerevole di pazienti viene trapiantata in stadio UNOS 3, cioè in condizioni relativamente buone 1. Questa situazione potrebbe essere destinata a cambiare con l eventuale utilizzo del MELD come criterio d allocazione degli organi. Per quanto attiene al trattamento dell infezione HCV nel candidato a LT, la Consensus Conference dell ILTS suggerisce le seguenti linee di comportamento: considerare il trattamento nei pazienti con score Child-Turcotte-Pugh (CTP) inferiore od uguale a 7 e MELD inferiore o uguale a 18; riservare il trattamento a casi selezionati per CTP compresi fra 8 e 11 e MELD compreso tra 18 e 25; non trattare i pazienti con CTP score superiore a 11 e MELD superiore a 255. Per quanto concerne il regime terapeutico da usare, i pochi studi in letteratura si basano su strategie di trattamento notevolmente diverse 11

4 tra loro. Abbiamo tentato di sintetizzare, in questa sede, i risultati degli studi sinora effettuati in tabella I. Tuttavia, questa risente dell eterogeneità degli studi, in termini di definizioni usate, metodiche e regimi terapeutici e la sua stesura ha richiesto talvolta l estrapolazione dei dati da quanto riportato. Crippin et al. hanno trattato 15 pazienti nell ambito di uno studio multicentrico; i risultati non sono apparsi incoraggianti, e - a causa degli importanti effetti avversi - gli stessi Autori hanno interrotto lo studio ed enfatizzato, nelle conclusioni, i rischi connessi alla terapia antivirale in pazienti con cirrosi epatica scompensata. Si trattava di pazienti con un CTP relativamente elevato (media 11,9±1,2); in status UNOS 2b; ai primi posti delle rispettive liste d attesa; infetti da genotipo 1 nel 73% dei casi. Sono stati trattati con dosaggi bassi di IFNα2b secondo tre diversi schemi terapeutici (1 MU/die, 3 MU 3 volte la settimana e 1 MU /die più 800 mg di RIBA al giorno). La risposta alla terapia, definita come negativizzazione dell HCV-RNA con metodica PCR durante trattamento, si è verificata nel 33% dei casi (5 pazienti); inoltre, l RNA ha subito un decremento nel 55%, ma nessun paziente è poi andato incontro ad una risposta virologica sostenuta 8. Thomas et al. hanno studiato 27 pazienti cirrotici in lista per LT, adottando come criterio d esclusione la piastrinopenia (< /mm 3 ). I 20 pazienti arruolabili nello studio sono stati sottoposti ad un trattamento aggressivo con IFN-α2b (alla dose di 5MU al dì, ma senza RIBA), sino al momento del trapianto per un tempo medio di 14±2,5 mesi. Dodici dei pazienti trattati (60%) sono andati incontro a clearance dell RNA, ma di questi solo 4 non hanno presentato recidiva epatitica nel post-trapianto (20% dei trattati e 33% di coloro che avevano risposto al trattamento) 9. Tabella I. Revisione della letteratura sul trattamento dell infezione HCV pre-trapianto. Studio Pazienti CTP Trattamento Ribavirina N. eventi Risposta LT Recidiva Recidiva Recidiva score (N. (mg/die) avversi virologica di HCV post-lt post Tx per classe gravi post-lt (tra i paz.ti (tra i paz.ti A/B/C) con risposta senza risposta virologica) virologica) Crippin ,9 ± 1,2 IFN-α2b* 800** 20 5*** 2 Non nota Non nota Non nota (3/6/6) Thomas ± 0,5 IFN-α2b No? /12 8/8 Forns /13/2 IFN-α2b /9 15/17 Everson ,4 ± 2,3 IFN-α2b /15 32/32 (56/45/23) PEG-IFN-α2b *Secondo tre diversi schemi: 1 MU/die; 3 MU 3 volte la settimana; 1 MU/die + RIBA. **Solo un braccio dello studio, in associazione ad IFN-α2b 1 MU/die. ***Negativizzazione dell HCV-RNA con metodica PCR durante trattamento. 5 MU/die. Definita come HCV-RNA non identificabile nel siero prima del trapianto. definita come HCV-RNA positivo nel siero. 3 MU/die. Definita come negativizzazione dell HCV-RNA, persistente fino al trapianto. Definita come HCV-RNA positivo dopo il trapianto. Dei 21 non responder 17 sono stati trapiantati; 2 sono deceduti precocemente dopo il trapianto. Di cui 90 in lista per OLT. IFN- 2b 1,5 MU 3 volte/settimana (119 pazienti) o PEG-IFN-α2b 0,5 µg/kg la settimana (5 pazienti) con aumento graduale. Con aumento graduale. Definita come HCV-RNA negativo a 6 mesi dalla fine del trattamento (SVR); di questi 23 erano in lista per LT. HCV-RNA positivo post-lt. 32 RNA positivi al momento dell OLT e 3 dei 15 RNA negativi ma non ancora SVR. 12

5 Forns et al. hanno valutato l efficacia e la sicurezza del trattamento antivirale in 30 pazienti in lista per trapianto per cirrosi HCV-correlata. Il 50% di questi pazienti si trovava in classe A di Child, il 43% in classe B ed il 2% in classe C. Da notare come il 43% di questi pazienti fosse affetto da epatocarcinoma (hepatocellular carcinoma, HCC). Nella maggior parte dei casi (73%) il virus responsabile dell infezione apparteneva al genotipo 1b. Sono stati esclusi dal trattamento pazienti con meno di piastrine, neutrofili inferiori a 1,2 x 10 9 /L, emoglobina inferiore a 9 g/dl, e coloro con insufficienza renale. Si trattava, inoltre, di pazienti che avevano un tempo previsto di permanenza in lista d attesa inferiore a 4 mesi. Il regime di trattamento prevedeva l utilizzo di IFN-α2b alla dose di 3 MU al giorno e RIBA alla dose di 800 mg/die. Il dosaggio dei farmaci veniva, quindi, modificato in base al numero di piastrine e neutrofili ed al valore dell emoglobina. Da notare che non veniva effettuata modifica del dosaggio in caso di comparsa d ascite o d encefalopatia, se di grado lieve, né di peritonite batterica spontanea (PBS) od altre infezioni, a meno che non fossero accompagnate da insufficienza renale, encefalopatia di grado severo, stato settico e neutropenia. Gli Autori hanno motivato la scelta dell IFN-α2b in somministrazione giornaliera con la necessità di mantenere dei livelli costanti di farmaco, evitando però l uso del PEG-IFN in previsione di un intervento chirurgico non programmabile come il trapianto. Il 30% dei pazienti ha conseguito una risposta virologica, definita dalla negativizzazione dell HVC-RNA - mediante test qualitativo sensibile - fino al momento del trapianto. I pazienti responders alla terapia erano più giovani, avevano valori di ALT più bassi all inizio del trattamento ed erano infetti con genotipi diversi dall 1b, ma queste differenze non raggiungevano la significatività statistica. Era, invece, significativamente più bassa nei responders rispetto ai non responders la viremia pretrattamento. Il decremento della viremia 2 log 10 alla quarta settimana è risultato essere il più importante fattore predittivo di risposta virologica. Dei 9 pazienti responders al trattamento, 6 erano ancora liberi da recidiva di malattia a 46 settimane dal LT, mentre in 3 pazienti si è verificata ricorrenza di malattia 10. Dei 21 pazienti non responders, 4 non erano stati ancora trapiantati al momento della fine dello studio, 2 sono deceduti precocemente, gli altri 15 sono andati incontro a ricorrenza d infezione. Everson et al. hanno recentemente riportato i risultati di uno studio sull efficacia del trattamento antivirale con dosi in aumento graduale (low accelerating dose regimen - LADR). Centoventiquattro pazienti con cirrosi HCV-correlata d età compresa tra 35 e 71 anni, infetti per la maggior parte con genotipo 1b (70%), sono stati sottoposti a terapia con IFN-α2b (1,5 MU tre volte la settimana; 119 pazienti) o con PEG-IFN-α2b (0,5 µg/kg la settimana; solo 5 pazienti) in associazione a RIBA, con aggiustamenti di terapia così da raggiungere la dose massima desiderata o comunque quella tollerata dal paziente. La durata prefissata della terapia era di 6 mesi per i genotipi 2 e 3 e 13

6 di 12 mesi per gli altri. Si trattava di pazienti con epatopatia avanzata: 56 in classe A di Child, 45 in classe B, 23 in classe C. Il 63 % era andato incontro ad una o più complicanze della cirrosi, tra le quali emorragia da varici (20%), ascite (50%), PBS (6%), ed encefalopatia (38%). Due pazienti presentavano HCC al momento dell inizio della terapia ed in altri di 18 la diagnosi è stata posta durante il trattamento o nel follow-up. Novanta pazienti (73%) sono stati posti in lista per LT prima, durante o dopo la terapia e 47 (38%) sono stati effettivamente trapiantati. Una risposta virologica sostenuta (sustained virologic response, SVR), definita come HCV-RNA persistentemente negativo a 6 mesi dalla sospensione del trattamento, è stata ottenuta in 30 pazienti (24%). Hanno dimostrato d essere fattori predittivi di risposta il genotipo diverso dall 1 (13% SVR nei pazienti con genotipo 1 vs. 50% in quelli con genotipo diverso); la classe A di Child (per il genotipo 1), ed il raggiungimento della dose piena di trattamento e della durata massima. Dei 30 pazienti con SVR, 12 sono stati trapiantati: 2 sono deceduti, per cause diverse dalla recidiva di HCV, gli altri 10 non hanno mostrato recidiva d infezione. Dei 15 pazienti HCV-RNA negativi al momento del trapianto 8 si trovavano ancora sotto trattamento antivirale (2 hanno mostrato relapse nel post-trapianto), 4 avevano già conseguito una SVR e non hanno avuto recidiva di malattia, 3 sono stati trapiantati 3 mesi dopo la sospensione del trattamento (1 è andato incontro a relapse), per un totale di 12 pazienti HCV-RNA negativi a 6 mesi dopo il trapianto 11. Alla fine del trattamento una quota di pazienti che aveva mostrato risposta virologica è andato incontro a relapse. Nello studio di Everson et al., 11 dei 30 pazienti che avevano avuto relapse alla sospensione della terapia sono stati ritrattati, conseguendo una risposta persistente dopo il trapianto in 2 casi 11. L alternativa suggerita della Consensus Conference dell ILTS è di mantenere i pazienti infetti da genotipo 1 che hanno mostrato relapse in terapia antivirale fino al momento del trapianto. Non vi sono, tuttavia, dati disponibili a favore di quest ipotesi 5. Alla luce dei dati preliminari la Consensus Conference ILTS ha suggerito di utilizzare un regime di aumento graduale delle dosi iniziando con IFN-α2b (1,5 MU tre volte la settimana) o PEG IFN-α2b (0.5 µg/kg la settimana) o PEG IFN-α2a (90 µg la settimana) più RIBA (600 mg/die). La dose iniziale di RIBA dovrebbe essere inferiore (400 mg/die) nei pazienti con compromissione della funzionalità renale (definita da un valore di clearance della creatinina inferiore a 50 ml/min). Gli aggiustamenti di dosaggio andrebbero effettuati ogni 2 settimane fino a raggiungere la dose massima tollerata di IFN nel giro di 2 4 settimane e la RIBA andrebbe aumentata di 200 mg la settimana così da raggiungere la dose desiderata di 10,6 mg/kg/die 5. Tale schema a gradini viene suggerito in base all opportunità di un approccio più leggero e maneggevole in pazienti come i cirrotici, i quali, già in virtù della loro patologia, presentano spesso anemia, 14

7 piastrinopenia, neutropenia ed appaiono maggiormente esposti ai possibili effetti collaterali della terapia antivirale. In effetti, gli eventi avversi riportati dagli studi succitati sono stati considerevoli, anche se non appaiono sempre strettamente in relazione con l intensità del trattamento. Nello studio di Crippin sono stati riportanti 23 effetti avversi (di cui 20 sono stati considerati gravi) che hanno interessato 13 dei 15 pazienti studiati 8. Gli effetti collaterali più frequenti erano trombocitopenia e leucopenia, seguiti dall encefalopatia epatica. Si sono verificate inoltre 2 complicanze infettive, una delle quali, lo sviluppo di un empiema con successiva insufficienza multiorgano, è risultata fatale 8. La leucopenia, insieme alla piastrinopenia, è stato anche l effetto più rilevante nello studio di Thomas, a tal punto che per tutti i pazienti si è reso necessario l uso di granulochine (GCSF). In questo studio, in cui veniva usato un regime terapeutico più aggressivo, non si sono verificate però complicanze infettive 9. Nello studio di Forns 2 pazienti hanno sviluppato episodi infettivi di una certa gravità (polmonite da Streptococcus pyogenes complicata da insufficienza respiratoria in un caso; tromboflebite da catetere da Staphylococcus aureus nell altro). Si sono verificati anche scompensi epatici de novo, sotto forma d ascite, encefalopatia, emorragia da varici esofagee. Anche in questo studio gli effetti avversi numericamente preponderanti sono stati quelli ematologici 10. Infine, nello studio di Everson recentemente apparso, oltre agli effetti ematologici comuni, 15 pazienti sono andati incontro a 22 complicanze significative, tra cui infezioni, encefalopatia, peggioramento dell ascite, sanguinamento gastroenterico, diabete mellito, trombocitopenia grave, trombosi venosa con embolia polmonare. Il trattamento potrebbe aver contribuito in 2 casi allo sviluppo di complicanze fatali. Da notare che 21 dei 22 eventi avversi gravi si sono verificati in pazienti con epatopatia avanzata (solo un paziente infatti si trovava in classe A di Child, mentre gli altri 14 si trovavano in classe B o C) 11. Allo stato attuale esistono due opzioni per fronteggiare gli effetti collaterali della terapia antivirale: la riduzione della dose dei farmaci e l uso di fattori di crescita ematologici. Entrambi questi provvedimenti di fatto sono stati adottati negli studi riportati. In realtà, la riduzione della dose, anche se talvolta inevitabile, può inficiare il raggiungimento dell obiettivo terapeutico. D altra parte, non esiste ancora in letteratura un corpus di dati tale da sostenere con sicurezza l efficacia dei fattori di crescita nel prevenire le complicanze, e sebbene l uso dell eritropoietina sembra essere in grado di mantenere livelli d emoglobina adeguati in corso di trattamento con ribavirina, non esistono ancora studi che valutino il reale impatto nel contribuire al conseguimento di una risposta sostenuta 12. Il loro uso tuttavia, viene incoraggiato nelle linee guida dell America Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) 13 e nella Consensus Conference dell ILTS 5. Alla luce di questi dati e delle linee guida proposte dalla Consensus 15

8 Conference ILTS e delle linee guida AASLD, la possibilità di un trattamento antivirale per i pazienti in lista d attesa per cirrosi HCV-correlata appare una prospettiva cui guardare con attenzione, ma con le dovute cautele nella selezione e nella gestione dei pazienti. Lo stesso documento AISF con le raccomandazioni della Commissione sul trapianto suggerisce di valutare la terapia nei pazienti con cirrosi ed epatocarcinoma e basso valore di MELD naturale, oltre che nei casi di trapianto da donatore vivente 1. A tal proposito infatti, se esistono in letteratura dati in base ai quali i pazienti affetti da cirrosi epatica HCV-correlata avrebbero una recidiva di malattia di maggior severità nel post-trapianto 14, la possibilità di programmare l intervento chirurgico consentirebbe la pianificazione del trattamento antivirale e l effettuazione del trapianto a terapia ultimata 15. Peraltro, l aspetto virologico non è l unico su cui è possibile intervenire nel pre-trapianto con la finalità di migliorare il decorso successivo dei pazienti HCV-positivi. Numerosi dati indicano, per esempio, che l età del donatore influisce negativamente sulla severità di malattia, sulla progressione della fibrosi ed infine sulla sopravvivenza del graft e del paziente 2. In uno studio di Berenguer et al., la percentuale di recidiva di HCV variava dal 14% per i pazienti che avevano ricevuto un graft di un donatore di età inferiore ai 30 anni, al 52% per i casi in cui il donatore aveva un età superiore ai 59 anni 16. Recentemente è stata dimostrata una relazione tra l età del donatore e la progressione della fibrosi: ad 1 anno dal trapianto era presente fibrosi severa nel 26% dei pazienti che avevano ricevuto un organo da un donatore anziano (definito come un donatore d età superiore ai 50 anni) contro il 13% dei pazienti che avevano ricevuto il fegato di un donatore d età più giovane 17. In questo stesso studio la sopravvivenza del graft era inferiore nei pazienti con epatopatia da HCV che ricevevano organi di donatori anziani, mentre l età del donatore appariva ininfluente nelle altre categorie di pazienti. Anche la presenza di steatosi, che già di per sé costituisce un fattore di marginalità del donatore, può contribuire alla peggiore evoluzione descritta per i pazienti trapiantati con fegati di donatori anziani. Anche il contenuto epatico di ferro è stato associato alla progressione della fibrosi 2. Così pure tempi lunghi d ischemia/riperfusione sono stati associati con la severità della recidiva epatitica nel post-trapianto (sono state riportate percentuali di rischio di recidiva severa del 19% e del 65% a 1 anno per tempi di 30 e 90 minuti rispettivamente) 18. Chiaramente è da evitare, soprattutto nel paziente HCV-positivo, l associazione di più fattori di marginalità. Questi dati suggeriscono che l opportuna selezione degli organi in base alle caratteristiche del paziente, e quindi l ottimizzazione del matching donatore-ricevente, potrebbe essere la strategia più efficace. Si tratta di un alternativa più facilmente percorribile se paragonata ai risultati dei tentativi di trattamento e ai suoi effetti collaterali. 16

9 Conclusioni Il trattamento antivirale dei pazienti in lista per LT può comunque essere proposto, ma solo in casi opportunamente selezionati e con i dovuti accorgimenti in termini di posologia e con un adeguato follow-up, che dovrà essere effettuato comunque dal Centro presso cui il paziente si trova in lista per LT. Una possibile opzione potrebbe essere quella di trattare i pazienti HCV-positivi in lista per trapianto in classe A o B di Child, con piastrine superiori a /mm 3, globuli bianchi superiori a 2000/mm 3, emoglobina al di sopra dei 10 g/dl, e funzione renale non compromessa. Il trattamento dovrebbe essere effettuato l associazione di IFN e RIBA con la posologia proposta dalle linee guida ILTS, fino al momento del trapianto, o fino ai 6 mesi di terapia per i genotipi 2 e 3, oltre i 6 mesi per il genotipo 1 (tabella II). Ovviamente sarà necessario uno stretto controllo clinico e bioumorale per prevenire o trattare precocemente le complicanze del trattamento. Resta anche da definire se gli endpoints predittivi di risposta siano gli stessi già in uso per i pazienti non candidati a LT. Batteri Virus Parassiti Tabella II. Strategie pre-trapianto suggerite nei pazienti HCVpositivi 1) Matching donatore-ricevente corretto (per quanto possibile non utilizzare donatori marginali nel ricevente HCV-positivo) 2) Trattamento antivirale Candidati in classe CTP A o B con le seguenti caratteristiche: - piastrine > /mm 3, - globuli bianchi > 2000/mm 3, - emoglobina > 10 g/dl, - funzione renale conservata Trattamento combinato con (PEG)-IFN e RIBA: - IFN-α2b (1,5 MU tre volte la settimana) oppure - IFN-α2b (1,5 MU al giorno) oppure - PEG IFN-α2b (0,5 µg/kg la settimana) oppure - PEG IFN-α2a (90 µg la settimana) - in associazione a RIBA (600 mg/die) - aumento graduale delle dosi fino alla dose massima tollerata di IFN e alla dose di 10,6 mg/kg/die per la RIBA 17

10 1. Trapianto di fegato non urgente dell adulto. Raccomandazioni della commissione di studio AISF ( 2. Berenguer M. What determines the natural history of recurrent hepatitis C after liver transplantation? J Hepatol 2005; 42: Gane E. The natural history and outcome of liver transplantation in Hepatitis C Virus-infected recipients. Liver Transpl 2003; 9: S28-S Berenguer M, Prieto M, Rayón JM, et al. Natural history of clinically compensated hepatitis C virus-related graft cirrhosis after liver transplantation. Hepatology 2000; 32: Wiesner RH, Sorrel M, Villamil F, and the International Liver Transplantation Society Expert Panel. Report of the first international liver transplantation society expert panel consensus conference on liver transplantation and hepatitis C. Liver Transpl 2003; 9: S1-S9. 6. Commissione terapia antivirale dell Associazione Italiana per lo studio del fegato (AISF) Trattamento dell'epatite da HCV ( 7. Seef LB, Hoofnagle JH. The National Institutes of Health consensus development conference. Management of hepatitis C Clin Liver Dis 2003; 7: Crippin JS, McCashland T, Terrault N, et al. A pilot study of the tolerability and efficacy of antiviral therapy in hepatitis C virus-infected patients awaiting liver transplantation. Liver Transpl 2002; 8: Thomas RM, Brems JJ, Guzman-Hartman G, et al. Infection with chronic hepatitis C virus and liver transplantation: a role for interferon therapy before transplantation. Liver Transpl 2003; 9: Forns X, García-Retortillo M, Serrano T, et al. Antiviral therapy of patients with decompensated cirrhosis to prevent recurrence of hepatitis C after liver transplantation. J Hepatol 2003; 39: Everson GT, Trotter J, Forman L, et al. Treatment of advanced hepatitis C with a low accelerating dosage regimen of antiviral therapy. Hepatology 2005; 42: Fried MW. Side effects of therapy of hepatitis C and their management. Hepatology 2002; 36: S237-S Strader DB, Wright T, Thomas DL, Seeff LB. Diagnosis, management and treatment of hepatitis C. Hepatology 2004; 39: García-Retortillo M, Forns X, Llovet JP, et al. Hepatitis C recurrence is more severe after living donor compared to cadaveric liver transplantation. Hepatology 2004; 40: Zimmerman MA, Trotter JF. Living donor liver transplantation in patients with hepatitis C. Liver Transpl 2003; 9: S52-S Berenguer M, Prieto M, San Juan F, et al. Contribution of donor age to the recent decrease in patient survival among HCV-infected liver transplant recipients. Hepatology 2002; 36: Machicao VI, Bonatti H, Krishna M, et al. Donor age affects fibrosis progression and graft survival after liver transplantation for hepatitis C. Transplantation 2004; 77: Baron PW, Sindram D, Higdon D, et al. Prolonged rewarming time during allograft implantation predisposes to recurrent hepatitis C infection after liver transplantation. Liver Transpl 2000; 6:

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