SONO STATO TRATTATO CON UN ANGIOPLASTICA CORONARICA. COSA PUÒ SUCCEDERMI ADESSO?
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- Linda Brunetti
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1 SONO STATO TRATTATO CON UN ANGIOPLASTICA CORONARICA. COSA PUÒ SUCCEDERMI ADESSO? Nel 2010 in Italia sono state effettuate più di angioplastiche coronariche percutanee (PCI), perlopiù con impianto di stent a rilascio di farmaco (ossia stent medicato) (1). Questa revisione ha lo scopo di illustrare ai pazienti sottoposti a PCI le possibili complicanze periprocedurali e postdimissione. È comunque importante premettere che la stragrande maggioranza dei pazienti sottoposti a PCI nella pratica clinica quotidiana presentano un decorso clinico assolutamente scevro di complicanze o disturbi postprocedurali. Complicanze periprocedurali Dolore toracico Il dolore toracico si verifica in circa il 10-15% dei pazien- ti sottoposti a PCI (2). La causa è generalmente benigna, ma eventi più seri, tra cui l occlusione del vaso trattato, devono essere sempre presi in considerazione. Il giudizio clinico, la valutazione dei biomarcatori cardiaci e dell elettrocardiogramma di solito consentono di identificare il problema (2). La causa più temibile di dolore toracico post- PCI è l occlusione acuta del vaso trattato, la cui incidenza è inferiore all 1% entro i primi 7 giorni dall impianto (2). Quando si sospetta una chiusura acuta del vaso trattato è indicata una coronarografia in emergenza per trattare la causa che ha portato all evento e, in casi sporadici, si deve ricorrere all intervento chirurgico di bypass. Una causa benigna di dolore toracico può essere lo spasmo del letto coronarico distale che può causare una lie- ve angina e di solito risponde bene al trattamento farmacologico. Inoltre, l impianto di stent può di per sé causa- re un dolore toracico dovuto allo stiramento delle fibre nervose della parete vasale. Tale dolore di solito non è associato con modificazioni dell ECG e regredisce spontaneamente nell arco di 2/3 ore. Infarto miocardico L incidenza di necrosi miocardica correlata alla procedu- ra di angioplastica può essere diagnosticata mediante la misurazione dei biomarcatori cardiaci prima o immediatamente dopo la procedura, e nuovamente a 6-12 e ore (3). La necrosi miocardica può essere la conseguenza di molteplici fattori (Fig. 1) come l occlusione di un ramo col- COMPLICANZE PROCEDURALI Occlusione ramo collaterale Dissezione coronarica Tecniche di rotablator Embolizzazione macroscopica Chiusura a cuta del vaso No r eflow CARATTERISTICHE DEL PAZIENTE Infiammazione Resistenza all aspirina Predisposizione genetica CARATTERISTICHE DELLA LESIONE Largo burden trombotico Volume di placca Vulnerabilità della placca Figura 1. Fattori associati ad un aumentato rischio di infarto miocardico periprocedurale.
2 laterale, l interruzione di flusso collaterale, l embolizzazione distale di trombo intracoronarico o di particelle aterosclerotiche, la dissezione coronarica, il fenomeno dello slow flow o del no-reflow, e il plugging microvascolare. L incidenza di infarto periprocedurale è pari a circa il 3-4%, mentre l incidenza di infarto miocardico con sviluppo di onde Q (interessante tutto lo spessore della parete cardiaca) è inferiore all 1% (3). Nefropatia da mezzo di contrasto La somministrazione di mezzi di contrasto può provoca- re un danno renale, definito nefropatia da mezzo di contrasto. A maggior rischio sono i pazienti diabetici, quelli che ricevono alti volumi di mezzo di contrasto durante la procedura, i pazienti di età avanzata, e quelli con scompenso cardiaco o insufficienza renale preesistente (4). Tale disfunzione renale da mezzo di contrasto è reversibile nella quasi totalità dei casi ed il miglior trattamento è la prevenzione che consiste sostanzialmente nell idratazione intravenosa di soluzione salina per 12 ore prima e dopo la somministrazione di mezzo di contrasto (4). Complicanze vascolari Le complicanze vascolari che richiedono un intervento chirurgico si verificano tra lo 0,9% e il 3,5% delle procedure (5). I fattori di rischio includono l utilizzo di farmaci trombolitici o anticoagulanti, una lunga permanenza dell introduttore in sede di puntura, l età avanzata, l obesità, ed una malattia vascolare periferica pregressa. Le complicanze vascolari più frequenti sono gli pseudoaneurismi e le fistole artero-venose nella sede di puntura e cannulazione dell arteria femorale; possono comparire anche giorni dopo la procedura e si manifestano con la presenza di una massa, spesso dolente, in corrisponden- za del sito di puntura o con la presenza di un importan- te ematoma. Il trattamento è la riparazione chirurgica, anche se un 30% dei casi può essere risolto con una prolungata compressione sulla sede di puntura. In casi rari si può verificare l ematoma retroperitoneale, complicanza rara che va diagnosticata precocemente, di solito dopo l esecuzione di una TAC pelvica. Una riduzione delle complicanze vascolari in sede di puntura può essere ottenuta con l accesso radiale, ove tecnicamente e clinicamente indicato. Sanguinamenti Nelle ultime due decadi, l uso di efficaci terapie antitrombotiche e antipiastriniche in associazione alla PCI ha significativamente ridotto l incidenza di eventi ische- mici postprocedurali a spese di un incremento del rischio emorragico ad esse correlato. L incidenza attuale di emorragie maggiori varia tra lo 0,2% e l 11,5%. Gli eventi emorragici sembrano essere correlati con una prognosi peggiore rispetto ai pazienti che non presentano alcuna emorragia dopo PCI. Una migliore identificazione dei pazienti a maggior rischio emorragico, l attenzione alla correzione del dosaggio e alla scelta di strategie farmacologiche, l attento monitoraggio delle terapie antitrombotiche e l adozione di varie strategie procedurali come l accesso transradiale che è associato a più basso rischio di emorragie al sito d accesso, potrebbero ridurre nella pratica clinica quotidiana il rischio di emorragie post-pci e migliorare l outcome clinico a lungo termine dei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione percutanea (6). Complicanze postdimissione Restenosi La restenosi consiste in una recidiva del restringimento coronarico trattato ed è causata da un eccessiva risposta riparativa al trauma subìto dalla parete arteriosa secondario alla dilatazione del palloncino (Fig. 2). La resteno- si può essere paragonata al cheloide che può formarsi sulla cute nella sede di una cicatrice chirurgica. L introduzione degli stent coronarici ha ridotto a circa il 15-20% l incidenza di restenosi rispetto all epoca in cui si eseguivano le angioplastiche coronariche con il solo pallone (7). L avvento degli stent medicati ha ulteriormente ridotto l incidenza di retenosi che ad oggi si verifica in meno del 10% dei pazienti trattati e non preclude un nuovo trattamento mediante angioplastica. Alcuni fattori predisponenti la restenosi sono il diabete mellito, le lesio- ni coronariche complesse e i vasi di piccolo diametro. Il trattamento della restenosi può essere effettuato con una nuova angioplastica con solo pallone, con l impianto di uno stent medicato, con palloni medicati o, se clinicamente indicato, con l intervento chirurgico di bypass coronarico (7).
3 Figura 2. Rappresentazione schematica del fenomeno della restenosi coronarica dopo angioplastica con solo pallone (POBA) o impianto di stent. Trombosi dello stent La trombosi dello stent si verifica raramente (<1% dei casi), ma rappresenta una complicanza grave ed è spesso associata ad un infarto miocardico. La trombosi dello stent è un fenomeno multifattoriale (Fig. 3) e può presentarsi sia con gli stent convenzionali che con quelli medicati (8), con la differenza che probabilmente la trombosi degli stent convenzionali avviene più frequentemente entro i primi 6 mesi dall impianto, mentre la trombosi degli stent medicati è più tardiva. Per prevenire la trombosi degli stent è di fondamentale importanza la terapia farmacologia con la doppia antiaggregazione piastrina, di solito a base di aspirina e clopidogrel. Recentemente due nuovi farmaci (prasugrel e ticagrelor) sono entrati sul mercato e possono essere utilizzati in sostituzione del clopidogrel, ove indicato. È importante raccomandare al paziente di assumere la doppia antiaggregazione piastrina per tutto il periodo di tempo per cui è stata prescritta che, di solito, è pari ad 1 mese per gli stent convenzionali e di 1 anno per gli stent medicati (8). È infine ugualmente importante raccomandare al pa- ziente di rivolgersi al proprio cardiologo ogniqualvolta gli venga richiesto da altri specialisti o si renda necessario sospendere la doppia terapia antiaggregante piastrina. Attualmente, la maggior parte degli interventi di chirurgia maggiore può essere effettuata senza sospendere la doppia antiaggregazione piastrina e quindi senza rischio di incorrere nella trombosi dello stent in caso di sospensione. Progressione della malattia coronarica Nel paziente affetto da cardiopatia ischemica trattato con PCI non si può ovviamente escludere l insorgenza di nuovi eventi ischemici (p.es. l infarto o l angina) per la progressione di placche coronariche nuove o comunque non trattate al momento della PCI. Se da un lato è diffi- cile prevedere tale progressione, dall altro è possibile ridurre la probabilità che altre placche coronariche progrediscano: questo obiettivo è raggiungibile con la correzione dei fattori di rischio cardiovascolare e la terapia farmacologica. In particolare, sono raccomandati: 1. l astensione dal fumo; 2. l eventuale riduzione del peso corporeo;
4 Figura 3. Fattori associati ad un aumentato rischio di trombosi dello stent. 3. l attività fisica di tipo aerobico; 4. il trattamento farmacologico di diabete, ipertensione arteriosa e dislipidemia, ove presenti; 5. la somministrazione di statine, indipendentemente dalla presenza di ipercolesterolemia, per la dimostrata efficacia di tali farmaci nel ridurre gli eventi ischemici dopo una sindrome coronarica acuta (9). I controlli cardiologici periodici sono infine indispensa- bili per il monitoraggio del paziente sottoposto a PCI, dei suoi fattori di rischio e della sua terapia farmacologi- ca e per la valutazione della riserva coronarica con elettrocardiogrammi da sforzo o test di imaging (p.es. scintigrafia miocardica o ecocardiogramma da sforzo). Leonardo De Luca, Fabrizio Tomai Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, U.O. Cardiologia Interventistica, European Hospital, Roma Conclusioni L angioplastica coronarica è attualmente la terapia più diffusa per il trattamento delle coronaropatie. Attualmente si effettua mediante l impianto di stent che, in circa il 70% dei casi, è di tipo medicato. Il decorso clinico subito dopo e a distanza dalla PCI è privo di complicanze in oltre il 90% dei pazienti trattati. La complicanza più frequente è la recidiva (restenosi) che però si verifica in meno del 10% dei casi e non preclude un ulteriore trattamento con angioplastica. Per la prevenzione di complicanze più gravi sono di fondamentale importanza comunque il rispetto della terapia farmacologica prescritta e periodici controlli cardiologici per la valutazione della riserva coronarica. Bibliografia
5 Mixon TA, Dehmer GJ. Patient care before and after percutaneous coronary artery interventions. Am J Med 2003;115: Thygesen K, Alpert JS, White HD, et al. Universal definition of myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2007;50: Solomon R, Dauerman HL. Contrast-induced acute kidney injury. Circulation 2010;122: Levine GN, Bates ER, Blankenship JC, et al ACCF/AHA/SCAI Guideline for Percutaneous Coronary Intervention: a report of the American College of Cardiology Foundation/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines and the Society for Cardiovascular Angiography and Interventions. Circulation 2011;124:e Doyle BJ, Rihal CS, Gastineau DA, Holmes DR Jr. Bleeding, blood transfusion, and increased mortality after percutaneous coronary intervention: implications for contemporary practice. J Am Coll Cardiol 2009;53: Dangas GD, Claessen BE, Caixeta A, et al. In-stent restenosis in the drugeluting stent era. J Am Coll Cardiol 2010;56: Kirtane AJ, Stone GW. How to minimize stent thrombosis. Circulation 2011;124: Boden WE. Management of chronic coronary disease: is the pendulum returning to equipoise? Am J Cardiol 2008;101:69D-74D.
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