Classi Equazionali di Algebre 1. Giancarlo Meloni

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1 Classi Equazionali di Algebre 1 Quaderno n. 36/S Università degli Studi di Milano Giancarlo Meloni Istituto Matematico F. Enriques, ottobre Lavoro eseguito nell ambito dello GNSAGA del C.N.R.

2 L autore desidera esprimere il suo ringraziamento a Silvio Bozzi per le discussioni con lui avute su alcune parti del presente lavoro.

3 Indice Nota editoriale Introduzione vi vii Capitolo 1. τ-algebre 1 Capitolo 2. Equazioni 7 Capitolo 3. Il teorema di Birkhoff 12 Appendice. Realizzazione minimale 15 Bibliografia 17 v

4 Nota editoriale Questo documento è una trascrizione in L A TEX del Quaderno di Giancarlo Meloni del 1979 sul Teorema di Birkhoff. Sono molto grato a Silvio Ghilardi di avermi segnalato l esistenza del Quaderno, e a Giancarlo Meloni di avermene procurata una copia. Ringrazio Luca Reggio per aver letto la prima versione del documento, aiutandomi ad eliminare alcuni refusi introdotti dalla trascrizione; e Giancarlo Meloni per aver corretto le bozze della trascrizione, fino al Capitolo 2 incluso, introducendo anche alcune migliorie al testo originale. Vincenzo Marra Dipartimento di Matematica F. Enriques Università degli Studi di Milano Milano, 13.III.2016 Prima versione del 2.XI Prima correzione delle bozze il 9.XI Seconda correzione delle bozze il 13.III vi

5 Introduzione Un problema che si presenta in matematica quando si studia una data classe di strutture, ad esempio gli anelli, i campi, ecc., è quello di determinare quali operazioni o costruzioni possono essere effettuate con le strutture della classe, senza uscire dalla classe stessa. Ad esempio il prodotto di anelli è un anello, e lo stesso vale per gli anelli senza nilpotenti, ma il prodotto di due campi non è un campo perché l elemento 0, 1 non è né nullo né invertibile. Ancora, le immagini omomorfe di anelli sono anelli, ma ciò non vale in generale per gli anelli senza nilpotenti perché l anello Z 4 delle classi di resto modulo 4, che ha l elemento 2 come nilpotente, è immagine omomorfa di Z che è invece privo di nilpotenti. A partire da un lavoro di G. Birkhoff del 1935 [1, 2] si sono ottenuti tutta una serie di risultati [3] che collegano strettamente il suddetto problema alla forma linguistica degli assiomi con i quali si può definire la classe di strutture in esame. Uno dei nostri scopi principali consiste proprio nel dimostrare il risultato di Birkhoff, cioé che una classe di strutture algebriche è chiusa rispetto ai prodotti, alle sottostrutture e alle immagini omomorfe se e solo se può essere definita con proprietà equazionali. Queste ultime sono tra le proprietà linguisticamente piú semplici che risultano utili in matematica. Tipici esempi sono le proprietà associativa, commutativa e distributiva (ad esempio a sinistra) x, y, z [x(yz) = (xy)z] x, y [xy = yx] x, y, z [x(y + z) = xy + xz] e la loro forma si riduce, a meno della quantificazione universale esterna, ad una equazione, cioé ad un uguaglianza tra due espressioni (dette in senso tecnico termini ). Si osservi che le proprietà che definiscono gli anelli senza nilpotenti (all interno degli anelli) x [x n = 0 x = 0] hanno invece la forma, a parte la quantificazione universale esterna, di una implicazione tra equazioni. La proprietà specifica dei campi x [x = 0 y (xy = 1)] risulta, oltre alla solita quantificazione universale esterna, una disgiunzione tra un equazione e la quantificazione esistenziale di una seconda equazione. Si tratta in ogni caso di condizioni non equazionali e ciò spiega la mancanza di proprietà di chiusura già accennata. L utilizzazione del teorema di Birkhoff è triplice. In primo luogo sappiamo una volta per tutte che in una classe di strutture algebriche definite equazionalmente possiamo fare liberamente prodotti, sottostrutture e immagini omomorfe, sicuri che le strutture risultanti continuano ad appartenere alla classe. In secondo luogo se una classe non è chiusa rispetto alle operazioni suddette, sappiamo che è inutile cercare di semplificare i suoi assiomi fino a renderli equazionali, perché ciò è impossibile. In terzo luogo se la classe di strutture è chiusa rispetto alle tre operazioni suddette, allora il teorema ci garantisce che possiamo assumere come assiomi per questa classe delle equazioni. In questo caso il teorema non ci fornisce però alcun metodo per la determinazione di insiemi maneggevoli (ad esempio piccoli ) di assiomi equazionali. vii

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7 CAPITOLO 1 τ-algebre Per struttura algebrica X intendiamo un insieme X munito di operazioni. Ci limitiamo qui allo studio di operazioni ovunque definite e di arietà finita. Se n N (insieme dei numeri naturali 0, 1, 2,..., n,...), si dice opereazione n-aria o di arità n su un insieme X una applicazione X n X cioè una funzione che ad ogni n-upla di elementi di X associa un elemento di X. In particolare per n = 0 si ha che le operazioni 0-arie corrispondono biunivocamente (e naturalmente) agli elementi di X (poiché X 0 è un singoletto). Ammettendo piú insiemi base, e non uno solo, si possono trattare immediatamente ad esempio i moduli qualsiasi su anelli qualsiasi. Si ha d altronde che i moduli arbitrari su un anello fissato, cosí come i monoidi, i gruppi, gli anelli, i reticoli, ecc., rientrano utilmente nel concetto di struttura algebrica da noi utilizzato. Si può mostrare che [4] i moduli su anelli si possono vedere come strutture algebriche con un solo insieme base, basta prendere il prodotto cartesiano tra gli insiemi degli scalari e dei vettori. Altri enti che rientrano utilmente nel concetto di struttura algebrica sono gli automi, gli automi ad albero e l algebra delle proposizioni rispetto ai connettivi logici (congiunzione, negazione, ecc.). Terremo poi conto dell esperienza con i gruppi e gli anelli topologici e con i fasci di gruppi, anelli e moduli, utilizzando oltre alla categoria degli insiemi come universo in cui assegnare sia l oggetto X che le frecce X n X, anche la categoria degli spazi topologici e le categorie di fasci su uno spazio o piú in generale su un sito. Prenderemo quindi come universo in cui interpretare le teorie algebriche una qualsiasi categoria C con prodotti finiti e tale generalizzazione ci sarà utile, oltre che nei casi sopra indicati e in altri simili (ad esempio un gruppo di Lie è un gruppo nella categoria delle varietà differenziabili analitiche), anche per descrivere le interpretazioni sintattiche di una teoria in un altra. Le costruzioni di sottostrutture, quozienti, prodotti ecc., di strutture algebriche e la centralità del concetto di morfismo mettono in evidenza che spesso si lavora con strutture aventi la stessa quantità o tipo di operazioni. Tale concetto di tipo è precisato dalla seguente Definizione 1.1. Un tipo di similarità algebrico τ è una coppia F, α, dove F è un insieme qualsiasi i cui elementi si dicono simboli di operazioni e α: F N è una funzione qualsiasi. Diremo che f F è un simbolo di operazione n-ario quando fα = n. Dare un tipo di similarità algebrico, o piú brevemente un tipo, equivale perciò ad assegnare una famiglia {F n} n N di insiemi disgiunti, dove F n è l insieme di simboli di operazione di arità n. Definizione 1.2. Se C è una categoria con prodotti finiti e τ è un tipo, si dice che X = X, f X f F è una interpretazione di τ in C se X è un oggetto di C e, per ogni f F n, è una freccia di C. f X : X n X Definizione 1.3. Se X e Y sono interpretazioni di τ in C, per morfismo di X in Y si intende una freccia µ: X Y di C, tale che per ogni f F n si abbia f X µ = µ n f Y, 1

8 2 1. τ-algebre ossia X n Y n f X X µ n /// µ f Y Le interpretazioni di τ in C e i loro morfismi formano una categoria. Se C è la categoria degli insiemi I chiameremo τ-algebre le interpretazioni di τ in I e τ-alg indicherà la categoria delle τ-algebre e morfismi. Le interpretazioni nella categoria degli spazi topologici o in una categoria di fasci si chiamano usualmente τ-algebre topologiche e fasci di τ-algebre. Se consideriamo un tipo τ che contiene un solo simbolo di operazione di arità 2, allora si ha che le τ-algebre sono gli insiemi muniti di un operazione binaria e i morfismi tra τ-algebre sono gli omomorfismi che usualmente si considerano in algebra. Monoidi, gruppi, anelli, A-moduli, A-algebre, algebre di Lie, reticoli, algebre di Boole, algebre di Heyting, ecc. possono essere viste come particolari τ-algebre (che soddisfano dati assiomi) per opportuni tipi τ, e allora il concetto di morfismo si particolarizza agli usuali concetti di omomorfismo e di applicazione lineare. Osserviamo che in generale una classe di strutture algebriche, ad esempio i gruppi, non individua univocamente un tipo di similarità. Infatti i gruppi si possono pensare come particolari insiemi con una operazione binaria, il prodotto, oppure con tre operazioni binarie: prodotto, divisione a destra e divisione a sinistra, oppure con una operazione binaria, il prodotto, una 0-aria, l elemento neutro e una unaria, l inverso. Il concetto di τ-algebra e di morfismo risulta utile anche per la logica. Infatti gli enunciati di un linguaggio proposizionale (classico, intuizionista, modale) si possono vedere come τ-algebre in cui i simboli di operazione sono i connettivi (congiunzione, disgiunzione, implicazione, negazione ecc.) e gli operatori modali. Ne risulta allora che il concetto di interpretazione per la logica proposizionale coincide con quello di morfismo dall algebra degli enunciati ad una opportuna algebra di valori di verità. Il concetto di τ-algebra coincide esattamente con quello di automa ad albero (di tipo τ) e in questa visione i morfismi sono detti anche dinamorfismi. In particolare se non vi sono simboli di operazione di arità maggiore di 1 si ottengono gli automi. Se in una τ-algebra X si considerano gli elementi della forma c X per c F 0 e a questi si applicano piú volte le operazioni definite in X, si ottengono in generale dei nuovi elementi che hanno come nomi dei termini chiusi nel senso della seguente Definizione 1.4. L insieme T dei termini chiusi di tipo τ è il piú piccolo insieme di parole sull alfabeto F, che soddisfa la condizione seguente: (i) se n 0 e f F n e t 1,..., t n T allora t 1... t nf T. Per parola di F si intende una successione finita (di lunghezza arbitraria, anche nulla) di elementi di F. Usualmente si indica con F l insieme delle parole di F che è un monoide (il monoide libero generato da F ) rispetto all operazione di concatenazione, che abbiamo indicato con la semplice giustapposizione, e alla parola vuota. L unicità di T segue dal fatto che è definito come minimo e la sua esistenza segue dal fatto che l intersezione di famiglie arbitrarie di sottoinsiemi di F che soddisfano la condizione (i) soddisfa anch essa detta condizione. T può allora essere definito (in modo impredicativo) come l intersezione di tutti i sottoinsiemi di F che soddisfano la (i). Osserviamo che suddividendo in (i) il caso n = 0 da n > 0 si ottengono le seguenti condizioni (i ) se c F 0 allora c T. (i ) se n 1, f F n, t 1,..., t n T allora t 1... t nf T. Definizione 1.5. Se X è una interpretazione di τ in C, si dice interpretazione di T in X una funzione t t X, T C (1, X), che soddisfa per ogni termine chiuso t 1... t nf la condizione (t 1,..., t nf) X = t X 1,..., t X n f X. Teorema 1.6. Per ogni interpretazione X di τ in C esiste ed è unica la funzione interpretazione di T in X. Y

9 1. τ-algebre 3 Prima di affrontare la dimostrazione del teorema preferiamo mostrare la sua utilizzazione nella costruzione delle algebre libere (Proposizione 1.10) e quindi di ogni algebra (Proposizione 1.11). Se X è una τ-algebra allora possiamo chiamare gli elementi di X che sono interpretazione di qualche termine chiuso, elementi (esplicitamente) definibili di X. Gli elementi definibili di X sono perciò tutti e soli quelli che si ottengono dai c X per c F 0 applicando ad essi un numero finito ma arbitrario di volte le operazioni f X con f F n e n 1. Ad esempio se considero il tipo τ degli anelli formato dai simboli +,, 0,, 1 e considero come τ-algebra l anello R dei numeri reali allora gli elementi definibili di R sono quelli che si ottengono da 0 R e 1 R applicando successivamente le operazioni di somma, di opposto e di prodotto. È chiaro che cosí facendo si ottiene esattamente Z. Se come τ-algebra consideriamo Z o Z n si ha che tutti gli elementi sono definibili anche se gli elementi di Z n hanno piú termini chiusi che li definiscono rispetto a quelli corrispondenti di Z. Si può pensare ad una τ-algebra come ad un automa ad albero e in questo caso lo indicheremo con Q. Gli elementi dell algebra si diranno allora stati interni dell automa e il tipo τ si dirà alfabeto di ingresso. I termini chiusi sono allora le entrate cioè le frasi che l automa è in grado di leggere e l interpretazione di T in Q è la funzione che associa ad ogni entrata t lo stato interno che l automa raggiunge dopo aver letto il termine chiuso t. Un elemento definibile di Q si chiama in questo contesto stato interno raggiungibile in quanto posso fare raggiungere all automa un tale stato usando opportune entrate. Un automa si dice raggiungibile se ogni suo stato interno è raggiungibile, ossia se come algebra ogni suo elemento è definibile. Definizione 1.7. Si dice τ-algebra canonica l interpretazione C di τ negli insiemi che ha come insieme base T e in cui, se f F n, f C è definito da (t 1,..., t n)f C = t 1... t nf. Proposizione 1.8. C è iniziale nella categoria delle τ-algebre. Dimostrazione. Si tratta di mostrare che per ogni τ-algebra X esiste esattamente un morfismo µ: C X. Ma un morfismo è una funzione tale che per ogni f F n e ogni t 1,..., t n C ( (t 1,..., t n)f C ) µ = (t 1µ,..., t nµ)f X, ossia, per la Definizione 1.7, tale che (t 1... t nf)µ = (t 1µ,..., t nµ)f X. Ma quest ultima è esattamente la condizione che definisce l interpretazione di T in X che perciò esiste ed è unica per il Teorema 1.6 (che, ricordiamo, non abbiamo ancora dimostrato). Perciò non solo C è iniziale, ma l unico morfismo C X è proprio l interpretazione di T in X. L algebra iniziale è l algebra libera sull insieme vuoto di generatori e mediante il suo uso, cambiando opportunamente il tipo, è possibile ottenere l algebra libera su un insieme qualsiasi di generatori. Iniziamo con la seguente Definizione 1.9. Sia G un insieme, L una τ-algebra e G i L una funzione. Si dice che L è l algebra libera rispetto ai generatori G, immersi in L con i, se per ogni τ-algebra X e ogni funzione j : G X esiste esattamente un morfismo µ: L X tale che i µ = j, ossia L i G /// µ Ciò significa che ogni funzione definita sui generatori si estende, lungo i, in modo univoco ad un morfismo. Il concetto di algebra libera non è altro che quello di freccia universale da un oggetto (insieme) al funtore dimenticante. Se G è un insieme qualsiasi indicheremo con τ G il tipo ottenuto aggiungendo a τ una nuova costante per ogni elemento di G. Sia C G la τ G-algebra canonica e sia L G la j X

10 4 1. τ-algebre τ-algebra che si ottiene da C G tralasciando le interpretazioni delle nuove costanti. Infine G i L G sia l immersione che esprime l interpretazione (=inclusione) delle nuove costanti. Proposizione La τ-algebra L G, rispetto all immersione i: G L G, è la τ- algebra libera generata da G. Dimostrazione. Il risultato dipende dal fatto che C G è la τ G-algebra iniziale e, dare una τ G-algebra equivale ad assegnare una τ-algebra X con una funzione G X. Allora un morfismo di τ G-algebre è un morfismo di τ-algebre X Y tale che X G /// Il metodo dimostrativo ora usato è lo stesso che permette di identificare una freccia universale ad un funtore con un oggetto iniziale di una opportuna categoria comma. Come esempio di τ-algebra canonica osserviamo che se il tipo contiene un solo simbolo di operazione 0-aria, un solo simbolo di operazione 1-aria e nessun altro simbolo di operazione allora la struttura canonica C associata a detto tipo è (isomorfa a) N, 0, s dove s è la funzione successore tra numeri naturali. Il fatto che C è iniziale significa allora che per ogni insieme X munito di un elemento assegnato x X e di una funzione f : X X esiste ed è unica una funzione µ: N X tale che 0µ = x e (n + 1)µ = (nµ)f. Si tratta cioè della funzione n (x)f n. Se consideriamo il tipo con un solo simbolo di operazione 0-aria, i simboli di operazione binarie,, e null altro, si ha che l algebra libera su un insieme G di generatori è l algebra delle formule del linguaggio proposizionale avente G come insieme di lettere proposizionali e,,, come connettivi. La Proposizione 1.10 dice allora che, in particolare, assegnati dei valori di verità alle lettere proposizionali c è un solo modo di estendere tale assegnazione a tutte le formule se ai simboli,,, assegnamo come significato le corrispondenti operazioni sui valori di verità. Le algebre libere sono molto importanti in matematica e noi ne faremo uso nel seguito per dimostrare il teorema di Birkhoff. Una delle loro proprietà utili è espressa dalla seguente Proposizione Per ogni τ-algebra X esiste una τ-algebra libera L e un morfismo suriettivo µ: L X. Dimostrazione. Si consideri G = X e l algebra libera L G generata da G rispetto all inclusione i: G L G. Si ha allora che la funzione identità G = X 1X X si estende ad un morfismo µ: L G X che risulta suriettivo perché iµ = 1 X. Risulterà chiaro fra poco che un senso della proposizione sta nel fatto che le algebre libere permettono di ottenere, per mezzo dell operazione di quoziente (=immagine omomorfa), ogni altra τ-algebra. Risulterà altresí chiaro che nella dimostrazione in luogo di G = X e G 1X X si può assumere un qualunque G e i: G X tali che i(g) risulti un insieme di generatori per l algebra X. Affrontiamo ora la dimostrazione del Teorema 1.6. L unicità dell interpretazione si ottiene osservando che se µ 1 e µ 2 sono interpretazioni allora I = def {t T tµ 1 = tµ 2} soddisfa la condizione (i) della Definizione 1.4 da cui, per definizione di T, si ha che T I ossia µ 1 = µ 2. L esistenza dell interpretazione si ottiene in primo luogo mostrando che ogni termine chiuso è della forma t 1... t nf per opportuni n 0, t 1,..., t n T e f F n. Infatti se poniamo J = {t 1... t nf n 0, t i T e f F n} si ha che J soddisfa la condizione (i) della Definizione 1.4 da cui si ha che T J, come richiesto. Possiamo ora definire una funzione µ: T X nel modo seguente: se µ è già definita per i termini di lunghezza minore di n (n 0) allora se t è un termine di lunghezza n, essendo T J, possiamo scegliere una rappresentazione di t nella forma t 1... t nf (vedremo poi che tale forma è unica per cui non vi è alcuna scelta da fare). Poiché vogliamo che µ sia un morfismo, dobbiamo porre tµ = def t 1µ,..., t nµ f X e ciò ha senso in quanto abbiamo supposto Y

11 1. τ-algebre 5 che µ sia già definita sui t i. Ottenuta cosí passo passo la definizione di µ: T X si ha immediatamente che µ è un interpretazione se è verificata la seguente condizione di unicità di lettura dei termini: se t 1... t mf = t 1... t nf con f F m, f F n, t i, t j T, allora si ha che m = n, f = f, t 1 = t 1,..., t m = t m. Dimostriamo perciò quest ultima proprietà. Se t 1... t mf = t 1... t nf allora, essendo l uguaglianza quella tra parole, si ha che f = f perché si tratta dell ultima lettera di parole coincidenti. Ne segue che m = n e, cancellando l ultima lettera, che t 1... t m = t 1... t m. Il risultato cercato è quindi raggiunto grazie al seguente t m. Lemma Se t 1,..., t m, t 1,..., t m T e t 1... t m = t 1... t m allora t 1 = t 1,..., t m = Dimostrazione. Si procede per induzione sulla lunghezza della parola t 1... t m. Se t 1... t m = t 1... t m allora, essendo T J, si ha che t m e t m si esprimono, rispettivamente, nella forma t 1... t h f e t 1... t kf. Perciò t 1... t m 1t 1... t h f = t 1... t m 1t 1... t kf da cui si ha f = f perché si tratta dell ultima lettera, e perciò h = k. Cancellando l ultima lettera ne risulta t 1... t h = t 1... t h da cui, per ipotesi d induzione, si ha t 1 = t 1,..., t m 1 = t m 1 e t 1 = t 1,..., t h = t h e, da queste ultime segue pure t m = t m. È cosí conclusa la dimostrazione del lemma e con essa quella del Teorema 1.6. Richiamiamo ora brevemente le ulteriori tre costruzioni che useremo in seguito: sottoalgebre, immagini omomorfe o quozienti e prodotti. Definizione Si dice sottoalgebra o sottostruttura di una τ-algebra X una τ- algebra Y munita di un morfismo iniettivo i: Y X. Dualmente si dice immagine omomorfa o quoziente di X una τ-algebra Z munita di un morfismo suriettivo p: X Z. Due sottostrutture Y, i, Y, i si dicono equivalenti quando esiste un isomorfismo, cioè un morfismo biiettivo j : Y Y tale che ji = i (si noti che la funzione inversa di un morfismo biiettivo è anch essa un morfismo). Analoga definizione di equivalenza si ha per le immagini omomorfe. Un sottoinsieme I di una τ-algebra X si dice chiuso rispetto alle operazioni quando per ogni f F n e per ogni i 1,..., i n I si ha che (i 1,..., i n)f X I. Si dice che I è un insieme di generatori per X quando l unico sottoinsieme chiuso di X che contiene I è X stesso. Una relazione binaria R tra elementi di X si dice una congruenza quando è una relazione di equivalenza compatibile con le operazioni, ossia quando x R(x, x) x, y, z R(x, y) e R(y, z) R(x, z) x, y R(x, y) R(y, x) n N f F n x 1,..., x n, y 1,..., y n R(x 1, y 1) e... e R(x n, y n) R ((x ) 1,..., x n)f X, (y 1,..., y n)f X Se µ: X Y è un morfismo allora l immagine di µ, Im µ := {xµ x X}, è un sottoinsieme chiuso di Y. Analogamente il nucleo (di equivalenza) di µ, Nuc µ := { x 1, x 2 x 1µ = x 2µ}, è una congruenza di X. Per i gruppi, gli anelli, gli spazi vettoriali si possono equivalentemente considerare in luogo delle congruenze i sottoinsiemi degli elementi congrui a zero. Si ottengono cosí i sottogruppi normali, gli ideali bilateri, i sottospazi vettoriali. Analogamente per le algebre di Heyting si possono considerare gli elementi congrui a 1 e allora l uso delle congruenze può essere equivalentemente sostituito da quello dei filtri. Ma per strutture algebriche arbitrarie, e ciò succede già per i monoidi e per i reticoli (anche distributivi), riduzioni del tipo sopra accennato non sono possibili e non si può fare altro che usare le congruenze. Proposizione La corrispondenza che associa ad ogni sottostruttura di X la sua immagine, realizza una biiezione tra le sottostrutture di X, a meno di equivalenza, e

12 6 1. τ-algebre i sottoinsiemi chiusi di X. Dualmente, la corrispondenza che associa ad ogni immagine omomorfa il suo nucleo, realizza una biiezione tra i quozienti, a meno di equivalenza, e le congruenze. Il passaggio dalla congruenza al quoziente si realizza considerando l usuale algebra sull insieme delle classi di equivalenza. La proposizione seguente non è altro che la proprietà universale dei quozienti. Proposizione Se µ: X Y è un morfismo, π : X Q è un morfismo suriettivo e Nuc π Nuc µ, allora esiste esattamente un morfismo µ : Q Y tale che π µ = µ. Inoltre µ è suriettivo se e solo se lo è µ, e µ è iniettivo se e solo se Nuc π = Nuc µ. µ X Y π /// Q Il lettore formuli da sé la proprietà universale delle sottostrutture. Passiamo ora al concetto di prodotto di τ-algebre. Definizione Se {X i} i I è una famiglia di τ-algebre indiciata da un insieme I, si definisce come prodotto della famiglia una τ-algebra X munita di una famiglia π i : X X i, i I, di morfismi, detti proiezioni, tale che, per ogni Y e ogni famiglia di morfismi µ i : Y X i, i I, esiste esattamente un morfismo µ: Y X tale che per ogni i I si abbia µπ i = µ i. X π i µ X i /// µ µ i Nelle τ-algebre il prodotto indiciato da un insieme (non da una classe) esiste sempre (che sia unico, a meno di isomorfismi, è invece una semplice conseguenza della definizione). Tale prodotto si può definire nel modo seguente: un elemento del prodotto è una scelta..., x i,... di un elmento x i X i per ogni i I, e le operazioni tra gli elementi del prodotto sono definite per coordinate, cioè, se f F n, si pone (..., x (1) i,...,...,..., x (n) i,... Y ) f X =..., ( x (1) i ),..., x (n) i f X i,.... Si ha allora che π i :..., x i,... x i e che la funzione µ: Y X, che si indica anche con..., µ i,..., è definita da y..., yµ i,.... Esercizio Facendo riferimento a quanto ora detto, si verifichi che Nuc µ = i I Nuc µi. Concludere da ciò che l intersezione di una famiglia di congruenze di un algebra è ancora una congruenza. Esercizio Si mostri che una congruenza di X non è altro che una relazione di equivalenza che, come sottoinsieme dell algebra prodotto X X, risulta chiuso rispetto alle operazioni. Ciò significa che le congruenze sono le relazioni di equivalenza che occorrono come oggetti nella categoria delle τ-algebre.

13 CAPITOLO 2 Equazioni Il concetto di τ-algebra è troppo generale per descrivere esperienze matematiche come gruppi, anelli, spazi vettoriali, strutture di tipo reticolare ecc.. In tutti questi casi non si ha a che fare con la totalità delle algebre di un dato tipo τ, ma con una sua sottoclasse definita attraverso certe proprietà usualmente dette assiomi. Ci limitiamo qui allo studio delle proprietà equazionali cioè delle proprietà che si esprimono come uguaglianza di due espressioni che tecnicamente chiameremo termini (non necessariamente chiusi). Questi ultimi rappresentano le operazioni derivate cioè quelle che si ottengono per composizione dalle operazioni che provengono dal tipo τ. Piú precisamente le operazioni n-arie derivate si otterranno come interpretazioni degli n-termini. Definizione 2.1. Il concetto di n-termine (n 0), per un tipo τ, è definito induttivamente dalle condizioni seguenti: x n i è un n-termine, se 1 i n; n c è un n-termine, se c F 0; t 1... t k f è un n-termine, se t 1,..., t k lo sono, k 1, e f F k. Si osservi che gli 0-termini non sono altro che i termini chiusi (possiamo infatti identificare 0 c con c), poiché in questo caso non ci sono le x n i. Piú in generale gli n-termini di tipo τ possono identificarsi con i termini chiusi di tipo τ G, dove G è un insieme formato da n elementi. Definizione 2.2. Se X è una interpretazione di τ in C allora ad ogni n-termine t possiamo associare la sua interpretazione t X : X n X mediante la seguente definizione induttiva: (x n i ) X = π i : X n X; ( n c) X = X n 1 = X 0 X; (t 1... t k f) X = t X 1,..., t X k f X : X n X k X. c X Il problema dell esistenza e dell unicità della funzione t t X è riconducibile al caso già trattato dei termini chiusi. L uso degli n-termini in luogo dei termini [3] è sostanzialmente imposto dal fatto di usare interpretazioni in categorie, ma risulta utile anche nel caso della categoria degli insiemi. È anzi nostra opinione che il concetto di termine sia tratto in modo troppo immediato dal linguaggio comune e che la struttura di quest ultimo risulti chiaramente solo quando si tengano distinte le arietà [5]. Un esempio: se nel tipo τ abbiamo un simbolo di operazione binaria e X è una τ- algebra, allora la funzione X 3 X, definita da a, b, c ( a X b ) X c, è l interpretazione del 3-termine x 3 1x 3 2 x 3 3 che scriveremo a volte nella forma piú leggibile (xy)z. Se inoltre e è un simbolo di operazione 0-aria allora la funzione X 2 X definita da a, b b X e X è l interpretazione del 2-termine x e. Diamo ora alcuni risultati che ci saranno utili in seguito. Un morfismo è definito come una funzione che preserva le operazioni del tipo. La proposizione seguente mostra che ogni morfismo preserva anche tutte le operazioni derivate. Cioè, ad esempio, un morfismo tra gruppi preserva le operazioni seguenti: a, b a 1 ba, a, b aba 1 b 1, a a n (con n 0). Per ognuna delle operazioni ora introdotte si costruisca un termine che la rappresenta. 7

14 8 2. EQUAZIONI Proposizione 2.3. Se µ: X Y è un morfismo tra interpretazioni di τ in C allora per ogni n-termine t si ha che t X µ = µ n t Y. X n Y n t X X µ n /// µ t Y (Per il lettore interessato segnaliamo che il quadrato commutativo di sopra segnala la presenza di una trasformazione naturale tra due funtori.) La dimostrazione si effettua senza difficoltà per induzione sulla complessità del termine t. Abbiamo visto che gli elementi della τ-algebra libera generata da un insieme G sono i termini chiusi di tipo τ G. Mostriamo ora che tali elementi si ottengono calcolando opportuni n-termini di tipo τ su opportuni elementi di G. Proposizione 2.4. Per ogni elemento a di L G e per ogni successione finita g 1,..., g n di elementi di G che contiene tutti gli elementi (eventualmente ripetuti) di G che figurano in a (ed eventualmente altri) esiste un n-termine di tipo τ tale che a = (g 1,..., g n)t L G. Dimostrazione. Si procede per induzione su a. Se a = g i G allora il termine x n i soddisfa la condizione cercata. Se a F 0 allora va bene il termine n a. Infine se a = t 1... t k f, usando l ipotesi induttiva si avrà t i = (g 1,..., g n)t L G i, i = 1,..., k, con i t i termini di tipo τ, ne segue che il termine di tipo τ t 1... t k f soddisfa, per a, la condizione richiesta. Poiché l algebra libera su n elementi si ottiene considerando i termini chiusi dopo aver aggiunto al tipo τ n nuovi simboli, se scegliamo come tali simboli gli x n i si ha la seguente Proposizione 2.5. Come τ-algebra libera su n elementi si può considerare l algebra degli n-termini di tipo τ. Presentiamo ora il concetto di equazione e di validità di una equazione in una interpretazione. Definizione 2.6. Una equazione è una coppia di termini della stessa arietà che indicheremo con t 1 = t 2 in luogo di t 1, t 2. Diremo che un equazione t 1 = t 2 è valida o vera in una intepretazione X, e scriveremo X = t 1 = t 2, quando i termini t 1 e t 2 vengono interpretati in X sulla stessa operazione derivata, in simboli X = t 1 = t 2 se e solo se t X 1 = t X 2. Si noti che il segno = compare a sinistra come puro simbolo senza significato mentre a destra significa uguaglianza tra funzioni o piú in generale tra frecce di una categoria. L esercizio seguente mostra che la validità di equazioni è preservata per sottoalgebre, immagini omomorfe e prodotti. Esercizio 2.7. Si dimostri, usando la Proposizione 2.3, che se X = t 1 = t 2 e Y X è una sottoalgebra di X e X Z è una sua immagine omomorfa, allora Y = t 1 = t 2 e Z = t 1 = t 2. Analogamente si dimostri che, se per ogni i I X i = t 1 = t 2, allora i I Xi = t1 = t2. Indicheremo con Eq τ l insieme delle equazioni di tipo τ. La relazione di validità (come ogni relazione binaria) induce allora due importanti funzioni Mod Y P (τ-alg) P (Eq τ ) Id tra P (Eq τ ), un cui elemento A Eq τ sarà da pensarsi come un insieme di assiomi equazionali di una teoria (o meglio come una particolare presentazione di una teoria), e P (τ-alg), un cui elmento Γ τ-alg è una qualsiasi classe di τ-algebre. Si noti che non ci

15 2. EQUAZIONI 9 soffermiamo sulle questioni connesse alle classi proprie, alle classi di classi e alle funzioni tra classi a meno che non abbiano una rilevanza specifica nella trattazione. Con Mod (A) intendiamo la classe dei modelli della teoria equazionale avente A come insieme di assiomi, poniamo cioè Mod (A) := { X t = t A X = t = t }. Dualmente Id (Γ) è, per definizione, l insieme delle equazioni che sono valide in tutte le strutture X di Γ, cioè poniamo Id (Γ) := { t = t X Γ X = t = t }. Le proprietà centrali di Mod e Id sono le seguenti: (1) (1 ) (2) A A Mod (A) Mod (A ), Γ Γ Id (Γ) Id (Γ ), A Id (Γ) Γ Mod (A). Esercizio 2.8. Si dimostrino le condizioni (1), (1 ) e (2) a partire da una qualsiasi relazione R tra due insiemi qualsiasi I e J (in luogo della relazione = tra la classe τ-alg e l insieme Eq τ. Esempi significativi della situazione descritta nell esercizio sono frequenti in matematica. In geometria algebrica, dato un campo K, consideriamo I = K n = spazio affine n-dimensionale su K, J = K[X 1,..., X n] = insieme dei polinomi in n indeterminate e la relazione P (a) = 0 tra polinomi e punti dello spazio affine. In questo caso l analogo di Mod (A) è la varietà definita da un sistema di equazioni ottenute con i polinomi di A e Id (Γ) ha per analogo l ideale dei polinomi che si annullano sull insieme Γ di punti. Nella teoria di Galois si ha invece una situazione del tipo seguente: per I si considera un campo, J è un gruppo di suoi automorfismi e la relazione è α(a) = a per a I e α J. Un altro esempio si ha ponendo I = J = uno spazio di Hilbert e come relazione l ortogonalità. Le situazioni ora descritte sono concettualizzate nella seguente Definizione 2.9. Si dice connessione di Galois tra due insiemi ordinati P, e Q, una coppia di funzioni tali che (1) (1 ) (2) q q α(q) α(q ), p p β(p) β(p ), q β(p) p α(q). P α β Il concetto di connessione di Galois non è altro che quello di coppia di funtori aggiunti (controvarianti, a destra) particolarizzato a categorie che sono insiemi (pre)ordinati. (3) (3 ) (4) (4 ) (5) (5 ) (6) Proposizione In ogni connessione di Galois si ha che p α(β(p)) q β(α(q)) α(q) = α(β(α(q))) β(p) = β(α(β(p))) q [p = α(q)] p = α(β(p)) p [q = β(p)] q = β(α(q)) Le restrizioni di α e β ad α(q) e β(p ) sono inverse tra loro e realizzano perciò un antiisomorfismo tra α(q) e β(p ). Dimostrazione. Basterà per simmetria mostrare le sole condizioni senza apici. Si ha che p α(β(p)) per la (2) avendosi per riflessività β(p) β(p). La (4) segue da (3) Q

16 10 2. EQUAZIONI ponendo p = α(q) e per l altro verso dalla (3 ) usando la (1). Per la (5) si noti che se p = α(q) allora per la (4) p = α(β(p)), mentre l implicazione inversa è ovvia. La (6) si ottiene dalle (4) e (4 ). Vediamo ora alcuni dei significati delle condizioni ora dimostrate lasciando al lettore la ricerca dei rimanenti. Innanzitutto Id (Mod (A)) è l insieme di tutte le equazioni che sono valide in tutti i modelli della teoria avente A come insieme di assiomi cioé, come diremo, Id (Mod (A)) è l insieme delle conseguenze (semantiche) dell insieme A di assiomi. La condizione (5) si interpreta come segue: Una classe Γ di algebre si dice definibile equazionalmente quando esiste un insieme A di equazioni tali che Γ è la totalità dei modelli di A, cioé Γ = Mod A, allora (5) afferma che Γ è definibile equazionalmente se e solo se Γ = Mod (Id (Γ)). Ciò sarà molto utile in seguito perchè per vedere se Γ è o non è definibile equazionalmente non occorrerà andare alla ricerca di un insieme di assiomi per Γ, basterà invece verificare se Id (Γ) è o non è un insieme di assiomi per Γ. In geometria algebrica l analogo di Id (Mod (A)) rappresenta la totalità dei polinomi che si annullano sulla varietà definita dai polinomi in A. Tornando alle τ-algebre è chiaro che si ha spesso A Id (Mod (A)) in quanto spesso gli insiemi di assiomi hanno come conseguenza delle equazioni che non sono assiomi. Mostriamo ora con un esempio che si può avere anche Γ Mod (Id (Γ)). Esempio Nel tipo τ degli anelli {+,, 0,, 1} si consideri la classe C di tutti i campi e quella R di tutti gli anelli commutativi. Poiché mostreremo che Id (C) = Id (R), si ha, essendo R = Mod (Id (R)) in quanto R è definibile equazionalmente, che C Mod (Id (C)) = R. Ora essendo ovviamente Id (R) Id (C) per mostrare l uguaglianza consideriamo una qualsiasi n-equazione t 1 = t 2 Id (R). Esiste perciò un anello commutativo A e n suoi elementi a = a 1,..., a n tali che (a)t A 1 (a)t A 2. Poiché Z = Z [X 1,..., X n] è l anello libero sugli n generatori X 1,..., X n, esiste un morfismo µ: Z A tale che µ(x i) = a i, i = 1,..., n. Ne segue che (X) t Z 1 (X) t Z 2 perché per la Proposizione 2.3 in caso contrario si avrebbe (a) t A 1 = (a) t A 2. Poiché Z è un dominio d integrità esiste un campo K (il suo campo delle frazioni) e un morfismo iniettivo Z i K. Ne segue, sempre per la Proposizione 2.3, che ((X)i) t K 1 ((X)i) t K 2 da cui K = t 1 = t 2 ossia t 1 = t 2 Id (C). Se ne conclude che Id (C) = Id (R). Uno dei problemi principali che spesso ci si pone, quando sia assegnata una specifica connessione di Galois, è quello di caratterizzare internamente i passaggi p α(β(p)) e q β(α(q)). Nel caso in cui siamo qui interessati si tratta di determinare il rapporto tra Γ e Mod (Id (Γ)) tutto in termini di τ-algebre, cioè eliminando ogni ricorso alle equazioni. Analogamente si tratta di studiare il rapporto tra A e Id (Mod (A)) in termini di equazioni e di manipolazioni sintattiche tra equazioni, senza cioè fare ricorso alle τ-algebre. Ad esempio, è un importante teorema in geometria algebrica quello che esprime il rapporto tra un insieme di polinomi e la totalità dei polinomi che si annullano sulla varietà definita dai primi, senza però far ricorso ai punti ma tutto in termini di operazioni fra polinomi. Se il campo base è algebricamente chiuso tale teorema, noto col nome di Nullstellensatz di Hilbert, afferma che i polinomi che si annullano su una varietà definita da un insieme S di polinomi, sono tutti e soli gli elementi del radicale dell ideale generato da S, cioè sono i polinomi una cui potenza si esprime come combinazione lineare di un numero finito di polinomi di S. Si noterà come la risposta sia tutta in termini di polinomi e manipolazioni tra polinomi e non faccia riferimento ai punti. Nel prossimo paragrafo presenteremo il teorema di Birkhoff che non è altro che lo studio dei passaggi A Id (Mod (A)) Γ Mod (Id (Γ)) effettuato il primo solo in termini di manipolazioni di equazioni e il secondo solo in termini di operazioni tra tali strutture. Nel primo caso si tratta di analizzare in termini sintattici la relazione di conseguenza semantica. Si tratta cioè di determinare un calcolo logico (a livello equazionale), cioè un concetto di dimostrazione, in modo che dimostrabilità e conseguenza semantica coincidano.

17 2. EQUAZIONI 11 Lo studio del secondo caso ci fornirà immediatamente una caratterizzazione delle classi di algebre equazionalmente definibili.

18 CAPITOLO 3 Il teorema di Birkhoff Affrontiamo dapprima il problema delle classi equazionali (Teorema 3.4) al quale premettiamo alcuni lemmi. Nella seconda parte, dopo aver introdotto un calcolo per la logica equazionale, affrontiamo il problema della completezza (Teorema 3.9). Lemma 3.1. Se A è una τ-algebra e Γ è una classe di τ-algebre allora la relazione in A definita da è una congruenza e A a b C Γ µ: A C µ(a) = µ(b) è una sottoalgebra del prodotto di un insieme di algebre di Γ. Dimostrazione. Ad ogni morfismo µ di dominio A e codominio un algebra di Γ associamo il suo nucleo θ µ A A, e sia Θ := {θ µ esistono C Γ e µ: A C }. Si osservi che mentre la totalità dei morfismi µ può essere una classe propria e non un insieme, si ha che Θ è un insieme perché tutti i suoi elementi appartengono all insieme P (A A). Per ogni θ Θ scegliamo (uso non significativo dell assioma della scelta) un C θ Γ e un µ θ : A C θ tali che θ sia il nucleo di µ θ. Poiché la famiglia di τ-algebre {C θ } θ Θ è indiciata da un insieme e non da una classe propria, posso considerare la τ-algebra θ Θ C θ. I morfismi µ θ determinano allora un morfismo A...,µ θ,... θ Θ C θ il cui nucleo di equivalenza è una congruenza e, per l Esercizio 1.17, è proprio. Dalla Proposizione 1.15 si ha allora che A è una sottoalgebra di θ Θ C θ. Lemma 3.2. Sia L una τ-algebra (non necessariamente libera) e sia a := a 1,..., a n una n-upla di suoi elementi (n 0). Se Γ è una classe di τ-algebre tale che per ogni C Γ e ogni c 1,..., c n C esiste un morfismo µ: L C tale che µ(a i) = c i, i = 1,..., n, allora, per ogni coppia di n-termini t 1, t 2, se (a)t L 1 = (a)t L 2 allora t 1 = t 2 Id (Γ). Dimostrazione. Per mostrare che t 1 = t 2 Id (Γ) dobbiamo verificare che per ogni C Γ e per ogni n-upla di suoi elementi c = c 1,..., c n si ha (c)t C 1 = (c)t C 2. Ma ciò è vero perché per ipotesi esiste un morfismo µ: L C tale che µ(a i) = c i da cui, usando l ipotesi che (a)t L 1 = (a)t L 2, si ha ((a)t ((a)t L L 1 ) µ = che, per la Proposizione 2.3, significa proprio (c)t C 1 = (c)t C 2. Proposizione 3.3. Se Γ è una classe di τ-algebre allora un algebra qualsiasi B sta in Mod (Id (Γ)) se e solo se B è immagine omomorfa di una sottoalgebra del prodotto di un insieme di algebre di Γ. Dimostrazione. Se t = t Id (Γ) allora, per l Esercizio 2.7, se B è immagine omomorfa di una sottostruttura di un prodotto di algebre di Γ, si ha che B = t = t, ossia B Mod (Id (Γ)). Supponiamo ora che B Mod (Id (Γ)). Per la Proposizione 1.11 esiste un algebra libera L e un morfismo suriettivo µ: L B. Per il Lemma 3.1, posto A = L, si ha che L è una sottoalgebra del prodotto di un insieme di algebre di Γ. Ora 2 ) µ 12

19 3. IL TEOREMA DI BIRKHOFF 13 il risultato cercato è raggiunto se mostriamo che L p µ /// L esiste un µ tale che µ = p µ perché allora, dovendo essere µ suriettivo perché lo è µ, B risulta immagine omomorfa di L. Ma per la Proposizione 1.15 l esistenza di µ è assicurata se il nucleo di p è contenuto in quello di µ. Consideriamo allora due elementi di L con uguale immagine in p. Per la Proposizione 2.4, tali elementi si rappresentano nella forma (g 1,..., g n)t L 1 e (g 1,..., g n)t L 2 per opportuni n-termini t 1, t 2 e g 1,..., g n n-upla di elementi distinti di G, insieme dei generatori di L. Il fatto che tali elementi hanno la stessa immagine in p significa, per la Proposizione 2.3, che L ((g 1)p,..., (g n)p) t1 = ((g 1)p,..., (g n)p) t Ma posto L = L si ha che sono verificate le ipotesi del Lemma 3.2 rispetto alla n-upla di elementi (g 1)p,..., (g n)p. Infatti se C Γ e c 1,..., c n C, allora essendo L l algebra libera su G, esiste un morfismo ν : L C tale che ν(g i) = c i (e definito arbitrariamente sugli altri generatori). Ma la relazione è per definizione contenuta nel nucleo di ν perciò esiste, per la Proposizione 1.15, un morfismo ν : L C tale che p ν = ν da cui segue ν (p(g i)) = c i. Possiamo perciò concludere, per il Lemma 3.2, che t 1 = t 2 Id (Γ) e perciò, essendo B Mod (Id (Γ)), si ha che B = t 1 = t 2. Ne segue in particolare che ossia che ( (g 1,..., g n)t L 1 ((g 1)µ,..., (g n)µ) t B 1 = ((g 1)µ,..., (g n)µ) t B 2 µ B ) ( µ = (g 1,..., g n)t L 2 cioè i due elementi di L hanno uguale immagine in µ. Teorema 3.4. Una classe Γ di algebre è definibile equazionalmente se e solo se è chiusa rispetto alle sottostrutture, alle immagini omomorfe e ai prodotti. Dimostrazione. Sappiamo dalla Proposizione 2.10 che Γ è equazionalmente definibile se e solo se Γ = Mod (Id (Γ)). D altronde per la Proposizione 3.3 Mod (Id (Γ)) contiene tutte e sole le immagini omomorfe di sottoalgebre di prodotti di algebre di Γ e da ciò si ha la dimostrazione del teorema. Introdurremo ora un calcolo per la logica equazionale e per questa ragione ci serve il concetto di sostituzione di termini in un termine o composizione tra termini. Vogliamo cioè, dato un termine, ad esempio (x + y)z, definire il termine che si ottiene da questo sostituendo ad esempio ad x, uv, ad y, u+v 2, a z, u 2 v, cioè il termine (uv +(u+v 2 ))(u 2 v). Tale termine sarà indicato con uv, u + v 2, u 2 v ((x + y)z) in quanto il significato della sostituzione è quello di composizione come sarà mostrato nella Proposizione 3.6. Ecco la definizione induttiva: Definizione 3.5. Se t 1,..., t k sono n-termini e t è un k-termine allora t 1,..., t k t è un n-termine ed è definito induttivamente sulla complessità di t nel modo seguente: t 1,..., t k x k i = t i t 1,..., t k k c = n c t 1,..., t k t 1... t hf = ( t 1,..., t n t 1)... ( t1,..., t n t h) f. Il senso della definizione è nella seguente ) µ, Proposizione 3.6. Se X è una interpretazione di τ allora ( t 1,..., t k t) X = t X 1,..., t X k t X. Dimostrazione. Si effettua per induzione sulla complessità di t e non offre particolari difficoltà. Possiamo ora introdurre il concetto di teorema. L 2.

20 14 3. IL TEOREMA DI BIRKHOFF Definizione 3.7. Se A è un insieme di equazioni, da pensarsi come assiomi di una teoria, definiamo Teor n (A), i cui elementi saranno detti teoremi della teoria A (che hanno la forma di n-equazione), come il piú piccolo insieme di n-equazioni che contiene le equazioni poste sotto la linea orizzontale nelle regole seguenti, qualora contenga quelle sopra la linea: R t = t S t = t t = t T t = t t = t t = t I f t 1 = t 1 t k = t k t 1... t k f = t 1... t k f I u=v t 1,..., t h u = t 1,..., t h v dove i t con apici e/o indici sono n-termini qualsiasi, f è un qualsiasi simbolo di funzione e k è la sua arità e u = v è un assioma qualsiasi, cioè un elemento di A, e h è l arità di u e di v. Con Teor (A) si intende l unione dei Teor n (A) al variare di n 0. La proposizione seguente dice che il calcolo introdotto soddisfa il requisito minimale che ogni suo teorema è conseguenza (semantica) degli assiomi. Proposizione 3.8. Se X è una τ-interpretazione che rende valide tutte le equazioni in A allora X rende valide tutte le equazioni di Teor (A). Dimostrazione. Basta mostrare che l insieme delle n-equazioni valide in X è chiuso rispetto alle regole che definiscono Teor n (A) e ciò non presenta particolari difficoltà. Teorema 3.9 (di completezza). Per ogni A Eq τ, Id (Mod (A)) = Teor (A). Dimostrazione. Per la Proposizione 3.8 si ha che Teor (A) Id (Mod (A)). Consideriamo ora una equazione t 1 = t 2 Id (Mod (A)) e sia n-aria. Nella τ-algebra libera su n elementi L, che possiamo assumere come l algebra degli n-termini per la Proposizione 2.5, consideriamo la relazione definita da t = t se e solo se t = t Teor n (A). Per le regole R, S, T e I f si ha che è una congruenza in L e per le regole del tipo I u=v si ha che L è un modello di A perché, vedi il lemma seguente, Ne segue che L ossia che t 1,..., t h u = (t 1,..., t h ) u L. = t1 = t2, da cui, in particolare si ha che (x n 1,..., x n L n) t1 = (x n 1,..., x n n) t L 2, (x n 1,..., x n n) t L 1 (x n 1,..., x n n) t L 2. Ma per il lemma seguente si ha che (x n 1,..., x n n) t L 1 t 1 t 2, cioè t 1 = t 2 Teor n (A). è proprio t i, per cui si ottiene che Lemma Se L è la τ-algebra degli n-termini allora (t 1,..., t k )u L = t 1,..., t k u. Per ogni termine t si ha inoltre che x n 1,..., x n n t = t. Dimostrazione. La prima questione si risolve mostrando che (t 1,..., t k )u L soddisfa le condizioni della Definizione 3.5, e ciò non offre particolari difficoltà. La seconda uguaglianza si dimostra per induzione su t. Concludiamo con la seguente osservazione. Se vogliamo stabilire che una certa equazione t = t è vera ad esempio in ogni gruppo preso in una qualsiasi categoria con prodotti finiti, è sufficiente mostrare che essa è valida in ogni gruppo negli insiemi. Infatti da quest ultimo fatto segue che t = t è un teorema della teoria dei gruppi (per il Teorema 3.9) e quindi (per la Proposizione 3.8) si ha che t = t è valida in ogni modello della teoria dei gruppi preso in una qualsiasi categoria con prodotti.

21 Realizzazione minimale Trattiamo ora il problema della realizzazione minimale per automi ad albero, mostrandone il significato algebrico. Abbiamo già detto che, dato un tipo τ, possiamo pensare le τ-algebre come automi ad albero. Gli elementi di una τ-algebra Q si diranno allora stati interni dell automa e il tipo τ sarà visto come l alfabeto di ingresso. Ciò che l automa legge sono i termini chiusi (che si possono rappresentare sotto forma di alberi) e l effetto di tale lettura è che l automa si porta in uno stato interno, cioè nell elemento dell algebra ottenuto come interpretazione del termine chiuso letto. Se l automa Q è dotato anche di una funzione di uscita β : Q Y allora, alla fine della lettura, sarà emesso l elemento qβ, se q è lo stato interno raggiunto dopo la lettura del termine chiuso. Perciò un automa ad albero Q con uscita β : Q Y computa la funzione T ( )Q Q β Y. Il problema che ci poniamo ora consiste nella ricerca dell automa con uscita, che sia ottimale fra quelli che computano una funzione f : T Y assegnata ad arbitrio; in altre parole, la ricerca della realizzazione minimale della funzione f. Osserviamo innanzitutto che un automa con uscita che computa f esiste sempre perché essendo C l algebra iniziale si ha che ( ) C è l identità e perciò l automa con uscita C, T f Y computa banalmente f. Se Q, β : Q Y computa f allora, se il morfismo ( ): C Q non è suriettivo, procedendo alla sua fattorizzazione, otteniamo ( ) C = p i: C p Q i Q con p ed i morfismi rispettivamente suriettivo e iniettivo. Ne segue che Q, Q i Y computa f ed è inoltre piú piccolo di Q. Possiamo perciò sempre ridurci ad automi Q tali che ( ) Q sia suriettiva. Tali automi si dicono raggiungibili poiché ogni loro stato interno può essere raggiunto attraverso la lettura di opportuni termini chiusi. In termini di algebre ciò significa che ogni elemento è definibile. Gli automi raggiungibili sono perciò i quozienti dell algebra iniziale C e la condizione di esistenza di una funzione β : C Y tale che f = p β (p: C C ) equivale alla condizione Nuc f. Ne segue che l automa ottimale è quello ottenuto con la massima congruenza contenuta in Nuc f dove questa ultima è una qualsivoglia relazione di equivalenza essendo f una funzione qualsiasi. Infatti in questo caso C è il piú piccolo automa possibile fra quelli che computano f (è anche terminale fra i raggiungibili). Poiché vale la seguente Proposizione A.1. Se E è una relazione d equivalenza in una τ-algebra X allora esiste una congruenza C E che contiene ogni altra congruenza contenuta in E. si ottiene da quanto detto finora il Teorema A.2. Per ogni funzione f : T Y esiste un automa ad albero con uscita Q, Q β Y che realizza f in modo minimale. Ciò significa che ( ) Q β = f e che ogni altra realizzazione di f ammette la minimale come quoziente di una sua sottostruttura. 15

22 16 REALIZZAZIONE MINIMALE Passiamo ora alla dimostrazione della proposizione che in altri termini afferma che l inclusione delle congruenza nelle relazioni d equivalenza, fissata un algebra A, ha aggiunto destro (cosí come un piú ovvio aggiunto sinistro) e ciò ancora equivale al fatto che detta inclusione preserva gli estremi superiori di famiglie qualsiasi. Ci servirà il seguente Lemma A.3. Se è una relazione di equivalenza in X τ-alg allora le condizioni seguenti sono equivalenti e dicono che è una congruenza: (1) Se f F n, a = a 1,..., a n, b = b 1,..., b n e a i b i per i = 1,..., n allora (a) f X (b) f X. (1 ) Come la (1) salvo che si considerano n-termini t in luogo di f F n. (2) Come la (1) salvo che a i = b i per n 1 degli n valori di i. (2 ) Come la (2) salvo che si considerano n-termini in luogo di f F n. Dimostrazione. ( ). Da (1 ) segue (2 ) perché è riflessiva. Da (2 ) segue (2) particolarizzando t ad x n 1... x n nf. Da (2) segue (1) per transitività poiché se a i b i per i = 1,..., n, si ha per (2) che (a 1, a 2,..., a n)f X (b 1, a 2,..., a n)f X e (b 1, a 2,..., a n)f X (b 1, b 2, a 3,..., a n)f X e cosí via fino a (b 1,..., b n 1, a n)f X (b 1,..., b n 1, b n)f X. Infine per mostrare che da (1) segue (1 ) si procede per induzione sul termine t. Passiamo ora alla dimostrazione della proposizione. Se C è una congruenza contenuta in E allora se a ic b i si ha pure che (c 1,..., a i,..., c n)t X C (c 1,..., b i,..., c n)t X da cui segue che (c 1,..., a i,..., c n)t X E(c 1,..., b i,..., c n)t X, per ogni n-termine t e ogni c 1,..., c i 1, c i+1,..., c n X. Cioè, se definiamo C ponendo acb (c 1,..., a,..., c n)t X E(c 1,..., b,..., c n)t X per ogni termine t e ogni i n ed ogni c 1,..., c i 1, c i+1,..., c n, si ha che C contiene tutte le congruenze contenute in E. Poiché verifichiamo ora che C è una congruenza contenuta in E, la proposizione è dimostrata. Si ha infatti che C E particolarizzando t ad x 1 1 e si ha che C è una congruenza perché se acb allora (c 1,..., a,..., c n)f X C(c 1,..., b,..., c n)f X perché ( ) ( ) c 1,..., (c 1,..., a,..., c n) f X,..., c m t X E c 1,..., (c 1,..., b,..., c n) f X,..., c m t X in quanto il primo membro coincide con ( c 1,..., c 1,..., a,..., c n,..., c n) t X dove t è il termine m + n 1-ario definito da x 1,..., x j 1, x j... x j+n 1f, x j+n,..., x m+n 1 t, in cui si è sottointeso l indice m + n 1 in alto alle x i, e analogamente si procede per il secondo membro.

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