La Neuropsicologia, disciplina che studia il rapporto tra mente e cervello, sta

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1 1.Introduzione La Neuropsicologia, disciplina che studia il rapporto tra mente e cervello, sta apportando un importante contributo allo studio degli aspetti psicopatologici di diversi Disturbi Psichiatrici. Essa ed ha fornito metodiche e tecniche, spesso innovative e complesse, in grado di scavare a fondo elementi eziopatogenetico-clinici ancora inesplorati di tali disturbi. Sebbene a volte i ricercatori in questo campo abbiano sovrastimato i risultati ottenuti con l utilizzo di batterie di tests neuropsicologici, spesso sono state sottovalutate le potenzialità di tali metodiche e molti altri elementi del rapporto tra sintomi e funzionamento cerebrale dovranno essere studiati [Keefe, 1995]. La valutazione neuropsicologica applica i metodi della psicologia clinica e sperimentale all analisi dei disturbi cognitivi e comportamentali causati da traumi, malattie o anomalie dello sviluppo dell encefalo. Le procedure adottate da questa disciplina e che valutano capacità comportamentali e mentali quali orientamento, memoria, linguaggio, possono essere considerate come estensioni dell esame neurologico. Altri test valutano altre capacità, quali attenzione, capacità di astrazione e di risolvere problemi, o funzioni più difficilmente indagabili con l esame neurologico classico. I test neuropsicologici sono tecniche standardizzate: essi forniscono risultati qualificabili e riproducibili che si riferiscono ai punteggi ottenuti da persone normali con età e caratteristiche demografiche simili a quelle del soggetto che viene sottoposto al test. L utilizzo dei test neuropsicologici in Psichiatria è andato aumentando soprattutto in questi ultimi anni. Grande impulso a quest aumento è stato dato dall affinamento delle procedure neuropsicologiche, ma soprattutto dalle più sofisticate tecniche 4

2 elettrofisiologiche e radiologiche. Tali tecniche hanno permesso di correlare aspetti psicopatologici ed anomali assetti cognitivi a modificazioni anatomo-funzionali del cervello. Gli scopi e le indicazioni più comuni per la valutazione neuropsicologica sono: # Identificare deficit cognitivi # Differenziare depressione e demenza # Determinare e seguire il decorso di una malattia # Valutare gli effetti di sostanze neurotossiche # Valutare gli effetti dei trattamenti # Valutare i disturbi dell apprendimento Nel corso del lavoro verranno descritte le principali applicazioni della Neuropsicologia in Psichiatria, ed in particolare nei DCA (Disturbi della Condotta Alimentare). Vengono inoltre presi in considerazione alcuni aspetti psicopatologici peculiari dei DCA, come ad esempio l alterazione dell Immagine Corporea. Infine vengono descritti casistica, metodi e procedure dello studio condotto sugli aspetti neuropsicologici dell Anoressia Nervosa. 5

3 2. La neuropsicologia e le sue aree di ricerca 2.1 Cenni storici La neuropsicologia è quella disciplina che utilizza mezzi sperimentali per studiare uno dei più antichi e fondamentali problemi scientifici: il rapporto tra mente e cervello. Essa ha come obiettivo il valutare quali effetti abbiano sulle funzioni superiori le alterazioni cerebrali. Si tratta quindi di una scienza eminentemente interdisciplinare, ad essa concorrono infatti: neurologia, neuroanatomia, neurofisiologia, neurochimica, psicologia, psichiatria, linguistica ed intelligenza artificiale. È difficile indicare una data di inizio di questa disciplina; sicuramente non si può non considerare Cartesio come uno dei padri fondatori, sebbene a sua insaputa, della neuropsicologia: egli infatti per la prima volta parlando di sistema nervoso indicò la presenza di due livelli, uno superiore (assimilabile al cervello) che riceve stimoli sensoriali e che produce risposte motorie solo in seguito all attivazione della mente, ed uno inferiore (assimilabile al midollo spinale) sede di una trasformazione sensoriomotoria diretta e meccanica, il cosidetto livello dei riflessi (fig.1). MENTE SENSORIO CERVELLO MOTORIO STIMOLI ESTERNI MIDOLLO SPINALE RISPOSTE MOTORIE Fig. 1 Rappresentazione della concezione cartesiana del SNC. 6

4 Quindi il cervello è sede della mente ed anche il tramite tra stimoli sensoriali e comandi motori volontari: allora esso va inteso come una struttura omogenea oppure la dicotomia tra funzioni neurologiche e psichiche implica una disomogeneicità a livello anatomo-funzionale? Inoltre ammettendo che vi siano aree corticali deputate alla ricezione di stimoli sensoriali ed altre efferenti, la restante parte del cervello è omogenea o a sua volta divisibile in aree con specifiche funzioni? Una risposta scientificamente soddisfacente a queste domande viene data nel periodo che va dal 1860 al 1900, che è il periodo delle grandi scoperte neurologiche: in questi quarant anni vengono poste le basi empiriche e concettuali della neuropsicologia. Tra gli studi più importanti ricordiamo quelli di Broca [1861a, 1863, 1865], che dimostra una correlazione tra disturbi motori del linguaggio e lesioni delle regioni frontali di sinistra, Wernicke [1874, 1895], che localizza l afasia sensoriale nella parte posteriore della circonvoluzione temporale superiore di sinistra, Lichtheim [1885], che propone lo schema anatomo-funzionale dei centri del linguaggio che costituirà la base della classificazione delle afasie fino ai giorni nostri, Bianchi [1895], Liepmann [1900]: in queste ricerche ed altre vengono messe in evidenza aree cerebrali deputate a specifici compiti sensorio-motori e la conoscenza anatomo-funzionale del SNC fa dei notevoli passi avanti. Un periodo di stasi concettuale nella ricerca neuropsicologica fu il cinquantennio successivo in cui gli studi di Watson [1914], Pavlov [1927], Thorndike [1932], portano ad un clima antimentalistico, in cui concetti quali mente, coscienza ed attenzione venivano messi da parte e la maggioranza dei processi mentali veniva spiegata in termini di rinforzo di vie nervose preesistenti. Nel dopoguerra il clima intelletuale cambia radicalmente: Hebb [1949] e Broadbent [1958] ridanno dignità scientifica a termini quali attenzione e set (predisposizione a rispondere in un certo modo), Sperry [1976] riporta in primo piano il concetto di 7

5 coscienza, gli esperimenti di Moruzzi e Magoun [1949] dimostrano che esiste un substrato neuronale preciso per l attenzione, mentre lo stesso Sperry ed Eccles [1986] si occupano del rapporto mente-cervello., sia in chiave materialistica che spiritualistica. Negli anni successivi lo studio del funzionamento del cervello evolve sino ad arrivare alla costruzione di automi con facoltà mentali, passando così dall atteggiamento passivo dell osservatore ad un ruolo attivo. Sicuramente la crescita della neuropsicologia moderna come disciplina a se stante (rispetto alla neurologia clinica) è stata favorita dal progresso delle discipline limitrofe: basti pensare ai progressi della neurochirurgia, alle nuove metodiche radiologiche e di immagine del cervello (TC, PET, SPECT, RM, ANGIOTC), che permettono correlazioni anatomo-cliniche impensabili solo alcuni decenni prima, o alle avanzate metodiche neurofisiologiche.inoltre la psicologia offre metodiche e modelli di complessità incomparabili rispetto ai semplici modelli mutuati dalla Psicologia Ottocentesca. In Italia la neuropsicologia si è sviluppata seguendo le orme dei mutamenti culturali e scientifici internazionali, ed i continui scambi con l estero hanno consentito la nascita di questa disciplina che in Italia ha la particolarità di essere molto legata alla neurologia, ma che ormai si insegna nelle facoltà di medicina, nelle scuole di specializzazione in neurologia, fisiatria e geriatria, nei corsi di diploma universitario di logopedia e nelle facoltà di psicologia. Nell ultimo trentennio la neuropsicologia ha avuto un grande sviluppo, testimoniato tra l altro dalla nascita di numerose riviste specialistiche dedicate a questo argomento: Neuropsychologia (1963), Cortex (1964), Brain and Language (1974), Cognitive Neuropsychology (1984), Brain and Cognition (1982), Aphasiology (1987), senza contare poi lo spazio ad essa da sempre riservato sulle riviste neurologiche. 8

6 2.2 Le aree di ricerca Per quanto concerne le aree di ricerca la neuropsicologia si è proposta sin dai suoi albori due scopi fondamentali: in ambito strettamente medico questa disciplina indaga le alterazioni patologiche dei processi mentali, con intenti diagnostico-riabilitativi, mentre nelle sue applicazioni più elevate ha da sempre avuto anche fini euristici, avvalendosi dei pazienti in cui i processi cognitivi sono alterati da lesioni cerebrali come di esperimenti della natura. Si possono distinguere due scopi conoscitivi : 1. Lo studio della base neurale delle funzioni mentali, in cui vengono utilizzati il metodo della correlazione anatomo-clinica, sviluppato a partire dalla prima metà dell Ottocento, ed i più recenti metodi di neuroimmagine funzionale ed attivazione (TC, RM, PET). 2. Lo studio della funzione mentale in quanto tale: l esame di pazienti con disturbi cognitivi specifici può essere utile per elucidare le proprietà funzionali dell attività mentale, anche indipendentemente dai suoi correlati neurali. 2.3 I metodi Metodo della correlazione anatomo-clinica La neuropsicologia scientifica è nata nella seconda metà dell ottocento come neuropsicologia dell afasia. Ricercatori come Bouillaud (1925) e poi Broca (1861, 1865) e Wernicke (1874) hanno lavorato alla localizzazione di aree deputate al linguaggio, creando dei complessi modelli anatomo-funzionali che ancora oggi sono validi: molto noto è quello elaborato da Lichteim [1885](Fig.2). 9

7 B O M A E m a Fig. 2: Modello di Lichteim. A:centro delle immagini uditive.m:centro delle immagini motorie.b:centro dell elaborazione dei concetti;a:branca nervosa afferente che trasmette ad A le impressioni acustiche; m:branca efferente verso gli organi della parola.o:centro delle immagini visive.e:centro della scrittura. Sulla base di questi modelli si è sviluppato, a partire dalla seconda metà dell Ottocento, un filone di ricerca che mira a localizzare le basi neurali delle varie funzioni mentali: nello studio delle afasie e poi in quelli successivi il metodo usato fu quello della correlazione anatomo-clinica che procede nel modo seguente:! Analisi psicologica del comportamento del paziente (es.afasia)! Individuazione della lesione cerebrale ad esso associata! Inferenza che la base neurale della funzione persa è situata nell area cerebrale lesa. Naturalmente questo metodo classico è stato messo in crisi dalla scoperta che lesioni in aree che non erano considerate direttamente coinvolte in specifiche funzioni, in realtà provocavano un deficit di quelle funzioni: si ipotizzarono così delle connessioni tra le varie cerebrali e si introdusse il concetto di diaschisi, cioè la diminuzione dell attività di un area distante rispetto alla sede di una lesione a seguito dell alterazione di circuiti neuronali complessi. 10

8 Un grosso passo in avanti è stato fatto grazie alle tecnologie dinamiche (PET), che hanno dimostrato come la distruzione di una regione specifica possa determinare una riduzione dell attività neurale di aree distanti da quella lesa, in seguito ad una diminuzione del flusso ematico o del metabolismo in quella sede. La diaschisi è probabilmente determinata dalla distruzione di fibre nervose efferenti, dirette dalla regione lesa ad aree distanti, le quali perso questo controllo, divengono ipofunzionanti anche in assenza di morte cellulare (Feeney e Baron, 1986). È sempre maggiore il numero di ricercatori che sostiene che alla base dei processi mentali ci sono complessi circuiti neuronali (Fazio e coll., 1992; Metter e coll, 1984), e quindi la correlazione va fatta con questi circuiti e non con singole aree cerebrali Metodi di attivazione cerebrale Nell ultimo decennio, grazie ai già citati avanzamenti tecnologici dei metodi di neuroimmagine, lo studio della base neurale dei processi mentali mediante attivazione cerebrale ha subito un impetuoso sviluppo. La logica che sta alla base di tali tecniche è speculare a quella della correlazione anatomo-clinica, con la differenza che in questo caso si correla l aumento di attività cerebrale locale (flusso ematico), con l esecuzione di un determinato compito da parte del soggetto. Queste procedure sono state utilizzate soprattutto su soggetti normali ed hanno confermato ed esteso i risultati ottenuti con il metodo tradizionale in pazienti cerebrolesi o condotti su animali. Grazie alle tecniche suddette, che tra l altro possono essere utilizzate anche in pazienti con lesioni cerebrali per valutare il grado di funzionalità residua o l efficacia della riabilitazione, è emersa una elevata specializzazione funzionale del cervello, non solo a livello sensorio-motorio, ma anche a quello di processi più complessi [Posner e Raichle,1994]. 11

9 In conclusione è importante sottolineare come, se un area non viene attivata durante un determinato compito, questo non esclude del tutto che l area sia coinvolta in quella determinata funzione, a differenza della correlazione anatomo-clinica in cui se la lesione in un area non compromette una funzione, sicuramente non è coinvolta in quella funzione in modo significativo. Quindi il metodo classico e quello di attivazione vanno usati in maniera complementare nello studio della base neurale delle attività mentali. I disturbi di cui si è classicamente occupata la neuropsicologia sono: # Del linguaggio (afasie) # Di lettura e scrittura (dislessie e disgrafie) # Della memoria (amnesie) # Del riconoscimento (agnosie) # Del movimento (aprassie) # Spaziali e visivo-immaginativi # Della localizzazione e consapevolezza corporea # Dell attenzione # Demenze Nell ultimo ventennio si è sviluppato un approccio neuropsicologico nuovo, la neuropsicologia cognitiva, che ha come scopo l esplorazione dell architettura funzionale dei processi mentali normali, indagando il comportamento di pazienti affetti da disordini neuropsicologici causati da lesioni cerebrali, e considerando le facoltà mentali come una serie di componenti ognuna con proprietà funzionali specifiche, ma tutte tra loro collegate. La neuropsicologia cognitiva ha un approccio quantitativo e confronta pazienti e controlli rispetto ai risultati a test standardizzati, in cui procedure e stimoli sono definiti con precisione [Shallice, 1979]. 12

10 3. La Neuropsicologia in Psichiatria Diverse sono le applicazioni della Neuropsicologia in Psichiatria: tra le altre in particolare l identificazione di lesioni cerebrali in pazienti psichiatrici, la valutazione di deterioramento cognitivo, e il progresso delle teorie riguardanti la localizzazione neuroanatomica dei sintomi di vari disturbi psichiatrici. Una delle importanti caratteristiche della Neuropsicologia, è che rende possibile la valutazione oggettiva del funzionamento della corteccia nel risolvere prove semplici. Quando applicata in modo appropriato, una batteria di test neuropsicologici fornisce una comprensione delle capacità cognitive e comportamentali di un individuo o di una popolazione in studio. Il clinico deve valutare nel paziente psichiatrico quali aree cognitivo-comportamentali sono coinvolte nel disturbo, in modo che le informazioni che i test forniscono siano una finestra dei processi mentali del paziente. Una peculiarità di queste metodiche è che misurano un range di funzioni, quali percezione, attenzione, apprendimento e memoria, capacità motorie, capacità verbali e non, comprensione ed espressione del linguaggio, lateralità, astrazione, abilità spaziali e funzioni esecutive. Per cui alcuni risultano ridondanti e non sempre è possibile afferire che cattive prestazioni a questi test rappresentino uno specifico ed isolato deficit neuropsicologico. D altro canto se utilizzati in modo corretto si possono correlare determinati sintomi a deficit cognitivi centrali, consentire il reperimento di elementi predittivi riguardo al decorso della malttia e differenziare forme eterogenee di uno stesso disturbo psichiatrico [Keefe, 1995]. Il numero delle ricerche che utilizzano queste metodiche in Psichiatria è andato aumentando negli ultimi anni: in questo terzo capitolo prenderemo in cosiderazione una 13

11 serie di studi neuropsicologici condotti su pazienti affetti da disturbi d interesse psichiatrico: per una maggiore chiarezza verranno divisi a seconda del disturbo in causa. 3.1 Schizofrenia La Schizofrenia è forse il disturbo psichiatrico in cui maggiore è stato l utilizzo di test o batterie di test neuropsicologici: infatti la presenza di deficit attentivi e cognitivocomportamentali (disorientamento, disattenzione, amnesia ) in questa patologia è decisamente marcata e ha fatto ipotizzare che alla base di essi ci fossero alterazioni neuroanatomico-funzionali ben precise. Le principali prove di tipo neuropsicologico che fanno propendere per l esistenza di una disfunzione cerebrale nella Schizofrenia riguardano i risultati ottenuti da alcuni di questi pazienti in test neuropsicologici standardizzati; tali risultati appaiono indistinguibili da quelli ottenuti da pazienti con lesioni cerebrali accertate. Le prime valutazioni neuropsicologiche generalizzate risalgono a Tucker, Campion e Silberfarb [1975]. Gli autori usando la batteria di Halstead hanno riscontrato una compromissione grave o moderata nel 32% di schizofrenici rispetto al 13% di controlli. Moses e Golden [1980] hanno confrontato 50 schizofrenici cronici con 50 pazienti con lesioni cerebrali accertate dopo aver loro somministrato la batteria di Lurija-Nebraska: l uso delle quattordici scale non permise la distinzione tra i due gruppi (linguaggio ricettivo, memoria, intelligenza e ritmo). Stessa batteria venne usata da Puente, Sanders e Lund [1982], per confrontare schizofrenici con e senza anomalie alla TAC: su un totale di quattordici scale, sette (motoria, tattile, visiva, scrittura, aritmetica, emisfero sx, emisfero dx) avevano distinto i due gruppi, le altre sette (ritmo, linguaggio ricettivo, linguaggio espressivo, lettura, processi intelletivi, memoria e patognomonica) non avevano ottenuto tale effetto. 14

12 Fra tutte le aree cerebrali quella che più spesso è stata messa in correlazione con la Schizofrenia è il lobo temporale: già Gibbs [1951] aveva dimostrato un associazione particolarmente significativa tra l epilessia del lobo temporale e la psicosi, in particolare in caso di lesioni del lobo temporale anteriore. Hill [1953] ha ipotizzato un associazione specifica tra i fenomeni tipici della Schizofrenia e l epilessia del lobo temporale, associazione poi confermata da Slater [1963], Bruens [1971] e Perez [1980]. Gli studi di tipo anatomico su schizofrenici tipici non hanno confermato il rapporto con il lobo temporale, ma esiste qualche indicazione di ciò negli studi neuropsicologici: in particolare gli studi di Taylor [1979] hanno dato nuova linfa a queste ipotesi. La neuropsicologia ha avuto un ruolo centrale, anche nello studio dello squilibrio emisferico. Sono state usate batterie di test e prove specifiche di tipo tattile, visivo ed uditivo: mentre il tipo di compromissione manifestata in queste prove neuropsicologiche condotte da Flor-Henry [1979], Taylor e Abrams [1979, 1981], depone per una disfunzione dell emisfero sx, in un esperimento [Gur, 1979] emergeva una disfunzione destra con iperattivazione compensatoria del sx. In realtà questi modelli di differenza emisferica sono ormai stati superati da spiegazioni molto più complesse, però questi lavori sono tra le prime applicazioni dei metodi neuropsicologici nello studio di un disturbo psichiatrico. Per quel che concerne il Quoziente Intellettivo, Abrams e Taylor [1981] utilizzando il WAIS hanno riscontrato più bassi punteggi in schizofrenici cronici, ma non in casi acuti: il deficit sarebbe pertanto di natura acquisita, in relazione alla disabilità, all ospedalizzazione, gli effetti collaterali dei farmaci, ed altri fattori. La più convincente prova di disfunzione cerebrale è l associazione tra compromissione neuropsicologica e dimostrazione radiologica di atrofia cerebrale presente in alcuni soggetti [Johnstone e al., 1976; Weinberg e Wyatt, 1982; MacInnes e al., 1982]: però se è vero che in una discreta percentuale di schizofrenici esiste questa compromissione neuropsicologica con forti correlati organici, in altri questi correlati 15

13 mancano ed i deficit neuropsicologici senza base organica certa possono essere una causa del disturbo stesso. Kemali, Maj e Galderisi [1985] hanno confrontato un gruppo di schizofrenici, omogeneo rispetto alla durata e alla gravità della malattia, con un gruppo di controllo accoppiato per sesso, età e livello d istruzione, correlando alterazioni ventricolari alla TAC con risultati a vari test neuropsicologici: i risultati hanno confermato che la presenza di un allargamento dei ventricoli cerebrali laterali in una parte dei pazienti era associato ad un grave deficit cognitivo e neuropsicologico, al maladattamento sociale e ad una sintomatologia più marcata. In contrasto con questi risultati Bornstein e coll. [1992] hanno associato i deficit cognitivi non con l allargamento dei ventricoli laterali, bensì del terzo ventricolo e con l involuzione delle strutture diencefaliche periventricolari. Hoff e coll. [1992] hanno invece notato che una atipica lateralizzazione in un area importante per il linguaggio (solco laterale) può essere correlata al cattivo funzionamento cognitivo nei pazienti schizofrenici. Alti studi si sono invece orientati sul malfunzionamento del lobo frontale nella Schizofrenia: Goldberg e coll. [1988] hanno somministrato a 28 pazienti affetti da Schizofrenia quattro test neuropsicologici (WCST, Category Test, Trail Making B, prove di fluenza verbale) che valutano l attività del lobo frontale: il 75% di essi ha avuto prestazioni anomale in almeno uno dei test, però non è stato possibile definire una alterazione specifica del lobo frontale nella Schizofrenia; questi risultati sono in accordo con la letteratura secondo la quale gli stati psicotici acuti non hanno rapporto con le lesioni del lobo frontale. Franke e coll. [1992] hanno riscontrato, utilizzando il WCST, un maggior numero di errori perseverativi nei pazienti schizofrenici rispetto ai controlli, deducendo che questo può essere un marker specifico della patologia ed un indicatore di vulnerabilità. Gold JM. [1997] è tornato sul problema della possibile disfunzione del lobo frontale negli schizofrenici ed utilizzando anch egli il WCST e una nuova prova tipo memoria-di-lavoro ha concluso che i risultati al WCST più scadenti nei pazienti 16

14 rispetto ai controlli non malati siano dovuti alla cattiva memoria di lavoro, piuttosto che ad una non ben specificata sindrome del lobo frontale. Grousser [1990] in una revisione degli studi compiuti utilizzando metodi neuropsicologici, quali il riconoscimento di volti, espressioni facciali e gesti, afferma che i pazienti schizofrenici, come quelli che soffrono di lesioni occipitali destre, commettono un maggior numero di errori rispetto ai controlli, soprattutto nelle prove in cui lo stimolo è in movimento: il dato indica un deficit percettivo o cognitivo in questo disturbo. Faustmann e coll. [1991] hanno utilizzato la batteria neuropsicologica Lurija- Nebraska per confrontare schizofrenici mancini con schizofrenici destrimani e controlli egualmente mancini e destrimani: lo studio ha mostrato, in assenza di confondenti, un deficit significativamente maggiore nei pazienti mancini rispetto ai destrimani, mentre questo reperto non era presente nei controlli; gli autori hanno concluso che l essere mancini è correlato negli schizofrenici a deficit cognitivi, forse in seguito a precoci insulti cerebrali. 3.2 Rapporti tra Schizofrenia ed epilessia del lobo temporale Il problema dei rapporti tra Schizofrenia ed epilessia del lobo temporale è stato ripreso da Gold e coll. [1994]: partendo dalla scoperta in studi di neuroimaging precedenti di anomalie strutturali a livello del lobo temporale mesiale in alcuni schizofrenici, gli autori hanno confrontato i risultati di pazienti schizofrenici e pazienti affetti da epilessia temporale sinistra o destra, ad una serie di test neuropsicologici. Lo scopo era di valutare se la disfunzione del lobo temporale può rappresentare un modello dei deficit cognitivi osservati nei pazienti affetti da Schizofrenia. La conclusione è stata, in accordo con la letteratura precedente, che in questa malattia i deficit neuropsicologici siano dovuti ad anomalie funzionali non solo temporali, ma anche extratemporali, in quanto i risultati alle batterie di test non erano sovrapponibili, se non in minima parte. Seidman e 17

15 coll. [1994] hanno messo in relazione misure anatomiche, valutate con MRI, dell area prefrontale e temporale con le prestazioni a prove neuropsicologiche in pazienti schizofrenici cronici. Essi non hanno riscontrato una correlazione significativa tra queste prestazioni ed il volume del lobo temporale o dell area frontale orbitale: più risalto invece è stato dato al rapporto tra la sindrome cognitiva e disfunzione della corteccia dorsolaterale prefrontale (che è importante per funzioni quali attenzione, ragionamento astratto, esecuzione di compiti), che è connessa con l ippocampo. Altre possibili aree prefrontali coinvolte che contribuiscono alle manifestazioni della Schizofrenia sono quelle della corteccia orbito-frontale, in particolare il circuito frontostriato-talamico che connette queste aree con strutture subcorticali: un'altra situazione in cui l uso di tecniche neuropsicologiche ha permesso di studiare l integrità di questi circuiti neuronali [Pantelis C., 1995]. Uno studio interessante è stato condotto da Goldberg e coll. [1994] sulla relazione tra risultati a test neuropsicologici e misure morfo-fisiologiche del cervello, in gemelli monozigoti, in cui solo uno dei due ha sviluppato la Schizofrenia. Lo studio ha confermato l implicazione delle regioni temporali mediali e prefrontali nei sintomi e nei deficit cognitivi di pazienti schizofrenici: infatti i risultati al WCST e ad altre prove, sono stati correlati con misurazioni morfometriche (in MRI) e funzionali (flusso regionale cerebrale) di tali aree. Gli studi neuropsicologici possono, come si è detto, essere utili anche per seguire il decorso di una malattia o comunque per avere dei dati sempre aggiornati sulle capacità intellettivo-cognitive del paziente. Nella Schizofrenia sappiamo essere scarso l insight, e questo rende l adesione al trattamento più difficile: la causa sarebbe da attribuirsi in parte a difese psicologiche, in parte alla preferenza per la malattia, in parte a deficit cognitivi. Lysaker [1994] ha somministrato ripetutamente il WCST a distanza di tempo a pazienti schizofrenici per valutare se effettivamente il cattivo insight potesse essere attribuito a una disfunzione neuropsicologica. 18

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