Gestire il paziente in terapia con anticoagulanti orali

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Transcript:

Introduzione Il miglioramento delle condizioni igieniche, della tempestività e dell accuratezza delle diagnosi, congiuntamente all efficacia dei trattamenti disponibili, ha portato, nel corso del XX secolo, a una significativa riduzione della mortalità a tutte le età con un conseguente aumento dell aspettativa di vita media. Tutto ciò, assieme alla diminuzione della natalità ha condotto a un progressivo invecchiamento della popolazione. La mortalità per le malattie cardiovascolari, oncologiche e respiratorie si è ridotta, ma il numero di persone affette da queste patologie è aumentato così come l assunzione dei farmaci atti al controllo di queste patologie (www.ministerodellasalute.it). Tra le principali malattie cardiovascolari vi sono: aritmie, cardiopatia ischemica, insufficienza valvolare e ipertensione arteriosa. Il numero di pazienti che oggi si presenta presso gli studi odontoiatrici con alterazioni dell emostasi causata da farmaci per il controllo di patologie cardiovascolari è sempre maggiore. Quando ci si trova di fronte a un paziente in terapia antitrombotica è importante conoscere la patologia per cui è in cura, gli effetti della terapia sull emostasi, quindi il rischio emorragico, i rischi del trattamento chirurgico e come gestire i sanguinamenti peri e postoperatori. Gestire il paziente in terapia con anticoagulanti orali Simone Delia, Davide Passera, Mihai Tarce, Silvio Celestino UOC di Odontostomatologia II-Osp. San Paolo-Milano n AbstrAct: In Italia negli ultimi anni il numero di persone affette da patologie cardiovascolari è in aumento così come l assunzione dei farmaci utilizzati per il controllo di queste patologie. Gli odontoiatri si trovano sempre più a contatto con pazienti in terapia con farmaci che modificano i parametri pressori e la capacità di coagulazione. E necessario prevedere prima di intervenire ogni possibile complicanza ed è quindi importante conoscere tutte le caratteristiche del principio attivo somministrato al paziente. In questo articolo saranno analizzate le conseguenze nell attività clinica dell utilizzo di due anticoagulanti (Coumadin, Sintrom). Sono stati riportati una serie di protocolli operativi suggeriti, partendo dai provvedimenti preoperatori, passando poi attraverso gli accorgimenti intraoperatori e concludendo con la gestione postoperatoria. È importante comprendere inoltre come il concomitante utilizzo con alcuni farmaci di uso comune in campo odontoiatrico possa causare l inibizione o il potenziamento dell effetto dell anticoagulante orale assunto dal paziente. Si consiglia di prestare particolare attenzione ai pazienti in terapia anticoagulante orale in caso di interventi odontoiatrici invasivi, mantenendo la terapia anticoagulante ma monitorando in giornata il valore INR per pianificare il corretto approccio terapeutico estrattivo. La terapia anticoagulante Attualmente in Italia sono disponibili due anticoagulanti orali: Coumadin (warfarina sodica) e Sintrom (acecumarolo). I fattori della coagulazione II, VII, IX, X, la proteina C e la proteina S dopo essere stati sintetizzati dal fegato, per svolgere la loro funzione procoagulante, devono essere attivati e in questo processo di attivazione la vitamina K svolge un ruolo determinante. I dicumarolici agiscono come antagonisti della vitamina K, o meglio, interferiscono nella conversione della vitamina K nel suo epossido attivo, inducendo una condizione analoga alla carenza di questa vitamina. In carenza o assenza di tale vitamina, i fattori sopra citati non possono essere attivati e permangono in circolo, ma nella forma non attiva. È stato dimostrato che durante la terapia con dicumarolici, il fegato continua a sintetizzare i fattori della coagulazione, che però rimangono nella forma biologicamente inattiva. Il 41

Dental Clinics PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE 42 Le terapie anticoagulanti richiedono alcuni giorni prima di manifestare i propri effetti. L efficacia dei dicumarolici si misura con l international normalized ratio. calo dell attivazione di tali fattori si ripercuote sulla trasformazione di protrombina a trombina, determinando un rallentamento del fenomeno della coagulazione. L effetto degli anticoagulanti orali, al contrario di quello dell eparina, non è immediato, ma presenta un tempo di latenza che dipende dall emivita dei fattori della coagulazione presenti nel sangue e quindi ancora attivi (emivita che può arrivare fino a 60 ore per alcuni fattori), oltre che da fenomeni individuali legati all assorbimento e all eliminazione del farmaco, alla condizione epatica e all uso concomitante di altre sostanze in grado di contrastare o incrementare l azione di tali farmaci. La diversità di questi fattori fa sì che la risposta a una stessa dose di farmaco possa essere completamente diversa da soggetto a soggetto. I fattori con emivita più corta, come il fattore VII la cui emivita è di 6 ore, scompariranno più precocemente, lasciando il posto a forme inattive, mentre molecole come la protrombina, il fattore IX e il fattore X che presentano emivite rispettivamente di 60, 24 e 40 ore, richiederanno tempi più lunghi. Dall inizio della terapia anticoagulante, occorrono pertanto parecchi giorni prima di ottenere un effetto anticoagulante completo; analogamente, dopo la sospensione del farmaco, occorrono altrettanti giorni perché la coagulazione ritorni nella norma. La warfarina è altamente solubile in acqua e, dopo somministrazione per via orale, viene rapidamente e completamente assorbita nello stomaco e nel tratto gastrointestinale superiore. L attività anticoagulante della warfarina è data dalla quota plasmatica non legata alle proteine. Questa quota libera corrisponde a circa l 1-3% della warfarina plasmatica, la rimanente è legata all albumina; i farmaci capaci di staccare la warfarina dal legame con l albumina determinano un aumento della concentrazione della warfarina libera e quindi un aumento dell effetto anticoagulante. Ciò spiega la ridotta maneggevolezza di tali farmaci. La concentrazione massima nel sangue viene raggiunta entro un ora dall ingestione, ma il picco dell effetto farmacologico è osservabile dopo qualche giorno. L effetto non inizia prima di 12-16 ore e dura per 4-5 giorni. I dicumarolici vengono metabolizzati dalle ossidasi epatiche e l emivita della warfarina è di circa 40 ore. Le indicazioni all impiego degli anticoagulanti orali sono riportate nella tabella 1. ANTICOAGULANTI ORALI: INDICAZIONI Patologie cardiache n fibrillazione atriale n protesi valvolari n post-infarto miocardico Patologia traumatologico-chirurgica e vascolare n arteriopatia periferica n trombosi venosa profonda n embolia polmonare n chirurgia ricostruttiva vascolare Anomalie congenite o acquisite n ridotta sensibilità alla proteina C attivata n carenza di inibitori fisiologici della coagulazione n alterazioni della fibrinolisi n trombocitosi n iperviscosità ematica Tabella I Il pericolo maggiore relativo all uso degli anticoagulanti orali è la comparsa di emorragia, specialmente a livello intestinale e cerebrale. I segni clinici di tali complicanze sono costituiti da sangue nelle feci o nelle urine, sanguinamento mestruale eccessivo, contusioni, epistassi e sanguinamenti gengivali, persistente trasudazione da ferite superficiali, sanguinamento di tumori, ulcere o altre lesioni. Le controindicazioni ai dicumarolici sono la gravidanza e le situazioni in cui il rischio di emorragia è maggiore rispetto ai potenziali benefici clinici della terapia e cioè l abuso di alcool o droghe e stati di demenza o psicosi non supervisionati.

L efficacia dei dicumarolici nei pazienti è misurata per mezzo del test standardizzato del tempo di protrombina (PT), tempo che viene misurato per mezzo del sangue raccolto in una provetta contenente citrato, il quale agisce come anticoagulante legandosi al calcio nel campione. Poiché i risultati PT possono variare da laboratorio a laboratorio a causa delle apparecchiature, dei differenti lotti di fattore tissutale e dei reagenti utilizzati per eseguire i test, l Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra ha istituito un nuovo metro di misurazione, l International Normalized Ratio (INR). L INR è il rapporto tra PT di un paziente e il campione di controllo normale il tutto elevato a un indice di sensibilità internazionale (ISI). Considerando il range normale di INR che si attesta tra i valori 0,8 e 1,2, un INR al di sotto del range terapeutico tende ad aumentare il rischio di evento trombotico, mentre un INR sopra il range tende ad aumentare il rischio emorragico. S intende per limite più basso del range terapeutico quel difetto di coagulazione minimo necessario per la prevenzione delle trombosi, mentre il limite superiore è quel difetto di coagulazione che sicuramente previene fenomeni trombotici ma che, in normali circostanze, non causa sanguinamento spontaneo (o eccessivo in caso di incidenti). I valori di tale range sono ricavati da studi longitudinali condotti su numerosi pazienti a rischio di trombosi, i quali hanno permesso di ottenere quei valori statistici minimi e massimi in grado di ridurre i fenomeni trombotici senza provocare emorragie spontanee. Il dosaggio di farmaco necessario a raggiungere il range terapeutico individuale varia da soggetto a soggetto. Il protocollo terapeutico universalmente accettato prevede una elevata dose iniziale, allo scopo di ridurre i tempi, alla quale viene fatta seguire una dose di mantenimento determinata su base individuale. Durante tale fase della terapia i controlli ematologici vanno eseguiti giornalmente allo scopo di adeguare la posologia al soggetto in esame. Considerando l emivita dei fattori della coagulazione inibiti, il tempo di coagulazione determinato in un dato giorno riflette l effetto della dose di anticoagulanti somministrati 2 o 3 giorni prima. Questo complica il protocollo terapeutico e fa sì che i tentativi portati avanti per avvicinarsi a un range terapeutico stabile si protraggano a volte per alcuni mesi. Raggiunto l obiettivo di un range stabile, i controlli emocoagulativi saranno eseguiti mensilmente. L adozione dell INR ha consentito di avere un sistema unitario di intervalli terapeutici (range) consigliati nelle varie patologie e ha reso possibile l effettuazione di studi clinici policentrici e il confronto di dati provenienti da laboratori diversi. Protocolli operativi suggeriti Fino ai primi anni 90, ai pazienti in trattamento con anticoagulanti che dovevano essere sottoposti a interventi odontoiatrici associati a rischio emorragico, veniva fatta sospendere la terapia o, nei casi in cui ciò non era possibile, il paziente veniva ricoverato al fine di garantire un migliore controllo della situazione coagulativa pre e postoperatoria (Basi, 1995). La sospensione della terapia anticoagulante comportava un aumento del rischio di trombosi e imponeva una collaborazione non facile tra i vari specialisti che avevano in cura il paziente. Per questi motivi, negli anni successivi, sono stati condotti numerosi studi. Partendo dalla letteratura a cavallo del nuovo secolo, Devani et al. (Devani, 1998) non hanno osservato differenze in termini di sanguinamento postoperatorio in pazienti Fino ai primi anni Novanta si sospendeva la terapia anticoagulante prima di un intervento odontoiatrico a rischio emorragico. 43

Dental Clinics PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE 44 Numerosi studi hanno dimostrato l efficacia di acido tranexamico per l emostasi a livello locale. Non esistono protocolli universalmente accettati, ma la sospensione della terapia anticoagulante è oggi limitata ad alcuni casi. che sospendevano la terapia due giorni prima dell intervento (INR 1.6) rispetto ai pazienti che non sospendevano la terapia (INR 2.7). Uno studio simile, in cui la terapia veniva fatta sospendere 3-4 giorni prima dell intervento, ha riportato gli stessi risultati (Campbell, 2000). Altri studi più recenti hanno confermato l assenza di differenze statisticamente significative in termini di sanguinamento nel confronto tra pazienti in terapia anticoagulante che sospendevano la terapia prima dell intervento rispetto a quelli che la mantenevano (Zanon, 2003). Relativamente alle misure di emostasi locale, nel 1993 è stato pubblicato uno dei primi contributi che ha sottolineato l importanza di istituire una terapia antifibrinolitica (acido tranexamico) prima di un intervento di chirurgia orale senza sospendere la terapia anticoagulante (Borea, 1993). Successivamente, numerosi sono stati gli studi che hanno sottolineato l efficacia dell impiego di soluzioni a base di acido tranexamico come misura di emostasi locale nei pazienti in terapia anticoagulante, senza la sospensione della terapia. Oltre all acido tranexamico sono state impiegate altre misure locali di emostasi nei pazienti in terapia anticoagulante. Tra queste vanno citate le spugne in gelatina, associate o meno all acido tranexamico, la colla di cianoacrilato, il plasma ricco di piastrine (Della Valle, 2003) e le colle di fibrina (contenenti trombina, proaccelerina, calcio, fattore XIII e sostanze antifibrinolitiche che inducono la formazione di fibrina localmente e riducono la fibrinolisi) ricoperte da collagene o da spugne in gelatina (Chow, 2003; Piot B, 2002). Il trattamento odontoiatrico dei pazienti in terapia anticoagulante rappresenta tuttora un problema reale. Infatti, non esistono protocolli universalmente accettati per il trattamento dei pazienti in terapia anticoagulante che necessitano di interventi al cavo orale. Comunque, la modificazione della terapia anticoagulante prima di un intervento di chirurgia dentoalveolare non è supportata da evidenze scientifiche, se non per INR superiore a 4, valore comunque maggiore della maggior parte dei target terapeutici. Inoltre, in seguito a estrazioni dentali, il rischio di un sanguinamento grave o non controllabile mediante misure di emostasi locali è così basso da non richiedere la sospensione della terapia anticoagulante (Beirne, 2005; Gibbons, 2003; Jeske, 2003). Dall analisi della letteratura internazionale più recente si evince che, in occasione di un intervento chirurgico al cavo orale, la maggior parte degli Autori è concorde nel mantenere inalterata la terapia anticoagulante, cioè mantenere il paziente entro il range terapeutico richiesto per la patologia da cui è affetto, salvo alcune rare eccezioni. In antitesi a questo atteggiamento, solo alcuni Autori sostengono invece un approccio individuale che prevede, se necessario, la sospensione della terapia anticoagulante da valutare di volta in volta, in relazione al paziente da trattare (Todd, 2005). Sono state pubblicate due revisioni relative alla gestione perioperatoria dei pazienti in terapia anticoagulante. La prima valuta la necessità di sospendere la terapia anticoagulante in numerose manovre chirurgiche, comprese le procedure chirurgiche al cavo orale. Le conclusioni suggeriscono di non modificare la terapia anticoagulante (Todd, 2003). Nella seconda revisione, prodotto del lavoro della Sixth Consensus Conference on Antithrombotic Therapy, l American College of Chest Physicians (ACCP) raccomanda di non sospendere la terapia anticoagulante nei pazienti che devono sottoporsi a procedure odontoiatriche che non presentano un elevato rischio emorragico; la terapia va sospesa solo nei rari casi di elevato rischio emorragico (gli Autori non specificano quali siano le procedure a elevato rischio emorragico, ma si presume che facciano riferimento a procedure estremamente invasive). Inoltre, l ACCP raccomanda l impiego di sciacqui a base di acido tranexamico o acido aminocaproico per con-

LA GESTIONE ODONTOIATRICA DEL PAZIENTE IN TERAPIA ANTICOAGULANTE Patologie cardiache n L odontoiatra deve conoscere i valori di INR della giornata per valutare se il trattamento odontoiatrico programmato può essere effettuato; a tal fine è consigliabile la collaborazione tra l odontoiatra e il medico curante/cardiologo. n Farmaci a scopo profilattico o terapeutico dovrebbero essere prescritti solo se assolutamente necessari e dopo aver attentamente valutato le interazioni con la terapia anticoagulante e la patologia del paziente. n Valutazione delle condizioni di igiene orale del paziente e rimozione dei fattori (placca, tartaro) responsabili di stati infiammatori gengivali. n Programmazione di un piano di trattamento che preveda il frazionamento degli interventi. Accorgimenti intraoperatori n Le manovre chirurgiche devono essere semplici, ben eseguite e tecnicamente corrette (estensione dell incisione, scollamento dei lembi ). n Creare le condizioni per eseguire l intervento con un ottimale visibilità del campo operatorio in caso di un sanguinamento eccessivo (collaboratore esperto, luminosità, aspirazione chirurgica ). n Uso di agenti emostatici quali colla di fibrina, solfato ferrico, spugne a base di gelatina, cellulosa ossidata e acido tranexamico. n Apporre sempre una sutura appropriata al fine di proteggere il coagulo e garantire una più rapida guarigione della ferita chirurgica. Suggerimenti postoperatori n Emostasi mediante compressione e raffreddamento della zona dell intervento. n Uso di agenti antifibrinolitici, quali acido tranexamico, impiegati in sciacqui o garze imbevute. n Prescrizione di antibiotici qualora sussistano condizioni predisponenti l infezione del coagulo. n Educare il paziente a evitare sostanze in grado di indurre iperemia (alcool, tabacco, cibi caldi ). n Consigliare al paziente una dieta semiliquida al fine di ridurre al minimo i traumi alla ferita durante la masticazione. n Invitare il paziente ad astenersi dall impiego di farmaci, se non dopo parere medico, al fine di evitare possibili interferenze con la terapia anticoagulante. n In seguito a interventi chirurgici estesi può essere indicato l impiego di docce in resina o silicone per facilitare la compressione extra-alveolare. Tabella II trollare il sanguinamento (Ansell, 2001). Studi più recenti tendono a confermare l utilità del test INR eseguito il giorno stesso dell intervento odontoiatrico invasivo (Brennan, Jada 2008) o l importanza di mantenere la terapia anticoagulante nonostante il possibile sanguinamento post-estrattivo (Al-Mubarak, Br Dent J 2007). Nel 2007, Ward ha ammonito sul J Oral Maxillofac Surg. la scarsa adesione degli odontoiatri nei confronti delle linee guida presenti in letteratura, confermata anche da una revisione retrospettiva appena pubblicata (Moawia, Jada 2011). Da molti di questi studi si osserva come abbia consequenze più gravi per il paziente il rischio trombotico, dato da un valore INR basso, piuttosto che emorragico, dato da un valore INR aumentato rispetto al range stabilito. Nella tabella II sono riportati alcuni suggerimenti, basati sulla letteratura corrente, per la gestione del paziente in terapia anticoagulante. Sono da sottolineare che i due aspetti da valutare con maggiore attenzione nel programmare il trattamento di un paziente in terapia anticoagulante sono: n il tipo di trattamento odontoiatrico n i valori di INR e la patologia di base (range INR) Tipo di trattamento odontoiatrico Non tutti i trattamenti odontoiatrici espongono il paziente al rischio di emorragie, poiché non tutti provocano sanguinamento. Tra 45

Dental Clinics PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE VALORI DI INR E TIPO DI TRATTAMENTO n INR<2.0: è lecito eseguire qualunque procedura odontoiatrica, comprese quelle a elevato rischio emorragico, senza modificare o sospendere la terapia anticoagulante. Valutare se un valore di INR così basso corrisponde al range terapeutico 46 del paziente, altrimenti contattare il cardiologo curante. n INR<4.0: non si dovrebbe eseguire nessuna procedura odontoiatrica al di fuori di strutture ospedaliere o specializzate. Per valori di INR così elevati c è l indicazione a contattare il cardiologo per modificare la terapia anticoagulante. Comunque, attualmente sono pochissime le indicazioni a mantenere l INR>4 e il riscontro di tale valore è spesso correlata un non corretto controllo della terapia. Di conseguenza, l odontoiatra che riscontra un valore di INR superiore al range terapeutico del paziente dovrebbe informare immediatamente il cardiologo curante. n INR>2.0 e <4.0: questo range comprende la maggior parte dei pazienti in terapia Valutare di volta in volta la complessità dell intervento e correlare il rischio emorragico (tipo di intervento, durata, sede) con quello cardiologico (gravità della patologia cardiaca) e con quello tromboembolico che deriverebbe da una modificazione della terapia. In generale, in questi casi è indicato non sospendere la terapia anticoagulante così da non aumentare il rischio tromboembolico e controllare il sanguinamento mediante l impiego di acido tranexamico o altri adiuvanti dell emostasi prima, durante e dopo l intervento. Inoltre, poiché l effetto anticoagulante permane fino a molti giorni dopo la sospensione della terapia, non è oggi giustificata la pratica di sospendere la terapia anticoagulante nei giorni precedenti l intervento: ciò aumenterebbe il rischio tromboembolico senza ridurre il rischio di sanguinamento.anticoagulante. Tabella III La chirurgia estrattiva è considerata una procedura a basso rischio emorragico. quelli associati a rischio emorragico vanno considerati l impiego di anestetici locali iniettabili, le estrazioni, il posizionamento di impianti, gli interventi di chirurgia parodontale e di levigatura delle radici, gli interventi di piccola chirurgia orale e le terapie canalari e, da ultimo, ma non meno importante, l attenzione nella prescrizione di farmaci che possono interferire con la terapia in corso. La chirurgia estrattiva (di singoli elementi o multipla) nei pazienti che assumono anticoagulanti orali è considerata una procedura a basso rischio emorragico (Beirne, 2005). Valori di INR e patologia di base Di fronte a un paziente in terapia con anticoagulanti, per procedere correttamente bisogna valutare l entità e l efficacia della terapia in corso, cioè il range INR. Entità della terapia (INR): prima di iniziare l intervento in un paziente in terapia anticoagulante è indispensabile avere un valore di INR della giornata; non sono attendibili valori di INR dei giorni precedenti a causa dell estrema variabilità dell INR. L odontoiatra ha il dovere di valutare da un lato se il valore di INR rientra nel range terapeutico per la patologia da cui il paziente è affetto e dall altro se tale valore è compatibile con il trattamento odontoiatrico programmato. Efficacia della terapia (patologia di base): l odontoiatra che si accinge a curare un paziente in terapia anticoagulante deve conoscere molto bene quale sia il rischio tromboembolico del paziente, cioè la patologia per cui assume la terapia e quale sia il range INR richiesto da tale patologia, ossia conoscere quanto il paziente è scoagulato, cioè qual è il suo rischio emorragico. L obiettivo primario è mantenere il paziente sempre entro il suo range terapeutico, ossia mantenere valori di INR che lo espongano, contemporaneamente, al minor rischio tromboembolico e al minor rischio emorragico. Di conseguenza, non interrompere la terapia anticoagulante in occasione di un intervento odontoiatrico significa mantenere basso il rischio tromboembolico e accettare il rischio di sanguinamento associato al range INR del paziente. Al contrario, sospendere o ridurre la terapia anticoagulante significa avere un basso rischio di sanguinamento, ma un aumentato rischio tromboembolico. Va però sottolineato, come, a parità di rischio, le conseguenze di un episodio tromboembolico sono molto più gravi (ictus, infarto del miocardio, morte) rispetto alle conseguenze dell emorragia che si avrebbe in seguito a un intervento chirurgico al cavo orale (sanguinamento efficacemente controllato con misure di emostasi locali) (Tabella III). Le uniche condizioni in cui è lecita una modificazione della terapia anticoagulante, una volta che si è deciso di eseguire l intervento, sono interventi indaginosi che richiedono un ottima visibilità del campo operatorio in pazienti in cui sono richiesti tempi rapidi per l esecuzione dell intervento o in pazienti nei quali eventuali complicanze intraoperatorie sarebbero difficili da gestire

(pazienti affetti da gravi patologie sistemiche). Infatti, un emorragia abbondante durante l intervento può compromettere l esito dell intervento stesso o aumentarne la durata; il prolungarsi dell intervento in pazienti con un compenso cardiocircolatorio labile determinerebbe stress aggiuntivo e quindi possibilità di emergenze mediche anche gravi. Interazioni con la terapia anticoagulante Per comprendere meglio il meccanismo alla base dell interazione dei farmaci con l attività degli anticoagulanti bisogna ricordare ancora che l attività anticoagulante della warfarina è data dalla quota plasmatica non legata alle proteine. La quota libera corrisponde a circa l 1-3% della warfarina plasmatica, la rimanente è legata all albumina. Molti altri farmaci viaggiano legati all albumina, alcuni con affinità superiore a quella degli anticoagulanti orali. Questo produce l effetto di diminuisce la quantità di albumina a disposizione; peraltro, alcuni hanno la capacità di staccare la warfarina dal legame con l albumina, determinando quindi un aumento della concentrazione della warfarina libera, che è quella farmacologicamente attiva. La conseguenza è un aumento dell effetto anticoagulante. Da sottolineare, per quanto riguarda i pazienti in terapia anticoagulante, che la concomitante somministrazione di FANS può aumentare il sanguinamento senza modificare l INR, poiché l interazione in questo caso non avviene a livello del metabolismo degli anticoagulanti, ma è la sommatoria degli effetti antiaggregante dei FANS e anticoagulante degli anticoagulanti orali (Holbrook, 2005). Molti antibiotici potenziano l effetto degli anticoagulanti orali (Wells, 1994). Di conseguenza, nei pazienti che assumono anticoagulanti orali va evitata la somministrazione pre e/o post-operatoria di una terapia antibiotica come per esempio amoxicillina per 5-10 giorni. In questi pazienti è però corretto somministrare, prima dell intervento, la dose di antibiotico necessaria alla prevenzione dell endocardite batterica (spesso necessaria in questa categoria di pazienti). Infatti, se la somministrazione di antibiotico per 5-10 giorni è controindicata poiché può alterare la flora batterica intestinale e diminuire l assorbimento di vitamina K con conseguente aumento dell INR, la somministrazione di una singola dose di amoxicillina non sembra interferire con la terapia anticoagulante. Tra gli antibiotici e antimicotici che potenziano la terapia anticoagulante sono da segnalare in particolare: eritromicina, ciprofloxacina, tetracicline, isoniazide e azoli (fluconazolo, miconazolo, metronidazolo, itraconazolo, voriconazolo, trimetoprim-sulfametossazolo). Il meccanismo di interazione di questa categoria di farmaci si basa prevalentemente sull inibizione del citocroma P450 e conseguente ridotta metabolizzazione degli anticoagulanti orali (Holbrook, 2005). Al contrario, la dicloxacillina e la nafcillina aumentano il metabolismo degli anticoagulanti orali con conseguente riduzione dell INR e aumento del rischio di tombosi (Beirne, 2005). conclusione Si consiglia di prestare particolare attenzione ai pazienti in terapia anticoagulante orale in caso di interventi odontoiatrici invasivi, mantenendo la terapia anticoagulante ma monitorando in giornata il valore INR per pianificare il corretto approccio terapeutico estrattivo. Bibliografia La bibliografia completa è consultabile sul sito www.dentalclinics.it. La concomitante somministrazione di FANS aumenta il rischio di emorragia. Diversi antibiotici e antimicotici sono in grado di potenziare l effetto della terapia anticoagulante. 47