ASSEMBLEA REGIONALE A.I.C. ATTI REGGIO EMILIA 01/04/2006

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1 ASSEMBLEA REGIONALE A.I.C. ATTI REGGIO EMILIA 01/04/2006 Trascrizione a cura di Valentina Guarini

2 1. CELIACHIA: LA RISPOSTA IN 5 MINUTI Dott. Enzo Bravi Eurospital Innanzitutto vorrei ringraziare l Associazione Italiana Celiachia - sezione Emilia Romagna - per l invito e per l opportunità di partecipare a questo incontro. Oggi sono qui per illustrare da un punto di vista tecnico una delle ultime innovazioni che Eurospital ha proposto. Da sempre Eurospital si occupa di diagnosi sierologica di celiachia e siamo contenti di poter portare prodotti nuovi che contribuiscono a migliorare il percorso diagnostico. Il prodotto di cui vi parlerò è un test rapido che è disponibile con due marchi (ma è comunque lo stesso prodotto): Eu-tTG Quick (in confezioni da 20) - si rivolge allo studio professionale quindi al laboratorio di analisi, ai pediatri, ai gastroenterologi, a tutti quelli che esplicano attività professionale; Xeliac Test (in confezione da 1 test) - è disponibile in farmacia, quindi per diagnosi domiciliare. Questo test, innovativo anche in termini di semplicità e affidabilità, è il primo test rapido su sangue intero oggi disponibile. Il principio su cui si basa è la presenza della transglutaminasi nella membrana dei globuli rossi, la quale viene lisata ed espone l antigene agli anticorpi presenti nel siero: pertanto non è più necessario fare un prelievo di siero per la determinazione degli anticorpi antitransglutaminasi. La rapidità è una questione essenziale in questo tipo di test, perchè non si può pensare di avere la risposta dopo mezz ora o un ora. Il test si esegue su una goccia di sangue capillare che si preleva dal dito, dal polpastrello, come se si trattasse di un test per la glicemia, e permette la determinazione degli anticorpi antitransglutaminasi di classe IgA esclusivamente non IgG. La determinazione degli anticorpi antitransglutaminasi è, come sapete, ormai da circa dieci anni a questa parte, il test di riferimento sierologico. Come ho anticipato la goccia di sangue prelevata viene messa in una provetta capillare, contenente un diluente che consente la lisi dei globuli rossi quindi l esposizione della transglutaminasi e la conseguente reazione antigene-anticorpo. Il complesso antigene- 2

3 anticorpo viene poi rilevato, per mezzo di un processo immunocromatografico, su stick. Quali sono le specifiche del test? Intanto di esecuzione: ci vogliono al massimo 1-2 minuti per attuare le fasi operative, ovvero fare uscire una goccia di sangue, aspirarla con il capillare e quindi inserire il capillare nella provetta con il diluente. Il tempo di lettura per vedere se il test è positivo o negativo è di 5 minuti. E importante fare attenzione che la lettura non ecceda i 10 minuti perché oltre questo lasso di tempo la fase solida può avere delle interferenze dovute al tipo di test. Come ho già detto ci sono due confezioni, una per uso professionale da 20 test ed una per uso domiciliare da 1 test. Nel kit, qualunque esso sia, è presente tutto il necessario per eseguire il test: lo stick dove avviene la reazione, il diluente dove metteremo il capillare, il capillare dove metteremo la goccia di sangue e ovviamente la lancetta per eseguire il prelievo sul sangue. Il prelievo del sangue è praticamente indolore. E importante sapere che il test si conserva, sia per uso professionale sia domiciliare, a temperatura ambiente. Quanto alle caratteristiche del test in termini di sensibilità e specificità, questi sono i valori riportati nelle istruzioni per l uso del prodotto e che si riferiscono ad uno studio effettuato in due centri di riferimento, uno in Italia ed uno in Finlandia: sensibilità 96, 2% specificità 90 % Vorrei sottolineare come la sensibilità sia paragonabile a quella dei normali test eseguiti in laboratorio e come questa, com è ovvio dal momento che si tratta di un test di primo livello (questo è importante), sia stata privilegiata rispetto alla specificità (si può avere qualche falso positivo). Come avviene il test? La procedura è estremamente semplice: nella confezione vi è una lancetta pungidito, si preme il cappuccio, si ruota per attivarlo dopodichè si appoggia l estremità della lancetta contro il polpastrello e si fa scattare la lancetta. La fase operativa vera e propria si compone delle seguenti fasi: si tratta di porre il capillare a contatto con la goccia di sangue, che è il momento più importante secondo me: bisogna premere abbastanza affinchè venga fuori una goccia consistente perché, anche se si ha a che fare con una quantità di sangue infinitesimale 3

4 come 10 microlitri, è bene che la goccia sia abbondante; una volta riempito il capillare lo si pone all interno della provetta tubo con il diluente e si chiude il tutto. A questo punto è importante anche agitare la provetta che contiene il capillare in modo che il sangue si mescoli con il diluente, perché deve avvenire la reazione di lisi di cui vi ho parlato: si capisce che questo è avvenuto semplicemente perché il capillare diventa trasparente una volta che il sangue fluisce all interno del diluente; infine si prende lo stick, si inserisce all interno della provetta e si attende che trascorrano 5 minuti di orologio. Come si legge il test? Lo stick si presenta con una parte superiore celeste o blu scura: la parte contraddistinta dalle freccette è quella che deve essere immersa nel tubo con il diluente (la quantità del diluente è tarata in modo tale da non superare la linea orizzontale blu); poi abbiamo la parte dove si legge il test, che per essere valido deve sempre dare la linea rossa superiore: questa garantisce che il test ha funzionato, è infatti il controllo negativo. Dopodichè, se compare una linea rossa al di sotto, qualsiasi sia l intensità della reazione (non esiste un più o meno positivo), il test dev essere interpretato come positivo. In genere quando compaiono due linee significa che il test è positivo. Si tratta dunque di una procedura rapida, i dati della quale ci garantiscono l affidabilità, nonché di un test conveniente dal punto di vista dell esecuzione in generale, poiché il tempo operativo è minimo rispetto ai passaggi normali (qui sono due soltanto) e l interpretazione del test è semplice ed immediata. A questo proposito, trattandosi di un test introdotto da poco tempo, è chiaro che, in caso di dubbi sull interpretazione, è consigliabile farsi aiutare, far vedere il test a qualcuno che abbia esperienza e che possa supportare nella decisione. Vorrei infine ribadire che si tratta di un test di primo livello e dunque: un test non fa diagnosi bensì dà un risultato. Il risultato dev essere poi interpretato da chi si occupa di questa patologia: che sia lo specialista, il centro di riferimento o il medico di fiducia non importa, ma ciò che conta è che l interpretazione venga fatta da una persona con competenza. Non è un test che dice io sono celiaco, è un test che dà un indicazione importante, una possibilità, e quindi è di aiuto: per prassi, come tutti i test di laboratorio, 4

5 se positivo va sempre ripetuto e confermato. Da parte nostra, continuiamo a testare questo prodotto anche in altri centri al di fuori dell Italia, dove sono in atto studi su centinaia (o addirittura migliaia) di pazienti che confermano i dati che vi ho appena illustrato. Marcella Mastropietro Ringrazio moltissimo il Dott.Bravi perché credo abbia spiegato perfettamente come va eseguito questo test. Anche se la maggior parte delle persone in sala sanno cos è la celiachia e cosa vuol dire fare una dieta senza glutine, vorrei ribadire, come già detto dal Dott.Bravi, che l importante è che questo test non venga preso come un test definitivo e soprattutto che a nessuno che ha avuto un risultato positivo venga in mente di mettersi a dieta senza glutine: il che si tradurrebbe in un annullamento della possibilità di fare una diagnosi vera e completa. E importantissimo quindi che chiunque faccia il test, più o meno competente che sia, con questo primo risultato si rivolga alle figure mediche giuste, agli specialisti quali il pediatra o il gastroenterologo, cosìcchè venga preso in esame e venga completato il percorso di diagnosi della celiachia prima di aver preso qualsiasi decisione rispetto al tipo di alimentazione. Mettersi a dieta senza glutine significa ricominciare a far lavorare correttamente il corpo, ripristinare l integrità della mucosa intestinale e quindi di fatto risultare negativi nel tempo ad un test specifico di celiachia. Dott. Umberto Volta Dipartimento di Medicina, Universittà di Bologna - Policlinico S.Orsola Malpighi, consulente scientifico A.I.C. Il test è valido, lo abbiamo provato nel nostro laboratorio, anche se su una casistica molto limitata rispetto ai dati finlandesi o di altri gruppi, e funziona sicuramente. Le uniche perplessità nascevano dal fatto dell eseguirlo a domicilio, ossia fai da te. Si è arrivati ad un compromesso con l Eurospital, partendo dall idea che questo test dovesse essere eseguito da medici, farmacisti o da personale tecnico di laboratorio, e si è perciò aggiunta la raccomandazione, ad opera della A.I.C., che in ogni caso in cui risulti dubbio nella sua lettura, anche questo primo test sia ripetuto con l aiuto di un medico, un farmacista o personale tecnico di laboratorio. Lo scopo è naturalmente di evitare che il test risulti negativo per un errore tecnico di procedura: una metodica semplice senz altro, ma che 5

6 richiede comunque un minimo di attenzione. D. In presenza di un deficit di IgA questo test funziona? R. Dott. Bravi No, fa solo le IgA. Dunque il test sarebbe sicuramente negativo. D. Dal momento che mio marito è risultato positivo un anno fa e ci hanno consigliato di far fare comunque le analisi ai nostri figli: ora questo test può rassicurarmi in caso di negatività o è comunque bene fare gli accertamenti in tempi rapidi? R. Dott. Bravi Il test è affidabile sulla sensibilità, ad ogni modo sulla diagnosi è bene affidarsi allo specialista e seguirne le indicazioni nel caso specifico. D. Nel caso di diagnosi già fatta e paziente a dieta, questo test sostituisce il controllo annuale o semestrale che il celiaco deve fare? R. Dott. Bravi Il test le dà un risultato ma il discorso del controllo della dieta è individuale. R. Dott. Volta Il fatto è che il test non dà un valore numerico, dunque non può sostituire il controllo della dieta, nel quale ciò che interessa vedere non è solo la negativizzazione del test, ma anche il calo in termini di titolo anticorpale della transglutaminasi. Ecco perchè questo test non è adatto per il follow-up. D. Vorrei chiedere qual è il costo del test e se ci sono esperienze in corso per l estensione del test per degli screening. R. Dott. Bravi Il prezzo da listino della confezione da 20 è 480, sul quale Eurohospital riconosce uno 6

7 sconto del 25%. In farmacia la confezione singola costa 30 iva compresa. Tranne il dato di cui ho parlato prima, che riguardava uno studio fatto su circa 2000 pazienti tra la Finlandia e l Ungheria, non sono a conoscenza di esperienze di screening e non saprei darle esiti di tipo screening locale. Sicuramente il test, per come è configurato, ha una predisposizione per questo tipo di studi. D. A che punto è la ricerca su test rapidi su saliva? R. Dott. Bravi A gennaio c è stato a Trieste un convegno organizzato dal Prof. Ventura sulla saliva. Sono emersi dati contrastanti: le esperienze pubblicate dicono che gli anticorpi antitransglutaminasi si trovano nella saliva, a Trieste hanno invece detto che la saliva in questo momento non è ancora un valido substrato. E questo prevalentemente, suppongo, per due motivi, ovvero per la questione della composizione della saliva e della sua maggiore o minore densità e poi perché in questo momento ci sono pochissimi studi su questo tipo di campione. R. Dott.Volta Solo una precisazione: l unico studio che riporta risultati validi per la ricerca degli anticorpi antitransglutaminasi su saliva è quello di Margherita Bonamico, basato sul metodo radioimmunologico. Va subito sottolineato che tale studio non ha avuto conferme da altri lavori (ed infatti alla Bonamico era stato proposto anche dall A.I.C. di fare uno studio policentrico sull argomento). Gli altri test su saliva, nonostante le aspettative in termini diagnostici, sono stati tutti abbastanza deludenti. Per il momento pertanto non è assolutamente proponibile un test diagnsotico su saliva. 7

8 2. IL TRATTAMENTO DELLA CELIACHIA NELLA SOCIETA DIFFERENZIATA PER FUNZIONI. PROBLEMI E PROSPETTIVE Manola Di Nella - Tesi di laurea in sociologia Ringrazio il nostro presidente Gino Venturelli e l associazione per la posssibilità di dare il mio contributo in occasione di questo incontro. Ho ricevuto la diagnosi di celiachia nel febbraio 2003 e, dovendo scegliere proprio in quel periodo l argomento della mia tesi di laurea, ho sentito la necessità di approfondire la questione celiachia da un punto di vista sociologico. Inizierei ricordando la più recente legge sulla celiachia, de Luglio 2005, che ha portato un cambiamento nella definizione di tale patologia: non si parla più di malattia rara bensì di malattia sociale. Un dato importante questo, ad indicare la maggiore diffusione della patologia. Se si attesta la frequenza di 1 celiaco su abitanti, anche molti paesi per anni considerati immuni da tale patologia, per esempio la Danimarca che sembrava presentare 1 caso su abitanti, in seguito a ricerche e studi ulteriori hanno dovuto rilevare la presenza più marcata del fenomeno: la ragione dell aumento di diagnosi di celiachia è legata alla constatazione di una natura multisintomatica della patologia, cioè al fatto che essa presenti un ampia varietà di manifestazioni e non soltanto i sintomi riconosciuti come tipici vent anni fa. Attualmente si attesta una presenza della patologia omogenea in quasi tutti i paesi. La problematica centrale della mia tesi riguarda il paradigma salute-malattia nell attuale differenziazione della società. Per differenziazione si intende la struttura della società moderna facendo riferimento all esponente più autorevole del pensiero sociologico contemporaneo che è Niklas Luhmann, la cui teoria dei sistemi fornisce il quadro più lucido della società moderna: con la modernità, o differenziazione funzionale, non è più possibile collocare l individuo in uno specifico sottosistema o gruppo. Si sottolinea pertanto la flessibilità acquisita dagli individui e la possibilità di accedere a tutti gli ambiti della sfera umana, dal politico al medico-sanitario all economico ecc, e dunque si parla di una uguaglianza postulata dalla società moderna. In realtà persone che vivono determinate problematiche, come la celiachia, hanno nel concreto delle limitazioni nella 8

9 possibilità di accesso a tutti gli ambiti e settori (un esempio tipico è quello dei ristoranti dove poter mangiare). Vi sono dunque realtà come la A.I.C. che, partendo dall importanza della salute in quanto espressione di sé e del proprio equilibrio psicofisico, ci permettono di mostrare la nostra specificità. Il problema è la distanza che sembra esserci tra il piano emergente del sociale e quello dell esperienza umana: come se la società stessa non fosse in grado di rispondere alle esigenze di tutti gli individui. Ecco perché il punto da cui partire, e dunque la prospettiva che porto avanti, è quella dell individuo inteso in tutta la sua persona, con tutta la sua storia: il concetto importante è quello di unità mente-corpo. Mentre la società formalmente tiene conto di tutti, sostanzialmente tende a rimuovere le differenze. Nel caso particolare della diversità del celiaco, vediamo come il sistema immunitario del celiaco metta in atto la propria difesa, elimini cioè il glutine, scelga fra altri tipi di cereali e si garantisca così la salute: perché dunque continuare a provare un senso di inadeguatezza? perché vivere o vedere la diversità in termini negativi? Se consideriamo al centro l unità mente-corpo, dobbiamo smascherare il tentativo del sociale di far interpretare il parametro dell uniformità come normalità. Il problema è molto delicato da trattare, anche perché ci rendiamo conto dell alto valore simbolico che il cibo ha ed ha sempre avuto: emblema della cultura di un determinato popolo, strumentale nel rafforzare il sentimento di appartenenza. Il suo valore sociale e comunicativo è legato all idea di condivisione dei pasti ed è implicito nel concetto stesso di convivio, dal latino vivere con : il mangiare insieme trascende perciò il gesto nutrizionale di per sé e diventa un fatto culturale. Ecco perché la tendenza ad uniformare piuttosto che a valorizzare le differenze, le peculiarità del singolo, impedisce che il momento conviviale sia motivo di confronto e integrazione e fa sì che la patologia sia piuttosto intesa come un discostarsi pericolosamente dalla norma. Un esempio: il rifiuto degli altri di assaggiare cibi senza glutine. Un riferimento va fatto, a conclusione del discorso, alla recente notizia (pubblicata dall A.N.S.A. il 25 Marzo scorso) sulla messa a punto, che non è un utopia e tuttavia è ancora da sperimentare, di una pillola per i celiaci che possa diventare un alternativa alla dieta senza glutine. Il rischio dell accettare una pillola come soluzione è pur sempre quello del voler vedere ancora una volta mascherata o nascosta la propria identità 9

10 adattandoci alla spinta uniformante della società. E importante invece che le istituzioni, le associazioni e le ditte produttrici di alimenti senza glutine, continuino a migliorare ed offrire i loro servizi ai celiaci: affinché, di fronte all introduzione della pillola da una parte, dall altra rimanga la possibilità di scegliere la strada della dieta senza glutine. Il che significa, a mio parere, scegliere la strada dell accettazione di se stessi, della propria identità e specificità. 10

11 3. ACCETTAZIONE DELLA DIAGNOSI E STRATEGIE PER MIGLIORARE LA PROPRIA QUALITA DI VITA Dott.ssa Franca Martinelli - Psicologa Unità operativa di psicologia clinica, Dipartimento di salute mentale, coordinamento A.S.L.- ospedale La celiachia è una malattia complicata poichè tocca tre fasce d età che dal punto di vista psicologico hanno tre funzionamenti mentali completamente diversi. La malattia comporta sia alterazioni di tipo biologico sia reazioni di tipo psicologico: modifica -questo vale per l adulto- il modo di guardare la realtà, di stare nel mondo e di pensare a se stessi. L adulto ha una sua struttura mentale e suoi punti di forza, ha un modo di guardare la sua realtà poiché in parte l ha costruita; l adolescente non ha modo perché ancora la deve costruire. Parleremo dopo del bambino, che è il caso più difficile. Quello che il cambiamento provoca nell adulto, ovvero il caos emotivo che manda in crisi la sua stabilità, è nell adolescente, che dal punto di vista emozionale è ancora precario, tanto più disastroso, e va a gravare sulla sua situazione fisiologica. L impatto con la diagnosi scatena reazioni psicologiche quali emozioni, sensazioni, fantasie, nonché un bisogno di sapere e di capire, poiché rimette in discussione -qui mi ricollego al discorso fatto dalla collega prima di me- l identità personale che è: quello che io penso di me e quello che gli altri pensano di me. Si tratta di difendere, in una società che vorrebbe tutti uguali e tutti perfettamente sani, la propria individualità e progettualità di vita. Per contenere un problema, in altre parole, siamo portati a dover cambiare determinati comportamenti e quello che non sappiamo è quanto questo inciderà rispetto ai nostri progetti di vita. L ammalarsi può trasformarsi in una situazione di deprivazione, dolore e frustrazione. Cosa ci viene tolto? La possibilità, innanzitutto, di continuare a fare quello che stiamo facendo e che abbiamo cominciato a costruire. Poi, il senso di benessere e la sensazione di sentirci come gli altri. Questi ultimi due sono elementi fondamentali per gli adulti, ma estremamente indispensabili per gli adolescenti, per i quali il fatto di acquisire sicurezza 11

12 in sé, passa attraverso il sentirsi uguali ai coetanei: così, mentre l adulto può gestire e sopportare meglio la sua diversità, per l adolescente l adeguamento ai pari è uno strumento indispensabile per recuperare la propria sicurezza e procedere nel riconoscimento di se stessi. Il dolore è dolore fisico ed anche psicologico. Frustrazione è avere dei desideri e non riuscire a realizzarli: dunque ha a che fare con le abitudini, con il poter scegliere o meno quello che si mangia. Vorrei far presente che si tratta di situazioni non psicopatologiche bensì situazioni normali, cioè vissute normalmente, reazioni fisiologiche dovute a eventi della vita, reazioni che il nostro sistema psichico utilizza per rispondere a qualcosa da cui è stato toccato. Se poi la malattia assume un carattere cronico gli aspetti emozionali possono influire sul suo andamento a seconda della particolare modalità di rapportarsi ad essa. Già l impatto con una diagnosi significa riconoscere ho qualcosa che non va, sono malato, non sono come gli altri, il che comporta pensare di andare dal medico per avere la cura e dunque risolverla, che è anche un modo passivo. L impatto con la malattia cronica vuol dire immaginarci che per tutta la vita noi dovremo avere dei comportamenti o fare delle terapie, il che implica come fatto fondamentale la nostra partecipazione nella cura, l essere attivi nella cura: la riuscita dipende da quanto io sono amico/nemico della malattia, quanto posso integrarla nella mia modalità di vita, quanto mi permette di continuare ad essere quello che sono e continuare a fare quello che ho sempre fatto. Il vissuto può dipendere dall entità dell evento morboso, dall equilibrio psicologico che ciascun soggetto l adolescente è quello più a rischio-aveva già raggiunto in quel momento, dai fattori ambientali, ossia quanto la società in cui viviamo ci permette di stare in questa condizione senza farci sentire diversi, dalla famiglia, dalle persone vicine. E voglio sottolineare l importanza di quest ultimo aspetto perché nella maggior parte dei casi noi tendiamo a nascondere la malattia, non ne parliamo. Tutte le empasse che ho visto nel mio lavoro clinico, ossia adulti arrivati ad avere complicanze di patologie croniche, derivano dal non aver mai condiviso con gli altri la malattia. Comunicare un disagio serve affinchè io mi senta tranquillo: non deve essere l opposto, ovvero non ci si deve sentire tranquilli perché non si è comunicato, perché gli altri non sanno del nostro 12

13 disagio. La cosa fondamentale è partire dalla diagnosi. La prima volta in cui veniamo messi in relazione con la malattia, già cominciamo a strutturare un rapporto mentale ed emotivo con essa. E per questo non ci sono ricette, perché dipende da tanti fattori, come la struttura di personalità- qui cambia molto a seconda che si tratti di bambino, adolescente o adulto- ed il suo sistema difensivo, ovvero i meccanismi messi in atto per ritrovare un equilibrio mentale, che significa non farci distruggere dalle emozioni. Alcuni di questi meccanismi difensivi che noi mettiamo in atto, e che è importante riconoscere perché sono anche l espressione delle nostre paure, sono: la regressione, che di per sé non è necessariamente patologica purchè non mantenuta nel tempo: significa strutturare dei comportamenti che ci riportano a quelli che avevamo quando eravamo bambini, ovvero ad una posizione infantile di passività e di negligenza; la formazione reattiva, che è l inverso, e porta alla sfida, alla trasgressione, alla guerra alla malattia (molto utilizzato dagli adolescenti), come a dire faccio questo per vedere se io sono più forte della malattia ; la negazione, che se rimane e non ci si lavora sopra è il meccanismo più pericoloso (anche per gli adulti): significa fare come se nulla fosse, non avere nessun tipo di comportamento che abbia a che vedere con la malattia. Diversi sono perciò i significati che ciascuno può attribuire alla malattia: nemico, sfida, punizione (questo molto frequente nella nostra cultura in particolare), debolezza che intacca il nostro senso di integrità; per alcuni addirittura- ed è pericolosissimo- sollievo, in quanto permette di metterci in una posizione regressiva, oppure strategia per strutturare dei propri cambiamenti, o infine perdita. Mentre il test medico pone tutti sullo stesso piano poiché l esito permette di sistemare ciascuno in una categoria, quando noi parliamo di emotività abbiamo invece a che fare con qualcosa che è diverso per ciascuno di noi, così come è diversa la modalità di fare i conti con la propria vulnerabilità emotiva. Una prima differenza è legata al sesso: mentre la donna di fronte alla propria vulnerabilità emotiva ha bisogno di capire perché sta male, ha bisogno di fermarsi e parlare (quindi in un certo senso è agevolata perché può portare il suo dolore emotivo), l uomo normalmente fa i conti con la propria vulnerabilità emotiva utilizzando l azione 13

14 (per esempio lo sport). Questo è il patrimonio emotivo con cui possiamo fare i conti appena parte la diagnosi e durante un percorso diagnostico che non è necessariamente breve: spesso si arriva infatti già vulnerabili alla diagnosi e si provano emozioni come disperazione e passività, agitazione, scoraggiamento, impotenza, debolezza, apatia, senso di inutilità, negazione, aggressività, rifiuto degli altri, perdita di progettualità. Queste sono reazioni che, laddove non elaborate ovvero senza dar loro un nome e trovare una strada, possono portare all isolamento, al sentirci più malati di quello che non siamo. Oggi la salute non è assenza di sintomi ma è buona qualità di vita. Indagare il mondo emotivo è ciò che permette all adolescente e all adulto di capire cosa ci impedisce di fare quello che ci fa stare bene, che vuol dire: ci è stato detto quello che dobbiamo fare ma non lo facciamo. Le strategie cliniche che vengono utilizzate nella rieducazione -per le malattie croniche non si parla infatti di terapie psicologiche- sono proprio quelle che utilizzano il lavoro cognitivo: darsi dei piccoli obiettivi e poi cercare di analizzare il perché non si sono raggiunti, il che sta nel mondo emotivo. E importante l ambiente culturale, nel senso che i medici possono rinforzare il comportamento e l andamento della malattia e la modalità con cui i sintomi vengono riferiti. I sintomi fisici o il parlare delle difficoltà sono un filtro preferenziale nella relazione con il medico e possono determinare una tendenza alla negazione del disagio psichico, o meglio emotivo: il che è un canale determinante nel trovare una modalità di adattamento alla malattia, ed è un canale nel sostenere l individuo in tutto il percorso di cura e nel cambiamento. Per l essere umano, per natura - inoltre noi viviamo in una cultura nazionale o locale per cui non siamo così aperti al cambiamento come società, ma questo viene dopo- il cambiamento è la cosa più difficile: meglio una situazione anche non sana, che però conosciamo, piuttosto che una situazione che ci dicono che può essere migliore ma che noi non conosciamo. Perché ciò che conosciamo ci dà delle sicurezze, anche se non è buono, il cattivo pensiamo di poterlo gestire: dunque il cambiamento mette in atto questo, ovvero il dover accettare qualcosa che non si conosce, partire all oscuro. E il mondo emotivo della persona che ci permette di capire cosa è entrato in crisi, con quale modalità la persona risponde o si difende dalla ferita procurata dalla malattia. Per fare questo non è sempre indispensabile la figura dello psicologo: il mondo emotivo delle 14

15 persone passa nella famiglia, passa nei rapporti sociali, passa nei rapporti con i medici che si occupano di noi. Tutte queste sono occasioni in cui possiamo esprimere qualcosa: ogni relazione di fiducia che noi abbiamo può essere un occasione per parlare del proprio mondo emotivo. Riconoscere il proprio mondo emotivo e comunicarlo significa poter metter in atto quelle strategie che possono garantire una buona qualità di vita nonostante la malattia, per contrastare quei meccanismi difensivi che ostacolano il cambiamento. Che cosa vuol dire buona qualità di vita? Avere la possibilità di viversi prima come persona (individuo e persona appartenente ad un sesso), poi come essere sociale, e dunque avere la possibilità di fare progetti di vita: attingere da tutti questi aspetti della propria vita significa vivere bene e in equilibrio. Il che si può fare anche avendo una patologia. Per quanto riguarda l evoluzione delle reazioni e l insorgenza della malattia, vi sono tre fasi che variano per durata e intensità a seconda delle persone. In queste tre fasi guardiamo anche alle differenze fra bambino, adolescente e adulto: periodo dello shock iniziale. Anche quando parliamo dei bambini, tutto ciò che si è detto va riferito sempre all adulto, ovvero alla famiglia che lo circonda: lo spazio emotivo su cui lavorare è quello della famiglia, che deve trovare le regole e la sicurezza da dare quotidianamente al bambino e che il bambino, che in quella fase non ragiona in maniera astratta ma più imitativa, apprenderà molto facilmente. L adolescente, che è già fragile, avrà un vissuto molto diverso perché non riuscirà ad immaginarsi: e soprattutto, non avendo alle spalle- come l adulto- tutta una serie di shock e la capacità di vedere che si può stare male ma anche riprendersi, mancherà di esperienza e di elementi contenitivi (nell adolescente le emozioni, quando arrivano, dilagano) e avrà una grande difficoltà a mettersi in relazione, quindi a parlare del proprio mondo emotivo cominciare a mettere ordine nello shock iniziale diventa difficile soprattutto con loro, perché scappano; lotta contro la malattia; riorganizzazione ed accettazione della malattia, che passa attraverso dei grossi e difficili cambiamenti. Vorrei a questo punto sottolineare come nel rapporto con il cibo non ci sia solo l aspetto 15

16 della convivialità, la possibilità di stare con gli altri e uscire, ma anche la nostra matrice del rapporto con dolore/piacere: al cibo, soprattutto per le donne, è legata la possibilità di sedare lo stare male e dunque la libertà di poter avere in qualsiasi momento una medicina per un dolore emotivo. Mi fermerei qui perché per quanto riguarda l adolescente si aprirebbe un capitolo a parte. Mi preme però in proposito ricordare come per prima cosa sia necessario strutturare una buona relazione: nel senso che la relazione degli adolescenti con le malattie del corpo e con i medici è diversa da quella degli adulti;in secondo luogo, è necessario sostenere la famiglia anche rispetto all adolescente, e non necessariamente trattarlo - per noi oggi l adolescenza va dai ai anni - come un adulto: non bisogna mai dimenticarsi della presenza della famiglia nel rapporto con la malattia, ma a maggior ragione se il paziente è un adolescente minorenne, perché - questa la funzione fondamentale- non spaventare e non alimentare le emozioni che già ci sono, bensì contenerle, è la prima modalità. Marcella Mastropietro Ringrazio moltissimo la Dott.ssa Martinellli che credo abbia fatto - oggi - la relazione più completa ed esaustiva sentita negli ultimi anni su questi argomenti e su queste problematiche psicologiche. Potrebbe parlare probabilmente per giornate intere e noi potremmo ritrovare in ognuna delle sue parole rispecchiata, almeno in parte, un esperienza nostra, di un nostro familiare o di un nostro amico. Questo credo infatti sia il tema forse meno soddisfatto dall associazione che naturalmente non può risolvere tutti questi problemi. Un idea sarebbe una formazione più specifica per noi volontari, per esempio, per poter rispondere meglio alle esigenze di cui l associazione, mentre promuove l azione dei medici e sostiene le nostre iniziative per quanto riguarda la ristorazione ed i progetti di gestione quotidiana, non si può tuttavia occupare: degli aspetti, appunto, che riguardano l accettazione della malattia, e che sono, così come la dottoressa con molta completezza li ha trattati, i più difficoltosi. Una teoria che vorrei sostenere, e che sostengo da quando sono stata diagnosticata e sono presente come volontaria all interno dell associazione, è l importanza - è il primo argomento che la 16

17 dottoressa ha trattato - del riuscire a conoscere: quanto più sappiamo della nostra patologia, di come va affrontata, tanto meglio la possiamo vivere e far vivere agli altri. Dott.ssa Martinelli Vorrei rilevare due punti importanti di cui non ho parlato ma che potrebbero rientrare come eventuali domande, ovvero: 1. quali sono gli strumenti per affrontare le problematiche psicologiche; 2. il rapporto fra la malattia ed alcuni sintomi che possono essere vissuti come psicopatologia. 17

18 4. CRITERI MINIMI PER LA DIAGNOSI DI CELIACHIA:STOP ALLE DIAGNOSI FASULLE. LUCI ED OMBRE DELLA DIETA AGLUTINATA. NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE Dott. Umberto Volta - Dipartimento di Medicina, Universittà di Bologna - Policlinico S.Orsola Malpighi, consulente scientifico A.I.C. Dividerò la relazione in tre punti che sono: 1. criteri diagnostici; 2. luci e ombre della dieta aglutinata; 3. le nuove prospettive terapeutiche. 1. Che la celiachia sia un fenomeno ormai emergente in Italia e nel mondo è stato detto da più parti: sappiamo che dai 18mila casi di malattia celiaca del 1996 siamo passati ai 55mila del 2004, e le previsioni ci portano ad avere almeno 90mila diagnosi verso il Nel nostro centro, il numero di diagnosi è aumentato in maniera impressionante negli ultimi anni. Proprio in questi giorni abbiamo consegnato alla nostra direzione sanitaria un resoconto del numero di diagnosi fatte da noi nel 2005 con biopsia intestinale e con atrofia dei villi e positivià anticorpale - diagnosi classiche, come vedremo- ed il risultato è che siamo a 90 diagnosi nuove - contro le 10 diagnosi nuove nel Un trend significativo, eppure vi sono ancora poche diagnosi, come dicevamo, come pure sussistono ritardi diagnostici e, soprattutto, si vedono tutti i giorni macroscopici errori diagnostici. Il punto è che abbiamo bisogno di una diagnosi sicura perchè si tratta di una malattia cronica che impone una dieta per tutta la vita. E dunque importante fissare i criteri diagnostici -parliamo di criteri, non di clinica, non di sintomi- che sono: la biopsia duodenale nel corso di una gastroscopia, che resta indispensabile. Vorrei sottolinearlo affinchè sia il più chiaro possibile: non esiste diagnosi di celiachia se non è stata fatta una biopsia duodenale che dimostri una lesione compatibile con malattia celiaca; i due anticorpi, l antiendomisio e l antitransgutaminasi, che sono importantissimi ma non sono da soli diagnostici per la malattia celiaca. E le categorie entro cui far rientrare i pazienti sono quattro: 18

19 criteri diagnostici classici, dove rientra il 90% dei pazienti; criteri diagnostici di celiachia potenziale, dove abbiamo un 5% dei pazienti che noi diagnostichiamo; celiachia con deficit di IgA - al momento attuale i pazienti che vi rientrano sono un 3% ; atrofie isolate della mucosa intestinale, celiachie a tutti gli effetti in base ad un iter diagnostico completo, che rappresentano il 2% delle diagnosi. I criteri diagnostici classici sono, come ho detto prima, l atrofia di mucosa e la presenza di anticorpi di classe IgA. Ma vorrei dire subito che dobbiamo dimenticarci degli anticorpi antigliadina: questi sono utili solo nel bambino piccolo al di sotto dei due anni di età. La celiachia potenziale è anch essa una realtà importante, c è un aumento dei linfociti intraepiteliali associato ad anticorpi o antiendomisio o antiglutaminasi di classe IgA; la lesione istologica (aumento linfociti intraepiteliali) da sola non vuol dire celiachia ma associata ad anticorpi dà una diagnosi di celiachia potenziale. Il deficit di IgA è importante anch esso, è importante sapere che le IgA totali sieriche devono essere sotto un certo livello, ovvero inferiori a 5 mg/dl per un deficit completo di IgA; e qui sono importanti questi anticorpi di classe IgG e la presenza di mucosa piatta. Nei casi in cui è presente atrofia dei villi intestinali con negatività anticorpale (unico criterio diagnostico nel 2% dei casi) è obbligatoria una seconda biopsia intestinale dopo almeno 12 mesi di dieta senza glutine che documenti la ricrescita dei villi per confermare la diagnosi di malattia celiaca. E dunque necessario essere in una di queste quattro categorie come criteri diagnostici altrimenti la diagnosi va rivista e rivalutata da parte di uno specialista. Alcuni esempi di criteri insufficientì: se abbiamo per es. un aumento isolato dei linfociti intraepitelialiquella che chiamiamo in termini tecnici Marsh 1 /Marsh 2 con iperplasia anche delle cripte- non abbiamo una lesione specifica di celiachia, perché la troviamo anche nell allergia alimentare, nel colon irritabile, nelle infezioni intestinali, nelle forme di colite ulcerosa, in molte patologie autoimmuni. Altra possibilità: il 2% dei pazienti osservati quest anno avevano un positività per anticorpi antiendomisio e antitransglutaminasi con una mucosa completamente normale, un grado 0 -inferiore a 25 linfociti ogni 100 cellule- e dunque cosa fare con questi pazienti? Si seguono nel tempo e si sta a vedere cosa succede perché non abbiamo nessun dato che orienti verso una diagnosi 19

20 di celiachia, spesso sono asintomatici. Altro dato importante è quello delle diagnosi fasulle, basate su anticorpi antitransglutaminasi di classe IgG con mucosa normale o sulla presenza del solo HLA-DQ2 o -DQ8; la genetica è importante per escludere la diagnosi di celiachia quando non è presente né il -DQ2 o -DQ8 ma non è certo un test diagnostico, in quanto il 30% della popolazione generale sana ha lo stesso pattern gentico dei celiaci. S può avere anche una presunta intolleranza al glutine sul piano clinico, che è in realtà è spesso un allergia al grano, per la quale non disponiamo purtroppo di test sensibili e specifici. Vorrei soffermarmi sul trattamento della celiachia potenziale. Quella che riporto è un po una linea di pensiero che si sta affermando nel mondo scientifico, cioè quella di trattare i pazienti con celiacia potenziale sintomatica, cioè che hanno anemia, aborti ricorrenti, epilessia, atassia cerebellare, ipertransaminasemia, malassorbimento o altri sintomi importanti di malattia, con una dieta aglutinata immediatamente, poiché non ha senso aspettare. E altrettanto chiaro che se ci troviamo di fronte ad una forma potenziale del tutto asintomatica, che in genere ritroviamo in parenti di soggetti celiaci, l atteggiamento corretto è senz altro quello di lasciarli a dieta libera e di seguirli nel tempo con un attento follow-up. 2. La dieta è senz altro un provvedimento terapeutico miracoloso per il celiaco, anche se talvolta moto difficile da seguire in modo stretto; la dieta aglutinata porta ad una risoluzione dei sintomi intestinali ed extraintestinali, dà una remissione istologica e sierologica, previene le patologie autoimmuni -per alcune vanno fatte eccezioni, come ad esempio per la tiroidite autoimmune- ma soprattutto ha un effetto protettivo sulle complicanze neoplastiche, che, seppur raramente, possono colpire il celiaco, soprattutto nei casi che hanno avuto una diagnosi tardiva in età avanzata; la dieta aglutinata quando instaurata in età precoce, previene lo sviluppo di neoplasie nel celiaco. La dieta aglutinata è priva di alcuni costituenti importanti. Al momento della diagnosi il celiaco presenta spesso già una carenza di ferro, di folati, di complesso B, di fibre; nella fase iniziale della dieta questa carenza può anche aumentare perché gli alimenti dietoterapeutici, soprattutto se consumati in eccesso, portano ad un calo ulteriore di questi costituenti. La situazione poi in qualche modo si stabilizza nel lungo termine ma 20

21 spesso c è bisogno di integrare la dieta con fibre, con acido folico e con il complesso B. Un altro problema della dieta aglutinata è quello delle complicanze metaboliche: è molto facile osservare nei celiaci a dieta lo sviluppo di obesità, più facile nell uomo che nella donna, e in genere un 10/15 % dei pazienti a due anni dall inizio della dieta sviluppa un obesità importante -aumenti di oltre il 10% del peso corporeo, aumenti anche fino a kg-, causata dalla normalizzazione dell assorbimento intestinale e dall elevato apporto di lipidi e carboidrati con la dieta, poiché molti cibi dietoterapeutici sono sbilanciati in questo senso. Questo si osserva anche nella celiachia infantile. E importante far seguire al paziente la dieta strettamente, istruirlo molto attentamente, avere i consigli nutrizionali di una dietista con esperienza nella celiachia. In tutta Europa sono presenti associazioni nazionali per la celiachia ed essere iscritti a queste associazioni faciliti molto il compito del paziente nel seguire la dieta in modo corretto. La dieta è difficile da seguire per tanti motivi, vuoi per la scarsa palatabilità degli alimenti, vuoi per le carenze sul contenuto dei prodotti per un etichettatura approssimativa - abbiamo una legge in merito che non è ancora operativa e non consente ai pazienti di orientarsi nel consumo degli alimenti- ed infine c è certo il grosso problema dell interferenza della dieta con la socializzazione e dell introduzione involontaria di glutine per cui è bene stare molto attenti. 3. In questi giorni molti giornali e la stessa televisione hanno riacceso l entusiasmo dei celiaci sulla possibilità di una terapia alternativa alla dieta aglutinata, rappresentata da una pillola in grado di contrastare gli effetti del glutine nell organismo. La pillola in questione è la pillola basata sull impiego di inibitori sintetici della zonulina, una proteina che è presente in grande quantità a livello della mucosa intestinale nelle celiachia non trattata e sembra essere responsabile di un significativo aumento della permeabilità intestinale alla gliadina. Studi sperimentali compiuti su ratti diabetici (non esiste al momento un modello sperimentale di animale celiaco) hanno consentito di dimostrare che l impiego di inibitori sintetici della zonulina sarebbe in grado di determinare un blocco dell assorbimento del glutine, che in tal modo non riuscirebbe a raggiungere i linfociti della sottomucosa intestinale. In tal modo non verrebbe innescata quella serie di reazioni immunologiche che sappiamo intervenire nella malattia celiaca. In base alla molta 21

22 ottimistica ipotesi riportata dalla stampa in un prossimo futuro (quantizzato sui giornali più prudenti in 4-5 anni) il celiaco potrebbe mangiare pane e pasta normali, neutralizzando gli effeti dannosi del glutine grazie all assunzione di una pillola a base di inibitori di zonulina. Bisogna subito sottolineare, per non alimentare inutili illusioni, che gli studi sull uomo sono partiti solo nel mese di gennaio di questo anno su 21 volontari e non vi è ancora alcun dato che dimostri l efficacia, anche in minima parte, di questa ipotesi terapeutica. La sperimentazione, approvata dalla FDA negli Stati Uniti, si protrarrà per almeno 7 anni e prima di allora sarà praticamente impossibilie trarre qualsiasi conclusione. Raffreddare gli entusiasmi è doveroso per chi si occupa seriamente di celiachia, ma è atrettanto doveroso sottolineare come la ricerca scientifica si stia impegnado da un paio di anni come non mai in passato per trovare un alternativa terapeutica alla dieta senza glutine. Esempi di questo impegno sono gli studi per mettere a punto un vaccino che attraverso l impiego di piccole dosi di peptidi tossici sia in grado di desensibilizzare il celiaco verso il glutine o anche l impiego di enzimi batterici (endopeptidasi) che somministati per via orale riescano a digerire il glutine prima del suo arrivo a livello della mucosa intestinale o ancora la messa a punto di inibitori sintetici della transglutaminasi in grado di bloccare la deamidazione dei peptidi tossici di gliadina da parte della transglutaminasi stessa. Come vedete, la ricerca scientifica è etremamente vivace in questo momento ed anche se per ora la dieta rimane l unica certezza del celiaco per avere un esistenza sicura al riparo da complicanze e patologie autoimmuni associate, si può sperare che in un prossimo futuro il paziente celiaco possa abbondonare quel senso di depressione e talvolta di rabbia che derivano dalla obbligata rinuncia alla dieta meditteranea per riassaporare il gusto ormai dimenticato di un buon piattio di spaghetti o di tagliatelle: speriamo che questo sogno si avveri e che non rimanga solo un utopia. 22

23 5. DIABETE E CELIACHIA Dott. Valerio Miselli - Primario di Diabetologia, Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, A.S.L. di Reggio Emilia, Presidio Ospedaliero di Scandiano. Il diabete è una malattia di grande rilievo sociale con un grave impatto sulla salute pubblica, per l entità della sua diffusione e la gravità delle sue complicanze. In tutto il mondo, si stima che le persone affette da diabete superino i 194 milioni, ma secondo le previsioni dell OMS nel 2005 i malati di diabete saliranno a 333 milioni. La crescente diffusione del diabeti di tipo 2 è evidentemente collegata a un generale aumento dell obesità nella popolazione. Nei paesi industrializzati occidentali, almeno il 90% dei casi di diabete di tipo 2 sembra dovuto al soprappeso. La prevalenza del diabete di tipo 1 in Italia risulta invece essere tra lo 0.4 e l 1 per mille. L incidenza è compresa tra i 6 e i 10 casi per per anno nella fascia di età da 0 a 14 anni, mentre è stimata in 6.72 casi per per anno nella fascia di età da 15 a 29 anni. Fa assoluta eccezione la Sardegna che ha un incidenza di diabete giovanile tra le più altre del mondo, pari a 34 casi per per anno nella fascia di età di 0-14 anni. UNA STORIA VERA Una giovane donna di 44 anni presenta nell anamnesi familiare una positività per il diabete tipo 2 nella madre e in una sorella della madre. Lavora come impiegata, non pratica attività fisica regolare, non ha mai fumato. All età di 26 anni fu posta diagnosi di diabete gestazionale in occasione della prima gravidanza. All età di 30 anni presentò sintomi iniziali di scompenso (polidipsia e poliuria) con glicemia a digiuno uguale a 242 mg; fu trattata con ipoglicemizzanti orali (terapia combinata 3 cps/die). Durante il trattamento con compresse la paziente presentò test di gravidanza positivo: furono immediatamente sospesi i farmaci orali e iniziata terapia 23

24 insulinica con 3 dosi giornaliere di insulina rapida. Fu rapidamente istruita all autocontrollo e dalla 10 settimana la gravidanza fu presa in carico da un Unità operativa di Diabetologia; a quel punto si hanno notizie dell HbA1c che era 5.6%. Alla 39 settimana la paziente ha partorito con parto fisiologico un maschio di kg che ha presentato una ipoglicemia non grave subito dopo la nascita; l HbA1c era di 5.0%. Subito dopo il parto fu eseguito il test al glucagone con esiti di scarsa secrezione insulinica (Cpeptide da 1.0 a 1.3 ng/ml); durante l allattamento, per un cero periodo, fu sospesa ogni terapia farmacologica e per sei mesi il diabete è stato controllato con programma alimentare e attività fisica quotidiana. Inizia terapia insulinica dopo quasi due anni lamenta episodi caratterizzati da vertigine, nausea soprattutto postprandiale: in due occasioni ha avuto svenimenti come da crisi ipotensive con glicemie perfettamente normali o addirittura elevate. Inizia una storia di depressione che porta anche a un alimentazione disordinata spesso secondaria a episodi di panico. Viene diagnosticata dopo un anno una vitiligine dallo specialista dermatologo; fu eseguita anche gastroscopia per il persistere di difficoltà digestive, ma il quadro endoscopico era normale e venne prescritta cisapride per il sospetto di un iniziale gastroparesi. Per circa un anno il medico curante tratta la sintomatologia digestiva con farmaci inibitori di pompa, ansiolitici e modulatori della motilità. A questo punto viene fatta diagnosi di psoriasi e vengono ridotte le dosi di insulina per persistente sintomi ipoglicemici. Dopo un episodio caratterizzato da perdita di conoscenza mentre la paziente era al volante della propria automobile, fortunatamente senza conseguenze gravi viene, formulato il sospetto di ipoglicemia asintomatica e ricoverata in reparto specialistico: il monitoraggio glicemico permetti di impostare terapia con tre iniezioni giornaliere di analogo rapido più insulina lenta bed-time; vengono eseguite ricerche per Helicobacter pilori ; uno screening delle complicanze esclude la presenza di neuropatia autonomia; viene consigliato un programma alimentare indicato per la prevenzione delle ipoglicemie; l HbA1c è l 8.1%. Dopo circa 6 mesi la paziente viene ricoverata in ambito cardiologico con diagnosi di algie toraciche in diabetica, viene eseguita una prova da sforzo al cicloergometro che risulta negativa per insufficienza coronaria e il referto ECGrafico viene considerato indicativo per alterazione della ripolarizzazione di tipo aspecifico. Alla 24

25 dimissione viene consigliata terapia con cisapride per disturbi digestivi riferibile a sospetta gastroparesi. Per persistente perdita di capelli si rivolge a un dermatologo che pone diagnosi di alopecia e inizia terapia steroidea a partire dalla dosi di 50 mg/die di prednisone, viene inviata di nuovo al gastroenterologo per la comparsa di positività per gli anticorpi anticellule parietali gastriche, senza alterazioni della crasi ematica, dell esame emocromo-citometrico, tranne una lieve anemia ipocromica, e della funzionalità renale ed epatica; viene eseguita gastroscopia e posta diagnosi di gastrite cronica, modificata la terapia sintomatica introducendo levosulpiride. Il peso corporeo nella paziente negli ultimi tre anni è rimasto costante e l HbA1c ha oscillato tra 7.9 e 8.9% nonostante la transitoria terapia steroidea. Soltanto a questo punto, dopo circa quattro anni di sintomi digestivi variante diagnosticati, viene posto il sospetto di celiachia e vengono eseguiti gli anticorpi IgG e IgA antigliadina (AGA) e gli anticorpi IgA antiendomisio (EMA). Data la positività degli EMA viene eseguita altra gastroscopia con biopsia digiunale la cui diagnosi è mucosa digiunale con villi in parte conservati ad aspetto tozzo; si osserva infiltrato flogistico linfoplasmacellulare. Reperto compatibile con celiachia. La paziente inizia una dieta priva di glutine e viene inserita in un percorso educativo differenziato per diabete tipo 1 con celiachia. DIAGNOSI DI CELIACHIA Come nel bambino, anche nell adulto diarrea e dimagramento sono stati considerati per molto tempo i principali sintomi e, in assenza di questi, non era giustificata l effettuazione della biopsia intestinale; attualmente possiamo dire che i sintomi variano notevolmente da paziente a paziente e raramente si ha la contemporaneità di tutti i sintomi.. La malattia predilige il sesso femminile con un rapporto F/M dell ordine di 2:1 e con picchi di insorgenza fra la terza e quarta decade di vita. Dal punto di vista nosologico possiamo distinguere varie forme di malattia in base al quadro clinico ed all estensione e alla severità delle lesioni intestinali. Come si può evincere anche dalla storia clinica della nostra paziente i sintomi dell adulto possono essere così vari e molteplici da poter spingere i pazienti verso specialisti come dermatologi, ematologi ortopedici, endocrinologi, 25

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