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1 RIVISTA QUADRIMESTRALE - ANNO XIV NUOVA SERIE - N SETTEMBRE-DICEMBRE 2000

2 Pubblicazione quadrimestrale promossa dal Dipartimento di filosofia dell Università degli Studi di Lecce, con la collaborazione del Centro Italiano di Ricerche fenomenologiche con sede in Roma. Questa rivista si pubblica anche con i contributi del Ministero dell Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, attraverso il Dipartimento di Filosofia dell Università degli Studi di Lecce, e dello stesso Dipartimento. 2 Direttore responsabile: Giovanni Invitto Comitato scientifico: Angela Ales Bello (Roma), Antonio Delogu (Sassari), Giovanni Invitto (Lecce), Aniello Montano (Salerno), Antonio Ponsetto (München), Mario Signore (Lecce). Redazione: Doris Campa, Daniela De Leo, Lucia De Pascalis Comitato Scientifico e Segreteria hanno sede presso il Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi - Via M. Stampacchia Lecce - tel. (0832) /8; fax (0832) Amministrazione, abbonamenti e pubblicità: Piero Manni s.r.l., Via Nino Bixio, 11/b Lecce - Tel. e Fax. 0832/ Iscritto al n. 389/1986 del Registro della Stampa, Tribunale di Lecce. Abbonamento annuo: Italia lire , Estero lire , c/c postale intestato a Piero Manni s.r.l., Lecce. L abbonamento, in qualunque mese effettuato, decorre da gennaio e dà diritto a ricevere i numeri arretrati dell annata. Un fascicolo lire , degli anni precedenti il doppio.

3 SOMMARIO 5 Alessandro Longo I SENTIERI DELLA CONTINGENZA SARTRE E LA FINE DELLE METAFISICHE 16 Aurelio Rizzacasa IL PROBLEMA DELLA CORPOREITÀ NEI MANIFESTI METODOLOGICI DI G. MARCEL 25 Stefano Berni ALBERT CAMUS. DAL RELATIVISMO ALLA RELATIVITÀ 31 Licia Semeraro LA FILOSOFIA DEI NON FILOSOFI. IL DIVERSO FILOSOFARE DI ALDO CAPITINI 40 Federico Leoni LA CITTÀ DEL FOLLE LIMITE, DELIRIO, SCRITTURA IN UN SAGGIO DI ROLAND KUHN 55 Attilio Pisanò IL DIRITTO DEI POPOLI ALL INDIPENDENZA POLITICA 65 Alessandra Lezzi IL PROGETTO DI LEGGE SULLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE NEL DIBATTITO ITALIANO 76 Recensioni 126 Pubblicazioni ricevute

4 NOTE PER GLI AUTORI La nuova serie di Segni e comprensione, con un nuovo editore, comporta anche alcune varianti tecniche. I contributi vanno inviati alla Direzione di Segni e comprensione c/o Dipartimento di Filosofia Via V. M. Stampacchia Lecce. I testi debbono essere inviati in duplice copia, su carta formato A4, dattiloscritta su una sola facciata, a doppia interlinea, senza correzioni a mano. Ogni cartella non dovrà superare le duemila battute. Il testo deve essere inviato assolutamente anche su floppy disk, usando un qualsiasi programma che, però, dovrà essere indicato (Word, Windows, McIntosh). Il materiale ricevuto non verrà restituito. Per la sezione Saggi i testi non dovranno superare le venti cartelle comprese le note bibliografiche, per la sezione Note non dovranno superare le sette cartelle, per la sezione Recensioni e Notizie le tre cartelle. Si raccomanda che i titoli siano brevi e specifici. La redazione si riserva il diritto di apportare eventuali modifiche che si rendessero necessarie, previa comunicazione a approvazione dell Autore. Agli Autori saranno inviate tre copie del fascicolo in cui appare il loro lavoro. 4

5 I SENTIERI DELLA CONTINGENZA. SARTRE E LA FINE DELLE METAFISICHE di Alessandro Longo Il 900, nella filosofia occidentale, è caratterizzato dall abbandono diffuso delle categorie mentali fino ad allora imperanti, che imprigionavano l uomo e il mondo in un regno di essenze, principi universali, idee. Si cessa di considerare la realtà retta da leggi assolute (divine e non) che ne governino il senso: sia la metafisica sia la dialettica hegeliana credevano ad un mondo regolato, ordinato sulla base di costanti sottese alla vita e al reale; Stirner seguito da Nietzsche, nel 1800, è il primo a mettere in discussione queste certezze: l essere è infondato, non ha ricevuto una direzione da nessuno, né da dio né da una legge razionale, è puro fluire caotico in cui l uomo cerca, senza missione, senza vocazione alcuna, di costruirsi un abitazione. È la contingenza: non ci sono realtà assolute su cui fare affidamento, ma soltanto soggettive e prospettiche. L uomo è finalmente solo nell universo, come già Leopardi intuiva: la contingenza, l imprevedibilità del reale, è una delle caratteristiche peculiari del 900. L avvento del pensiero della contingenza non è soltanto una questione filosofica: è in generale la cultura dei popoli occidentali che si trasforma, accettando la nozione di caoticità e il crollo di antiche certezze. La filosofia, insieme ad altri aspetti dell umano (come l Arte e la politica), è uno dei campi della trasformazione del modo con cui l uomo si vede e si rapporta al mondo. Il caso e la contingenza assunti come elemento centrale di una filosofia, potrebbero dare adito ad un interpretazione a sfavore della libertà del soggetto, abbandonato all imprevedibile e all impossibilità di organizzare il suo universo. Uno degli aspetti fondamentali della filosofia di Sartre sin da L Essere e il Nulla è invece proprio quello di far scaturire la libertà dalla contingenza. Sartre, infatti, è uno dei filosofi che più ha esplorato i sentieri della contingenza, ricostruendo il vero spazio dell uomo sul nulla, ovvero sul senso soggettivo con cui l uomo colora l Essere. L uomo annulla l Essere poiché da una parte non può creare altra materia ed altro Essere, e poiché, dall altra, questo è infondato e contingente, non ha un senso univoco inscritto, quindi è malleabile in base ai progetti soggettivi che si intraprendono. Ecco la contingenza assunta da Sartre come premessa della libertà dal destino e dai dogmi che derivano dalla fede in esso. La posizione dell infondatezza dell Essere è assunta fortemente ne L Essere e il Nulla (1943), in chiave ontologica: la libertà teoretica dell uomo è possibile solo perché l essere non ha una direzione pre-assegnata; così, del tutto gratuitamente, e per questo liberamente, l uomo può dargli un senso completamente soggettivo, composto di progetti e azioni. Se l uomo non può più contare su nessun punto di riferimento assoluto e smette alla fine di guardarsi intorno, di costringere la novità del reale in qualcosa di artificiosamente 5SAGGI

6 6 (e illusoriamente) familiare, è libero: solo ma senza catene nel gratuito delle sue quotidiane creazioni. Il ragionamento di Sartre porta quindi alla conclusione che la realtà non è stata creata perché la abitassimo, ma dobbiamo accettare il nostro nomadismo interiore per raggiungere la vera autonomia intellettuale, togliere la maschera divina o razionale alla realtà per sondarne gli abissi, scoprire l orrore dell inumano per trovare la libertà e l autentico. Com è noto, negli anni 60 Sartre si occupa sempre più del problema della storia: nella Critique de la Raison dialectique, in modo particolare nel secondo tomo (postumo), Sartre ritorna sulla contingenza dell essere, ma ora in termini storico-dialettici; senza contraddire le precedenti formulazioni dell infondatezza, vi aggiunge la dimensione della storicità. In sintesi, Sartre analizza ora non solo le modalità con cui il soggetto costruisce la sua realtà e libertà sull infondatezza, ma quelle di tutto il divenire storico e degli apparati sociali. L essere è infondato, ma questa infondatezza non avvolge soltanto le azioni soggettive, nei loro percorsi individuali, ma l intera costruzione sociale, che organizza dialetticamente i rapporti interumani. La contingenza rimane il perno: ma solo dopo la Critique, essa alimenta anche l analisi della storicità e del sociale. La dialettica è la legge della storia: i sistemi sociali, economici, politici e le soggettività che vi sono racchiuse sono in rapporto dialettico, ovvero si influenzano a vicenda. Non solo per comprendere la Storia, ma anche i singoli uomini, bisogna fare riferimento ai rapporti dialettici: così, Flaubert è compreso da Sartre, ne L idiot de la famille (tra le ultime grandi opere di Sartre, negli anni 70), alla luce dei rapporti tra la sua famiglia e il milieu, ovvero del secolo in cui visse, nei suoi aspetti economici, culturali ed anche letterari (essendo Flaubert uno scrittore). La sua vita così ha risentito del fatto che il padre era un borghese dell 800, legato ad un idea aristocratica di famiglia ma anche ambizioso e così via. Tutti questi insiemi caratterizzano la costituzione di Flaubert: ma l uomo non è solo il suo passato, ma anche il modo con cui vive la situazione in cui è immerso. Così Flaubert va compreso anche nella sua personalizzazione, del tutto soggettiva e libera, dell inferno familiare e sociale in cui nacque. Tale libertà (dei soggetti dai sistemi e dei vari sistemi, sociali, politici, etc, tra di loro) all interno di determinazioni dialettiche poggia, come quella ontologica de L Essere e il Nulla, sulla contingenza dell essere, che adesso diviene cifra basilare anche dei rapporti storico-sociali. Il fulcro della questione è esplicitato meglio nel tomo postumo della Critique, che avrebbe dovuto completare e sviluppare le questioni del primo tomo, pubblicato nel Sartre voleva soprattutto approfondire, nel secondo tomo, la questione dell intelligibilità della storia, cioè se questa ha un senso, se è comprensibile in ogni caso; ed egli cerca di comprendere tutte le relazioni tra la struttura globale e le singole parti della società, per congiungerle tutte in un nodo dialettico dinamico e rigoroso. Molti concetti rimangono però aperti nella stesura incompiuta, di cui è lo stesso Sartre che dice: Pubblicati dopo la mia morte, questi testi rimangono incompiuti, così come sono, oscuri, perché in essi formulo delle idee che non sono completamente sviluppate. Sarà compito del lettore interpretare dove avrebbero potuto condurmi 1. La maggior parte dei critici crede che l abbandono dell opera, a differenza di altre sartria-

7 ne pubblicate postume, non sia dovuto ad un impasse concettuale insuperabile al momento dal filosofo, ma da un cambiamento di interessi da parte sua; Arlette Elkaïm Sartre, che ha curato la critica e la pubblicazione di questo tomo e di molti altri testi postumi, sostiene nella prefazione che le tante tematiche abbozzate avrebbero costretto Sartre ad un immenso lavoro di ricerca, mentre egli era già rivolto ad altri progetti, come Le parole e poi il monumentale Idiot. La parte centrale del secondo tomo della Critique affronta proprio il tema della contingenza, analizzandola alle radici: è necessario infatti partire dalla base per riuscire a cogliere l intelligibilità profonda dei processi storici e umani. Così vi si afferma che la realtà è fatta, primariamente, di stati e di trasformazioni d energia. Una realtà quindi fisico-chimica caotica e totalmente non umana: è l aspetto originario della contingenza dell Essere. L interiorità, ovvero il progetto umano, giunge come mediazione, autonoma, e rottura insieme di questi stati e trasformazioni, come limite interno della dispersione dell essere: l essere è il tutto di cui siamo composti ed in cui ci troviamo, una realtà in dispersione, senza ordine, in cui noi, dall interno, poniamo un senso soggettivo (limitando così la dispersione). Ne L Essere e il Nulla il limite interno era il nulla che ogni uomo apportava all essere, colorandolo con le sue intenzioni, mentre nella Critique i termini divengono dialettici ed è l intera costruzione umana e sociale a risultare il limite interno della dispersione dell essere. La totalizzazione dialettica è il processo con cui la Storia costruisce un ordine provvisorio nell essere, con i rapporti e le relazioni dialettiche tra sistemi e soggetti (tra economia, cultura e singola vita individuale, per esempio), è un momento del processo dell essere, ma eterogeneo; l essere nel suo esserdappertutto incontra il suo stesso limite, nella misura in cui [ ] al momento della mediazione la legge di quest essere è fare se stesso 2. L avventura dell uomo, la Storia stessa come prodotto umano, è interna all Essere, è materiale, non certo di ordine spirituale o concettuale; ma, all interno dell Essere, la storia istituisce una rottura, un senso, una direzione provvisoria; questo non sarebbe possibile se l Essere fosse chiuso, se avesse già in sé una direzione da percorrere, un unica visuale possibile cui tutti gli uomini fossero obbligati ad attenersi. Come si può vedere, confrontando con quanto detto prima, il ragionamento alla base de L Essere e il Nulla, che reggeva la libertà soggettiva, ora si trova alla base dell analisi dialettica della Storia, che consiste appunto in costruzioni e sistemi in relazione reciproca e dinamica tra loro, all interno della contingenza dell Essere. L uomo, continua Sartre, può scorgere l Essere solo tramite il suo limite, ovvero come limite esterno dell interiorità (limite esterno del progetto umano) ogni volta che l onnipresente inerzia trafigge l immanenza del mondo umano. Rapportato all uomo (per-sé), l essere viene chiamato da Sartre in-sé, fin da L Essere e il Nulla; nel tomo postumo della Critique si aggiunge che l in-sé è solo il modo in cui l uomo si rapporta all essere, ovvero l in-sé è l essere inteso come limite esterno dispersivo dell interiorità. Noi non conosciamo il reale raccordo tra cosmo e in-sé: non possiamo cogliere l essere in senso assoluto, separato dai nostri fini, nella sua pura inumanità. È l essere che condiziona dal 7SAGGI

8 8 di fuori, come Universo, la totalizzazione che è insieme deviazione nei confronti della Storia e abbandono, per il suo essere finalità in un Universo indifferente ai suoi fini. La praxis produce molteplicità quantitative, nel suo campo sintetico, e insieme l in-sé lavorato modifica gli agenti stessi trasformandoli in molteplicità. La trascendenza della dispersione (ovvero il rapporto dell uomo, inteso come colui che trascende-supera, con la caoticità dell essere) produce la molteplicità: questa è quindi già un prodotto umano, non è livello zero del caos, che ci sfugge di per sé. Alla base di questi rapporti vi è il fondamentale contrasto-interazione tra dialettica e antidialettica, che è la molteplicità che contamina tutto, nel campo umano, d esteriorità attraverso indici di separazione tra gli agenti. Per comprendere questo rapporto dobbiamo partire dall inizio, ovvero dalla vita, dall esistenza biologica: è questo il punto della Critica dove maggiormente, credo, Sartre collega la libertà all organismo ( la libertà corre rischi naturali ). La vita biologica, come organizzazione di trasformazioni d energia guidate, è il processo unitario su cui si poggia la dialettica, basata sempre su relazioni tra molteplicità tramite l unità e insieme moltiplicazione dell unità tramite l unificazione. Infatti, si può definire la dialettica legge vivente dell azione, attraverso cui i processi umani vengono scomposti in nessi di relazione dinamici; in queste relazioni, una molteplicità di fattori viene ricondotta all unità di un processo (per esempio un insieme di eventi relativamente autonomi tra loro, diventano le cause della Rivoluzione Francese); ma la molteplicità non viene mai abbandonata, gli eventi sono correlati e contemporaneamente singolari: in questa maniera, avviene rispettivamente anche la moltiplicazione dell unità tramite l unificazione, poiché nell unità del processo in cui gli eventi vengono correlati, continua a vivere la molteplicità di tutti gli eventi che abbiamo unificato. Questo meccanismo in cui molteplicità e unità sempre si intrecciano, è riscontrabile nel suo livello più elementare, nella vita biologica. L uomo è dialettica costituente, mentre la Storia è definita dialettica costituita: la differenza sta nel fatto che nella Storia vengono correlati dialetticamente uomini e prassi diverse, mentre all interno dell organismo esiste un unità più profonda delle parti. Per questo si definisce il soggetto totalità detotalizzata (per l infondatezza dell essere che impedisce all uomo di essere una totalità piena, fissamente coincidente con quello che compie, aderente al proprio passato e quindi incapace di novità e libertà), mentre a livello di processi storici interumani si può parlare solo di totalizzazioni continuamente affiancate da detotalizzazioni, sempre per via della contingenza primitiva che impedisce, per gli stessi motivi, che diverse soggettività possano accorparsi in un sistema perdendo la loro etereogenità. Riassumendo: totalità (detotalizzata) per il soggetto, totalizzazione (e detotalizzazioni) per la Storia, a causa dell infondatezza dell essere che non permette la coincidenza tra noi e il nostro essere (il nostro passato, ciò che siamo) e ancora di più è separato il rapporto tra i soggetti all interno di un complesso sociale che mai potrà essere considerato, à la Rousseau, un iper-organismo di elementi fusi tra loro omogeneamente. La dialettica dell organismo poggia sulla base del bisogno: in lui la trascendenza è reintegrata, nell espletazione del bisogno, in immanenza, e la

9 temporalizzazione in ripetizione circolare. L organismo, con il bisogno, esce fuori di sé verso l oggetto che vuole acquisire per soddisfarsi, ma mantiene un unità più intensa rispetto a quella presente tra uomini di una società, in rapporti dialettici. Non dobbiamo credere che Sartre qui imposti un modello meccanicistico ed omeostatico alla base della vita: sempre in lui l immanenza si unisce alla trascendenza, l unità alla molteplicità. In altre parole, esiste creatività anche a livello di espletazione del bisogno, che è la praxis e la dialettica più elementare. È così che dialettica e antidialettica non si possono dissociare: nella materia, la molteplicità è sia dispersione (antidialettica) e insieme occasione per il sorgere della praxis (dialettica), che è tale in quanto si pone come unificazione di una molteplicità mai alienabile. La praxis e la vita sono della stessa natura: ogni azione si poggia sul fatto che l uomo è di natura fisica e produce soltanto (a differenza delle piante, almeno nella situazione attuale come noi lo conosciamo) passive sintesi di sostanze fisico-chimiche. La praxis, tuttavia, parte sempre come decompressione (rottura) dell integrazione organica: le sostanze organiche che hanno pure lo scopo di mantenere la vita, sono già un segno iniziale di praxis, perché queste sintesi passive non sono integrate nella vita ma sono utilizzate da essa, marcate dal sigillo della vita. Poiché non sono integrate, vi è un distacco marginale tra la vita biologica e gli alimenti che, sintetizzati organicamente, servono a perpetuare la vita: quindi la vita è già un inizio di creatività pratica. In queste condizioni, la praxis si pone come intermediario tra le sintesi in immanenza della vita organica e le sintesi passive dell inerte, dalla prima riceve la possibilità di fare del mantenimento della vita il fine ultimo e, dal secondo, la permanenza e l esteriorità che permette la dischiusura degli obiettivi e dei sensi. In altre parole, l uomo come attività pratica che elabora la realtà inerte, ha come punto di partenza l attività biologica, da cui consegue che il punto di passaggio tra organico e pratico è il bisogno stesso. Il ciclo biologico dell ordine organico è esso stesso inizio della praxis, poiché, soddisfatto il bisogno, l ordine è ricominciato, non propriamente preservato: l organismo cambia per rimanere lo stesso. C è un processo orientato, ma non un progresso, come nel pieno della praxis, in quanto manca una finalità. Il fine non è in esso ma lo infesta, già trascendenza. Il progresso, nel suo essere irreversibile, non va inteso come crescita continua, ma in una sua contingente e momentanea storializzazione. Così l azione è unificazione, mai unità, di una mai eliminabile molteplicità dispersiva. Il progresso, a differenza di tutti i semplici processi orientati, non restaura, istituisce. L azione organica sul mondo, animata dal bisogno, per preservarsi, diviene, tramite il milieu terrestre, exis. L exis è il risultato, le sintesi organiche, della tensione della vita verso il mondo, verso l oggetto che le serve a preservarsi. La praxis è per prima cosa trascendenza e preservazione dell exis: allo stadio originario, ovvero, la praxis sostiene l attività organica; e poiché il campo d azione della praxis è il mondo inorganico dell inerte, l unità organica (il processo secondo cui l organismo mira a ristabilire l unità espletando il bisogno) è data come una determinazione inorganica di un exis organica. In altre parole, lo stesso organismo, per la mediazione della praxis che guida la preservazio- 9SAGGI

10 10 ne dell exis, entra in rapporto con l inorganico. La praxis, allora, si pone nel suo principio come mediazione di due momenti dell organico (l Uno della totalità che ha se stesso come fine restauratore e l exis organica che ne deriva) tramite l oggetto inorganico, che, per l intervento della praxis, sarà materia lavorata, pratico-inerte. Arriviamo quindi alla nozione di pratico inerte, centrale nella Critique: è cio che resta, fissato, della praxis umana, è la materia stregata che continua, inerzialmente, l azione una volta che si è conclusa. Le strutture sociali sono un esempio di pratico inerte: prodotto materiale dell uomo, l aspetto inerte della fludità della vita. Non c è un valore necessariamente negativo nel termine pratico-inerte: la negatività incorre solo quando l inerzia del costruito imprigiona la vita ed impedisce all uomo di separarsi da essa costruendo percorsi originali. Da un altro punto di vista, la totalizzazione storica è trascendenza, in campo d immanenza, sempre creativa e alla ricerca del controllo delle sue deviazioni, causate dal pratico-inerte. Riassumendo, la praxis coglie l oggetto tramite la vita, alla sua base, qualificando la vita tramite l oggetto, perché la riveste, per la sua stessa perpetuazione, delle sintesi passive dell inorganico. La spirale dell attività pratica si forgia nel tentativo di unificazione dell unità distrutta, la praxis si prende ad oggetto e si fa condizionamento ricondizionato del proprio prodotto praticoinerte. Forse è questo il punto ove maggiormente praxis e vita si uniscono, nella trattazione sartriana. Infatti, l organismo, con i suoi bisogni vitali spinge l uomo verso un oggetto inorganico che possa soddisfarli; in questo modo, la prassi umana che è un livello ulteriore di attività rispetto alla vita organica, scopre da una parte la vita come esigenza imprescindibile perché qualsiasi altra attività possa iniziarsi; dall altra, la prassi inizia proprio (nel suo livello originario) ponendosi come mediazione tra i bisogni della vita e l oggetto inorganico da raggiungere (ha quindi il suo cominciamento con l espletazione del bisogno); il risultato di questa attività pratica sarà il primo pratico-inerte, che porta in sé il residuo dell attività pratica, solidificata nelle cose: il pratico-inerte sarà sempre poi ripreso dall attività pratica che cercherà di reinserire tale risultato dell attività precedente in una nuova attività. La vita e la prassi fanno tutt uno nell azione, quindi l unità collasserà sempre in pseudo-integrazione, in trasformazione orientata: [ ] l inerzia che sostiene la permanenza delle proprietà è dischiusa dall azione stessa come un atto che produce quella permanenza 3. La permanenza della vita è exis, quindi come ripetizione dell oggetto, la cui molteplicità, sempre mediata dalla praxis creatrice, sarà continuamente temporalizzata. In altre parole, le molteplicità delle sostanze saranno solo sostituite dall infinita divisibilità del tempo, che è la misura in cui la materia viene umanizzata. Nella storia, la totalizzazione è evento storico, mentre il pratico-inerte è il suo rovescio inerte come apparizione dell altro; da qui il continuo tentativo di ripresa dell inerte da parte dell uomo, che cerca di riappropriarsene, sfuggendo alle deviazioni pratico-inerte, con la trasformazione pratico-storica di esso, reale e materiale. La praxis, ripetiamo, è passaggio dall inorganico all organico: la trascendenza emerge dal bisogno, come esplosione del ciclo organico e rottura per la

11 scarsità (la penuria è il motore passivo della dialettica, proprio perché è presupposto del bisogno e della lotta antagonistica degli uomini nella situazione di scarsità); l azione pratica produce un efficacia inorganica governando la sua inerzia per agire sull inerte. Il ciclo è quello dell adattamento, ma non meccanicistico: Dal momento in cui l organismo realizza modificazioni fuori alla luce di un obiettivo, possiamo parlare di un atto. E questa definizione è sufficiente per mostrare che le prime attività pratiche sono lontane dal cominciare con le specie umane ed anche con i mammiferi. Se solo le azioni umane ci riguardano qui, è perché [ ] esse sono le uniche sulla Terra ad essere integrate in una storia. [ ] La necessità (derivante dall oggetto) di ridurre prima alcuni ostacoli o altri (tramite movimenti loro stessi separati o separabili) poi risolvere alcune difficoltà (attività preparatorie) e afferrare la materia con alcuni trattamenti o altri (purificazione, per esempio), che manifesta essa stessa come un esteriorità (nell interiorità del movimento di temporalizzazione) di ogni azione 4. È così che il termine negazione importato da L Essere e il Nulla, diventa invenzione in quanto azione di negazione dell organico tramite l organismo, che trascende la materialità inorganica della non vita, una volta attaccato dall esteriore. La praxis è tra vita e inerte anche in produzioni più complesse, come quelle delle macchine, che permettono di perpetrare compiti che l organismo da solo non potrebbe. L azione pone la sua autonomia dalla vita nel preciso istante in cui la vuole perpetuare: la creatività così è connessa all organico, nel momento stesso della separazione tra praxis e vita. Il blocco d esteriorità in permanente dispersione, l inerte massività, essendo senza parti distinte, è un insieme di quasi-unità indifferenziate. Questo si dischiude a noi nella sua indistinzione, e non possiamo che coglierlo come blocco pre-quantitativo, ovvero in vista della sua quantitavizzazione da parte dell uomo. In un caso più semplice di lavoro, l inerte appare, inevitabilmente, nel nostro campo, ma possiede ancora un suo coefficiente d indistinzione: p.e. il movimento degli occhi sulla montagna, come operazione nella sua più semplice espressione, al minimo costo; solo in relazione al suo futuro, ovvero come preparazione alla salita, questo movimento sarà inteso come conoscenza e pensiero; l essere si costituisce in molteplicità quantitativa da unificare ed è reso divisibile, infinitamente, con l unità di elementi indivisibili, imposta dalla praxis: la dispersione e l unità abitano insieme il campo pratico; non è possibile che l uomo colga la dispersione-caos allo stato puro e nemmeno possa essere unità granitica, perché il suo intervento sarà sempre un tipo di unificazione della dispersione, un attività in cui nessuno di questi due termini verrà mai a mancare. La conoscenza è invenzione, le leggi del conoscere sono contigue a quelle dell essere e del fare. La scienza si muove in base ad una struttura della materialità e a delle esigenze attive connesse reciprocamente alle contingenze storiche e materiali. Ancora un occasione per sottolineare le cogenze dell inerte: la storia sarebbe completamente diversa se l uomo potesse respirare l acqua o la fisica seguisse altre leggi o semplicemente la geografia del mondo fosse stata diversa. L uomo fa la storia, ed è fatto da essa, ma anche la storia si sviluppa in base ad una data struttura dell essere. SAGGI 11

12 12 La praxis ha un oggetto, un costo in termini d energia, che determina il carattere d irreversibilità dell azione, ma i momenti di essa non sono isolati, sono illuminati dal fine. La ragione borghese è ferma alla ragione analitica: i soggetti sono smembrati nelle funzioni, come se ci si riferisse ad un cervello elettronico. Gli uomini sono così macchinizzati, in un ottica efficientista, in base alle esigenze della produzione. La ragione analitica vede gli uomini come se si descrivesse una partita di bridge in base alla posizione delle carte ad ogni manche. In realtà, lo stesso progresso della scienza e delle macchine, è comprensibile solo in relazione al campo pratico umano; con l invenzione, al limite, della macchina che produce altre macchine, si arriva sì a sempre maggiori determinazioni inerti inorganiche sull organismo, ma con il fine ultimo di rendere l agente più capace di controllare quest ultimo: l organismo pratico resta al centro, in quanto si cerca sempre di ridurre la scarsità, soddisfando i bisogni della vita. Quello che conta è se questo fine poi si aliena in esteriorità, come nel capitalismo, o è vissuto nella solidarietà tra uomini liberati, sostiene Sartre. Ciò che è necessario ricordare è che, a tutt oggi, nella storia come la conosciamo, esiste un fine che la praxis non può trascendere, da cui si deve partire: la preservazione della vita (si comprende anche la riproduzione). Nulla di meccanico, nessun istinto a tergo: è solo il carattere materiale del nostro essere finiti, cui bisogna misurarsi, vivendolo immediatamente in interiorità (noi siamo il nostro corpo). E la perpetuazione della vita si può oggettivare, sempre per le caratteristiche contingenti della materialità, nell inerte. L organismo nega il bisogno: l azione, riassumendo in sé l organico, è così negazione di negazione. L organismo diventa agente, la circolarità della vita è rotta con una trascendenza reale. Con la soddisfazione del bisogno, l organico dissolve in sé l agente, ma questo permane nell inerte come sintesi passive (pratico-inerti), rimane come exis. E così l azione dell uomo è ricondizionata (shock à retour) dai suoi prodotti. Sempre di più, con la tecnologia, l organico tende a fare da supporto all atto, l agente è sempre più qualificato alla luce della sua trascendenza pratica dell inerte. L azione si allontana sempre più dalla sua relazione con la riproduzione della vita, ancor di più a causa della divisione del lavoro. In questa situazione, l atto vorrebbe considerarsi autonomo, seguente se stesso come fine. Ma il mondo-dei-fini-in-sé (come sintesi inanimate) non ha sufficiente essere e può esistere solo in relazione ad una duplice fondazione: perpetuazione dell organismo, come un fine trascendente all azione; e la dialettica stessa, come una legge di trascendenza creativa di tutti i sensi verso un fine, e come dissolvente in esso tutte le sintesi inerti 5. Così il pratico-inerte stesso esiste solo, basilarmente, in virtù dell esistenza di un fine relato alla preservazione dell organismo. Sono i bisogni a mettere in moto la gigantesca macchina economica, ma questo non vuol dire che essa non possa produrre crisi o che la classe dominante ponga allo stesso modo di quella sfruttata, il soddisfacimento dei bisogni. Il lavoratore è tale per un salario necessario alla soddisfazione di questi, il profitto poggia sulla scarsità della merce; anche l artista deve assumere, come senso imprescindibile, il suo mantenimento. Comunque, questo non toglie che un atto possa avere come fine anche il raggiungimento di obiettivi diversi dalla soddisfazione dei bisogni

13 (p.e. culturali), ma rimane una base organica 6, insuperabile anche in una società senza scarsità. Nella situazione attuale, per ciò che riguarda il carattere di pressione sul soggetto, sono più le esigenze del pratico inerte (del sistema sociale) a farsi sentire, che quelle dei bisogni (ma esse sono strettamente connesse). Il discorso sui bisogni è importante anche in un altra ottica, quella del rapporto potere-bisogni: per esempio, la distinzione deriva da questa relazione. È noto che con questo termine Sartre indica un atteggiamento tipicamente borghese, consistente nella (apparente) superiorità nei confronti dei bisogni (intesi nella loro accezione specificatamente corporea). È un atteggiamento maturato nel periodo in cui, storicamente, la borghesia, terminata la sua prima fase aggressiva, rinsalda le sue posizioni con l appoggio dei poteri tradizionali (circa nell 800). Uno dei drammi della borghesia consiste nel fatto che il suo potere non è connesso a qualcosa di stabile e assolutamente dato, come la nascita, su cui si fondano i privilegi giuridico-sociali dello status nobiliare. Le concezioni borghesi sull uomo sono così caratterizzate da un umanesimo astratto, di cui parla anche nel terzo volume dell Idiot. La distinzione, ottenuta così in parte astenendosi in parte nascondendo i bisogni, da una parte era finalizzata ad emulare l aristocrazia, dall altra, alla sicurezza giuridica e formalizzata del proprio status. D altra parte la borghesia tiene d occhio il proletariato (propriamente: lo guarda, nel senso sartriano, ovvero cerca di renderlo oggetto), avverte il suo odio e matura un contro-odio. Il sacrificio del borghese, quindi ha come fine sia il distinguersi dalla povera gente, più legata ai bisogni e a trovare una giustificazione al proprio dominio, tramite il sacrificio nobilitante; quest ultima cosa è dovuta anche al confronto con l aristocrazia, da parte della borghesia divenuta classe dirigente: a differenza dei nobili, i borghesi mancano di titoli che diano loro una superiorità originaria e di sangue rispetto al restante genere umano e quindi necessitano del sacrificio per dimostrare una forma di superiorità di merito, rispetto alla classe dominata. Ancora, il rapporto potere-bisogni, può essere colto nell influsso che ha l oppressione sulla sessualità dell oppresso, come afferma sempre nel secondo tomo della Critique. Già nel Saint Genet, come sottolinea in nota, nel tomo postumo, la Elkaïm-Sartre, si vedeva come, per il bambino, l intrusione adulta, che eticamente era avvertita come una condanna, sessualmente veniva avvertita come stupro. Sartre analizza le contro-finalità dell oppressione sul corpo e della sussunzione delle energie vitali-sessuali. Questo discorso è continuato, come tutto del resto, nell Idiot: la sessualità Flaubertiana, definita androgina, passiva, è risultato della sua impotenza, della sua costituzione passiva. Infatti, Flaubert, per una serie di motivi (l infanzia e il rapporto con i familiari, la situazione sociale della borghesia dell 800, cui i Flaubert appartenevano) si è costituito fin dai primissimi anni come soggetto passivo, incapace di mettere in discussione la sua situazione: questa condizione si riversa anche nella sua sessualità, tendente al masochismo. Nella Critique sono visti casi più generali e a livello di insiemi sociali: Lo sfruttamento del contadino la violenta azione esercitata sul suo corpo, e sui SAGGI 13

14 14 ritmi organici definenti il comportamento è vissuto da lui radicalmente, a livello del sesso, come castrazione [ ] irreparabile deficit 7. Il termine incarnazione, così, rivela un suo collegamento al corpo ben oltre una mera metafora: tutto è materia, e negli esseri viventi tutto è corpo. La coppia pure è sociale, ovvero il rapporto tra i coniugi ha un ruolo e una posizione che supera la dimensione prettamente domestica e privata: istituzionalizzata nel matrimonio, la coppia si integra in unità mediata e non-trascendibile, tramite la mediazione della società tutta nelle sue incarnazioni. Questa è l alienazione del soggetto nel suo essere parte del tutto-coppia. Così vengono interiorizzate nella coppia le gerachie e le non reciprocità (p.e. maschilismo) che fondano il campo sociale. E la non reciprocità si feticizza in carne come erotismo. Si noterà come il discorso sulla contingenza abbracci sempre più, in Sartre, il tema dell importanza della materialità, sia intesa come bisogni organici, sia nel suo significato più cosmico e inumano. La critica ha riconosciuto la tendenza di Sartre, dagli anni 60, ad approfondire l analisi della storia e della dialettica (la sua cosiddetta apertura al mondo ), ma è meno noto il crescente interesse sartriano nei confronti della materialità e dell inerte, che assumono un ruolo sempre più centrale ed attivo nel suo sistema filosofico. Adesso, rispetto a L Essere e il Nulla, si cerca di connettere più profondamente l azione alla materialità del corpo, mentre prima l incarnazione e la scelta sessuale sembravano essere più soggetti ad una relazione-cortocircuito, nel conflitto temporaneamente mediato tra carne e coscienza. L uomo, con il desiderio sessuale, temporaneamente incarna la propria coscienza, la rende carne: ne L Essere e il Nulla l incarnazione era vista come fenomeno 1)temporaneo 2)in relazione alla coscienza soggettiva 3) con accenti negativi. Nella Critique, abbiamo visto, la questione assume un ruolo più importante, più attivo e centrale e insieme si storicizza. Lo dice Sartre sempre nel tomo postumo: Ho già spiegato altrove come il corpo si faccia carne. Ma bisogna aggiungere anche che la carne diviene atto 8. Atto e passione, agire attraverso la propria passività sulla carne dell altro: il desiderio si fa atto carnale, la carne nella sua solitudine e contingenza, è trascesa verso la solitudine e contingenza dell altro. Nell istante della praxis sessuale, c è insieme singolarizzazione e totalizzazione, rapporto con l inerte e con un altra libertà: forse, dice, è proprio questo il momento di maggiore interdipendenza di tutti questi fattori. Da questo emerge il concetto di individuo socializzato sessualmente. Il bisogno quindi è un elemento fondamentale della dialettica costituente (del soggetto) e costituita (della storia), ma in generale l inerte cosmico, come dispersione della molteplicità, come abbiamo visto sin ora, costituisce la vera base della totalizzazione storico-umana. In un recentissimo testo 9 Sicard sostiene che l estetica sartriana si apra, nelle ultime fasi, sempre più alla dimensione della materialità: l immagine diventa per Sartre uno spazio geografico, non il simbolo di una trascendenza. Mentre il concetto di simbolo trova il suo senso all esterno, l immagine lo possiede già internamente, come realizzazione concreta di un mondo. Sartre, che prima, in opere come Imaginaire, intendeva il prodotto artistico come rappresentazione oggettivata della coscienza, in

15 un momento successivo lo studia in quanto processo materiale: questo processo verso il materiale, nella filosofia di Sartre, è un aspetto fondamentale degli sviluppi della sua filosofia, al pari della sua nota apertura verso il mondo e alla storia ; è un cammino che non riguarda solo l estetica, ma coinvolge globalmente il suo sistema filosofico, dall analisi della storia all etica; molti indizi a riguardo si trovano in opere poco conosciute e postume, come appunto il secondo tomo della Critique. Alla luce di questo, se l attenzione alla contingenza pone Sartre a pieno titolo tra i filosofi moderni (da Nietzsche in poi), l interesse crescente verso il ruolo attivo dell inerte rivela un vero e proprio lato post-moderno di Sartre, che lo avvicina maggiormente a pensatori come Deleuze, come lo stesso Sicard sostiene in Immaginari di Sartre. SAGGI 15 1 J. P. SARTRE, Autoritratto a settant anni, Milano, Il Saggiatore, 1976, p J.P.SARTRE, Critique de la Raison dialectique, Paris, Gallimard, 1985, Volume II, p Ivi, p Ivi, p Ivi, p La stessa arte, come dice nell Idiot, è la restaurazione dell organico, reintegrando così i bisogni nel campo culturale in nuove forme. E ogni azione conserva in sé, implicitamente, con un urgenza interna, l esistenza dei bisogni biologici. 7 Ivi, p Ivi, p G.FARINA, P.TAMASSIA, Immaginari di Sartre (conversazioni con Michel Sicard), Roma, Edizioni Associate, 1999.

16 IL PROBLEMA DELLA CORPOREITÀ NEI MANIFESTI METODOLOGICI DI G. MARCEL di Aurelio Rizzacasa 1. Considerazioni introduttive 16 È noto che i capisaldi fondamentali del pensiero filosofico di G. Marcel sono reperibili in tre scritti che vanno sotto il nome di Manifesti metodologici (i cui dati bibliografici vengono qui riportati nelle relative Note ). Nel presente lavoro, pertanto, prendiamo in considerazione questi manifesti a proprosito del tema della corporeità, rispetto al quale il filosofo francese introduce delle importanti riflessioni, capaci di innovare le analisi della soggettività nelle filosofie del Novecento. Comunque, per esaminare meglio la questione, è senz altro opportuno partire da alcune considerazioni generali sulla posizione del nostro pensatore. Il socratismo e l agostinismo di G. Marcel giungono su una linea di riflessioni che da B.Pascal si sviluppa e si perfeziona nel pensiero di S. Kierkegaard a formulare uno spiritualismo filosofico radicato negli interrogativi ineludibili dell esistenza umana. Da tale punto di vista, perciò, la tradizione del pensiero cristiano viene riattualizzata in un itinerario che non prescinde dalle istanze metodologiche delle filosofie del Novecento. Così, l esistenzialismo e la fenomenologia vengono presi in considerazione allo scopo di caratterizzare l uomo nella sua problematicità, in un orizzonte dove il singolo kierkegaardiano emerge nella sua netta opposizione all idealismo di derivazione hegeliana. In questa prospettiva, assumono un particolare rilievo le considerazioni che il nostro filosofo propone in merito al tema del corpo proprio, distinto e contrapposto al corpo oggetto ; ciò viene precisato allo scopo di rivalutare il corpo vivente dell essere umano che, nella specifica prospettiva di questa determinata antropologia filosofica, indica il momento imprescindibile dell unità sostanziale dell uomo stesso, inteso, appunto, come spirito incarnato. Pertanto, in senso del tutto generale, va precisato che le problematiche della corporeità vengono affrontate da Marcel all interno delle distinzioni tra esser e avere, nonché tra problema e mistero. Come noto, queste quattro categorie filosofiche indicano un duplice riferimento di carattere etico-ontologico e gnoseologico-religioso. Infatti, le prime due contrappongono l autenticità esistenziale all inautenticità del quotidiano, mentre le seconde individuano il limite, nonché la differenza qualitativa tra l ambito scientifico del conoscere e l ambito filosofico-religioso dell apertura all ulteriorità. Da tale punto di vista, va senz altro ricordato che il punto di partenza di tale discorso è costituito, per Marcel, dalla filosofia del concreto ; c è però da ricor-

17 dare che quest ultimo concetto è inteso come rivalutazione dell immediatezza dell esistenza, nonché come riaffermazione del primato della corporeità. Inoltre, il riferimento al concreto indica anche la radicale opposizione del nostro filosofo ad ogni soluzione astratta, intesa a riaffermare gli assoluti filosofici universali dell idealismo riemergente prepotentemente nella cultura filosofica della prima metà del Novecento. Per entrare direttamente in merito alla problematica concernente la nostra indagine, occorre anzitutto constatare che ci troviamo di fronte ad un antropologia filosofica orientata ad addentrarsi nelle questioni specifiche attraverso la rivendicazione del primato dell esistenza. Pertanto, da tale punto di vista, viene senz altro posto in luce che il passaggio dall oggetto alla presenza indica un approfondimento dell itinerario riflessivo, che dalla riflessione prima giunge alla riflessione seconda. In tale passaggio, infatti, tanto la presenza quanto la riflessione seconda individuano un avanzamento della prospettiva che, scavando attraverso il pensiero, pone in rilievo quanto in precedenza, a livello superficiale e immediato, poteva apparire nascosto. Infatti, a titolo esemplificativo, possiamo avvalorare ciò considerando che la presenza, attraverso il momento metaproblematico del mistero, nell iter filosofico di Marcel, giunge alla fedeltà. Quest ultima intesa in una dimensione etico-religiosa della fede che apre all uomo credente privilegiati aspetti qualitativi del reale che, al di fuori di quest ottica non potrebbero in alcun modo essere focalizzati. Così, alla luce della fedeltà creatrice si instaura, per Marcel, un itinerario ontologico nell ordine del mistero, che trasforma l oggetto in effigie per convertirlo, poi, in presenza. Nell ottica di queste riflessioni complessive, possiamo addentrarci ora nell analisi specifica del tema della corporeità; ciò ribadendo che il corpo, nel suo aspetto materiale e biologico (per cui possiamo affermare che l uomo possiede un corpo) si collega necessariamente alla categoria dell avere ; al contrario, se ci poniamo, come sostiene il filosofo francese, nella prospetiva dell incarnazione, ne risulta che io sono il mio corpo con il quale mi rapporto a me stesso, al mondo e agli altri; di conseguenza il corpo, come corpo proprio, cosciente e vivente, rientra nella dimensione dell essere. SAGGI La corporeità nella relazione tra essere e avere Il problema della corporeità ci permette, nella prospettiva filosofica di Marcel, di entrare direttamente nella problematica del soggetto esistenziale. Così, il corpo-soggetto e il corpo-oggetto si contrappongono; tuttavia, nella fenomenologia della consapevolezza, la questione si precisa nel senso che essere un corpo ed avere un corpo indica, a sua volta, una ulteriore contrapposizione. In questa direzione, allora, l analisi degli elementi devianti, presenti nella cultura contemporanea, conduce il nostro filosofo a porre in rilievo la spersonalizzazione dell uomo contemporaneo a causa del primato attribuito all avere ed, in particolare, all atteggiamento dominante del possesso e alle funzioni che lo connotano. Al riguardo, egli precisa: L epoca contemporanea mi sembra caratterizzata da ciò che si potrebbe senza dubbio chiamare l esorbitanza

18 18 dell idea di funzione ( la desorbitation de l idée de function ); prendo qui la parola funzione nella sua accezione più generale, quella che comprende ad un tempo le funzioni vitali e le funzioni sociali 1. Di conseguenza, la morte rappresenta, nel modo più completo, l esaurimento delle funzioni d uso del corpo, allorché esso, privato della vita, rimane nella sua materialità bruta. Marcel precisa questo aspetto del problema osservando che quanto alla morte, essa appare, da un angolo visuale oggettivo e funzionale, come messa fuori d uso, come caduta nell inutilizzabile, come residuo puro ( déchet pur ) 2. D altra parte, la funzione, nella sua emergenza etico-valoriale, determina la prevalenza dell avere ed, allora, nell esistenza dell uomo, si verifica una situazione in cui la preponderanza della funzione nella vita, conduce alla disperazione, in un orizzonte spersonalizzato, naturalmente diverso da quello che in Kierkegaard approdava alla disperazione attraverso l estetico. Qui, perciò,l analisi del problema dell esistenza conduce Marcel a valutare filosoficamente le situazioni sociologiche, di carattere negativo, presenti in alcuni aspetti della cultura e del comportamento sociale del nostro tempo. Egli infatti asserisce che la vita, in un mondo regolato sull idea di funzione, è esposta alla disperazione, sbocca nella disperazione, perché in realtà questo mondo è vuoto, perché suona vuoto; se resiste alla disperazione, ciò avviene unicamente nella misura in cui giocano, in seno a tale esistenza e in suo favore, certe forze segrete che essa non ha la capacità di pensare o di riconoscere 3. Le forze sconosciute che l uomo è incapace di riconoscere e di dominare quando è sommerso dall avere e dall efficienza delle funzioni, riconducono all orizzonte dell esssere e all ambito del mistero. Perciò il nostro pensatore sottolinea che eliminare o tentare di eliminare il mistero, nel mondo funzionalizzato di cui abbiamo parlato, significa far giocare in presenza di avvenimenti che rompono il corso dell esistenza la nascita, l amore, la morte quella categoria psicologica e pseudo-scientifica del tutto naturale che meriterebbe uno studio particolare. A dire il vero, questo non è che il residuo di un razionalismo degradato, secondo cui la causa spiega l effetto, cioè ne rende pienamente conto 4. Qui appare chiaro come Marcel riconduca alla categoria dell avere anche la conoscenza positiva di ordine tecnico di un razionalismo dell oggettività espressa nella forma dello scientismo. Il superamento della deriva deviante ora indicata è, dal nostro filosofo, espresso nella rivendicazione della presenza del mistero al di là di una semplice constatazione del problema. Ciò implica, per la questione della corporeità, la rivendicazione nella visione dell unità dell uomo, del rapporto intrinseco tra il corpo e l anima, da non intendersi, tuttavia, nel senso della tradizione metafisica medievale che poneva l accento sul problema della sostanza. Il nostro pensatore, invece, rivendica la centralità della presenza esistenziale nell interiorità dell essere umano. Al riguardo, Marcel afferma: È evidente che esiste un mistero dell unione dell anima e del corpo; l unità indivisibile, che si esprime sempre inadeguatamente attraverso formule quali: io ho un corpo, io mi servo del mio corpo, io sento il mio corpo, ecc., è esteriore ad ogni analisi e non potrebbe in nessun modo essere ricostituita per via sintetica a partire da elementi che le sarebbero logicamente anteriori 5.

19 3. La nozione di corpo proprio La via tradizionale, nella duplice direzione della metafisica medievale e del razionalismo moderno, concentra l attenzione sul soggetto, ora inteso come anima razionale e ora inteso come soggetto pensante, attribuendo al corpo un valore e un significato del tutto secondario. Nella cultura filosofica del Novecento, emergono invece delle prospettive tendenti, in modo più o meno accentuato, a rivalutare il significato e il ruolo specifico del corpo quale dimensione ontologico-esistenziale del soggetto umano. Nell orizzonte riflessivo ora accennato, assume certamente un particolare significato la via fenomenologica husserliana che si contrappone a quella tradizionale dando rilievo e importanza al corpo proprio nella sua auto-consapevolezza e distinguendolo radicalmente dal corpo nella sua bruta materialità. In questo itinerario di pensiero innovativo, Marcel, a sua volta, compie il difficile tentativo di armonizzare la tradizione con le nuove istanze, mediante la valorizzazione del soggetto personale, operando soprattutto nell ambito dello spiritualismo francese a cavallo dei secoli XIX e XX. In questa particolare presa di coscienza, è il corpo proprio a costituire il nucleo intuitivo e autoconsapevole dell intera questione; perciò la nozione di corporeità si fa presente all interno della nozione più ampia della soggettività spirituale. È chiaro, comunque, che, in quest ottica, ci si pone al di fuori tanto della metafisica quanto della gnoseologia, perseguendo piuttosto un itinerario che si colloca nell orizzonte dell ontologia dell esistenza, dove l essere e il mistero promuovono la valorizzazione del soggetto personale come soggetto corporeo. Così, in particolare, nel Manifesto metodologico di Marcel dal titolo significativo Esistenza e oggettività, la questione del corpo proprio viene affrontata a partire dalla sensibilità, in stretto rapporto, dunque, con la sua genesi che ha le sue radici all interno dello spiritualismo. Comunque, approfondendo meglio la problematica, occorre precisare che la questione del sé e del corpo proprio, quali nuclei del soggetto personale, vengono esaminati nella linea prospettica della fenomenologia dell avere, a partire dal sentimento dell amore, perseguendo un itinerario originale che muove dal rifiuto sia dell idealismo sia del materialismo. È questa una difficile linea intermedia che ci fa senz altro pensare ad un processo dinamico di riflessione che evoca il pensiero di F.P. Maine de Biran. Di fatto, è da riconoscere che l itinerario marceliano relativo all apprroccio concreto al tema dell oggettività procede partendo dal sentire, che coinvolge in modo specifico il corpo proprio, per giungere alla certezza dell esistere. Il problema di fondo, quindi, è per Marcel quello di rapportare l io con le sue funzioni specifiche al corpo proprio con i suoi vissuti, oggetto fra l altro delle diverse forme di sensibilità, nonché delle espressioni dei sentimenti. Così, in particolare, si può rilevare che le questioni marceliane del sé e del corpo proprio conducono ad un dato opaco e ad un irriducibile che coinvolgono, da un ulteriore punto di vista, l indefinibilità e la presenza del ministro nella forma filosofica del meta-problematico. È evidente che Marcel, per una via diversa, giunge al punto-limite della connessione tra l io e il corpo proprio che aveva, ad esempio, fra gli altri, condotto J.P. Sartre ad intuire l opacità dell essere nell emergenza dell essere per sé costituente, appunto, la coscienza del soggetto personale. SAGGI 19

20 20 Da tale punto di vista, Marcel caratterizza il rapporto intrinseco tra soggetto personale e corporeità attraverso la nozione specifica di proprietà che connota, appunto, l irriducibile del corpo proprio. In tal modo, viene posto in luce che l avere non semplicemente un corpo, ma il mio corpo, esprime una posizione, in parte anche di natura metafisica, concernente l idea marceliana di spirito incarnato. Qui, perciò, si verifica il superamento della concezione tradizionale del corpo-strumento ; al riguardo Marcel precisa che, nella misura in cui io mi consideri come se avessi delle comunicazioni con degli oggetti o con delle cose separate da me, è del tutto naturale che il mio corpo mi appaia interposto fra queste cose e me, più precisamente che mi si presenti come lo strumento per eccellenza di cui mi servo per ricevere e per emettere dei messaggi (che del resto possono ridursi a non essere che semplici segni, in un mondo costituito o almeno pieno di stazioni riceventi le une in rapporto con le altre, il mio corpo fa la funzione, come gli altri corpi, di un apparecchio di segnalazione) 6. In questo contesto, l elemento guida delle riflessioni marceliane è quello per cui, in modo specifico, il soggetto personale può riconoscere espressamente io sono il mio corpo. Infatti, asserisce il filosofo francese, nella coscienza che ho del mio corpo, dei rapporti con il mio corpo, vi è qualcosa che non è resa da questa affermazione, per cui nasce questa protesta quasi impossibile a reprimere: Io non mi servo del mio corpo, io sono il mio corpo 7. Il che supera radicalmente non solo la concezione del corpo strumento ma, più precisamente, la nozione di corpo oggetto in cui questa rientra. Pertanto, considerando il mio corpo sia nei suoi rapporti con gli altri corpi, sia nella sua propria struttura, io sono in presenza di qualcosa che è essenzialmente materia per un problema, e un oggetto possibile di conoscenza, anche in ragione di un distacco da me cui ho proceduto per isolare e definire questo insieme di termini 8. Risulta chiaro, allora, che il corpo-oggetto è problema in senso marceliano, laddove, invece, il corpo proprio, come appartenenza al soggetto, è un limite non del tutto conoscibile che rientra nella dimensione esistenziale del mistero. Infatti, il riferirsi al corpo proprio indica una vera e propria specificità non del tutto definibile e determinabile. Pertanto dire il mio corpo, significa rifiutare di attribuirlo a questo o a quello. Ciò deve sembrare a prima vista oltraggiosmente paradossale: invece di dire il mio corpo, non posso chiamare me stesso, designare quello a cui questo corpo appartiene? 9. In modo più preciso, allora, Marcel si esprime nel senso secondo cui riferirsi al corpo proprio signifca evitare ogni relazionalità tra i termini della definizione concettuale. Una riprova di quanto sostenuto la troviamo in un altro significativo Manifesto metodologico, allorché Marcel si espone in rapporto al corpo proprio, la problematica etico-ontologica dell avere. Al riguardo, quindi, il momento strumentale dell avere rischia di sopprimere la libera soggettività creativa insita nel corpo proprio. Marcel, dunque, dichiara esplicitamente: Io credo che, per la loro stessa natura, il mio corpo o i miei strumenti in quanto io li considero come posseduti, tendano a sopprimere me che li posseggo 10. Nell approfondire ulteriormente la questione, ci possiamo addentrare, con il nostro filosofo, nel tema della soggettività; troviamo, allora, che il sé, al quale precedentemente abbiamo fatto cenno, appare effettivamente come un

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