IL MADE IN ITALY ALIMENTARE. in collaborazione con
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- Donato Piccolo
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1 2 FORUM INTERNAZIONALE DELL AGRICOLTURA E DELL ALIMENTAZIONE CERNOBBIO OTTOBRE 2002 COME TUTELARE IL MADE IN ITALY ALIMENTARE in collaborazione con Il Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione, promosso dalla Coldiretti in collaborazione con Ambrosetti, si propone come uno degli appuntamenti europei più rilevanti sui temi della politica agricola ed agroalimentare. Ogni anno, in ottobre, nella splendida cornice di Villa d Este a Cernobbio, Coldiretti ed Ambrosetti chiamano a discutere nomi prestigiosi della cultura e della politica sui grandi temi dell agricoltura e dell alimentazione e sulla stretta connessione che tra essi si impone nella società contemporanea. Per ogni commento e contributo ai temi affrontati nel Forum si può utilizzare il sito
2 SOMMARIO Apertura dei lavori 7 Paolo Bedoni Lo scenario economico di riferimento 9 Giacomo Vaciago Lo scenario socio-culturale di riferimento 15 Enrico Finzi Il futuro delle politiche agricole Il contesto internazionale 23 Stefan Tangermann Il contesto europeo 31 Fabrizio De Filippis Una politica agricola per l Unione Europea Una nuova politica agricola per l Unione Europea 43 Paolo Bedoni La revisione di medio termine ed il futuro della Pac 49 Tavola rotonda Moderatore: Paolo De Castro Corrado Pirzio Biroli 49 Giovanni Anania 52 Eva Rabinowicz 55 Jean-Christophe Bureau 57
3 José María Sumpsi Viñas pag. 60 Dibattito 62 Modelli istituzionali europei per una nuova politica agricola 71 Orazio Maria Petracca Verso la riforma della Pac 76 Rocco Buttiglione L origine dei prodotti Le opinioni degli italiani sull alimentazione 83 Renato Mannheimer Qualità: il consumatore la percepisce? 88 Daniele Tranchini L Autorità europea per la sicurezza alimentare: quali considerazioni per i prodotti tipici italiani 94 Giorgio Calabrese Origine e sanità 99 Paola Testori Coggi Origine e qualità 104 André Valadier Tre storie di successo: il Franciacorta, il Parmigiano Reggiano, la Chianina 109 Claudio Faccoli Andrea Bonati 111 Alessandro Giorgetti 113 Incontro con la filiera Luigi Cremonini (Gruppo Cremonini) 119 Dante Di Dario (Arena Holding) 122 Mario Francese (Euricom) 124 Alfredo Gaetani (Eurolat) 126 Maurizio Gardini (Conserve Italia) 128
4 Luciano Sita (Granarolo) pag. 130 Vincenzo Tassinari (Coop Italia) 132 Alessandro Arioli (Qualitalia) 134 Interventi Ben Gill 137 Jean Michel Lemétayer 140 Helmut Born 143 Roberto Formigoni 147 Giovanni Alemanno 151 Conclusioni Paolo Bedoni 157
5 Apertura dei lavori Paolo Bedoni Ho l onore ed il piacere di aprire i lavori del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione che per il secondo anno la Coldiretti organizza con la collaborazione di Ambrosetti. Ringrazio voi tutti per aver accettato il nostro invito a riprova e testimonianza del prestigio che si è subito conquistata questa iniziativa, nata con il preciso intento di individuare una sede di discussione in cui gli esponenti della filiera agroalimentare, esperti e studiosi di rilievo internazionale e i rappresentanti delle istituzioni potessero incontrarsi e discutere in profondità e con franchezza. Anche quest anno abbiamo la possibilità di ascoltare e discutere con un panel di relatori di grandissimo livello. La prima giornata è orientata sulle politiche agricole all interno degli scenari europei ed internazionali, con uno sguardo più ampio alle tendenze dell economia e della società mondiale nel loro complesso. La seconda giornata sarà dedicata in grande prevalenza al tema che noi consideriamo cruciale: quello dell origine, cioè della valorizzazione economica della territorialità dei prodotti agricoli ed alimentari. Mi riservo più avanti l opportunità di esporre il punto di vista della Coldiretti su questi problemi ma voglio sottolineare che la mia organizzazione è qui soprattutto per ascoltare. Credo di poter dire che abbiamo lavorato molto in questi anni per portare l agricoltura italiana fuori dalle mura della cittadella corporativa nella quale si era lasciata, forse anche volentieri, rinchiudere. Ma quelle mura erano diventate le sue prigioni e c erano tutte le premesse perché ne restasse anche mummificata. Ora la situazione è cambiata di molto, anche grazie a qualche drammatico e salutare scossone. Ora in quelle mura rischiano di restarci imprigionate le istituzioni se non si rendono conto che i tempi del consociativismo sono finiti e che l agricoltura è destinata, nei fatti e nell esperienza di tutti i giorni, a costruire e a dare solidità ad un rapporto di grande lealtà e fiducia con i consumatori e con il mercato. Noi su questo abbiamo lavorato e continueremo a lavorare, Paolo Bedoni è presidente della Coldiretti. Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 7
6 sperando che le istituzioni si decidano ad imboccare, con decisione, la strada del cambiamento delle politiche agricole. Parliamo di istituzioni a tre livelli. A livello europeo, dove si prendono le decisioni che segnano intere epoche e dove bisogna in tutti i modi rafforzare gli orientamenti alla riforma maturati nell ambito della Commissione. A livello nazionale, dove siamo costretti a un pressing continuo con la politica. A livello regionale e di enti locali, dove facciamo fatica a far passare il concetto che la politica agricola può essere un enorme fattore di spinta e di valorizzazione della territorialità. Non voglio naturalmente fare un quadro troppo pessimistico. Voglio tuttavia, fin dall inizio, lanciare un allarme forte sulla difficoltà di un rapporto chiaro, diretto e trasparente con la politica. Difficoltà di fronte alla quale comunque e a maggior ragione dobbiamo avere capacità di proposta e di iniziativa. Per dare forza alla nuova agricoltura abbiamo bisogno di un doppio patto: il patto con il consumatore, che per noi ha assunto, ormai, un valore di riferimento cruciale e il patto tra imprese nella filiera che per noi è ormai una concreta ipotesi di lavoro. 8 Apertura dei lavori
7 Lo scenario economico di riferimento Giacomo Vaciago Che cosa abbiamo appreso nell anno trascorso e quali problemi e opportunità ci attendono per gli anni prossimi? Un anno fa, ci trovammo qui poco dopo la tragedia delle Torri gemelle e c era molto pessimismo. Il paradosso appreso quest anno è che le Torri gemelle si trovavano a New York ma l economia che è andata peggio è stata quella europea, non quella americana. E questo insegna qualcosa. I quindici sono in affanno, discutono molto del passato, l abbiamo visto in proposito del patto di stabilità e sviluppo, forse sbagliato ma un tempo utile. Il problema è come cambiarlo. Il vero dramma europeo degli ultimi dodici mesi è la scarsa capacità che i quindici paesi hanno dimostrato finora di fare, in presenza di problemi comuni, giochi cooperativi, che sono l unica cosa utile quando il problema da affrontare riguarda tutti. Lo abbiamo visto nei confronti del terrorismo. Non ci sono stati due governi su quindici capaci di assumere una posizione unitaria. Alternativamente ci siamo schierati con gli americani o con Saddam Hussein, e il nostro governo non è stato peggio degli altri da questo punto di vista. I quindici non sono stati capaci di riunirsi, discutere e prendere una posizione comune. Lo stesso è accaduto in presenza di shock di natura economica. Il mondo ha subìto una serie di shock negativi e comuni, poiché le due Torri, il caso Enron, l Argentina, per citare tre shock negativi dell ultimo anno, hanno coinvolto l economia mondiale. Il problema è capire quale struttura economica si ha e quanto essa è flessibile per accomodare questi shock. Il caso dell auto è un buon esempio: crisi della Fiat. Crisi a tutti nota da anni, non è necessario aspettare una dichiarazione del Consiglio di Amministrazione di Fiat Auto. Negli ultimi quattro anni noi italiani Giacomo Vaciago è professore di Politica economica all Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Economia. Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 9
8 abbiamo acquistato Bmw, Mercedes, Volvo, Audi eccetera. Il paradosso è che non ci rendiamo conto della portata dei nostri comportamenti finché non arrivano a fare notizia; eppure, per definizione, la domanda di automobili italiane negli ultimi quattro anni l hanno decisa gli italiani. È da notare che negli stessi giorni in cui si discuteva su come possa un paese come l Italia rinunciare alla propria industria, uscivano i dati sulla produzione di automobili in Inghilterra, che ha rinunciato ad avere un industria nazionale e si sta specializzando nella produzione delle migliori auto del mondo: proprio Bmw, Audi, Honda, eccetera. E questo la dice lunga sulla diversa capacità di reazione dei paesi. Gli shock arrivano e non li decidiamo noi, il problema non è nemmeno l attacco o l incidente bensì la capacità del paese di reagire e di andare avanti e, quando i problemi sono comuni, la capacità di cooperare. Dalla recente tragedia di Mosca, Putin potrebbe imparare che il terrorismo non è nemico di un paese solo, è nemico di tutti noi ed è inutile dividerci di fronte allo stesso problema. I sistemi economici che negli ultimi anni hanno reagito meglio agli shock sono i più flessibili, sono i sistemi in cui vale la regola: vinca il migliore. Il migliore si adatta e vince ed è una specie che dura nel tempo. Mentre va in crisi la Fiat, va bene la Ferrari che punta sulla qualità, e il nostro sistema è capace di gestire e vincere se fa queste scelte. Bisogna riflettere sull atteggiamento dei governi, che tendono a difendere le debolezze di ciascun paese anziché i punti di forza. Se a Bruxelles ogni paese protegge i suoi punti di debolezza, l Europa che costruiamo non sarà il sogno, il meglio di ogni paese, bensì l incubo, il peggio di ogni paese. L abbiamo già visto tante volte nella storia: l Europa è già stata tante volte il meglio o il peggio di ogni paese, e in quest ultimo caso bisogna scappare o sperare che arrivino gli americani. Mentre il mercato tende a far vincere il migliore, cioè seleziona il meglio; i governi, spesso e volentieri, difendendo interessi nazionali e non potendo difendere il meglio, finiscono col difendere il peggio. Vorrei tuttavia sottolineare che molti shock verificatisi negli ultimi anni li abbiamo già superati. Il futuro non è più così dipendente dagli shock finora avvenuti. Per inciso, nel 2002, l anno che stiamo terminando, lo shock maggiore che ha subìto l Italia non è stato provocato dalle due Torri, dall Argentina o l Enron, ma piuttosto dalla confusione generata dai nuovi prezzi entrati in vigore il primo gennaio con l euro. Le conseguenze del change-over sull inflazione percepita e sull ignoranza dei prezzi nuovi hanno determinato una caduta dei consumi molto forte nei dodici paesi, e solo in essi. Non ad esempio in Inghilterra, Danimarca o Svezia, che a differenza dei dodici non 10 Lo scenario economico di riferimento
9 hanno avuto il change-over. Si è diffuso una sorta di panico collettivo, la paura dell inflazione, proprio l anno in cui l inflazione è rimasta tutto sommato modesta, o si è addirittura ridotta, come in Germania. Tutti hanno saputo che il cetriolo è aumentato del 400%, magari non lo hanno nemmeno acquistato ma sapevano che il prezzo era esploso e che quindi l inflazione stava arricchendo i bottegai e impoverendo le famiglie. Se fosse vero che quest enorme aumento dell inflazione, pensato dalle famiglie italiane, è andato a beneficio dei commercianti, dovremmo avere tanti amici lattai e panettieri che girano in Ferrari. In realtà, stanno scomparendo dalle nostre tasche l uno e i due centesimi, l arrotondamento è ai cinque, ai dieci centesimi, e ciò, sul totale della spesa, porta a un paio di punti di inflazione una tantum. Non si continua ogni anno ad arrotondare. Il change-over è stato un successo tecnico incredibile: in due giorni le lire sono effettivamente sparite. Gli arrotondamenti sono proseguiti per un po : un caffè con la brioche, che si pagava inizialmente 1,85, è arrivato a due euro, è questo il fenomeno che abbiamo misurato. I consumatori italiani, come i tedeschi, i francesi, gli spagnoli eccetera, hanno ridotto i consumi: è la recessione da change-over che ha un unica caratteristica positiva: dura solo l anno in cui entrano in funzione la moneta e, soprattutto, i nuovi prezzi. Se le Borse adesso vanno male è perché vogliono sapere chi vincerà fra Bush e Saddam Hussein. Non c entra più nulla la bolla speculativa, la new economy, la tecnologia; quella storia, in due anni, è abbondantemente risolta. Naturalmente le previsioni danno per vincente Bush: nessuno ha scritto che vincerà Saddam Hussein e governerà a Washington nel futuro. C è tuttavia molta incertezza su cosa accadrà nel frattempo: le Borse e il petrolio rappresentano l incertezza non sull esito finale dello scontro con l Iraq, ma sul processo di transizione, sui tempi e sui costi della lotta al terrorismo. Anche per le imprese industriali nel G6 il peggio è passato, il recupero è in corso e adesso abbiamo un aspettativa di economia che migliora. Se guardiamo al prodotto interno lordo, nell arco dell ultimo anno, il crollo è evidente, ma in termini di tassi di crescita il rimbalzo è già partito: in America prima, in Europa dopo. In questi mesi di fine 2002, l andamento non è più in calo e stiamo iniziando a ripartire. Confrontando la situazione italiana ed europea, l Italia va un pochino peggio, ma anche nel caso dell Italia la ripresa c è. Il 2003 potrebbe essere, indipendentemente dal merito della politica del nostro Governo nei prossimi mesi, già un anno di ripresa. Una crescita del 2% del Pil l anno prossimo, nel 2003, non è impossibile, anzi, è probabile se la crisi Iraq è risolta presto e bene! Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 11
10 Per quanto concerne altri shock, stiamo ancora pagando l aggiustamento sul prezzo del petrolio, che era crollato nel corso degli anni 90. Ora è risalito, e rimane più alto di quanto dovrebbe, solo per effetto della tensione militare, ma il suo prezzo di equilibrio dovrebbe essere tra i 20 e i 25 dollari. È un buon termometro delle aspettative sulla guerra e i suoi esiti iniziali nel corso dei prossimi mesi. Petrolio a parte, i prezzi delle altre materie prime, quelle non energetiche, rimangono ai minimi storici. Sono lievemente risaliti nel corso del 2002, ma restano di un 30% inferiori ai prezzi di qualche anno fa. In questo caso, c è stato un miglioramento delle ragioni di scambio e quindi un aumento di reddito reale per i paesi, come il nostro, importatori di materie prime. Stiamo meglio rispetto agli anni precedenti, rispetto alla metà degli anni 90. È certamente positivo, per le nostre esportazioni, anche il fatto che l euro, la nostra moneta, rimane significativamente più bassa di quanto era l euro virtuale, prima della sua nascita, nel corso degli anni 90, rispetto al dollaro. La forza dell economia americana continua ad essere riflessa nel valore della sua moneta, più significativo rispetto al passato. Il riequilibrio del rapporto dollaro/euro nel corso del 2002 è modesto. Non siamo mai riusciti a recuperare valori comparabili a quelli degli anni 90, quando l economia americana non aveva ancora manifestato tutta la potenza, la forza degli ultimi anni. Sui tassi di interesse, è chiaro che continuiamo a godere di tassi di interesse ai minimi storici, buona notizia per i settori indebitati: l ingresso della lira nell euro ci ha fatto importare in questo paese i tassi d interesse tedeschi. Non abbiamo ancora visto i benefici dell euro in termini di guadagno di produttività e di reddito, che dovremo, prima o poi, osservare. Non è ancora così e non lo è stato negli ultimi anni. I paesi uniti dall euro, i 12, non stanno crescendo più dei paesi rimasti fuori. Non sarà semplice convincere gli inglesi, gli svedesi o i danesi a entrare nell euro, fintanto che i loro tassi di crescita sono maggiori dei nostri e l euro rappresenta più un elemento di frustrazione che un fattore di maggior crescita. Intanto, se non altro beneficiamo dei bassi tassi di interesse che ci ha procurato l ingresso alla pari con una moneta tradizionalmente forte come il marco. Da alcune indagini risulta che nel 2002 chi va a far la spesa ritiene che l inflazione sia enormemente più alta di quella definita dall Istat. È stato un anno di incredibile perdita di reputazione degli Istituti che costruiscono le statistiche sull inflazione, e ciò vale per la Germania e per l Italia più che per gli altri dieci paesi. Negli ultimi anni, se veniva chiesto ai cittadini quanto pensassero fosse l inflazione, la risposta corrispondeva più o meno ai dati pubblicati sui giornali. Un anno fa, 12 Lo scenario economico di riferimento
11 ancora, un italiano avrebbe risposto quel due, due e mezzo che anche l Istat indicava. Nel 2002, per la prima volta da quando ci sono queste statistiche, gli italiani alla domanda: quanto pensi che sia l inflazione? Hanno risposto tutti molto di più di quanto indicato dall Istat. Tale opinione è stata manifestata in tutti e dodici i paesi ma in particolare in Italia e in Germania, dove non a caso i consumi sono scesi di più. Questo è quello che io chiamo la confusione da change-over, che non è necessariamente arricchimento dei bottegai: è la percezione, diffusa, che l inflazione sia andata alle stelle, per un fenomeno in parte legato alla scarsa dimestichezza con i nuovi prezzi. Abbiamo fatto delle stime sull Inghilterra nel 1971, quando avvenne il passaggio dalla moneta sterlina, divisa in scellini e pennies, alla moneta in cento pennies, cioè alla decimalizzazione. In quell anno i prezzi furono tutti modificati nei negozi e per due trimestri i consumi caddero, perché la gente non aveva ancora dimestichezza con i nuovi prezzi e riteneva che i bottegai fossero ladri. L opinione che i bottegai siano ladri è diffusa da sempre, e non si capisce quindi perché dovrebbero esserlo stati solo nel L unica cosa positiva è che tale fenomeno finisce, cioè non è permanente. Sia gli arrotondamenti sia la sensazione di essere alla mercé dei bottegai sono un fenomeno dell anno in cui il changeover si manifesta e ciò fa pensare che l anno prossimo si torna alla normalità, una volta appresi i nuovi prezzi. In anni passati, chi entrava nei supermarket, con l elenco della spesa, spesso usciva con tre o quattro prodotti in più. Quest anno, da alcune ricerche risulta che la gente esce con due o tre prodotti in meno di quelli segnati sulla lista, perché non si convince del prezzo e si riserva di comprarli la volta successiva. Tale comportamento spiega un punto e mezzo di crescita mancata, nel È l anno in cui, più che per la Borsa o l Argentina, noi abbiamo sofferto da confusione dei prezzi. La buona notizia è che questo shock, il change-over, avviene una sola volta nella vita, perché non cambieremo più moneta; e prima di adottare il dollaro ci vorrà ancora qualche anno In conclusione, un accenno allo shock, per ora ancora potenziale, che ci arriverà nei prossimi anni, quando da quindici diventeremo venticinque in Europa. E qui posso subito consolarvi. Ho visto già alcune ricerche - perché, come al solito, dopo aver preso le decisioni si iniziano a fare le ricerche - e, avendo stabilito l ampliamento da 15 a 25, adesso qualcuno incomincia a studiare se ci guadagniamo o ci perdiamo. Nel numero appena uscito della rivista The International Spectator (il n.4, vol.xxxvii) sono stati pubblicati due articoli sulle conseguenze per l Italia dell arrivo di dieci paesi agricoli, come sono i dieci che si aggiungono a noi. Gli autori, Lorenzo Bini Smaghi, che è un di- Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 13
12 rigente del Ministero del Tesoro, e Ludovica Rizzotti, del Dipartimento affari economici alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno entrambi pubblicato due studi, dai quali risulta che ci va bene. L ampliamento aggiunge al Pil mezzo punto di crescita all anno per l economia italiana, perché entrano paesi che ci faranno risparmiare la produzione di prodotti agricoli di basso costo (li fanno loro, per noi, a prezzo molto più basso di quanto faremmo noi) e, in compenso, man mano che loro crescono, noi esporteremo a loro molti più prodotti di valore, come le Ferrari. È probabile che, entrando poveri, di Ferrari all inizio ne acquistino poche, ma in seguito, man mano che noi compriamo i loro prodotti agricoli, con grande risparmio per noi, e loro crescono, potremo vendergli, in cambio, le Ferrari che siamo molto bravi a fare. I risultati di questi lavori, sia della Rizzotti che di Bini Smaghi, ci dicono che i benefici sono maggiori dei costi, quindi non abbiamo sbagliato a decidere questo ampliamento. Meglio così, poiché l avevamo già deciso e scoprire che ci conviene e, in particolare, che avremo mezzo punto in più di crescita, fa sempre piacere. Si riducono i fondi strutturali, probabilmente caleranno i sussidi alla nostra agricoltura a favore di paesi quali la Polonia, la Romania, l Ungheria; ma quel che conviene a loro prima o poi conviene anche a noi, giacché diventano nostri partner in Europa. In conclusione, anche questo shock, che qualcuno vive con timore, sarà in realtà benefico per l Italia. 14 Lo scenario economico di riferimento
13 Lo scenario socio-culturale di riferimento Enrico Finzi Se consideriamo la congiuntura attuale, in Italia e in gran parte dei paesi europei, dal punto di vista della popolazione le cose vanno male. In particolare, per quanto riguarda l Italia, il sentiment, termine tecnico che indica il grado di ottimismo o di pessimismo degli italiani, è tornato ai livelli del 1993 e cioè dell anno più cupo, dell unica vera recessione che abbiamo avuto nel dopoguerra. La storia del sentiment dell ultimo anno ci dà delle indicazioni preziose circa la percezione della realtà, ed è una percezione negativa. Gli italiani sono tradizionalmente uno dei popoli più ottimisti al mondo. Se si chiede ad un campione rappresentativo di italiani come ritiene che andranno per loro le cose nel prossimo anno, le modalità di risposta possibili sono cinque: 1) molto meglio, 2) un po meglio, 3) circa uguale, 4) un po peggio, 5) molto peggio; e a coloro che dicono circa uguale si pone una seconda domanda, cercando di appurare se vogliano intendere: bene, così, così o male. Vengono considerati ottimisti coloro che dicono: andrà un po meglio o andrà molto meglio, o ancora andrà bene come adesso, che in fondo è un indicatore di soddisfazione. Gli italiani ottimisti, tradizionalmente, hanno una percentuale media, normalizzata nel lungo periodo, pari al 63%. Soltanto i greci, anche quando hanno poco da esser contenti - ma, ripeto, non è un problema di realtà è un problema di percezione - gli spagnoli e, adesso, i portoghesi hanno in Europa livelli stabili di questo tipo. La vittoria della Casa delle libertà, senza entrare nel merito politico, che era stata basata su una comunicazione reiterata e semplice - ci sarà un forte sviluppo, ci saranno meno vincoli burocratici, aumenteremo le pensioni a tanti anziani e abbasseremo le tasse - aveva comportato un aumento di ottimismo, registrato a fine luglio, fino al 68%. Ciò significa che Berlusconi è valso cinque punti percentuali, che non sono pochi. Enrico Finzi, sociologo, è presidente di Astra Demoskopea. Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 15
14 Raramente gli individui hanno un influenza significativa, eppure questo è stato l effetto dell ottimismo che ha coinvolto, seppur in piccola misura, anche una parte di coloro che non lo avevano votato. Poi si è verificata la catastrofe dell 11 di settembre. All inizio di ottobre dello scorso anno, gli italiani convinti che sarebbe andata un po meglio o molto meglio, o bene come adesso, erano scesi al 24%; calo normale dopo un evento di questo tipo ed effetto, soprattutto, della paura di ciò che sarebbe potuto accadere. In quel momento, infatti, facilmente archiviata dagli italiani la tragedia dell 11 di settembre, che si è svolta comunque negli Stati Uniti, la paura era dettata dall antrace, il vaiolo, le bombe continuamente annunciate che avrebbero dovuto desertificare San Pietro, il Duomo di Milano o il Duomo romanico di Crema. Così l ottimismo degli italiani era caduto a livelli infimi, come in tutti gli altri paesi. Tuttavia, il risultato di una ricerca che si è conclusa il 18 dicembre - adesso ne conduciamo mensilmente - mostrava che gli italiani, prima del Natale scorso, erano tornati esattamente al livello di luglio, dimostrando quella che gli psichiatri chiamano ciclotimicità. Siamo un popolo che quando si deprime ritorna facilmente in fase di euforia. È sufficiente che un calciatore segni tre goal per tre domeniche consecutive per essere considerato un mago e che, viceversa, abbia tre défaillances, per essere considerato un brocco. Insomma, se qualche volta ci deprimiamo, rapidamente torniamo a galla. È accaduto anche altro: l ottimismo alla fine di gennaio è ulteriormente salito, raggiungendo la soglia straordinaria del 71%, e ciò perché gli italiani hanno preso bene l euro, hanno trovato belle le monete; la moderna distribuzione ha fatto straordinariamente la parte che avrebbero dovuto fare le banche, e tutti si sono divertiti. Solo al sud l effetto positivo si è registrato con ritardo, poiché la tradizionale sfiducia nei confronti dell autorità faceva temere che si potesse tornare indietro, ma alla fine tutti si sono convinti. In seguito è cominciato a circolare un senso di perdita di controllo, che uno psicologo sociale, il professor Paolo Legrenzi, aveva previsto in un aureo libretto dal titolo L euro in tasca, la lira nella mente e altre storie, poiché ci vogliono anni prima di fare il nostro personale change-over. Infine, siamo entrati in una fase di progressiva depressione, mese dopo mese: l ultima rilevazione, fatta a fine settembre, indica che i positivi ottimisti sono scesi al 48%, in minoranza. Dal 71% di fine gennaio al 48% di fine settembre. Per quanto gli italiani ci aggiungano del loro - siamo, lo ribadisco, più rapidi nella ripresa e più tragici nella drammatizzazione dei fenomeni - da un punto di vista congiunturale, in genere, la situazione è questa. L opinione pubblica, lo mostra anche l eurobarometro, è piuttosto depressa. La percezione dell aumento dei prezzi in Italia è superiore che altrove 16 Lo scenario socio-culturale di riferimento
15 ed è sicuramente sovrastimata rispetto all effettiva inflazione. Si può discutere sull inflazione come fenomeno personale o di gruppo, e non di massa, perché effettivamente ciascuno ha la propria inflazione; e non vi è dubbio che i gruppi sociali medio, medio-alti e alti, hanno avuto una loro inflazione più elevata, cosa che incide molto sulla percezione dei fenomeni, anche dal punto di vista dei produttori e dei commercianti. Di fatto, indipendentemente dai risultati, siamo in un momento di relativa depressione, o meglio di incertezza, perché quando ci si poteva riprendere, l annuncio di una possibile guerra e i nuovi episodi di terrorismo sono stati uno stillicidio, enfatizzato dai mass media. Secondo un analisi di tipo congiunturale, si può quindi concludere che siamo in un brutto momento, in un momento sostanzialmente peggiore di quello dell anno scorso, quando ci trovammo in questa stessa sede. Ma invito a non cadere nella depressione che stiamo analizzando. In primo luogo, come già sottolineato, per la rapida capacità di ripresa di cui sono capaci gli italiani. In secondo luogo, perché, effettivamente, molti elementi lasciano pensare che ci sia un disturbo transitorio. La percezione dell aumento dei prezzi tenderà a diminuire. La delusione di chi non ha visto l abbattimento della pressione fiscale eccetera, che ha messo in difficoltà il Governo, è una delusione che tende poi ad essere limite a sé stessa e, tra l altro, non si traduce in un maggior beneficio per l opposizione ma crea solo un malumore che, per adesso, non altera gli equilibri politici. Insomma, il nostro paese ha bisogno di un minimo segnale di ripresa per avere un recupero sovradimensionato, esattamente all opposto dei più razionali paesi anglosassoni. Non sarei quindi così pessimista, al contrario: la crisi è stata così forte, e in modo forse non giustificato dagli eventi, che, tranne nel caso in cui dovessero verificarsi una serie di episodi terroristici a scacchiera e una crisi in Iraq, da cui gli Stati Uniti non riuscissero a tirarsi fuori rapidamente, molto lascia pensare che archivieremo il 2002 come un anno negativo sì, ma solo transitoriamente negativo. Vorrei invece porre l accento su altri due fenomeni, che considero più importanti perché strutturali. Il primo è una notizia. I giornali tendono a considerare notizia cose che in realtà sono frutto di crescita di lungo periodo e che avvengono un po alla volta. Si tratta di questo: il gap, lo storico cultural gap, il divario culturale tra l Italia e i paesi più avanzati europei si è colmato. E si è colmato esattamente all inizio di quest anno. Il divario culturale - che ovviamente nulla ha a che fare con i titoli di studio ma si riferisce ai valori, ai modelli di comportamento, agli stili di vita - aggravato dalla presenza di una consistente disuguaglianza sociale, di una frammentazione del nostro paese, è stato fortissimo. Di più: il dopoguerra è stato, in qualche modo, connotato da uno sviluppo economico, e successivamente anche sociale, che è corso molto più veloce di Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 17
16 quanto potessero correre le coscienze. Non bisogna dare troppo peso a fattori di apparenza esterna, come la lunghezza delle gonne, grazie a Mary Quant che ha segnato il 68 insieme ai Beatles. In realtà, il modo di concepire la sessualità, la coppia, la famiglia, l educazione dei figli, il lavoro, il tempo libero eccetera, cioè quello che noi chiamiamo cultura ; ovvero il modo in cui ci atteggiamo come individui, come gruppi sociali, come paesi nei confronti del reale; il modo in cui pensiamo le cose, prima ancora di averle, possederle, consumarle, è essenziale, ma è anche lento a modificarsi, fortemente legato a tradizioni antiche. Ebbene, l Italia ha corso molto, e anche confusamente, qualche volta mal guidata, e solo all inizio di quest anno si è creato un momento magico, quello dell ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, richiamando l attenzione su tutta l acqua di cui il vaso era colmo; solo quest anno l Italia può dire di aver raggiunto il gruppo dei paesi più avanzati - i paesi scandinavi, Danimarca inclusa, l Olanda, lascerei stare il Belgio, il nord della Francia ma non il sud della Francia, la Germania, la Gran Bretagna, la Scozia, adesso anche l Irlanda, seppure non il Galles e la Cornovaglia - l insieme dei paesi che, semplificando, chiamiamo anglosassoni. È come se fosse stata una corsa ciclistica, che ho avuto l avventura e il privilegio di seguire, insieme a qualche collega: il nostro paese, che era molto lontano dal resto dell Europa, più nelle teste e nei cuori che non nel portafoglio, nelle strutture produttive, nella stessa produttività e competitività - che pure tante volte lamentiamo insufficiente -, si è allontanato velocemente dal gruppo dei paesi arretrati, al fondo del quale si trovava fino alla seconda guerra mondiale, inseguito solo, ma più tardivamente, dalla Spagna e, da pochissimo, dal Portogallo; ha lasciato il gruppo dei paesi di coda e, con una solitaria straordinaria rincorsa, vorrei sottolinearlo con una punta di orgoglio nazionale, ha raggiunto, senza grandi differenze, pur essendoci ovvie differenze interne, il gruppo dei paesi di testa. È importante comprendere che oramai la nostra società, nei suoi valori, nei suoi stili di vita e nei suoi modelli di consumo, ha elementi di differenziazione molto più bassi di un tempo, quasi nulli, al di là di piccole differenze, di cui una, peraltro, proprio su base agricola: si citano continuamente l area del burro e l area della margarina, che tuttavia fanno parte del modello. Il modello cioè prevede che ci siano anche forti differenze di gusti nazionali, che vanno difese, e il Ministro Alemanno lo fa con piglio forte: la pasta di grano duro, il parmigiano, e non il Parmesan, il prosciutto di Parma vero, e non il Parma Ham, imitazioni contro cui molti, di destra e di sinistra, fanno bene a battersi. Non c è da scommettere sul residuo di arretratezza dell Italia, si può invece scommettere sul fatto che, per usare una vecchia battuta dell avvocato Agnelli, sostanzialmente abbiamo passato le Alpi. Non si tratta, 18 Lo scenario socio-culturale di riferimento
17 inoltre, di una colonizzazione da parte di altri paesi ma di una reale diminuzione dei divari, che ci rende tutti più simili; sono del resto presenti anche elementi di mediterraneizzazione, per esempio negli stili alimentari dei paesi centro-nord europei. La diminuzione dei divari consente di accedere ad un area che, anche culturalmente seppure non linguisticamente, ha elementi di maggiore coerenza. Uno dei risultati più straordinari, e assolutamente imprevisti, di questa riduzione a livelli minimi del divario culturale tra il nostro ed altri paesi, riguarda la totale rilegittimazione dell agricoltura. È un punto che non è mai stato sollevato e che mi vanto di aver potuto studiare. Gli italiani avevano abbandonato l agricoltura perché quest ultima, nel vissuto collettivo, era stata identificata con la miseria plurisecolare. Il nostro paese ha conosciuto flussi migratori straordinari, a partire dagli anni 50, sulla direttrice da sud a nord, ma anche da est a ovest, come fuga dalle campagne. E non è vero che fosse solo l attrazione esercitata dalla città; era, lo sottolineo, fuga dalla campagna, era fuga dalla miseria o dalla bassa redditività, anche per i piccoli proprietari. Era la volontà di chiudere con un passato, forse eroico ma miserabile. L agricoltura era pensata in modo stereotipato come povertà, arretratezza, sporcizia, tristezza ed assenza di benessere. Questa è la verità che bisogna riconoscere e che ha penalizzato fortemente il settore. Gli italiani non hanno voluto più pensare all agricoltura, non a caso nel censimento del 1901 su 100 partecipanti alla forza lavoro, 43 erano impiegati in agricoltura, foreste e miniere, mentre oggi siamo al di sotto del 7%. Ebbene, la rivoluzione culturale, che si è determinata di recente, ha comportato uno straordinario recupero d immagine dell agricoltura e della produzione agricola, per cinque motivi. Primo: perché questa è un immagine relativa, come tutte le immagini, dunque va rapportata alle immagini di altri settori. L industria è in crisi: basti pensare all enorme valore simbolico della crisi della Fiat. Il 70% degli italiani non segue la politica e ha poche notizie semplificate sull economia. Il fatto che vada in crisi un intero settore, come quello chimico, o che quello farmaceutico sia stato acquisito tutto dall estero, quasi non fa notizia, mentre la Fiat, che ha accompagnato la crescita dei consumi, è parte dell immaginario collettivo. L industria, di cui continuiamo a dire che perde competitività, non gode di una buona immagine sulla stampa. La crisi della new economy, giusta o no che sia, è diventata crisi del terziario per una curiosa identificazione tra i servizi e la new economy. Conclusione: caduta d immagine dell industria e anche dei servizi, probabilmente non ulteriormente espandibili, e recupero dell agricoltura. Secondo: ci sono voluti quasi cinquant anni, ma l agricoltura oggi non è più identificata con la miseria e con la povertà. Basti citare un da- Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 19
18 to: nelle province dell Emilia Romagna, che ho avuto occasione di studiare, il numero di videoregistratori per famiglia è più elevato tra gli addetti del settore primario che tra gli addetti dell industria. Questo per dire che la miserabilità delle campagne non c è più. Finalmente viene compreso e riconosciuto il ruolo di un agricoltura moderna. Terzo: il recupero della campagna. Di fronte a gravi disagi - quali inquinamento, traffico, bassa qualità della vita, criminalità, a volte più percepita che reale, ma a volte reale - la campagna, in genere nei centri minori, acquisisce un di più, un valore aggiunto che conta a suo favore. Quarto: la campagna come identità, come tradizione. È difficile costruire italianità con Microsoft o altre cose di questo genere, è invece possibile con i prodotti delle nostre tradizioni locali, oramai accessibili anche al di fuori delle culture locali, ed è questo l elemento di modernizzazione. Tali aspetti enfatizzano il nostro pieno ingresso in Europa, non solo economico, sociale, organizzativo, istituzionale, ma anche di testa e di cuore. L agricoltura gioca un ruolo identificativo delle nostre radici di mercato, è presente nell esperienza, nel consumo, come nessun altro settore, anche grazie, come ricordavo, ad una certa decadenza, forse esagerata, dell immagine dell industria nel vissuto collettivo e ad un certo inevitabile anonimato del terziario. Il quinto ed ultimo elemento che contribuisce a spiegare questo straordinario recupero dell agricoltura ha a che fare con la scolarizzazione degli addetti. Fino a non molto tempo fa gli addetti all agricoltura, quando venivano intervistati, sembravano rappresentanti dell Italia passata. Oggi aiuta moltissimo il fatto che, seppure in maniera tardiva, chi parla di campagna non sia più considerato una variante dello stereotipo del vecchio contadino con il cappello tenuto al petto, incapace di esprimersi; e non sia più, in qualche modo, un contadino, bensì un lavoratore moderno, di un settore moderno. Nel mercato si verifica che la gente apprezza di più la produzione italiana, è disposta a pagare per la produzione italiana, e dà un beneficio di prezzo legato sostanzialmente al valore percepito, a condizione che vengano garantite tre cose: oltre alle due più note, qualità e sicurezza, anche un terzo elemento che si chiama orgoglio e che oggi si può far valere, mentre ieri, nella grande fuga dal nostro passato millenario di povertà agricola non era possibile. Oggi è infatti possibile, per il settore agricolo, comparire in ogni sede con l orgoglio di una redditività eccezionalmente cresciuta - la produttività dell agricoltura, anche perché la base di partenza era bassa, è cresciuta molto di più di quella dell industria - con l orgoglio di fare un mestiere socialmente legittimato e riconosciuto, con l orgoglio di poter dare un contributo a quel riposizionamento verso l alto delle produzioni italiane nel mercato interno e in Europa. 20 Lo scenario socio-culturale di riferimento
19 IL FUTURO DELLE POLITICHE AGRICOLE
20 Il contesto internazionale Stefan Tangermann Quest anno, in qualità di Direttore per l Agricoltura dell Ocse, mi è stato affidato il compito di illustrarvi il contesto internazionale delle politiche agricole. Nel farlo, vorrei dapprima descrivere alcune tendenze del mondo agricolo nei paesi Ocse, alla luce delle quali si potrà dedurre l assoluta necessità di riforme. Illustrerò inoltre i benefici delle riforme della politica agricola in generale nei paesi Ocse, alcuni recenti sviluppi delle politiche negli Stati Uniti e nell Unione Europea, il contesto generale in seno all Organizzazione Mondiale per il Commercio e, infine, alcune conclusioni. Cominciamo quindi con le tendenze in materia di politica per l agricoltura nei 30 paesi Ocse, che fondamentalmente corrispondono ai 30 paesi più ricchi del mondo. La nostra sensazione è che in questi paesi il livello di sostegno garantito all agricoltura sia tuttora molto elevato. La maggior parte del sostegno viene erogato direttamente ai produttori anziché essere utilizzato per le infrastrutture o per altre misure analoghe. Di tale sostegno, la gran parte incide direttamente sulla produzione, risultando distorsivo per il commercio. Il sostegno è inoltre distribuito in maniera assai diseguale tra i vari prodotti e quindi distorce la struttura della produzione in seno alla stessa agricoltura. A supporto di tali affermazioni, vorrei citare qualche dato: nel 2001, il sostegno complessivo nei 30 paesi Ocse era equivalente a 311 miliardi di dollari Usa, o quasi 350 miliardi di euro, pari all 1,3% del Pil complessivo. Se si confronta questo dato con il peso dell agricoltura nella composizione del Pil, che è nell ordine del 2,5%, ci si rende conto che il sostegno è decisamente elevato. Il dato del sostegno espresso come percentuale del Pil complessivo è inferiore oggi rispetto alla metà degli anni Ottanta, quando era pari al 2,3%. L attuale 1,3% del Pil è comunque un ammontare significativo. La maggior parte di questo sostegno, come accennavo, finisce diretta- Stefan Tangermann è professore di Economia dei mercati agricoli alla Georg-August Universität di Göttingen ed è direttore dell Ocse per l Alimentazione, l agricoltura e la pesca. Atti del Forum Internazionale dell Agricoltura e dell Alimentazione 23
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