Cesare Bonezzi Michelangelo ASPETTI DI FISIOPATOLOGIA E TERAPIA DEL DOLORE

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1 Cesare Bonezzi Michelangelo BUONOCORE ASPETTI DI FISIOPATOLOGIA E TERAPIA DEL DOLORE

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3 Michelangelo BUONOCORE Michelangelo Cesare BUONOCORE BONEzzi Michelangelo Cesare BUONOCORE Bonezzi Cesare B ASP FISIOPATO ASPETTI DI E TE FISIOPATOLOGIA DEL D E TERAPIA DEL DOLORE CORSO ECM-FAD Progetto di Formazione a Distanza Responsabile Scientifico Cesare Bonezzi Direttore Unità di Ricerca in Fisiopatologia e terapia del dolore - Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS Pavia Tutor Michelangelo Buonocore Servizio di Neurofisiopatologia del Dolore IRCCS Fondazione Maugeri Pavia Per partecipare alla FAD collegarsi al sito:...-fad.it dall 01/09/2013 al 31/12/2013

4 Copyright 2013 Momento Medico S.r.l. 11ED /13 Tutti i diritti di traduzione, riproduzione, adattamento parziale o totale con qualsiasi mezzo (compresi microfilms, copie fotostatiche o xerografiche) sono riservati

5 Indice 1. Il dolore: aspetti generali e classificazioni 5 2. Meccanismi della sensibilizzazione periferica Genesi ectopica degli impulsi Meccanismi della sensibilizzazione centrale La terapia combinata nel trattamento del dolore cronico 43

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7 1 Il Dolore: Aspetti Generali e Classificazioni Cesare Bonezzi L Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore come un esperienza spiacevole, sensoriale ed emozionale, correlata con un danno tissutale o descritta in tali termini (Merskey 1994). Nella definizione vi sono due parole che noi riteniamo essenziali: l esperienza come ultimo atto della nocicezione, e il danno come primo fattore responsabile. Nella lingua greca antica la parola esperienza era indicata con ε μπειρι α (empeirìa), composta da ε υ, η υ (in, all interno) e πει ρα (prova) volendo significare che con l esperienza il soggetto è in grado di saggiare all interno la realtà. Ma nella filosofia della scienza l esperienza è il fondamento delle osservazioni scientifiche basate sulle sensate esperienze e sulle dimostrazioni necessarie. Il dolore provato è una esperienza e costruisce l esperienza per l interpretazione di ogni altro dolore provato successivamente. Il danno sta ad indicare che il dolore ha una sua origine in una lesione del nostro corpo che, a sua volta, è in grado di generare meccanismi patogenetici. Nella pratica clinica quotidiana moltissime malattie sono accompagnate da dolore, sia come sintomo marginale del quadro clinico, sia come elemento dominante. In questa confusa quantità, come è possibile costruire una classificazione del dolore se non partendo dal danno? Quando ci si riferisce ad una possibile classificazione del dolore, acuto e cronico che sia, si pensa ad un elenco di patologie di varia eziologia e appartenenza (presenti nelle varie discipline medico-chiurgiche), che ovviamente sono caratterizzate dalla presenza di dolore. La mancanza di una classificazione del dolore come malattia a sé stante costituisce sicuramente un freno al progredire del sapere clinico ed epidemiologico in ambito sanitario. A tale proposito J.J. Bonica (1990) ha commentato la situazione della scienza che si occupa di dolore con l espressione una moderna torre di Babele. In effetti manca ancor oggi un linguaggio condiviso e una classificazione del dolore come malattia che tenga conto della sua eziologia, della sua patogenesi ed ovviamente del quadro clinico che determina e caratterizza. Nella letteratura troviamo molti tentativi di classificazione del dolore in base alle discipline mediche (neurologia, reumatologia, ortopedia ecc.), alla malattia di base (neoplasia ecc.) o alla diversa sede della malattia stessa, al tessuto interessato (articolazioni, muscoli ecc.), alla durata del dolore. Un interessante sforzo si sta osservando in questi ultimi tempi con il tentativo di una classificazione basata sul meccanismo patogenetico che sottende al dolore dichiarato da un paziente. In particolare riteniamo importante chiarire alcune di queste classificazioni e di capire quali implicazioni possano avere nella pratica clinica. 1. In base alla durata del dolore Molto spesso si sente definire (e diagnosticare) il dolore di un paziente con il termine cronico non solo perché l anamnesi dimostra la sua lunga durata (cronico deriva dal greco Kronos, che significa di lunga durata ) ma per attribuirgli un valore

8 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 6 fisiopatologico. Arricchito di questo termine, il dolore diviene una sindrome clinica ovvero una realtà complessa e difficilmente curabile. Vediamo in particolare cosa si intende per dolore acuto e dolore cronico. Dolore acuto. Si divide in fisiologico e patologico. Il dolore acuto fisiologico è sempre evocato, ovvero causato da uno stimolo che deve essere sovra-soglia ovvero di intensità sufficiente a generare nei nocicettori tissutali un potenziale d azione, senza provocare un danno tissutale. La stimolazione dei recettori è transitoria. Ne è un esempio lo stimolo termico caldo. Ha la funzione di allerta (scopo preventivo) e genera sempre una risposta riflessa che ha lo scopo di impedire il verificarsi di un danno tissutale. Dura in genere pochi secondi ed è di intensità proporzionale alla causa che lo ha generato. Il dolore acuto patologico è invece causato da un danno tissutale che si mantiene per un tempo breve (ore o giorni). Il dolore acuto può essere spontaneo ed evocato da uno stimolo non necessariamente doloroso. Scompare con la guarigione del danno tissutale ed ha uno scopo protettivo in quanto avverte il paziente della presenza del danno e induce ad accertamenti medici. Si pensi ad una ferita, ad una ustione, ad un ascesso dentale. Dolore cronico (sempre patologico). Il dolore che continua per giorni o settimane possiamo dire che è un dolore cronico. Se analizziamo la letteratura scientifica troviamo infatti varie misure del tempo di persistenza del dolore. Alcuni autori parlano di tre mesi, altri di sei e altri ancora di dodici. La IASP, nel tentativo di risolvere la questione, sottolinea che è cronico quel dolore che persiste al di lá del tempo ragionevole di un normale decorso di una malattia (Turk 2001, Main 2001, Thienhous 2001). La presenza di una malattia cronica può certamente spiegare la presenza di dolore e una certa insopportazione da parte del paziente. Il termine cronico viene però utilizzato anche per definire il dolore da un punto di vista fisiopatologico nel senso che sottintende la presenza di meccanismi patogenetici propri in grado di mantenere il dolore nel tempo, scatenati dalla persistenza stessa del dolore. Ma nessuno ha mai dimostrato che il persistere del dolore genera dolore cronico. Si è invece osservato che esistono meccanismi patogenetici del dolore che, vuoi perché ancora poco conosciuti o vuoi perché non esistono terapie efficaci, causano un dolore continuo e persistente nel tempo. Ci riferiamo alle sindromi da deafferentazione come l avulsione del plesso brachiale o ai casi di apoptosi del primo neurone sensitivo. Con il termine di dolore cronico possiamo anche definire quei casi in cui, dopo un evento lesivo o malattia iniziale, si instaurano modificazioni biologiche, psicologiche e sociali che portano il quadro clinico in una condizione di complessità in cui è difficile ritrovare la causa iniziale e i meccanismi del dolore sono molteplici e sovrapposti. Possiamo quindi parlare di cronico quando il dolore continua nel tempo perché è causato dalla presenza di una malattia cronica (è cronica la malattia), o quando si è instaurato un meccanismo patogenetico cronico proprio del dolore o infine quando il paziente sviluppa una vera e propria malattia per l instaurarsi di un quadro clinico che comprende manifestazioni patologiche che appartengono alla sfera fisica, a quella psicologica e a quella sociale (Bonezzi 2012). Dolore persistente (sempre patologico). Il termine persistente viene in genere utilizzato per definire un dolore che si mantiene nel tempo. Questo termine viene comunemente associato al dolore postoperatorio che perdura nel tempo. Ne sono un esempio il dolore post-mastectomia, post-toracotomia, post-amputazione, posterniotomia inguinale o dopo interventi sulle articolazioni. In un interessante articolo Cousins avvicina i due termini di cronico e persistente in un unico quadro clinico caratterizzato da fattori bio-psico-sociali (Cousins 2007).

9 7 Il dolore: aspetti generali e classificazioni 2. In base alla conoscenza dell eziologia il dolore può essere suddiviso in: idiopatico, nocicettivo, neuropatico Dolore idiopatico. Questo termine indica quelle forme cliniche in cui non sembra esistere una causa evidente in grado di spiegare la presenza del dolore. Tra le più importanti vengono riportate la nevralgia essenziale del trigemino, la bocca che brucia, le Complez Regional Pain Syndrome, la fibromialgia. Alcuni Autori (Lipowsky 1990) sottolineano la concomitanza di meccanismi fisiopatologici periferici e di fattori psicologici. Un importante classificazione divide il dolore in base al tessuto interessato dalla lesione e all origine dell impulso doloroso. Si distingue il dolore nocicettivo somatoviscerale, in cui il dolore nasce da una patologia interessante i tessuti del corpo e dalla stimolazione dei nocicettori tissutali (siti normotopici), dal dolore neuropatico periferico e centrale, in cui la patologia interessa la via somatosensoriale che conduce il dolore ed in cui l impulso nasce lungo la stessa via (in siti cosiddetti ectopici ). Il dolore nocicettivo è definito come il dolore che nasce da un danno attuale o potenziale ai tessuti (con esclusione del sistema nervoso) e che è dovuto alla attivazione dei nocicettori (Merskey 1994, IASP: Questo gruppo comprende tutte le sindromi in cui sono coinvolti i tessuti somatici (ossa e articolazioni, fasce, tendini e muscoli, rivestimenti cutanei e mucosi, sierose) ed i tessuti viscerali del corpo. Il dolore nasce dai nocicettori tissutali ed è condotto dalle vie afferenti al midollo spinale. Di fondamentale importanza è l integrità del sistema somatosensoriale deputato alla conduzione degli impulsi nocicettivi. In genere le sindromi viscerali vengono classificate in base alla sede del viscere d origine (dolore addominale, dolore pelvicoperineale, dolore toracico ecc.) e al viscere coinvolto. Diversamente le sindromi somatiche vengono raccolte in base al tessuto (sindromi miofasciali, sindromi articolari ecc) o alle sedi dove il dolore è più frequente (dolore lombare, cervicale ecc). Gli studi di fisiopatologia hanno poi spostato l attenzione sui meccanismi che sottendono a questo dolore ( nocicettivo ), sulla ipersensibilità dei nocicettori da parte di processi infiammatori e di sostanze algogene di varia natura, nonché sulla ipersensibilità dei neuroni spinali che determina un incremento dell intensità, una allargamento del territorio in cui il dolore viene percepito e la comparsa di un segno clinico importante come l allodinia meccanica dinamica nelle aree sane circostanti il danno. Non sempre l infiammazione è all origine del dolore in quanto le modificazioni strutturali, come quelle che possono avvenire in una articolazione colpita da processi degenerativi, sono in grado di causare il dolore in quanto responsabili dell insorgenza di stimoli di intensità elevata (dolore nocicettivo meccanico strutturale). Un aspetto clinico importante di queste sindromi, per quanto riguarda l esame clinico del paziente, è il cosiddetto dolore riferito. Nelle patologie viscerali, miofasciali e articolari il dolore viene localizzato dal paziente in aree del corpo più o meno estese che non hanno nulla a che vedere con la zona e il tessuto sofferente. Si pensi al dolore all arto superiore sinistro nell angina cardiaca, al dolore nell arto inferiore da sacroileite che mima una estensione neurologica radicolare. Alla sua origine si ritiene siano presenti i fenomeni della convergenza e della sensibilizzazione spinale. Ai neuroni spinali giungono fibre afferenti provenienti non solo dal tessuto danneggiato ma anche da altri visceri e da altre strutture somatiche. Si crea così la situazione che il paziente localizza il dolore in altri visceri ed in altre sedi del corpo che hanno lo stesso segmento spinale. Questo dolore riferito è in genere percepito dal paziente come profondo e si può accompagnare ad iperalgesia e ad allodinia.

10 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 8 Le sindromi cliniche del dolore neuropatico periferico e centrale Nella seconda edizione della Classification of chronic pain disponibile online sul sito della International Association Study of Pain (IASP: vengono riportate le definizioni principali riguardanti il tema dolore. Il dolore neuropatico è definito come il dolore causato da una lesione o da una malattia del sistema nervoso somatosensoriale. È scritto inoltre che il dolore neuropatico è un termine clinico che richiede una lesione dimostrabile o una malattia che soddisfi i criteri diagnostici neurologici. Il termine lesione è comunemente utilizzato quando gli strumenti diagnostici (radiologici, neurofisiologici, bioptici o di laboratorio) mostrano una anormalità o quando vi è stato un trauma evidente. Il termine malattia è utilizzato quando è nota la causa della lesione (ischemia, vasculite, diabete e altro). Viene introdotta per la prima volta la definizione di sistema somatosensoriale per identificare il sistema sensitivo afferente che porta le informazioni provenienti da tutto il corpo, sia dagli organi e tessuti del corpo sia dall esterno (vista, udito e olfatto). In base alla sede della lesione o malattia, interessante la parte periferica o centrale del sistema somatosensoriale, si distingue un dolore neuropatico periferico e un dolore neuropatico centrale. La sola presenza di sintomi o segni (come il dolore evocato da uno stimolo tattile) non giustifica l uso del termine neuropatico. Nella nota della IASP si sottolinea inoltre che in alcuni casi, come la nevralgia essenziale del trigemino, dove non sono rilevabili dati oggettivi di lesione o malattia, sia importante l aspetto clinico, così come nella neuropatia post-erpetica è rilevante la storia. Poiché è frequente che le indagini non siano in grado di portare ad una definizione certa di dolore neuropatico, sempre nella nota, si ritiene importante il giudizio clinico per poter giungere ad una diagnosi. Le principali sindromi cliniche neuropatiche secondo alcuni Autori (Jensen 2001) sono riportate nella tabella 1 e sono suddivise in base alla sede della lesione neurologica nel sistema nervoso periferico, spinale ed encefalico. Tabella 1. Classificazione del dolore neuropatico (Jensen 2001) Periferico Spinale Encefalico Neuropatie Herpes zoster Lesioni nervose traumatiche Amputazioni Plessopatie Radicolopatie Avulsioni Neoplasie Nevralgia trigeminale Sclerosi multipla Lesioni spinali traumatiche Aracnoidite Neoplasie Siringomielia Infarto spinale Infarto Sclerosi multipla Neoplasie Siringomielia Parkinson Epilessie Nell ambito del dolore neuropatico troviamo altre classificazioni come quella di Baron (2010) che riportiamo perché molto completa e dettagliata. In essa troviamo: 1) Neuropatie periferiche dolorose: arto fantasma, dolore del moncone, dolore da lesione parziale o totale del nervo, dolore da neuroma postraumatico o postchirurgico, sindrome da intrappolamento, da mastectomia, da toracotomia, nevralgia di Morton, cicatrici dolorose, herpes zoster e neuropatia posterpetica, mononeuropatia diabetica, amiotrofia diabetica, neuropatie ischemiche, borrelliosi, connettivopatie (vasculiti), amiotrofia nevralgica, neoplasie nervose periferiche, plessopatie attiniche, plessopatie, nevralgie trigeminali e glossofaringeo.

11 9 Il dolore: aspetti generali e classificazioni 2) Le polineuropatie distinte in: Metaboliche o nutrizionali: diabetiche, alcoliche, da amiloidosi, ipotiroidismo Da farmaci: antiretrovirali, cisplatino, oxaliplatino, disulfiram, etambutolo, isoniazide, nitrofurantoina, talidomide, metiltiouracile, vincristina, cloramfenicolo, metronidazolo, taxoidi, oro. Da sostanze tossiche: acrilamide, arsenico, clioquinolo, dinitrofenolo, ossido di etilene, pentaclorofenolo, tallio. Ereditarie: neuropatie da amiloidosi, malatti di Fabry, Charcot-Marie-Tooth, tipo 2B, neuropatie sensitive e autonomiche ereditarie Neoplastiche: neuropatie periferiche paraneoplastiche, mieloma Infettive o postinfettive, immunitarie: poliradicoloneuropatie infiammatorie (sindrome di Guillain-Barré), borrelliosi, HIV Altre polineuropatie: eritromelalgia idiopatica, neuropatia small-fibre. 3) Sindrome da dolore centrale Lesioni ischemiche in particolare del tronco e del talamo o mieliche (infarto, emorragie, malformazioni vascolari) Sclerosi multipla Lesioni traumatiche mieliche o encefaliche Siringomielia e siringobulbia Tumori Ascessi Epilessia Morbo di Parkinson 4) Sindromi neuropatiche dolorose complesse Complex regional pain syndromes tipo I e II (altrimenti definite come distrofie simpatico riflesse, causalgia) 5) Mixed pain syndromes Dolore lombare cronico con radicolopatia, dolore da cancro, invasione neoplastica del plesso, complex regional pain syndromes. Possiamo concludere con quanto riportato recentemente (2010) dalla IASP che propone alcune possibili soluzioni classificatorie. Il dolore neuropatico potrebbe essere distinto (IASP update 2010): 1) In base alla sede: periferica (nervo, plesso, ganglio della radice dorsale, radice) e centrale (spinale, tronco, talamo, corteccia) 2) In base al fattore eziologico: trauma, ischemia o emorragia, infiammazione, neurotossicità, neurodegenerazione, paraneoplastica, metabolica, da deficienza vitaminica, neoplastica 3) In base ai sintomi e segni: qualità del dolore, perdite sensoriali, ipersensibilità 4) In base al meccanismo patogenetico: scariche ectopiche, perdita del sistema inibitorio, sensibilizzazione periferica, sensibilizzazione centrale. Tra queste possibilità l ultima, a nostro avviso, è la più importante, non solo per quanto riguarda il dolore neuropatico ma anche il dolore nocicettivo, perché definisce le vere cause del dolore offrendo indicazioni precise al trattamento. In altre parole, possiamo identificare tre gruppi patologici: le sindromi di dolore nocicettivo, le sindromi di dolore neuropatico ed infine il dolore malattia. In quest ultimo gruppo sono raccolti quei casi in cui, accanto ai meccanismi patogenetici propri del dolore nocicettivo o neuropatico, si sono sviluppati meccanismi connessi a comportamenti reattivi del paziente interessanti la sfera psico-sociale (Bonezzi 2012). Se al meccanismo è possibile associare, mediante opportune indagini cliniche e strumentali, il tessuto colpito (articolazione, viscere, muscolo, tendine, nervo) è altresì possibile individuare tecniche antalgiche mirate ed efficaci. Di fronte ad un dolore lom-

12 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 10 bare di tipo nocicettivo infiammatorio è possibile stabilire un trattamento farmacologico ma anche, una volta identificata l eventuale faccetta articolare coinvolta, procedere a blocchi selettivi radioguidati o anche a denervazione delle afferenze sensitive. La classificazione basata sul meccanismo patogenetico: le sindromi del dolore nocicettivo, quelle del dolore neuropatico e del dolore malattia (Tabella 2) Questa classificazione nasce dal presupposto che attraverso una valutazione clinica e strumentale si possano raccogliere sintomi e segni appartenenti a diversi meccanismi patogenetici, permettendo una diagnosi dettagliata e utile ai fini terapeutici. La valutazione dell area di dolore e la presenza di allodinia statica primaria (evocata mediante stimoli pressori o termici caldi, dal movimento attivo e passivo) permette di identificare l esistenza di una ipersensibilità dei nocicettori tissutali come fondamentale meccanismo del dolore nocicettivo somatico o viscerale (Gold 2010, Koltzenburg 1995, Woolf 2007). Un dolore evocato, a volte intenso e disabilitante, da un movimento di una articolazione deformata (si pensi alla coxartrosi) che si attenua progressivamente permettendo al paziente di muoversi, potrebbe non dipendere da una sensibilizzazione dei nocicettori tissutali ma avere un meccanismo patogenetico legato alla deformità stessa e ad un eccessivo stimolo di nocicettori non sensibilizzati. Questo dolore viene chiamato meccanico-strutturale. La presenza di una perdita delle sensibilità in un area di dolore lascia supporre che il dolore percepito in quell area nasca da una lesione delle fibre afferenti e ad una ipersensibilità della fibra con origine ectopica degli impulsi afferenti. In questi casi parliamo di dolore neuropatico periferico. Il dolore avvertito dal paziente in un area estesa completamente priva di innervazione per grave lesione delle vie neurologiche a monte del primo neurone induce ad ipotizzare una ipersensibilità dei neuroni centrali da deafferentazione e un dolore neuropatico centrale. Inoltre la presenza di un dolore più o meno intenso allo sfioramento della cute priva di danno o di deficit sensitivi (allodinia dinamica meccanica) è dovuta al coinvolgimento dei neuroni spinali e alla cosiddetta ipersensibilità dei neuroni spinali. A questo meccanismo concorrono gli impulsi nocicettivi che arrivano dal nocicettore o dal sito ectopico. Una valutazione clinica che comprende una accurata indagine psicologica del paziente permette di identificare quei casi in cui, accanto al dolore, i comportamenti reattivi, la fragilità della persona, e altre manifestazioni della sfera psico-sociale, inserendoli in una gruppo a sé stante che definiamo dolore malattia (Bonezzi 2012). Le sindromi cliniche che noi osserviamo possono presentare questi meccanismi, in forma singola o complessa, e la loro individuazione è utile, come vedremo, alla scelta del trattamento. Tabella 2. Una proposta di classificazione patogenetica Sindromi del dolore nocicettivo somato-viscerale Ipersensibilità del nocicettore e del neurone spinale Ipersensibilità spinale da input di fibre amieliniche Sindromi del dolore neuropatico periferico e centrale Ipersensibilità della fibra con genesi ectopica degli impulsi Ipersensibilità spinale da input di fibre amieliniche e da deafferentazione Sindromi del dolore malattia Tutti i meccanismi prima citati a cui si associano meccanismi generati da comportamenti reattivi di tipo bio-psico-sociale

13 11 Il dolore: aspetti generali e classificazioni La torre di Babele Per sottolineare la confusione che è presente nel mondo scientifico e nel real world riportiamo un esempio. Nel lavoro recente (2011) di Tesfaye e Expert Pannel sulle neuropatie diabetiche compare una tabella che elenca i meccanismi del dolore neuropatico. Nella parte della tabella riguardante i meccanismi periferici del dolore neuropatico si riporta la peripheral sensitization. Questo meccanismo è proprio del dolore nocicettivo, ma viene qui inserito perché, secondo molti altri Autori, le modificazioni della sensibilità del nocicettore tissutale sono una forma di neuro-patia. In altre parole tutto il dolore diviene così neuropatico. Per meglio comprendere questa confusione si riporta in lingua originale lo scritto di un altro Autore (Tolle 2010): Two of the mechanisms that can cause neuropathic pain conditions are central and peripheral sensitization. Central sensitization occurs as a result of increased responsiveness of spinal cord pain transmission neurons, while peripheral sensitization is produced by the lowering of nociceptor activation thresholds following exposure to inflammatory mediators, such as nerve growth factor or bradykinin, released at the site of tissue injury. La sensibilizzazione dei nocicettori tissutali da parte dei mediatori infiammatori è alla base del dolore nocicettivo così come la sensibilizzazione centrale, generata e sostenuta da afferenze nocicettive condotte da fibre amieliniche, presente sia nel dolore nocicettivo che neuropatico. Bibliografia Baron R, Binder A, Wasner G. Neuropathic pain: diagnosis, pathophysiological mechanisms, and treatment Lancet Neurol 2010; 9: Bonezzi C, Demartini L, Buonocore M. Chronic pain: not only a matter of time. Minerva Anestesiol Jun; 78 (6): Bonica JJ. The management of pain. Lea & Febiger 1990 Second edition. Cousins MJ. Persistent Pain: A Disease Entity. Journal of Pain and Symptom Management Vol. 33 No. 2S February Gold MS and Gebhart GF. Nociceptor sensitization in pain pathogenesis. Nature Medicine 2010; 11: Jensen TS, Gottrup H, Sindrup SH, Bach FW. The clinical picture of neuropathic pain. European Journal of Pharmacology 429 (2001); IASP Clinical Update Vol. XVIII, Issue 7 September Lipowsky ZJ. Chronic idiopathic pain syndrome. Ann Med 1990; 22: Main CJ, Spanswick CC. Pain management: an interdisciplinary approach. Elsevier pp. 93. Merskey H, Bogduk N. Classification of chronic pain: descriptions of chronic pain syndromes and definitions of pain terms. Seattle, WA: IASP Press; Tesfaye S, Vileikyte L, Rayman G, Sindrup SH, Perkins BA, Baconja M, Vinik AI, A. J. Boulton M, on behalf of The Toronto Expert Panel on Diabetic Neuropathy. Painful diabetic peripheral neuropathy: consensus recommendations on diagnosis, assessment and management. Diabetes Metab Res Rev 2011; 27: Thienhaus O, Cole BE. Classification of pain. In Weiner, RS. Pain management: A practical guide for clinicians (6 ed.). American Academy of Pain Management Tolle ThR. Challenges with current treatment of neuropathic pain. European Journal of Pain Supplements 4 (2010) Turk, DC, Okifuji A. Pain terms and taxonomies. In Loeser D, Butler SH, Chapman JJ, et al.. Bonica s management of pain (3 ed.). Lippincott Williams & Wilkins. 2001; pp Koltzenburg M. Stability and plasticity of nociceptor function and their relationship to provoked and ongoing pain. The Neurosciences, Vol 7, 1995: pp Woolf CJ, and Ma Q: Nociceptors Noxious Stimulus Detectors Neuron 2007: August 2;

14 2 Meccanismi della Sensibilizzazione Periferica Michelangelo Buonocore Generalità sul dolore Se si esclude il dolore fisiologico, che generalmente non si accompagna ad una lesione ma evita che essa si determini, ed una forma molto rara di dolore patologico puramente meccanico, nella maggior parte dei casi il dolore clinico è il frutto dello sviluppo di una ipersensibilità agli stimoli. Con questo termine si intende lo spostamento a sinistra della curva stimolo-risposta riferita al dolore fisiologico (Figura 1). In termini pratici, tutte le volte che si sviluppa una condizione di ipersensibilità agli stimoli il dolore viene avvertito per intensità di stimoli che normalmente non evocano la sensazione dolorosa (allodinia) oppure esso viene avvertito di intensità più elevata in seguito a stimoli che anche normalmente sono avvertiti come dolorosi (iperalgesia). Quando l ipersensibilità diventa molto marcata, essa può portare ad una condizione per cui il dolore viene avvertito indipendentemente da qualsiasi tipo di stimolazione portata. È il dolore spontaneo che, per quanto appena espresso, almeno dal punto di vista fisiopatologico, è un dolore più grave di quello evocato. I punti cruciali per lo sviluppo di ipersensibilità agli stimoli dolorosi sono localizzabili a livello dei tessuti lesionati, lungo le vie del sistema somatosensoriale oppure a livello del sistema nervoso centrale, midollo spinale incluso. Il complesso di fenomeni algogeni che si sviluppa nei tessuti periferici lesionali va usualmente sotto il nome di sensibilizzazione periferica, ad indicare che il dolore può essere giustificato in toto da fenomeni che avvengono nel tessuto periferico lesionato. Col termine di sensibilizzazione centrale si intende invece quell insieme di fenomeni che si sviluppa nel 100% Intensità del dolore Allodinia Iperalgesia Dolore fisiologico 0 Intensità dello stimolo 100% Figura 1. La figura mostra due esemplificative curve stimolo-risposta. La prima a destra è rappresentata dal dolore fisiologico. La curva di sinistra è il risultato dello sviluppo di una lieve condizione di ipersensibilità agli stimoli dolorosi, con comparsa delle condizioni note come allodinia ed iperalgesia (per le definizioni vedere testo).

15 13 Meccanismi della sensibilizzazione periferica sistema nervoso centrale in seguito ad una lesione algogena periferica e che porta ad un amplificazione del dolore con tipica estensione dello stesso in area extralesionale. Infine, un altra importante sede di ipersensibilità agli stimoli è rappresentata dal sistema nervoso stesso dove gli impulsi nervosi che generano la sensazione dolorifica si autogenerano senza che siano coinvolte le terminazioni nervose, cioè quelle strutture recettoriali che sono fisiologicamente deputate alla trasduzione degli stimoli da un tipo di energia (meccanica, termica, chimica) ad energia elettrica (potenziale d azione). Questo tipo di sensibilizzazione è alla base del cosiddetto dolore neuropatico. Sintetizzando, ogni dolore che origina dai recettori del dolore sensibilizzati viene definito come dolore nocicettivo, mentre ogni dolore che origina direttamente dalle fibre nervose viene definito come dolore neuropatico. In questo capitolo saranno illustrati i meccanismi alla base della sensibilizzazione periferica (dolore nocicettivo), nei prossimi due saranno affrontati i meccanismi della genesi ectopica degli impulsi nel sistema nervoso (dolore neuropatico) e della sensibilizzazione centrale (fenomeno comune ad entrambi i suddetti processi). Ipersensibilità periferica, concetti generali A differenza del dolore fisiologico, che è basato su un sistema abbastanza rigido e stereotipato, il dolore patologico è basato su un sistema molto plastico e variabile. Una delle parti più dinamiche in tal senso è rappresentata dai tessuti periferici. Gran parte del dolore che si incontra in patologia è infatti il risultato di fenomeni di sensibilizzazione che occorrono in seguito a lesioni interessanti i tessuti extra-nervosi. È il cosiddetto dolore nocicettivo. Il primo fenomeno che si osserva, una volta che la lesione si è verificata, è rappresentato dallo sviluppo della sensibilizzazione periferica. In ambito algologico, il termine di sensibilizzazione periferica si riferisce ad un insieme di fenomeni che porta le terminazioni libere delle fibre nocicettive ad abbassare la loro soglia di scarica, fino ad arrivare, nei casi di maggiore intensità, alla scarica spontanea. La sensibilizzazione periferica è in genere la conseguenza dello sviluppo di fenomeni infiammatori nei tessuti dove sono localizzate le terminazioni nervose in grado di trasdurre impulsi nocivi o potenzialmente nocivi per l organismo. Tali terminazioni sono rappresentate dalle cosiddette terminazioni libere, cioè non connesse ad un particolare tipo di recettore. Esse possono essere considerate come assoni nudi su cui ci sono specifici canali in grado di modificare il flusso ionico attraverso le membrane neuronali. Ogni tipo di dolore che si genera dai recettori specifici del dolore (terminazioni libere) viene comunemente definito dolore nocicettivo. Le conseguenti modifiche del potenziale della membrana delle terminazioni libere possono creare differenze di potenziale locali che, se raggiungono una certa intensità, sono in grado di generare il potenziale d azione nervoso. In altri termini, le modificazioni dei potenziali di membrana abbassano la soglia di scarica delle terminazioni nervose che incominciano a scaricare per stimoli di intensità più bassa rispetto a quella necessaria per evocare dolore in condizioni fisiologiche. Quando i fenomeni di ipersensibilità periferica sono particolarmente intensi, la soglia di attivazione delle terminazioni si abbassa parecchio fino alla scomparsa di una vera e propria soglia. Allora la scarica avviene indipendentemente dagli stimoli e si configura quello che clinicamente viene definito come dolore spontaneo. Comunque esso venga generato, come è noto, il potenziale d azione, una volta insorto, si propaga lungo la fibra fino alla prima sinapsi che incontra, dove, inducendo la liberazione di neurotrasmettitori, si esaurisce. La liberazione di neurotrasmettitori è il meccanismo mediante il quale l impulso si propaga dal sistema nervoso periferico al sistema nervoso centrale. Come avviene a livello del recettore periferico, anche a livello delle sinapsi si creano dei potenziali locali che, se sufficientemente intensi, innescano la ripartenza degli impulsi, mediante la generazione di nuovi potenziali d azione che corrono lungo le fibre nervose dei secondi neuroni nocicettivi.

16 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 14 Gli stimoli nocicettivi Perché si avverta dolore e si possano generare fenomeni riferibili alla sensibilizzazione periferica è indispensabile che gli stimoli siano di elevata intensità. Quando i fenomeni di ipersensibilità si sono instaurati, allora anche stimoli di intensità medio-bassa diventano in grado di evocare il dolore. La natura degli stimoli nocicettivi è variabile ma tre sono i tipi di energia che, una volta trasdotti, possono generare dolore. Il primo tipo è quello chimico. È ben noto come il rilascio di alcune sostanze nei tessuti sia in grado di generare quelle condizioni che portano ad avvertire dolore. Tra queste vanno sicuramente ricordati alcuni ioni positivi come gli ioni idrogeno H+ o gli ioni potassio K+, ma anche sostanze quali la bradichinina, la serotonina, alcune prostaglandine ed anche l ATP. Un ruolo particolare sembra svolto da i recettori TRPV1, come dimostrato sperimentalmente dal fatto che le sostanze che li attivano, come ad esempio la capsaicina, inducono i classici segni dell infiammazione (dolore, eritema, edema e calore). Un altro tipo di stimolazione in grado di creare dolore per attivazione delle terminazioni nervose intra tissutali è la stimolazione termica, soprattutto per stimoli caldi, ma anche per stimoli freddi. L esempio classico è quello delle ustioni che si accompagnano al tipico dolore che, all inizio, è sempre continuo e spontaneo. Infine, non meno importanti, appaiono gli stimoli meccanici che spesso attraverso la liberazione di sostanze proinfiammatorie ed algogene, cioè attraverso stimoli chimici, sono a loro volta in grado di creare condizioni di ipersensibilità nei tessuti lesi. Il ruolo dell infiammazione L insorgenza di una sensibilizzazione periferica agli stimoli dolorosi appare in gran parte legata allo sviluppo di fenomeni infiammatori. Come è storicamente ben noto, fin dai tempi di Celso (I secolo dopo Cristo) il dolore è uno degli elementi fondamentali dell infiammazione (calor, rubor, tumor e dolor). È ben noto infatti come l infiammazione possegga meccanismi algogeni specifici, spesso bersaglio delle più diffuse terapie antidolorifiche. Vale la pena di ricordare che l infiammazione non è di per sé un fenomeno negativo in quanto essa rappresenta un elemento di difesa naturale e innato nei confronti degli attacchi che l organismo subisce dall ambiente circostante, siano essi microrganismi, traumi o neoplasie. Essa viene considerata una vera e propria barriera, come lo sono le difese strutturali anatomiche, le risposte difensive fisiologiche e quelle immunitarie ancestrali come ad esempio la fagocitosi (Tabella 1). Anche se l idea più diffusa dell infiammazione si rifà ad una reazione ad un evento ben localizzabile e circoscrivibile, il realtà l infiammazione è il processo finale comune di numerosi processi patologici che vanno dai traumi, alle reazioni allergiche, all ischemia, alle risposte autoimmuni, ai dismetabolismi (Tabella 2). È questo il motivo per cui, soprattutto nei danni persistenti e non autolimitanti, anche la somministrazione dei più importanti antinfiammatori, i corticosteroidei, non è in grado di eliminare completamente la lesione e quindi anche il dolore ad essa correlato. Esistono almeno 5 diversi tipi di infiammazione: non specifica (es. l infiammazione post-traumatica), allergica (es. l infiammazione che si accompagna all orticaria), da immunocomplessi (es. l infiammazione delle vasculiti o del LES), da anticorpi citotossici (es quella dell anemia emolitica), cellulo-mediata (es. quella della tubercolosi). In generale si può dire che l infiammazione sia strettamente legata alle risposte immunitarie dell organismo, anche se non tutte le volte che si verifica una risposta immunitaria, questa viene accompagnata da una reazione infiammatoria. L osservazione poi che non sempre la reazione infiammatoria si accompagna ad un danno tissutale ha fatto trarre la considerazione che, un po come il dolore, l infiammazione può essere fisiologica (quando previene l insorgenza del danno) oppure patologica (quando rappresenta una risposta al danno che si è già verificato).

17 15 Meccanismi della sensibilizzazione periferica Tabella 1. Risposte immunitarie innate e adattative (in accordo con De Leo e Yezierski, 2001) Immunità innata o aspecifica (barriere difensive) Immunità adattativa o specifica (proprietà) Anatomia Fisiologia Fagocitosi Infiammazione Specificità Diversità Memoria Riconoscimento del self / non self Considerato che i mediatori sono essenzialmente gli stessi, secondo alcuni Autori è possibile cogliere la differenza tra risposta infiammatoria fisiologica e patologica nel fatto che la prima è di entità minore rispetto alla seconda. Ma non tutti i ricercatori sono d accordo su questa affermazione. A proposito di mediatori, un gran numero di sostanze è stato identificato negli ultimi decenni, anche se il peso di ciascun elemento nella complessa cascata di eventi che portano all infiammazione non è facilmente calcolabile. Un contributo importante sembra comunque certo per alcune famiglie di sostanze che sono state identificate nei tessuti infiammati. Il ruolo delle chinine per esempio non è più in discussione, vista l enorme messe di dati accumulata negli anni. Anche perché tale gruppo di sostanze, oltre a svolgere un azione pro-infiammatoria diretta, rappresenta l innesco per la liberazione di numerosi altri mediatori dell infiammazione quali le citochine. Sotto Tabella 2. Tipi diversi di infiammazioni che si riscontrano nella pratica clinica (in accordo con Ali et al. 1997) Tipo di immunità Riconoscimento Cellule Mediatori Meccanismi Malattie Non specifica Allergica (immediata) Da anticorpi citotossici Da immunocomplessi Cellulomediata (ritardata) Via alternativa del complemento IgE IgG, IgM IgG, IgM Linfociti T Neutrofili e macrofagi Mast cellule, basofili, eosinofili Neutrofili e macrofagi Neutrofili e macrofagi Linfociti e macrofagi Complemento Istamina e leucotrieni Complemento Complemento Citochine Liberazione di mediatori citotossici da neutrofili e macrofagi attivati da sostanze derivate dal complemento Attivazione di mast cellule, basofili ed eosinofili da parte del legame antigene-ige Attivazione di neutrofili e macrofagi da immunocomplessi fissati dal complemento Lisi o fagocitosi di antigeni circolanti Attivazione di macrofagi e rilascio di mediatori citotossici da parte di citochine rilasciate da cellule T-helper Trauma, sepsi da gram-negativi Orticaria, rinite, asma, anafilassi Malattie reumatiche, glomerulonefriti, vasculiti, lupus eritematoso sistemico Malattie autoimmuni, anemia emolitica Tubercolosi, polimiosite, sarcoidosi

18 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 16 questo nome si identifica un gruppo di proteine e glicoproteine che può essere liberato da diverse cellule dell organismo e che interviene sicuramente nelle reazioni infiammatorie collegate allo sviluppo di ipersensibilità agli stimoli dolorosi. Vi è ampia dimostrazione in letteratura che alcune citochine quali il TNF (Tumor Necrosis Factor) e diverse interleuchine aumentano la scarica delle fibre nocicettive in corso di infiammazione. Le citochine facilitano lo sviluppo di reazioni infiammatorie in vario modo. Oltre all azione sulla liberazione di ossido nitrico, comune a molti percorsi connessi all infiammazione, attraverso l induzione dell ossido nitrico sintetasi, le citochine facilitano la liberazione di sostanza P dalle terminazioni nervose e attivano enzimi coinvolti nell infiammazione quale la ciclossigenasi 2, meglio nota come COX-2. Per quanto riguarda in modo specifico il TNF, attualmente forse la citochina legata all infiammazione più studiata, esso favorisce la reazione infiammatoria acuta e attiva le cellule immunitarie. È ben nota la sua produzione dai macrofagi, ma non solo da questi. Anche i leucociti CD4+, i linfociti NK (Natural Killer) e i neuroni stessi sono stati visti essere in grado di liberare TNF. Ritornando a concetti più generali, quello che non è ancora molto chiaro è come mai in alcuni casi l infiammazione abbia un azione benefica (infiammazione fisiologica) ed altre volte sia essa stessa causa di persistenza di malattia (infiammazione patologica). A questo proposito, come già accennato in precedenza, c è discussione sul fatto che sia solo una questione di quantità dei fenomeni infiammatori. Altri Autori hanno considerato come possibile fattore scatenante la durata dei fenomeni infiammatori. In altri termini, dopo l insulto ricevuto l organismo reagirebbe con diverse modalità, tra cui l infiammazione, nel tentativo di prevenire e/o riparare i danni. Se però questo processo non avviene in un determinato tempo, l organismo perderebbe il controllo sulla catena di eventi che si accompagnano all infiammazione acuta e questa diventerebbe cronica, sostenendo il perdurare e il non guarire di alcune malattie croniche infiammatorie. Ovviamente anche le ben note alterate risposte immunitarie di riconoscimento/non riconoscimento dei tessuti dell organismo giocano un ruolo molto importante in questi processi. Stress ossidativo, superossidodismutasi (SOD) e infiammazione Nella fisiologica attività tissutale i sistemi di ossidazione/antiossidazione sono tendenzialmente in equilibrio tra di loro. Quando però un tessuto viene interessato da un processo patologico spesso si verifica uno sbilanciamento a favore dei fenomeni ossidativi. Tale condizione è nota col termine di stress ossidativo. Trattasi di un accumulo di specie reattive derivate dall ossigeno denominate con l acronimo ROS (Reacting Oxygen Species) e appartenenti alla specie chimica definita radicali liberi. La formazione delle ROS rappresenta uno strumento di difesa, ma se esse persistono a lungo in sede lesionale possono innescare pericolosi meccanismi fisiopatologici fino ad indurre ulteriori lesioni dei tessuti, con interessamento anche dei tessuti sani circostanti. Uno dei meccanismi che gli organismi possiedono per combattere lo stress ossidativo è quello di attivare un sistema di difesa cellulare endogena che prevede l utilizzo della superossidodismutasi (SOD), un enzima che appartiene alla classe delle ossidoreduttasi. La SOD, la cui azione enzimatica è nota fin dal 1969, è considerato uno dei più importanti enzimi antiossidanti presenti negli organismi viventi. La sua attività difensiva è basata sulla capacità di trasformare, grazie all utilizzo di ioni idrogeno (H + ), il superossido (l anione O 2- ) in ossigeno (O 2 ) e perossido di idrogeno (H 2 O 2 ). In altri termini, la SOD catalizza la seguente reazione: 2 O H + O 2 +H 2 O 2 Attualmente sono state identificate 3 forme di SOD: la SOD1, presente nel citosol, la SOD2, presente nei mitocondri e la SOD3, presente sulle superfici extracellulari. Poiché però il perossido di idrogeno è anch esso un ossidante, per una completa detossificazione

19 17 Meccanismi della sensibilizzazione periferica è necessario che il perossido di idrogeno venga trasformato in acqua. Tale operazione è compiuta dall enzima glutatione perossidasi, un altra ossidoreduttasi che catalizza la seguente reazione: 2 glutatione + H 2 O 2 glutatione disolfuro + 2 H 2 O Numerose condizioni fisiopatologiche si accompagnano a stress ossidativo. Tra di esse spiccano quelle sostenute dallo sviluppo di fenomeni infiammatori. Alla formazione di radicali liberi durante l infiammazione concorrono diversi fattori. Una parte dello stress ossidativo osservato durante l infiammazione, è sicuramente legata ai neutrofili, leucociti che spesso si accumulano in sede di lesione infiammatoria. È infatti noto che quando i neutrofili vengono attivati, iniziano a secernere le ROS che rappresentano, tra le altre cose, uno strumento per indurre la morte cellulare di eventuali batteri presenti nella sede dell infiammazione. In tali condizioni la SOD può contribuire, neutralizzando il superossido, a riequilibrare il bilancio ossidazione/antiossidazione esplicando pertanto un azione antinfiammatoria. Un altro meccanismo antinfiammatorio posseduto dalla SOD è rappresentato da una sua azione diretta sui neutrofili, di cui è in grado di indurre l apoptosi (morte cellulare programmata). È ben noto come l accumulo di tali cellule rappresenti uno dei fattori associati allo sviluppo di infiammazione. I neutrofili sono infatti tra le prime cellule a giungere nei siti lesionali, attratti dalle chemiochine, sostanze liberate dalle cellule endoteliali dei vasi presenti in sede lesionale. Una volta giunti nella sede dell infiammazione, i neutrofili, oltre a mettere in atto le loro capacità di fagocitosi e a liberare le ROS, secernono anche alcuni tipi di proteasi, nonché una notevole quantità di chemiochine. Queste ultime amplificano la risposta infiammatoria attirando nuovi neutrofili, mentre la liberazione di ROS e proteasi è potenzialmente dannosa per i tessuti in cui vengono liberati. Considerato quindi che la rimozione dei neutrofili mediante apoptosi rappresenta un meccanismo cruciale per l inattivazione dei fenomeni infiammatori, l apoptosi dei neutrofili è considerata un possibile bersaglio per il controllo terapeutico delle lesioni tissutali mediate dai neutrofili. Ne consegue che la SOD, grazie alla sua potente azione inducente l apoptosi dei neutrofili, può rappresentare un importante strumento per ridurre l entità dei fenomeni infiammatori in sede lesionale. Il meccanismo attraverso cui la SOD induce l apoptosi non è completamente noto e numerose ipotesi sono state formulate. Tra le altre si segnala quella che prevede un ruolo significativo del perossido di idrogeno. Poiché questo si libera dalla reazione di trasformazione del superossido mediato dalla SOD (vedi sopra), il ruolo positivo di quest ultima, in caso di infiammazione, non si limiterebbe alla neutralizzazione del superossido, ma risiederebbe anche nella produzione di perossido di idrogeno con conseguente apoptosi dei neutrofili. In altre parole, è possibile che i neutrofili liberino ROS nella fase infiammatoria acuta nel tentativo di distruggere quanti più batteri possibili, ma così facendo programmino la loro morte cellulare visto che l intervento della SOD, mediante la neutralizzazione delle ROS, genera quel perossido d idrogeno che appare in grado di indurre la loro apoptosi. Ciò spiegherebbe anche perché in condizioni cliniche caratterizzate da una ridotta produzione di ROS, come ad esempio l ipossia, si osservi una ridotta apoptosi dei neutrofili. L azione della SOD sui neutrofili risulta ancora più importante se si considera che i glucocorticoidi, giustamente considerati come i più potenti antinfiammatori, inducono l apoptosi dei T-linfociti e degli eosinofili, ma addirittura inibiscono l apoptosi dei neutrofili. L infiammazione neurogena Uno dei meccanismi più noti dello sviluppo di ipersensibilità periferica è rappresentato dall infiammazione neurogena. Con tale termine si intende quell insieme di fenomeni che porta alla liberazione di sostanze pro-infiammatorie e potenzialmente algogene, in

20 Aspetti di fisiopatologia e terapia del dolore 18 seguito all attivazione antidromica di fibre nervose. In pratica, tutte le volte che un potenziale d azione viaggia antidromicamente, cioè dalla fibra verso il recettore, una volta arrivato alla fine della corsa, a livello del recettore, esso è in grado di liberare sostanze pro-infiammatorie e potenzialmente algogene. Questo fenomeno non si riscontra durante l attivazione di tutti i tipi di fibre, ma solo quando ad essere attivate sono le fibre amieliniche afferenti (dette anche C afferenti o C sensitive o fibre C delle radici dorsali). Diverse sostanze vengono liberate in corso di attivazione antidromica delle fibre C, ma quelle più note e studiate sono la sostanza P ed il CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide). Appare interessante sottolineare come in condizioni fisiologiche la liberazione di sostanza P e CGRP avvenga solo da determinate fibre nervose, mentre in corso di infiammazione tali sostanze vengono liberate anche da fibre che normalmente non sono in grado di liberarle. Tutto questo contribuisce al mantenimento e all amplificazione dei fenomeni infiammatori e pro-nocicettivi. Uno dei meccanismi attraverso cui sostanza P e CGRP potenziano i fenomeni infiammatori è rappresentato dalla loro capacità di richiamare e far accumulare neutrofili nell interstizio (Figura 2). Ciò avviene per modificazione indotta soprattutto dall attivazione di cellule endoteliali e dal richiamo ed attivazione di macrofagi. Come si inserisce questo discorso nel meccanismo della sensibilizzazione periferica? Se si pensa alla morfologia delle terminazioni libere si capisce come queste terminazioni finali che si diramano dallo stesso assone rappresentino una vera e propria unità che non è solo anatomica, ma anche funzionale. Quello che si verifica in caso di attivazione costante delle terminazioni libere, come avviene per esempio in corso di infiammazione, è sostanzialmente questo: ogniqualvolta, in seguito ad uno stimolo, si genera un potenziale d azione a partenza da una terminazione, questo impulso oltre che viaggiare verso il midollo spinale, torna anche indietro, attraverso un altra terminazione che in quel momento non sta trasmettendo impulsi (Figura 3). Questo tornare indietro altro non è che un attivazione antidromica di una fibra amielinica e quindi libera sostanze proinfiammatorie e potenzialmente algogene dalla terminazione in tal modo attivata. Questo meccanismo è anche alla base di quel fenomeno che porta allo sviluppo di segni di infiammazione intorno all aria lesionale, in cui si possono, tra l altro, regi- sostanza P CGRP endotelio macrofago espressione di recettori per i peptidi liberazione molecole di adesione cellulare citochine accumulo interstiziale di neutrofili sostanza P CGRP Figura 2. Meccanismi attraverso i quali la liberazione di sostanza P e CGRP può attirare neutrofili a livello interstiziale, favorendo l infiammazione neurogena.

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