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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO Dipartimento di Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi Corso di Laurea Triennale in Economia Aziendale Classe n Descrizione Classe Economia e Direzione dell Impresa INTERNAZIONALIZZAZIONE & MADE IN ITALY: IL CASO SANPELLEGRINO S.P.A. Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Mariella Piantoni Tesi di Laurea Triennale Mara GASPARINI Matricola n ANNO ACCADEMICO 2012 / 2013

2 A Mia Nonna

3 If I have seen farther than others, it is because I was standing on the shoulders of giants. Isaac Newton

4 INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO 1 L INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE Analisi delle principali prospettive teoriche dell internazionalizzazione Le teorie pre-hymer La teoria di Hymer Le teorie post-hymer Modalità di entrata nei paesi esteri Esportazioni dirette e indirette Alleanze strategiche Investimenti diretti esteri Osservazioni conclusive 23 CAPITOLO 2 IL MADE IN ITALY La creatività orientata al mercato Country of origin Che cosa si intende con italianità? Osservazioni conclusive 29 CAPITOLO 3 ANALISI DEL SETTORE FOOD & BEVERAGE Il commercio agroalimentare mondiale Il commercio agroalimentare in Italia I principali mercati di sbocco dell industria italiana Expo Quadro di sintesi dei consumi di bevande analcoliche nel mondo Quadro di sintesi del settore bevande nell economia italiana I consumi di bibite analcoliche in Italia Il mercato delle acque minerali in Italia 45

5 Il mercato delle acque minerali in Italia: analisi di alcuni dati degli ultimi anni Il mercato delle acque minerali in Italia: consumi di acqua minerale per regione Osservazioni conclusive 52 CAPITOLO 4 CASO AZIENDALE SANPELLEGRINO S.P.A La storia La gamma di prodotti L adattamento dei prodotti Gli stabilimenti produttivi Sanpellegrino all estero L export fa da traino alla crescita: più di 130 Paesi Francia: primo mercato a volume Stati Uniti: primo mercato a valore Il mercato italiano Analisi di alcuni dati degli ultimi anni ( ) Progetti per sviluppare il brand S. Pellegrino a livello internazionale Missoni veste S. Pellegrino (2010) S. Pellegrino Sparkles with Bulgari (2011) S. Pellegrino celebra Pavarotti (2013) I canali distributivi di Sanpellegrino Ho.Re.Ca Gdo E-commerce La copertura di nuove aree geografiche: i mercati emergenti 76 CONCLUSIONI 77 BIBLIOGRAFIA 81 ALLEGATI 85 RINGRAZIAMENTI 87

6 INTRODUZIONE Nell ultimo ventennio, con l avvento della globalizzazione, nello scenario mondiale, si sono verificati importanti cambiamenti politici, economici, culturali e sociali che hanno profondamente modificato il quadro di riferimento internazionale: l affermazione di nuovi paesi e quindi l aumento della competizione globale, l evoluzione dell Unione Europea con l avvento dell euro, la delocalizzazione delle attività produttive, lo sviluppo delle telecomunicazioni e dei trasporti. E stata proprio la possibilità di comunicare a grandi distanze insieme alla capacità di produrre e commerciare liberamente a portare all attuale globalizzazione dei mercati. Se, in passato, la scelta di internazionalizzarsi riguardava solamente le imprese più grandi e strutturate, oggi, la situazione è nettamente cambiata, e rappresenta una via obbligata non solo per il successo, ma per la sopravvivenza dell impresa stessa. L'internazionalizzazione, nell'era del mercato globale, non è più una scelta, ma una realtà con la quale le imprese, grandi o piccole che siano, si devono confrontare regolarmente. Per quanto riguarda il mercato italiano, caratterizzato da un elevata competizione e dalla saturazione della domanda nei mercati target tradizionali, l internazionalizzazione può essere lo strumento per uscire dall attuale crisi aziendale che ha investito il nostro Paese nel corso degli ultimi anni. Internazionalizzare, esportare e scoprire nuovi territori, più dinamici, sono gli ingredienti necessari per ottenere non solo una crescita di profitti aziendali, ma anche uno strumento per acquisire conoscenze, competenze e know how che aumentano la competitività dell impresa stessa. Risulta dunque fondamentale per le imprese italiane una ridefinizione delle proprie strategie di internazionalizzazione e una nuova selezione dei mercati, ricordando che la scelta della modalità di entrata e la scelta del paese estero obiettivo, rappresentano le decisioni più critiche. In questo contesto, un attenzione particolare deve essere rivolta a paesi che fino a qualche decennio fa erano considerati marginali dal punto di vista economico, i cosiddetti paesi emergenti; con lo sviluppo dei cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) lo scenario geografico rilevante per l impresa non è più concentrato in pochi paesi europei, negli Stati Uniti, nel Giappone, ma si estende a livello mondiale. 1

7 Nella parte iniziale del presente lavoro lo scopo è quello di rispondere ad alcune domande: - Come e perché le imprese si internazionalizzano (Cap. 1): questa prima parte è dedicata ad offrire una spiegazione teorica del processo di internazionalizzazione, focalizzandosi in particolar modo sulle teorie alla base di questo processo, nonché ai motivi che spingono un impresa all espansione estera. Vengono poi illustrate le possibili modalità di entrata di un impresa in un paese estero, al fine di generare un vero e proprio vantaggio competitivo, un espansione dei sistemi economici e di mercato, e un ampliamento dei propri confini geografici in precedenza circoscritti alla sola dimensione nazionale. - Cosa è il Made in Italy e la sua importanza come strumento, insieme all internazionalizzazione, capace di rilanciare il nostro Paese sugli scenari mondiali (Cap. 2). Nella seconda parte del lavoro si procederà, invece, ad esaminare il settore food&beverage (Cap. 3), con particolare riferimento al settore acque minerali, procedendo poi, nel Cap. 4, con una disamina dettagliata relativa ad un concreto caso aziendale: Sanpellegrino S.p.a., la più grande realtà nel campo del beverage in Italia. In particolare viene approfondita la strategia di esportazione, che ha portato l azienda, ambasciatrice del Made in Italy nel mondo, al successo internazionale. Questo grazie, anche, alla sua capacità, come vedremo, di differenziare il prodotto italiano attraverso elementi immateriali. Ricordo che la scelta di queste tematiche nasce sia dal personale interesse alle strategie di espansione internazionale, che ho avuto modo di approfondire nei corsi realizzati durante il corso dell anno, sia dall esperienza di tirocinio maturata presso Sanpellegrino S.p.a. 2

8 CAPITOLO 1 L INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE Con il termine internazionalizzazione si intende lo sviluppo dell impresa al di fuori dei propri confini nazionali. Le imprese hanno, ormai, preso conoscenza dell importanza di internazionalizzarsi e del fatto che non esiste più la demarcazione tra mercato domestico e mercato estero. Esiste il mercato, inteso come il luogo in cui i soggetti economici si incontrano per stringere accordi e concludere operazioni destinate ad originare quei flussi, sia di beni, che di servizi, che di mezzi finanziari, che ne alimentano l attività e ne giustificano l esistenza 1. Le condizioni che spingono un impresa ad attivare il processo di internazionalizzazione sono numerose ma possono essere sintetizzate in cinque punti fondamentali 2 : 1. l internazionalizzazione del mercato e della filiera produttiva, 2. l espansione internazionale dei principali clienti, 3. la reazione a strategie attuate dai concorrenti di riferimento, 4. l azione di soggetti pubblici o privati a favore dell internazionalizzazione, 5. il presentarsi di significative opportunità commerciali. Oltre a queste motivazioni l entrata in un nuovo mercato può anche essere un effetto naturale della crescita dell impresa che, raggiunte determinate dimensioni di mercato, decide di orientare la propria strategia verso nuovi orizzonti, oppure semplicemente perché il mercato d origine si trova in una fase di piena maturità o di declino; in questa ultima ipotesi la capacità di internazionalizzarsi diventa fondamentale per la sopravvivenza dell impresa stessa. Molto spesso, quindi, le condizioni che spingono un impresa ad affacciarsi sui mercati internazionali riguardano gli ambiti più significativi dell impresa, ovvero, l ambito commerciale, finanziario e produttivo. 1 Di Meo A., Manuale pratico del commercio internazionale, Maggioli Editore, 2010, pp Piantoni M., Economia e gestione delle imprese internazionali, McGraw-Hill Create, 2012, pp

9 Per quanto riguarda l aspetto commerciale, oltre alla possibile saturazione del mercato interno, l impresa allarga il proprio raggio d azione anche per la possibilità di sfruttare la notorietà del marchio in altri paesi o, ancora, per la possibilità di vendere a prezzi più elevati, incrementando, cosi, i profitti. Da un punto di vista prettamente finanziario, invece, l impresa potrebbe avere l opportunità di beneficiare, in paesi diversi dal proprio, di condizioni fiscali favorevoli. Infine, per quanto concerne la produttività, i principali vantaggi derivano dal fatto di poter attingere a tecnologie, risorse umane, nonché specifiche competenze, non presenti nel proprio paese o la possibilità di impiegare forza lavoro a costi più contenuti Analisi delle principali prospettive teoriche dell internazionalizzazione Da un punto di vista cronologico lo studio del processo di internazionalizzazione dell impresa e dei fattori che ne sono all origine nasce grazie al contributo di Hymer, nel Il suo contributo fu talmente radicale che alcuni economisti (Kindeleberger, 1984) tendono a suddividere le teorie sull internazionalizzazione in contributi pre- Hymer e post-hymer Le teorie pre-hymer Prima del 1960 il fenomeno dell internazionalizzazione non poneva attenzione all attività d impresa. Le teorie analizzavano l economia internazionale dalla sola prospettiva macroeconomica, considerando cioè il comportamento delle nazioni e alla differenze tra queste, anziché considerare anche quella microeconomica, cioè tenendo in considerazione il comportamento delle singole imprese. Inoltre i principali autori dell economia internazionale non si sono soffermati sullo studio delle distinzioni esistenti tra investimenti esteri, investimenti finanziari di natura speculativa, e investimenti diretti esteri, legati al rischio della gestione di un impresa estera. I due modelli principali erano: 1) Il modello del vantaggio assoluto di Adam Smith (1776), secondo il quale una nazione esporta quei beni che produce ad un costo inferiore assoluto rispetto a tutte le altre nazioni. 2) Il modello del vantaggio comparato di David Ricardo (1817), basato sul teorema dei costi comparati, secondo il quale una nazione ha convenienza ad 4

10 esportare quei prodotti che produce ad un costo relativamente inferiore rispetto agli altri beni 3. Il modello di Ricardo è stato poi completato da Heckscher e Ohlin (1933); i due autori spiegano che un paese ha un vantaggio comparato quando produce/esporta un bene che richiede un intenso uso di fattori di produzione che quel paese possiede in abbondanza. Quindi i Paesi con una dotazione relativamente più ricca di capitale si specializzano nella produzione ed esportazione di prodotti ad alta intensità di tale fattore (prodotti ad alta tecnologia) ed importino prodotti ad alta intensità di lavoro (prodotti a bassa tecnologia) da Paesi relativamente più dotati di una abbondante manodopera 4. La teoria di Heckscher e Ohlin (HO), fu però contraddetta dal paradosso di Leontief (1954) secondo cui gli Stati uniti (nazione ad alta dotazione di capitale) esportavano beni ad alta intensità di lavoro La teoria di Hymer Stephen Hymer, fu il primo economista che, nel 1960, elaborò una teoria dell internazionalizzazione delle imprese. Hymer era giunto alla conclusione che gli investimenti diretti esteri non fossero semplicemente movimentazioni di capitale, bensì un insieme complesso e organizzato di transazioni che permettono il trasferimento di capitali, tecnologia e competenze organizzative da un Paese all altro e, come tali, riconducibili più propriamente ad attività d impresa 5. Elemento fondamentale per l economista sono dunque gli IDE, intesi come un attività d impresa che permettono il trasferimento non solo dei capitali, ma anche delle tecnologie, delle competenze tra paesi. Secondo Hymer, l espansione dell impresa all estero rappresenta solo un momento del processo di sviluppo dell impresa stessa. In particolare inizialmente l impresa cresce solo a livello nazionale grazie ad un processo di concentrazione consentendole di ottenere profitti sempre maggiori; tuttavia il processo di concentrazione a livello locale 3 Dematté C., Marafioti E., Perretti F., Strategie di internazionalizzazione, Milano, Egea, 2008, p.1. 4 Dematté C., Perretti F., Marafioti E., Strategie di internazionalizzazione, Milano, Egea, 2008, pp Dematté C., Marafioti E., Perretti F., Strategie di internazionalizzazione, Milano, Egea, 2008, pp

11 si arresta allorquando rimangono in gioco solo poche grandi imprese e l elevato profitto derivante dal grado di monopolio raggiunto è utilizzabile per investimenti all estero, il cui fine è espandere il processo di crescita oltre i propri confini nazionali 6. Per Hymer, l impresa può ottenere all estero vantaggi superiori rispetto ai concorrenti locali grazie alle risorse, alle competenze che l impresa internazionalizzata ha acquisito. In funzione dei vantaggi competitivi posseduti dall impresa, quest ultima opterà per le esportazioni o per la produzione nel paese target; questa seconda alternativa, in particolare, attuata per esempio in caso di barriere tariffarie o elevati costi di trasporto, verrà realizzata tramite IDE oppure cedendo licenze a produttori locali Le teorie post-hymer Dopo la seconda guerra mondiale emergono nuove teorie sull internazionalizzazione che hanno come oggetto l impresa. Le teorie basate sull impresa considerano il fenomeno dell internazionalizzazione come il risultato di un complesso sistema di fattori, quali ad esempio i capitali, la tecnologia, il marchio, la qualità, le competenze organizzative, dalla cui combinazione scaturisce il vantaggio per l impresa. Queste teorie si sviluppano principalmente a Cambridge negli Stati Uniti e a Reading in Inghilterra. Per quanto riguarda le teorie di Cambridge si sono sviluppate negli Stati Uniti, paese che per la sua superiorità tecnologica ed economica rappresentava il sistema economico dominante. Il principale contributo è la teoria del ciclo di vita del prodotto, elaborata da Vernon (1966). Secondo tale teoria pur essendoci uguali possibilità per le imprese dei paesi sviluppati di accedere alla conoscenza scientifica, non ci sono uguali possibilità che tali principi vengano applicati nella creazione di nuovi prodotti. Il ciclo di vita internazionale del prodotto viene suddiviso in 3 stadi: 1) Ricerca ed introduzione dell innovazione: la produzione dei prodotti è destinata al solo mercato interno. 2) Sviluppo e maturità del prodotto: il prodotto dopo essersi affermato sul mercato interno inizia ad inserirsi nei mercati esteri attraverso una iniziale fase di 6 Boccia F., Internazionalizzazione, multinazionali e settore agroalimentare, ARACNE, 2009, p

12 esportazione, in cui la produzione rimane concentrata nel paese di origine, per poi espandere le unità produttive nei paesi esteri, attraverso gli IDE. 3) Standardizzazione e declino del prodotto: il prodotto è maturo e standardizzato. La scomparsa della differenziazione spinge la produzione nei paesi a basso costo del lavoro, in particolare nei paesi in via di sviluppo, in virtù della riduzione dei costi di produzione. Il paese innovatore, in conseguenza della diminuzione delle produzione interna, si trasforma da paese esportatore a paese importatore. Le principali critiche, nonché limiti, della teoria elaborata da Vernon sono le seguenti: spiega l internazionalizzazione dei soli settori manifatturieri e si fonda su una innovazione tecnologica che è generata in un solo paese, gli Usa; al contrario di Hymer, inoltre, si focalizza solo sul prodotto e non sull impresa, escludendo dall analisi le imprese multi-product. Le teorie di Reading si sviluppano durante il corso degli anni settanta nell omonima università inglese. Un contributo importante è il paradigma eclettico di Dunning, il quale individua tre fattori che spingono l impresa ad espandersi all estero: 1) Ownership advantage: l impresa possiede risorse e competenze che le permettono di andare all estero e di avere così un vantaggio competitivo anche nei mercati esteri. 2) Location advantage: l impresa trova in un area estera delle condizioni favorevoli per le proprie attività che le permettono di valorizzare ulteriormente le competenze e le risorse a sua disposizione. 3) Internalization advantage: l impresa sfrutta meglio l essenza competitiva di particolari risorse che dispone, piuttosto che concedere la licenza a terzi. Dunning vede, quindi, come spinta fondamentale all internazionalizzazione la volontà dell impresa di sfruttare su più ampia scala i suoi fattori di vantaggio competitivo. Lo stesso Dunning, partendo dal presupposto che lo sviluppo internazionale deriva da obiettivi di redditività a lungo termine, indica anche quattro categorie principali di imprese internazionali 7 : 7 Dematté C., Marafioti E., Perretti F., Strategie di internazionalizzazione, Milano, Egea, 2008, p.10. 7

13 1) Imprese natural resources seekers il cui obiettivo è quello di attuare investimenti finalizzati ad ottenere un accesso privilegiato agli input produttivi ad un costo inferiore rispetto a quello ottenibile dalla nazione d origine. 2) Imprese market seekers il cui scopo è quello di penetrare i mercati internazionali che hanno elevati tassi di sviluppo per fornire beni e servizi ai clienti locali. 3) Imprese efficienty seekers cioè imprese che effettuano investimenti al fine di ottenere economie di scala, di scopo o diversificazione del rischio. 4) Imprese strategic asset seekers il cui obiettivo è quello di acquisire imprese straniere per rafforzare la propria posizione o per indebolire la posizione dei concorrenti Modalità di entrata nei paesi esteri Prima di entrare nello specifico tra le strategie di entrata nei mercati esteri occorre definire il concetto di strategia. La strategia consiste in quel sistema e di azioni che consente all impresa di raggiungere e mantenere simultaneamente e dinamicamente un posizionamento sul mercato di sbocco, sui suoi diversi mercati di rifornimento dei fattori di produzione e rispetto ai suoi principali interlocutori non commerciali tale da assicurarle un vantaggio competitivo difendibile e di conseguenza il raggiungimento dei tre ordini di equilibrio che assicurano all impresa sopravvivenza e sviluppo: l equilibrio economico, quello finanziario e quello patrimoniale 8. In particolare, le principali strategie di entrata elaborate dalle imprese per insediarsi in un nuovo mercato geografico sono: 1) Esportazioni (dirette indirette) 2) Alleanze strategiche (accordi strategici joint entures) 3) Investimenti diretti esteri. La modalità d entrata si basa essenzialmente su tre elementi fondamentali: il tipo di attività svolta nell area geografica estera (commercializzazione, produzione, acquisizione e sviluppo di conoscenze/competenze), i soggetti esterni eventualmente coinvolti ed infine l area geografica estera in cui si effettua l entrata per svolgere tali attività. (Tabella 1.). 8 Dematté C., Marafioti E., Perretti F., Strategie di internazionalizzazione, Milano, Egea, 2008, p

14 Tabella 1. Modalità di entrata nel mercato estero in relazione al tipo di attività svolta e al coinvolgimento di soggetti terzi. Tipologia di attività Soggetti esterni coinvolti No Si Commercializzazione Esportazioni dirette Esportazioni Indirette Alleanze strategiche Produzione Investimenti diretti esteri Alleanze strategiche Sviluppo conoscenze Investimenti diretti esteri Alleanze strategiche Fonte: Caroli 2012 In particolare le esportazioni dirette si basano su attività di commercializzazione in altri paesi realizzate direttamente da strutture dell impresa esportatrice, quindi senza il coinvolgimento di soggetti esterni; al contrario quelle indirette, descrivono operazioni di vendita all estero realizzate mediante soggetti terzi, dello stesso paese dell impresa esportatrice. Le attività produttive e lo sviluppo di competenze rimangono concentrate nel paese d origine. Per quanto riguarda le alleanze strategiche, l impresa entra in un mercato estero con la collaborazione di soggetti esterni, e può scegliere quale tipologia di attività svolgere: commercializzazione, produzione, sviluppo di conoscenze. Le attività possono anche coesistere. Infine, attraverso gli IDE, l impresa, in modo autonomo, entra in un nuovo mercato o per collocare in paesi esteri le attività di produzione o per acquisire all estero almeno una parte delle competenze utili per competere nel proprio mercato o anche a livello internazionale. Ogni modalità di entrata (Grafico 1.) richiede un diverso impegno finanziario e organizzativo, che a sua volta implica un diverso livello di rischio e un maggiore o minore grado di radicamento nel mercato estero. 9

15 Grafico 1. Le diverse modalità di entrata in un mercato estero Fonte: Caroli Esportazioni dirette e indirette L esportazione è certamente la modalità più semplice. Come detto in precedenza la produzione viene effettuata nel paese d origine e, solo in seguito, il prodotto viene esportato direttamente o indirettamente nei paesi esteri obiettivo. Questa modalità è anche la più diffusa, impegnando poche risorse e permettendo di contenere i vari rischi che l impresa deve affrontare nel processo di internazionalizzazione. Attraverso l esportazione indiretta, il produttore, non gestendo direttamente le operazioni con i mercati esteri, si avvale di un operatore indipendente, collocato nel suo stesso paese. Sui mercati internazionali questa modalità richiede un coinvolgimento minimo da parte dell azienda esportatrice e perciò sembrerebbe ideale per le aziende di piccole dimensioni, all inizio del loro processo di espansione, o ancora per quelle aziende che non hanno risorse ingenti o che non vogliono coricarsi rischi eccessivi. Infine, questa modalità viene anche utilizzata per quelle aziende che devono piazzare un eccesso di capacità produttiva, che il mercato nazionale non è riuscito ad assorbire. 10

16 Per l impresa esportatrice, quindi, il principale vantaggio risiede nel fatto che questa modalità permette di espandere le proprie attività, cogliere nuove opportunità senza dover sostenere né importati investimenti né cambiamenti organizzativi e produttivi. Occorre, tuttavia evidenziare come questa modalità non permette il controllo sia sul modo in cui il prodotto viene collocato nel mercato finale, sia su come le altre leve del marketing mix vengono utilizzate. Le esportazioni indirette possono essere attuate attraverso tre modalità, in base alla natura del soggetto terzo che interviene; si va dal singolo professionista, che svolge una semplice attività di intermediazione commerciale o che acquista i beni dal produttore per poi rivenderli per conto proprio nei mercati esteri, alle grandi trading companies. In particolare le tre modalità sono: intermediari, società specializzate indipendenti, consorzi. Gli intermediari internazionali sono tutti quei soggetti che svolgono attività di intermediazione tra Paesi diversi, agendo da canale di collegamento tra uno o più produttori in un Paese e i compratori di determinati Paesi esteri 9. Tra i diversi tipi di intermediari troviamo: - Il buyer: soggetto indipendente, che risiede in un determinato paese, e che rappresenta un certo numero di imprese che sono interessate ad avere un contatto diretto e continuo con dei fornitori operanti nella sua stessa area geografica. Il buyer rappresenta un ottimo strumento per un impresa che vuole sviluppare una clientela estera, in quanto questo soggetto, normalmente, possiede relazioni stabili con gli acquirenti esteri che rappresenta. - Il broker: soggetto che, oltre a collegare il produttore con l acquirente estero, fornisce un supporto consulenziale. Per quanto riguarda le imprese nazionali specializzate nelle esportazioni, queste si occupano essenzialmente di esportare i prodotti delle altre imprese, svolgendo il ruolo di ufficio estero. La loro conoscenza dei mercati permette una penetrazione degli stessi in maniera approfondita e con investimenti limitati. L acquirente straniero, inoltre, ha un offerta più completa, in quanto queste aziende offrono sui mercati internazionali prodotti di più aziende. Un esempio può essere l export management company. 9 Piantoni M., Economia e gestione delle imprese internazionali, McGraw-Hill Create, 2012, p

17 - L Emc opera nei mercati esteri come unità di vendita all estero, accompagnando le esportazioni di imprese la cui offerta non è in concorrenza; infatti, i diversi produttori operano a livelli diversi della stessa filiera. Lo svantaggio principale risiede nel fatto che l azienda produttrice diventa totalmente dipendente da quella esportatrice ed inoltre non possiede il controllo sull evoluzione del mercato, dei gusti, e delle aspettative dei clienti. Troviamo poi, le grandi imprese come le trading companies, presenti in molti paesi del mondo, che si occupano della commercializzazione dei prodotti sui mercati internazionali; sono caratterizzate da un grado elevato di diversificazione sia per quanto riguarda i prodotti commercializzati sia i paesi in cui operano. Si avvalgono anche di società controllate in vari paesi alle quali è affidata la gestione del marketing e la vendita nei rispettivi mercati locali. Oltre ad avere un elevata conoscenza del mercato, forniscono spesso servizi accessori post-vendita, hanno una buona capacità finanziaria e ricercano partner nei mercati esteri per realizzare accordi commerciali. Infine, ricordiamo i consorzi per l esportazione, modalità diffusa per le piccole e piccolissime imprese. Il loro obiettivo è, infatti, quello di compensare i limiti della piccola dimensione delle imprese, raggiungere così la dimensione necessaria per vendere all estero con successo, e limitare la concorrenza tra le imprese consorziate. Il consorzio per l export organizza iniziative promozionali e di ingresso in nuovi mercati attraverso l'adesione a missioni governative, partecipazione a fiere, ricerche di mercato e ricerca di partnership commerciali. L'adesione ad un consorzio per l'export rappresenta un vantaggio per il piccolo imprenditore in quanto consente di ridurre le incertezze e i costi di internazionalizzazione aumentando per contro la propria competitività 10. Affinché un consorzio possa essere efficace è necessario non solo un elevata coesione in termini di obiettivi, risorse, strategie tra tutte le imprese aderenti ma anche la capacità ma soprattutto la volontà di queste ultime di rinunciare a una buona parte di autonomia imprenditoriale. Concludendo, le esportazioni indirette sono, tra tutte le strategie di internazionalizzazione, la forma meno impegnativa, ma anche la più labile. L assenza di un contatto diretto con il mercato di sbocco e quindi con il cliente-consumatore finale 10 Consorzi per l export, Il sole 24 ore, 9 Maggio

18 rappresenta infatti il principale punto di debolezza. Tutto questo si riflette sull incapacità dell impresa di comprendere in modo complessivo le determinanti del proprio mercato, nonché anticipare le tendenze che caratterizzeranno in futuro il proprio segmento di mercato. Le esportazioni dirette, invece, al contrario di quelle indirette, richiedono un maggiore impegno organizzativo, un maggior coinvolgimento finanziario e un maggior impegno imprenditoriale, in quanto in questa modalità di internazionalizzazione è assente la figura dell intermediario che si fa carico dei rischi connessi alla vendita del prodotto 11. Con l esportazione diretta, infatti, l impresa vende nei mercati esteri attraverso una propria struttura commerciale. A fronte dei maggiori rischi che l impresa deve caricarsi, l esportazione diretta presenta molti più vantaggi rispetto a quella indiretta. Il vantaggio principale è dato dal raggiungimento di un legame forte con il mercato di sbocco, ovvero di intrattenere un rapporto diretto con la propria clientela, con la conseguenza di una maggiore conoscenza dei propri consumatori; risulta, quindi, più facile per l impresa sia comprendere ed anticipare le tendenze dei clienti sia individuare nuovi segmenti in cui ampliare la propria attività. Ricordo invece che lo svantaggio principale è rappresentato dalla complessità manageriale, in quanto richiede competenze gestionali che non possono essere improvvisate. Solitamente questa modalità comporta la costituzione, all interno dell impresa, di un unità organizzativa dedicata alle operazioni con l estero. Le modalità di realizzazione sono però varie: - Rete di vendita per l estero: le esportazioni dirette possono essere attuate attraverso la costituzione di una rete di vendita dedicata allo specifico mercato selezionato; può essere formata o da dipendenti dell impresa o da personale indipendente. La creazione di una rete di vendita per l estero permette una conoscenza più approfondita del mercato e della clientela, che insieme alla possibilità di controllare i prezzi, rappresentano i principali vantaggi. 11 Aulicino D., le strategie dell internazionalizzazione, Commercio internazionale, 30, n. 23 (2006) 13

19 Gli agenti indipendenti, legati all azienda da contratti di collaborazione, vengono individuati direttamente nel paese estero, e si pongono come intermediari tra l esportatore e l acquirente realizzando la vendita in nome e per conto dell azienda mandante. Il fatto che l agente sia scelto direttamente nel paese straniero, rappresenta un forte vantaggio per l impresa, avendo quest ultimo una conoscenza maggiore del mercato estero. - Ufficio di rappresentanza: la finalità principale della costituzione di una rappresentanza commerciale è quella di permettere una più rapida distribuzione dei prodotti nel paese estero. La realizzazione di filiali commerciali, o branch, infatti viene realizzata quando il volume delle vendite diviene significativo e quando l impresa vuole raggiungere una posizione importante nel mercato estero obiettivo. - Centrale logistica: in alcune aree geografiche estere l impresa esportatrice può costituire una centrale logistica dove viene in primis immagazzinata la produzione per l estero per poi essere distribuita ai compratori in uno o più mercati stranieri. In alcuni casi presso la centrale logistica possono essere anche svolte lavorazioni sul prodotto. La funzione principale è quella di velocizzare la distribuzione dei prodotti nel mercato estero, e quindi far arrivare il prodotto al consumatore in tempi brevi. - Sussidiaria commerciale estera: l impresa può decidere di costruire una propria unità operativa nel paese estero, la sussidiaria commerciale, avendo una propria autonomia societaria, pur rimanendo controllata dalla casa-madre. Vengono, infatti, trasferite alla sussidiaria parte delle funzioni strategiche e operative. L aspetto fondamentale deriva dal fatto che la sussidiaria acquista dalla controllante i prodotti che avrà poi il compito di distribuire nel paese estero. Questa modalità rappresenta la forma più avanzata della realizzazione delle esportazioni, potendo anche rappresentare un evoluzione naturale di una centrale logistica o di una rappresentanza commerciale. - E-commerce: il commercio elettronico è lo strumento ideale per l export alla portata anche delle aziende minori: attraverso internet l impresa comunica la propria offerta a potenziali acquirenti in tutto il mondo. Il commercio elettronico comporta una serie di vantaggi: dal punto di vista del consumatore l e-commerce 14

20 offre al cliente una gamma più completa e più ampia di prodotti da confrontare; garantisce, inoltre, una risposta più rapida, più personalizzata e più economica alle proprie esigenze. Dal punto di vista dell impresa, invece, il commercio elettronico permette di ottenere una riduzione dei costi di comunicazione e di pubblicità, e quindi la possibilità di stabilire in modo rapido e a costi contenuti un contatto diretto con potenziali compratori residenti anche in paesi molto lontani dal proprio. Tuttavia, questa modalità, comporta anche una serie di problematiche: innanzitutto, a livello mondiale, l e-commerce presenza una diffusione fortemente squilibrata e di conseguenza una limitata informatizzazione delle famiglie e delle imprese in alcune aree del globo senza dimenticare la limitata diffusione delle carte di credito. Il commercio elettronico risulta efficace per le imprese che operano in nicchie di mercato, con produzioni altamente specializzate. Breve analisi delle esportazioni italiane 12 Le esportazioni di beni italiani nel 2012 hanno superato i 389 miliardi di euro tornando ai livelli pre-crisi. Dopo una contrazione nel 2009 gli anni successivi hanno mostrato tassi di crescita sempre positivi, anche se in rallentamento nell ultimo anno. (Grafico 2.). Grafico 2. Esportazioni italiane (Mld ) Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati ISTAT elaborati da Agenzia ICE. 12 Italia: esportazioni ed investimenti diretti esteri, ministero degli affari esteri, 10 Giugno

21 A dicembre 2012, I principali settori di export italiano sono i macchinari e le apparecchiature (più del 18%); sommando poi autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto, il settore arriva a pesare oltre al 27%. Il sistema moda, composto da prodotti tessili, prodotti di abbigliamento e prodotti in pelle, pesa per l 11% delle esportazioni italiane. Segue l agroalimentare con prodotti alimentari, bevande e prodotti dell agricoltura (8,2%) e i prodotti della metallurgia (8,2%). (Grafico 3.). Grafico 3. Composizione % dell export italiano (2012) Articoli di abbigliamento 4,3% Articoli in pelle 4,1% Prodotti della metallurgia 8,2% Prodotti dell'agricoltura 1,4% Prodotti tessili 2,4% Prodotti alimentari 4,9% Bevande 1,6% Altri mezzi di trasporto 2,8% Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi 6,2% Altri settori 46,5% Macchinari e apparecchiature 18,1% Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati ISTAT elaborati da Agenzia ICE. Infine, dal punto di vista geografico l Europa rimane il principale partner. Seguono i paesi europei non appartenenti all UE, l Asia Orientale, l America settentrionale, il Medio Oriente, l America centromeridionale, l Africa settentrionale, l Asia centrale e l Africa Sub-Sahariana, e l Oceania Alleanze strategiche A volte è preferibile entrare nei mercati esteri adottando un grado di coinvolgimento maggiore rispetto a quello derivante dalle esportazioni dirette e indirette. Quando l impresa decide di collocare la produzione in paesi esteri, oppure intende sviluppare all estero parte delle competenze utili per competere, le due modalità di entrata sono le alleanze strategiche e gli investimenti diretti esteri. 16

22 Le alleanze strategiche nascono dalla volontà delle imprese di aumentare la propria influenza a livello internazionale; non si realizza solo una vera e propria integrazione con i mercati esteri, ma si ottiene anche un maggior controllo sulle operazioni. Si devono, però, ovviamente sopportare costi e rischi più elevati. Le alleanze strategiche si distinguono in due gruppi: - Accordi strategici - Joint ventures Gli accordi strategici sono accordi contrattuali, più o meno complessi e articolati, generalmente di medio-lungo termine, tra due o più imprese, che rimangono indipendenti, ma interagiscono scambiandosi o condividendo risorse, funzionali al raggiungimento di obiettivi specifici. Queste intese sono normalmente promosse da un impresa che vuole crescere a livello internazionale con aziende sufficientemente consolidate nei Paesi che essa ha scelto come target geografici. La prima apporta capacità produttiva, conoscenze, prodotti che hanno buone opportunità in un determinato Paese estero; la seconda apporta la capacità di distribuzione del prodotto nel proprio contesto geografico 13. I vantaggi di questa modalità di ingresso consistono in un impegno finanziario e organizzativo ridotto in seguito alla condivisione degli investimenti necessari, nel fatto di creare ricchezza sul territorio del paese straniero, cosa che i governi tendono sempre a vedere di buon occhio, nell opportunità di valorizzare le proprie risorse e contemporaneamente accedere a competenze distintive. Lo svantaggio principale è connesso soprattutto alle potenziali difficoltà nella gestione delle relazioni con i partner stranieri. Gli accordi strategici hanno contenuti piuttosto differenziati e i principali sono: il licensing, il franchising, i contratti di produzione e di gestione, le alleanze commerciali. Per quanto riguarda, il secondo gruppo, le joint ventures, rappresentano la forma più avanzata delle alleanze strategiche, poiché comportano un significativo investimento di risorse finanziarie, oltre che un elevato impegno strategico e organizzativo; è la strategia di internazionalizzazione che più si avvicina agli investimenti diretti esteri. 13 Piantoni M., Economia e gestione delle imprese internazionali, McGraw-Hill Create, 2012, pp

23 Le joint ventures si distinguono nettamente dagli accordi strategici perché queste, per realizzare determinati obiettivi di interesse comune all alleanza (per esempio nel campo del marketing, della produzione o della ricerca), implicano la costruzione di una nuova azienda, cosiddetta joint ventures, tra due o più operatori di diversa nazionalità. Alla base vi è quindi la creazione di una partnership tra due soggetti, partnership costruita con un orizzonte temporale abbastanza definito, in quanto, una volta realizzate le attività di interesse comune è abbastanza ovvio che la joint ventures sia sciolta o trasformata, attraverso l acquisizione di uno dei partner coinvolti. I modelli di joint ventures esistenti si basano essenzialmente sulla creazione, da parte dell impresa entrante, con una o più imprese locali, di una nuova società, in un paese straniero. Avere un partner locale, che garantisce la conoscenza del mercato locale e la disponibilità della rete distributiva, consente di colmare le lacune per quanto riguarda il radicamento sul mercato e i rapporti istituzionali. Al contrario l impresa entrante apporta know-how, capacità tecnica, gestionale e competenze di prodotto. I vantaggi che genera l accordo joint ventures sono molti; innanzitutto consente all impresa di ridurre l investimento finanziario necessario per l entrata nel paese estero, la nuova struttura aziendale può beneficiare di un insieme di conoscenze e di risorse nettamente superiore ad una società che opera all estero in autonomia ed infine, la presenza di un partner locale permette sia un migliore adattamento dell impresa in un mercato sconosciuto, sia il fatto che le autorità locali straniere e i governi ospitanti limitino le azioni contrastanti. Bisogna sottolineare come, però, queste forme di cooperazione siano molto difficili da gestire. Le joint ventures molto spesso vengono utilizzate solo nella fase iniziale della penetrazione di un mercato estero, per poi passare a forme più dirette, come gli investimenti diretti esteri Investimenti diretti esteri Gli IDE, investimenti diretti esteri, hanno assunto negli ultimi anni notevole rilievo tra le strategie di internazionalizzazione e rappresentano la modalità di espansione più avanzata. Con l intensificarsi della concorrenza internazionale può essere conveniente per l impresa un maggior coinvolgimento nel paese target, in modo che la presenza sui mercati esteri non abbia carattere sporadico ma sia invece continua e duratura. Si 18

24 realizza una vera e propria integrazione con i mercati obiettivo ottenendo un maggior controllo sulle operazioni estere. Tutto questo richiede però all impresa costi e rischi più elevati, nonché un notevole impegno finanziario, strategico e la completa assunzione del rischio-paese. L investimento diretto estero può essere definito come un investimento produttivo realizzato dall impresa al di fuori del proprio paese d origine 14, finalizzato alla realizzazione di prodotti da posizionare essenzialmente nel paese in cui è localizzato l insediamento stesso. In particolare un IDE può essere realizzato attraverso due modalità: - realizzazione di una nuova struttura produttiva (stabilimenti, impianti, centri di ricerca, strutture logistiche) nel paese estero. Una nuova struttura produttiva può essere creata su un sito precedentemente non utilizzato per attività economiche, oppure in un area già occupata in passato da altre attività economiche e successivamente riconvertita e/o bonificata. Si parla rispettivamente di investimenti greenfield e brownfield. - acquisizione della proprietà di un impresa operante in un determinato paese estero, ad esempio tramite il semplice acquisto della maggioranza delle azioni 15, o la fusione con tale impresa. La scelta tra una modalità o l altra dipende sia dalle caratteristiche dell impresa sia dalle risorse distintive che dispone. L acquisizione consente all impresa un ingresso più rapido nel mercato selezionato perché sfrutta un marchio già affermato nel paese estero, e tende ad essere preferibile quando la società vuole acquisire, sviluppare nuove competenze, nonché appropriarsi delle relazioni dell azienda estera acquisita. L acquisizione ha successo se, in seguito alla trasformazione, l immagine della società non si indebolisce e non viene meno la fedeltà dei clienti. Dal punto di vista delle risorse l acquisizione è da preferire quando 14 Gli IDE si differenziano perciò dagli investimenti in portafoglio, in quanto questi ultimi riguardano attività puramente finanziarie, come azioni e obbligazioni, realizzate attraverso banche o altri istituti finanziari che generano rendimenti più o meno variabili, in relazione al grado di avversione al rischio dell investitore. 15 Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) si ha un IDE quando l investitore estero possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie, effettuato con l obiettivo di avere un interesse permanente, duraturo nel paese. 19

25 queste possono essere efficacemente trasferite in nuove organizzazioni, ben integrandosi con quelle esistenti, producendo fattori di vantaggio competitivo; oppure se, al contrario, sono risorse fortemente radicate nell impresa ( ) risulta tendenzialmente preferibile la strada dell investimento greenfield 16. Le principali motivazioni della creazione di un insediamento produttivo sono da ricondursi principalmente alla riduzione dei costi di produzione, di trasporto e delle spese doganali, alla possibilità di stabilire una presenza diretta nel mercato estero, all acquisizione di risorse materiali e immateriali, nonché all accesso a materie prime e manodopera. Importanti vantaggi sono, tuttavia, conseguiti anche sul territorio ospitante. Non solo un trasferimento di conoscenze, competenze, tecnologie, un potenziamento delle produzioni locali con un possibile incremento delle esportazioni, ma anche una vera e propria valorizzazione del capitale umano, stimolando il tasso di imprenditorialità locale. Negli ultimi vent anni, infatti, soprattutto i governi dei paesi emergenti hanno attuato interventi legislativi favorevoli agli IDE, che si sono tradotti in incentivi, benefici fiscali, semplificazione delle procedure amministrative a favore degli investitori stranieri. L investimento diretto estero presenta comunque anche degli svantaggi. Esso comporta investimenti consistenti, capitali iniziali elevati, costi di informazione e di ricerca elevati, richiede personale qualificato per gestire la nuova unità estera, non sempre facilmente reperibile. Effetti negativi possono però presentarsi anche a danno del sistema locale; un esempio può essere il caso in cui l investitore internazionale, raggiungendo una posizione di dominio, argini gli operatori locali e influenzi le istituzioni e gli organi di governo. In sintesi, è essenziale trovare un punto d incontro, un equilibrio tra i benefici dell impresa e quelli del paese ospitante. Gli IDE hanno anche una duplice natura: possono essere investimenti attivi, in entrata, ovvero investimenti realizzati da imprese straniere che entrano in un determinato territorio, o investimenti passivi, cioè in uscita da un determinato territorio per essere realizzati in un area in cui l impresa vuole raggiungere un presenza internazionale. Per 16 Piantoni M., Economia e gestione delle imprese internazionali, McGraw-Hill Create, 2012, pp

26 rendere la trattazione più interessante viene proposta, di seguito, l analisi del caso italiano, evidenziando sia gli IDE in entrata che in uscita dal nostro Paese. Breve analisi degli investimenti diretti esteri italiani 17 I flussi di IDE in uscita dal nostro Paese, sono stati, nel corso del 2012, di 23,2 miliardi di euro, in riduzione del 40% rispetto all anno precedente; nel primo trimestre 2013 sono stati di 676 milioni (dati provvisori). Per quanto riguarda la destinazione geografica, al 2011, degli IDE, si rileva come il 61% di tali flussi erano destinati all Ue a 27, in modo particolare nei Paesi Bassi (probabilmente per il miglior regime fiscale), in Germania e in Spagna; seguono il continente asiatico, 20,5%, africano, 7,3%, e americano, 5,6%. (Grafico 4.). Il Grafico 5. mostra invece i principali settori di destinazione, e si evince che il 47,5% dei flussi di investimenti diretti esteri in uscita dall Italia nel 2011 è destinato ai servizi, il 28,5% alla manifattura, il 12,8% alle costruzioni. Grafico 4. % della destinazione geografica dei flussi di investimenti italiani in uscita 2011 (Totale flussi in uscita dall Italia 2011: 38,6 mld ) Altre destinazioni 5,2% America 5,6% Africa 7,3% Unione Europea 61,4% Asia 20,5% Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati Eurostat e Banca d Italia 17 Italia: esportazioni ed investimenti diretti esteri, ministero degli affari esteri, 10 Giugno

27 Grafico 5. % della destinazione settoriale dei flussi di investimenti italiani in uscita 2011 Servizi 47,5% Altri settori 11,2% Costruzioni 12,8% Manifattura 28,5% Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati Eurostat e Banca d Italia Nel 2012 sono stati di 12,5 miliardi di euro, invece, gli investimenti diretti esteri in ingresso in Italia, circa la metà dell anno precedente (24,7 miliardi). I flussi in ingresso nel primo trimestre 2013 sono stati di 1,3 miliardi (dati provvisori). Sulla base della provenienza geografica al 2011, oltre il 90% di tali flussi originava dall UE27, in modo particolare da Lussemburgo e Francia; tra i principali Paesi non Ue, spiccano invece Svizzera e Stati Uniti. (Grafico 6.). Circa i settori, nel 2011, il 42% dei flussi IDE in ingresso in Italia è destinato al manifatturiero, il 39% ai servizi, il 5,3% alle costruzioni. (Grafico 7.). Grafico 6. % della provenienza geografica dei flussi di investimenti in Italia dall estero 2011 (Totale flussi in ingresso in Italia 2011: 24,7 mld ) Altre provenienze 9,3% Unione Europea 90,7% Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati Eurostat e Banca d Italia 22

28 Grafico 7. % della destinazione settoriale dei flussi di investimenti in Italia dall'estero 2011 Altri settori 13,7% Servizi 39% Costruzioni 5,3% Manifattura 42% Fonte: rielaborazioni ministero affari esteri su dati Eurostat e Banca d Italia 1.3. Osservazioni conclusive Concludendo l internazionalizzazione può favorire il raggiungimento di un vero e proprio vantaggio competitivo: l azienda, grazie all espansione estera matura conoscenze, competenze, sviluppa nuove relazioni, incrementa la sua reputazione sicuramente in modo maggiore rispetto ad avere una sola dimensione nazionale. Ulteriori vantaggi sono riscontabili anche nella strategia di marketing: l impresa genera una valorizzazione internazionale dei propri marchi, dei propri prodotti, fidelizzando ulteriormente il cliente e aumentando anche le occasioni in cui il consumatore finale ha la possibilità di provare il prodotto. Infine, un altro aspetto da considerare è il cosiddetto effetto Made-in, o effetto Paese, di fondamentale importanza per il consumatore. È proprio il paese d origine che viene sottolineato come reason why di attributi qualitativi e di immagine. 23

29 CAPITOLO 2 IL MADE IN ITALY L attuale crisi aziendale che ha investito il nostro Paese nel corso degli ultimi anni può rappresentare una straordinaria opportunità perché permette di ridefinire attori e regole del gioco di un sistema che appare vecchio, ingessato; sono proprio l internazionalizzazione e la capacità di offrire al mondo una nuova dolce vita 18, rilanciando appunto il Made in Italy, gli strumenti necessari su cui il nostro Paese deve puntare La creatività orientata al mercato Durante il corso degli anni 80 il Made in Italy ha conquistato e affascinato il mondo: una storia di idee, progettualità, amore per il ben fatto che viene dal vivere in uno dei paesi più belli del mondo. Made in Italy, fatto in Italia, è il marchio più forte del mondo. Recenti ricerche lo dimostrano con chiarezza. Nei prodotti italiani il consumatore cerca un emozione che gli consenta di condividere uno stile di vita, una visione estetica della qualità che è unica al mondo, inimitabile 19. Il Made in Italy non è un etichetta d origine applicabile indistintamente a tutti i prodotti fatti in Italia ( ). Si tratta piuttosto di un concetto astratto, una firma d autore che definisce quei prodotti per cui l Italia esprime un effettiva specializzazione, dove esiste un reale vantaggio in termini di innovazione, stile, servizio, prezzo 20 per i quali esiste, almeno in teoria, la disponibilità a pagare un premium price. Made in Italy è un concetto che vale molto per i mercati internazionali, rappresenta non solamente una qualità superiore, ma un modo di essere, di vedere le cose, e proprio per questo è, 18 Il termine dolce vita indica lo stile di vita italiano fatto di ottimismo e allegria tipico dell Italia del secondo dopoguerra. 19 Intervento del presidente della Repubblica Ciampi in occasione della consegna dei premi Leonardo e Leonardo qualità Italiana (Roma 4 dicembre 2003). Erica Corbellini, Stefania Saviolo, La scommessa del Made in Italy, ETAS, 2004, p Erica Corbellini, Stefania Saviolo, La scommessa del Made in Italy, ETAS, 2004, p

30 almeno in parte, inimitabile. Sono proprio questi i pilastri su cui si fondano i marchi più rappresentativi del Made in Italy: basti pensare a nomi noti come Ferrari, che simbolizza il piacere italiano della guida sportiva, Armani, nel campo della moda, che sulle passerelle mondiali evoca la classe e lo stile tipico italiano senza dimenticare, nel settore del beverage, l acqua S. Pellegrino, che significa convivialità, vivere il cibo come un occasione per ritrovarsi e condividere emozioni. Questi sono solo alcuni grandi marchi italiani che ci permettono di capire la potenza Made in Italy sulla scena internazionale, identificandolo come una garanzia: alla dimensione intangibile, che attraverso l associazione alla cultura, alla storia e all arte favorisce una percezione non commerciale dei prodotti italiani, se ne affianca una tangibile, altrettanto importante. Acquistare un prodotto italiano, infatti, non significa solo acquistare un prodotto di moda, di qualità, ma rappresenta la chiave di accesso ad una comunità che trova il suo collante nel bello e nel gusto. Sono questi benefici sociali ed emozionali a giustificare il premium price 21. Scommettere sul Made in Italy significa scommettere sulla nostra capacità di continuare ad offrire al mondo piccole felicità ed emozioni quotidiane Country of origin Ogni paese possiede un eredità di valori, simboli e tradizioni che costituiscono il suo patrimonio intangibile. Storia, cultura e valori sono alla base del cosiddetto country of origin: così come la marca ha la funzione di costruire la fiducia dei consumatori, l immagine positiva di una nazione può migliorare sia la percezione commerciale di una marca sia il consumo di prodotti o servizi originati in un determinato paese. Le qualità associate ad un paese, nell attuale scenario globale e nell odierna era internet, in cui i confini geografici spariscono e i consumatori vengono investiti da proposte simili, diventano essenziali per le imprese le quali faticano sempre più a trovare elementi di differenziazione rispetto ai competitors. Nel mercato attuale, caratterizzato da complessità e dinamicità, quindi una positiva immagine del paese diviene un fattore critico di successo. Il Made in Italy rientra a pieno titolo tra i brand paese che sono in grado di dare un impulso determinante al successo delle imprese 21 Erica Corbellini, Stefania Saviolo, La scommessa del Made in Italy, ETAS, 2004, p

31 italiane che operano su scala internazionale; il cosiddetto Made in, nella prospettiva delle imprese italiane, è sempre stato una fonte di valore da sfruttare, salvaguardare ed incrementare. La relazione esistente tra country of origin e buyer behavior si può ricondurre a tre componenti principali: una componente cognitiva in base alla quale gli acquirenti ricavano dall immagine della nazione di origine il livello degli attributi (avanzamento tecnologico, affidabilità, durevolezza ) che determinano la valutazione complessiva del prodotto; una componente affettiva, in base alla quale l immagine della nazione di origine fornisce stereotipi emozionali che arricchiscono il prodotto di benefici di natura simbolica, quali lo status sociale e l orgoglio nazionale; una componente normativa in base alla quale gli acquirenti associano alla nazione di origine una serie di norme sociali e personali che influenzano le decisioni di acquisto (ad esempio il rifiuto di acquistare prodotti da nazioni che hanno praticano politiche ritenute eticamente scorrette) 22. Concludendo ricordo come il primo utilizzo del country of origin, in termini di chiave di accesso sui mercati esteri, si è reso particolarmente necessario per quei Paesi, come la Francia e l Italia, che non potevano fare affidamento solo sulla loro clientela interna per sostenere la crescita 23. Con il passare del tempo, in seguito ai numerosi processi di delocalizzazione, il significato del termine Made in ha allargato la sua portata fino ad essere sempre meno vincolato dal paese nel quale avviene la produzione, secondo il paradigma per cui il prodotto nasce in fabbrica ma ciò che il cliente compra è il marchio. In tale contesto ha assunto sempre più importanza la valenza allargata del country of origin inteso come il Paese al quale un consumatore associa la fonte di provenienza di un determinato prodotto o marchio indipendentemente da dove il prodotto sia stato effettivamente fabbricato 24. Un esempio sono le scarpe Geox dove la produzione è delocalizzata in Romania, ma la percezione del marchio rimane Made in Italy; o ancora le sneaker della Nike, prodotte nel Sud-Est asiatico, che grazie alla strategia di 22 Alessandro De Nisco, Country of origin e buyer behavior: una meta-analisi dalla letteratura internazionale, mercati e competitività, 2007, pp Erica Corbellini, Stefania Saviolo, La scommessa del Made in Italy, ETAS, 2004, pp Erica Corbellini, Stefania Saviolo, La scommessa del Made in Italy, ETAS, 2004, p

32 comunicazione vengono identificate come americane in relazione alla voglia di emergere e all individualismo tipici della cultura statunitense. La competitività del Made in Italy sullo scenario internazionale non deriva, quindi, solamente dall essere fatto in Italia, in quanto sono molti i prodotti progettati in Italia e realizzati altrove (concetto allargato del country of origin) essenzialmente per motivi di costi. La potenza dei prodotti italiani va ben oltre; è il cosiddetto know how, la conoscenza, la tradizione estetica e l abilità che fanno l Italia un paese unico. Il fatto che un prodotto sia pensato in Italia, nonostante sia realizzato altrove, può essere utilizzato a nostro vantaggio rispetto ad altri paesi, come la Germania la cui attrattività è profondamente legata a un modo di produzione più difficile da delocalizzare in quanto basato sul territorio. Vale a dire che mentre il consumatore è disposto ad accettare che un prodotto italiano sia realizzato altrove, la solidità, la robustezza e la sicurezza evocate dal marchio Germania sono invece legate alla produzione in sé. E molto difficile che un consumatore accetti come tedesco un prodotto realizzato, per esempio, in Africa 25. Da queste riflessioni si può affermare come la condizione necessaria per innescare una rappresentazione mentale dell italianità non è il luogo di produzione, ma quello del comportamento. Nel senso che il prodotto è collegato ad un atteggiamento, al popolo, allo stile, alla storia, alla terra, alla vita sociale dell Italia 26. Da qui può derivare una domanda lecita ovvero come faccia un consumatore razionale ad essere disposto ad acquistare un prodotto che non sia realizzato nel nostro Paese ma lo simboleggia; semplice: il consumatore razionale non esiste; oggi nel clienteconsumatore finale domina l aspetto emotivo. La nostra mente ha due sistemi: ragionante (conscio, seriale, lento ed esplicito); intuitivo (inconscio, parallelo, veloce ed implicito). Nella presa di decisione prevale la mente intuitiva, legata alle emozioni ed ai sentimenti. In riferimento ai prodotti Italiani, la teoria del consumatore emotivo spiega bene come mai l attrazione sia innescata da un nesso simbolico con l italianità, in assenza di ogni legame con una produzione italiana. Consciamente, razionalmente, il consumatore potrebbe anche sapere che il prodotto non è italiano, ma emotivamente, 25 Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo

33 inconsciamente, prova la sensazione contraria 27. Quello che prevale sono la comunicazione, gli sforzi di marketing, il nome del marchio associati all italianità. Infatti, non è una scelta casuale della imprese quella di mantenere in Italia le competenze core quali marketing, design, progettazione, in modo da conciliare i vantaggi tipici della delocalizzazione (per esempio il basso costo della manodopera) e i vantaggi che derivano da un immagine positiva del paese, derivante dal fatto di aver concentrato le attività strategiche in Italia Che cosa si intende per italianità? Come appena detto nel paragrafo precedente un marchio di una nazione può essere analizzato attraverso variabili, classificazioni e varie associazioni mentali; così, secondo alcuni studi, le principali associazioni che rimandano al marchio Italia sono associazioni sensoriali (arte, cultura, cibo, moda, automobili), emotive (vacanze, amicizie, bellezze, divertimento, bel tempo), razionali (linguaggio, storia) che lo differenziano, per esempio, dal Made in Gemany al quale affianchiamo elementi come solidità, affidabilità, perfezione, non amicizia. Come ogni concetto complesso, quello di italianità è rappresentato normalmente da un insieme di immagini mentali, che corrispondono a tutta una serie di attributi che diventano comuni modi di pensare 28. Basti pensare a immagini di Venezia, le piazze siciliane di Dolce & Gabbana, le spiagge di Roberto Cavalli, la Cappella Sistina, il Barolo possono rappresentare il concetto complesso di italianità. E importante, ancora una volta, sottolineare come il concetto di italianità, composto sia da immagini di prodotto che da valori culturali, possa influenzare la competitività italiana. Come per la maggior parte dei paesi, anche l Italia è percepita agli occhi dei consumatori internazionali positiva per alcuni aspetti e in maniera meno positiva per altri. Tra i principali valori positivi che vengono associati all Italia e che, quindi, contribuiscono a formare l immagine Made in Italy, troviamo il valore dell estetica ovvero lo stile (prima nel mondo), il design (prima nel mondo) l eleganza, il buon gusto e il valore dell abilità artigianale rappresentato da rifinitura (seconda nel mondo dopo la 27 Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo

34 Francia) precisione, qualità, tradizione e creatività. E dimostrato da numerosi studi, infatti, che il prodotto italiano trova una sua precisa nicchia di mercato a livello sempre più globale, proprio grazie a questa serie di fattori distintivi 29. Al contrario, è radicata nella mente dei consumatori, un immagine non positiva del nostro Paese, per quanto riguarda la tecnologia, la resistenza, e l affidabilità, mentre è considerata nella media quanto a assistenza, prezzo e rapporto qualità/prezzo. Questa valutazione rispecchia perfettamente i dati economici della nostra bilancia commerciale e del valore aggiunto. Il rapporto sull innovazione del 2011 indica che l Italia è molto competitiva nel campo dell innovazione soft e delle esportazioni di cibo, vini, abbigliamento e moda 30. Infatti, le cosiddette 4 A, ovvero i principali settori in cui il Made in Italy detiene un immagine e un primato d eccellenza sono il settore Abbigliamento-moda, Alimentare, Arredamento-casa e Automazione-meccanica. In relazione a ciò le imprese, nelle loro strategia di internazionalizzazione, dovranno tenere ben presente di come è percepito il Made in Italy dai consumatori stranieri, e adeguare di conseguenza le loro strategie Osservazioni conclusive Sempre in riferimento al concetto di Made in Italy è utile sottolineare l importanza dei prodotti italiani Belli e Ben Fatti (BBF), che rappresentano un sottoinsieme del Made in Italy. Questi prodotti sono beni di fascia medio-alta (escluso il segmento del lusso) nei settori chiave del Made in Italy, i settori alimentare, arredamento, abbigliamento, calzature e gioielleria. Le esportazioni dei prodotti BBF crescono in modo esponenziale, soprattutto nei trenta mercati più dinamici, grazie all ampliamento della classe benestante. In particolare nel mondo nel 2018 ci saranno 194 milioni di nuovi ricchi rispetto al 2012, cioè individui con reddito annuo superiore, o almeno pari, a 30 mila dollari (a prezzi del 2005 e a parità di potere di acquisto), in grado di acquistare prodotti Belli e Ben Fatti. La maggior parte di questi nuovi ricchi risiederà in Cina, India, Brasile, Emirati Arabi, 29 Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo Viale R., Che cosa si intende per italianità, Il sole 24 ore, 10 Marzo

35 Russia e Turchia, tutti paesi in cui, già oggi il Made in Italy è presente e afferma il proprio valore, rappresentando per il consumatore uno status symbol. Le importazioni, nei trenta mercati emergenti, supereranno nel 2018 i 169 miliardi di euro. Nonostante l enorme opportunità offerta dai mercati emergenti bisogna comunque sottolineare come la situazione non sia rosea; le imprese italiane si trovano a competere in contesti difficili; data la debolezza della domanda interna dei paesi avanzati, a causa del protrarsi delle conseguenze della crisi, le imprese, come detto, si orientano verso novi mercati, ma questi molto spesso innalzano barriere e dazi per contrastare l ingresso dei prodotti esteri. 30

36 CAPITOLO 3 ANALISI DEL SETTORE FOOD & BEVERAGE L obiettivo del presente capitolo è quello di fornire un analisi del settore agroalimentare 31, analizzando in modo particolare le bevande. Il settore alimentare, è il principale comportato manifatturiero Europeo, ma soprattutto ha un ruolo fondamentale nell economia italiana; rappresenta, quindi, un settore portante per l economia del nostro Paese, i cui prodotti sono venduti e apprezzati in tutto il mondo. Il settore rappresenta un importante fattore di valorizzazione dell agricoltura, tanto da costituire quel sistema agroalimentare che oggi è in grado di soddisfare i bisogni di mezzo miliardo di cittadini comunitari 32. Il ruolo dell Italia nel commercio internazionale, negli ultimi 15 anni, è mutato trasformandosi da esportatore ad importatore di beni e servizi. In questi ultimi anni la nostra economia è rimasta ai margini, non riuscendo a sfruttare a proprio vantaggio i cambiamenti del contesto europeo e mondiale, come ad esempio il declino dei vecchi protagonisti del mondo occidentale e la contemporanea affermazione di nuove aree e nuovi paesi (Asia e Cina in modo particolare). E interessante notare come il comparto alimentare, nonostante il quadro appena descritto, e ovviamente senza tralasciare la crisi internazionale del biennio , sia andato in contro-tendenza, configurandosi come un settore anti-ciclico. Questo è avvenuto grazie al cosiddetto Made in Italy agroalimentare, un icona dell Italia nel mondo, che rappresenta una delle componenti più robuste delle nostre esportazioni. Rispetto ai player internazionali le nostre imprese alimentari possono infatti godere del vantaggio competitivo offerto, appunto, dal Made in Italy, che, come ha evidenziato un indagine del Comitato Leonardo 33, rappresenta un sinonimo di qualità e bellezza estetica. Per esempio, i consumatori degli Stati Uniti, nostro principale mercato di 31 Il sistema agro-alimentare è quel ramo del sistema economico che approvvigiona il paese degli alimenti. Con il termine filiera agro-alimentare, infatti, si intende l insieme delle principali attività, tecnologie, risorse che permettono di creare, trasformare, distribuire, commercializzare un prodotto agroalimentare. 32 Pantini D., Il cibo italiano che piace in Europa, Largo Consumo, 31, n. 4 (2011): p Il comitato Leonardo è nato nel 1993 con l obiettivo di promuovere e affermare la qualità Italia nel mondo. 31

37 sbocco, associano essenzialmente ai prodotti alimentari il concetto di Made in Italy. L anti-ciclicità del comparto viene raffigurata e confermata nel grafico seguente, dove viene mostrata un elevata dinamicità del settore alimentare, confrontandolo con gli altri settori trainanti l export italiano (cosiddette 4 A). Grafico 8. I settori trainanti l export italiano Fonte: Largo Consumo Mentre l export dei prodotti arredamento-casa e abbigliamento-moda sono rimasti stazionari, per poi subire con la crisi del 2009 un crollo del 20%, automazione e alimentare hanno continuato a crescere fino al 2008, per poi arretrare nell anno seguente. Questo ultimo trend non riguarda i prodotti alimentari che hanno mostrato una crescita annuale, rispetto al settore automazione-meccanica, sia nelle fasi positive di mercato sia in quelle negative, proprio a testimonianza dell anti-ciclicità che caratterizza il settore in esame. 32

38 3.1. Il commercio agroalimentare mondiale Dato il quadro appena descritto, le esportazioni mondiali di prodotti agroalimentari sono cresciute molto negli ultimi quindici anni ( ), ma in maniera ancora più significativa nell ultimo quinquennio ( ) rispetto al commercio totale di beni e servizi 34. Soprattutto per l ultimo periodo, questo andamento si collega alla crescente domanda di cibo dei Paesi emergenti che si è aggiunta a quella di materie prime di base e di prodotti più sofisticati e costosi, sempre richiesti dai Paesi avanzati e in misura sempre maggiore anche dai nuovi ricchi 35. In particolare, negli ultimi 5 anni, vi è stato un aumento delle importazioni in tutte le aree geografiche del mondo, con esclusione dell UE a e del Nord America. Attualmente, i primi dieci Paesi esportatori di prodotti agroalimentari, ordinati rispetto alla loro quota del biennio 2010/2011, coprono il 53% delle esportazioni mondiali di tali prodotti, mentre i primi venticinque ne coprono l 80% 37. (Tabella 2.). 34 De Filippis F. (a cura di), L agroalimentare nel commercio mondiale, Specializzazione, competitività e dinamiche, Tellus, 2012, p De Filippis F. (a cura di), L agroalimentare nel commercio mondiale, Specializzazione, competitività e dinamiche, Tellus, 2012, p UE a 15: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda (1957, 6 paesi fondatori); Danimarca, Irlanda, Regno Unito (1973); Grecia (1981); Portogallo, Spagna (1986); Austria, Fillandia, Svezia (1995). 37 De Filippis F. (a cura di), L agroalimentare nel commercio mondiale, Specializzazione, competitività e dinamiche, Tellus, 2012, p

39 Tabella 2. I primi 25 Paesi esportatori di prodotti agroalimentari, ordinati per quota di export media 2010/11. (Per Paesi Bassi e Spagna l ultimo dato disponibile è il 2010, Belgio e Lussemburgo fino al 1998) Fonte: elaborazioni su dati Un-Comtrade Dal lato delle esportazioni si sono affermati nuovi protagonisti sullo scenario del commercio mondiale come Brasile, Cina, Argentina e Indonesia, mentre altri paesi come Polonia e Ucraina hanno fatto il loro ingresso nel gruppo dei 25 leader in seguito alle opportunità derivanti sia del processo di allargamento ad Est dell Unione Europea sia dell apertura degli scambi dei Paesi dell ex Unione Sovietica. Alcuni concorrenti emergenti temibili, come Argentina, Tailandia, India, Indonesia, Messico e Cile, hanno aumentato le proprie quote nel settore agroalimentare scalando il gruppo dei maggiori esportatori, e facendo indietreggiare paesi come Australia, Nuova Zelanda e Irlanda. 34

40 In conclusione, se le performance dei singoli paesi sono varie, le tendenze medie dei 25 maggiori esportatori raggruppati per aree geografiche mostrano una complessiva perdita di peso sul mercato mondiale dei leader storici dell Ue, dei concorrenti nordamericani (Stati Uniti e Canada) e dei grandi esportatori dell Oceania (Australia e Nuova Zelanda), per fare spazio soprattutto agli emergenti asiatici e latino-americani. Nel continente europeo, solo l area dell Est Europa ed ex-urss, qui rappresentata da Polonia e Ucraina, aumenta il peso tra i leader, ma con una quota complessivamente ancora molto limitata 38. (Tabella 3.). Tabella 3. Quote di mercato all export degli attuali venticinque maggiori esportatori, raggruppati per appartenenza geografica. (% sul totale mondiale) Fonte: Elaborazioni su dati Un-Comtrade Per completezza di informazioni indichiamo nella Tabella 4. la composizione delle esportazioni agroalimentari mondiali. Attualmente, il comparto più rilevante in valore è quello delle carni, seguito dagli oli e grassi vegetali e animali, dai cereali e dalle bevande, alcoliche e non. 38 De Filippis F. (a cura di), L agroalimentare nel commercio mondiale, Specializzazione, competitività e dinamiche, Tellus, 2012, p

41 Tabella 4. Composizione delle esportazioni agroalimentari (comparti ordinati in base al valore medio 2010/11) Fonte: Elaborazioni su dati Un-Comtrade 3.2. Il commercio agroalimentare in Italia L industria alimentare italiana, con 6250 aziende con più di 9 addetti per ettaro e un fatturato di 130 miliardi di Euro 39, costituisce il secondo settore manifatturiero italiano. L Italia ha raggiunto importanti primati nel settore; in primis le produzioni alimentari sono sollecitate da un mercato interno caratterizzato da consumatori esperti e consapevoli; in secondo luogo la qualità produttiva riscontrabile nella Penisola, che favorisce l export, può essere testimoniata dalla presenta di numerose produzioni 39 Export: un tavolo internazionalizzazione tra industria alimentare e istituzioni per sostenere il Made in Italy alimentare nei suoi 12 mercati chiave, comunicato stampa, 3 luglio 2013, 36

42 certificate: 246 tra Denominazioni di Origine Protetta (Dop), Indicazioni Geografiche Protette (Igp) e Specialità Tradizionali Garantite (Stg); 521 tra vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg) o a Indicazione Geografica Tipica (Igt); specialità tradizionali regionali 40. L insieme di questi elementi contribuisce a far emergere un quadro produttivo e qualitativo senza eguali nel mondo. Nell attuale economia globale in cui i paesi in via di sviluppo competono sempre più in termini di costo, le economie avanzate, ed in modo particolare l Italia, prevalgono in qualità. Nel contesto europeo, il mercato italiano rappresenta, uno dei principali bacini di consumo dei prodotti alimentari; in particolare l Italia si configura come il terzo mercato europeo, dopo Germania e Regno Unito, per valore dei beni consumati, sia in casa sia nel fuori casa 41. Bisogna ricordare come sui consumi alimentari pesano rilevanti fattori; innanzitutto la crisi ha messo a dura prova i consumi delle famiglie italiane che vedono ridurre il proprio potere d acquisto. Questo non poteva non riflettersi anche sui consumi. Nel primo semestre del 2010 le vendite di prodotti alimentari, sono diminuite dell 1,1% rispetto allo stesso periodo dell anno precedente 42. Allargando la visione negli ultimi 30 anni si nota come il peso degli alimenti sul totale dei consumi sia diminuito, pur mantenendo una certa importanza sulla spesa complessiva degli italiani; questo a causa di diversi fattori: cambiamenti socio-demografici (invecchiamento della popolazione, affermazione di famiglie mononucleari), mutamenti nello stile di vita, ossia l emergere di un segmento più consapevole e attento alle diete, il galoppare della crisi economica, la disoccupazione, la pressione fiscale e la crescita dei prezzi dell energia, tariffe e servizi. Ma quello che più e grave è il fatto che il target qualitativo dei prodotti acquistati sia sceso; il prezzo è diventato la principale variabile di scelta del consumatore. I dati diffusi dall ISTAT, in riferimento ai consumi alimentari domestici, una volta deflazionati, mostrano la lenta ma inarrestabile erosione avviata nel 2007 con un calo di 40 I.T.A.L.I.A., geografie del nuovo Made in Italy, I quaderni di symbola, p Pantini D., Il cibo italiano che piace in Europa, Largo Consumo, 31, n. 4 (2011): p Pantini D., Il cibo italiano che piace in Europa, Largo Consumo, 31, n. 4 (2011): p

43 -7,7 punti dal 2007 al 2012, contro i consumi finali totali scesi di -1,4 punti 43. (Tabella 5., Grafico 9.). Tabella 5. Consumi alimentari delle famiglie Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT Grafico 9. Spesa per consumi finali delle famiglie Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT *stime Con i consumi interni in recessione, l export rappresenta la più importante valvola di sfogo e di redditività per il food and drink: nel 2012 ha raggiunto quasi 25 miliardi di

44 euro, con un'incidenza sul fatturato totale dell''industria alimentare (130 miliardi di euro) del 19% 44. Tabella 6. Le cifre base dell industria alimentare italiana Fatturato: valore - Mld/ (+3,3%) 127 (+2,4%) 130 (+2,3%) Export: valore - Mld/ (+10%) 23 (+10%) 24,8 (+8%) Produzione: quantità ,8% -1,2% -1,4% Fonte: FOODDRINKEUROPE European Food and Drink Industry 2012 Data Trends I principali mercati i sbocco dell industria italiana I principali partner commerciali, che coprono circa il 48% delle esportazioni, sono rappresentati dalla Germania, con una quota export pari al 16,9% (4,3 Mln), dalla Francia, con una quota export pari al 12,2% (3 Mln), e dal Regno Unito, con una quota export pari al 9% (2,3 Mln). Gli Stati Uniti sono al terzo posto in termini di destinazione dell alimentare italiano, con una quota export pari al 10% (2,6 Mln). (Grafico 10.). 44 Export: un tavolo internazionalizzazione tra industria alimentare e istituzioni per sostenere il Made in Italy alimentare nei suoi 12 mercati chiave, comunicato stampa, 3 luglio 2013, 39

45 Grafico 10. Export 2012 I primi 4 paesi di destinazione (Milioni di Euro) Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT Grafico 11. Export 2012 I principali paesi di destinazione dopo Germania, Francia, USA e UK (principali Paesi di destinazione con un valore export 2012 compreso tra 1,000 e 150 milioni di Euro) Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT Se si guarda alle performance di paesi dinamici e in crescita, l andamento delle vendite mostra evoluzioni importanti evidenziando crescite più significative nei mercati Extra- UE. Nel 2012 si rilevano eccellenti dinamiche in alcuni mercati emergenti. Dopo l ultimo aggiornamento ISTAT: Thailandia (+50,6%), Emirati Arabi Uniti (+39,5%), Messico (+32,5%), Arabia Saudita (+30,5%) e Libia (+30,3%). Interessanti anche gli 40

46 spunti di Cina (+24,3), India (+22,8), Corea del Sud (+22,5%), Giappone (+20,5), Ucraina (+18,5%) 45 Grafico 12. Export 2012 I paesi più dinamici (Paesi più dinamici in termini di variazioni percentuali 2012/2011 maggiori o uguali a +5%) Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT Le evoluzioni osservate sono da ricondurre essenzialmente alla crescita economica che ha caratterizzato questi paesi, che si traduce in un miglioramento del benessere collettivo e del reddito disponibile da destinare ad acquisti di prodotti di fascia elevata, come può essere ad esempio i consumi di vini italiani. La crescita che ha caratterizzato l export ha permesso all Italia, pur in un momento congiunturale tra i più difficili dell ultimo secolo, di consolidare le proprie quote sui mercati internazionali, accusando meglio il colpo della crisi economica rispetto a quanto accaduto ai principali competitor Expo 2015 Parlando del settore agroalimentare in Italia non si può non citare l esposizione universale; Milano tra l 1 Maggio e il 31 Ottobre 2015, diventerà meta privilegiata di oltre 20 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo, il cui tema, nutrire il pianeta, energia per la vita, vuole dare visibilità alla tradizione, alla creatività, all innovazione nel settore dell alimentazione, sottolineando in particolar modo l aspetto della sicurezza e della qualità alimentare. Con un totale di 142 paesi Pantini D., Il cibo italiano che piace in Europa, Largo Consumo, 31, n. 4 (2011): p

47 partecipanti, ad oggi, l Expo è un occasione di incontro, di confronto e di dialogo con tutti i paesi, ma in modo particolare per l Italia è un opportunità di crescita economica, un volano per la nostra economia, rappresentando le eccellenze del settore alimentare dell Italia e di Milano. Concludendo, va ricordato come la Lombardia, rappresenta il 25% del fatturato nazionale del comparto agroalimentare ed è la terza regione in Italia, dopo Emilia Romagna e Veneto, per numero di prodotti agroalimentari certificati Quadro di sintesi dei consumi di bevande analcoliche nel mondo 47 Nel mondo si consumano circa 600 miliardi di litri di bevande analcoliche fredde tra cui acque confezionate, bibite, succhi e altre bevande naturali frutta, pari ad un consumo pro-capite di circa 83 litri/anno. Questo dato è ovviamente la media tra situazioni di alto consumo, come per esempio in Nord America e in Europa Occidentale dove vengono consumati oltre 200 litri/pro-capite, e situazioni di basso consumo delle regioni più povere dove si sfiorano appena i 30 litri/anno. Il consumo delle bevande analcoliche è migliorato nel 2012 del 3%, ma bisogna evidenziare che la leadership storica che ha caratterizzato le bibite, nel 2011 è stata ceduta alle acque confezionate, consolidando il proprio primato nel 2012 con 246 miliardi circa di litri. Le acque confezionate, infatti, godono di importanti vantaggi: innanzitutto hanno prezzi più contenuti ed inoltre hanno un consumo universale dato dal fatto che non hanno nessuna controindicazione per nessuna fascia di consumatori. Tabella 7. Consumi bevande analcoliche nel mondo Fonte: Elaborazioni Beverfood.com Edizioni su dati Global Drinks 47 BEVITALIA, acque minerali, bibite e succhi, SOFT DRINK DIRECTORY,

48 3.4. Quadro di sintesi del settore bevande nell economia italiana 48 L industria italiana delle bevande e delle acque minerali offre una gamma molto articolata di prodotti, nonché continue novità, in modo che il consumatore scelga in base ai propri bisogni, alle proprie esigenze; è considerato uno dei settori produttivi più effervescenti. Con il solo riferimento al settore bevande fredde si evidenzia che gli italiani, ogni anno, consumano 21 miliardi di litri di bevande fredde confezionate; in particolare: - 4 miliardi circa di litri di bevande alcoliche, tra cui vini, birre, liquori e acquaviti, per un consumo pro-capite medio di 70 litri/anno miliardi di litri di bevande analcoliche tra cui acque minerali, bibite lisce e gassate, succhi e bevande frutta, per un consumo pro-capite di 265 litri/anno. Il valore alla produzione globale delle bevande confezionate è stimabile intorno ai 20 miliardi di euro su base annua, pari a poco più del 15% del totale fatturato annuo dell intera industria alimentare italiana. L andamento è stato positivo per le acque minerali che hanno chiuso il 2012 in leggera crescita, mentre bibite, succhi e bevande frutta hanno accusato un calo di consumi. Per il 2013, sulla base delle rilevazioni di mercato della prima parte dell anno, si prospetta un annata in negativo per tutti i comparti del beverage analcolico, in considerazione della congiuntura economica negativa ma anche a causa di una situazione climatica sfavorevole 49. L Italia si classifica ai primi posti per i consumi di acque minerali e vini, ai vertici delle classifiche mondiali. Bisogna tenere in considerazione che l acqua minerale, in Italia, è venduta mediamente a prezzi molto bassi, il che spiega, assieme ad altri fattori, l elevato consumo. Il nostro Paese, invece, si colloca nettamente al disotto della media europea, per quanto riguarda il consumo delle altre bevande sopra citate. Le acque minerali sono considerate un valore italiano, un simbolo dell italianità, una delle componenti del Made in Italy insieme alla buona cucina, alla dieta mediterranea, alla moda, al design. 48 Pasquale Muraca, presidente della Beverfood.com Edizioni, spiega dimensione e valore dell industria delle bevande e delle acque minerali, In a Bottle Magazine, 24 Aprile 2013,

49 I consumi di bibite analcoliche in Italia 50 L accentuarsi della crisi economica ha inciso notevolmente su questo settore. Le bibite sono percepite dagli italiani con una connotazione più voluttuaria e a più caro prezzo /litro e sono evidentemente più sacrificate in un contesto di crisi economica rispetto alle altre bevande di base come le acque minerali, vissute come bene primario irrinunciabile. A fine 2012 i consumi complessivi di bibite, lisce e gassate, sono stati valutati complessivamente intorno ai milioni di litri con un calo medio del 3,7% rispetto all anno precedente. Il consumo pro-capite è sceso 61 litri/anno, un valore che pone il mercato italiano al disotto della media di consumo dei paesi UE, indicata in circa 96 litri/anno. Anche per l esercizio 2013 le rilevazioni sul mercato italiano nella GDO, relativamente alla prima parte dell anno, confermano un andamento negativo dei consumi in quantità. Tabella 8. Consumi bibite analcoliche in Italia Fonte: Elaborazioni Beverfood.com su dati dei produttori e di istituti di ricerca L area con maggior consumo è l America; nel 2012 sono state consumate 63 miliardi di bibite. Gli americani bevono oltre 200 litri a testa ogni anno, di cui 163 sono bibite gassate. Queste ultime sono state proprio inventate, sul finire dell 800, negli Stati Uniti da Coca-Cola e Pepsico, le due principali multinazionali del bere analcolico nel mondo. Bisogna però ricordare che in molti paesi sia del Nord America che dell Europa Occidentale le bibite gassate zuccherate sono messe sotto accusa a causa dei problemi di obesità che generano, soprattutto nell infanzia. Proprio per questo motivo già da diversi anni i grandi produttori di soft drinks hanno sviluppato la versione non zuccherata delle principali categorie di bibite, avendo anche molto successo. 50 I consumi di bibite analcoliche in Italia, 13 Dicembre 2013, 44

50 Il mercato delle acque minerali in Italia Prima di procedere all analisi del settore acque confezionate vengono di seguito precisate le caratteristiche dell acqua minerale. L acqua minerale, regolamentata da direttive europee, direttiva 2009/54/CE e direttiva 2003/40/CE, è un prodotto naturale, puro, di qualità, proveniente da falde o giacimenti sotterranei profondi. Inoltre, è imbottigliata alla fonte, senza ulteriore lavorazione, non subisce alcun tipo di trattamento e/o filtratura 51, ed è sottoposta a numerosissimi controlli giornalieri. Queste caratteristiche permettono di differenziare l acqua minerale dall acqua potabile, quest ultima proveniente da acque di superficie e che viene opportunamente trattata per renderla appunto potabile. La sua qualità dipende dai trattamenti effettuati e dallo stato delle reti idriche fino al rubinetto. Per mantenere elevata la qualità dell acqua minerale, e di conseguenza mantenere competitivo il settore, è necessario investire molto nel controllo qualità. La cultura dell acqua minerale è molto radicata nel nostro Paese; è considerata la bevanda per eccellenza degli italiani, acquistata, secondo un indagine Gfk Eurisko commissionata da Mineraqua, dal 98% delle famiglie e collocando così l Italia tra i leader mondiali nei consumi. Il merito dell industria italiana delle acque minerali è stato quello di saper comunicare le qualità intrinseche del prodotto, contribuendo a diffondere la cultura dell acqua minerale, risorsa che nel nostro Paese ha radici antichissime legate ai numerosi centri termali presenti. A conferma della passione per l acqua minerale da parte degli italiani è stato condotto da Gfk Eurisko, nel Gennaio 2013, uno studio su 822 italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni. Ben il 37% del campione sondato, infatti dichiara di consumare esclusivamente acqua minerale, preferita prevalentemente per il gusto gradevole e per le proprietà benefiche per la salute. ( ) E tra le tipologie di acqua preferite da chi beve minerale, il primato spetta alla naturale, seguita da quella frizzante e da quella leggermente frizzante 52. Dalla ricerca emerge, inoltre, che il 62% dei consumatori dichiara di berla oltre le tre volte al giorno, facendo così emergere l immagine di un consumatore consapevole, a seguito dell importanza dell acqua quale alimento essenziale del nostro organismo Oltre un italiano su 3 continua ad amare la minerale, In a Bottle Magazine, 13 Giugno 2013, 45

51 Il mercato delle acque minerali in Italia: analisi di alcuni dati degli ultimi anni La crisi economica, iniziata alla fine del 2008, ha colpito anche il settore alimentare che, per la prima volta in tanti anni, subisce una contrazione nei consumi. Come scritto nel paragrafo 3.2., il commercio agroalimentare in Italia, il consumatore oltre a spendere di meno si focalizza maggiormente sul rapporto qualità/prezzo del prodotto che acquista. Anche l acqua minerale è stata travolta dalla crisi economica e, dopo anni di crescita ininterrotta ha fatto registrare una piccola flessione nei consumi, complice anche, tra il 2009 e il 2010, una situazione climatica particolare, con temperature al di sotto delle medie stagionali 53. In seguito all analisi di dati degli ultimi anni si evince, infatti, che dopo una battuta d arresto avvenuta nel 2009, il mercato italiano delle acque confezionate ha chiuso in positivo il Questo si evince anche dal trend delle esportazioni di acque minerali nel mondo, che nel periodo , è stato positivo; dai dati esposti in tabella (Tabella 9.) si nota che la crescita ha caratterizzato sia i volumi (portati a milioni di litri nel 2011) che i valori (portati ad oltre 323 milioni di euro nel 2011), mentre i prezzi sono rimasti sostanzialmente fermi 54. Nel 2011 la ripresa dei consumi è stata agevolata da una evoluzione climatica positiva, senza dimenticare il contenimento dei prezzi che, come mostra la tabella, sono rimasti allo stesso livello del Tabella 9. Volumi e valori delle esportazioni di acque minerali italiane Fonte: Elaborazioni Beverfood su dati ICE/Area Agro-alimentare Nel 2011 le esportazioni di acque minerali hanno quindi prodotto introiti per 323 milioni di euro, in aumento del 3,1%. La Francia, rappresenta il principale mercato di 53 Acqua minerale Italia: nuove sfide all orizzonte, 25 Giugno 2012, 54 Acque minerali italiane: esportazioni nel triennio , 30 Luglio 2012, 46

52 riferimento nell area comunitaria, e registra una variazione positiva dell 1,9% interrompendo la serie negativa degli ultimi 2 anni. Oltre alla Germania (+6,6%), le performance annue migliori si evidenziano in Paesi Bassi (+13,9%), Malta (+14,4%), Ungheria (+40,3%). Le esportazioni verso la Bulgaria sono aumentate del 727,4% a 1,5 milioni di euro. L America settentrionale si conferma l area più ricettiva dopo l Unione Europea nonostante il calo della domanda da Stati Uniti (-4,4%) e Canada (-15,1%). Segnali migliori, invece, provengono da alcune mercati minori tra i quali Brasile (+144,2%), Giappone (+54,6%) e Singapore (+47,1%) 55. (Tabella 10.). Tabella 10. Italia: esportazioni di acque minerali verso i primi 20 Paesi. (anno 2011, valori espressi in migliaia di euro e quantità in migliaia di litri) Fonte: elaborazioni ICE/Area Agro-alimentare su dati ISTAT 55 Simonelli P. (a cura di), Esportazioni di prodotti agro-alimentari italiani, le acque minerali, Marzo 2012, 47

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