Valutazione delle piantagioni da legno con latifoglie di pregio

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1 Valutazione delle piantagioni da legno con latifoglie di pregio di Enrico Buresti Lattes (AALSEA) Paolo Mori (Compagnia delle Foreste) Paragrafi 3.e.i.2, 3.f.i.2 Curati da Antonio Nosenzo, Guido Boetto e Roberta Berretti (Università di Torino Dip. Agro.Selvi.Ter.)

2 1. Introduzione 2. Valutazione del progetto a. Elementi per l analisi del progetto i. Gli obiettivi produttivi in arboricoltura da legno ii. Il ruolo delle piante iii. Il tipo di progettazione iv. Modulo d impianto e schema d impianto v. Distanze minime tra le piante b. Analisi del progetto i. Obiettivo produttivo ii. Disegno dell impianto iii. Indicazioni per la piantagione iv. Piano di coltura 3. Valutazione in campo a. Acquisizione delle caratteristiche dell impianto i. Corrispondenza tra progetto e impianto effettivamente realizzato ii. Verifica del ruolo delle piante iii. Individuazione delle fasi di sviluppo delle piante principali (o potenzialmente principali) e, se presenti, delle accessorie paracadute b. Fase di attecchimento i. Durata e valutazione della fase d attecchimento c. Fase di qualificazione i. Analisi delle piante principali (o potenzialmente principali) e accessorie paracadute (se presenti) 1. Come valutare la vigoria 2. Come valutare la forma (di Guido Boetto e Antonio Nosenzo Università di Torino) ii. Calcolo dell Indice di Qualità (IQ) delle piante principali, potenzialmente principali e accessorie paracadute iii. Calcolo dell Indice di Qualità (IQ) dell impianto iv. Valutazione della fattibilità di eventuali interventi di recupero in fase di qualificazione d. Fase di dimensionamento i. Analisi delle piante principali (o potenzialmente principali) e accessorie paracadute (se presenti) 3. Come valutare la vigoria 4. Come valutare la qualità del fusto (di Guido Boetto e Antonio Nosenzo Università di Torino) ii. Calcolo dell Indice di Qualità (IQ) delle piante principali, potenzialmente principali e accessorie paracadute iii. Calcolo dell Indice di Qualità (IQ) dell impianto iv. Valutazione della fattibilità di eventuali interventi di recupero in fase di dimensionamento Appendice A schede per la registrazione dei dati di riferimento, dello schema d impianto e dell Indice di Qualità (IQ) di una piantagione da legno Appendice B scheda per la valutazione delle categorie di vigore in fase di Attecchimento Appendice C Scheda di campo per la registrazione delle categorie di vigore e di forma in fase di qualificazione Appendice D Schede di valutazione del vigore e della forma in fase di qualificazione e dimensionamento Appendice E Scheda di valutazione del vigore e della qualità del fusto in fase di dimensionamento

3 1. Introduzione Questo manuale si rivolge a quanti si trovano nella necessità di valutare la qualità di una piantagione da legno, cioè la qualità delle piante principali che la compongono. L insieme delle qualità di tutte le piante principali viene sintetizzata in un Indice di Qualità (IQ), numero assoluto, compreso tra 0 e 100, che esprime in che misura una piantagione è in grado di avvicinarsi all obiettivo teorico massimo raggiungibile. Con l IQ è possibile confrontare impianti differenti, purché con lo stesso obiettivo produttivo e con piante principali nella stessa fase di sviluppo. Il valore dell IQ, in relazione a ciascuna specie arborea, sarà tanto maggiore quanto più ci si avvicinerà al massimo del suo potenziale di crescita e alle caratteristiche estetico dimensionali richieste. Il raggiungimento dell obiettivo colturale è legato a numerosi fattori che possono essere raggruppati in quattro macrocategorie: progettazione, che comprende lo schema d impianto e il piano di coltura; realizzazione, che raccoglie tutte le attività di preparazione del terreno e di messa a dimora delle piantine e installazione di eventuali ausili alla coltura; conduzione, che riguarda l esecuzione delle cure colturali indicate in fase progettuale; gestione degli imprevisti, che interessa tutti gli interventi resisi necessari a causa di eventi non prevedibili che si sono verificati durante il ciclo produttivo. Prima di entrare nel dettaglio delle domande da porsi e delle strategie per trovare le risposte necessarie alla valutazione, è utile ricordare che l arboricoltura da legno, soprattutto se punta a coltivare latifoglie di pregio, è una disciplina relativamente giovane. Negli ultimi anni la ricerca ha ottenuto importanti risposte dalle piantagioni sperimentali. Risposte che possono aiutare progettista e arboricoltore a raggiungere più facilmente l obiettivo colturale prefissato. Indagando per l attribuzione dell Indice di Qualità (IQ) risulterà che alcune piantagioni avranno ancora intatto il loro potenziale ai fini del raggiungimento dell obiettivo produttivo, mentre altre potrebbero avere bisogno di essere recuperate. Non tutti gli impianti possono sempre essere recuperati al 100%. In certi casi infatti non sarà possibile raggiungere pienamente l obiettivo prefissato. La recente acquisizione di nuove conoscenze rende obsoleti molti degli impianti realizzati. Ciò non significa che quanto fatto fin ora debba essere considerato del tutto sbagliato e irrecuperabile. In molti casi infatti saranno sufficienti alcuni aggiustamenti nelle cure colturali o nel ruolo da attribuire alle piante delle specie impiegate, per trasformare un vecchio impianto in una piantagione moderna in grado di produrre assortimenti collocabili nel mercato. Detto questo rimane solo una considerazione importante: questo manuale può essere una traccia utile, ma la sua lettura da sola non basta a diventare un buon valutatore. Per questo è necessario affiancarlo ad un intensa attività sul campo che miri ad acquisire un ampio bagaglio di esperienza.

4 2. Valutazione del progetto Il progetto rappresenta il piano con cui tecnico e arboricoltore intendono raggiungere un determinato obiettivo produttivo ed è costituito da tre elementi principali: schema d impianto; indicazioni tecniche per la realizzazione della piantagione; piano di coltura. Le conoscenze acquisite recentemente hanno definito un nuovo modo di progettare le piantagioni da legno, che permette di contenere i costi di conduzione e di superare più facilmente alcuni dei problemi che si sono verificati in passato. Ciò non significa che impianti progettati con le conoscenze del passato non possano essere recuperati e impostati secondo i criteri della progettazione e della conduzione più avanzate. Il primo passo per ottenere tale risultato è capire da quale strategia progettuale si parte, quali sono gli eventuali punti deboli e, se necessario, su quali aspetti si può intervenire per raggiungere o avvicinarsi il più possibile all obiettivo prefissato. 2.a Elementi per l analisi del progetto i. Gli obiettivi produttivi in arboricoltura da legno In arboricoltura si può avere l obiettivo di ottenere legname di pregio, biomassa legnosa o entrambe le produzioni sul medesimo appezzamento di terreno. Quando si punta a produrre solo legname di pregio o solo biomassa legnosa si parla di piantagioni monobiettivo. Quando invece si punta ad ottenere sia legname di pregio che biomassa legnosa dallo stesso appezzamento di terreno si parla di piantagioni multiobiettivo. Appartengono agli assortimenti di pregio i tronchi che possono essere destinati alla tranciatura, alla sfogliatura, alla segagione per manufatti di falegnameria fine e quelli per la produzione di imballaggi. Il valore commerciale degli assortimenti è progressivamente inferiore passando dai tronchi destinabili alla produzione di piallacci (tranciatura e sfogliatura) a quelli impiegabili solo per la produzione di imballaggi. Anche il valore della biomassa legnosa può variare sensibilmente a seconda che si tratti di legna da ardere o di materiale per la produzione di cippato. Caratteristiche dei tronchi di pregio Il legname per la produzione di tranciati e sfogliati è quello che, a parità di volume, spunta i prezzi più elevati, a cui va ad aggiungersi quello destinabile alla falegnameria di pregio, che pur raggiungendo prezzi inferiori conserva un valore economico di un certo interesse. I tronchi più pagati per la produzione di tali assortimenti devono essere: di specie legnose capaci di produrre materiale di pregio dritti; cilindrici; lunghi almeno 250 cm; dotati di un diametro di almeno 35 cm caratterizzato da anelli di accrescimento di larghezza costante; di colore omogeneo; con nodi e cicatrici racchiuse in un cilindro centrale più piccolo possibile (al massimo 1/3 del diametro finale a cui verrà venduto il tronco da lavoro) Specie non richieste dal mercato per questo tipo di prodotti o tronchi di specie richieste con caratteristiche inferiori rispetto a quelle sopra elencate, limitano le possibilità di impiego per le destinazioni più remunerative e portano, di conseguenza, ad una progressiva riduzione del prezzo che è possibile spuntare nel mercato.

5 Caratteristiche della biomassa legnosa Si tratta di materiale che non richiede particolari caratteristiche estetiche o tecnologiche nei singoli fusti, ma la biomassa legnosa non ha tutta lo stesso valore nel di mercato. Può essere utilizzata a fini energetici sotto forma di legna da ardere (tronchi con diametro compreso tra 5 e 25 cm e lunghezza variabile da 30 a 110 cm) o sotto forma di scaglie di legno (cippato). Attualmente la legna da ardere spunta sul mercato un prezzo più elevato del cippato. ii. Il ruolo delle piante Pianta principale (Figura 1a e 1b) Ad una pianta viene attribuito il ruolo di principale quando da essa è possibile ottenere almeno uno dei prodotti per cui è stata progettata la piantagione. Nel caso della produzione di materiale di pregio (es. tronchi per piallacci, prodotti tramite tranciatura o sfogliatura, o per segati di prima scelta) affinché le piante di una determinata specie possano essere considerate principali è necessario: che la loro distanza reciproca non sia inferiore ad un valore minimo (vedi paragrafo successivo). La distanza minima dipende dal diametro dell assortimento che si intende ottenere e dalla specie; che le piante considerate principali siano sottoposte ad adeguate potature e che la loro chioma sia sempre mantenuta ben illuminata. Nel caso della produzione di biomassa legnosa è invece sufficiente porre le piante principali ad una distanza tale da ottenere la massima produzione in relazione alla lunghezza del ciclo colturale prescelto. Pianta accessoria (Figura 2) Ad una pianta viene attribuito il ruolo di accessoria quando questa viene inserita in una piantagione per agevolare la conduzione dell impianto da parte dell arboricoltore e/o per condizionare positivamente lo sviluppo delle piante principali. Le piante accessorie vengono così chiamate poiché la loro presenza non è indispensabile ai fini dell ottenimento della produzione desiderata dalle piante principali. Le piante accessorie NON devono essere potate, sia perché ciò rappresenta un operazione (e quindi un costo) inutile ai fini della produzione attesa, sia perché la potatura potrebbe ridurre o annullare i vantaggi per cui la pianta accessoria è stata inserita. Se la competizione per la luce tra piante accessorie e piante principali è troppo forte le prime devono essere diradate o eliminate del tutto.

6 Piante accessorie paracadute (Figura 3) La pianta accessoria paracadute è una vera e propria assicurazione sul successo dell impianto che potrà essere attivata nel caso in cui le piante principali di una o più specie prescelte si rivelassero incapaci di produrre gli assortimenti desiderati nei tempi attesi. Il ruolo di accessoria paracadute viene attribuito a piante di specie capaci di: adattarsi perfettamente alle caratteristiche pedo-climatiche dell appezzamento; produrre assortimenti legnosi simili a quelli attesi dalle piante principali o comunque in grado di soddisfare le esigenze di mercato anche se di minor pregio. Inoltre la loro distanza reciproca non deve essere inferiore ad un valore minimo che dipende dal diametro dell assortimento che si intende ottenere e dalla specie. L accessoria paracadute deve essere potata fino al momento in cui sarà possibile valutare definitivamente se le piante principali delle specie prescelte saranno in grado di produrre gli assortimenti desiderati nei tempi attesi. Se le piante considerate principali in fase progettuale si rivelano incapaci di raggiungere l obiettivo produttivo vengono declassate ad accessorie e sono sostituite dalle accessorie paracadute. Da quel momento le accessorie paracadute vengono considerate principali a tutti gli effetti con il fine di ottenere la produzione di un assortimento alternativo a quello scelto inizialmente. Si interrompono le potature sulle vecchie principali e gli eventuali diradamenti saranno effettuati a carico di quest ultime oltreché, naturalmente, a carico delle piante accessorie. Se invece le principali scelte al momento della progettazione si rivelano in grado di produrre gli assortimenti desiderati nei tempi attesi, devono essere interrotte le potature sulle accessorie paracadute che, dal quel momento, saranno considerate semplici accessorie.

7 Piante potenzialmente principali (Figura 4) Sono dette piante potenzialmente principali quelle che vengono potate come se fossero effettivamente principali, ma che si trovano a distanze inferiori a quelle minime necessarie all ottenimento dell obiettivo produttivo prefissato. A seguito di uno o più diradamenti potranno essere considerate principali le piante rimaste che si troveranno a distanze uguali o superiori a quelle minime necessarie a raggiungere l obiettivo atteso con accrescimenti diametrici sostenuti e costanti. Considerando che per una produzione di pregio è necessario ottenere tronchi che abbiano accrescimenti diametrici costanti, se per le piante di una determinata specie la superficie minima da mettere a disposizione della chioma a fine ciclo produttivo fosse di 100 m 2 (es. sesto quadrato e distanza di 10 m), significa che in un ettaro potrò considerare al massimo 100 piante principali. Quindi se ne sono state piantate 400 della spessa specie (es. sesto quadrato e distanza di 5 m) significa che non tutte potranno arrivare a fine ciclo produttivo con le caratteristiche desiderate. Per ottenere il risultato atteso in un primo periodo verranno considerare tutte potenzialmente principali e, per questo, saranno potate tutte. Successivamente si dovranno diradare per dare lo spazio necessario ad un corretto sviluppo alle 100 piante principali che, grazie allo spazio che sarà messo a loro disposizione, arriveranno a fine ciclo produttivo con le caratteristiche desiderate. Anche con questa progettazione, oggi è possibile scegliere in fase di conduzione le piante principali e concentrare su di esse tutte le cure colturali; questo tipo di conduzione è denominato con decisione anticipata.

8 Piante con doppio ruolo (Figura 5) Si definiscono con doppio ruolo le piante principali che oltre a fornire l assortimento desiderato, per le caratteristiche della specie e per le distanze a cui sono poste rispetto alle principali di altre specie, sono in grado di influenzarne la struttura architettonica. Ad esempio piante principali di pioppo, collocate ad opportuna distanza (vedi figura 5), possono contemporaneamente produrre tronchi da sfoglia e, al pari delle accessorie, indurre una struttura slanciata nel noce, facilitandone la potatura. La doppia pianta La tecnica della doppia pianta è stata sperimentata per poter progettare con decisione anticipata (vedi paragrafo successivo) e avere la possibilità di scegliere in fase di conduzione, mantenendo la distanza minima tra le piante principali che consente di ottenere accrescimenti costanti nel tempo fino al diametro desiderato. La tecnica consiste nel piantare non una, ma una coppia di piantine, in prossimità della posizione in cui vorremmo ottenere una pianta principale. La coppia di piante deve essere collocata lungo la fila, in posizione simmetrica rispetto al punto in cui si sarebbe dovuta trovare la pianta principale, a una distanza di 0,5-1 m l una dall altra. La potatura deve interessare entrambe le piantine, fino al momento in cui l arboricoltore non è in hgrado di scegliere quella che, per forma o vigore, può essere ritenuta migliore. La sperimentazione ha dimostrato che nell arco dei primi 3-5 anni si verifica una differenziazione all interno della coppia di piante che facilita la scelta. Il termine massimo per effettuare il diradamento all interno della coppia è l ultimo intervento di potatura. iii. Il tipo di progettazione Al momento di valutare il progetto per una piantagione da legno il primo aspetto da prendere in considerazione è l approccio progettuale adottato. Quando il tecnico ha definito già in fase di progettazione il ruolo di ogni pianta che verrà messa a dimora e in particolare il sesto e la distanza delle piante principali si parla di progettazione con decisione anticipata. E questo l approccio progettuale che tiene conto delle più recenti conoscenze acquisite dalla ricerca e dalla sperimentazione. Quando si è adottata la progettazione con decisione anticipata anche la conduzione è con decisione anticipata. Questo significa che l arboricoltore effettua tutte le cure colturali individuali (potature e diradamenti) solo ed esclusivamente a favore delle piante principali. La maggior parte delle piantagioni da legno con latifoglie di pregio, ad eccezione dei pioppeti, è stata realizzata a seguito di progettazione con decisione posticipata; il tecnico cioè non ha definito già in fase progettuale sesto e distanza delle piante principali, ma ha lasciato tale scelta alla fase di conduzione e, in particolare, ad una successione di diradamenti. Questo tipo di conduzione, denominata conduzione con decisione posticipata, è caratterizzata da interventi colturali individuali

9 (es. potature) su un elevato numero di piante potenzialmente principali che dovranno essere eliminate con diradamenti successivi fino all individuazione delle piante principali. Ciò rappresenta un rilevante dispendio di energia che può incidere notevolmente sul bilancio finanziario della piantagione, fino a renderlo negativo. Tuttavia anche in piantagioni progettate con decisione posticipata, è possibile adottare una conduzione con decisione anticipata. Questa può essere adottata in qualsiasi momento del ciclo produttivo (meglio se nelle fasi iniziali) e consiste nell individuazione precoce delle piante principali e nella sospensione delle cure colturali individuali a favore di tutte le altre. iv. Modulo d impianto e schema d impianto Negli impianti di vecchia concezione si trovano numerose piante potenzialmente principali di una o più specie. Per poter capire, già sulla carta, le possibili strategie gestionali della piantagione è necessario rappresentarla con il modulo d impianto (Figure 6 e 7). Questo è la figura in cui è rappresentata l unità minima di superficie che consente di riprodurre l intera piantagione ruotandola di 180 o traslandola ripetutamente su ogni lato. Nel modulo d impianto devono essere rappresentati almeno una volta il sesto, la distanza d impianto e le reciproche relazioni spaziali di tutte le specie impiegate, distinguendo le piante con ruolo di principale da quelle con ruolo di accessoria (se presenti). Per avere una rappresentazione sufficientemente ampia e chiara di tutte le specie presenti e dei loro reciproci rapporti (sia al momento dell impianto che in seguito ad eventuali diradamenti) i sesti delle piante, distinte per specie e ruolo, devono essere rappresentati almeno una volta in modo che non tocchino in nessun punto il margine della superficie del modulo stesso. Figura 6 - Esempio di modulo d impianto con piante potenzialmente principali di una sola specie poste a 5 m di distanza

10 Figura 7 - Esempio di modulo d impianto con piante potenzialmente principali di due specie poste a 5 m di distanza Negli impianti di nuova concezione non si trovano piante potenzialmente principali (ad eccezione della doppia pianta), ma solo piante principali, accessorie, accessorie paracadute o piante con doppio ruolo. Per rappresentare correttamente questo tipo di piantagioni e avere tutti gli elementi per valutare sulla carta ruolo delle piante e dinamica evolutiva della piantagione è sufficiente disegnare lo schema d impianto (Figure 8 e 9). Questo è sempre più piccolo e più facile da disegnare rispetto al modulo. Per delimitarlo correttamente si deve tenere conto che è una rappresentazione geometrica delimitata dal sesto e dalla distanza d impianto delle piante principali a ciclo più lungo e contenente, se presenti, le altre piante, principali e/o accessorie disposte secondo le reciproche posizioni e distanze. Replicando, per rotazione o traslazione, lo schema d impianto così definito deve essere possibile costruire il disegno di tutta la piantagione. Per questo le piante che si trovano ai margini del sesto delle piante principali a ciclo più lungo non sono rappresentate per intero. Figura 8 - Esempio di schema d impianto con piante principali di una sola specie poste a 10 m di distanza

11 Figura 9 - Esempio di schema d impianto con piante principali di due specie poste a 10 m di distanza v. Distanze minime tra le piante Scegliere la corretta distanza tra le piante principali significa prevedere, fin dalla progettazione, lo spazio che ognuna occuperà alla fine del ciclo produttivo e fare in modo che non possa essere oggetto di competizione negativa con altre piante principali, della stessa o di altre specie. Avendo come riferimento il principio appena esposto, all interno di tale spazio potranno essere inserite, temporaneamente e ad opportune distanze, piante principali a ciclo più corto e/o piante accessorie. In ogni caso lo spazio messo a disposizione delle piante principali deve essere tale da consentire ad ogni pianta di svilupparsi in relazione ai prodotti o ai servizi che da essa si pensa di ottenere. La distanza minima tra due piante è quella che permette di ottenere l effetto desiderato nei tempi attesi. Quando si parla di distanza minima si fa riferimento a: 1. spazio intercorrente tra piante principali con ciclo produttivo della stessa lunghezza; 2. spazio intercorrente tra piante principali con ciclo produttivo di lunghezza diversa; 3. spazio intercorrente tra piante principali e piante accessorie. Da cosa dipende la distanza minima La distanza minima tra le piante principali dipende dalla specie e dal diametro del fusto che si intende produrre ottenendo al contempo altri due risultati: accrescimenti sostenuti e costanti durante tutto il ciclo produttivo (Figura 10); assenza di competizione negativa tra le piante principali fino alla fine del ciclo produttivo (nel caso di produzione di pregio) (Figura 11).

12 Figura 10 In arboricoltura si persegue la produzione di accrescimenti sostenuti e costanti. Figura 11 Assenza di competizione negativa tra le piante principali. Tale condizione è garantita da una distanza adeguata alle dimensioni diametriche che si intende raggiungere con accrescimenti sostenuti e costanti. A questo proposito per le specie più comunemente impiegate sarà fornita la distanza minima indicativa a cui dovranno essere poste le piante principali per raggiungere i cm di diametro misurati a 130 cm da terra. E importante sottolineare che nel caso si intendesse produrre materiale con diametri inferiori o superiori ai cm le distanze minime sarebbero rispettivamente inferiori o superiori a quelle che verranno indicate di seguito. Nel caso, in uno stesso appezzamento di terreno, venissero coltivate piante principali con cicli di differente lunghezza, oltre alla distanza tra le piante principali dello stesso ciclo è importante scegliere le opportune distanze tra piante principali di ciclo diverso, in modo che, al momento opportuno, entrambe possano avere a disposizione lo spazio sufficiente a produrre gli assortimenti desiderati, senza che si verifichino interferenze negative da parte delle altre principali. La distanza minima tra piante principali e accessorie dipende:

13 dalla rapidità di accrescimento delle accessorie rispetto alle principali. Ad esempio le piante di specie più aggressive richiedono distanze maggiori dalle principali. Il concetto di aggressività non è assoluto, ma relativo alle specie considerate e all ambiente in cui saranno messe a dimora; dall effetto che queste devono esercitare per facilitare la conduzione da parte dell arboricoltore (es. condizionare la struttura architettonica delle principali e/o impedire lo sviluppo delle infestanti); dal periodo di tempo durante il quale si desidera che l effetto atteso si verifichi (es. per pochi anni, se devono condizionare la struttura architettonica; per tutto il ciclo produttivo, se devono impedire l emissione di ricacci dal fusto). Ciclo produttivo della stessa lunghezza Distanze minime tra piante principali a ciclo medio-lungo Impianti a pieno campo. Gruppo 1: Noce comune, noce nero, noce ibrido, ciliegio selvatico, frassino maggiore e ossifillo, acero spp., pero spp. e sorbi spp. => 9-10 m Gruppo 2: Farnia e rovere => m Effetto diretto dell adozione delle distanze minime sopra indicate è che a fine ciclo le piante principali occuperanno, a seconda della specie fra 81 e 144 m 2. Ciò ha come conseguenza che il numero di piante principali che sarà possibile produrre, con un diametro di 35 cm e accrescimenti diametrici sostenuti e costanti, può oscillare tra 70 e 123 per ettaro. Se il diametro del fusto da produrre sarà maggiore dovranno, di conseguenza, essere previste superfici più estese da mettere a disposizione di ogni pianta principale. impianti lineari o a pieno campo con piante principali disposte in filari ben distanziati. La distanza tra le piante della stessa fila può essere indicativamente ridotta di 1 o 2 m rispetto alla distanza da adottare in pieno campo. Per filari ben distanziati, composti da piante principali della stessa specie, si intende quelli disposti a distanza pari, maggiore o uguale a 2 volte quella minima a pieno campo (18-24 m). Ciò ha come conseguenza che le piante principali a parità di diametro del fusto, alla fine del ciclo produttivo, occuperanno con le loro chiome superfici simili a quelle messe a disposizione nelle piantagioni a pieno campo (comunque comprese tra 81 e 144 m 2 ). Distanze minime tra piante principali a ciclo breve Per gli impianti a pieno campo a ciclo breve (essenzialmente cloni di pioppo), per produrre tronchi di cm di diametro, è necessario rispettare, tra le piante principali, distanze minime comprese tra i 6 e 7 m. Per gli impianti lineari tali distanze possono essere ridotte di 1 m. Con tali distanze le piante principali, a fine ciclo produttivo, occuperanno con la proiezione delle loro chiome fra 36 e 49 m 2 e di conseguenza il loro numero oscillerà rispettivamente tra 278 e 204 ad attaro. Distanze minime tra piante principali a ciclo brevissimo La produzione di biomassa legnosa si ottiene generalmente con impianti a pieno campo disposti in filari o con piantagioni lineari. La distanza tra le file può variare tra 2,5 a 3,5 m. La distanza lungo il filare, a seconda del materiale e dalla lunghezza del ciclo produttivo a cui si punta, può variare da 0,5 a 3 m. Passando da cicli di 1 anno a cicli di 2 o più anni la distanza d impianto

14 aumenta progressivamente per permettere alle piantine di sviluppare una chioma adeguata. Il numero di piante principali varia dalle (sesto rettangolare e distanza di 0,5 m sulla fila e 2,5 m tra le file) alle per ettaro, quando il sesto è quadrato e la distanza tra le piante è 3 m. Ciclo produttivo di lunghezza diversa Distanze minime tra piante principali a ciclo breve e a ciclo medio-lungo Tra le piante coltivate in Italia che possono produrre materiale di pregio con un ciclo che può essere considerato breve ci sono soltanto i pioppi. La distanza minima tra le piante di pioppo e le piante a ciclo medio-lungo dipende dal diametro dei tronchi di pioppo che si intende ottenere. Per ottenere tronchi di cm di diametro la distanza minima dalle piante principali a ciclo medio lungo deve essere di 7 m. Per ottenere tronchi di cm di diametro la distanza minima deve essere di 8 m. Distanze minime tra piante principali a ciclo brevissimo e a ciclo medio-lungo Quando si progettano impianti a ciclo brevissimo generalmente si punta a produrre biomassa legnosa con latifoglie a rapido accrescimento. La distanza minima di tutte le piante principali a ciclo brevissimo (escluso il pioppo) dalle piante principali a ciclo medio-lungo deve essere indicativamente di 3,5-4 m. La distanza maggiore deve essere adottata per le piante di quelle specie che per rapidità di crescita possono sviluppare una competizione troppo elevata con le piante principali a ciclo medio-lungo. Per i cloni di pioppo (esclusi quelli di pioppo bianco e nero), che negli ambienti adatti hanno notoriamente una rapidità di sviluppo superiore a tutte le altre piante comunemente utilizzate in arboricoltura, è prudente non scendere sotto i 7 m. Distanze minime tra piante principali a ciclo brevissimo e a ciclo breve Tra le piante principali a ciclo brevissimo e le piante principali per la produzione di legname di pregio a ciclo breve è necessario rispettare una distanza minima di 3,5-4 m. Distanze minime tra le piante principali e le accessorie arboree e arbustive Negli impianti a ciclo medio-lungo per la produzione di legname di pregio la distanza tra piante principali e accessorie dipende: dall effetto che si vuole ottenere sulle piante principali o sull impianto; dalla differente competitività delle specie impiegate. Per le piante accessorie arboree la distanza minima dalle piante principali deve essere compresa tra 3 e 4 m a seconda della competitività che si valuta possa instaurarsi tra le specie adottate: a competitività maggiore corrisponde una distanza più elevata. Per i cloni di pioppo (esclusi quelli di pioppo bianco e nero) è prudente non scendere sotto i 7 m di distanza dalle piante principali a ciclo medio lungo per la produzione di legname di pregio. Per le piante accessorie arbustive la distanza minima dalle piante principali è 2 m. 2.b Analisi del progetto L analisi preliminare del progetto può consentire di capire, prima di andare in campo, se ci potrebbero essere problemi da risolvere che risalgono all impostazione iniziale (es. i ruoli delle piante non sono ben definiti, le distanze d impianto non sono adeguate). Successivamente, con il sopralluogo, si andranno a verificare gli eventuali punti deboli rilevati. La valutazione del progetto consiste nell analizzare le sue quattro componenti principali: 1. obiettivo produttivo; 2. disegno dell impianto (schema o modulo che sia); 3. indicazioni per la piantagione; 4. piano di coltura.

15 i. Obiettivo produttivo L obiettivo produttivo è sempre dichiarato nella relazione introduttiva al progetto. Conoscerlo servirà a verificare che le specie prescelte siano adatte a produrre gli assortimenti attesi e, durante l analisi dello schema d impianto, a verificare se le distanze tra le piante indicate nel progetto sono sufficienti a ottenere tronchi con le caratteristiche desiderate e nel tempo più breve possibile. Gli obiettivi produttivi possono essere: produzione di legname di pregio produzione di biomassa legnosa; produzione di legname di pregio e biomassa legnosa. ii. Disegno dell impianto L analisi del disegno dell impianto è un operazione relativamente rapida che consiste essenzialmente nel mettere in relazione l obiettivo dichiarato con le distanze minime necessarie per ottenere i risultati attesi. Negli impianti di vecchia concezione è infatti molto frequente che siano state messe a dimora piante di pregio a distanze inferiori a quelle minime per raggiungere il diametro atteso con accrescimenti sostenuti e costanti. Tale scelta può essere stata determinata dal fatto che il progettista: 1. non aveva idea dello spazio da dover mettere a disposizione delle piante affinché potessero raggiungere l obiettivo e ha dichiarato che tutte lo avrebbero potuto raggiungere, non tenendo conto della distanza minima necessaria; 2. pur sapendo l entità della superficie che doveva essere messa a disposizione delle piante di pregio ha ritenuto di piantarne (e potarne) un numero più elevato con l idea di poter scegliere i soggetti migliori al momento in cui si fosse reso necessario effettuare uno o più diradamenti. Sia nel primo che nel secondo caso tutte le piante di pregio dovranno essere potate. Nel primo caso infatti si ha l illusione che tutte possano produrre gli assortimenti attesi; nel secondo caso, pur sapendo che una parte dovrà essere eliminata con un diradamento, non si sa quali piante resteranno e quali no. In entrambi i casi, dal momento che le distanze tra le piante delle specie destinate a produrre legname di pregio sono inferiori a quelle minime, si potrà dedurre che ci si trova di fronte ad una piantagione progettata con decisione posticipata. Ciò significa che si dovrà verificare se nel piano di coltura sono stati previsti diradamenti a carico delle piante di specie di pregio. Se così non fosse si dovrà informare l arboricoltore sulla necessità di effettuare uno o più diradamenti anche a carico delle piante di pregio che lui, a causa di informazioni non corrette o mancanti nel progetto, riteneva invece di portare a fine ciclo produttivo. Se, come probabile, originariamente il progettista non ha assegnato un ruolo alle piante, è necessario e utile che lo faccia il valutatore in campo, dopo aver verificato l effettivo potenziale espresso dai soggetti delle varie specie impiegate. Questa operazione è preziosa, non solo ai fini della valutazione, ma anche a quelli della corretta conduzione e dell eventuale recupero dell impianto. Ogni ruolo infatti determina azioni colturali da praticare, o da evitare, a carico di ciascuna pianta e permette di pianificare con chiarezza le attività da svolgere. iii. Indicazioni per la piantagione Dando per scontato che l arboricoltore conosca gli elementari accorgimenti per la messa a dimora delle piantine, gli aspetti di cui prendere atto nell analizzare le indicazioni per la piantagione riguardano essenzialmente: il tipo di lavorazioni pre-impianto previste (soprattutto quelle profonde); la sistemazione idraulica, profonda e superficiale (se ritenute necessarie dal progettista); l eventuale installazione degli ausili alla coltura (Shelter, pacciamatura, pali tutori).

16 La mancata indicazione da parte del progettista e/o la mancata realizzazione da parte del conduttore di un accorgimento importante, potrebbe essere causa di scarso vigore o di problemi al fusto. Il valutatore dovrà tenerne conto in vista del sopralluogo in campo, dove, oltre che osservare la piantagione, dovrà porre domande al conduttore al fine di accertarsi che quanto richiesto dal progettista sia stato realizzato a regola d arte. iv. Piano di coltura Del piano di coltura fanno parte: il controllo delle erbe infestanti (lavorazioni ed eventuali trattamenti chimici localizzati); la gestione degli eventuali ausili alla coltura (es. eliminazione degli shelter, smaltimento della pacciamatura, gestione dei legacci del palo tutore); le potature (che potrebbero essere differenziate per tecnica ed intensità a seconda della specie); i diradamenti. Se la progettazione è con decisione posticipata (cioè le piante non sono a distanze definitive) sarà prevedibile, già dall analisi del progetto, la necessità di effettuare uno o più diradamenti a carico delle piante potenzialmente principali; diradamenti che dovrebbero essere indicati nel piano di coltura. Se così non fosse sarà necessario che il tecnico valutatore faccia presente questa necessità all arboricoltore. Se la progettazione è con decisione anticipata, caso piuttosto raro nelle piantagioni più vecchie, sarà soltanto necessario verificare, in campo, che in fase di realizzazione sia stato rispettato quanto indicato in termini di sesti, distanze d impianto e corretta distribuzione spaziale delle specie.

17 3. Valutazione in Campo Dopo aver preso visione del progetto la fase di valutazione prosegue in campo. Tale operazione può essere idealmente suddivisa in tre passaggi: acquisizione delle caratteristiche dell impianto; valutazione, in funzione della fase di sviluppo, delle caratteristiche di forma e vigore delle piante principali o delle piante potenzialmente principali e delle eventuali piante accessorie paracadute; verificare lo sviluppo delle piante accessorie per valutare se possono svolgere adeguatamente il compito loro assegnato nel progetto; stima della possibilità di raggiungere l obiettivo produttivo seguendo le indicazioni del progetto e, ove ciò non fosse possibile o conveniente, individuazione di eventuali soluzioni alternative. 3.a Acquisizione delle caratteristiche dell impianto Questo primo passo della valutazione in campo consiste essenzialmente nel verificare: la corrispondenza tra progetto e impianto effettivamente realizzato; il ruolo delle piante; la percentuale di fallanze tra le piante principali (o potenzialmente principali) e tra le eventuali accessorie paracadute e/o accessorie semplici; la fase di sviluppo in cui si trovano le piante principali (o potenzialmente principali) e le eventuali accessorie paracadute. i. Corrispondenza tra progetto e impianto effettivamente realizzato E importante verificare la corrispondenza tra progetto e impianto effettivamente realizzato poiché nella pratica non è raro registrare significative differenze. Ciò può avvenire per imperizia oppure per aver sottovalutato l importanza del sesto e delle distanze tra le piante delle varie specie. In teoria infatti, se l arboricoltore realizzasse e conducesse l impianto così come indicato nel progetto (e se il progetto fosse impostato correttamente), ci si dovrebbe trovare nella situazione ottimale in cui si persegue l obiettivo prefissato senza apportare modifiche al piano di coltura. Nella realtà però non è raro trovare variazioni, più o meno importanti, rispetto al progetto. La modifica apportata dall arboricoltore, volontariamente o involontariamente, al momento della piantagione, potrebbe impedire di portare il numero massimo di piante principali a fine ciclo produttivo. In generale quindi per portare a fine ciclo produttivo il maggior numero possibile di piante principali ci si troverà nella necessità di modificare il piano di coltura (vedi Figura 12).

18 Figura 12 Schema di impianto puro con accessorie. Nella figura 1A è indicato lo schema d impianto previsto nel progetto. Nella figura 1B l arboricoltore ha invertito la posizione di una pianta principale con quella di un accessoria. Nella Figura 1C sono evidenziate le 4 piante che a causa dell errore si trovano troppo vicine per poter produrre accrescimenti sostenuti e costanti fino alla fine del ciclo produttivo. Per evitare di perdere alla produzione tutte e 4 le piante si dovrà sacrificarne una (contrassegnata con una X rossa) per consentire alle altre 3 di produrre accrescimenti sostenuti e costanti. Nonostante questo accorgimento l errore nella realizzazione ha come conseguenza la perdita di una pianta della specie che avrebbe dovuto produrre gli assortimenti desiderati. ii. Verifica del ruolo delle piante A seconda del ruolo che ricoprono le piante, il tecnico procederà nella valutazione dell impianto seguendo procedure logiche differenti. In altri termini piante principali, piante potenzialmente principali, piante accessorie paracadute e accessorie semplici, richiedono valutazioni distinte; le prime tre categorie portano inoltre a considerazioni diverse a seconda della fase di sviluppo in cui si trovano. iii. Individuazione delle fasi di sviluppo delle piante Dopo aver valutato la rispondenza tra schema (o modulo) e piantagione reale, e aver considerato la percentuale di fallanze, si deve stabilire in quale fase del ciclo colturale si trovano le piante principali, potenzialmente principali e, se presenti, accessorie paracadute. Queste nel corso del ciclo produttivo, attraversano tre fasi colturali consecutive: attecchimento; qualificazione; dimensionamento. La fase di attecchimento è quella in cui la pianta, dopo essere stata messa a dimora, si adatta all appezzamento di terreno e sviluppa l apparato radicale per renderlo adeguato a soddisfare le esigenze idriche e nutritive della pianta. La lunghezza della fase di attecchimento non è definibile a priori poiché è variabile: inizia al momento della messa a dimora della piantina e può protrarsi fino a tre anni a seconda della specie, delle caratteristiche individuali, di quelle stazionali, dell andamento climatico e delle cure colturali effettuate. Il valutatore, per stabilire se l impianto è uscito dalla fase di attecchimento, può seguire un metodo che, seppur empirico, risulta essere di grande utilità per quasi tutte le specie utilizzate in arboricoltura: l osservazione delle cacciate annuali. Se infatti la lunghezza delle singole cacciate risulta maggiore di 50 cm, allora si può dedurre che le piante dispongono di un apparato radicale ben sviluppato ed affrancato e che quindi la fase di attecchimento è terminata. La fase di qualificazione si protrae dall attecchimento fino alla formazione di un fusto reale (cioè dritto e privo di rami) sufficientemente lungo (250 cm da terra) o fino a quando la pianta ha superato i 10 anni d età oppure fino a che il diametro del fusto a 250 cm da terra ha superato i 10 cm di diametro (ciò è valido anche se al di sotto si trovano ancora dei rami). Si punta alla lunghezza minima di 250 cm perché tale valore è condizione necessaria affinché i tronchi da lavoro possano accedere alle destinazioni più remunerative (tronchi per la produzione di tranciati e sfogliati). Può capitare che in condizioni stazionali e colturali particolarmente favorevoli si possa puntare a produrre fusti reali più lunghi. In tal caso la fase di qualificazione potrà essere considerata conclusa quando il fusto reale, rispettando le necessarie proporzioni con la chioma, avrà raggiunto la lunghezza massima possibile. Generalmente la fine della fase di qualificazione non avviene

19 contemporaneamente per tutte le piante di una piantagione. Tale diversità può essere accentuata in caso di forte disomogeneità nell appezzamento di terreno e/o nel patrimonio genetico delle piante. Conclusa la fase di qualificazione la pianta entra nella fase di dimensionamento. In questa fase l obiettivo da raggiungere è quello di ottenere tronchi con diametri a 130 cm da terra di almeno 35 cm, e caratterizzati da accrescimenti diametrici sostenuti e costanti. La fase di dimensionamento può essere considerata finita quando la maggior parte delle piante ha raggiunto il diametro desiderato. Terminata la fase di dimensionamento le piante principali possono essere vendute e abbattute (o, peggio, viceversa). La determinazione della fase di sviluppo (schema 1) serve poiché, proprio a seconda della fase, cambia l importanza che si deve attribuire all accrescimento longitudinale e diametrico delle piante. Durante l attecchimento è molto importante tenere sotto controllo l accrescimento longitudinale. Se le piante principali o potenzialmente principali si trovano in fase di qualificazione si considera soprattutto l accrescimento longitudinale, ma interessa anche l accrescimento diametrico come conferma del buon vigore del soggetto. Quando le piante si trovano nella fase di dimensionamento si va a verificare essenzialmente la regolarità degli accrescimenti diametrici. Il fusto reale e/o quello potenziale, fino a che non ha raggiunto almeno i 250 cm di lunghezza, dovrebbero essere sempre dritti e verticali. Stabilire in quale fase di sviluppo si trovano le piante principali permette prima di valutare correttamente l impianto e successivamente di ottenere le indicazioni più appropriate nel caso fosse necessario e possibile un intervento di recupero. Può capitare di valutare impianti in cui non tutte le piante principali si trovano nella stessa fase di sviluppo. Tale evenienza può verificarsi perché: si possono trovare piante principali di specie diverse in uno stesso impianto (impianto misto) che, per questo, potrebbero avere fasi di sviluppo di lunghezza diversa; non tutte le piante, anche se della stessa specie, passano contemporaneamente da una fase all altra; l appezzamento può presentare caratteristiche disomogenee. In questi casi è necessario valutare separatamente le esigenze delle piante a seconda della fase in cui si trovano.

20 2. b Fase di Attecchimento La lunghezza della fase d attecchimento può variare a seconda delle caratteristiche dell appezzamento in cui vengono messe a dimora le piante, delle specie arboree e arbustive impiegate, delle caratteristiche del materiale vivaistico, delle lavorazioni del terreno e dell andamento climatico. In ogni caso, entro la terza stagione vegetativa dal momento della messa a dimora, almeno il 95% delle piante principali deve avere superato la fase di attecchimento. Se questo non fosse avvenuto è necessario valutare se è possibile effettuare cure colturali per risolvere il problema, se è necessario ripiantare singole piante che non riescono a superare lo stress da trapianto, se si deve ripartire dall inizio effettuando nuovamente la piantagione o se si deve riprogettare l intero impianto. La stima di quante piante si trovano ancora in fase di attecchimento, cioè non hanno superato lo stress da trapianto, deve essere fatta sia per le piante principali (o potenzialmente principali e accessorie paracadute, se presenti) che per quelle accessorie. Per quest ultime, se dopo 3 anni d impianto, la fase di attecchimento non fosse stata superata almeno dall 80% dei soggetti, è indispensabile verificare se quelle che hanno attecchito sono ancora in grado di svolgere il compito che era stato loro assegnato. In caso di risposta negativa sarà necessario organizzarsi per praticare cure colturali in grado di sostituire con un apporto esterno l effetto atteso dalle accessorie. Le accessorie paracadute, fino a che non si decide se eliminarle con un diradamento o se attribuire loro il ruolo di principali, devono essere considerate come se fossero piante principali. Per quanto riguarda le piante potenzialmente principali si seguirà il medesimo schema tenendo presente solo la differente percentuale di fallanze tollerabile.

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23 i. Durata e valutazione della fase di attecchimento Convenzionalmente si considera che una singola pianta abbia superato la fase di attecchimento quando manifesta almeno una cacciata (non necessariamente quella apicale) di lunghezza superiore a 50 cm. In un impianto di età inferiore ai 3 anni non sarà necessario preoccuparsi se ancora si trovano piante che non hanno superato la fase di attecchimento, anche se man mano che ci si avvicina a tale età il numero di piante non attecchite dovrà essere gradualmente inferiore. Sin dalla prima stagione vegetativa, invece, si valuterà la percentuale di fallanze: a seconda del ruolo ricoperto dalle piante prese in considerazione, si farà riferimento a differenti percentuali di tolleranza delle fallanze (vedi Schemi 2, 3 e 4). Nel caso si riscontrasse una percentuale troppo elevata di fallanze, per capirne le cause ed eventualmente porvi rimedio, il tecnico dovrà seguire gli stessi schemi logici usati per interpretare il mancato superamento della fase di attecchimento (Schemi 6 e 7). In impianti di età superiore a 3 anni sarà invece importante valutare la percentuale di piante che ancora non ha superato la fase di attecchimento. Per quanto riguarda le piante principali si hanno due possibilità: nel caso la mancata fine della fase di attecchimento riguardasse al massimo il 5% delle piante principali si provvederà ad eseguire i risarcimenti, in quanto un numero così esiguo di piante perse fa pensare ad un problema legato al singolo individuo arboreo e non a tutto l impianto. Se si interviene entro il 3 anno di vegetazione, si ha la possibilità di recuperare, almeno in parte, il tempo perduto e di sfruttare così al meglio tutta la superficie produttiva; nel caso che più del 5% delle piante principali non avesse superato la fase di attecchimento, allora si renderà necessario porsi i quesiti dello Schema 2, dall 1 al 5, che permetteranno di definire, con un adeguata indagine in campo, le eventuali cause del mancato attecchimento e di individuare, se possibile, soluzioni al problema. Anche per quanto riguarda le piante potenzialmente principali si potranno presentare due condizioni alternative: nel caso un numero di piante inferiore o uguale al 20% non avesse superato la fase di attecchimento e le piante non attecchite fossero distribuite più o meno uniformemente nell appezzamento di terreno, non si eseguiranno risarcimenti in quanto, trattandosi di piante potenzialmente principali, il loro numero sarà nettamente superiore a quello delle piante che arriveranno alla fine del ciclo produttivo con accrescimenti sostenuti e costanti (piante principali); in caso di mancato attecchimento di più del 20% dei soggetti potenzialmente principali o di aree ad elevata mortalità, allora sarà necessario seguire il percorso di indagine individuato dai quesiti presenti nello Schema 3 sulla fase di attecchimento per le piante potenzialmente principali. Operativamente se si evidenziano percentuali di fallanze o di mancato attecchimento superiori alle predette soglie, il tecnico, seguendo lo schema logico adatto, dovrà compilare la scheda 1 (vedi appendice B) in cui, accanto alle domande dello schema d indagine sulla fase di attecchimento, dovranno essere proposte una o più soluzioni agli eventuali problemi individuati. Nell eventualità che non fosse possibile individuare soluzioni idonee o non si riuscisse a definire la causa del mancato attecchimento l impianto dovrà essere considerato fallito e si dovrà eventualmente procedere ad una nuova progettazione.

24 ESEMPIO: impiego della scheda sul vigore presente in Appendice B utilizzabile anche per la valutazione delle problematiche e delle possibili soluzioni in fase di attecchimento. DOMANDE RISPOSTE SOLUZIONI 1 Le operazioni pre impianto sono SI state correttamente eseguite? 2 La conduzione agronomica è stata idonea? NO, non sono state controllate le infestanti Eseguire idoneo controllo delle infestanti 3 Si sono avute avversità biotiche o NO abiotiche eccezionali? 4 La specie è idonea alla stazione? SI 5 La qualità del postime era soddisfacente? SI

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