Capitolo 21 La teoria del federalismo fiscale

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1 Capitolo 21 La teoria del federalismo fiscale

2 I rapporti tra i diversi livelli di governo sono un aspetto fondamentale dell organizzazione del settore pubblico, e riguardano sia le competenze e le spese gestite da ciascun livello sia le modalità di finanziamento. In questo capitolo presenteremo la teoria tradizionale del federalismo fiscale e accenneremo ad alcuni dei contributi più recenti, spesso definiti la teoria del federalismo fiscale di seconda generazione.

3 Le questioni più rilevanti analizzate dalla branca della finanza pubblica denominata teoria del federalismo fiscale sono le seguenti: 1. Come allocare le responsabilità ai diversi livelli di governo? 2. La decentralizzazione delle decisioni governative è auspicabile? 3. Le imposte riscosse a livello locale rappresentano una buona soluzione per il pagamento dei servizi offerti dalle Amministrazioni locali? In quali circostanze i fondi dovrebbero arrivare dal Governo centrale?

4 Il rapporto di accentramento In generale si può dire che un sistema è più accentrato rispetto a un altro quando una quota maggiore dei suoi poteri decisionali è nelle mani dei livelli di governo sovraordinati. Il criterio più diffuso per misurare il livello di accentramento di un Paese è il rapporto di accentramento, ossia la proporzione delle spese dirette complessive effettuate dal Governo centrale. I rapporti di accentramento variano notevolmente a seconda degli Stati e non necessariamente sono maggiori per quelli che hanno una forma di Stato federale.

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6 Teoria tradizionale vs. seconda generazione La teoria tradizionale del federalismo fiscale è un approccio normativo connotato dall idea che esista un Governo benevolente. La seconda generazione della teoria del federalismo fiscale assume, invece, che politici e burocrati abbiano obiettivi propri, che ne influenzano significativamente l azione di governo.

7 Teoria tradizionale vs. seconda generazione Secondo l approccio tradizionale, il vantaggio principale di un assetto decentrato sta nel guadagno in termini di efficienza consentito dal decentramento della funzione allocativa. Al Governo centrale si riconosce una maggiore efficacia nello svolgimento delle funzioni di ridistribuzione e di stabilizzazione macroeconomica (Musgrave,1959).

8 Teoria tradizionale vs. seconda generazione Il nucleo centrale della teoria tradizionale del federalismo fiscale è il teorema del decentramento di Oates (1972), che fornisce una giustificazione teorica all esistenza di diversi livelli di governo. Il problema delle competenze e dell estensione territoriale degli Enti è invece affrontato facendo ricorso ad alcune prescrizioni elaborate da Buchanan, nell ambito della teoria dei club (1965). Il collegamento tra il voto come strumento per l espressione delle preferenze e la fornitura di beni e servizi pubblici locali è stabilito dall idea del voto con i piedi, formulata da Tiebout (1956) a integrazione delle riflessioni di Samuelson ( ) nell ambito della teoria dei beni pubblici.

9 Il teorema del decentramento di Oates Il teorema di Oates stabilisce che, con preferenze differenziate, è sempre preferibile una soluzione decentrata. Infatti, poiché la fornitura pubblica di un bene o servizio comporta una perdita secca, dovuta alla distanza tra le preferenze individuali e il livello offerto, la soluzione decentrata, variando l offerta pubblica, permette di ridurre questa perdita di benessere.

10 Il teorema del decentramento di Oates

11 Il teorema del decentramento di Oates Il guadagno di efficienza è tanto maggiore quanto più sono omogenee le preferenze all interno di una collettività e non vi sarebbe vantaggio alcuno se le preferenze dell intera comunità nazionale non fossero diversificate territorialmente.

12 Il teorema del decentramento di Oates I limiti più rilevanti di questo teorema sono evidenti dalle ipotesi necessarie affinché sia valido: 1. Oates assume che il costo marginale di offerta del bene locale sia costante (MC è una retta orizzontale), ossia che nella fornitura non vi siano economie di scala; se così non è, la soluzione decentrata potrebbe non essere necessariamente quella più efficiente; 2. la perfetta corrispondenza tra giurisdizione economica e giurisdizione politica è difficilmente riscontrabile nella realtà. Proprio a partire da questo limite della teoria tradizionale, è stata avanzata la teoria del federalismo funzionale (Casella e Frey 1992; Eichenberger e Frey 2002), secondo la quale ciascun ente deve essere responsabile di un unica funzione e deve esserlo solo rispetto ai cittadini che beneficiano del servizio.

13 La teoria dei club Nella teoria tradizionale l analisi sulle dimensioni delle collettività locali e sul livello di servizio che queste dovrebbero fornire è stata condotta utilizzando il concetto di club, che per altro si addice meglio all idea del federalismo funzionale che non a quello di una collettività che fornisce una pluralità di servizi.

14 La teoria dei club 1. Omogeneità dei gusti all interno della comunità locale 2. Costi di esclusione nulli 3. Costi di gestione nulli 4. Variabili da determinare: 1. Dimensione dell ente (N=partecipanti) 2. Livello del servizio (Q) Rosen, Gayer, Scienza delle finanze 4e Copyright 2014 McGraw-Hill Education s.r.l.

15 La teoria dei club Dimensioni dell ente, Q fisso Asse x: Numero di partecipanti al club Asse y: C e B Curva A Benefici I costi procapite sono decrescenti (diluizione dei costi su più soggetti) Curva B Costi Costi di congestione nella fruizione del bene pubblico

16 La teoria dei club Livello del servizio, N fisso Asse x: livello del servizio Q Asse y: C e B Curva D Domanda Utilità marginale decrescente Curva M Offerta Costi marginali crescenti dovuti all impegno addizionale di terra

17 La teoria dei club

18 La teoria dei club Problemi aperti 1. Come finanziare i beni pubblici? 2. Come risolvere il problema del free rider quando l esclusione non è praticabile? 3. La distribuzione dei beni pubblici è efficiente in presenza di diversi club differenziati?

19 Il modello di Tiebout 1. In determinate circostanze i mercati falliscono, non riuscendo a offrire i cosiddetti beni pubblici in modo efficiente perché il mercato non incentiva gli individui a rivelare le loro vere preferenze, incoraggiando tutti a comportarsi da free rider. 2. Tiebout (1956): la possibilità di spostamento degli individui tra diverse collettività locali può essere una soluzione simile a quella di mercato anche per i beni pubblici locali. 3. Sotto determinate condizioni, individui perfettamente razionali dovrebbero stabilirsi nella collettività locale che offre la combinazione di servizi e imposte pubbliche che essi gradiscono di più.

20 Il modello di Tiebout: le assunzioni 1. Esiste una categoria di beni pubblici, detti appunto beni pubblici locali, i cui benefici sono strettamente limitati a una data collettività. 2. Gli individui sono completamente liberi di spostarsi a costo zero. 3. Le persone dispongono di informazioni perfette relativamente ai servizi e alle imposte pubbliche di ciascuna collettività locale. 4. Esiste una certa differenziazione tra le collettività locali e ciascun individuo può trovarne una con servizi pubblici che soddisfano le sue esigenze. 5. Il costo per unità dei servizi pubblici è costante. 6. La tecnologia dell offerta del servizio pubblico è tale per cui, se raddoppia il numero di residenti, raddoppia anche la quantità di servizi pubblici offerta (rendimenti di scala costanti)

21 Il modello di Tiebout 1.Il modello di Tiebout non è una descrizione fedele di come funziona il mondo (le persone non sono perfettamente mobili, non vi sono abbastanza collettività locali perché ciascuno trovi quella per lui migliore ecc.). 2.Inoltre, contrariamente alle implicazioni del modello, si possono osservare molte collettività locali all interno delle quali vi sono differenze di reddito rilevanti e quindi, presumibilmente, differenze nei livelli desiderati di offerta di pubblico servizio. 3.Detto questo, il modello di Tiebout è uno schema di riferimento utile per studiare la gestione dei servizi e il loro finanziamento nelle grandi aree metropolitane, nelle quali esiste un ampia gamma di scelte relativamente alla localizzazione della residenza, e considerevoli differenze di reddito e nei livelli dei servizi.

22 Quali funzioni a quale livello di governo? Qual è la distribuzione ottimale delle funzioni tra i diversi livelli di governo? Concordando con l iniziale contributo di Musgrave (1959), la maggior parte degli economisti condivide l idea che le decisioni di spesa e d imposizione fiscale volte a incidere sui livelli di disoccupazione e inflazione andrebbero prese dal Governo centrale (funzione macroeconomica di stabilizzazione del reddito e dei prezzi). Nessuna Amministrazione regionale o locale è abbastanza grande da influenzare il livello complessivo di attività economica e le esternalità connesse agli interventi di questo tipo li renderebbero inefficaci. Non avrebbe senso che ogni località emettesse una propria moneta e perseguisse una politica monetaria indipendente.

23 Quali funzioni a quale livello di governo? Le argomentazioni sull attribuzione della funzione redistributiva ai Governi locali o a quello centrale sono più articolate. In prima approssimazione si può pensare di assegnarla al Governo centrale sulla base della seguente argomentazione: si supponga che la composizione delle imposte e delle spese in una particolare collettività locale sia favorevole ai suoi membri a basso reddito; se non vi sono barriere al movimento tra le collettività locali, dobbiamo aspettarci una inmigrazione dei meno abbienti dal resto del Paese. L aumento della popolazione meno abbiente determina un analogo incremento nel costo della politica fiscale ridistribuiva; allo stesso tempo, i più abbienti possono decidere di andarsene. Di conseguenza aumentano le esigenze di risorse per la collettività locale mentre diminuisce il livello di base imponibile e il programma ridistribuivo potrebbe essere abbandonato.

24 Quali funzioni a quale livello di governo? Si può inoltre sostenere che il dittatore benevolente, assunto dalla teoria tradizionale del federalismo fiscale, sia depositario di una funzione del benessere sociale, o meglio di un criterio di equità sulla distribuzione delle risorse, condiviso dall intera collettività nazionale, e si teme che un autonomia locale, rispetto a questa categoria di politiche, possa essere di ostacolo o in contraddizione con gli obiettivi definiti dal Governo centrale e come tali largamente condivisi.

25 Quali funzioni a quale livello di governo? 1. Secondo Pauly (1973) è difficile assumere realisticamente che le preferenze dei cittadini, diversificate territorialmente rispetto alla fornitura di beni e servizi pubblici, non lo siano anche per quanto riguarda le politiche tributarie e di ridistribuzione del reddito. 2. Può accadere che una certa collettività nazionale esprima, in un certo momento storico, un giudizio circa un criterio di equità per la ridistribuzione delle risorse, e che questo giudizio sia correttamente interpretato dalla classe politica nazionale. 3. Altrimenti, la valutazione deve essere più articolata, e può includere una diversificazione territoriale delle preferenze e/o l analisi dei meccanismi decisionali con cui classi politiche locali e nazionali contribuiscono alla definizione delle politiche distributive.

26 Quali funzioni a quale livello di governo? Inoltre, considerazioni di tipo equitativo, apparentemente escluse dall analisi nell approccio del federalismo fiscale, spesso sono indispensabili se si considera l impatto ridistributivo di alcuni beni e servizi pubblici locali (come per esempio i servizi sanitari e l istruzione).

27 Quali funzioni a quale livello di governo? 1. Per quanto attiene la funzione allocativa, è opinione largamente condivisa che si debba far riferimento alla distinzione tra beni pubblici puri e beni pubblici locali che abbiamo illustrato sopra. 2. Nei primi rientrano la difesa nazionale, la sicurezza, la politica estera, la giustizia, le grandi infrastrutture di comunicazione, per i quali la responsabilità centrale trova diversi ordini di giustificazioni, tra cui le esternalità, le economie di scala, le ragioni di interesse collettivo, le caratteristiche intrinseche dei beni stessi ecc. 3. Gli altri beni pubblici, tra cui alcuni interventi del welfare state, sembrano essere meglio gestiti dalle collettività locali, per definizione più vicine al cittadino-elettore.

28 La teoria del federalismo fiscale di seconda generazione 1. L elemento che accomuna la seconda generazione della teoria del federalismo fiscale è un analisi più accurata dei meccanismi che regolano le decisioni pubbliche che non sono più scatole nere che assorbono risorse per fornire bene pubblici, ma sono uno degli aspetti che deve essere analizzato per comprendere il funzionamento del settore pubblico. 2. Sotto l influenza della scuola di public choice, lo studio del decentramento fiscale parte dal presupposto che, mentre se i dirigenti di imprese private che non riescono a minimizzare i costi alla fine vengono estromessi dall azienda, nel settore pubblico essi possono continuare a spendere in maniera inefficiente.

29 La teoria del federalismo fiscale di seconda generazione Se i cittadini possono scegliere tra giurisdizioni locali diverse, una gestione significativamente non condivisibile può spingerli a scegliere di vivere altrove; o meglio, questa minaccia può creare incentivi affinché i dirigenti pubblici producano in modo più efficiente e siano più sensibili verso i propri cittadini-elettori.

30 La teoria del federalismo fiscale di seconda generazione 1. In particolare, Brennan e Buchanan (1980) ritengono che il principale pregio di un sistema decentrato sia nella frammentazione del potere, inteso come sfruttamento fiscale di politici e burocrati nei confronti dei cittadini. 2. La presenza di più livelli di governo e di più governi dello stesso livello, associata alla libertà degli individui di spostarsi da una circoscrizione all altra, comportano una forma di competizione tra governi che permette di limitare il potere del Leviatano

31 La teoria del federalismo fiscale di seconda generazione 1. La competizione è il secondo elemento centrale dell approccio che stiamo qui analizzando. 2. Salmon (1987) e Breton (1996) mostrano come il decentramento assicuri una competizione orizzontale (tra governi dello stesso livello) e verticale (tra governi gerarchicamente ordinati) anche qualora gli agenti economici non siano perfettamente mobili, ossia quando i costi di spostamento non siano nulli. 3. Tra l altro, il meccanismo competitivo ipotizzato da questi autori non richiede la mobilità perfetta di tutti gli agenti economici coinvolti dall attività di governo di una data amministrazione, ma semplicemente una corretta informazione circa i risultati raggiunti da amministrazioni comparabili.

32 Il finanziamento delle collettività locali In linea generale il finanziamento delle collettività locali può avvenire tramite: 1. le sovrimposte e le addizionali, denominando così le aliquote che i livelli inferiori di governo stabiliscono sulla base imponibile o sull imposta di un altro livello di governo, normalmente quello centrale; 2. le compartecipazioni, ossia le quote di gettito di imposte di altri livelli di governo assegnate a livelli di governo inferiori; 3. i tributi propri; 4. i trasferimenti tra livelli di governo.

33 Il finanziamento delle collettività locali 1. Nei primi due casi, l autonomia dell Ente locale è piuttosto ristretta e limitata alla definizione dell aliquota: tale autonomia spesso non esiste proprio per le compartecipazioni e per le addizionali è limitata a una forchetta definita dalla legge nazionale. 2. Per i tributi propri, invece, non solo il gettito è interamente, o in gran parte, destinato all Ente periferico, ma questo ha una certa autonomia nel fissare le aliquote. È più difficile che l Ente locale possa autonomamente disciplinare la base imponibile di un tributo. 3. Quando il finanziamento di un Ente periferico è assicurato da trasferimenti di risorse dai livelli superiori, la sua autonomia è pressoché nulla.

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35 L imposta locale sulla proprietà immobiliare 1. L imposta sulla proprietà immobiliare (terreni e dei fabbricati) è il sistema di finanziamento delle collettività periferiche adottato da quasi tutti i Paesi che hanno una finanza pubblica decentrata. 2. L ammontare dell imposta è determinato dal prodotto dell aliquota per il valore figurativo dell immobile o del terreno, assegnato dall amministrazione. 3. L amministrazione cerca di stabilire una corrispondenza tra il valore figurativo e quello di mercato, ma questa operazione richiede frequenti revisioni.

36 L imposta locale sulla proprietà immobiliare Perché gli Enti locali si finanziano con questo tipo di imposta? 1. Le imposte sulla proprietà immobiliare possono garantire che la base imponibile non venga spostata in altre giurisdizioni. 2. L analisi dell incidenza di questa imposta è argomento piuttosto controverso: nell approccio tradizionale l imposta sulla proprietà è un imposta specifica sui consumi che grava su terreni e fabbricati. 3. L incidenza dell imposta è determinata dall andamento delle curve di domanda e di offerta, rispettivamente dei terreni e dei fabbricati.

37 L imposta locale sulla proprietà immobiliare 1. Per quanto riguarda i terreni, se assumiamo che la quantità offerta sia fissa, ne deriva che la curva di offerta è perfettamente verticale. 2. Un fattore che presenta una curva di offerta di questo tipo sopporta tutto il carico di un eventuale imposta. 3. Poiché sono in quantità fissa, i terreni non possono sfuggire all imposta, come illustra la figura che segue.

38 L imposta locale sulla proprietà immobiliare

39 L imposta locale sulla proprietà immobiliare 1. Per l incidenza dell imposta sulla proprietà dei fabbricati, occorre considerare il mercato nazionale dei capitali. 2. Il capitale può essere utilizzato per scopi diversi: costruzione di immobili, impianti di produzione, progetti del settore pubblico ecc... e, in ogni momento, il capitale ha un certo prezzo che ne condiziona l impiego. 3. Secondo l approccio tradizionale, nel lungo periodo l industria delle costruzioni può ottenere tutto il capitale domandato al prezzo di mercato e quindi la curva di offerta dei fabbricati di lungo periodo è perfettamente orizzontale.

40 L imposta locale sulla proprietà immobiliare

41 L imposta locale sulla proprietà immobiliare 1. Secondo l approccio tradizionale, l imposta sulla proprietà dei terreni ricade sui proprietari degli stessi (o quanto meno sui proprietari nel momento dell introduzione dell imposta), mentre l imposta sui fabbricati viene trasferita sugli acquirenti. 2. Quali sono quindi le implicazioni distributive per quest ultima? 3. La progressività dell imposta sulla proprietà dei fabbricati dipende dal fatto che il reddito da fabbricati aumenta o diminuisce al crescere del reddito. Se diminuisce l imposta è regressiva, e viceversa. Esistono molti studi econometrici che hanno cercato di verificare questa relazione, ma le conclusioni non sono univoche e dipendono, tra le altre variabili, dal tipo di concetto di reddito che si adotta (annuale o permanente?).

42 Trasferimenti tra diversi livelli di governo 1. Le modalità con cui le risorse sono trasferite dal Governo centrale possono influenzare le scelte della collettività locale. 2. In particolare, i trasferimenti possono essere vincolati o non vincolati; per i primi il soggetto erogatore specifica le finalità per le quali l Ente che riceve può utilizzare i fondi. I secondi possono essere impiegati dagli Enti in piena autonomia. 3. I trasferimenti vincolati possono essere compartecipati: per ogni euro trasferito dal Governo centrale per sostenere una particolare attività, l Ente locale deve spendere in quella stessa attività una certa somma di denaro. 4. I trasferimenti compartecipati possono essere a stanziamento definito.

43 Un trasferimento compartecipato

44 Un trasferimento compartecipato a stanziamento determinato

45 Un trasferimento non compartecipato

46 Le modalità di riparto dei trasferimenti perequativi 1. Un obiettivo del Governo centrale è solitamente quello di perequare le risorse a disposizione delle Amministrazioni periferiche se le imposte amministrate a livello locale non sono sufficienti a soddisfare le necessità finanziarie di alcuni. 2. In effetti, la distinzione tra le due possibili finalità dei trasferimenti erariali (a fini di efficienza e di perequazione) difficilmente si manifesta con forme distinte di erogazione monetaria: i trasferimenti dal livello superiore di governo possono essere vincolati o no al finanziamento di una data funzione, per migliorare l allocazione efficiente delle risorse, ma la ripartizione del fondo iscritto nel Bilancio dello Stato può essere guidata da principi perequativi.

47 Le modalità di riparto dei trasferimenti perequativi Semplificando molto rispetto alle soluzioni adottate nella realtà, i possibili criteri di riparto dei trasferimenti erariali sono i seguenti: 1. la spesa storica; 2. pro capite; 3. per perequare la capacità fiscale; 4. per perequare i fabbisogni di spesa.

48 Il criterio della spesa storica Ripartire i trasferimenti erariali secondo il criterio della spesa storica significa assegnare a ciascun Ente una somma proporzionale al livello di spesa sostenuto nell anno precedente o in media in un intervallo ritenuto indicativo. In sostanza, l erogazione va a coprire la differenza tra la spesa sostenuta effettivamente e le entrate proprie dell Ente. Si tratta di una modalità di ripartizione neutrale rispetto alla finalità perequativa.

49 Il criterio della spesa pro-capite Anche il riparto in base alla spesa pro capite è neutrale dal punto di vista della perequazione delle risorse, perché, assegnando a ogni cittadino residente nelle varie giurisdizioni una stessa somma, il Governo centrale non tiene conto né delle risorse proprie degli Enti periferici né delle diverse necessità di spesa, o meglio, tiene conto solo delle differenze imputabili alla popolosità della collettività locale. Il trasferimento può essere illustrato dalla seguente formula: & F # T = $! N i N i % " dove: Ti è l assegnazione all ente i-esimo; F è l ammontare di risorse che lo Stato trasferisce agli enti periferici; N è la popolazione nazionale; Ni è la popolazione della collettività i-esima.

50 Il criterio della capacità fiscale Il criterio della capacità fiscale, invece, è una modalità di ripartizione che tiene conto delle disponibilità delle singole collettività e, dunque, delle sue capacità di finanziamento autonome. L assegnazione in questo caso è così determinata: Ti = ty tyi = t (Y Yi) con: Ti è il trasferimento alla collettività i-esima; t è l aliquota media di riferimento; Yi è la base imponibile della giurisdizione locale; Y è la base imponibile nazionale.

51 Lo sforzo fiscale 1. Il tipo di assegnazione precedentemente illustrato è interamente determinato dalle differenze di basi imponibili e non dalle aliquote applicate dagli Enti locali. 2. Se il Governo centrale volesse premiare lo sforzo fiscale dovrebbe erogare un assegnazione proporzionale all aliquota applicata dall Ente locale e alla differenza tra basi imponibili. 3. La formula precedente dovrebbe essere modificata come segue: T i = t i (Y Y i ) dove t i è l aliquota adottata dall ente periferico.

52 e i fabbisogni 1. Talvolta il Governo centrale può voler tener conto dei differenti bisogni a cui ciascuna collettività deve rispondere: gli Enti locali possono differire anche per la popolazione di riferimento (per esempio perché particolarmente anziana) o per i costi di determinati input (per esempio a causa della conformazione geografica del territorio). 2. Se l obiettivo di chi eroga il trasferimento è colmare le differenze di finanziamento riconducibili a questi elementi, l erogazione dovrebbe essere determinata: TG i = t i (Y ay i ) dove a rappresenta una funzione dei costi e dei fabbisogni della popolazione della collettività

53 L effetto carta moschicida 1. L analisi dell effetto dei trasferimenti effettuata utilizzando le curve di indifferenza che abbiamo condotto finora non considera un aspetto fondamentale: a chi si riferiscono le curve d indifferenza? 2. Sono le preferenze dell elettore mediano e burocrati e politici hanno un ruolo passivo nella realizzazione dei desideri degli elettori? 3. Se sì, una conseguenza diretta della regola dell elettore mediano è che un aumento di un euro nel reddito della collettività locale ha esattamente lo stesso impatto sulla spesa pubblica dell ottenimento di un trasferimento non vincolato dello stesso importo.

54 L effetto carta moschicida Un numero considerevole di studi econometrici sui fattori determinanti della spesa pubblica locale (si veda per tutti Oates 1999) hanno mostrato che un euro ricevuto dalla collettività locale sotto forma di trasferimento provoca un aumento della spesa pubblica superiore all incremento derivante da un analogo incremento nel reddito della collettività locale.

55 L effetto carta moschicida 1. Questo fenomeno è stato soprannominato effetto della carta moschicida e le spiegazioni più accreditate indagano sul processo decisionale pubblico. 2. Filimon, Romer e Rosenthal (1982) sostengono che i burocrati cercano di massimizzare le dimensioni dei loro budget e per questo non sono incentivati a informare i cittadini sul reale livello di trasferimenti a disposizione della collettività locale; nascondendo questa informazione, possono ingannare i cittadini facendoli esprimere a favore di un maggiore livello di spesa di quanto sarebbe avvenuto altrimenti. 3. Secondo questa visione, l effetto della carta moschicida si verifica perché i cittadini sono inconsapevoli del vincolo di bilancio effettivo.

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