4. LA LINGUA ITALIANA VISTA DA UN CINESE

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1 4. LA LINGUA ITALIANA VISTA DA UN CINESE GIORGIO FRANCESCO ARCODIA * 4.0 La posizione del cinese tra le lingue del mondo Il termine cinese viene usato comunemente, nella lingua italiana, per indicare un segmento particolare del complesso diasistema delle lingue cinesi (o, meglio, lingue sinitiche), note anche come dialetti del cinese : tale segmento è il cosiddetto cinese moderno standard o cinese mandarino moderno (cfr. l inglese Mandarin Chinese), detto in patria 普通话 Pǔtōnghuà, lingua comune. Dal nome scelto per tale sistema linguistico emerge con chiarezza la sua natura di strumento di comunicazione per una popolazione che conta, se ci limitiamo alla Repubblica Popolare Cinese (l entità statale che noi chiamiamo Cina ), oltre di persone, distribuiti in uno spazio geografico paragonabile a quello dell Europa (fino ai monti Urali), la maggior parte delle quali fino al XX secolo è stata, sostanzialmente, dialettofona. Il cinese, così inteso, è la lingua ufficiale della Repubblica Popolare Cinese e di Taiwan, la lingua dominante nella comunicazione di massa e nell istruzione, nonché la varietà che viene normalmente insegnata nelle università e nelle scuole di lingua per stranieri. Le lingue cinesi nel loro complesso appartengono alla grande famiglia delle lingue sino-tibetane, i cui due raggruppamenti principali sono le lingue cinesi / sinitiche e le lingue tibeto-birmane (comprendenti, tra le altre, il tibetano e il birmano): le lingue appartenenti al secondo di questi gruppi, tuttavia, non mostrano nella fase moderna del loro sviluppo grandi somiglianze con le lingue della Cina. Dal punto di vista tipologico, il cinese e i suoi dialetti mostrano affinità piuttosto notevoli con molte delle lingue parlate nel Sud-Est Asiatico, non appartenenti alla famiglia sino-tibetana, come il vietnamita o il thai (e, in misura minore, il coreano e il giapponese): tali somiglianze sono imputabili, verosimilmente, alla contiguità geografica e alla storia di contatto tra questi sistemi linguistici (una sintesi in lingua italiana di tali questioni si può trovare in Banfi & Arcodia, 2008). Naturalmente, non tutti i cinesi che vivono e lavorano in Italia sono competenti esclusivamente della varietà standard di cinese e, anzi, non è infrequente incontrare persone che non la conoscono affatto: questi, frequentemente, utilizzano la loro lingua locale (i dialetti di cui abbiamo detto sopra) per comunicare con gli altri membri della loro comunità, situazione facilitata dal fatto che la maggior parte dei migranti cinesi nel nostro paese sono originari della provincia cinese dello 浙江 Zhèjiāng e, in particolare, dei territori della municipalità di 温州 Wēnzhōu. Tipicamente, essi hanno competenza, in grado diverso, del dialetto di Wenzhou ( 温州话 Wēnzhōuhuà) o di altre varietà appartenenti al gruppo dialettale 吴 Wú (che comprende, tra gli altri, il cosiddetto dialetto di Shanghai, che conta milioni di locutori) affini alla parlata della città di Wenzhou (per approfondimenti sulle competenze linguistiche dei cinesi d Italia, si veda Ceccagno, 2003). Tale considerazione non si applica, evidentemente, agli studenti cinesi in possesso di diploma di scuola secondaria superiore ottenuto in patria che si iscrivono alle università italiane e, eventualmente, frequentano i corsi propedeutici di lingua: essendo, come detto sopra, il cinese standard la lingua dominante nell istruzione, normalmente ragazze e ragazzi diplomati ne hanno un ottima padronanza. Quanto detto finora sulla grande diversità che si riscontra nell esame dello spazio linguistico cinese, dove non è strano che parlate locali, anche appartenenti ad uno stesso gruppo dialettale, risultino reciprocamente incomprensibili, non deve però oscurare il fatto che tutti i segmenti del diasistema cinese posseggono un numero consistente di tratti essenziali in comune, come varietà geneticamente imparentate e tipologicamente affini. Molte di queste caratteristiche, come abbiamo detto brevemente sopra, sono proprie anche di lingue non cinesi del Sud-Est Asiatico. Nel proseguimento di questo paragrafo ci dedicheremo ad una presentazione di tali peculiarità. Tra le molte particolarità della lingua cinese, quelle che emergono con forza anche nelle trattazioni cursorie (come, ad esempio, nei manuali di linguistica generale) sono il carattere tonale e la morfologia fondamentalmente isolante: affrontiamo quindi, innanzitutto, questi primi due punti. Per ovvie ragioni di pertinenza e di chiarezza, tutti i dati e gli esempi presentati saranno di cinese standard; inoltre, per non appesantire l esposizione con spiegazioni non funzionali, non forniremo la glossa appropriata per tutti gli elementi grammaticali e faremo riferimento nel testo solo a quelli più opportuni nel nostro discorso. * Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione R. Massa, Università degli Studi di Milano Bicocca.

2 Il tono, come è noto, è una variazione nell altezza di un suono linguistico. Esso si differenzia dall accento, con il quale a volte viene confuso, che è piuttosto un fatto di intensità; una coppia come le parole italiane àncora ed ancòra si distinguono per la sillaba che viene pronunciata con maggiore forza, ottenendo una salienza uditiva maggiore. In cinese standard, ad una sillaba possono essere associati quattro diversi valori tonali (da sinistra verso destra, dal primo al quarto tono): [1] 接 结 姐 借 jiē jié jiě jiè connettere annodare sorella maggiore prestare Il parametro dell altezza tonale, come risulta ovvio per qualunque parlante nativo, non ha funzione distintiva nel lessico italiano; a livello di enunciato, tuttavia, la curva intonativa ha un grande valore comunicativo, ché essa può essere l unico indicatore della modalità di una frase (caffè! vs. caffè?). Un altra caratteristica prominente del componente fonologico del cinese, che non viene evidenziata altrettanto spesso ma che pare altrettanto importante, è la relativa povertà dell inventario fonologico della lingua e, ancor più, la semplicità della struttura sillabica. La sillaba cinese, negli studi filologici tradizionali, viene divisa in attacco ( 声母 shēngmǔ) e rima ( 韵母 yùnmǔ): la lingua moderna conta solo 21 iniziali e 35 finali, che non possono combinarsi liberamente. Una sillaba può essere costituita anche dal solo nucleo vocalico ( 饿 è, affamato ), può avere una consonante semplice come attacco ( 拉 lā tirare ), mai un nesso consonantico, e in coda può avere solo le consonanti nasali [n] o [ŋ] ( 南 nán sud ; 帮 bāng aiutare ). Le sillabe cinesi sono, quindi, semplici e il loro inventario è molto limitato se paragonate ad una lingua d Europa: in cinese abbiamo solo 405 sillabe (anche se, invero, la presenza dei toni aumenta le distinzioni), mentre per una lingua come l inglese si possono stimare 8000 sillabe distinte (dati da Lin, 2001: 27-29). Risulta facile prevedere, quindi, una certa difficoltà nell apprendere il sistema fonologico dell italiano da parte di apprendenti cinesi, che hanno poca confidenza con combinazioni di consonanti e con strutture sillabiche articolate. Inoltre, la loro lingua non possiede né distinzioni di lunghezza (cfr. cane vs. canne), né distinzioni di sonorità (cfr. callo vs. gallo), ma solo un opposizione tra alcune consonanti occlusive aspirate versus non aspirate: 大 dà ([ta]) grande vs. 踏 tà ([t a]) calpestare. Vediamo, a titolo d esempio, come il nome del celebre poeta e drammaturgo russo Vladimir Majakovskij viene reso in cinese: [2] 弗拉基米尔 马雅科夫斯基 fúlājīmǐ ěr mǎyǎkēfūsījī Ciò che appare con evidenza è che la catena fonica e, parimenti, la sequenza grafematica, non contemplano unità di dimensione inferiore alla sillaba. Suoni assenti nella lingua cinese come le sonore [v] e [d] vengono resi come [f] e [tʃ] (fúlājīmǐ ěr); i nessi consonantici vengono sciolti, ogni suono consonantico viene reso come attacco di una sillaba (vla- fúlā; -vskij fūsījī). La sillaba riveste, dunque, un ruolo importante nell organizzazione della catena del parlato; vedremo in seguito come essa sia in effetti un unità di fondamentale importanza anche nella strutturazione di morfologia e lessico. Per quanto concerne il componente morfologico della lingua, il cinese viene normalmente classificato come sistema isolante e, anzi, spesso esso viene usato quale esempio prototipico di detta tipologia. Come lingua isolante, il cinese dovrebbe avere un indice di sintesi minimo, ovvero dovrebbe tendere alla corrispondenza 1:1 tra morfema (unità linguistica minima dotata di significato) e parola; di conseguenza, la parola cinese tipica non dovrebbe avere problemi di segmentazione nelle sue parti (morfemi) costituenti. Inoltre, una lingua isolante dovrebbe avere poca morfologia: assenza di distinzioni di genere, numero e caso nei nomi e negli aggettivi, un unica forma per i verbi, senza espressione delle categorie di persona, numero, tempo e modo. Le parti del discorso tendono a non essere distinte formalmente, anche per l assenza di quegli elementi morfologici esemplificati sopra: una parola come il cinese 工作 gōngzuò può valere sia per lavoro che per lavorare, a seconda del contesto sintattico, come vedremo meglio nel par Nelle lingue isolanti, infine, l ordine delle parole tende ad essere rigido, in quanto svolge la funzione di identificare, tramite la 2

3 posizione nella frase, i vari ruoli sintattici (soggetto, oggetto, etc.); la costruzione della cornice temporale (o, meglio, tempo-aspettuale) dell enunciato è affidata in larga parte al lessico. Innanzitutto, vediamo la forma e la struttura delle parole in una frase cinese: [3] 我上电车后找到一个座位就坐下了 wǒ shàng diànchē hòu zhǎodào yí-ge zuòwèi jiù zuòxia-le io salire tram dopo trovare uno-ge posto subito sedersi-le Dopo essere salito sul tram, ho trovato un posto e mi sono seduto Vediamo come il primo verbo nell esempio (3), 上 shàng salire, non presenta marche di persona, numero, tempo o modo; per indicare la successione degli eventi, viene semplicemente aggiunto l avverbio 后 hòu dopo, mentre in italiano si rende necessario anche l utilizzo di un tempo composto. La presenza del pronome 我 wǒ io, inoltre, è sufficiente ad eliminare ogni ambiguità nel riferimento ( 我上 wǒ shàng io salgo vs. 你上 nǐ shàng tu sali ). Questa è una notevole differenza rispetto ad una lingua flessiva (o, meglio, flessivo-fusiva): in italiano, ogni verbo di modo finito che compare in un enunciato deve necessariamente avere le opportune marche grammaticali e non diremo, ad esempio, *io parlare con Bianca (l asterisco indica agrammaticalità). Anche il secondo verbo, 找到 zhǎodào trovare, non presenta marche grammaticali di sorta; tuttavia, esso ha una struttura morfologica complessa, essendo costituito dei morfemi 找 zhǎo cercare e 到 dào arrivare : semanticamente e strutturalmente, quindi, la parola risulta piuttosto trasparente, con la nozione di trovare concepita come il risultato del cercare. Le stesse considerazioni possono essere estese ai nomi 电车 diànchē tram, costituito da elettricità e veicolo, e 座位 zuòwèi posto (a sedere), dove entrambi i costituenti veicolano approssimativamente lo stesso significato, quello di posto ; i due sostantivi, tra l altro, non presentano marche di genere o di numero. Allo stesso modo, il verbo 坐下 zuòxia sedersi, mettersi a sedere ha una struttura interna assolutamente trasparente per chi è competente di cinese: esso è costituito, infatti, dei morfemi 坐 zuò sedersi e 下 xià basso, verso il basso. Ad esso si aggiunge un morfema di natura grammaticale, che abbiamo indicato nelle glosse come LE, che veicola il valore di azione compiuta (aspetto perfettivo; diverso, si ricordi, dal tempo passato). Nella parola tipica dell italiano, frequentemente, non è possibile attribuire con chiarezza singoli valori semantici a singoli pezzi di significante (morfi; cfr. infra): nella forma rido, la terminazione o contiene i significati di prima persona, singolare, tempo presente, modo indicativo; in una lingua isolante quale è il cinese, come abbiamo visto, ogni costituente della parola veicola tipicamente un solo significato. Non è esatto, tuttavia, affermare, come abbiamo fatto sopra, che il cinese abbia solo parole semplici, prive di una struttura morfologica interna (come le parole italiane mai, forse, virtù, non ulteriormente analizzabili), ché abbiamo invece numerose parole composte di due (o più) morfemi; sarà più corretto dire che la corrispondenza 1:1 si attua non già tra morfema e parola ma, piuttosto, tra morfema e morfo, ovvero tra unità di significato (ad esempio, azione compiuta ) e frammento di significante, forma linguistica concreta (ad esempio, la forma 了 le). Anche la combinazione di nomi ed aggettivi non innesca il fenomeno dell accordo, ovvero della identità di marcatura tra il nome e gli elementi che lo qualificano: [4] 腼腆的男孩 腼腆的女孩 miǎntian de nánhái miǎntian de nǚhái timido DE ragazzo timido DE ragazza (un) ragazzo timido (una) ragazza timida La forma dell aggettivo 腼腆 miǎntian timido non subisce modifiche. Inoltre, gli stessi costrutti potrebbero riferirsi, sempre senza alcuna alterazione della forma, a entità plurali: [5] 两个腼腆的女孩 liǎng-ge miǎntian de nǚhái due-ge timido DE ragazza 3

4 due ragazze timide Il nome stesso non presenta marche di plurale, e anche gli esempi in [4] possono ricevere un interpretazione plurale, a seconda del contesto. Il genere, inoltre, non è una proprietà di tutti i nomi umani: [6] 李杰是学生 Lǐ Jié shì xuésheng Li Jie essere studente Li Jie è studente Nella frase [6], il Li Jie di cui si parla potrebbe essere sia un maschio che una femmina. Per quanto riguarda i nomi inanimati, sia concreti che astratti, la distinzione di genere non ha alcun significato: parole come 电脑 diànnǎo computer, 椅子 yǐzi sedia o 树 shù albero non sono, linguisticamente, né maschi né femmine ; l unico caso in cui viene fatto riferimento al genere dei nomi inanimati è con l uso del pronome anaforico di terza persona singolare, che ha le forme omofone (tā) 他 per il maschile, 她 per il femminile e 它 per i referenti inanimati. In italiano, come è noto, ad ogni nome viene assegnato genere maschile o femminile, che innesca accordo in tutti i suoi elementi modificatori: questo bravo ragazzo vs. questa brava ragazza; l assegnazione del genere è arbitraria nei nomi inanimati (il tavolo vs. la scrivania) e non è evidente nei sostantivi in e ( cane vs. ape; Giacalone Ramat, 2003b: 16). Inoltre, come rileva acutamente Giacalone Ramat (2003b: 15), non si tratta solo di apprendere, a livello formale o di correttezza grammaticale, che certi nomi sono maschili o femminili e che al genere (e al numero) vanno associate certe desinenze flessive: per gli apprendenti cinesi è necessario acquisire, parallelamente alla morfologia, la nozione stessa del genere applicata a referenti inanimati, assente nella loro lingua nativa, come abbiamo visto. Tale discorso, come si evince da quanto detto sinora, vale anche per le categorie grammaticali marcate sul verbo quali tempo, modo, persona e numero. Non sorprende, ad esempio, il fatto che, in apprendenti cinesi, il participio passato (in luogo del passato prossimo) appaia prima di altri tempi verbali passati, non con la funzione di collocare un evento nel passato, ma, piuttosto, con il fine di indicare azione compiuta, come il 了 le visto nell esempio [3]; per un apprendente cinese, tale funzione è più accessibile di quella del riferimento al passato del participio passato / passato prossimo, in quanto la nozione di azione compiuta (aspetto perfettivo) è già presente nella propria coscienza linguistica (Giacalone Ramat, 2003b: 20-21; Banfi & Giacalone Ramat, 2003: 48; Valentini, 1992). Il carattere isolante della morfologia del cinese ha un importante riflesso nel dominio sintattico, ovvero, come accennato sopra, nell importanza dell ordine dei costituenti nell interpretazione dell enunciato. Confrontiamo le seguenti frasi cinesi ed italiane: [7a] [7b] [8a] [8b] 我喜欢雷雷 wǒ xǐhuan Léilei io piacere Leilei mi piace Leilei 雷雷喜欢我 Léilei xǐhuan wǒ Leilei piacere io a Leilei piaccio io Io odio Gino Gino odia me L ordine normale (detto canonico) dei costituenti in una frase dichiarativa attiva, per entrambe le lingue, è SVO, ovvero soggetto verbo oggetto: tale sequenza viene rispettata negli esempi in (7a-b) e (8a-b). In 4

5 cinese, tuttavia, l ordine dei costituenti è l unico indizio che permette di identificare il soggetto e l oggetto diretto della frase; lo scambio tra le posizioni di 我 wǒ io e 雷雷 Léilei tra [7a] e [7b] inverte anche il rapporto tra le due entità. In italiano, la distinzione tra pronome soggetto (io) e pronome oggetto (me) assicura l attribuzione dei ruoli sintattici; l ordine delle parole, quindi, sarà più manovrabile in italiano che in cinese. Nelle lingue che marcano sistematicamente il caso, come il latino, l ordine delle parole è ancora più libero che in italiano: (9a) Puer amat puellam (9b) Puer puellam amat il ragazzo ama la ragazza (9c) Amat puer puellam Le frasi in [9a-c] hanno, rispettivamente, ordine SVO, SOV e VSO, e sono tutte perfettamente grammaticali: la forma del caso nominativo (caso del soggetto) del sostantivo puer ragazzo e la forma di accusativo (caso dell oggetto) di puella ragazza (puellam) eliminano il rischio di ambiguità nell interpretazione. In cinese, inoltre, l ordine delle parole fornisce spesso la cornice interpretativa per identificare singoli elementi dell enunciato come nomi, verbi, aggettivi o avverbi: svilupperemo questo argomento nel paragrafo 4.3. Nonostante cinese e italiano abbiano entrambi l ordine canonico di soggetto, verbo ed oggetto, il cinese costruisce i gruppi di parole (o sintagmi) in maniera spesso speculare rispetto alla nostra lingua (esempi adattati da Li & Thompson, 1981: 25-26): [10] 他 / 她在厨房里炒饭 tā zài chúfáng lǐ chǎo fàn Lui/lei in cucina dentro saltare riso prepara il riso in cucina [11] 会讲国语的那一个小孩是我的儿子 huì jiǎng Guóyǔ de nèi-ge xiǎohái shì wǒ-de érzi Potere parlare cinese DE quello-ge bambino essere io-de figlio il bambino che sa parlare cinese è mio figlio [12] 你慢慢地吃 nǐ mànman-de chī tu lentamente-avv mangiare Mangia lentamente Nell esempio [10], vediamo come le preposizioni seguite da elementi locativi sono poste prima del verbo, mentre in italiano l ordine naturale (detto non marcato) è l opposto, come si vede nella traduzione proposta. In [11], la frase relativa 会讲国语 huì jiǎng Guóyǔ in grado di parlare cinese è posta prima del referente che qualifica ( quel bambino ), a cui è collegata dalla particella 的 de, al contrario di quanto avviene nella nostra lingua; anche l avverbio dell esempio [12] si colloca prima del verbo, mentre in italiano la sequenza verbo-avverbio pare più naturale (almeno, per la maggior parte degli avverbi). Una peculiarità interessante del cinese, dal punto di vista tipologico, è la presenza della funzione del topic, il tema della frase, oltre alle relazioni grammaticali di soggetto ed oggetto di lingue come l italiano o l inglese. Il topic è un elemento di grande importanza nella sintassi del cinese (e, in generale, delle lingue dette a prominenza del topic, topic-prominent; cfr. Li & Thompson, 1981: 15); esso, infatti, è sempre il primo elemento nella frase (esempi adattati da ibidem): [13] 张三我已经见过了 Zhāngsān wǒ yǐjīng jiàn-guo le 5

6 Zhangsan io già vedere-guo LE2 Zhangsan, l ho già visto [14] 这棵树叶子很大 zhè-kē shù yèzi hěn dà questo-ke albero foglia molto grande questo albero, le foglie sono grandi Nell esempio in [13], il topic è l oggetto dell intera costruzione, e viene quindi collocato in posizione iniziale (ordine OSV). In [14] abbiamo, invece, un esempio della cosiddetta costruzione a doppio soggetto (Li & Thompson, 1981: 92-93), dove vige una relazione parte-tutto (sineddoche) tra topic e soggetto (le foglie sono parte dell albero). Anche in italiano, come vediamo nelle traduzioni proposte per [13-14], è possibile anticipare un costituente che non coincide con il soggetto logico (nelle cosiddette frasi segmentate); nella lingua parlata, in particolare, è comune la rottura dell ordine SVO per porre in risalto ciò che per il parlante è più rilevante, all atto dell enunciazione (Andorno et al. 2003: ). Tuttavia, nella nostra lingua, un soggetto, anche implicito, deve sempre essere presente (fatta eccezione per i verbi metereologici quali piovere, nevicare, etc.) e, come sappiamo, il verbo si accorda con il soggetto. In cinese, dove non esiste accordo, il soggetto non è identificabile come l entità con cui il verbo si accorda e possiamo avere frasi come [15] e [16], dove è presente un topic ma non un soggetto (esempi adattati da Li & Thompson, 1981: 15, 88): [15] 昨天念了两个钟头的书 zuòtiān niàn-le liǎng-ge zhōngtou de shū ieri leggere-le due-ge ore DE libro ieri (io) ho letto per due ore [16] 那本书出版了 nà-běn shū chūbǎn-le quel-ben libro pubblicare-le quel libro è stato pubblicato Nell esempio [15], il topic della frase è la sua cornice temporale che, come è tipico di una lingua isolante, è affidata ad un elemento lessicale, 昨天 zuòtiān ieri (si rammenti che, come detto sopra, 了 le non ha la funzione di collocare un evento nel passato, ma solo di indicare che l evento descritto dal verbo si è concluso). Il soggetto inserito nella resa italiana io è recuperato dal discorso precedente: in altri contesti, la medesima frase potrebbe avere come soggetto noi, essi o il Sultano del Brunei, senza alcuna modifica formale. Nell esempio in [16], invece, il soggetto è addirittura irrilevante; per tradurre una frase di questo tipo in italiano, è necessario volgerla in forma passiva, ponendo il libro come soggetto (passivo). La versione cinese, tuttavia, è di diatesi attiva e 那本书 nà-běn shū quel libro è solo il topic, l argomento della frase; il qualcuno che pubblica il libro non è presente, nemmeno in forma implicita. L informazione rilevante in [16] è cosa ne è stato del libro. Come vedremo più avanti (par. 4.4 e 4.5), il topic e il comment, ovvero il rema, quello che si dice del topic, sono elementi importanti nell organizzazione dell enunciato anche per gli apprendenti di italiano L2 nelle fasi iniziali (Andorno et al., 2003: ). Conclusa questa breve presentazione dei tratti tipologici salienti della lingua cinese, ci dedicheremo nei prossimi due paragrafi ad un aspetto di grande interesse di detto sistema linguistico, ovvero la forma e la concezione della parola. 4.1 Come i cinesi concepiscono la "parola" La parola è una nozione fondamentale nella coscienza linguistica di un parlante: un locutore di lingua italiana sa, ad esempio, che frutta, mai e crescere sono parole della propria lingua, mentre izzare non è una parola, e Consiglio Nazionale delle Ricerche è un espressione formata da più parole; un parlante italiano, quando scrive, lascia uno spazio bianco tra una parola e l altra. Nonostante la evidenza intuitiva della parola per i locutori di una lingua, la nozione di parola non conosce ancora una definizione soddisfacente 6

7 (si rimanda a Ramat, 2005 per ulteriori ragguagli): eviteremo qui di riprendere questo dibattito teorico, e ci concentreremo piuttosto sulla parola intuitiva, quell unità compresa tra due spazi bianchi, per il parlante italiano e per il parlante cinese. Un importante, ancorché banale, differenza tra italiano e cinese risiede proprio nelle diverse tradizioni scrittorie. Il cinese, come è noto, viene reso grafematicamente (ovvero, viene scritto) con un sistema semasiografico, dove il segno grafico non veicola solo un suono, ma anche un significato. Ogni unità grafica, un carattere cinese (spesso chiamato erroneamente ideogramma, in cinese 汉字 Hànzì o semplicemente 字 zì), corrisponde ad una sillaba ( 音节 yīnjié) del parlato (con una sola eccezione, che tralasceremo di menzionare qui), che abbiamo visto essere unità di fondamentale importanza nella fonologia e nella prosodia della lingua cinese (cfr. par. 4.0). Ogni carattere tende inoltre a coincidere largamente con il morfema, che abbiamo visto essere la più piccola unità linguistica dotata di significato, il mattone che costituisce la parola; il carattere cinese, quindi, è un unità grafica, a cui corrispondono un unità sonora (la sillaba) e una semantica (il morfema). Vediamo dunque, con alcuni esempi, quale può essere il rapporto tra unità della scrittura, del suono e del significato (cfr. Lin, 2001; Wang, 1998). Un carattere / sillaba può rappresentare una parola (monomorfemica, non scomponibile): [17] 火 猫 书 huǒ māo shū fuoco gatto libro Due o più caratteri / sillabe possono rappresentare una parola (monomorfemica): [18] 葡萄 玻璃 麦克风 pútao bōli màikèfēng uva vetro microfono Due o più caratteri / sillabe rappresentano una parola complessa, costituita di più morfemi: [19] 电话 眼光 吹风机 diànhuà yǎnguāng chuīfēngjī elettricità+parlare occhio+luce soffiare+vento+apparecchio telefono visione asciugacapelli In cinese moderno, forme come quelle in [18] sono presenti in numero decisamente limitato. Tipicamente, la parola cinese è complessa, come quelle presentate in [19], prevalentemente di due caratteri e spesso dal significato trasparente: l asciugacapelli sarà la macchina che soffia il vento, il telefono sarà il parlare elettrico, e così via (cfr. es. [3]; si veda Wang, 1998). Occorre sottolineare che, nella tradizione cinese, le parole non sono separate da spazi o altri segni grafici di separazione, come vediamo negli esempi [3-7b] e [10-16]; la nozione intuitiva di parola, quindi, non vede implementazione nelle convenzioni ortografiche messe in atto dai parlanti. La parola, intesa come forma linguistica minima che può essere usata in isolamento in un enunciato, viene detta in cinese 词 cí. Tale dizione, tuttavia, appartiene soprattutto al vocabolario specialistico delle scienze filologiche, mentre il termine a cui corrisponde la nozione intuitiva di parola è proprio 字 zì, carattere. Come ricorda Chao, se uno volesse chiedere cosa significa la parola sintattica 现在 xianzai [ adesso ], direbbe: ( ) cosa significano questi due caratteri, xianzai? (tradotto ed adattato da Chao, 1968: ). La confusione (o, meglio, sovrapposizione) di parola e morfema nella coscienza del parlante medio non sorprende, se si tiene conto del fatto che la gran parte dei caratteri / morfemi del cinese ha significato lessicale (come quello dei nomi, dei verbi, degli aggettivi e degli avverbi) e non grammaticale e, inoltre, il cinese manca sostanzialmente di marche morfologiche, come flessione e derivazione, e di distinzione formale tra parti del discorso; tutto ciò rende difficile distinguere chiaramente la nozione di parola e quella di morfema / carattere (Wang, 1998: 11). 7

8 La stessa lessicografia cinese assegna una certa prominenza alla nozione di carattere come elemento organizzativo del lessico. Mentre i nostri dizionari sono, sostanzialmente, liste di parole (lemmi), i cinesi, tradizionalmente, compilavano 字典 zìdiǎn, raccolte di caratteri, dove sono elencati e spiegati singoli caratteri cinesi; nella lessicografia moderna, sono invece comuni gli 词典 cídiǎn, raccolte di parole, organizzati però sempre a partire da singoli caratteri. La salienza percettiva dello 字 zì nella coscienza linguistica del parlante cinese fa sì che non è raro che il termine sia usato anche in riferimento a parole di lingue alfabetiche, come la nostra (Chao, 1968: 138). In un lavoro recente, Banfi (2003b) ha condotto un analisi di due testi paralleli, uno redatto in caratteri cinesi e uno in italiano, scritti da un giovane immigrato cinese in Italia, scolarizzato in Cina, inserito in un istituto professionale di Milano dopo un breve soggiorno in Italia; il soggetto è competente di cinese mandarino (oltre che del dialetto di 温州 Wēnzhōu; cfr. par. 4.0), conosce la scrittura cinese e conosce(va) l alfabeto latino solo come strumento di trascrizione del cinese e, oltretutto, non conosce l inglese (2003b: ). Il compito consisteva nella redazione di un breve tema, sia in italiano che in cinese: descrivere una giornata per lui particolarmente importante. Secondo quanto osservato da Banfi, nel testo italiano l informante ricorre frequentemente a un punto fermo per separare le parole, come linea di confine tra unità informative; nell analisi proposta dall autore, tale diacritico coincide con il confine (la spaziatura) tra singoli caratteri visibile in un testo cinese (Banfi 2003b: 202). L uso dello 字 zì carattere, unione di forma grafica, suono e significato, come unità fondamentale di lessico e morfologia, ci induce ad una riflessione sull importanza della forma scritta delle parole per un parlante cinese. Nel paragrafo precedente abbiamo già detto della relativa semplicità della fonologia del cinese, con un numero piuttosto basso di sillabe distinte (anche se i toni svolgono ulteriore funzione distintiva): solo 297 delle 1200 sillabe del mandarino hanno un solo significato; in altre parole, più di tre quarti delle sillabe hanno almeno due significati, che possono o meno essere fissati grafematicamente da caratteri diversi (Lin, 2001: 9 e 85). Vediamo qualche significato associato alla sillaba lì: [20] 力 例 历 栗 lì lì lì lì forza esempio esperienza castagna Ognuno di questi morfemi è distinto, innanzitutto, sul piano grafico, mentre sul piano acustico essi risultano identici. Aggiungeremo qui che anche i singoli caratteri / morfemi spesso hanno più di un significato, ma ogni ambiguità generalmente scompare quando essi vengono usati in combinazione con altri caratteri, come costituenti di una parola complessa o di una frase. Il terzo carattere, 历 lì, che abbiamo glossato come esperienza, ha anche i significati di storia, era e durare. Il valore da esso veicolato, normalmente, viene chiarito dai caratteri / morfemi con cui si combina per formare parole complesse o (parti di) frasi: 经历 jīnglì esperienza, 历史 lìshǐ storia, 历代 lìdài dinastie passate o future, 历时 lìshí durare. L ambiguità non riguarda solo il significato ma, addirittura, la parte del discorso di appartenenza (qui nome o verbo); torneremo su questo punto nel prossimo paragrafo. L associazione tra un determinato suono (una sillaba, per il cinese) ed un determinato significato avviene, in un certo senso, passando attraverso la forma scritta e attraverso l associazione delle unità fonologico-semantiche con altre unità fonologico-semantiche nella catena dell enunciato. Nelle lingue a scrittura fonografica quali l italiano, i singoli elementi grafici, le lettere dell alfabeto, non hanno nessun valore semantico autonomo: è la loro combinazione che produce significato. Per un apprendente cinese, abituato a concepire il lessico come costituito di caratteri / morfemi, combinabili tra di loro per ottenere concetti più complessi, risulta gravoso il compito di acquisire il vocabolario della lingua italiana, ricco di parole semplici, da memorizzare singolarmente, appesantite dalla morfologia flessiva (desinenze di genere, numero, tempo, modo, etc.). La forma tipica della parola italiana prevede la presenza di un morfema lessicale e di uno o più morfemi grammaticali, anche una parola semplice quale casa ha comunque una struttura interna: essa è costituita del morfema cas- (qui il trattino indica che alla destra del morfema deve essere aggiunto qualcosa per formare una parola), che veicola il concetto di casa, e il morfema (o, meglio, il morfo; cfr. par. 4.0) a, che veicola i significati di femminile e singolare. Si noti che il morfo a esprime cumulativamente i valori di genere e numero: non è possibile, in altre parole, identificare una parte di a che indichi il femminile e un altra che indichi il singolare. Ciò, come abbiamo visto sopra, non avviene mai nella parola cinese, dove ogni morfo, equivalente ad un morfema, esprime un 8

9 solo significato e non si fonde mai con i morfi ad esso contigui. La lingua italiana, inoltre, al pari di altre lingue flessive, prevede fenomeni di alterazione (allomorfia) della radice, soprattutto nel verbo (venire, vieni, venni) e di suppletivismo, ovvero parole che intrattengono evidenti rapporti semantici senza somiglianza formale, né grafica né fonologica: la prima persona singolare del presente indicativo del verbo andare è vado, e gli abitanti di Chieti sono detti teatini. Tali fenomeni, evidentemente, sono alieni alla lingua cinese e costituiscono un ulteriore complicazione nell apprendimento dell italiano L2; torneremo su questo punto nei prossimi due paragrafi. Uno studio sperimentale sulla percezione della parola italiana da parte di apprendenti cinesi di italiano L2 (Banfi et al., 2008, Arcodia et al., 2008), consistente in due questionari dove gli informanti avevano il compito di inserire in un testo (italiano, nel primo test e cinese, nel secondo) parole italiane di cui era loro fornita la versione cinese, ha mostrato come non è strano per i cinesi ricorrere alla struttura della parola della propria lingua nativa per sopperire a lacune lessicali in L2. Per termini come via cavo si sono avute rese quali con la linea, con linea, verosimilmente per mediazione del termine cinese corrispondente 有线 yǒuxiàn, letteralmente con il cavo, ma 线 xiàn vale anche per linea, appunto; per notizie, si sono date rese quali notizia nuova, nuova notizie, nuova notizia, dove l equivalente cinese 新闻 xīnwén significherebbe, alla lettera, nuova cosa udita (Arcodia et al., 2008). Come vedremo nei prossimi due paragrafi, un altro tratto tipologico della lingua cinese, ovvero l assenza di distinzioni chiare tra le diverse parti del discorso (nome, verbo, aggettivo, etc.), connessa necessariamente con la scarsa sensibilità per la morfologia flessiva, influisce sull apprendimento e sulla produzione in italiano dei discenti cinesi. 4.2 Le parti del discorso e la forma della "parola" Come abbiamo già evidenziato nel par. 4.0, in cinese, come è tipico dei sistemi dalla morfologia isolante, la forma della parola non contiene elementi che aiutino a identificarla come nome, aggettivo o verbo e, frequentemente, uno stesso termine può comportarsi come un membro di categorie lessicali diverse. Nel paragrafo precedente si è affrontato il problema della concezione della parola nel parlante cinese, e si è visto come il carattere, lo 字 zì, che tende largamente a coincidere con il morfema, è un unità che ha uno status percettivo paragonabile a quello della parola per i locutori di lingue come l italiano. A livello di singolo carattere / morfema, in cinese l ambiguità è pressoché totale; uno stesso carattere / morfema potrebbe avere valore di nome, verbo, aggettivo o avverbio a seconda del contesto in cui è inserito, ovvero, della parola complessa o della costruzione sintattica (frase) ove è collocato: [21] 这张纸很白 zhè-zhāng zhǐ hěn bái questo-zhang carta molto bianco questo foglio di carta è bianco [22] 她想表白自己的诚意 tā xiǎng biǎobái zìjǐ de chéngyì lei volere spiegare proprio DE buona fede lei vuole spiegare la sua buona fede [23] 我白花了很多钱 wǒ bái huā-le hěn duō qián io invano spendere-le molto tanto soldi ho speso invano molti soldi Il carattere / morfema 白 bái assume valore di aggettivo, bianco, in [21], di verbo nel composto 表白 biǎobái chiarirsi, spiegarsi (costituito dei morfi 表 biǎo esprimere e 白 bái, qui dichiarare ) e di avverbio, invano, in [23]. Il contesto elimina qualunque ambiguità nella selezione del valore interpretativo corretto. Naturalmente, questo non vuol dire che qualunque forma sia effettivamente attestata, ad esempio, sia come 9

10 nome che come aggettivo o verbo: una parola semplice come 叶 yè foglia, ad esempio, pare avere solo valore di sostantivo. Una parte significativa dei verbi di due sillabe (= di due morfemi) nel cinese moderno possono assumere valore verbale (Norman, 1988: 159). Sarà il contesto sintattico, insieme ad eventuali particelle a chiarire, ad esempio, se una parola sia da considerarsi nome o verbo: [24] 合唱团组织起来了 héchàngtuán zǔzhī qǐlái-le coro organizzare CONCLUSO-LE il coro è stato organizzato [25] 我们建立了组织 wǒmen jiànlì-le zǔzhī noi istituito-le organizzazione abbiamo istituito un organizzazione La parola 组织 zǔzhī può valere sia per organizzare che per organizzazione. In [24], il termine in questione è da interpretarsi come verbo: è collocato in seconda posizione, dopo il topic della frase (che non ha soggetto; cfr. es. 16), ed è accompagnato da particelle verbali, quale la marca di completamento 起来 qǐlái e il 了 le di azione compiuta (di cui abbiamo già parlato nel par. 4.0). Nell esempio [25]), invece, 组织 zǔzhī ha valore sostantivale, come si evince dal fatto che esso è collocato nella posizione canonica dell oggetto verbale. Un altra classe di parole che in cinese possiede caratteristiche alquanto peculiari, se messa a confronto con la lingua italiana, è quella dell aggettivo. Gli aggettivi del cinese hanno molte proprietà in comune con i verbi, tra cui quella di potere costituire un predicato, senza l uso della copula: [26] 大力非常聪明 Dàlì fēicháng cōngming Dali molto intelligente Dali è molto intelligente In italiano, come sappiamo, il verbo copula essere è necessario con un aggettivo per avere predicazione (*Dali molto intelligente); in cinese, invece, un aggettivo (predicativo) può sostenere una frase da solo, come un verbo: Li & Thompson definiscono questa categoria adjectival verbs, verbi aggettivali (1981: 142). Inoltre, gli aggettivi cinesi vengono negati con gli avverbi 不 bù e 没 méi, come i verbi ma non come i nomi: [27] 他不高 tā bù gāo lui non alto lui non è alto [28] * 他不教授 tā bù jiàoshòu lui non professore * lui non professore Gli aggettivi, inoltre, possono ricevere marche verbali quali il 了 le di azione compiuta (cfr. es. [3]), come nell esempio seguente (da Li & Thompson 1981: 188-9): [29] 衬衫小了三寸 10

11 chènshān xiǎo-le sān cùn camicia piccolo-le tre pollice la camicia è (troppo) piccola di tre pollici La frase cinese in [29] può anche valere per la camicia si è rimpicciolita di tre pollici ; nella traduzione italiana risulta necessario l impiego di un verbo. Ciò che emerge da questa breve presentazione di dati relativi ai livelli morfologico e sintattico è che, per un parlante cinese, ogni elemento linguistico concreto dotato di significato, ogni morfema (/ morfo), ha tipicamente un valore lessicale; messo di fronte ad un morfema della propria lingua, egli non penserà allo stesso come nome o verbo ma, primariamente, come un elemento dotato di significato. Un parlante italiano che viene messo di fronte ad una parola quale leggere, saprà che essa appartiene alla categoria dei verbi e che essa deve essere coniugata secondo un certo modello: nel caso specifico, quello dei verbi della seconda coniugazione (-ere). Un cinese, diversamente, se vedesse in isolamento, avulso da ogni contesto, il 白 bái degli esempi [21-23], non potrebbe individuare con certezza il suo valore semantico e categoriale, ovvero se esso sia, ad esempio, verbo o aggettivo. Inoltre, il parlante cinese ideale non penserebbe a quale sia la classe di flessione (come la seconda coniugazione verbale citata sopra) del termine o, più genericamente, a come esso debba essere modificato per essere usato in una frase: in nessun contesto, infatti, 白 bái ha bisogno di alterazioni nella forma per adattarsi alla frase in cui viene usato (come abbiamo visto nel par. 4.0). Nel prossimo paragrafo, approfondiremo questo tema soffermandoci proprio su verbi e nomi, categorie di massima importanza nella struttura della lingua. 4.3 L'idea di verbo e l'idea di nome Nei paragrafi precedenti, abbiamo analizzato alcune delle particolarità del cinese, in primo luogo quale lingua dalla morfologia isolante, che rendono detto sistema affatto diverso dall italiano e che sono, a nostro avviso, da tenersi in considerazione nella riflessione sulla didattica dell italiano L2. In questa sezione sarà approfondito il tema delle specificità organizzative del verbo e del nome nelle due lingue, integrando e sviluppando le osservazioni fatte sinora in tal senso. Le caratteristiche generali del verbo cinese sono state esposte sopra (parr. 4.0 e 4.2) e le riassumiamo brevemente qui (cfr. Chao, 1968 e Li & Thompson, 1981; un interessante disamina si trova anche in Banfi & Giacalone Ramat, 2003). Il sistema del verbo cinese si basa su un unica forma, la forma di citazione (ovvero, quella con cui il verbo viene elencato, ad esempio, nei dizionari), che non conosce distinzioni di numero, persona, tempo e modo: una forma quale 写 xiě scrivere può valere per scrivo, scrive, scriverei, scrivessero, scrivemmo, etc. Naturalmente, ciò non significa che l enunciato cinese sia privo di indicazioni circa i partecipanti dell azione, la sua collocazione temporale ed altre categorie. Come abbiamo detto sopra, il nome o il pronome soggetto identificano chi compie l azione descritta dal verbo (anche se, come sappiamo, non sempre il soggetto compie qualcosa e non è detto che il verbo descriva un azione: cfr. Sergio teme la povertà): 我们写 wǒmen xiě noi scriviamo vs. 你写 nǐ xiě tu scrivi. La collocazione temporale dell evento viene affidata, frequentemente, ad elementi lessicali (nomi o avverbi): [30] 以前她不喜欢吃西餐 yǐqián tā bù xǐhuan chī xīcān prima lei non piacere mangiare cucina occidentale prima a lei non piaceva mangiare all occidentale [31] 明天我放假 míngtīan wǒ fàngjià domani io fare vacanza domani farò vacanza Nelle traduzioni italiane di [30] e [31], si rende necessario l uso, rispettivamente, di un tempo passato, l imperfetto (piaceva), e di un futuro (farò), marcati per persona e numero; tale obbligo, per il parlante di 11

12 italiano, è connesso con la presenza proprio di quegli indicatori di tempo (prima, domani) che, nella versione cinese, assumono per intero il compito di collocare l evento nel tempo. Un altra categoria del verbo italiano la cui espressione in cinese viene affidata in parte al lessico è quella della modalità, con l impiego di verbi quali 会 huì essere probabile / sicuro : [32] 明天会下雪 míngtiān huì xiàxuě domani essere probabile nevicare domani (con ogni probabilità) nevicherà Una categoria di grande importanza nell organizzazione della frase cinese è l aspetto, a cui abbiamo già fatto riferimento nel par. 4.0, da intendersi come la struttura temporale interna di un evento (cfr. ho bevuto del vino vs. stavo bevendo del vino). Abbiamo già parlato della particella 了 le (3), che indica la conclusione dell azione descritta dal verbo (aspetto perfettivo); è bene ricordare che il valore di azione compiuta, così come qualunque altra manifestazione dell aspetto, è indipendente da una nozione temporale come quella del passato (es. da Li & Thompson, 1981: 213): [33] 我吃了饭再走 wǒ chī-le fàn zài zǒu io mangiare-le riso dopo andare andrò dopo avere mangiato In [33], l evento si colloca nel futuro; la funzione di 了 le è quella di segnalare che la prima azione, mangiare, è completata prima che la seconda, andare (via), avvenga (cf. it. quando ho finito di mangiare me ne vado). Altre marche aspettuali di uso comune sono 正在 着 zhèngzài zhe, non sempre entrambe presenti, che indicano azione in svolgimento (aspetto progressivo; Li & Thompson, 1981: 217 ss.) e 过 guo, che indica che l azione descritta dal verbo è avvenuta almeno una volta in passato (detto aspetto esperienziale ; Li & Thompson, 1981: 226 ss.): [34] 昨天晚上我给他们打电话时他正在吃饭 zuòtiān wǎnshang wǒ gěi tā dǎ diànhuà shí tā zhèngzài chīfàn ieri sera io a lui fare telefonata tempo lui PROGRESS mangiare ieri sera quando l ho chiamato lui stava mangiando [35] 你去过日本吗? nǐ qù-guo Rìběn ma tu andare-esp Giappone INTERR sei mai stato in Giappone? La marca di progressivo 正在 zhèngzài in [34], che abbiamo reso in italiano con la perifrasi progressiva stare + gerundio indica un azione colta nel suo svolgimento; la dimensione temporale, presente nella traduzione italiana (stava), è invece irrilevante per il verbo cinese. Nella versione italiana di [35], l uso di mai serve a veicolare il valore della marca 过 guo, che indica che l evento designato dal verbo è già avvenuto in precedenza. In quest ultimo caso, è l italiano che veicola lessicalmente quello che il cinese esprime con mezzi morfologici, al contrario degli esempi presentati sinora. Quanto detto sulla prominenza dell aspetto nel sistema del verbo cinese non significa che la stessa categoria sia assente o indeterminata nella nostra lingua (la nostra presentazione del sistema aspettuale dell italiano si basa su Bertinetto, 1986). Anche l italiano, ad esempio, distingue tra passato perfettivo (passato remoto o prossimo) e imperfettivo (imperfetto): 12

13 [36] Ho finito l articolo ieri pomeriggio [37] Quando ho bussato alla porta, Filippo dormiva Nella frase in [36], l evento finire (l articolo) è descritto nella sua interezza, senza riferimento al suo svolgimento; questo è espressione di aspetto perfettivo. In [37], invece, abbiamo due eventi, di cui il primo, bussato, viene presentato nuovamente come compiuto (perfettivo), mentre il secondo, dormiva, viene presentato nel corso del suo svolgimento; chi pronuncia questa frase non dice nulla riguardo alla prosecuzione del dormire di Filippo, l evento è presentato come imperfettivo. Naturalmente, la questione dell aspettualità nel verbo italiano è molto più complessa e meriterebbe uno spazio che non è possibile concedere qui; ciò che è importante sottolineare per i nostri scopi è che normalmente, in italiano, l espressione dell aspetto è inscindibile da quella del tempo (una vistosa eccezione è rappresentata, invero, dalla perifrasi progressiva stare + gerundio, che non discuteremo qui). In una forma come dormiva, la terminazione dell imperfetto veicola cumulativamente i valori di passato e di imperfettivo, mentre in cinese, come visto sopra [33-35], alla categoria dell aspetto sono dedicati morfi specifici e la nozione si presenta come indipendente dalla collocazione dell evento nel passato, nel presente o nel futuro. Nel par. 4.0, abbiamo detto che il participio passato, che spesso sostituisce il passato prossimo nell interlingua dei cinesi, può comparire prima di altri tempi nell italiano dei sinofoni con valore di azione compiuta, privo di implicazioni temporali (si vedano i riferimenti bibliografici ivi proposti); tutto ciò apparirà ancora più prevedibile, visto il quadro comparato del sistema di tempo e aspetto del cinese e dell italiano proposto qui. Un altra caratteristica del verbo cinese, connessa con la sostanziale assenza di flessione, è la mancanza della distinzione tra forme finite e forme non finite. Mentre in italiano un predicato complesso che contenga, ad esempio, un verbo modale, ha un solo verbo di forma finita, in cinese i verbi possono essere messi liberamente in sequenza, come nelle cosiddette costruzioni seriali (Li & Thompson, 1981: 594 ss.; esempio adattato da ivi, p. 596): [38] 我要上街 wǒ yào shàngjiē io volere andare in strada voglio uscire In italiano, sarebbe agrammaticale una sequenza quale *voglio esco. Nella produzione orale in italiano L2 di un giovane apprendente cinese, a cui è stato dato il nome di convenienza CH, Giacalone Ramat (2003b: 22; cfr. Valentini 1992) ha evidenziato la presenza di strutture predicative complesse costituite di verbi di modo finito, che sembrano ricalcare il modello in [38]: [39] vuole compra biglietto [40] prima deve cambia nome L apprendente cinese di italiano L2, quindi, nelle prime fasi di sviluppo della propria interlingua si affida alla cosiddetta forma base (o basica ) del verbo (Banfi & Giacalone Ramat 2003; Giacalone Ramat 2003b), che coincide frequentemente con la 3 a persona singolare dell indicativo presente dei verbi della prima coniugazione: lavora, mangia, etc. L uso della forma base, nei contesti più vari, in luogo delle forme attese, è tipico anche di soggetti con un diverso background linguistico, nelle varietà basiche di L2 (cfr. Banfi & Bernini 2003: 84 ss.); essa risulta particolarmente naturale per un sinofono, avvezzo ad una forma passe-partout del verbo. In alcuni apprendenti cinesi, inoltre, è stato rilevato un uso frequente dell infinito come verbo principale, a riprova della scarsa sensibilità per la distinzione tra forme finite e non finite; tra sinofoni di basso livello di competenza, è attestato anche l uso dell infinito in contesto di tempo passato ed aspetto perfettivo (Banfi, 1990; Banfi & Giacalone Ramat, 2003; Valentini, 1992: 94). Abbiamo già 13

14 ricordato sopra come forme di participio passato siano utilizzate dagli apprendenti di italiano L2 con valore essenziale di marche di eventi perfettivi. Con la comparsa dell ausiliare essere o avere e, quindi, con la produzione di forme corrette di passato prossimo, il verbo perde la connotazione fondamentale di perfettivo ed assume anche valore temporale, proprio come nell italiano dei nativi; questo stadio viene raggiunto con ritardo dai cinesi rispetto agli apprendenti con altre lingue materne (Valentini, 1992: 20). Per quanto riguarda l accordo di persona e numero, appare prevedibile nei sinofoni una certa difficoltà nel maneggiare con sicurezza tale strumento morfologico. Ad esempio, il soggetto CH, già citato sopra, non acquisisce pieno controllo dell accordo verbale nel periodo di osservazione; questo ritardo potrebbe essere connesso, nuovamente, con la mancanza, nella propria lingua madre, di forme verbali la cui finitezza venga esplicitata da marche morfologiche, quali l accordo di persona (Banfi & Giacalone Ramat, 2003: 46). Abbiamo accennato nel par. 4.1 alla presenza di fenomeni di allomorfia e suppletivismo nei paradigmi verbali italiani: si pensi a forme quali essere, sono, fu, stato, o andare, vado, andiamo. A tale proposito, è da notare la produzione di forme quali vadòno in luogo di vanno, verosimilmente per analogia rispetto a coppie come dormo / dormono, con l aggiunta di no alla prima persona singolare (Banfi & Giacalone Ramat, 2003: 47). Per quanto riguarda il nome, abbiamo visto brevemente nel par. 4.0 (ess. 4-6) come tale parte del discorso si configuri in cinese. Il genere è una proprietà solo dei nomi animati e, frequentemente, non è marcato morfologicamente; inoltre, l unico tipo di accordo esistente è quello del pronome di terza persona singolare, tā, che ha tre forme grafiche, corrispondenti ai tre generi maschile, femminile e neutro. Il numero, invece, non conosce marcatura e non è una categoria rilevante per nomi (inanimati) e aggettivi; l unica eccezione è rappresentata dai pronomi personali, 我 wǒ, 你 nǐ e 她 tā (per questo ultimo pronome, presentiamo qui solo la forma del femminile), che hanno come corrispondente plurale 我们 wǒmen, 你们 nǐmen e 她们 tāmen. In italiano genere e numero sono tratti presenti pressoché su ogni nome. Come detto sopra (par. 4.0), il genere è un tratto inerente, e può essere segnalato da marche morfologiche: maestro vs. maestra; nei nomi che terminano in e quali calice o radice, il genere è coperto. Nei sostantivi inanimati, l assegnazione del genere è arbitraria. Il numero, in italiano, è segnalato morfologicamente su quasi tutti i sostantivi, spesso cumulativamente al genere: maestre, ragazzi, etc.; la flessione di numero è assente nei nomi invariabili, quali città o virtù. Sia la categoria del genere che quella del numero sono marcate su aggettivi, dimostrativi (questo, quella, etc.) e articoli (oltre che sul participio passato di alcuni verbi), che si accordano con il nome; tale fenomeno, come ricordato sopra, è sostanzialmente assente nelle lingue isolanti quali il cinese. La corretta assegnazione e marcatura del genere nominale, così come l accordo dei modificatori del nome con lo stesso, non è una conquista facile per nessun apprendente di italiano L2; la difficoltà è dovuta, oltre che alle caratteristiche del nome italiano riassunte sopra, alla scarsa salienza percettiva delle desinenze flessive di genere, come è dimostrato, indirettamente, anche dalla pratica degli apprendenti di sovraestendere la terminazione a senza valore di genere, per via della maggiore salienza uditiva della stessa (Chini & Ferraris, 2003: 44; ivi, 43-51). Nei dati dell apprendente CH, analizzati da Giacalone Ramat (2003b: 16-19), appare come le prime forme corrette di identificazione e marcatura del genere (e, anche, di accordo) avvengano per i nomi dal genere naturale, con forme quali filio, filia, un signore e un signora (l autore cita qui Valentini 1992: 19). I corrispondenti termini cinesi 儿子 érzi figlio, 女儿 nǚ ér figlia, 先生 xiānsheng signore e 太太 tàitai signora sono, allo stesso modo, naturalmente maschili o femminili. Le difficoltà maggiori, come appare prevedibile, si hanno con i sostantivi inanimati e con quelli a genere coperto: CH produce forme quali quelo tigro, la cane, bicchiero e bottilio (Giacalone Ramat, 2003b: 18-19). Inoltre, l identificazione della desinenza o con il genere maschile e di a con il femminile è presumibilmente alla base di fenomeni di accordo errato, sempre in CH, con forme quali un radio (Chini & Ferraris, 2003: 51). Anche la flessione di numero risulta essere maggiormente problematica in apprendenti cinesi rispetto, ad esempio, ad anglofoni e tedescofoni, che marcano singolare e plurale sui nomi nelle rispettive lingue madri (Chini & Ferraris, 2003: 52). Nell analisi di Chini & Ferraris (2003: 51-53), che tiene conto, per i sinofoni, sempre dei dati dell apprendente CH, vengono messi in rilievo fenomeni quali: presenza di flessione plurale in contesti di singolare per alcuni nomi che sono usati più frequentemente al plurale in italiano (giorni, mesi, anni, sigarette); assenza di flessione di numero quando il nome è accompagnato da numerali o quantificatori (diciannove ora, tre stato, tanti donna); sovraestensioni di i o di e. La mancanza della flessione riscontrata in forme quali diciannove ora, tre stato e tanti donna sembra giustificabile, in quanto la presenza del numerale o del quantificatore assicura la corretta identificazione del referente come plurale (e tale fenomeno è presente, infatti, anche in apprendenti anglofoni; Chini & Ferraris, 2003: 51); per il parlante cinese, tale marca risulterà ancora più superflua, viste le caratteristiche della sua lingua materna. Tra i parlanti 14

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