Il sottordine dei Ruminanti (ordine Artiodattili, superordine Euteri o Placentati, sottoclasse Terii,

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1 1. LE RAZZE Il sottordine dei Ruminanti (ordine Artiodattili, superordine Euteri o Placentati, sottoclasse Terii, classe Mammiferi) è caratterizzato da: Apparato buccale privo di incisivi superiori (sostituiti funzionalmente da un cercine calloso) e di canini e dotato di 20 denti negli animali giovani (8 incisivi: 2 picozzi, 2 primi mediani, 2 secondi mediani, 2 cantoni; 12 premolari: 3 per mascella e per lato) secondo la formula dentaria transitoria o da latte (a) e di 32 denti negli animali adulti (8 incisivi, 12 premolari, 12 molari) secondo la formula dentaria definitiva o da adulto (b) M P C I I C P M M P C I I C P M (a) = 20 (b) = 32; Apparato gastrico formato da 4 cavità, di cui 3 prestomaci (rumine, reticolo ed omaso) ed 1 stomaco vero (abomaso), tutti completamente funzionanti soltanto dopo lo svezzamento; Apparato scheletrico con colonna vertebrale formata da vertebre (7 cervicali, 13 dorsali o toraciche, 6 7 lombari, 5 4 sacrali, caudali o coccigee), con costato formato da 13 costole (8 sternali o fisse e 5 asternali o semifisse), con testa provvista di corna in entrambi i sessi oppure in uno soltanto oppure in nessuno, con piede formato da 4 dita corneificate (2 unghioni e 2 unghielli); Apparato tegumentale con cute ricoperta da dense formazioni pilifere, di vario colore e lunghezza (mantello), talvolta di tipo particolare (vello); Apparato mammario suddiviso in unità funzionali autonome: 4 quarti (bovini e bufalini) oppure 2 emimammelle (ovini e caprini). Prospetto 1 Classificazione delle principali specie ruminanti in produzione zootecnica Philum Subphilum Superclasse Classe CORDATA VERTEBRATA GNATHOSTOMATA MAMMALIA Sottoclasse Superordine Ordine Sottordine TERII EUTERI ARTIODATTILI RUMINANTI Famiglia Genere Specie Denominazione BOVIDI BOS TAURUS Bovino taurino INDICUS Bovino gibboso o Zebù GRUNNIENSIS Yak BUBALUS BUBALIS Bufalo indiano CAFFER Bufalo africano BISON BISON Bisonte americano BONASUS Bisonte europeo OVIS ARIES Ovino domestico MUSIMON Muflone 4

2 CAPRA HIRCUS Capra domestica Le principali specie ruminanti di interesse zootecnico, tutte appartenenti alla famiglia dei Bovidi o Cavicorni, sono le specie Bovina, Bufalina, Ovina e Caprina. La prima è rappresentata dai 2 gruppi, ormai considerati intraspecifici perchè illimitatamente interfecondi, dei bovini taurini (Bos taurus) e dei bovini gibbosi o zebù (Bos indicus); è diffusa in tutto il mondo ed in particolare nei paesi economicamente più avanzati; è allevata per la produzione del latte e/o della carne, del lavoro limitatamente ai paesi sottosviluppati ed alle aree non meccanizzabili, del pellame e del letame. La seconda (Bubalus bubalis) è diffusa prevalentemente nelle regioni tropicali ed è allevata per la produzione del latte, che in Italia è destinato, grazie al suo elevato contenuto lipidico e proteico, alla caseificazione per l'ottenimento di prodotti particolari (mozzarella). La terza (Ovis aries) è diffusa in tutto il mondo ed è allevata per la produzione della lana e della carne nei paesi e nelle regioni ad allevamento estensivo, per la produzione del latte e della carne prevalentemente nei paesi temperati circum-mediterranei. La quarta (Capra hircus) è diffusa in tutto il mondo ed è allevata per la produzione del latte e della carne e, limitatamente ad alcune regioni, per la produzione del pelame e del pellame. La consistenza e l'entità delle produzioni delle 4 specie ruminanti nel Mondo, in Europa, nell'unione Europea ed in Italia sono riassunte, rispettivamente, nei Prospetti 1a e 1b: l'italia, a fronte di un patrimonio, espresso in capi grossi convezionali CGC (1 CGC = 1 bovino o bufalino = 10 ovini o caprini), del 5,1 soltanto, contribuisce alla produzione mondiale di latte, di carne, di pelli e di lana, rispettivamente, per il: 2,3%; 1,7%; 1,6%; 0,4%. L'importanza economica di tali produzioni può essere desunta dal Prospetto 1c, nel quale, allo scopo di fornire un'idea anche molto approssimata del valore dei singoli comparti, sono stati ipotizzati, in verità molto grossolanamente, per ciascuna specie nell ordine bovina, bufalina, ovina e caprina prezzi uguali ovunque per lo stesso prodotto ( /kg 0,4; 0,8; 0,8; 0,6, per il latte; /kg 2,6; 1,6; 4,2; 5,2, per la carne; sempre /kg 0,5, per le pelli; sempre /kg 1, per la lana). La distribuzione regionale del patrimonio nazionale (Prospetto 1d) è concentrata: per la specie bovina, nelle 4 regioni del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e dell'emilia (66%); 5

3 per la specie bufalina, nelle 2 regioni del Lazio e della Campania (84%); per la specie ovina, nelle 4 regioni della Sardegna, della Sicilia, del Lazio e della Toscana (69%); per la specie caprina, nelle 4 regioni della Sardegna, della Sicilia, della Calabria e della Basilicata (62%). Prospetto 1a - Consistenza assoluta (in 000 di capi) e relativa (in %) delle 4 specie ruminanti (Anno, 2000; Fonte FAO, 2000). Bovina Bufalina Ovina Caprina Totale in CGC n % n % n % n % n % Mondiale , , , , ,00 Europea , , , , ,65 Comunitaria , , , , ,60 Italiana , , , , ,51 Prospetto 1b - Produzioni (in 000 di T) delle 4 specie ruminanti (Anno, 2000; Fonte FAO, 2000). Bovina Bufalina Ovina Caprina Totale Latte Mondiale Europea Comunitaria Italiana Carne Pelli fresche Lana pulita Mondiale Europea Comunitaria Italiana Mondiale Europea Comunitaria Italiana Mondiale Europea Comunitaria Italiana Prospetto 1c Valore delle produzioni (in milioni di ) delle 4 specie ruminanti (Anno, 2000; Nostra elaborazione su dati FAO 2000). Bovina Bufalina Ovina Caprina Totale Latte Carne Pelli Lana Mondiale Europea Comunitaria Italiana Mondiale Europea Comunitaria Italiana Mondiale Europea Comunitaria Italiana Mondiale Europea Comunitaria Italiana

4 Totale Mondiale Europea Comunitaria Italiana Prospetto 1d Distribuzione regionale assoluta (in 000 di capi) e relativa (in %) delle 4 specie ruminanti in Italia (Anno, 2000; Fonte ISTAT, 2000). Regione Bovina Bufalina Ovina Caprina Totale in CGC n % n % n % n % n % Piemonte ,3 1 0,5 88 1,3 46 5, ,7 Valdaosta 39 0, ,3 39 0,5 Lombardia ,2 4 2,0 91 1,3 51 5, ,9 Liguria 16 0, ,3 8 0,9 20 0,3 Trentino A. A , ,9 21 2, ,8 Veneto ,8 14 7,2 31 0,5 13 1, ,8 Friuli V.G ,7 1 0, , ,5 Emilia-Romagna ,1 1 0,5 79 1,2 10 1, ,9 Toscana 103 1,7 1 0, ,1 17 1, ,2 Umbria 63 1, ,2 6 0,6 78 1,0 Marche 79 1, ,4 7 0,7 96 1,3 Lazio 239 3, , ,3 39 4, ,8 Abruzzo 83 1, ,1 15 1, ,6 Molise 57 0, ,7 10 1,1 69 1,0 Campania 213 3, , ,3 49 5, ,2 Puglia 153 2,6 6 3, ,2 52 5, ,6 Basilicata 78 1,3 1 0, , , ,7 Calabria 102 1, , , ,9 Sicilia 308 5,0 1 0, , , ,5 Sardegna 250 4,0 1 0, , , ,8 Italia , , , , ,0 La produzione lattea complessiva delle 4 specie (Prospetto 1e) globalmente ammontante a 11,3 milioni di T e proveniente per il 93,7% dalle 2 specie grosse e soltanto per il 6,3% dalle 2 specie piccole è realizzata per il 73,3% nelle 8 regioni settentrionali, per l' 8,2% nelle 4 regioni centrali e per il 18,5% nelle 8 regioni meridionali (di cui oltre il 40% nelle Isole). In particolare, essa è concentrata: per le 2 specie grosse, nel Nord (78,4%); per le 2 specie piccole, invece, nel Sud (72,6%), di cui quasi il 60% in Sardegna. La produzione carnea complessiva delle 4 specie (Prospetto 1e) globalmente ammontante a 2 milioni di T e proveniente anch'essa per il 95,4% dalle 2 specie grosse e per il 4,6% dalle 2 specie piccole è realizzata per il 54,2% nel Nord, per il 8,5% nel Centro e per il 37,3% nel Sud. In particolare, essa è concentrata: per le 2 specie grosse, nel Nord (56,5%); per le 2 specie piccole, invece, nel Sud (72,5%), di cui oltre la metà (38,4%) in Sardegna. Il valore complessivo della produzione lattea delle 4 specie (Prospetto 1f) globalmente ammontante a 4,2 miliardi di e proveniente per l' 89,6% dalle 2 specie grosse e per il 10,4% soltanto dalle 2 specie piccole è realizzato per il 69,8% nel Nord, per l 8,9% nel Centro e per il 7

5 21,3% nel Sud. In particolare, esso è concentrato: per le 2 specie grosse, nel Nord (77,6%); per le 2 specie piccole, nel Sud (72,6%), di cui oltre la metà (42,2%) in Sardegna. Il valore complessivo della produzione carnea delle 4 specie (Prospetto 1f) globalmente ammontante a 3,8 miliardi di e proveniente per il 90,7% dalle 2 specie grosse e per il 9,3% soltanto dalle 2 specie piccole è realizzato per il 59,4% nel Nord, per l 11,5% nel Centro e per il 29,1% nel Sud. In particolare, esso è concentrato: per le 2 specie grosse, nel Nord (65,0%); per le 2 specie piccole, nel Sud (74,3%), di cui oltre la metà in Sardegna. Prospetto 1e Produzioni assolute (in 000 di T) e relative (in %) delle 4 specie ruminanti nelle 20 regioni italiane (Anno, 2000; Fonte INEA, 2001). Regione Latte Carne Bovina + Bufalina Ovina + Caprina Totale Bovina + Bufalina Ovina + Caprina Totale n % n % n % n % n % n % Piemonte 840,0 8,0 5,3 0,8 845,3 7,5 202,0 10,4 1,3 1,4 203,3 10,0 Valdaosta 51,4 0,5 0,3 0,0 51,7 0,5 8,7 0,4 0,1 0,1 8,8 0,4 Lombardia 3938,2 37,3 2,6 0, , 35,0 412,7 21,2 1,2 1,3 413,9 20,3 8 Liguria 22,4 0,2 1,2 0,2 23,6 0,2 7,3 0,4 0,4 0,4 7,7 0,4 Trentino A. A. 418,4 4,0 1,7 0,2 420,1 3,7 44,3 2,3 0,7 0,7 45 2,2 Veneto 1077,8 10,2 1,7 0, , 9,6 235,3 12,1 0,4 0,4 235,7 11,6 5 Friuli V.G. 214,9 2,0 1,0 0,1 215,9 1,9 26,4 1,4 0,1 0,1 26,5 1,3 Emilia Romagna 1670,9 15,8 4,3 0, , 14,9 161,4 8,3 0,9 1,0 162,3 8,0 2 Toscana 99,9 0,9 66,3 9,4 166,3 1,5 28,9 1,5 6,6 7,0 29,5 1,7 Umbria 58,9 0,6 5,8 0,8 64,7 0,6 22,3 1,1 1,8 1,9 24,1 1,2 Marche 52,6 0,5 9,6 1,4 62,2 0,6 24,9 1,3 2,0 2,1 26,9 1,3 Lazio 527,2 5,0 94,0 13,3 521,2 5,5 78,2 4,0 10,4 11,0 88,6 4,3 Abruzzo 94,5 0,9 11,0 1,6 105,5 0,9 22,2 1,1 3,5 3,7 25,7 1,3 Molise 77,2 0,7 2,9 0,4 80,1 0,7 13,1 0,7 1,3 1,4 14,4 0,7 Campania 420,1 4,0 19,9 2,8 440,0 3,9 90,8 4,7 3,4 3,6 94,2 4,6 Puglia 326,1 3,1 26,5 3,8 352,6 3,1 40,3 2,1 3,3 3,5 43,6 2,1 Basilicata 93,1 0,9 24,0 3,4 117,1 1,0 20,6 1,1 5,1 5,4 25,7 1,3 Calabria 110,5 1,0 34,5 4,9 145,0 1,3 32,7 1,7 4,9 5,2 37,6 1,8 Sicilia 287,4 2,7 96,3 13,6 383,7 3,4 404,6 20,8 10,7 11,3 125,3 20,4 Sardegna 181,8 1,7 297,4 42,1 479,2 4,3 66,7 3,4 36,2 38,4 102,9 5,0 Italia , 3 100,0 706,3 100, , 6 100, ,4 100,0 94,3 100,0 2037,7 100,0 Il valore complessivo della produzione lattea e carnea delle 4 specie globalmente ammontante a 8 miliardi di e proveniente per il 52,5% dalla produzione lattea e per il 47,5% da quella carnea, in particolare per l 90,2% dalle 2 specie grosse e per il 9,8% dalle 2 specie piccole è realizzato per il 64,9% nel Nord, per il 10,1% nel Centro e per il 25,0% nel Sud. In Italia il valore complessivo delle produzioni dei ruminanti incide per circa il 60% su quello zootecnico globale e per circa il 20% su quello agricolo complessivo (Prospetto 1g). 8

6 Prospetto 1f Valore delle produzioni assoluto (in milioni di ) e relativo (in %) delle 4 specie ruminanti nelle 20 regioni italiane (Anno 2000; Fonte INEA, 2001). Regione Latte Carne Bovina + Bufalina Ovina + Caprina Totale Bovina + Bufalina Ovina + Caprina Totale n % n % n % n % n % n % Piemonte 295,2 7,8 3,3 0,8 298,5 7,1 484,3 13,9 4,7 1,3 489,0 12,7 Valdaosta 19,5 0,5 0,2 0,0 19,7 0,5 18,9 0,5 0,4 0,1 19,3 0,5 Lombardia 1383,9 36,5 1,6 0,4 1385,5 32,8 781,1 22,4 4,3 1,2 785,4 20,5 Liguria 8,5 0,2 0,7 0,2 9,2 0,2 14,9 0,4 1,4 0,4 16,3 0,4 Trentino A. A. 163,3 4,3 1,0 0,2 164,3 3,9 90,5 2,6 2,5 0,7 93,0 2,4 Veneto 380,8 10,0 1,0 0,2 381,8 9,0 483,3 13,9 1,4 0,4 484,7 12,6 Friuli V.G. 81,6 2,2 0,6 0,1 82,2 1,9 56,7 1,6 0,4 0,1 57,1 1,5 Emilia Romagna 609,4 16,1 2,6 0,6 612,0 14,5 333,1 9,6 3,0 0,8 336,1 8,8 Toscana 35,6 0,9 41,2 9,4 76,8 1,8 64,9 1,9 23,2 6,5 88,1 2,3 Umbria 19,9 0,5 3,6 0,8 23,5 0,6 50,4 1,4 5,9 1,7 56,3 1,5 Marche 19,9 0,5 5,9 1,3 25,8 0,6 61,2 1,8 7,1 2,0 68,3 1,8 Lazio 191,2 5,0 58,4 13,3 249,6 5,9 190,1 5,5 36,9 10, ,9 Abruzzo 33,6 0,9 6,8 1,6 40,4 1,0 51,5 1,5 12,1 3,4 63,6 1,7 Molise 26,5 0,7 1,8 0,4 28,3 0,7 27,3 0,8 4,5 1,3 31,8 0,8 Campania 160 4,2 12,3 2,8 172,3 4,1 196,3 5,6 12,2 3,4 208,5 5,4 Puglia 117,2 3,1 16,4 3,7 133,6 3,2 92,9 2,7 12,1 3,4 105,0 2,7 Basilicata 34,5 0,9 14,8 3,4 49,3 1,2 41,9 1,2 19,2 5,4 61,1 1,6 Calabria 40,1 1,1 21,4 4,9 61,5 1,5 70,1 2,0 17,8 5,0 87,9 2,3 Sicilia 104,9 2,8 59,7 13,6 164,6 3,9 238,6 6,8 47,4 13,3 286,0 7,5 Sardegna 65,9 1,7 185,1 42,2 251,0 5,9 135,3 3,9 138,8 39,1 274,1 7,1 Totale 3791,5 100,0 438,4 100,0 4229,9 100,0 3483,3 100,0 355,3 100,0 3838,6 100,0 Prospetto 1g Valore delle produzioni assoluto (in milioni di ) e relativo (in %) delle 4 specie ruminanti, del settore zootecnico e del comparto agricolo nelle 20 regioni italiane (Anno,2000; Nostra rielaborazione dei dati INEA, 2001). Regione Specie ruminanti Settore zootecnico Comparto agricolo n % n % n % Piemonte 751,7 9, ,1 9, ,2 7,7 Valdaosta 33,1 0,4 45,0 0,3 64,8 0,2 Lombardia 2.063,0 25, ,3 25, ,3 13,4 Liguria 36,5 0,4 83,9 0,6 724,3 1,7 Trentino A. A. 284,5 3,5 311,0 2,2 962,8 2,3 Veneto 1.086,9 13, ,7 12, ,7 10,2 Friuli V.G. 199,1 2,4 275,3 2,0 862,4 2,0 Emilia Romagna 1.204,0 14, ,0 14, ,7 11,9 Toscana 170,4 2,1 418,8 3, ,3 4,3 Umbria 74,5 0,9 249,1 1,8 753,2 1,8 Marche 63,3 0,8 328,8 2, ,7 2,7 Lazio 400,1 4,9 660,8 4, ,5 5,4 Abruzzo 91,3 1,1 257,2 1, ,6 2,5 Molise 66,5 0,8 125,3 0,9 343,6 0,8 Campania 331,6 4,0 608,2 4, ,0 6,8 Puglia 303,8 3,7 320,2 2, ,4 8,9 Basilicata 72,1 0,9 165,7 1,2 689,8 1,6 Calabria 171,4 2,1 248,1 1, ,8 4,0 Sicilia 264,5 3,2 595,8 4, ,9 8,5 Sardegna 570,7 6,9 664,5 4, ,2 3,3 Italia 8.239,0 100, ,7 100, ,3 100,0 9

7 Le razze che sono l'oggetto dello studio e della descrizione di due branche specifiche della Zootecnica, rispettivamente l'etnologia zootecnica e la Etnografia zootecnica, tradizionalmente inglobate però nei corsi di Zootecnica speciale costituiscono delle entità tassonomiche di rango inferiore alla specie, che è l'insieme di individui illimitatamente interfecondi. Entità tassonomiche di rango inferiore alla razza sono, a loro volta e nell'ordine: i ceppi, le linee e le famiglie. Le singole razze sono costituite da popolazioni di varia consistenza (da poche migliaia di capi nelle razze indigene a diffusione locale o regionale sino a diversi milioni nelle razze cosmopolite a diffusione nazionale o continentale o mondiale), ma caratterizzate sempre da comunanza di origine e/o di provenienza, da uniformità di costituzione e/o di conformazione e, soprattutto, da identità di attitudine produttiva. La loro classificazione, pur potendo essere eseguita sulla base dei criteri più disparati (ad esempio: origine etnica, provenienza geografica, colorazione del mantello, tipo morfologico e/o costituzionale, conformazione delle corna etc), è di norma attuata secondo il criterio funzionale, ormai generalmente accettato, dell'attitudine produttiva prevalente: razze da latte, specializzate oppure duplici; razze da carne, specializzate oppure rustiche; razze da lana, limitatamente alle specie ovina; razze da pelo, limitatamente alla specie caprina. La trattazione delle singole razze consiste nella descrizione delle seguenti caratteristiche: Caratteristiche generali: origine etnica, provenienza geografica, diffusione territoriale, consistenza numerica, eventuale suddivisione in ceppi e/o linee; Caratteristiche somatiche: conformazione generale (testa, collo, tronco e arti); dimensioni somatiche e peso corporeo alle età tipiche (alla nascita, all anno, a maturità etc); colorazione del mantello e pigmentazione della cute. Caratteristiche produttive: Produzione di latte, nelle razze da latte: quantità per lattazione, contenuto lipidico e proteico, qualità del latte, resa alla caseificazione; Produzione di carne, nelle razze da carne: ritmo di accrescimento, resa alla macellazione, qualità della carne; Produzione di lana, nelle razze da lana: quantità e qualità; Caratteristiche riproduttive: precocità sessuale e longevità riproduttiva; prolificità, fertilità e fecondità; sopravvivenza; Pregi e difetti: adattabilità ambientale, resistenza alle avversità, facilità di parto; 10

8 Prospettive LE RAZZE BOVINE Le razze bovine taurine attualmente allevate nel mondo deriverebbero tutte per evoluzione e/o selezione e/o incrocio e/o meticciamento e/o mutazione dai 4 5 ceppi seguenti, ormai estinti, a loro volta provenienti da un progenitore ancestrale comune (Leptobos indicus) vissuto in epoca pliocenica (oltre 2 milioni di anni fa): Bos primigenius (l'antico Uro selvaggio, presente in Europa sino alla metà del 1600), di grande mole, con mantello rossiccio alla nascita e grigio a maturità, dotato di corna grandi a sezione circolare, a forma di semiluna nel maschio e di lira nella femmina, ritenuto il progenitore o capostipite principale di tutte le razze macrocere, sia celtiche che podoliche; Bos longifrons, con testa allungata e corna corte a sezione ellittica, diffuso nella regione alpina, ritenuto il capostipite principale della razza bruna alpina e delle razze normanne; Bos frontosus, a fronte larga e a corna corte orizzontali, ritenuto il capostipite principale delle razze pezzato-rosse dell'europa continentale; Bos brachiceros, a faccia larga ma corta ed a corna corte, ritenuto il capostipite principale delle razze locali svizzere ed austriache; Bos akeratos, acorne, la cui esistenza come ceppo autonomo è però dubbia, ritenuto il capostipite principale delle razze acorni. Le razze bovine zebuine attualmente allevate nel mondo deriverebbero tutte da un unico progenitore comune, ormai estinto, che era il Bos namadicus. La specie Bos taurus si accoppia con la specie Bos indicus, generando individui illimitatamente interfecondi che hanno dato origine alle razze tauro-indiche (ad es, la razza Santa Gertrudis), particolarmente resistenti ai climi tropicali; si accoppia con il genere Bison, originando animali poco fecondi, chiamati Cattali; ma non si accoppia, per amissia, con la specie Bubalus bubalis. 11

9 Prospetto 1.1a - Classificazione delle principali razze bovine. Razze da latte specializzate: Frisona, Bruna, Modenese, Reggiana, Rendena, Burlina; Ayrshire, Jersey, Guernsey; duplici: Pezzata rossa, Normanna, Grigia, Valdostana, Norica; Razze da carne specializzate: Italiane: Chianina, Romagnola, Marchigiana, Piemontese; Francesi: Charolaise, Limousine, Blonde d'aquitaine, Blu Belga; Britanniche: Shorthorn, Hereford, Aberdeen-Angus; rustiche: Maremmana, Podolica, Modicana, Sarda, Sardo-Bruna, Sardo-Modicana; Salèrs, Aubrac. Prospetto 1.1b - Elenco dei gruppi etnici bovini allevati in Italia, in ordine d'importanza: Razze in via d'estinzione, con consistenza numerica inferiore ai capi ciascuna, di interesse quasi esclusivamente zoologico e/o ambientale: Valdostana p.n., Cinisara, Modenese, Reggiana, Agerolese, Montana, Burlina, Cabannina, Pisana; Razze locali o regionali di modesta consistenza numerica ( capi), d'interesse zootecnico regionale: Romagnola, Grigia, Maremmana, Bruna della Sardegna (ufficialmente Sardo-Bruna), Sarda, Podolica, Valdostana p.r., Modicana della Sardegna (ufficialmente Sardo-Modicana), Rendena, Pinzgau, Pezzata rossa d'oropa; Razze nazionali importanti, di buona consistenza numerica ( capi): Piemontese, Marchigiana, Chianina, Modicana; Razze cosmopolite di grande diffusione anche fuori dell'italia: Frisona, Bruna, Pezzata rossa LE RAZZE DA LATTE Le razze da latte possono essere: specializzate per la produzione del latte, in cui la produzione della carne costituisce un'attitudine sempre secondaria, anche se talvolta importante; oppure a duplice attitudine, in cui le due produzioni contribuiscono alla formazione della produzione lorda vendibile in parti quasi uguali LE RAZZE SPECIALIZZATE Le razze specializzate numericamente ed economicamente preponderanti sulle duplici, soprattutto per la tendenza dell'allevatore di tutto il mondo zootecnicamente avanzato a preferire animali a specializzazione produttiva molto spinta sono contraddistinte, qualunque sia il loro livello produttivo, dalle seguenti caratteristiche morfo-funzionali generali: mole elevata e taglia alta; impalcatura scheletrica solida, ma non grossolana; testa lunga e leggera a profilo rettilineo, con bocca ampia che è indice di elevata capacità di prensione degli alimenti, con narici larghe che è indice di buona capacità respiratoria, con corna piccole e sincipite rilevato; collo sottile, lungo e profondo; tronco allungato con linea dorso-lombo-sacrale orizzontale; torace ampio, lungo e profondo, con costole distanziate che è indice di buona capacità respiratoria; addome molto 12

10 sviluppato che è indice di elevata capacità digestiva; groppa ampia, robusta ed inclinata posteriormente che è indice di facilità di parto; arti solidi e asciutti, con garretti robusti, stinchi lunghi e pastoie corte; mammella molto sviluppata ed elastica, attaccata alta, con vene addominali e mammarie tortuose e ramificate e capezzoli uguali, verticali ed elastici; testicoli discesi e lunghi, con scroto elastico. Le principali di queste razze allevate in Italia sono le razze: Frisona, Bruna e, localmente, Modenese, Reggiana, Rendena e Burlina. All'estero sono presenti anche le razze: Jersey, Guernsey ed Ayrshire. La razza Frisona La razza Frisona, in Italia chiamata anche Olandese e/o Pezzata nera e nei paesi anglosassoni Holstein Friesian, è ufficialmente registrata in Italia come Frisona italiana. Essa è la più importante razza bovina specializzata da latte del mondo sia per consistenza numerica (quasi 50 milioni di capi) che per diffusione geografica ed una delle più numerose, in assoluto, fra le razze bovine selezionate. La sua vasta diffusione è dovuta sia alla elevata produttività che alla grande adattabilità alle diverse condizioni climatiche. E originaria della Frisia, regione geografica a cavallo fra la Germania e l Olanda, da cui prende il nome; il suo mantello è normalmente pezzato nero, più raramente pezzato rosso (il rosso è infatti carattere recessivo). Grazie alla sua diffusione in tutto il mondo zootecnicamente avanzato, essa si è evoluta, spesso autonomamente, nelle diverse aree di allevamento, dando origine ad entità subrazziali (ceppi) con caratteristiche talvolta abbastanza diverse fra loro. I principali ceppi attuali sono: fra gli americani, lo Statunitense ed il Canadese; fra gli europei, l Olandese, il Tedesco, l Inglese, il Danese, lo Svedese, il Polacco, il Francese e l Italiano. Questi ultimi due derivano, di fatto, prevalentemente dal ceppo americano (sia statunitense che canadese) che ha sostituito gradualmente quello olandese grazie all incrocio di assorbimento oppure all importazione diretta di animali o di materiale seminale. I ceppi europei sono, rispetto a quelli americani, morfologicamente più omogenei (soprattutto nel mantello), ma di taglia e di livello produttivo talvolta leggermente inferiori. La consistenza numerica dei principali ceppi, in numero di vacche (il numero complessivo di capi è stimato pari al doppio di quello delle vacche), era, al , la seguente: olandese tedesco britannico danese francese italiano statunitense canadese Il ceppo olandese, che è il capostipite dal quale sono derivati tutti gli altri, ha avuto origine da un azione selettiva, operata soprattutto a partire dall 800, sulle popolazioni bovine pezzate nere e 13

11 pezzate rosse allora presenti in Olanda. Gli allevatori delle zone costiere (Frisia e Olanda settentrionale) hanno preferito il mantello pezzato nero, quelli delle regioni interne invece il mantello pezzato rosso. Questo ceppo è caratterizzato da: mole non molto elevata (il peso corporeo medio è di q 10 nei tori e 6 nelle vacche) ma da sviluppo armonico, frutto dell azione selettiva che ha curato particolarmente la conformazione. La produzione media delle vacche iscritte al L. G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 4,46% e proteico del 3,45%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1 1,050, con una resa media alla macellazione del 54 55%. Il ceppo tedesco, derivato da bovini importati dall Olanda nel XIX secolo, è caratterizzato, rispetto a quello olandese, da: conformazione più raccolta ma più robusta; maggiore sviluppo delle masse muscolari, migliore attitudine all ingrassamento e superiore rusticità. Poiché in questo ceppo la selezione è orientata anche per la produzione della carne, lo schema selettivo prevede anche la prova attitudinale dei torelli per quanto riguarda il ritmo di accrescimento e l indice di conversione alimentare: i soggetti risultati migliori sono avviati successivamente alla prova di progenie per l'attitudine alla produzione del latte. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 4,23% e proteico del 3,40%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1,1 1,2, con una resa alla macellazione del 55 56%. Il ceppo britannico, originato da quello olandese con successiva marcata influenza di quelli statunitense e canadese, è caratterizzato da: grande taglia (cm 160 nei tori e 140 nelle vacche) e mole (kg e 650, rispettivamente); grande rusticità ed elevata longevità. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 4,07% e proteico del 3,28%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1,0 1,1, con una resa alla macellazione del 54 55%. Il ceppo danese, originato anch'esso da importazione di animali dall'olanda con successiva forte influenza dei ceppi americani, è il ceppo europeo più produttivo (kg 8.000). Il ceppo polacco, caratterizzato, rispetto agli altri ceppi europei, da un maggiore sviluppo muscolare e da un superiore ritmo di accrescimento che lo rendono adatto alla produzione di vitelli da ristallo, è il ceppo meno produttivo. Il ceppo francese, originato anch esso dall importazione di bovini dall Olanda nel XIX secolo, attualmente è una mescolanza dei ceppi americani e, in minor misura, olandese ed ha la maggiore 14

12 consistenza numerica in Europa ( vacche). La produzione media delle vacche iscritte al L. G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 4,03% e proteico del 3,35%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1,0 1,1, con una resa media alla macellazione del 55%. Il ceppo statunitense, originato dall importazione di animali dall Olanda nella seconda metà del secolo XIX, ben presto però bloccata per prevenire la diffusione dell'afta epizootica scoppiata in forma epidemica in Europa, ha avuto un evoluzione completamente autonoma. Esso è diffuso in tutti gli Stati della Confederazione a vocazione lattiera (atlantici, California e parte di quelli centrali, che costituiscono la zona del "dairy belt") ed è caratterizzato da: grossa mole (kg nei tori e nelle vacche); notevole angolosità delle forme e muscolatura non troppo sviluppata; buona capacità toracica e addominale, che consente l ingestione di grandi quantità di alimenti anche grossolani; ottima conformazione dell apparato mammario. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 3,66% e proteico del 3,22%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1,1 1,2, con una resa media alla macellazione del 55%. Il ceppo canadese, molto simile a quello statunitense dal quale deriva, ma più rustico e di mole più elevata, attualmente è considerato il migliore della razza. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 3,68% e proteico del 3,22%. Il ritmo di accrescimento medio dei maschi è di kg/d 1,1 1,2, con una resa media alla macellazione del 55%. La Frisona italiana è, come si è detto, più che un ceppo a sé, il risultato della mescolanza dei ceppi statunitense e canadese e, in minor misura, olandese. I primi capi frisoni furono importati in Italia dall Olanda nel 1870, anche se il primo dato attendibile sulla consistenza ( capi) risale al 1908: inizialmente vennero importati nella pianura padana; successivamente nelle zone di bonifica dell Agro romano. Oltre che per l allevamento in purezza, la Frisona venne utilizzata anche per l incrocio con la razza Bruna allo scopo di ottenere dei meticci più produttivi (Preti, con mantello nero, dall incrocio fra tori frisoni e vacche brune; Frati, con mantello sorcino, dall incrocio fra tori bruni e vacche frisone). Dal 1930 è incominciata l importazione (soprattutto di tori) dagli Stati Uniti ed è proseguita sino al 1990, principalmente con materiale seminale di grandissimo pregio. Al 31/12/2000 la consistenza numerica della razza era di capi (di cui vacche), 15

13 con una consistenza media degli allevamenti di 140 capi (69 vacche). Le regioni di maggior diffusione sono la Lombardia, l Emilia-Romagna ed il Veneto che da sole allevano quasi il 75% della razza. La Frisona italiana è caratterizzata da: grande mole (kg nei tori e nelle vacche) e taglia elevata (cm e , rispettivamente); tronco lungo, con masse muscolari abbastanza sviluppate ma non troppo evidenti; buona conformazione dell apparato mammario. La produzione lattea media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata quella riportata quì di seguito (la produzione media degli allevamenti comuni è stimata pari all 80% di quella degli allevamenti iscritti al L.G.): Produzioni per lattazione convenzionale di 305 giorni (dati AIA, 2000) Categoria Latte kg Grasso % Proteine % Primipare ,53 3,23 Secondipare ,53 3,22 Terzipare e oltre ,56 3,16 Totale ,54 3,20 La produzione della carne è discreta, con un peso alla nascita di kg nei maschi e nelle femmine, un ritmo di accrescimento di kg/d 1,0 1,1 e una resa media alla macellazione del 54%. Le caratteristiche riproduttive sono mediamente le seguenti: l'età al primo parto è di 29 m; il periodo di servizio (intervallo parto-concepimento) è di 111 d; l incidenza degli aborti è dello 0,79%. (L'associazione nazionale degli allevatori della razza è l'anafi). La razza Bruna La razza Bruna, originaria della Svizzera centrale, è la seconda razza specializzata da latte del mondo, sia per consistenza numerica (quasi 15 milioni di capi) che per diffusione geografica. Essa ha avuto origine dall azione selettiva operata nei monasteri della Svizzera, in particolare nell'abbazia di Einsielden del cantone di Schwyz, sulle popolazioni bovine locali a partire dal 1000 d.c., anche se un piano organico di miglioramento della razza è iniziato soltanto dopo il Attualmente è allevata, oltrechè in Svizzera, anche nel resto dell Europa, nelle Americhe ed in Africa. Anche questa razza presenta diversi ceppi, tutti derivati per selezione da quello svizzero; tra quelli europei i più importanti sono: lo svizzero, il tedesco, l austriaco e l italiano; il ceppo statunitense o Brown Swiss è quello che attualmente domina il mercato mondiale della razza. Il ceppo svizzero, che è il ceppo originario dal quale derivano tutti gli altri, è caratterizzato da: conformazione molto armonica ed uniforme; tronco con buone capacità toracica e addominale; mantello bruno, con diverse tonalità; mole e statura elevate; garretti asciutti; mammella ben sviluppata 16

14 e sostenuta. Inizialmente considerato a triplice attitudine, attualmente è caratterizzato da buona produzione di latte e da discreta produzione di carne. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 ( ) è stata di kg 6.066, con un contenuto lipidico del 3,99% e proteico del 3,32%. Il ceppo austriaco, derivato oltrechè da quello svizzero anche da popolazioni bovine locali, è caratterizzato da: conformazione robusta, mole medio-piccola (kg nei tori e nelle vacche); mantello grigio chiaro; arti robusti e relativamente brevi; mammella ben conformata; grande rusticità, che lo rende particolarmente adatto alla utilizzazione di pascoli montani, ed elevata fertilità. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 ( ) è stata di kg 5.650, con un contenuto lipidico del 4,13% e proteico del 3,34%. Il ceppo tedesco, la cui zona di allevamento è limitata quasi esclusivamente alla Baviera, è caratterizzato da: conformazione robusta, con arti ed unghioni solidi; mole grande; buona rusticità e grande attitudine al pascolamento. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 3,95% e proteico del 3,4%. Esso presenta buona attitudine alla produzione della carne: i vitelloni possono raggiungere in 16 m un peso corporeo di kg 600, con un ritmo di accrescimento di kg/d 1,1 1,2 ed una resa alla macellazione di circa il 60%. Il ceppo statunitense, denominato Brown Swiss ed originato da quello svizzero per importazione di animali alla fine del secolo XIX, si è evoluto autonomamente, dopo il blocco dell'importazione causato dall'epidemia di afta epizootica diffusasi in Europa, grazie all'azione selettiva degli allevatori statunitensi ed è attualmente diffuso negli stati del Wisconsin, Minnesota, Michigan, California. Esso è caratterizzato da: conformazione tipica dell'animale da latte, con forme angolose e poco armoniche; mantello bruno, molto chiaro nelle femmine; mole (kg nei tori e nelle vacche) e taglia (cm e , rispettivamente) grandi; ottima conformazione dell'apparato mammario, particolarmente adatto alla mungitura meccanica. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 3,6% e proteico del 3,2%. La Bruna italiana, originata dal ceppo svizzero, si è diffusa inizialmente nelle vallate alpine e successivamente in tutta la Penisola. Nelle zone settentrionali (pianura padana) essa è stata sostituita gradualmente dalla più produttiva Frisona; è invece ancora ben rappresentata nell'italia centrale e soprattutto meridionale e insulare, grazie alla sua ritenuta superiore rusticità ed adattabilità rispetto 17

15 alla Frisona. La sua attuale consistenza è di circa capi (oltre vacche, di cui sottoposte ai controlli funzionali). La consistenza media degli allevamenti è di 19 capi (11 vacche). La razza è caratterizzata da: mole (kg nei tori e nelle vacche) e taglia (cm 145 e 133, rispettivamente) grandi; conformazione tipica dell'animale da latte, ma con forme meno angolose rispetto alla Frisona; mantello bruno, di diversa tonalità; ottima conformazione della mammella. Una caratteristica peculiare della razza è la buona capacità di adattamento a condizioni ambientali anche difficili. Sotto l'aspetto produttivo, la Bruna italiana è una razza capace di dare ragguardevoli produzioni di latte di ottima qualità, con alta resa alla caseificazione, particolarmente adatto alla produzione di formaggi tipici, grazie anche all'elevata frequenza (64%) in essa della variante genetica B della k-caseina, che è la più favorevole alla caseificazione. La produzione media delle vacche iscritte al L.G. nel 2000 ( ) è stata di kg di latte, con un contenuto lipidico del 3,88% e proteico del 3,41%. La razza presenta inoltre buona attitudine alla produzione della carne (peso alla nascita di kg nei maschi e nelle femmine, ritmo di accrescimento di kg/d 0,9 1,1, resa alla macellazione del 55 56%). Gli obiettivi della selezione sono l'innalzamento del contenuto proteico del latte, il miglioramento della conformazione e l'aumento della longevità che attualmente è scarsa (3,4 lattazioni per vacca). (L'associazione nazionale degli allevatori della razza è l'anarb). Le razze Minori Le razze da latte di minore importanza, per consistenza e produttività, sono le razze: Jersey, Guernsey e Ayrshire, allevate prevalentemente nei paesi anglosassoni; Modenese, Reggiana, Rendena e Burlina, allevate soltanto in Italia e di importanza esclusivamente locale. Le tre razze britanniche sono caratterizzate da produzione lattea non elevata ma ad alto contenuto lipidico (razze butirrifere) e buon contenuto proteico. La razza Jersey, originaria dell Isola normanna omonima e diffusa in Gran Bretagna, Danimarca e Stati Uniti, ha una consistenza numerica di di capi. E caratterizzata da: conformazione tipica dell'animale da latte; mantello fromentino, più o meno chiaro nelle femmine e tendente al bruno nei maschi; taglia e mole piccole (cm 127 nei tori e 120 nelle vacche; kg e , 18

16 rispettivamente); mammella ideale per sviluppo e conformazione (carattere altamente trasmissibile anche negli incroci sia con razze bovine rustiche che con razze zebuine). La produzione media è di kg di latte, con un contenuto lipidico del 5,40% (i globuli sono molto grandi ed ottimi per la burrificazione) e proteico del 3,80%. La razza ha però scarsissima attitudine alla produzione della carne (peso alla nascita di kg 25 30; ritmo di accrescimento di g/d ; resa alla macellazione del 45 50%) che purtroppo si trasmette anche ai meticci. Essendo dotata di elevata rusticità, longevità (10 12 anni) e precocità (primo parto a due anni), questa razza potrebbe essere utilizzata proficuamente per il miglioramento genetico delle razze rustiche locali. La razza Guernsey, originaria dell Isola normanna omonima e diffusa in Gran Bretagna, Stati Uniti, Sud America ed Australia, è caratterizzata da: conformazione tipica da latte; mantello fromentino con frequenti pezzature bianche; taglia e mole ridotte (cm 140 nei tori e 130 nelle vacche; kg e , rispettivamente). La produzione di latte, di caratteristico colore paglierino, è di kg , con un contenuto lipidico del 4,77% e proteico del 3,56%. La razza ha scarsa attitudine alla produzione della carne (peso alla nascita di kg 30 35; ritmo di accrescimento di g/d ; resa alla macellazione del 48 52%). E' dotata di buona rusticità e longevità (8 10 anni). La razza Ayrshire, originaria della omonima Contea della Scozia e diffusa in Gran Bretagna, nei paesi scandinavi e nord-americani, ha una consistenza numerica di oltre di capi. E caratterizzata da: conformazione armonica; tronco con notevole capacità toracica e addominale; mantello pezzato rosso; taglia e mole medie (cm 140 nei tori e 127 nelle vacche; kg e , rispettivamente); mammella ben conformata e particolarmente adatta alla mungitura meccanica. La produzione media è di kg di latte, con un contenuto lipidico del 4,10% e proteico del 3,35% e con elevata attitudine alla caseificazione. La razza ha scarsa attitudine alla produzione della carne (peso alla nascita di kg 35 40; ritmo di accrescimento di g/d ; resa alla macellazione del 50 52%). La razza Modenese o Bianca padana, allevata nella zona tipica del grana padano, ha scarsissima consistenza numerica (2.000 capi), discreta produzione di latte (kg 4.660), che è particolarmente adatto alla caseificazione. La razza Reggiana, allevata nella zona tipica del parmigiano reggiano, ha scarsissima consistenza numerica (1.700 capi) e buona produzione di latte (kg 5.350) di elevatissime qualità casearie. 19

17 Le razze Rendena e Burlina, entrambe di modestissima consistenza e di interesse esclusivamente locale, sono allevate nelle zone di origine per la produzione del latte, che è utilizzato prevalentemente per uso familiare o locale LE RAZZE A DUPLICE ATTITUDINE Le razze a duplice attitudine, in cui la produzione di latte e quella di carne hanno quasi la stessa importanza economica, presentano caratteristiche somatiche e produttive intermedie fra le razze specializzate da latte a quelle specializzate da carne; sono allevate, in genere, in aziende di piccole dimensioni (diretto-coltivatrici), in zone collinari e in allevamenti di livello tecnico non elevato. Esse sono rappresentate dalle razze Pezzata Rossa, Normanna, Grigio-Alpina, Valdostana e Norica. La razza Pezzata Rossa, derivata dal B. frontosus, originaria della Svizzera e diffusa in tutta l Europa continentale, in particolare in quella orientale (Ucraina), ha una consistenza numerica complessiva di circa 35 milioni di capi suddivisi in diversi ceppi, tra i quali i più importanti sono quello svizzero o simmental da cui derivano tutti gli altri, quello tedesco o bavarese e quello italiano o friulano. Il ceppo italiano, denominato ufficialmente Pezzata Rossa Italiana, è originario del Friuli, sulla cui razza locale la friulana è stato praticato per oltre un secolo l incrocio di assorbimento con la PR svizzera, austriaca e tedesca; ha una consistenza di capi ( vacche) ed è diffuso soprattutto nel Friuli e nel Veneto. E caratterizzato da: conformazione robusta, ma non pesante; mantello pezzato rosso, dal chiaro al mogano, con pelle morbida ed elastica; statura media (cm nel tori e nella vacche) e mole elevata (kg e 600, rispettivamente); testa leggera e larga e collo molto muscoloso; petto largo e torace ampio; ventre voluminoso; groppa lunga e ampia, coscia muscolosa e natica convessa; mammella voluminosa, spugnosa ed ampia, vene appariscenti e tortuose. La razza ha buona attitudine alla produzione del latte (kg , con un contenuto lipidico del 3,88% e proteico del 3,37%) e della carne (kg alla nascita, ritmo di accrescimento kg/d 1,1 1,2 e resa alla macellazione del 58%, con carne di buona qualità) e buona precocità (peso a 12 mesi kg 480 nel maschio, 320 nelle femmine). (L'associazione nazionale degli allevatori della razza è l'anapri). La razza Normanna è la vecchia razza da latte francese ormai in via di sostituzione per la produzione del latte con la Frisona e per quella della carne con la Charolaise derivata da bovini scandinavi incrociati con bovini Shorthorn; ha una consistenza di vacche ( capi). 20

18 E caratterizzata da: mantello pezzato (rosso e/o nero); taglia elevata (cm nei tori e nelle vacche) e mole notevole (kg e , rispettivamente). La produzione media è di kg di latte, con contenuto lipidico del 4,34% e proteico del 3,54% e con elevata attitudine alla caseificazione; la produzione della carne è buona (peso alla nascita kg 50, ritmo di accrescimento kg/d 1,0-1,1, resa alla macellazione del 58%, con carne di buona qualità). Le razze Grigio-Alpina, Valdostana e Norica hanno tutte interesse locale, anche per la loro limitata consistenza e diffusione LE RAZZE DA CARNE Sono ormai considerate razze da carne sia quelle in cui l attitudine alla produzione della carne elevato ritmo di accrescimento, basso indice di conversione alimentare, alta resa alla macellazione, ottime caratteristiche della carcassa e ottima qualità e composizione della carne è preminente, in quanto insita nel patrimonio genetico della razza, sia quelle che, pur non essendone dotate naturalmente, possono acquisirla per mezzo dell'incrocio industriale con quelle da carne: le prime sono le razze specializzate, le seconde sono le razze rustiche LE RAZZE SPECIALIZZATE Le razze specializzate sono contraddistinte dalle seguenti caratteristiche somatiche: taglia e/o mole elevata, impalcatura scheletrica robusta ma non grossolana, pelle sottile; testa piccola, collo corto e muscoloso, gibboso nei maschi; tronco lungo e robusto con garrese, dorso e lombi larghi; petto e torace ampi; ventre ampio ma non voluminoso; groppa lunga, larga e orizzontale, natica spessa e sviluppata e coscia convessa; arti robusti, solidi, ma leggeri; appiombi diritti e stinchi asciutti. Esse sono raggruppate, in funzione della loro provenienza, in razze Italiane, Francesi e Britanniche. Le razze italiane sono allevate in purezza quasi esclusivamente in Italia, ma sono largamente utilizzate anche all'estero come razze incrocianti nell incrocio industriale sia con razze specializzate da latte sia con quelle rustiche o locali; provenendo dalle vecchie razze da lavoro, sono quasi tutte caratterizzate da taglia e mole elevate, associate a ottima qualità della carne, ma, ad eccezione della Piemontese, da scarsa attitudine materna. Esse sono le razze Chianina, Romagnola, Marchigiana 21

19 e Piemontese, le cui associazioni di razza fanno capo all Anabic (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani da Carne). La razza Chianina, originaria della Val di Chiana in cui è presente sin dall epoca etrusca (VI-V sec. a.c.), è l unica razza autoctona italiana ed è attualmente allevata, oltrechè nelle regioni di origine (Toscana e Umbria) anche nelle Americhe ed in Australia. Ha una consistenza ridotta ( capi di cui vacche iscritte al L.G.). E caratterizzata da: taglia (cm nei tori e nelle vacche) e mole (kg e , rispettivamente) elevatissime che ne fanno il gigante della specie; mantello bianco porcellana su cute pigmentata e pelle sottile; testa sottile e allungata, con corna piccole; collo e tronco allungato, con linea dorso-lombare orizzontale; arti lunghi e robusti. Le caratteristiche produttive più salienti sono: l elevatissimo ritmo di accrescimento (kg/d 1,3 1,4), il basso indice di conversione (5,5 6), la alta resa alla macellazione (62 64%), la ottima conformazione della carcassa e l'elevata resa in tagli pregiati, la ottima qualità della carne (bistecca fiorentina) e la alta resa allo spolpo; a tali caratteri pregevoli sono però associati: scarsissima attitudine materna, scarsa rusticità soprattutto alimentare, temperamento eccessivamente vivace e maturazione somatica molto tardiva, che ne limita, di fatto, l impiego alla produzione del vitellone pesante. La caratteristica riproduttiva principale è la grande facilità di parto che la rende utilizzabile su tutte le razze (da latte, da carne e rustiche) per l incrocio industriale. La razza Romagnola, originaria della Podolia e introdotta in Italia con le invasioni barbariche (IV-V sec. d.c.), ha una ridottissima consistenza ( capi di cui vacche iscritte al L.G.) ed è allevata quasi esclusivamente in Romagna. E caratterizzata da: mantello bianco-grigio (fromentino alla nascita, come in tutte le razze podoliche), con cute pigmentata e pelle spessa (10 12% del peso corporeo); taglia non elevata (cm nei tori e nelle vacche) e grande mole (kg e , rispettivamente); testa con corna piccole e collo molto muscoloso; torace e petto robusti e profondi; dorso e lombi larghi; groppa, coscia e natica non molto larghe; arti solidi e robusti, con piedi grandi. La razza Marchigiana, originaria delle Marche e derivata dall incrocio di assorbimento del bovino podolico locale con le razze Chianina e Romagnola, è diffusa, oltrechè nella regione di origine, anche nell'europa settentrionale e nelle Americhe soprattutto come razza incrociante con razze specializzate da latte. E' la più consistente fra le razze dell'italia centrale ( capi, di cui vacche iscritte al L.G.) ed è somaticamente molto simile alla Chianina (cm nei tori e nelle 22

20 vacche; kg e , rispettivamente) da cui deriva, ma è più atterrata, più resistente, con rese alla macellazione superiori (64 65%) e più precoce (raggiunge infatti il peso di macellazione più anticipatamente). La razza Piemontese, originaria del Piemonte, è la più importante razza italiana da carne ( capi di cui vacche iscritte al L.G.); è allevata in purezza, oltrechè in Italia, anche all estero (Europa, Americhe, Asia). E caratterizzata da: mantello grigio, con occhiaie e pisciolare neri; ossatura molto sottile e pelle finissima (8 10% del peso corporeo); sviluppo muscolare eccezionale, soprattutto nei soggetti a groppa doppia ("piemontesi dalla coscia"), grazie all ipertrofia muscolare della coscia e delle natiche; testa molto sottile e collo muscoloso e gibboso; tronco rotondeggiante e ventre retratto; dorso, groppa e lombi molto larghi; coscia e natiche molto carnose; arti delicati e spesso deboli (quelli posteriori sono in genere "sotto di sè"); taglia (cm 140 nei tori e 130 nelle vacche) e mole (kg 800 e 500, rispettivamente) non elevate. Le caratteristiche produttive sono: buono ma non prolungato ritmo di accrescimento (kg/d 1,1 1,2), elevatissima resa alla macellazione (65 66%), carcasse e tagli di qualità eccezionale, eccellente qualità della carne (resa in muscolo del 76%) ed ottima attitudine materna. A tali caratteristiche positive sono associate però scarsa capacità di deambulazione e di impennata, soprattutto nelle zone impervie; scarsa fertilità, per oligospermia; difficoltà di parto, per eccessivo sviluppo dei vitelli alla nascita (anche kg nel tipo a groppa doppia); scarsa adattabilità ad ambienti difficili. La razza è utilizzata soprattutto per incroci industriali con razze specializzate da latte e rustiche nella produzione di vitelloni semipesanti e come razza incrociante finale negli incroci tripli. (L'associazione nazionale degli allevatori della razza è l'anaborapi). Le razze francesi sono caratterizzate da: taglia media (cm nei tori e nelle vacche) ma da mole elevata (kg e , rispettivamente); conformazione rotondeggiante, con grande sviluppo dei diametri trasversali e delle relative masse muscolari che determinano elevate rese alla macellazione (62 65%); in genere buona adattabilità anche a condizioni ambientali difficili; buona attitudine materna. Fra di esse le principali sono le razze: Charolaise, Limousine, Blonde d Aquitaine e Blu Belga. La razza Charolaise (detta anche Nivernaise), originaria della regione di Charolle (F) e discendente dal B. frontosus, è la razza specializzata da carne più importante del mondo sia per consistenza numerica ( capi, di cui vacche, nella sola Francia) che per 23

21 diffusione territoriale e geografica; è presente infatti, oltrechè in Francia, anche in tutta l'europa e nelle Americhe. Essa è allevata sia in purezza che per incrocio industriale con razze specializzate da latte, con razze specializzate da carne e con razze rustiche ed è utilizzata per il meticciamento con razze zebuine. Allevata in Francia sin dal 700 e migliorata con la Shorthorn nel secolo XIX, è caratterizzata da: impalcatura scheletrica molto robusta, con grande sviluppo dei diametri trasversali; mantello bianco crema, con cute depigmentata e mucose rosee; testa corta, con corna giallognole dirette lateralmente e in avanti; collo breve e muscoloso; tronco cilindrico, lungo e largo, con profilo dorso-lombare orizzontale; torace ampio e profondo e petto largo; groppa, coscia e natica molto sviluppate e muscolose, superconvesse nei soggetti a groppa doppia (culard) per ipertrofia muscolare; arti solidi, robusti e tozzi, con stinchi e piedi larghi; taglia media (cm 140 nei tori e 130 nelle vacche) e mole notevole (kg e , rispettivamente). Le caratteristiche produttive sono: ritmo di accrescimento elevato e prolungato (kg/d 1,2 1,3), resa alla macellazione ottima (62 65%), qualità della carcassa ottima per la prevalenza di tagli pregiati del treno posteriore, qualità della carne mediocre per scarse colorazione e consistenza. Le caratteristiche riproduttive sono: buona precocità, longevità e fertilità, associate a grande adattabilità ambientale (climatica, alimentare e pedologica); la difficoltà di parto, soprattutto nelle primipare e nel ceppo culard, che sfortunatamente si trasmette anche nell incrocio industriale, rende però tale razza, eccezionale per altri aspetti quale la docilità di indole, poco adatta all allevamento completamente brado anche in incrocio industriale, soprattutto con razze predisposte alle distocie. La razza è adatta alla produzione di vitelloni semipesanti (kg ) e pesanti (kg ) e per consumatori che non richiedano carni di particolare pregio e per ingrassatori orientati all acquisto di ristalli con conformazione e mantello molto marcanti. La razza Limousine, originaria della regione del Limousin (F) e diffusa nelle regioni centrali della Francia, è la seconda razza francese da carne per importanza e per consistenza; è allevata, sia in purezza che per incrocio, anche in Italia ed in altri paesi europei. E caratterizzata da: impalcatura scheletrica sottile e conformazione generale molto armonica, con grande sviluppo delle masse muscolari; mantello rossiccio o fromentino vivo e pelle sottile; taglia media (cm 140 nei tori e 130 nelle vacche) e mole elevata (kg e , rispettivamente); testa corta e stretta, con corna sottili; collo corto e muscoloso, con coppa pronunciata; tronco cilindrico e allungato, con profilo orizzontale della linea dorso-lombare; petto largo e torace rotondeggiante; groppa, coscia e 24

22 natica molto sviluppate e convesse; addome retratto; arti sottili ma solidi. Le caratteristiche produttive sono: ritmo di accrescimento elevato, ma limitato al primo anno di vita (kg/d 1,0 1,2), resa alla macellazione molto alta (62 65%), resa in tagli pregiati alta e qualità della carne eccezionale. Le caratteristiche riproduttive sono: precocità sessuale e somatica spinte, buona longevità, alta fertilità, associata ad ottima attitudine materna, grande facilità di parto anche in purezza, ma scarse rusticità ed adattabilità climatica ed alimentare. La razza è adatta anche per l'allevamento brado per produrre vitelloni leggeri (kg ) o al massimo semipesanti (kg ), per incrocio anche con razze caratterizzate da parto non facile (ad es. Bruna) e per consumatori che apprezzano le carni di grande pregio. La razza Blonde d Aquitaine, originaria dell Aquitania (F), è la razza da carne francese intermedia fra le due precedenti, da cui deriva per incrocio con l originaria Bionda del sud-ovest; è allevata nel sud ovest della Francia sia in purezza che per l incrocio industriale con razze rustiche. E' caratterizzata da: impalcatura scheletrica solida, mantello fromentino chiaro uniforme e mucose chiare; testa leggera e corna corte; tronco allungato, con petto e torace ampi; groppa e coscia muscolose soprattutto nei semiculard; taglia (cm 150 nei tori e 140 nelle vacche) e mole (kg e , rispettivamente) elevate. Le caratteristiche produttive sono: ritmo di accrescimento buono e prolungato (1,1 1,2 kg/d), resa elevata (62 65%), buone caratteristiche della carcassa e carne di media qualità; buona rusticità e facilità di parto, associate a buona fecondità e longevità. E adatta per la produzione sia di vitelli mezzolattoni che di vitelloni. La razza Blu Belga, caratterizzata soprattutto dall'elevato ritmo di accrescimento (kg/d 1,2 1,4) e dall'altissima resa alla macellazione (66 68%), è utilizzata prevalentemente come razza incrociante sulle razze da latte e rustiche ma quasi esclusivamente in I.A. a causa della sua scarsissima rusticità. Le razze Britanniche o Anglosassoni, originarie della Gran Bretagna e diffuse quasi esclusivamente nei paesi anglosassoni (UK e USA), sono caratterizzate da: conformazione tipica da carne (ossatura leggera e grande sviluppo muscolare; testa piccola, con fronte larga; tronco lungo e profondo, con linea dorso-lombare orizzontale; arti brevi, con stinchi cortissimi); taglia ridotta (cm nei tori e nelle vacche), ma mole elevata (kg e , rispettivamente); ritmo di accrescimento non elevato (kg/d 1,0) ma prolungato (sino ai 2 anni di età), resa alla macellazione molto elevata (64 66%), qualità della carne eccellente per il consumatore anglosassone, ma meno per quello europeo continentale a causa dell'elevata deposizione di grasso 25

23 (intramuscolare, intermuscolare, periviscerale e sottocutaneo); alta precocità somatica (completano lo sviluppo a 4 anni, anzichè a 5); buona attitudine al pascolamento. Esse sono allevate sia in purezza che per incrocio industriale con razze specializzate da latte e rustiche. Sono rappresentate dalle razze Shorthorn, Hereford e Aberdeen-Angus. La razza Shorthorn o Durham, originaria della contea di Durham (Inghilterra), è caratterizzata da: corna brevi, mantello rosso oppure bianco oppure ubero; elevatissima precocità (raggiunge la maturità somatica a 3,5 anni), mole elevata (kg 900 nei tori e 700 nelle vacche), ottima resa alla macellazione (65%). Essa presenta anche un ceppo con buona attitudine alla produzione di latte (Dairy Shorthorn). La razza Hereford, originaria della contea di Hereford (Inghilterra), è caratterizzata da: corna giallognole di media lunghezza; mantello rosso scuro, con faccia, giogaia, ventre e coda bianchi; tronco atterrato, con torace sviluppato; mole elevata (kg nei tori e 700 nelle vacche); elevata rusticità e buona attitudine materna, per cui è diffusa in tutte le zone estensive degli USA. La razza Aberdeen-Angus, originaria della contea di Aberdeen (Scozia), è caratterizzata da: testa acorne, con sincipite prominente; mantello nero uniforme, con pelo raso e lucente; tronco cilindrico, con scheletro particolarmente leggero; arti brevissimi; mole elevata (kg nel toro e 700 nella vacca) e resa alla macellazione eccezionale (70%). E impiegata, oltrechè in purezza, soprattutto per l'incrocio industriale con razze specializzate da latte o da carne o duplici LE RAZZE RUSTICHE Le razze rustiche sono le ex razze da lavoro le quali venuta meno, con la diffusione della meccanizzazione in agricoltura, la loro funzione produttiva economicamente preminente (il lavoro) hanno ritrovato, grazie alla tecnica dell incrocio industriale con razze specializzate, una nuova funzione produttiva (la carne). Esse sono caratterizzate da: elevata rusticità, ossia alta capacità di adattamento agli ambienti più difficili sia sotto l aspetto orografico, che climatico che alimentare; grande facilità di parto, indispensabile per garantire la sopravvivenza del vitello negli allevamenti bradi; buona attitudine materna, ossia notevole capacità di allevare il vitello in buone condizioni alimentari sino allo svezzamento; alta riproducibilità, ossia precocità sessuale, longevità riproduttiva e fertilità elevate; infine, compatibilmente con l ambiente di allevamento, taglia e mole grandi associate ad impalcatura scheletrica robusta. Esse sono allevate, in tutto il mondo, nelle zone agronomicamente più difficili e quindi zootecnicamente non utilizzabili con razze di più elevate prestazioni produttive 26

24 (razze specializzate da latte e/o da carne). Le razze più rappresentate sono: in Italia, la Maremmana, la Podolica, la Modicana, la Sarda, la Sardo-Bruna, la Sardo-Modicana; in Francia, la Salèrs e l'aubrac. La razza Maremmana, di origine podolica e diffusa soprattutto nella Maremma toscana e laziale, dove è allevata in mandrie brade che trascorrono l inverno nelle zone boschive, ha limitata consistenza ( capi, vacche). E' caratterizzata da: impalcatura scheletrica molto robusta; taglia elevata (cm 150 nei tori e 125 nelle vacche), mole media (kg 800 e 500, rispettivamente); mantello rosso alla nascita e grigio a maturità, scuro nei maschi, chiaro nelle femmine, con pelle nera e resistente; testa leggera, con corna a semiluna nei maschi ed a lira nelle femmine; collo corto e muscoloso, con abbondante giogaia; tronco robusto, con spalle, garrese, dorso e lombi larghi e muscolosi, con torace e petto profondi e ventre sostenuto; coscia e natica muscolose; arti solidi e asciutti con piedi serrati. E razza molto rustica ed adatta all incrocio industriale con razze specializzate da carne (L associazione nazionale degli allevatori della razza fa capo all Anabic). La razza Podolica, derivata anch essa dal B. primigenius e diffusa ormai soltanto nelle zone appenniniche meridionali (dall Abruzzo alla Calabria), ha limitata consistenza ( capi, vacche) ed è allevata brada in zone molto difficili. E caratterizzata da: impalcatura scheletrica solida, ma leggera; mantello fromentino alla nascita e grigio a maturità, con pelle nera, fine ed elastica; testa leggera, con corna come nella Maremmana; tronco e arti simili a quelli della maremmana, rispetto alla quale però è di taglia e di mole inferiori, ma di maggiore rusticità. La razza Modicana, originaria della contea di Modica (RG) e diffusa quasi esclusivamente in Sicilia, ha consistenza ridotta ( capi in purezza). E' caratterizzata da: impalcatura scheletrica robusta, associata però ad angolosità e spigolosità accentuate; mantello rosso vinoso nei maschi e rosso chiaro nelle femmine, con pelle sottile; taglia elevata (cm 160 nei tori e 140 nelle vacche) e mole media (kg 800 e 500, rispettivamente); testa allungata, con corna a lira o a semiluna; tronco molto sviluppato anteriormente, con petto e torace stretti e profondi, ma poco sviluppato posteriormente, con groppa, coscia e natiche spioventi; arti solidi e robusti. Presenta ritmi di accrescimento modesti (kg/d 0,6 0,8) e rese basse (48 52%), ma ottima attitudine materna (la produzione lattea, di elevato contenuto lipidico e proteico, eccede largamente i fabbisogni del redo) e grande facilità di parto. La razza Sarda, diffusa nelle zone più impervie della Sardegna (Barbagia, Iglesiente, Sarrabus e Gallura), è la razza autoctona della Sardegna ed ha una consistenza di capi ( vacche) 27

25 allevati completamente bradi. Essa, più che una razza ben definita, è una popolazione molto eterogenea per: colorazione del mantello (variabile dal nero al rosso e dall uniforme al bicolore); taglia e mole (cm e kg nei tori; cm e kg nelle vacche); conformazione generale (sbilanciamento fra treno anteriore e treno posteriore, più o meno accentuato a seconda dell'insanguamento bruno e/o modicano). E caratterizzata da: ritmo di accrescimento (kg/d 0,5 0,6) e resa alla macellazione (48 50%) molto bassi, ma da rusticità, fertilità, facilità di parto ed attitudine materna eccezionali, che la rendono particolarmente adatta per l incrocio industriale con qualsiasi razza da carne; essa, grazie a queste sue caratteristiche positive, è capace di valorizzare economicamente anche zone marginali per la produzione zootecnica. La razza Sardo-Bruna (denominazione ufficiale della popolazione Bruna della Sardegna), derivata dall incrocio di assorbimento tra la razza Bruna della Svizzera e la razza Sarda di pianura, è diffusa nella Sardegna centro-settentrionale in cui è allevata in allevamenti bradi di medie e piccole dimensioni; ha modesta consistenza ( capi, di cui vacche). E' caratterizzata da: impalcatura scheletrica solida; taglia (cm 145 nei tori e 130 nelle vacche) e mole (kg 800 e 500, rispettivamente) medie; mantello grigio chiaro; testa allungata, con corna robuste; collo muscoloso; tronco allungato e rotondeggiante, con profilo dorso-lombare orizzontale; torace profondo e petto ampio; groppa e coscia larghe e natica carnosa; arti solidi e robusti. Essa presenta ritmi di accrescimento buoni (kg/d 1), rese medie (55 57%), discreta rusticità, ma grande predisposizione alle distocie per cui nell'allevamento brado può creare grossi problemi, sia in purezza che in incrocio industriale. La razza Sardo-Modicana (denominazione ufficiale della razza Modicana della Sardegna), ottenuta per incrocio di assorbimento della razza Sarda di collina con la razza Modicana della Sicilia, è diffusa soltanto nella Sardegna occidentale (Montiferro); ha modesta consistenza ( capi, vacche) ed è allevata completamente brada in zone molto difficili. E caratterizzata, come la Modicana da cui deriva, da: scheletro robusto, mantello rosso, angolosità e spigolosità di conformazione, squilibrio fra treno anteriore e posteriore, scarso sviluppo delle masse muscolari, taglia (cm 150 nei tori e 140 nelle vacche) e mole (kg 800 e 500, rispettivamente) medie. La razza presenta ritmo di accrescimento modesto (kg/d 0,8) e resa alla macellazione bassissima (48 50%), ma rusticità elevatissima, grandissima facilità di parto, ottima attitudine materna; essa è particolarmente adatta all incrocio industriale con qualsiasi razza incrociante da carne. 28

26 La razza Aubrac, originaria del Massiccio Centrale francese in cui è allevata, è caratterizzata da: taglia (cm 140 nei tori e 130 nelle vacche) e mole (kg e , rispettivamente) medie; mantello rossiccio con cute depigmentata. E' utilizzata per l incrocio industriale con le razze da carne francesi; i meticci, impiegati per la produzione del vitellone pesante (kg ), sono esportati per l ingrassamento anche in Italia. La razza Salèrs, originaria dell Alvernia (Francia meridionale) ove è diffusa, è anch essa di taglia e mole buone (cm 150 e kg 1000 nei tori; cm 145 e kg 700 nelle vacche); ha mantello rosso-scuro, con pelle depigmentata. E' utilizzata per incrocio industriale ed è ingrassata anche in Italia LE RAZZE TAUROINDICHE Derivano dall incrocio e successivo meticciamento selettivo fra razze bovine specializzate da carne (principalmente le tre britanniche e la Charolaise) e razze zebuine indigene (Brahaman e Nellore) in diversa percentuale di sangue, praticati allo scopo di associare l attitudine alla produzione della carne della razza bovina paterna con la resistenza alle elevate temperature delle zone tropicali della razza zebuina materna; sono allevate soprattutto negli stati meridionali degli USA e nell America meridionale (Argentina e Brasile). Le principali sono: la Brefor (Hereford x Zebù), allevata in USA e in Argentina, che supera, per peso corporeo e resa alla macellazione, anche la razza paterna; la Brangus (Angus x Zebù), allevata nel Texas, di colore nero e acorne; la Charbray (Charolais x Brahaman), allevata soprattutto in Sud-America e nelle zone meridionali degli USA, che alla grande resistenza all ambiente caldo-umido della Brahaman associa l elevato ritmo di accrescimento e resa alla macellazione della Charolaise; la Santa Gertrudis (5/8 di Shorthorn e 3/8 di Brahaman), allevata nel Texas, è quella più famosa e più diffusa nel mondo per la resistenza all ambiente, la mole (kg nei tori e 700 nelle vacche), la resa alla macellazione (anche 70%) e la grande attitudine materna LE RAZZE ZEBUINE Sono razze allevate in purezza, sia per la produzione del latte che della carne, nei climi meridionali caldo-secchi e caldo-umidi per la grandissima resistenza della specie (B. indicus) a tali condizioni ambientali. Sono diffuse soprattutto nel continente africano ed asiatico, ma anche in quello americano meridionale e centrale. Le due razze più note sono la Brahaman e la Nellore, utilizzate, oltrechè in purezza, anche per incrocio industriale con razze bovine specializzate da carne. 29

27 1.2. LE RAZZE BUFALINE Sono allevate: principalmente, per la produzione del latte (kg ) che, grazie all'alto contenuto lipidico (8%) e proteico (4,5%), è destinato alla produzione di formaggi tipici (mozzarella); secondariamente, per la produzione della carne, che però è di qualità molto scadente. Le razze bufaline vengono di solito distinte: in razze indiane (B. bubalis), adatte ad ambienti umidi e con buona capacità produttiva; e razze africane (B. caffer), adatte ad ambienti aridi e con minori capacità produttive. In Italia la specie (B. bubalis) è allevata quasi esclusivamente in alcune regioni (Campania e Lazio) ed ha una consistenza di circa capi, di cui bufale. La produzione lattea media è di circa kg 2.150, con un contenuto lipidico dell 8,35% e proteico del 4,74% ed una resa in formaggio fresco (mozzarella) del 12,5%. Il peso corporeo è di kg 800 nei tori e 500 nelle bufale. Il ritmo di accrescimento è di kg/d 0,9, la resa alla macellazione di circa il 50% LE RAZZE OVINE Le razze ovine appartengono tutte alla specie Ovis aries e deriverebbero, per evoluzione e/o selezione e/o incrocio e/o meticciamento, dai seguenti tre progenitori comuni: Ovis ammon, che è l Argali allevato nelle regioni centrali dell Asia; Ovis musimon, che è il muflone europeo, ancora presente in Sardegna e in Corsica; Ovis vignei, che è l ovino della steppa delle regioni caspiche. Esse vengono classificate in funzione, principalmente, della loro attitudine produttiva prevalente e, subordinatamente, della regione geografica di provenienza in: razze da latte o a prevalente attitudine alla produzione del latte e razze da carne o a prevalente attitudine alla produzione della carne e/o della lana; entrambe a loro volta sono suddivise in razze italiane e razze estere. 30

28 Prospetto Classificazione delle principali razze ovine Razze da latte Italiane: Sarda, Comisana, Massese, Valle del Belice, Pinzirita, delle Langhe,Leccese, Altamurana; Estere: Frisona, Awassi, Churra, Manchega, Lacaune, Prealpina, Corsa. Razze da carne (e/o da lana) Specializzate da carne: Italiane: Appenninica, Barbaresca, Bergamasca, Biellese, Fabrianese, Laticauda, Merinizzata italiana; Francesi: Ile de France, Berrichon du Chèr; Inglesi: Suffolk, Dorsetdown, Southdown; Germaniche: Württemberg, Texel; Specializzate da lana: Italiane: Gentile di Puglia, Sopravissana; Estere: Merino spagnole e francesi; Prolifiche: Finnish e Romanov LE RAZZE DA LATTE Le razze da latte, diffuse prevalentemente nelle regioni circummediterranee europee (al di sotto della linea immaginaria che collega Bordeaux, Trieste, Istanbul) ed asiatiche (Israele) e in Oceania (Nuova Zelanda), sono allevate prevalentemente con sistemi semiestensivi basati, sotto l'aspetto alimentare, sul pascolamento. Esse sono caratterizzate da: impalcatura scheletrica leggera; vello grossolano; taglia (cm negli arieti e nelle pecore) e mole (kg e 45 55, rispettivamente) generalmente medie; testa piccola normalmente acorne, con profilo leggermente montonino ed orecchie medie; collo sottile e quasi sempre privo di vello; tronco allungato e cilindrico con linea dorso-lombare quasi orizzontale; petto e torace stretti e ventre voluminoso; groppa inclinata, natica e coscia vuote; mammella grande e sviluppata, con emimammelle poco differenziate; capezzoli verticali e regolari; testicoli ampi e molto discesi; coda lunga e magra; elevata attitudine alla produzione del latte, quasi sempre scarsa attitudine alla produzione della carne e scarsissima a quella della lana LE RAZZE ITALIANE Le razze italiane che possono essere correttamente considerate razze specializzate da latte sono soltanto cinque (Sarda, Comisana, Massese, Valle del Belice e Delle Langhe), anche se, ufficialmente ma impropriamente, vengono considerate tali anche altre tre razze (Pinzirita, Leccese e Altamurana). La razza Sarda. Razza autoctona della Sardegna, è la più importante e più diffusa razza da latte italiana, nella quale, dopo un primo tentativo, fortunatamente fallito, di miglioramento dell'attitudine alla produzione della lana, è iniziata sin dagli anni venti del secolo scorso la selezione per la 31

29 produzione del latte. Dall'Isola, in cui è l'unica razza allevata, si è progressivamente diffusa soprattutto nelle regioni centrali (Toscana, Umbria, Lazio e Marche) e meridionali (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata) ma anche in quelle settentrionali (Emilia e Liguria) della Penisola e nei paesi circummediterranei (Grecia e Israele). Ha una consistenza numerica ufficiale di capi (di cui pecore), che costituisce il 43% del patrimonio ovino nazionale e l'80% di quello delle razze lattifere. E caratterizzata da: impalcatura scheletrica leggera ma solida; vello bianco (raramente compare il colore recessivo nero o marrone), aperto e costituito da bioccoli appuntiti con filamenti lunghi e midollati; testa leggera e piccola, allungata e distinta, acorne (raramente compare il carattere presenza di corna soprattutto nei maschi, grazie alla selezione operata contro tale carattere recessivo), con profilo quasi rettilineo ed orecchie grandi e laterali; collo allungato e sottile; tronco rettilineo, con profilo dorso-lombare quasi orizzontale (leggermente insellato al dorso); torace e petto stretti ma profondi, con spalle solide soprattutto nei maschi; groppa leggermente spiovente e ventre ampio e voluminoso; arti solidi e robusti con unghioni ben distinti ed appiombi regolari; mammella molto sviluppata, larga e attaccata alta, con emimammelle non distinte e capezzoli piccoli e diretti verticalmente, adatti alla mungitura meccanica (vengono ormai scartate le mammelle globose, con capezzoli laterali e diretti in avanti); testicoli grandi, lunghi e pendenti; coda lunga e lanosa; taglia (cm 70 negli arieti e 65 nelle pecore) e mole (kg 65 e 45, rispettivamente) piccole, anche se attualmente tali pesi tendono ad aumentare per effetto sia della selezione che del migliore regime alimentare. La produzione lattea (l 120±30 in 100 d nelle primipare, 190±40 nelle secondipare e 210±50 nelle pluripare in 180 d) ed i contenuti lipidico (6,7%) e proteico (5,8%) non sono elevati in assoluto, ma, considerate le difficili condizioni di allevamento, sono da ritenersi buoni. La produzione della carne è scarsa (kg 3,5 4 nei maschi e 3 3,5 nelle femmine, alla nascita; e 15 17, rispettivamente, a 90 d), con resa alla macellazione bassa (55 58% negli agnelli, alla romana), ma di ottima qualità e molto apprezzata dal consumatore soprattutto nei periodi natalizio e pasquale. La produzione della lana è di modesta entità (kg 1,8 2 negli arieti e 1,2 1,5 nelle pecore) e di pessima qualità. La precocità è buona (primo parto a 15 mesi) e la prolificità variabile ( %, a seconda delle condizioni ambientali di allevamento: purtroppo è sempre stata praticata la selezione contro tale carattere per la difficoltà delle pecore allevate in ambienti difficili ad allattare adeguatamente i gemelli, anche se la multiparità è un carattere positivamente correlato con la 32

30 produzione lattea e carnea). La razza è molto rustica e quindi resistente alle avversità climatiche, buona camminatrice e quindi ottima pascolatrice anche nelle zone non pianeggianti, longeva e fertile. Essa è di ottima mungibilità manuale ma, soprattutto negli animali poco selezionati, di difficile mungibilità meccanica a causa della conformazione globosa della mammella, preferita nelle zone cespugliate di origine, perchè più resistente ai traumi meccanici. Non esistendo più la transumanza tradizionale ma, limitatamente ad alcune zone, soltanto la piccola transumanza, è attualmente allevata in pianura ed in collina ad altitudini inferiori a m 500; il sistema di allevamento può essere completamente brado (senza ricoveri neppure durante la notte e l estate) oppure semibrado, ma sempre con grande ricorso al pascolo, che costituisce di fatto la principale fonte alimentare; raramente, e soltanto nelle zone completamente o parzialmente irrigue, è praticato l allevamento stallino. La consistenza degli allevamenti è molto variabile: da qualche centinaio di capi nelle zone a struttura fondiaria frammentata dei Campidani della Sardegna, a capi nelle aziende fra i ha, sino ad oltre il migliaio di capi nelle aziende di buone dimensioni e/o con appezzamenti irrigui. La produzione lattea, nonostante la lunga e costosa azione di selezione, è ancora insoddisfacente, a causa della scarsa rilevanza del miglioramento genetico sinora ottenuto nella popolazione. La produzione della carne, che contribuisce mediamente per il 20 25% alla formazione della PLV aziendale, è modesta sia per la scarsa attitudine della razza verso tale carattere, sia per la limitata diffusione delle tecniche dell allattamento artificiale e dell incrocio industriale, che consentirebbero la produzione dell agnello pesante da latte e/o dell'agnellone precoce. La razza Comisana. E, per consistenza numerica ( capi, di cui pecore) e per diffusione territoriale (Sicilia, Italia meridionale e centrale), la seconda razza italiana da latte; è originaria di Comiso (RG), da cui prende il nome. E caratterizzata da: taglia (cm 80 negli arieti,e 70 nelle pecore) e mole (kg 80 e 50, rispettivamente) medie; vello bianco, aperto, con bioccoli conici; testa fine, allungata e leggera di colore rosso o marrone; torace e petto stretti, ma profondi; groppa inclinata e coda molto lunga; mammella allungata. La produzione lattea è di l 100±30 in 100 d nelle primipare, 160 ± 60 nelle secondipare e 170±50 nelle pluripare in 180 d, con un contenuto lipidico del 6,5% e proteico del 5,2%. L'attitudine alla produzione della carne è mediocre (il peso alla nascita è di kg 3,5 4 nei maschi e 3 3,5 nelle femmine; quello a 90 d di kg e 15 18, 33

31 rispettivamente). L età al primo parto è di mesi, la prolificità del 150%; la produzione della lana, di qualità grossolana, è di kg 2,5 negli arieti ed 1,5 nelle pecore. La razza Massese, originaria di Massa-Carrara da cui prende il nome, è diffusa nell Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio) ed ha una consistenza di capi ( pecore). E caratterizzata da: taglia media (cm 85 negli arieti e 75 nelle pecore) e mole grande (kg 90 e 65, rispettivamente); impalcatura scheletrica robusta; vello grigio, aperto con bioccoli conici; testa grande e montonina, con corna nere sempre presenti nel maschio, a volte assenti nelle femmine. La produzione lattea è di l 120±20 in 100 d nelle primipare, 140±30 nelle secondipare e 150±20 nelle pluripare in 150 d, con contenuto lipidico del 6,2% e proteico del 5,3%. La razza ha buona produzione lattea ma scarsa persistenza di lattazione, per cui si adatta molto bene alla intensificazione dei cicli riproduttivi (interparti brevi di 8 mesi, con tre parti ogni due anni) di norma concentrati in settembre, aprile e dicembre. La produzione della carne è media (peso alla nascita di kg 4,5 5 nel maschio e 3 4 nella femmina). La produzione della lana, di kg 2 negli arieti e 1,2 nelle pecore, è molto scadente ed adatta per materassi; la precocità è media (primo parto a 15 mesi), la prolificità è bassa (135%). La razza Pinzirita, di probabile derivazione asiatica e diffusa nelle zone montane della Sicilia, è caratterizzata da: mole piccola (kg 70 nei maschi e 45 nelle femmine); testa di colore bianco picchiettata di nero o marrone; tronco con linea dorso lombare quasi rettilinea; mammella globosa con capezzoli piccoli; produzione lattea bassa (l 80±25 in 100 d nelle primipare e 120±30 nelle secondipare e 130±30 nelle pluripare in 180 d); produzione di carne discreta (kg 4 5 alla nascita, con buon ritimo di accrescimento); fertilità media (85%) e prolificità bassa (130%). La razza Valle del Belice, derivata dalle razze Pinzirita, Comisana e Sarda e diffusa soprattutto nella Sicilia occidentale, è caratterizzata da: taglia media, testa fine e allungata, tronco sviluppato e vello bianco aperto; buona produzione lattea (l 145 nelle primipare, 210 nelle secondipare e 215 nelle pluripare con il 6% di grasso e il 5,5% di proteina); buona produzione di carne (kg 4-4,5 nei maschi e 3-3,5 nelle femmine, alla nascita; kg 20 e 15 rispettivamente, a 90 d); buona fertilità (95%) e prolificità (145%). La razza Delle Langhe, originaria delle Langhe (Piemonte) ed allevata in piccoli allevamenti semibradi quasi esclusivamente in Piemonte e Liguria, è una razza di scarsissima consistenza ( capi) ed è ormai avviata a diventare reliquia. E caratterizzata da: taglia grande (cm 85 negli arieti e 34

32 75 nelle pecore) e mole elevata (kg 90 e 70, rispettivamente); vello bianco, aperto, con bioccoli ondulati; testa montonina acorne, con orecchie lunghe, grandi e cadenti. La produzione lattea è di l 85 ± 40 nelle primipare in 100 d, 120 ± 60 nelle secondipare e 140 ± 70 nelle pluripare in 180 d, con contenuto lipidico del 6,5% e proteico del 5,5.%. La razza Leccese, di origine asiatica ed allevata nella penisola salentina (BR, LE), ha una consistenza di capi. E' caratterizzata da: taglia media (cm 75 negli arieti e 65 nelle pecore) e mole piccola (kg 60 e 45, rispettivamente); vello bianco o nero; testa leggera, acorne, con orecchie piccole. La produzione lattea è scarsa (l 65±15 in 120 d nelle primipare, 105±35 nelle secondipare e 105±30 nelle pluripare in 150 d), con contenuto lipidico del 7% e proteico del 6%. La produzione della carne è modesta (peso alla nascita di kg 3,5 4 nei maschi e 2,8 3 nelle femmine; a 90 d, di kg e 15 17, rispettivamente). La produzione della lana, di media qualità, è di kg 3 e 2, rispettivamente. La precocità e la prolificità sono scarse (16 mesi e 125%). La razza Altamurana, originaria di Altamura (BA), è ormai ridotta a reliquia (8.000 capi); ha taglia media e mole piccola, scarsissima produzione lattea (kg 40 nelle primipare e 60 nelle pluripare) LE RAZZE ESTERE. Sono principalmente le razze: Frisona, Awassi, Churra, Manchega, Lacaune, Prealpina, Corsa. La razza Frisona, originaria della Frisia, è la più importante razza da latte estera; è allevata in purezza oppure per insanguare altre razze da latte allo scopo di aumentarne sia la produzione lattea che quella carnea. E caratterizzata da: taglia (cm negli arieti e nelle pecore) e mole (kg 90 e 70, rispettivamente) molto elevate; impalcatura scheletrica solida; testa grande e acorne, con profilo montonino accentuato; vello bianco merinizzato a bioccoli compatti; tronco cilindrico allungato, con buon sviluppo dei diametri trasversali; coda corta e sottile; mammella ben sviluppata, con capezzoli piccoli e di buona mungibilità meccanica, ma di difficile mungibilità manuale. La produzione lattea è molto elevata (kg nelle pluripare, in 280 d), con un buon contenuto lipidico (6%) e proteico (4,5%). La produzione della carne è buona (peso alla nascita kg 4,5 5 nei maschi e 3,5 4 nelle femmine; a 90 d kg 22 e 18, rispettivamente), con rese alla macellazione del 60% alla romana e del 54% in carcassa. La produzione della lana, di media qualità, è di kg 3 negli arieti e 2 nelle pecore. La precocità è elevata. E una razza molto produttiva, che richiede però condizioni ambientali, sia climatiche che pedologiche che alimentari, molto buone e presenta qualche difficoltà al parto (distocie del 5 10%) anche per l elevato peso alla nascita degli agnelli. Essa può 35

33 essere utilizzata per il meticciamento selettivo, preferibilmente con un insanguamento non superiore al 50%, con altre razze da latte (Sarda, Awassi etc.). La razza Awassi è la razza da latte israeliana; deriva da incrocio e successiva selezione fra la razza locale a coda grassa e le razze Sarda e Frisona, attuati allo scopo di ottenere una razza resistente al caldo e, nel contempo, buona produttrice di latte. E di grande taglia e mole, di elevata attitudine alla produzione del latte (kg nelle pluripare) e della carne. Le razze Francesi sono: la razza Corsa, allevata in Corsica e molto simile alla Sarda, da cui deriva, ma di minor livello produttivo; la razza Prealpina, allevata nelle Prealpi del sud; la razza Lacaune, che è la più importante ( capi) e più produttiva razza da latte francese (l 260 nelle pluripare), utilizzata per produrre quasi esclusivamente il formaggio Roquefort nelle omonima regione. Le razze Iberiche (Lechere) sono la Churra e la Manchega, originarie rispettivamente della Meseta e della Mancia ed allevate nelle zone ovinicole del Paese LE RAZZE DA CARNE E/O DA LANA Le razze da carne possono essere: specializzate da carne, nelle quali tale attitudine è predominante, ma quasi sempre associata ad una buona attitudine alla produzione della lana, almeno sotto l aspetto quantitativo; specializzate da lana, nelle quali l attitudine alla produzione della carne, seppur secondaria, è sempre consistente; razze prolifiche, in cui la produzione della carne assume, anche se indirettamente, un ruolo fondamentale LE RAZZE SPECIALIZZATE DA CARNE Esse, qualunque sia la loro attitudine alla produzione della lana, sono caratterizzate da: impalcatura scheletrica molto solida, ma non grossolana; grande mole (kg negli arieti, nelle pecore), non sempre associata a grande taglia (spesso infatti sono molto atterrate); grande sviluppo dei diametri trasversali e delle masse muscolari, soprattutto del treno posteriore (groppa, coscia e natiche molto rotonde); testa piccola, larga e montonina, più frequentemente acorne, con orecchie piccole e orizzontali; collo corto e muscoloso; tronco cilindrico e allungato, con linea dorso-lombare orizzontale; petto e torace molto sviluppati; spalla, dorso, lombi e groppa molto larghi e muscolosi; addome retratto; arti corti, robusti e verticali; mammella piccola e rotondeggiante e testicoli grossi. Queste razze presentano ritmi di accrescimento elevati ( g/d sino ai tre mesi), ottime rese 36

34 alla macellazione (60 65% in carcassa), con prevalenza di tagli pregiati; grande tenerezza e sapidità delle carni e spesso anche alta prolificità ( %). Esse sono classificate, a seconda della provenienza geografica, in razze: italiane, francesi, britanniche e germaniche. Le razze italiane ufficialmente considerate da carne in effetti non lo sono in quanto prive generalmente delle caratteristiche tipiche degli animali da carne: sono infatti di grande taglia, ma non sempre di grande mole, e vengono utilizzate per produrre carne soprattutto per mezzo dell incrocio industriale con razze estere specializzate da carne. Esse sono le razze: Appenninica, Barbaresca, Bergamasca, Biellese, Laticauda, Fabrianese e Merinizzata italiana. La razza Appenninica, autoctona dell Umbria e diffusa nelle zone appenniniche collinari, (soprattutto umbre, toscane e meridionali) ove è allevata in piccoli e medi allevamenti semiestensivi, ha una consistenza numerica di capi. E caratterizzata da: scheletro robusto, vello bianco aperto o semiaperto; taglia elevata (cm 75 negli arieti e 70 nelle pecore), mole media (kg 80 e 55, rispettivamente); testa acorne, tronco lungo e groppa lunga e larga. La produzione della carne è media (alla nascita, kg 3,5 4 nei maschi e 3 3,5 nelle femmine; a 90 d, kg e 20 22, rispettivamente). La produzione della lana, molto grossolana, è di kg 2,5 e 1,5, nei due sessi. La razza ha ottima attitudine materna, buona rusticità e buon ritmo di accrescimento che la rendono adatta a produrre: in purezza, l agnello pesante da latte; in incrocio, l agnellone leggero. La prolificità è bassa (130%). La razza Barbaresca, derivata dall incrocio fra la razza nordafricana Barbaresca e la locale Pinzirita e diffusa in Sicilia e nelle regioni meridionali, ha scarsa consistenza ( capi). E caratterizzata da: impalcatura solida, taglia (cm 85 negli arieti e 80 nelle pecore) e mole (kg 100 e 65, rispettivamente) medie; vello bianco con macchie nere, aperto; testa robusta e montonina; tronco ampio e sviluppato, arti lunghi. La produzione della carne è media (alla nascita, kg 4 5 nei maschi e 3,5 4,5 nelle femmine; a 90 d, kg 25 e 20, rispettivamente), con rese basse e tagli scadenti. La produzione della lana, di scadente qualità, è di kg 6 e 3, rispettivamente. La razza ha buona attitudine materna, notevole rusticità, media precocità (primo parto a 15 mesi) e buona prolificità (140%). E adatta per l incrocio industriale con razze da carne. La razza Bergamasca, di origine sudanica (Africa) ed allevata nell arco alpino (soprattutto in provincia di Bergamo) ed appenninico sia in purezza che in incrocio, tanto in forma stanziale quanto transumante, ha ridotta consistenza ( capi) ed è utilizzata soprattutto per incrocio. E 37

35 caratterizzata da: ossatura grossolana, taglia (cm 90 negli arieti e 80 nelle pecore) e mole (kg 120 e 80, rispettivamente) grandi; vello bianco semiaperto; testa acorne, lunga e montonina, con orecchie lunghe e cadenti; tronco lungo, petto largo, groppa inclinata ed arti molto sviluppati. La produzione della carne è media (alla nascita, kg 3,5 4,5 nei maschi e 3 4 nelle femmine; a 90 d, kg 30 e 28, rispettivamente), con ritmo di accrescimento non elevato ma prolungato e bassa resa (55%) per eccessivo sviluppo della testa, della pelle e degli arti. La produzione della lana è di kg 5 e 4, nei due sessi. La razza è ottima pascolatrice e quindi adatta a utilizzare zone marginali; presenta qualche difficoltà di parto, ma ha buona attitudine materna e buona prolificità (150%). La razza Biellese, anch essa di origine sudanica, è allevata nelle zone alpine del Piemonte in piccoli greggi (BI) ed ha scarsa consistenza ( capi). E caratterizzata da: ossatura grossolana, vello bianco aperto, taglia (cm 85 negli arieti e 80 nelle pecore) e mole (kg 100 e 80, rispettivamente) grandi; testa grossolana, montonina e acorne, con orecchie grandi e pendenti; tronco lungo e profondo; groppa larga e spiovente; arti grandi. La produzione della carne è media (alla nascita, kg 4 5 nei maschi e 3,5 4,5 nelle femmine; a 90 d, kg 25 e 23, rispettivamente), con rese basse (55%) e tagli scadenti. La produzione della lana, di scadente qualità, è di kg 3,5 e 3, nei due sessi. La razza ha discreta attitudine materna e buona rusticità. La razza Laticauda, originata dalla razza nord-africana Barbaresca per incrocio con la razza Appenninica e successivo meticciamento, è allevata in Campania in piccoli greggi ed ha consistenza ridotta ( capi). E caratterizzata da: impalcatura scheletrica robusta; taglia grande (cm 80 negli arieti e 70 nelle pecore) e mole media (kg 95 e 70, rispettivamente); vello bianco con bioccoli prismatici; testa pesante, montonina e acorne, con orecchie grandi rivolte in basso; tronco lungo e largo, con linea dorso-lombare rettilinea; torace ampio e profondo, groppa larga e spiovente ed arti solidi. La attitudine alla produzione della carne è buona (alla nascita, kg 4 5 nei maschi e 3,5 4 nelle femmine; a 90 d, kg 25 e 22, rispettivamente, con buona resa alla macellazione). La produzione della lana, di qualità grossolana, è di kg 3 e 2. La razza ha buona attitudine materna, grande precocità (primo parto a 12 mesi) ed elevata prolificità (180%). E particolarmente adatta per l incrocio industriale. La razza Fabrianese, derivata dall incrocio fra la razza Appenninica e la razza Bergamasca ed originaria delle Marche (Fabriano), ha scarsissima consistenza ( capi). E caratterizzata da: impalcatura robusta e grossolana; taglia grande (cm 80 negli arieti e 70 nelle pecore) e mole media 38

36 (kg 90 e 70, rispettivamente); vello bianco, semiaperto; testa pesante e montonina, acorne, con orecchie grandi; tronco lungo, con treno posteriore più sviluppato; arti robusti. La produzione della carne è media (alla nascita, kg 4 5 nei maschi e 3,5 4,5 nelle femmine; a 90 d, kg 28 e 25, rispettivamente), con rese medie. La produzione della lana, di scadente qualità, è di kg 4 e 2,5. Presenta rusticità, precocità (primo parto a 13 mesi) e prolificità (160%) buone. Assieme alla Laticauda, è una delle razze italiane con maggiore attitudine alla produzione della carne. La razza Merinizzata italiana, derivata dalle razze da carne italiane e Merino e diffusa nelle zone appenniniche, è caratterizzata da: testa grande; tronco lungo, largo e cilindrico; vello bianco serrato; buona produzione di carne (kg 4 alla nascita e 25 a 90 d) e di lana (kg 6,5 nei maschi e 3,5 nelle femmine); buona fertilità (95%) e media prolificità (130%). Le razze francesi sono fra le migliori del mondo per mole, resa alla macellazione, qualità della carcassa e delle carni. Esse sono in genere derivate da razze locali merinizzate e successivamente incrociate con razze da carne inglesi. Le principali sono le razze: Ile de France e Berrichon du Chèr. La razza Ile de France, derivata dall'incrocio fra la razza inglese da carne Leicester e la razza francese da lana Rambouillet e successivo meticciamento selettivo, è originaria del Dipartimento francese omonimo ed è diffusa nella Francia centrale, ove è allevata in greggi di buona dimensione ( capi). E' la più importante razza da carne francese, ha una consistenza di circa capi ed è utilizzata in purezza per la produzione dell'agnello da latte (kg 12 15), dell'agnellone precoce (kg 30 35) e dell'agnellone pesante (kg 40 50), ma soprattutto come razza incrociante nell'incrocio industriale con razze da latte e rustiche. E' caratterizzata da: impalcatura scheletrica solida; taglia non elevata (cm 78 negli arieti e 70 nelle pecore), ma mole elevata (kg 120 e 80, rispettivamente); vello bianco a bioccoli chiusi ricoprente tutto il corpo, ad eccezione degli arti e della faccia; testa larga acorne, con profilo rettilineo e orecchie grandi; collo corto e tozzo; tronco ampio, lungo e largo; petto e torace larghi e profondi; dorso lungo e largo; groppa lunga e orizzontale; coscia muscolosa e sviluppata; ventre retratto; arti regolari e robusti. La produzione della carne è caratterizzata da: peso alla nascita elevato (kg 4 5 nei maschi e 3 4 nelle femmine), ritmo di accrescimento prolungato (g/d nei maschi e nelle femmine, nei primi 3 mesi), resa alla macellazione molto elevata (65%), con tagli e qualità eccezionali. La produzione della lana è di kg 5,5 nei maschi e 4 nelle femmine, di buona qualità (25µ). La razza presenta precocità media 39

37 (15 18 m al 1 parto), buona prolificità (150%), discreta attitudine materna e facilità di parto; essendo però molto delicata e poco resistente alle alte temperature ed alle sue variazioni repentine, ha difficoltà di adattamento, soprattutto negli allevamenti semiestensivi, nel periodo di monta; è particolarmente adatta all'incrocio industriale con le razze da latte per la produzione sia dell'agnello pesante da latte che dell'agnellone precoce. La razza Berrichon du Chèr, originaria della regione del Berry da cui prende il nome e derivata dall'incrocio fra la razza inglese da carne Dishley e la razza francese da lana Rambouillet, è molto simile alla razza Ile de France sia sotto l'aspetto somatico (ne differisce soprattutto per lo sviluppo del vello, che non arriva a coprire la testa, e per la minore robustezza e sviluppo dei diametri trasversali) che attitudinale (è più rustica ma meno produttiva, in quanto il ritmo di accrescimento è più contenuto, la resa alla macellazione leggermente più bassa e la qualità della carne di poco inferiore). E' adatta all'incrocio industriale anche in condizioni ambientali difficili. Le razze inglesi sono caratterizzate da mole grande e taglia elevata e da lana di buona qualità. Le principali sono le razze: Suffolk, Dorsetdown, Southdown. La razza Suffolk, originaria della contea di Norfolk (UK) e derivata dall'incrocio fra le due razze inglesi Norfolk e Southdown, è diffusa in Inghilterra ed in Australia. E' caratterizzata da: ossatura robusta e corpo cilindrico; testa e arti neri; vello bianco compatto; taglia e mole elevate (cm 80 negli arieti e 74 nelle pecore e kg 120 e 90, rispettivamente). La produzione della carne è buona, sia per ritmo di accrescimento, che per resa alla macellazione, che per qualità della carcassa. La produzione della lana è media (kg 3 e 2,5) e di buona qualità. E' utilizzata per l'incrocio industriale. La razza Dorsetdown, originaria della contea di Dorset e derivata dall'incrocio fra le razze Dorset e Southdown, è diffusa in Gran Bretagna, Francia, Sud America e Australia. E' caratterizzata da: mole media (kg 80 negli arieti e 50 nelle pecore); vello bianco con bioccoli serrati; testa acorne marrone. E' una razza precoce, prolifica e con buona attitudine materna. La razza Southdown, originaria del Sussex e considerata la più antica razza da carne inglese, è caratterizzata da: mole grande (kg 100 negli arieti e 90 nelle pecore); impalcatura scheletrica leggera, con tronco ampio; vello bianco o grigio e testa nera acorne; notevole precocità somatica e buone fertilità e prolificità. Le razze germaniche sono caratterizzate da: taglia molto elevata e mole grossa, impalcatura scheletrica solida ed elevata rusticità; il ritmo di accrescimento, la resa alla macellazione, le 40

38 caratteristiche delle carcasse e la qualità delle carni sono inferiori sia alle razze francesi che a quelle inglesi. Esse sono principalmente le razze Württenberg e Texel. La razza Württenberg o Merinolandschaft, derivata dall'incrocio fra la razza locale e le razze merino francesi e spagnole, è caratterizzata da: grande mole (kg negli arieti e nelle pecore); vello bianco con bioccoli prismatici; tronco allungato. Ha buona attitudine alla produzione della carne, buona resa alla macellazione, discrete prolificità (130%) e attitudine materna. Le produzione di lana è di kg 5 6 negli arieti e 4 4,5 nelle pecore. La razza è adatta per l'incrocio industriale con razze rustiche e da latte e per l'allevamento estensivo anche nelle regioni meridionali. La razza Texel, originaria dell'isola omonima (NL) è caratterizzata da: grande taglia e mole (kg 120 negli arieti e 90 nelle pecore); buona rusticità e prolificità LE RAZZE SPECIALIZZATE DA LANA Le razze specializzate da lana, attualmente allevate in tutto il mondo anche per la produzione della carne, soprattutto in seguito alla crisi laniera, sono tutte derivate dalla razza Merino spagnola o dalla sua variante francese Rambouillet. Esse sono caratterizzate da: mole non elevata, buona attitudine materna e lana ovviamente eccellente, sia come qualità che come quantità. Le principali sono le razze Merino allevate in tutto il mondo come tali (Spagna, Argentina, Australia) oppure come derivate da incrocio e successivo meticciamento fra la merino spagnola originaria e le diverse razze locali (Regno Unito, Francia, Germania e Italia). In Italia sono allevate, ma sempre con minore diffusione, le due razze merinizzate italiane: Gentile di Puglia, Sopravissana. La razza Gentile di Puglia, originaria della Daunia (FG) e derivata da meticciamento selettivo fra i vari ceppi di merino e la razza pugliese locale, è diffusa in tutte le regioni meridionali d'italia; essa è allevata in greggi di dimensione medio-grande per lo più transumanti verso l'appennino ed ha una consistenza numerica ridotta ( capi). E' caratterizzata da: mole piccola (kg 70 negli arieti e 45 nelle pecore) e taglia media (cm 70 e 60, rispettivamente); testa con corna robuste e spiralate; vello bianco a lana finissima con bioccoli prismatici. La produzione della lana, di qualità eccellente, è di kg 6 negli arieti e 4 nelle pecore. La produzione della carne è media (kg 3 4 nei maschi e 2,5 3,5 nelle femmine, alla nascita; 22 e 19, a 90 d); ha buona attitudine materna ed è utilizzata ormai quasi esclusivamente per incrocio industriale come razza incrociata oppure per produrre un trimeticcio con razze da carne in accoppiamento alternato (incrocio a tre vie). 41

39 La razza Sopravissana, originaria di Visso (RI) e derivata per incrocio e meticciamento successivo fra la razza locale appenninica e la razza merino, è diffusa nell'italia centro-meridionale ed ha una consistenza ridotta ( capi). E' caratterizzata da: vello bianco con bioccoli prismatici, taglia media (cm 70 negli arieti e 60 nelle pecore). La produzione della lana, di ottima qualità, è di kg 6,5 e 4,5, rispettivamente e quella della carne è media (kg 3 4 e 2,5 3,5, alla nascita; 22 e 19, a 90 d). 42

40 LE RAZZE PROLIFICHE Le razze prolifiche possono essere considerate indirettamente razze da carne per la loro caratteristica fondamentale che è l'elevata multiparità: la prolificità oscilla infatti fra il 180 e il 250%. Le principali sono le razze: Finnish e Romanov. La razza Finnish (finnica), originaria della Finlandia, è poco diffusa in Italia per la scarsa adattabilità al clima italiano ed alle condizioni in genere difficili; presenta grande mole, vello bianco, testa acorne. La razza Romanov (rumena), originaria della Bessarabia e più adattabile della precedente, è molto prolifica (anche 3 agnelli per parto); ha vello grigio e testa nera acorne, mole piccola, grande attitudine materna e buona rusticità. Entrambe queste razze possono essere utilizzate per l'incrocio industriale con razze incrocianti da carne: la prima esclusivamente nelle regioni settentrionali, la seconda anche nelle regioni meridionali LE RAZZE CAPRINE Le razze caprine (Capra hircus) deriverebbero per selezione e/o meticciamento principalmente dai seguenti tre progenitori: C. aegagrus, il Bezoar asiatico, ridotto ormai alle zone montuose dell'asia minore; C. prisca, la capra carpatica e balcanica, ormai estinta; C. falconeri, il markor del kashmir. Esse vengono classificate in razze: alpine o europee, di origine alpina oppure pirenaica, tipo Saanen, Alpina, Toggenburg; asiatiche, di origine centroasiatica, tipo Angora e Kashmir; mediterranee o africane, tipo Maltese, Siriana, Nubiana ed Egiziana. Poichè in questa specie non esistono razze a prevalente attitudine alla produzione della carne, le razze sono classificate in: razze specializzate, ovviamente per la produzione del latte; razze rustiche che non hanno specializzazione produttiva; e, infine, razze da pelo o fibra. Prospetto Classificazione delle principali razze caprine Razze specializzate Saanen, Alpina, Toggenberg, Appenzel, Poitevine, Granadina; Maltese, Jonica, Girgentana, Siriana. Razze rustiche Razze da pelo Garganica, Sarda. Angora, Mongolica LE RAZZE SPECIALIZZATE 43

41 Le razze specializzate da latte sono caratterizzate da: impalcatura scheletrica solida, ma leggera; conformazione somatica di tipo lattifero; testa leggera con o senza corna e tettole; tronco trapezoidale allungato, con groppa inclinata, ventre voluminoso e mammella sviluppata; arti solidi. Le principali sono le razze: Saanen, Alpina, Toggenburg, Appenzel, Poitevine, Granadina, Maltese, Girgentana, Ionica e Siriana. La razza Saanen, appartenente al gruppo alpino ed originaria della Svizzera, è diffusa in tutto il mondo ed è la più importante razza specializzata; in Italia ha una consistenza di capi ed è allevata in allevamenti di tipo intensivo soprattutto nelle regioni settentrionali. E' caratterizzata da: mantello bianco rosato a pelo corto; testa piccola spesso acorne e collo robusto; profilo dorsolombare orizzontale; torace ampio e addome sviluppato; taglia grande (cm 85 nei becchi e 75 nelle capre) e mole grossa (kg 90 e 60, rispettivamente). L attitudine alla produzione del latte è elevata: l 300 nelle primipare in 150 d, 500 nelle secondipare, 600 nelle pluripare in 210 d, con contenuto lipidico del 3% e proteico del 2,5%. La produzione della carne è rappresentata dal capretto da latte macellato a 45 d di età; il peso alla nascita è di kg 4 4,5 nei maschi e 3,5 4 nelle femmine, quello a 90 d, di 20 e 17, rispettivamente. La razza è molto precoce (1 parto a 13 mesi) e prolifica (160%) ed è adatta agli allevamenti semintensivi e soprattutto intensivi delle regioni settentrionali. La razza Alpina, in Italia ufficialmente denominata Camosciata delle Alpi ed appartenente anch'essa al gruppo alpino, è diffusa in tutto il mondo ed è allevata in allevamenti intensivi e semintensivi; in Italia ha una consistenza di capi. E' caratterizzata da: mantello a pelo raso castano scuro con caratteristica riga mulina marrone; taglia media (cm 85 nei becchi e 75 nelle capre) e mole grande (kg 100 e 70, rispettivamente); testa leggera, generalmente con corna nel maschio e senza nella femmina; torace ed addome ampi, groppa inclinata. La produzione lattea è elevata (l 250 nelle primipare in 150 d; 450 nelle secondipare, 550 nelle pluripare in 210 d), con contenuto lipidico del 3,5% e proteico del 3%. La produzione della carne è media (kg 3,5 3,8 nei maschi e 2,5 3,2 nelle femmine, alla nascita; kg 18 e 15, a 90 d). La razza ha elevata precocità (1 parto a 12 mesi) e buona prolificità (160%); è meno produttiva della Saanen, ma leggermente più rustica. La razza Toggenburg, originaria della Svizzera ed appartenente al gruppo alpino, è diffusa in tutto il mondo, ma molto poco in Italia. E' caratterizzata da: mantello bruno, testa acorne, mole (kg 70 nei 44

42 becchi e 55 nelle capre) e taglia (cm 80 e 70, rispettivamente) medie; ha produzioni inferiori alle altre due razze, ma è più rustica e più prolifica. Le razze Appenzel (svizzera), Poitevine (francese) e Granadina (spagnola) sono anch'esse razze specializzate, ma di minor livello produttivo delle precedenti e diffuse quasi esclusivamente nella propria regione di origine. La razza Maltese, appartenente al gruppo mediterraneo e di provenienza siriaca, si è diffusa, attraverso Malta, in tutto il Mediterraneo; ha una consistenza di capi ed è la razza caprina mediterranea più importante. E' caratterizzata: da mantello bianco con pelo lungo; testa nera o marrone acorne, con orecchie grandi e pendenti; ossatura solida ma leggera; taglia (cm 85 nei becchi e 70 nelle capre) e mole (kg 70 e 45, rispettivamente) piccole; tronco allungato, con addome ampio; arti solidi. La produzione lattea è buona (l in 150 d nelle primipare; 280 nelle secondipare e 320 nelle pluripare in 210 d), con un contenuto lipidico del 4,0% e proteico del 3,0%. Il peso dei capretti è di kg 3 3,5 alla nascita e a 90 d. La razza, di media precocità (1 parto a 15 mesi) e di buona prolificità (180%), è adatta, per la sua rusticità, ad essere allevata semiestensivamente nelle zone asciutte e calde delle regioni meridionali. La razza Jonica, originaria dell'arco ionico (TA) e derivata dall'incrocio e successivo meticciamento fra la razza locale e la razza Maltese, è diffusa in Puglia ed ha consistenza modesta ( capi). E' caratterizzata da: mantello bianco o rosato; taglia elevata (cm 80 nei becchi e 70 nelle capre) e mole media (kg 70 e 50, rispettivamente); testa piccola acorne, con orecchie grandi; impalcatura scheletrica solida e robusta, con torace profondo e addome sviluppato. L'attitudine alla produzione del latte è buona (l in 150 d nelle primipare; 300 nelle secondipare, 320 nelle pluripare in 210 d), con contenuto lipidico del 4% e proteico del 3,0%. La produzione della carne è discreta (kg 3 4 nei maschi e 2,5 3,5 nelle femmine, alla nascita; kg 18 e 15, rispettivamente, a 90 d). E' la razza più rustica fra quelle specializzate. La razza Girgentana, originaria di Agrigento e appartenente al gruppo mediterraneo, è allevata in Sicilia e in Calabria; ha scarsa consistenza numerica (5.000) ed è allevata in piccolissimi allevamenti alla periferia dei centri urbani. La razza Siriana, in Italia ufficialmente denominata Derivata di Siria, appartiene al gruppo mediterraneo ed è caratterizzata da mantello marrone a pelo lungo; è molto simile alla Maltese sia per caratteristiche somatiche che per produzioni. 45

43 LE RAZZE RUSTICHE Le razze rustiche sono, più che vere e proprie razze, popolazioni piuttosto eterogenee sia per livello produttivo che per caratteristiche somatiche, ma tutte dotate di grande adattabilità ad ambienti difficili e quindi in grado di valorizzare terreni e zone altrimenti incompatibili con l'attività zootecnica. Esse sono pertanto caratterizzate da: impalcatura scheletrica molto solida e robusta; testa provvista di corna in genere in entrambi i sessi; torace ampio e profondo, con petto sviluppato e addome ampio; mammella piccola e globosa. Le più importanti in Italia sono le razze Garganica e Sarda. La razza Garganica, autoctona del Gargano (FG) ed allevata nelle zone impervie della stessa regione, ha una consistenza di capi. E' caratterizzata da: mantello nero lucente; taglia media (cm 85 nei becchi e 75 nelle capre) e mole piccola (kg 55 e 35, rispettivamente); testa piccola, provvista di corna in entrambi i sessi; petto largo, lombi forti; arti corti e solidi. La produzione lattea è modesta (l 100 nelle primipare, 150 nelle secondipare e 180 nelle pluripare) con il 4% di grasso ed il 3,5% di proteine; la produzione della carne è scarsa (kg 2,5 3,5 nei maschi e 2,2 3,2 nelle femmine, alla nascita; 12 e 11, rispettivamente, a 90 d); la precocità è scarsa (18 mesi) e la fecondità è buona (160%). E' la razza rustica delle zone appenniniche. La razza Sarda, autoctona della Sardegna ed insanguata soprattutto con la razza maltese, è diffusa in tutte le zone montuose dell'isola; ha una consistenza numerica di capi, che costituisce il 25% del patrimonio caprino nazionale. E' caratterizzata da: impalcatura ossea sottile ma solida, mantello di colore variabile; taglia piccola (cm 80 nei becchi e 70 nelle capre) e mole modesta (kg 60 e 45, rispettivamente); testa piccola, con o senza corna; tronco allungato, con torace ampio, ventre voluminoso e groppa inclinata; mammella globosa o piriforme. La produzione lattea è modesta (l 120 nelle primipare in 150 d, 180 nelle secondipare e 200 nelle pluripare in 210 d) ma con contenuto lipidico (4,5%) e proteico (4%) elevati. La produzione della carne è modesta (kg 3 3,5 nei maschi e 2,5 3 nelle femmine, alla nascita; kg 14 e 11, rispettivamente, a 90 d), ma di qualità eccellente. La precocità (1 parto a 18 mesi) e la prolificità (130%) sono modeste in assoluto, ma buone se si tiene conto delle difficilissime condizioni di allevamento. E' una razza molto rustica, resistente alle avversità climatiche, adatta alle zone orograficamente più impervie e quindi capace di valorizzare territori non utilizzabili con altre attività zootecniche LE RAZZE DA PELO 46

44 Le razze da pelo sono razze di taglia (cm 60 nei becchi e 50 nelle capre) e mole (kg 50 e 30, rispettivamente) molto piccole, nelle quali la produzione pilifera, assai simile alla lana ovina, è utilizzata per filati particolari di grande valore commerciale, quali angora o mohair nella razza Angora (originaria della Turchia) e cashmir nella razza Mongolica (originaria del Tibet). Riferimenti bibliografici FAO. Yearbook Production, 54, ISTAT. Censimento Generale dell Agricoltura, INEA. Annuario dellagricoltura Italiana, LV, BONADONNA T. - Etnologia zootecnica. VI UTET (TO), PARIGI-BINI R. - Le razze bovine. PÀTRON (BO), BALASINI D. Razze bovine da carne. EDAGRICOLE (BO), VARI - Atlante etnografico delle popolazioni bovine allevate in Italia. CNR (Roma), BRANDANO P. E COLL. - La razza bovina bruno-sarda. ARA (CA), BRANDANO P. E COLL. - Le razze bovine rustiche della Sardegna. Chiarella (SS), PULINA G. E COLL. - La pecora sarda. Agr. Inf. 7/8, BRANDANO E COLL. - La capra sarda. Ann. Fac. Agr. Univ. SS, ASSONAPA - Le razze ovine e caprine in Italia. ASSONAPA (Roma),

45 LE PRINCIPALI RAZZE DEI RUMINANTI 48

46 Razza Frisona (fonte: ANAFI) Razza Bruna (fonte: ANARB, Oklahoma University) Razza Jersey (fonte: Oklahoma University) Razza Guernsey (fonte: Oklahoma University.) Razza Ayrshire (fonte: Oklahoma University) 49

47 Razza Pezzata Rossa (fonte: ANAPRI) Razza Piemontese (fonte: ANABoRaPi,) Razza Chianina (fonte: ANABIC) Razza Marchigiana (fonte: ANABIC) Razza Romagnola (fonte: ANABIC) 50

48 Razza Charolaise (fonte: INRA) Razza Limousine (fonte: INRA) Razza Shorthorn (fonte: Oklahoma University) Razza Hereford (fonte: Oklahoma University) Razza Aberdeen Angus (fonte: Oklahoma University) 51

49 Razza Maremmana (fonte: ANABIC) Razza Podolica (fonte: ANABIC) Razza Modicana (fonte: MIPAF) Razza Bruno - Sarda (fonte: Brandano et al.) Razza Sarda (fonte: Brandano) 52

50 Razza Normanna (fonte: INRA) Razza Blu Belga (fonte: EAAP) Razza Santa Gertrudis (fonte: Oklahoma University) Razza Brahman (fonte: Oklahoma University) Specie Bufalina (fonte: ISZ, Roma) 53

51 Razza Sarda (fonte: ASSONAPA) Razza Comisana (fonte: ASSONAPA) Razza Massese (fonte: ASSONAPA) Razza Valle del Belice (fonte: ASSONAPA) Razza Frisona (fonte: INRA) 54

52 Razza Pinzirita (fonte: ASSONAPA) Razza Appenninica (fonte: ASSONAPA) Razza Laticauda (fonte: ASSONAPA) Razza Bergamasca (fonte: ASSONAPA) Razza Fabrianese (fonte: ASSONAPA) 55

53 Razza Ile de France (fonte: INRA) Razza Berrichon du Chèr (fonte: INRA) Razza Suffolk (fonte: EAAP) Razza Wurttemberg (fonte: EAAP) Razza Texel (fonte: EAAP) 56

54 Razza Gentile di Puglia (fonte: ASSONAPA) Razza Sopravissana (fonte: ASSONAPA) Razza Merino (fonte: EAAP) Razza Finish (fonte: EAAP) Razza Romanov (fonte: EAAP) 57

55 Razza Saanen (fonte: ASSONAPA) Razza Alpina (fonte: ASSONAPA) Razza Maltese (fonte: ASSONAPA) Razza Jonica (fonte: ASSONAPA) Razza Siriana (fonte: ASSONAPA) 58

56 Razza Girgentana (fonte: ASSONAPA) Razza Sarda (fonte: ASSONAPA, Vacca) Razza Garganica (fonte: ASSONAPA) Razza Toggenburg (fonte: EAAP) Razza Angora (fonte: EAAP) 59

57 2. LE PRODUZIONI Le produzioni economicamente rilevanti delle 4 specie ruminanti allevate in Italia sono: la produzione di latte, la produzione di carne e le produzioni minori LA PRODUZIONE DI LATTE Il latte, che per tutti i mammiferi è l'alimento indispensabile durante la fase giovanile di allevamento (allattamento), nelle 4 specie ruminanti è soprattutto il prodotto ottenuto dalla mungitura che deve essere completa ed ininterrota di una femmina in buono stato di salute ed in fase non colostrale (legalmente da dopo il 15 giorno dal parto, in pratica da dopo il 5 giorno); esso è utilizzato per l'alimentazione umana sia direttamente come latte alimentare (intero oppure parzialmente scremato, in genere previo trattamento termico) o come latte dietetico (per particolari categorie di consumatori), sia dopo fermentazione (latti fermentati), sia infine dopo trasformazione industriale (burro, formaggio, ricotta) con recupero quasi sempre dei sottoprodotti (latte magro, siero e scotta) per l'alimentazione animale. La sua composizione, caratteristica della specie e della razza e variabile in funzione di diversi fattori (genetici, climatici, fisiologici, tecnici, alimentari e igienico-sanitari), è, mediamente, quella riportata nella Tabella Tabella 2.1. Composizione e caratteristiche medie del latte delle 4 principali specie ruminanti. Componente (in %) Bovina Bufalina Ovina Caprina Acqua Residuo secco Lipidi Residuo magro Proteine Caseina Siero-proteine (Albumina + Globulina) Lattosio Minerali Valore energetico in Cal/l Densità Punto crioscopico in C Acidità SH 87.5± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ±3 1030±5 1037±3 1032±2-0.55± ± ± ± ±1 10±1 8.5±1 8±1 60

58 Il contenuto in residuo secco (sostanza secca del latte) è molto variabile, sopratutto per effetto della elevata variabilità del suo principale componente che è il contenuto lipidico, il quale può appunto presentare variazioni molto ampie; il contenuto in residuo magro, che è costituito dalla differenza tra il contenuto in residuo secco ed il contenuto lipidico, è invece abbastanza stabile; il contenuto proteico è meno variabile di quello lipidico e costituisce la principale causa di variazione del contenuto in residuo magro; il contenuto lattosico ed il contenuto minerale sono le componenti meno variabili. Il latte contiene inoltre enzimi, composti aromatici, cellule somatiche; ma può contenere anche microrganismi e, talvolta, sostanze inibenti e inquinanti. Al fine di rendere omologhi, e quindi confrontabili all'interno della stessa specie, dati produttivi diversi per età dell'animale, per durata della lattazione e sopratutto per contenuto energetico del latte, si è stabilito, convenzionalmente, di rapportare la produzione lattea dell'animale alla quantità prodotta in una lattazione di riferimento (5ª per le specie bovina e bufalina, 4ª per le specie ovina e caprina), di durata convenzionale (sempre 305 d nelle specie bovina e bufalina; d nelle primipare e d nelle pluripare delle specie ovina e caprina), con un contenuto lipidico standard specifico per ciascuna specie (4% per la specie bovina; 8% per la specie bufalina; 6,5% per la specie ovina; 3,5% per la specie caprina) secondo specifiche equazioni di regressione che esprimono la produzione, anzichè in latte reale L, in latte normalizzato Ln (il latte normalizzato è la quantità di latte che l'animale avrebbe prodotto, a parità di dispendio energetico, con un determinato contenuto lipidico) calcolato dai vari autori con le seguenti formule (in cui L è la produzione reale e g il contenuto reale di grasso in %): Ln 4 = 0.40 L+15 g L, per la specie bovina (W.L. Gaines); Ln 6,5 = 0.37 L+9.7 g L, per la specie ovina (G. Pulina); Ln 3,5 = 0.63 L+10.5 g L, per la specie caprina (P. Brandano) LE FASI DELLA PRODUZIONE. La produzione del latte, intesa come produzione utilizzabile economicamente dall'uomo e non soltanto come produzione fisiologica dell'animale, si realizza in quattro fasi tre attive (sintesi, secrezione ed eiezione) ed una passiva (rimozione) ed è influenzata da diversi fattori i quali agiscono, oltrechè sulla quantità, anche sulla qualità e conseguentemente sul suo valore commerciale. 61

59 La sintesi del latte. La sintesi del latte, regolata dall'ormone galattogeno adenoipofisario prolattina PRL o luteotropina LTH, avviene principalmente nelle cellule epiteliali degli alveoli, le quali sono cellule specifiche capaci di sintetizzare i vari componenti del latte dopo averne captato i precursori dal plasma sanguigno (è necessario un ciclaggio di moltissimi lt di sangue, da 400 a 600 nei bovini, per produrre 1 kg di latte); gli alveoli sono raggruppati in lobuli, riuniti, a loro volta, in lobi che sboccano nei dotti galattofori, i quali si versano nella cisterna del latte. La sintesi dei vari costituenti avviene con modalità differenti. La sintesi lipidica. I lipidi, contenuti nel latte sotto forma di emulsione (particelle liquide, sospese nel latte, di diametro variabile con la specie da µm 3,8 a 4,4) e formati principalmente da trigliceridi degli acidi oleico, stearico, palmitico e butirrico, derivano: per sintesi mammaria dagli acidi acetico e β- idrossibutirrico, che provengono dal rumine come acidi grassi volatili AGV e pervengono alla mammella attraverso la corrente sanguigna; oppure per inclusione diretta degli acidi grassi ad elevato peso molecolare ( palmitico C 16, stearico C 18 ) veicolati dal sangue (lipoproteine oppure acidi grassi liberi NEFA). La sintesi protidica. I protidi, contenuti nel latte sotto forma di sospensione colloidale (particelle solide piccolissime sospese nel latte) e formati principalmente da caseine, sieroproteine (globuline e albumine) e composti minori, costituiscono mediamente il 95% delle sostanze azotate totali del latte SAT (N x 6,38) e derivano dagli aminoacidi liberi, dalle globuline e dalle albumine ematici: per provenienza diretta, come nel caso delle latto-albumine, di alcune latto-globuline e delle γ-globuline colostrali; per trasformazione mammaria degli aminoacidi ematici, come nel caso delle caseine e delle β-lattoglobuline. La sintesi delle diverse frazioni proteiche (αs1, αs2, β, k-caseine; α, β lattoalbumine; α,β,γ-globuline) è sotto controllo genetico. L'azoto non proteico NPN (quasi il 5% delle SAT), per circa il 50% costituito da urea, deriva invece da prodotti del catabolismo mammario oppure proviene direttamente da analoghi prodotti ematici. La sintesi lattosica. Il lattosio, contenuto nel latte sotto forma di soluzione (particelle solide disciolte nel latte) e formato da glucosio+galattosio, deriva dalla sintesi enzimatica mammaria del galattosio con il glucosio, che è di provenienza ematica ed in gran parte originato dall'acido propionico ruminale. La sua concentrazione è poco variabile ed assieme ai cloruri, al Na ed al K è responsabile della pressione osmotica del latte. 62

60 La sintesi minerale e vitaminica. Tanto i sali minerali quanto le vitamine provengono direttamente dal sangue; nella mammella subiscono soltanto una variazione di concentrazione. La secrezione del latte. La secrezione del latte consiste nel riversamento dalle cellule secretrici al lume dell'alveolo dei composti di neosintesi mammaria (lipidi, caseine e β lattoglobuline, glucidi) e delle altre sostanze emunte dal sangue (sieroproteine ematiche, minerali, vitamine, NPN). Il suo ritmo, da cui dipende sia l'entità che la composizione della produzione giornaliera, pur essendo una caratteristica strettamente individuale (il numero delle cellule secernenti e l'efficienza secretiva di ciascuna di esse sono specifiche dell'animale), è legato anche allo stato di replezione mammaria, il quale aumenta con la secrezione stessa, sicchè questa non ne risente sino alla 9 10ª h dopo la mungitura, ma si riduce progressivamente dopo tale limite sino a cessare del tutto intorno alla 36ª h. La eiezione del latte. La eiezione del latte, regolata dall'ormone ipotalamico neuroipofisario ossitocina OH o MH, consiste nello svuotamento degli alveoli per caduta progressiva del latte nei dotti alveolari, nei dotti galattofori e nella cisterna della mammella: al momento della mungitura o della poppata infatti soltanto il 40% del latte prodotto è già contenuto nei dotti e nella cisterna (latte cisternale), il 60% è ancora trattenuto negli alveoli (latte alveolare) dai quali è appunto rimosso dalla ossitocina, la cui azione è istantanea (45 60 sec) ed il cui effetto è di breve durata (2 8 m'); il rapporto fra le due frazioni varia comunque in funzione dell'ampiezza della cisterna ed è strettamente legato, oltrechè all'individuo, soprattutto alla specie ed alla razza (quelle lattifere, essendo dotate di una cisterna più capiente, sono capaci di accumulare una maggiore quantità di latte cisternale). La scarica ossitocinica è provocata da uno stimolo neurormonale che può essere indotto anche da sollecitazioni esterne quali la poppata (o semplicemente la presenza o addirittura la sola vista) del figlio e/o la mungitura con le operazioni ad essa normalmente connesse (lavaggio e massaggio della mammella, attacco dei gruppi di mungitura, rumore della pompa del vuoto in sala di mungitura, somministrazione dei concentrati etc.). (Le due fasi della secrezione e della eiezione possono essere raggruppate nella fase della emissione). La rimozione del latte. La rimozione del latte dalla mammella, indispensabile oltre che ai fini produttivi anche per la salvaguardia della sanità dell'organo, può avvenire secondo due modalità: per estrazione naturale mediante suzione o poppata del redo o allevo; per raccolta artificiale mediante mungitura manuale oppure meccanica; talvolta le due modalità, come nel caso dell'allattamento naturale materno, si susseguono o addirittura si sovrappongono nel corso della stessa lattazione. 63

61 A causa dell'istantaneità della scarica ossitocinica e della brevità del suo effetto, la poppata e, soprattutto, la mungitura devono essere tempestive e rapide (m' 8 10 nelle specie bovina e bufalina; 1,5 2 nelle specie ovina e caprina), in quanto il latte non rimosso tempestivamente è trattenuto, entro m', dagli alveoli e non è ceduto, neppure dietro sollecitazione, se non dopo una nuova scarica ossitocinica, la quale però difficilmente si verifica prima delle 2 3 ore successive. Il latte presente nella mammella non è mai ceduto completamente nè con la poppata nè, tantomeno, con la mungitura: una parte di esso, variabile individualmente ma aggirantesi intorno al 10 20% del latte totale, è trattenuto nella mammella (latte residuale o di ritenzione fisiologica) e può essere estratto sperimentalmente soltanto con iniezione endovena di ossitocina. La velocita' di rimozione del latte, da cui dipende la rapidità di mungitura e quindi la sua durata e di conseguenza il numero di animali munti per addetto per h, è legata sia a fattori intrinseci all'animale (livello produttivo e quantità di latte prodotto, diametro del dotto papillare ed elasticità dello sfintere, tranquillità e temperamento dell'animale), sia a fattori estrinseci (livello del vuoto, rapporto di pulsazione e frequenza di pulsazione dell'impianto di mungitura). Gli ormoni surrenici (adrenalina e noradrenalina), esercitando effetto limitante o addirittura inibente sulla eiezione del latte, possono causare anche l'arresto della sua rimozione, per cui occorre evitare qualsiasi azione che possa provocare spavento o eccitazione o turbamento all'animale immediatamente prima e/o durante le operazioni di mungitura. Poichè nelle razze lattifere la produzione lattea è sempre grazie all azione di selezione e miglioramento genetico operato da secoli, nonché alle migliori condizioni ambientali e alimentari in cui è praticato attualmente l allevamento animale largamente eccedente rispetto a quella necessaria al soddisfacimento delle esigenze nutritive del redo (produzione fisiologica), essa è diversamente utilizzata, a seconda della specie allevata, nell'industria lattiero-casearia, i cui sottoprodotti sono spesso destinati all'alimentazione animale. Nelle specie bovina e bufalina sino a qualche decennio fa e talvolta ancora oggi, soprattutto in allevamenti semintensivi di basso livello tecnico e con animali di modeste produzioni almeno parte della produzione (5 10 l/d per un periodo 3 4 mesi) era utilizzata per l'allevamento del vitello (mediante allattamento con latte materno poppato direttamente oppure somministrato razionatamente al secchio); attualmente invece tutto il latte prodotto è, in genere, munto ed il vitello è alimentato con succedanei del latte, il cui costo è di molto inferiore (30 40%) al prezzo di vendita del latte. Nelle 64

62 specie ovina e caprina parte della produzione (1 2 l/d per d) è utilizzata ancora oggi, soprattutto negli allevamenti tradizionali semiestensivi, nell'allattamento dell'agnello e del capretto e soltanto dopo la macellazione o lo svezzamento di questi essa è destinata alla mungitura. Nel complesso la rimozione del latte avviene quindi esclusivamente, o almeno prevalentemente, con la mungitura, la quale può essere praticata manualmente oppure meccanicamente: ad eccezione degli allevamenti di dimensioni ridotte ed a tecnologia arretrata, in cui ancora è praticata la mungitura manuale, le razze da latte sono munte ormai quasi ovunque con sistemi meccanici LA MUNGITURA MECCANICA La mungitura, che in una azienda da latte impegna assieme alla preparazione e distribuzione degli alimenti gran parte del tempo (mediamente il 50 70%) del personale, deve essere eseguita secondo tempi, modalità e tecniche adeguate, in quanto da questi dipendono, oltre che la qualità e la quantità di latte prodotto, soprattutto il suo costo di produzione e quindi l'economicità dell'allevamento. Essa deve comunque essere praticata mediamente: in 6 8 m' (non meno di 4 6, per evitare l'incompleta rimozione del latte; non più di 8 10 per evitare l'eccessivo affaticamento ed i conseguenti effetti negativi sulla mammella) nelle specie bovina e bufalina; in 1,5 2 m' (non meno di 1 e non più di 2) nelle specie ovina e caprina. Gli elementi principali da prendere in considerazione per la corretta applicazione della tecnica della mungitura meccanica e per la valutazione dell'efficienza dell'impianto sono: le fasi della mungitura, le parti dell'impianto, i parametri di funzionamento ed il sistema di mungitura. Le fasi della mungitura meccanica. Le fasi della mungitura meccanica sono normalmente costituite dal lavaggio e/o massaggio della mammella, dal controllo del latte, dalla mungitura vera e propria, dal ripasso e stacco dei gruppi di mungitura, dalla disinfezione della mammella e dei gruppi di mungitura. Il lavaggio e il massaggio della mammella. Il lavaggio, spesso eseguito male o addirittura omesso come solitamente avviene nelle specie ovina e caprina, è indispensabile per ripulire la mammella, ed in particolare i capezzoli, dalla sporcizia accumulatavisi principalmente con il decubito dell'animale in stalla o in ovile e per prevenire eventuali masteopatie provocate da germi patogeni aderenti alla mammella; esso è praticato di norma con acqua tiepida, a mano (tecnica che però può facilitare il contagio manuale da un animale all'altro) oppure meccanicamente con spruzzatori sistemati nella 65

63 posta di mungitura oppure ancora automaticamente nella sala di accesso a quella di mungitura come negli impianti più moderni. Il massaggio, non strettamente indispensabile ma utile ai fini della facilitazione della cessione del latte e quindi dell'aumento della velocità di mungitura anche per l'effetto stimolante che ha sulla scarica ossitocinica, é praticato al momento dell'attacco del gruppo di mungitura alla mammella. Le due operazioni richiedono nel complesso un tempo di esecuzione che mediamente oscilla fra sec/capo nei bovini e nei bufalini e 5 10 sec/capo negli ovini e nei caprini. Il controllo del latte. Questa operazione, spesso trascurata o male eseguita per incuria, è della massima importanza pratica ai fini dell'accertamento dell'igienicità del latte e della sanità della mammella; essa consiste nel controllo operato direttamente dal mungitore, all'atto dell'attacco del gruppo di mungitura, di poche gocce di latte provenienti dai singoli capezzoli dei diversi animali, oppure in sistemi di controllo automatici basati sulla rilevante presenza di cellule somatiche o di grumi indicanti un'infezione batterica nel latte: l'animale infetto, o anche semplicemente sospetto, deve essere munto separatamente, curato e tenuto sotto controllo per evitare sia la propagazione dell'infezione ad altri animali, sia ulteriori danni allo stesso animale. L'operazione dura mediamente sec/capo nei bovini e nei bufalini e 5 10 negli ovini e nei caprini. La mungitura vera e propria. E' la fase che va dall'attacco, che è sempre manuale, allo stacco, che può essere manuale o automatico, del gruppo; la sua durata dipende dalla velocità di cessione del latte, che è legata sia alle caratteristiche anatomo-fisiologiche della mammella sia a quelle meccaniche dell'impianto di mungitura, ed oscilla mediamente fra 6 8 min/capo nei bovini e nei bufalini e 1,2 1,5 negli ovini e nei caprini. L'operazione deve essere eseguita a fondo per garantire sia la massima produzione giornaliera che il più alto contenuto lipidico del latte. Il ripasso di mungitura e lo stacco del gruppo. Il ripasso, che consente di estrarre dalla mammella quella parte di latte non rimosso nella fase precedente, può essere manuale oppure meccanico; esso è spesso trascurato nella specie bovina per accelerare la velocità di mungitura, in quanto l'operazione dura mediamente sec/capo; ma non può esserlo in quella ovina soprattutto nelle razze caratterizzate da lentezza di cessione del latte. Lo stacco del gruppo può essere manuale, come nei vecchi impianti, oppure automatico come in quelli più recenti; in tutti i casi però deve essere tempestivo, in quanto la permanenza del gruppo in funzione oltre un certo limite dopo la cessazione 66

64 della rimozione del latte può provocare gravi danni alla sanità della mammella, soprattutto in impianti di vecchio tipo caratterizzati da livello di vuoto spinto e da rapporto di pulsazione elevato. La disinfezione della mammella e dei gruppi di mungitura. Alla fine della mungitura di ciascun animale dovrebbero essere disinfettati sia la mammella che i gruppi di mungitura, questi ultimi per poter essere riutilizzati immediatamente: la disinfezione della mammella è praticata abbastanza frequentemente nelle specie bovina e bufalina, molto raramente in quelle ovina e caprina; la disinfezione dei gruppi, ormai automatizzata nelle specie bovina e bufalina, è invece praticata soltanto alla fine della mungitura di tutto il gregge assieme al lavaggio dell'impianto nelle specie ovina e caprina. Per la disinfezione sono usati prodotti del commercio in soluzione, in genere a base di I e di HCl. Le parti dell'impianto di mungitura meccanica. Qualsiasi impianto di mungitura è composto sempre da una pompa del vuoto, da un collettore del latte, da un pulsatore, da uno o più gruppi di mungitura e da un sistema di refrigerazione del latte. La pompa del vuoto. La pompa del vuoto deve essere capace di creare attorno ai capezzoli una depressione tale da facilitare l'apertura del loro dotto papillare e quindi la caduta del latte dalla cisterna all'esterno. Il pulsatore. Il pulsatore, con l'azione di una opportuna valvola, deve interrompere sistematicamente la depressione creata dalla pompa attorno al capezzolo e ricrearla immediatamente dopo, secondo una alternanza prefissata fra le due fasi sia per frequenza che per durata. Il collettore del latte. Il collettore deve convogliare il latte munto verso un recipiente di raccolta e/o di refrigerazione con un percorso possibilmente breve, rettilineo e ad altezza non superiore a quella della mammella. Il gruppo di mungitura. Il gruppo di mungitura è formato da un complesso di 4 prendi capezzoli per i bovini e i bufalini e di 2 per gli ovini e i caprini, provvisti ciascuno di guaina e manicotto, che viene usato ripetitivamente e variamente a seconda del numero di animali in mungitura; negli impianti più moderni il numero dei gruppi oscilla fra 5 10 e nei bovini e nei bufalini, e fra 6 12 ed 8 16 negli ovini e nei caprini. Il sistema di refrigerazione del latte. Il sistema di refrigerazione è costituito da un contenitore di varia capienza, proporzionato alla produzione giornaliera massima, e da un refrigeratore capace di 67

65 abbassare, entro 1 2 h, la temperatura del latte a 4 5 C e di mantenervela per almeno h; tale temperatura è sufficiente a inibire lo sviluppo batterico senza danneggiare la qualità del latte. I parametri di funzionamento dell'impianto. Il funzionamento di un impianto è legato principalmente ai seguenti tre fattori: il livello del vuoto, la frequenza di pulsazione ed il rapporto di pulsazione. Il livello del vuoto. Il livello del vuoto, dato dalla depressione creata attorno ai capezzoli dall'azione della pompa e misurato in mm di Hg oppure in Pascal, dovrebbe oscillare per tutte le specie intorno ai mm di Hg (corrispondenti a kp): un suo innalzamento favorisce la velocità di efflusso del latte, ma può danneggiare, se eccessivo, i capezzoli; un suo abbassamento preserva la mammella dall'affaticamento, ma può ridurre la velocità di efflusso e, al limite, interrompere la cessione del latte; un buon impianto, oltrechè avere un livello del vuoto ottimale, deve soprattutto evitarne gli sbalzi che sono molto dannosi alla mammella, la quale può tollerare, senza gravi conseguenze, cadute o impennate di vuoto purchè minime (max ± mm) e di brevissima durata (max 2 3 sec). La frequenza di pulsazione. La frequenza di pulsazione, che è il numero di pulsazioni per minuto, dovrebbe essere mediamente intorno a 60 per i bovini e i bufalini, a 120 per gli ovini ed a 90 per i caprini, che è la frequenza ottimale di stimoli fisiologici alla mammella nelle quattro specie; essa non influenza la velocità di efflusso del latte ma riduce il tempo di stacco dei prendi capezzoli. Il rapporto di pulsazione. Il rapporto di pulsazione, che è il rapporto fra la durata dell'aspirazione (corrispondente al massaggio manuale), in cui il latte è sollecitato ad effluire dal capezzolo, e quello del riposo, in cui il capezzolo è in fase distensiva, è mediamente di 1:1 (50%) per i bovini ed i bufalini, di 1,5:1 (60%)per gli ovini e di 2:1 (66%) per i caprini; un innalzamento del tempo di aspirazione innalza la velocità di efflusso e conseguentemente riduce il tempo di mungitura, ma può affaticare la mammella; un innalzamento del tempo di riposo preserva invece più facilmente la mammella dall'affaticamento e favorisce lo stacco automatico dei gruppi, ma rallenta la velocità di efflusso del latte. I sistemi di mungitura meccanica. A seconda del luogo in cui la mungitura è praticata, gli impianti possono essere alla posta oppure in sala mungitura. Gli impianti alla posta. Questi impianti, con i quali gli animali sono munti in stalla o in ovile, sono ancora diffusi in allevamenti di piccole dimensioni (15 20 bovini o bufalini e ovini o caprini), 68

66 nei quali la sala di mungitura non sarebbe conveniente, e di basso livello tecnico: generalmente sono impianti con carrello mobile di mungitura oppure impianti a linea fissa sulla corsia di stabulazione. Le sale di mungitura. Esse variano soprattutto in funzione della dimensione dell'allevamento e possono essere lineari oppure rotative. Nelle sale lineari gli animali sono disposti in successione (sale a tandem) oppure affiancati (sale a spina di pesce con inclinazione di circa 30 e sale a pettine con inclinazione di 90 ) ed il loro svincolo è anteriore o laterale. Quelle attualmente più diffuse sono a spina oppure a pettine, di grandezza variabile con la dimensione dell'allevamento: 3+3 sino a 50 capi, 5+5 sino a 80 capi, sino a 150 capi, oltre i 150 capi, per mandrie bovine e bufaline; sino a 300 capi, sino a 400 capi, oltre 400 capi, per greggi ovini e caprini. Per queste ultime 2 specie esistono anche sale con piattaforma mobile di trasporto degli animali durante le operazioni di mungitura a poste per greggi di elevate dimensioni ed impianti montati su carrelli mobili di varie dimensioni per servire diversi allevamenti. Nelle sale rotative gli animali, una volta raggiunta la posta di mungitura (a spina oppure a pettine), sono trasportati su una giostra circolare ad una velocità che consente tutte le operazioni di mungitura prima che la giostra abbia compiuto una intera rotazione; attualmente le più diffuse sono quelle a 24 oppure a 48 poste, a seconda delle dimensioni dell'allevamento, rispettivamente sino a 400 capi ed oltre i 400 capi. Esse sono di solito automatizzate con congegni elettronici. Le sale e gli impianti di mungitura, qualunque sia la dimensione ed il tipo, debbono in ogni caso consentire: comodità di mungitura, che richiede un dislivello fra pavimento e piano di mungitura di cm; facilità di dosaggio e di somministrazione dei concentrati in funzione della massima velocità di ingestione alimentare degli animali, che è di g/m' pari a 3 5 kg per mungitura nei bovini e nei bufalini e di g/m' pari a 0,5 0,6 kg per mungitura negli ovini e nei caprini; possibilità di controllo e di misurazione delle produzioni individuali per mezzo di recipienti trasparenti calibrati, funzionanti anche come stabilizzatori del livello del vuoto (Figura ). Il corretto dimensionamento ed il perfetto funzionamento dell'impianto sono fondamentali per la sua efficienza di rendimento e quindi per la sua economicità di gestione. L'efficienza di rendimento dell'impianto è stimata dai seguenti parametri: durata media di mungitura, orario di mungitura, numero di animali munti per addetto e per h. 69

67 La durata media di mungitura varia, a seconda degli impianti: da 0,5 a 2 m'/capo corrispondenti a 120 e 30 capi/h, rispettivamente, nei bovini e nei bufalini; da 20 a 30 sec/capo, corrispondenti a 180 e 120 capi/h, rispettivamente, negli ovini e nei caprini. L'orario di mungitura, variabile in funzione delle dimensioni sia dell'impianto che dell'allevamento, non dovrebbe superare, per ragioni tecniche di organizzazione aziendale, le 2,5 3 h per mungitura, ossia le 5 6 h/d. Il numero di animali giornalmente munti per addetto, variabile in funzione della dimensione dell'impianto, del numero degli addetti alla mungitura e dell'orario di mungitura, è compreso tra 60 e 120 nei bovini e nei bufalini e fra 250 e 500 negli ovini e nei caprini. L'economicità di gestione dell'impianto è calcolata sul costo di mungitura per capo munto o meglio per kg oppure l di latte prodotto e non dovrebbe superare il 10 % del prezzo di vendita del latte I FATTORI CHE INFLUENZANO LA PRODUZIONE I fattori che influenzano la produzione lattea, sia sotto l'aspetto quantitativo che qualitativo, sono di natura: genetica, climatica, fisiologica, tecnica, alimentare e igienico-sanitaria. I fattori genetici. L'attitudine alla produzione lattea è un tipico carattere quantitativo poligenico, ad eredibilità bassa per quanto riguarda il suo aspetto quantitativo (h² per la produzione = 0,2 0,4) e medio-alta per quanto riguarda invece alcune sue caratteristiche qualitative (h² per il contenuto lipidico = 0,4 0,5; h² per il contenuto proteico = 0,5 0,6). Essa varia notevolmente con la specie (quella bovina è più produttiva della bufalina, quella caprina della ovina); con la razza (le razze da latte sono ovviamente più produttive di quelle da carne, anche se il contenuto lipidico e protidico del loro latte è quasi sempre inferiore); col ceppo (i ceppi americani delle razze bovine da latte sono più produttivi di quelli europei); con l'individuo (in tutte le razze esiste una più o meno forte variabilità produttiva quanti-qualitativa all'interno dello stesso allevamento che è dovuta a differenze individuali). I fattori climatici. Tra i fattori climatici quelli che giocano un ruolo importante nella produzione lattea sono principalmente la temperatura, l'umidità e la ventosità dell'ambiente. La temperatura ottimale è compresa all'incirca fra i +5 e +15 C, intervallo che costituisce la zona di neutralità termica; fra +5 e -5 C oppure fra +15 e +25 C la produzione, pur non esplicandosi in condizioni ottimali, non ne risente, purchè siano adottati accorgimenti opportuni (ventilazione negli ambienti caldi e riparo dalle correnti negli ambienti freddi); fra -5 e -15 C oppure fra +25 e +35 C 70

68 la produzione si riduce, anche con l'adozione degli accorgimenti opportuni; al di sotto di -15 C oppure al di sopra di +35 C la produzione può essere seriamente compromessa, talvolta in maniera irreversibile, sopratutto se tali temperature perdurano oltre un certo periodo (>24 48 h) e se, per giunta, sono associate ad umidità e ristagno d'aria oppure a secchezza e ventosità eccessive e con elevate escursioni fra il dì e la notte. In tutti i casi sono più dannosi gli eccessi che i difetti termici. In generale, rispetto alla specie, i bovini e gli ovini sono i più resistenti alle temperature basse, i bufalini ed i caprini agli eccessi termici; rispetto alla razza, quelle di mole maggiore resistono meglio alle temperature basse, quelle di mole minore alle temperature elevate; rispetto alla composizione del latte, le basse temperature comportano un innalzamento del suo contenuto in residuo secco e in lipidi, le alte temperature invece un loro abbassamento. L'umidità relativa dell'aria ottimale è compresa all'incirca fra il 60% e il 70%; al di sotto del 60% e al di sopra del 70% l'animale può risentirne, ma soltanto al di sopra del 90% e al di sotto del 40% essa può provocare, soprattutto se perdurante ed associata a ventosità eccessiva oppure ad assenza di ventilazione ed a temperature eccessivamente alte o basse, una caduta irreversibile della produzione. Fra le specie, quella più resistente è la bufalina, quella più sensibile la caprina. La ventosità, sopratutto se associata a temperatura molto bassa e/o ad elevata secchezza dell'ambiente, come anche l'assenza di ventilazione, sopratutto se associata a temperatura e/o umidità molto elevate, sono dannosi per la produzione. Le altre componenti climatiche (luce, pressione, etc.) hanno di per sè effetto diretto trascurabile sulla produzione, ma possono avere effetto indiretto rilevante per l'azione che esercitano sulla riproduzione (durata e intensità di illuminazione). I fattori fisiologici. I principali fattori fisiologici influenzanti la produzione lattea sono: la mole, le condizioni generali, l'ordine di parto, la stagione di parto, lo stadio di lattazione, l'interparto limitatamente alla specie bovina e bufalina e la prolificità limitatamente alle specie ovina e caprina. La mole. Le dimensioni corporee, in particolare la taglia o statura ed il volume o mole, e quindi il peso corporeo dell'animale sono correlati positivamente, anche se in maniera non strettissima, con la produzione lattea, principalmente per il maggior sviluppo degli apparati digerente e mammario negli animali di grande taglia (al di sopra di 6 q nei bovini, di 5 q nei bufalini, di 50 kg negli ovini e nei caprini) rispetto a quelli di piccola taglia (al di sotto dei valori precedenti). 71

69 Le condizioni generali (nutrizionali, sanitarie e riproduttive). La produzione dipende anche dallo stato nutrizionale con cui l'animale perviene al parto e dalle condizioni sanitarie generali (assenza di malattie e di disturbi digestivi e/o metabolici); essa decresce temporaneamente in concomitanza dei calori, progressivamente ed irreversibilmente con il progredire della gravidanza (dal 6 mese nei bovini e nei bufalini, dal 3 mese negli ovini e nei caprini). L'ordine di parto. La produzione aumenta con la successione dei parti, e quindi con l'età dell'animale che le è strettamente legata, sino alla 5ª lattazione nei bovini e nei bufalini e sino alla 4ª negli ovini e nei caprini; successivamente decresce progressivamente sino alla fine della carriera. Rispetto alla piena maturità produttiva che coincide in tutte le razze da latte con il 6 7 anno di età nei bovini e nei bufalini e con il 4 anno negli ovini e nei caprini la produzione oscilla, a parità di altre condizioni, intorno al 75% e 65% nella primipara, all'85% e 90% nella secondipara, al 92% e 95% nella terzipara, al 98% e 100% nella quartipara (il primo valore è riferito alle specie bovina e bufalina, il secondo a quelle ovina e caprina), sempre meno del 100% negli animali più vecchi. I contenuti in residuo secco ed in lipidi del latte diminuiscono leggermente sino alla maturità; successivamente le loro variazioni sono irrilevanti. Lo stadio di lattazione. La produzione giornaliera cresce dal parto sino alla 3ª 6ª w di lattazione nei bovini e nei bufalini e sino alla 3ª 4ª negli ovini e nei caprini, momento in cui raggiunge l'apice (picco produttivo o di lattazione); si mantiene quasi costante sino al 3 4 mese; indi decresce, prima lentamente sino al 6 7 mese, successivamente in maniera più accentuata sino all'asciugamento (inizio dell'8 mese di gravidanza nei bovini e nei bufalini, del 4 negli ovini e nei caprini). L'andamento della produzione durante la lattazione è detta curva di lattazione e la velocità (o meglio la lentezza) con cui essa decresce dal 3 4 mese sino all'asciutta è detta persistenza; questa è espressa come rapporto percentuale fra la produzione giornaliera ad un determinato controllo mensile e quella al controllo precedente ed è considerata ottima quando mediamente supera il 90%, buona tra il 90 80%, bassa al di sotto dell'80%. La produzione per lattazione è legata, a parità di durata, alla produzione giornaliera massima ed alla persistenza di lattazione: entrambe dipendono dall'attitudine produttiva dell'animale, dalle sue condizioni generali al parto, dal regime alimentare successivamente al parto e dallo stato sanitario generale (sanità della mammella e assenza di disordini alimentari). A parità di produzione per 72

70 lattazione, sarebbe preferibile un picco anche non molto elevato purchè associato ad elevata persistenza, rispetto ad un picco elevato ma associato a bassa persistenza: fortunatamente però, essendo i due caratteri strettamente correlati positivamente, le più alte produttrici hanno anche la più alta persistenza e viceversa. La stagione di parto. Gli animali che partoriscono nel periodo autunno-invernale hanno, rispetto a quelli che partoriscono nel periodo primaverile-estivo, una produzione ed un contenuto lipidico del latte più elevati sia per le più basse temperature invernali e per la migliore qualità dei foraggi di tale periodo, sia per la coincidenza del picco produttivo con l'inverno, dello svolgimento della lattazione con la primavera e dell'asciugamento con l'estate. L'intervallo interparto. Il suo allungamento comporta inevitabilmente l'allungamento, e quindi una maggiore produzione, della lattazione in corso oltreché un effetto positivo su quella successiva, ma anche una riduzione, a parità di lunghezza di carriera produttiva, del numero di lattazioni e quindi della produzione complessiva; poiché questo secondo effetto, di tipo negativo, è superiore al primo, di tipo positivo, l'interparto deve, anche ai fini della produzione lattea oltreché ai fini della carriera riproduttiva, essere il più basso possibile: infatti è considerato ottimale se non supera i 12 mesi, buono fra 12 e 15 mesi, eccessivo se supera 15 mesi; ciò corrisponde, rispettivamente, ad una fecondità annuale di 1, 0,90, 0,80. Poiché l'interparto è composto da 2 periodi periodo di servizio (parto-inseminazione feconda) + durata di gestazione, per un verso; durata di lattazione + durata dell'asciutta, per un altro verso qualsiasi riduzione (o allungamento) di una o di entrambe le componenti comporta una parallela riduzione (o allungamento) dell'interparto. Per quanto attiene alle specie bovina e bufalina, tenuto conto che la lunghezza di gestazione (285±15 d) non è modificabile e che quella di lattazione è prefissata convenzionalmente (305 d), per ottenere un interparto ottimale di 12 mesi, corrispondente ad 1 lattazione e ad 1 vitello per anno, la fase di asciutta non deve superare i 60 d (che è il tempo minimo necessario affinché un animale medio ricostituisca le sue riserve corporee e predisponga il suo apparato mammario alla lattazione successiva) e quella del servizio i 75 d (ossia l'inseminazione feconda deve avvenire non oltre il 2 3 calore dopo il parto). 73

71 Per quanto attiene alle specie ovina e caprina, la stagionalità dei calori (primavera) e quindi dei parti (autunno) e la brevità della gravidanza (150±7 d) non pongono alcun problema tecnico di abbreviazione nè del periodo di servizio nè di quello di asciutta. La prolificità. Nelle specie ovina e caprina la produzione lattea è infine influenzata dalla prolificità (numero di nati per parto) per effetto sia della maggiore produzione di ormoni lattogeni placentari (mammotropina OLP) nelle femmine multipare rispetto a quelle unipare, sia della maggiore richiesta di latte, e quindi del più frequente svuotamento della mammella, da parte dei gemelli rispetto ai singoli. I fattori tecnici. Fra i fattori tecnici la mungitura è, dopo l'alimentazione, quella che ha il maggior effetto sulla quantità e sulla qualità del latte; di essa hanno rilevanza principalmente: il numero o frequenza delle mungiture giornaliere, la intermungitura o distanza fra le mungiture e la completezza di mungitura. La frequenza di mungitura. La produzione lattea aumenta con il numero delle mungiture giornaliere; posta infatti uguale a 100 quella ottenibile con 2 mungiture che è il numero di mungiture comunemente praticato in tutto il mondo a meno che gli animali non siano di elevatissimo livello produttivo sui quali possono essere quindi convenienti anche più di 2 mungiture nella specie bovina essa è, rispettivamente in pluripare e in primipare, del 60% e del 50% con 1 sola mungitura, del 125% e del 115% con 3 mungiture (anche se soltanto il 5 10% in più sarebbe da attribuire all'effetto "maggiore frequenza" di mungitura ed il restante 10 15% alla migliore alimentazione praticata alle vacche con 3 mungiture rispetto a quella delle vacche con 2 soltanto) e del 135% e del 120% con 4 mungiture (l' ulteriore aumento sarebbe da attribuire però quasi esclusivamente alla migliore alimentazione); nella specie ovina essa è del % con tre mungiture. La soppressione di 1 mungitura alla settimana (domenica sera) ridurrebbe la produzione rispettivamente al 95% e 90% nei bovini, al 97% e 95% negli ovini. L'intermungitura. Tenuto conto dello scarso innalzamento produttivo reale conseguibile con un aumento della frequenza di mungitura, gli animali sono munti di solito 2 volte al giorno: l'intervallo ottimale fra le due mungiture è di h che però è difficilmente realizzabile nella pratica aziendale per ragioni economico-organizzativo-sociali; un'intermungitura anche di h non modifica la produzione giornaliera complessiva; un'intermungitura di 8+16 h riduce invece la produzione globale 74

72 del 2 4% (che è il limite massimo oltre il quale non è conveniente spingersi) con effetto ancora più marcato sulle primipare e sulle alte produttrici. La completezza di mungitura. L'incompleto svuotamento della mammella ha effetto negativo, oltreché sulla quantità di latte prodotto giornalmente (riduzione del 5 10%), anche e soprattutto sulla sua composizione, in particolare sul suo contenuto lipidico che, essendo il costituente più leggero, è rimosso per ultimo e rimane quindi nella mammella in caso di mungitura incompleta:ad esempio, in un latte medio col 3,5% di grasso sulla mungitura completa, questo può variare dall'1,5% all'inizio sino al 5% alla fine della mungitura. I fattori alimentari. L'alimentazione è il principale fattore di variazione della produzione lattea (ne è responsabile per il 60 70%) e della sua composizione (contenuto lipidico e composizione acidica dei grassi, contenuto proteico e qualità delle proteine, contenuto aromatico, in cellule somatiche e in microrganismi) ed esplica la sua azione, sia immediata che prolungata, tanto con la composizione (concentrazione energetica, lipidica, proteica, fibrosa, minerale, vitaminica, in sostanze tampone e in sostanze aromatiche) quanto con le modalità di somministrazione della razione. La concentrazione energetica della razione, ed in particolare il rapporto concentrati/foraggi cui essa è intimamente collegata, influenza, oltrechè il livello produttivo, anche il contenuto lipidico (gli acidi acetico e butirrico favoriscono la neosintesi di acidi grassi a catena corta, precursori principali dei grassi del latte) e la sua composizione acidica (razioni ipoenergetiche, favorendo la mobilizzazione dei lipidi corporei di riserva, comportano un aumento degli acidi grassi a catena lunga C 18 e C 18:1 ed una riduzione di quelli a catena corta C 4 e C 6 ) nonchè, soprattutto quando l'apporto energetico è dovuto prevalentemente ai carboidrati facilmente fermentescibili, il contenuto proteico, grazie alla migliore utilizzazione dell'n alimentare ed all'aumento di propionato ruminale. La concentrazione lipidica della razione è positivamente correlata con il contenuto lipidico del latte, purchè essa non superi il 3 3,5% della sostanza secca della razione complessiva (5 7% di quella dei concentrati), in quanto, oltre tale limite, inibisce l'attività microbica ruminale e deprime l'ingestione: l'impiego di grassi ruminoprotetti (di solito acidi grassi salificati con Ca), anche in quantità dell'8 10% sulla sostanza secca dei concentrati allo scopo di innalzare la concentrazione energetica soprattutto di razioni fibrose, se da un lato eleva il contenuto lipidico del latte modificandone favorevolmente anche la composizione acidica, dall'altro riduce il contenuto proteico e ne peggiora la qualità, entrambi particolarmente importanti nei latti destinati alla caseificazione; in tutti i casi la 75

73 grassatura della razione ha effetto negativo sia sul contenuto proteico che sulla qualità delle proteine del latte. La concentrazione proteica della razione condiziona la produzione quantitativa grazie alla sua azione sul livello di ingestione, non ha alcun effetto invece sul contenuto lipidico del latte (anche se l'impiego di urea ne provoca la riduzione, associata ad un aumento di acidi grassi insaturi), ma influenza positivamente il contenuto e la qualità delle proteine del latte (razioni ipoproteiche riducono infatti le SAT e viceversa). Se essa è eccessiva provoca un aumento della SAT ma a vantaggio dell'npn. Il rapporto energia/proteina, se ottimale, migliora la qualità delle proteine del latte. La qualità delle proteine alimentari influenza il tipo di proteina lattea (farine di pesce ottime ne migliorano la qualità). La concentrazione fibrosa della razione è correlata positivamente con il contenuto lipidico del latte, per effetto del rapporto acidi acetico+butirrico/acido propionico nel rumine (1) : i primi favoriscono, com'è noto, la sintesi lipidica nella mammella, il secondo quella lattosica (ad ogni aumento dell'1% di NDF sulla razione corrisponde un aumento dello 0,05% di contenuto lipidico nel latte); una concentrazione fibrosa troppo elevata, riducendo l'ingeribilità e la digeribilità della razione, provoca però una riduzione della produzione; analogamente una concentrazione insufficiente può provocare un abbassamento sia della produzione che del contenuto lipidico, per la possibile insorgenza di fenomeni di acidosi ruminale; il limite ottimale è compreso fra il 30 35% di NDF sulla s.s. della razione. La valutazione del contenuto fibroso della razione deve comunque essere basata principalmente sulle caratteristiche qualitative della fibra: tipo, dimensione e densità delle particelle fibrose. Per quanto riguarda il tipo, quella di leguminose, ed in particolare della medica, essendo dotata di maggiore degradabilità ruminale, presenta una ingestione più elevata e non influenza il rapporto acetato/propionato. Per quanto riguarda la dimensione, essa influenza l'attività masticatoria e la velocità di transito ruminale: una riduzione della dimensione delle particelle comporta, a parità di concentrazione fibrosa, una riduzione dei tempi di masticazione, un aumento dell'ingestione ed uno spostamento delle fermentazioni ruminali a favore dell'acido propionico. Per quanto riguarda la densità, questa influenza l'ingestione agendo sulla cinetica di degradazione ruminale e quindi sulla velocità di transito degli alimenti ed innalza il contenuto lipidico del latte. (1) Il rapporto ottimale degli AGV del rumine è, ai fini della produzione quanti-qualitativa di latte, del 60 65% per l'acetico, del 20 25% per il propionico, del 5 10% per il butirrico e del 0 5% per il lattico. 76

74 L'impiego di sostanze tampone (NaHCO 3, CaCO 3, MgO) ha effetto positivo sia per la sua azione stabilizzante sul ph ruminale (o semplicemente per la minore produzione di propionato) e sulle fermentazioni cellulosolitiche sia per la maggiore efficienza di trasporto dei lipidi dall'intestino alla mammella. L'alimentazione inoltre influenza l'aroma del latte e dei suoi derivati (ad esempio: i polifenoli passano nel latte; la medica, entro determinati livelli, migliora l'aroma del latte; gli insilati e le farine di pesce e/o di carne possono avere effetti negativi). Errori alimentari, carenze di vitamina A o di βcarotene, di vitamina E o di selenio, cambiamenti improvvisi dell'alimentazione innalzano il CCS ed il CMT. Le modalità di somministrazione della razione infine, soprattutto il frazionamento nella somministrazione dei concentrati, innalzano il contenuto lipidico del latte. I fattori igienico-sanitari. Lo stato sanitario dell'animale in generale e della mammella in particolare (la cui patologia più diffusa nelle femmine lattifere è la mastite, processo infiammatorio a carico di tale organo, che può costituire la principale causa di eliminazione degli animali dall'allevamento) influenza sia la quantità (riduzione o addirittura arresto della produzione) sia la qualità del latte: modificazioni dell'aspetto (colore, odore, sapore) che lo rendono non commerciabile e della attitudine casearia (riduzione del contenuto caseinico, lattosico e minerale ed aumento di quello in sieroproteine, in azoto non proteico, in cellule somatiche, in cloruri e dell'acidità; alterazione strutturale dei lipidi e modificazione della composizione acidica). I fattori sin qui esaminati influenzano, oltrechè l'aspetto quantitativo della produzione lattea, anche quello qualitativo della sua composizione chimico-fisica: soltanto il contenuto lipidico, e di conseguenza in residuo secco, e quello proteico, e di conseguenza in residuo magro, subiscono però variazioni economicamente apprezzabili. Il contenuto lipidico è influenzato positivamente: dalla bassa produzione; dalle basse temperature; dallo stadio di lattazione e dall'ordine di parto; dalla completezza, frequenza e distanza di mungitura; dal tipo di razione alimentare (concentrazione, dimensione e qualità della fibra; contenuto, qualità e momento di somministrazione dei concentrati); dalle condizioni generali dell'animale (stato sanitario e nutrizionale); oltrechè ovviamente dall'attitudine genetica dell'individuo (h² 0,5). 77

75 Il contenuto proteico, molto meno influenzabile di quello lipidico, è legato al tipo di razione (contenuto energetico e proteico e qualità delle proteine), oltrechè all'attitudine genetica individuale (h² 0,6). I contenuti lattosico e minerale subiscono variazioni praticamente insignificanti. Il contenuto in cellule somatiche CCS cellule di derivazione ematica (leucociti e linfociti) e di sfaldamento dell'epitelio ghiandolare (cellule epitaliali) che rivestono un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa attiva della ghiandola mammaria contro la penetrazione degli agenti patogeni ambientali esterni è influenzato dallo stato sanitario della mammella, dal livello produttivo dell'animale, dal tipo di alimentazione e dalla fase della lattazione. Il contenuto microbico totale CMT numero complessivo di microrganismi sia utili (lattobacilli e lieviti) che dannosi al latte (Coliformi, Clostridi, Psicrotrofi) o all'uomo (Brucella, Salmonella, Listeria) presenti nel latte già all'atto della mungitura è influenzato dallo stato sanitario della mammella, dall'igiene dell'ambiente e dell'impianto di mungitura e dalla refrigerazione del latte in azienda. Il contenuto in sostanze inibenti derivate da residui di fitofarmaci presenti negli alimenti, di chemiofarmaci utilizzati nei trattamenti terapeutici agli animali e di disinfettanti usati in stalla od in ovile è influenzato, oltrechè dal tipo di farmaco impiegato, dalla specie animale e dalle tecniche di conduzione dell'allevamento LA QUALITÀ DEL LATTE E LA SUA VALUTAZIONE COMMERCIALE Il latte, qualunque sia la sua destinazione d'impiego (consumo diretto o trasformazione industriale), per poter essere commercializzato, deve possedere, già alla produzione in azienda, determinati requisiti igienico-sanitari e fisiologico-qualitativi. I primi sono legati alla sanità dell'animale in generale (indennità da malattie infettive, sopratutto da quelle pericolose anche per la salute umana, quali tubercolosi, brucellosi, salmonellosi e listeriosi) e della mammella in particolare (dannose per la lavorazione e/o conservazione del latte e dei suoi derivati, quali le masteopatie). I secondi sono fondamentali nella determinazione della qualità del latte, la quale può essere definita, in generale: con la sua composizione chimica (contenuti lipidico, proteico, lattosico e minerale); con il suo contenuto citologico (contenuto in cellule somatiche CCS e 78

76 contenuto microbico totale CMT); limitatamente ai latti destinati alla caseificazione con le sue caratteristiche reologiche (tempo di coagulazione r, tempo di formazione del coagulo K 20, consistenza del coagulo A 30 ) e casearie (resa alla trasformazione); con la sua salubrità intrinseca (contenuto in acidi grassi saturi ed insaturi, in colesterolo etc.) ed estrinseca (presenza o no di sostanze tossiche e/o nocive) ed, infine, con le sue caratteristiche aromatiche (contenuto o presenza di alcani, aldeidi, chetoni etc.). Alcuni di questi caratteri, quali ad esempio il contenuto lipidico e quello proteico, il CCS ed il CMT, essendo determinabili analiticamente abbastanza facilmente, sono quantificabili oggettivamente; altri, invece, pur essendo difficilmente quantificabili perchè presenti in minime entità, costituiscono ciò nondimeno un fattore importante per la definizione della qualità del latte. La sanità del latte. La sanità del latte è legata, oltrechè alla sanità dell'allevamento (in particolare alla indennità da tubercolosi e da brucellosi), soprattutto alla sanità della mammella, la cui principale affezione è la mastite, che è uno stato infiammatorio dell'organo causato dalla penetrazione in esso, attraverso il dotto papillare, di batteri patogeni,che provoca nel latte: aumento dell'acido lattico a spese del lattosio; aumento del N totale e delle proteine sieriche (lattoalbumine e lattoglobuline) e parallela riduzione della caseina e della sua coagulabilità, con conseguenze ovviamente negative sulla caseificazione; aumento dei cloruri e del Ca, e conseguente innalzamento del ph; riduzione del contenuto lipidico e del residuo magro. Ciò comporta, oltrechè un deprezzamento qualitativo del latte ed un aumento delle spese veterinarie, sopratutto una riduzione della produzione giornaliera e per lattazione e nei casi estremi un accorciamento della carriera produttiva per morte o eliminazione dell'animale colpito: l'incidenza economica del danno è sempre elevata e può raggiungere il 10 20% della PLV dell'allevamento. La malattia si presenta con forme diverse (latente, subclinica, clinica, cronica) e si manifesta con gradi diversi (subacuta, acuta e iperacuta). La sua insorgenza, la sua diffusione e la sua intensità sono legate: a fattori genetici individuali (resistenza), quali la conformazione anatomica della mammella (sopratutto diametro del dotto papillare ed elasticità dello sfintere del capezzolo) e la produttività dell'animale (livello produttivo e velocità di cessione del latte); a condizioni igieniche generali, quali la pulizia della mammella e dell'ambiente, la manutenzione dell'impianto di mungitura (lavaggio) e la sua conduzione (livello del vuoto, rapporto di pulsazione); al tipo di alimentazione (concentrazione proteica, concentrazione energetica, rapporto energia/proteina, equilibrio acido-basico, somministrazione di erbe particolarmente ricche di estrogeni come le leguminose); alla patogenicità o virulenza dell'agente infettivo, quali il tipo di agente patogeno, la massività di 79

77 infezione, il tempo di esposizione, la fase di lattazione, l'età dell'animale e la modalità di asciugamento. La diagnosi è effettuata con: metodi fisico-meccanici (quali: palpazione della mammella, che può rivelarne un aumento di volume e di temperatura; osservazione dei primi schizzi di latte che ne rivela il colore e la consistenza) o chimici (rilevazione del ph; determinazione del contenuto lipidico, in acido lattico, in cloruri, in cellule somatiche e in microbi totali; test specifici, quali il metodo californiano e wisconsiniano) e microbiologici (esami di laboratorio specifici per l'individuazione dell'agente patogeno). Gli agenti infettivi (esistono anche masteopatie non infettive che pero' preludono a quelle infettive) sono prevalentemente Stafilococchi (S. aureus, responsabile principale della mastite gangrenosa, di difficilissima eradicazione in quanto si localizza in profondità ed è poco sensibile agli antibiotici; S. epidermis), Streptococchi (S. agalactiae, dysgalactiae, uberis, fecalis, meno dannosi degli stafilococchi ma pur sempre dannosi e presenti nella mammella), Coliformi (Escherichia, Aerobacter, Pseudomonas, Clostridium, Corinebacterium), gruppi non specifici delle mastiti (Micobatteri, Actinomiceti, Micoplasmi, Muffe, Lieviti e Virus). La prevenzione consiste principalmente: nell'eliminazione degli animali infetti non curabili, nell'osservanza scrupolosa delle norme igieniche, sanitarie, alimentari e di conduzione che ostacolano l'infezione e la diffusione della malattia (pulizia e disinfezione dell'ambiente, dell'impianto di mungitura e della mammella), nella somministrazione endomammaria di antibiotici specifici all'asciugamento dell'animale, nella vaccinazione preventiva possibilmente con vaccini specifici dell'allevamento (autovaccini). La terapia consiste principalmente nell'isolamento degli animali colpiti e nella macellazione di quelli incurabili, nell'asportazione chirurgica dei quarti o dell'emimammella su animali di particolare valore produttivo, nel trattamento antibiotico specifico in dosi massive sino a guarigione dell'animale e nel controllo periodico sistematico dell'allevamento. La valutazione commerciale del latte. Le direttive comunitarie (92/46) e nazionale (legge 306 del ) prescrivono le misure cui devono attenersi i produttori e gli utilizzatori del latte delle diverse specie e impongono i requisiti minimi che il latte, per poter essere commercializzato, deve possedere. 80

78 Il pagamento del latte in base alla sua qualità impone quindi la fissazione del prezzo in funzione delle caratteristiche merceologiche di maggiore rilevanza. Ai fini della valutazione commerciale del latte devono quindi essere prese in considerazione: la sanità dell'intero allevamento, dei singoli animali e della mammella; il contenuto lipidico e proteico del latte; il contenuto in cellule somatiche; il contenuto microbico totale; la presenza di sostanze estranee (pesticidi, inquinanti, antibiotici), la refrigerazione del latte in azienda. La sanità degli allevamenti è certificata con l'assenza dall'allevamento di animali affetti da malattie infettive, dannose per la salute umana (tubercolosi e brucellosi) e per la trasformazione e conservazione dei derivati del latte (salmonellosi e mastite). Il contenuto lipidico e proteico, essendo responsabile della resa alla caseificazione e della qualità dei formaggi, è particolarmente importante sopratutto nei latti destinati alla caseificazione e costituiscono gli elementi principali per la fissazione del prezzo base del latte. Il contenuto in cellule somatiche ed il contenuto microbico totale non devono superare dei valori soglia ( /cc e /cc rispettivamente per la specie bovina ed ovina). La refrigerazione del latte in azienda, indispensabile per contenere la moltiplicazione batterica e bloccare l'attività enzimatica che altera le caratteristiche del latte durante il trasporto e/o la caseificazione e dei derivati durante la maturazione e conservazione, deve essere attuata in tempi (2 3 h) e modi (3 4 C) ben precisi LA PRODUZIONE DI CARNE Mentre per l'attitudine alla produzione del latte esiste, come s'è visto in precedenza, un parametro che la identifica e la definisce abbastanza inequivocabilmente quantità di latte normalizzato Ln (latte con un determinato contenuto lipidico, specifico per ciascuna specie) prodotto in una lattazione di durata convenzionale (sempre 305 d per i bovini ed i bufalini; variabile, in funzione della razza e della successione dei parti, per gli ovini ed i caprini) da una lattifera adulta (quintipara per i bovini ed i bufalini, quartipara per gli ovini ed i caprini) per l'attitudine alla produzione della carne, non esistendo un parametro univoco di identificazione, si è costretti inevitabilmente a fare riferimento ai 81

79 diversi parametri che concorrono a definirne il carattere e che correntemente vengono individuati nei seguenti 5: peso corporeo alla macellazione, indice di conversione alimentare, resa alla macellazione, caratteristiche della carcassa e dei suoi tagli, qualità e composizione della carne. Prima però di passare in rassegna distintamente questi cinque parametri, è opportuno descrivere sia sotto l'aspetto zootecnico che commerciale le diverse categorie di animali con le quali, nelle 4 specie ruminanti, può essere ottenuta la produzione della carne. Sotto l'aspetto zootecnico, gli animali destinati alla produzione della carne possono essere ricondotti, in tutte e quattro le specie, ad una delle seguenti 3 categorie: i giovani in accrescimento che eccedono la quota di rimonta dell'allevamento; gli adulti a fine carriera produttiva e/o riproduttiva che costituiscono la quota di riforma obbligatoria; gli animali giovani o adulti ritenuti non idonei, per qualunque causa (scarsa capacità produttiva, precario stato di salute, particolare scelta imprenditoriale), a proseguire nella carriera produttiva e/o riproduttiva. I giovani, prima della macellazione, vengono sottoposti ad ingrassamento: questo è praticato esclusivamente (lattoni) o prevalentemente (mezzo-lattoni) con il latte o con un suo succedaneo oppure, dopo lo svezzamento attuato più o meno precocemente, con alimenti solidi che sono costituiti prevalentemente da concentrati, insilati e/o fieni (vitelloni, bufalotti, agnelloni e caprettoni). I primi (lattoni e mezzo-lattoni) qualora siano ingrassati con latte, che generalmente é quello materno, sono macellati il più precocemente possibile e quindi a pesi relativamente bassi, a causa della scarsa convenienza economica dell'allevatore a destinare il latte prodotto in azienda alla trasformazione diretta in carne (l'indice di conversione del latte in carne, variabile soprattutto con il suo contenuto energetico e con la potenzialità di accrescimento dell'animale, è notoriamente infatti molto elevato: kg nella specie bovina, 7 8 in quella bufalina, 5 6 in quella ovina e 7 8 in quella caprina): è la tecnica solitamente adottata nella produzione degli agnelli e dei capretti tradizionali da latte e, sebbene in misura sempre minore, nella produzione dei vitelli di razze rustiche, sia puri che meticci, e di razze da latte di basso livello produttivo. Qualora invece gli animali siano ingrassati, anziché con latte, con succedanei del latte (il cui costo, per l'economicità del loro impiego, 82

80 non deve superare il 30 40% del prezzo di vendita del latte), essi possono essere macellati ad età e pesi superiori a quelli tradizionali, sfruttando in tal modo per intero la loro capacità di accrescimento giovanile: è la tecnica adottata nella produzione degli agnelli e dei capretti pesanti da latte, dei vitelli bovini di razze lattifere e dei vitelli bufalini. I secondi (vitelloni, bufalotti, agnelloni e caprettoni) sono invece animali che dopo essere stati inizialmente allattati con il latte o con un suo succedaneo, successivamente svezzati più o meno precocemente e infine ingrassati con alimenti solidi secondo piani alimentari adeguati vengono macellati ad età e pesi tipici per le diverse specie e razze: è la tecnica adottata nella produzione degli agnelloni e dei caprettoni (precoci, tradizionali e pesanti), dei vitelloni (leggeri, semi-pesanti e pesanti) e dei bufalotti. Gli adulti sono animali a fine carriera produttiva e/o riproduttiva (dopo l'ultima lattazione, nel caso delle femmine; dopo l'ultima stagione o periodo di monta, nel caso dei maschi) che vengono macellati dopo essere stati ingrassati o comunque messi in carne per 1 2 mesi. In particolare, e con riferimento alle singole specie, queste categorie sono le seguenti (Prospetto 2.2.): nella specie bovina: il vitello da latte ( tradizionale, leggero e pesante), il vitellone (leggero, semipesante e pesante), l'adulto (vacca e toro; manza e giovenca); nella specie bufalina: il vitello da latte, il bufalotto, l'adulto; nella specie ovina: l'agnello da latte (tradizionale e pesante), l'agnellone (leggero, tradizionale e pesante), il castrato, l'adulto (pecora ed ariete); nella specie caprina: il capretto da latte (tradizionale e pesante), il caprettone, l'adulto (capra e becco). Il vitello tradizionale da latte è un vitello dell'età di mesi 5 7 e del peso corporeo di kg , prevalentemente di sesso femminile; esso, più che un vitello da latte vero e proprio, è un mezzolattone, in quanto provenendo generalmente dall'allevamento estensivo di razze rustiche allevate in purezza o incrociate con razze da carne oppure dall'allevamento semintensivo delle razze da latte di basso livello produttivo oppure ancora dalle razze a duplice attitudine è stato alimentato solitamente, oltre che con latte, con erba da pascolo soprattutto nel primo caso e con concentrati soprattutto nel secondo caso. 83

81 Il vitello leggero da latte, dell'età di mesi 4 5 e del peso corporeo di kg , proveniente dall'allevamento intensivo delle razze specializzate da latte, è ingrassato solitamente con un succedaneo del latte; questa produzione sta perdendo via via importanza per l'orientamento dell'allevatore a produrre, grazie alla sua maggiore convenienza economica, un animale più pesante che è il vitellone. Il vitello pesante da latte, dell'età di mesi 6 8 e del peso corporeo di kg , è alimentato, oltre che con succedanei del latte, con farine e concentrati; la sua produzione è ormai limitata ad un particolare mercato che é quello del sanato (castrato) piemontese, prodotto quasi esclusivamente in Piemonte con la razza omonima. Il vitellone, che costituisce la produzione economicamente più importante e quantitativamente più consistente della specie, è il giovane svezzato e ingrassato sino a pesi ed età variabili, in funzione soprattutto della precocità dell'animale e del tipo di prodotto richiesto dal mercato; esso solitamente é distinto in: leggero, dell'età di mesi e del peso corporeo di kg , in genere proveniente da razze rustiche in purezza o in incrocio, da razze da latte soprattutto se di sesso femminile e da razze da carne molto precoci; semi pesante, dell'età di mesi e del peso corporeo di kg , in genere proveniente da meticci di razze rustiche soprattutto di sesso maschile, da meticci di razze da latte e da razze a duplice attitudine; pesante, dell'età di oltre mesi 15 e del peso corporeo superiore a kg 500, in genere proveniente da meticci di razze da latte oppure da razze a duplice attitudine oppure ancora da razze da carne in purezza. L'adulto è costituito prevalentemente da vacche a fine carriera, di età e peso corporeo molto variabili (rispettivamente anni 8 12 e kg ); da tori anch'essi a fine carriera (età 4 6 anni e peso corporeo kg ); da manze, da giovenche e da giovani vacche di scarto. Il vitello bufalino da latte ha un'età di mesi 4 5 ed un peso corporeo di kg ; il bufalotto ha un'età di mesi ed un peso corporeo di kg ; l'adulto a fine carriera (bufala e toro bufalino) dell'età di 10 e 6 anni e del peso corporeo di e di kg, rispettivamente. L'agnello tradizionale da latte, il cui peso varia principalmente con la razza e con le esigenze del suo particolare mercato, in Italia è prodotto a pesi sempre più bassi e quasi esclusivamente con razze da latte (kg 8 10 all'età di d con razze da latte specializzate; kg all'età di d con razze da carne e simili). L'agnello pesante da latte è ottenibile soltanto grazie alla tecnica dall'allattamento artificiale che, per il costo alimentare contenuto, ne valorizza la potenzialità di 84

82 crescita sino a d (kg con animali in purezza; kg con animali meticci). L'agnellone, ottenibile convenientemente soltanto con le razze da carne o con i loro derivati a causa dell'incapacità delle razze da latte di raggiungere precocemente pesi elevati, ha età e pesi di macellazione differenti: leggero o precoce, dell'età di d e del peso corporeo di kg 25 30, se svezzato ed ingrassato precocemente; tradizionale o semipesante, dell'età di d e del peso corporeo di kg 35 40; pesante, dell'età di mesi 5 6 e del peso corporeo di kg 50 60, scarsamente diffuso pero' in Italia. L'adulto (pecora e ariete a fine carriera) ha un età rispettivamente di anni 5 7 e 4 5 ed un peso corporeo di kg e Il castrato o montone, poco richiesto dal mercato italiano, ha un età di mesi 8 12 ed un peso corporeo di kg Il capretto tradizionale da latte ha un età di d ed un peso corporeo di kg Il capretto pesante da latte, ottenibile economicamente soltanto grazie alla tecnica dell'allattamento artificiale, ha un età di d ed un peso corporeo di kg Il caprettone, dell'età di d e del peso corporeo di kg 18 20, è poco apprezzato però dal consumatore per il suo caratteristico odore ircino. L'adulto (capra e becco) ha un età rispettivamente di anni 6 8 e 4 5 ed un peso corporeo rispettivamente di kg e Sotto l'aspetto commerciale, gli animali destinati alla produzione della carne sono invece raggruppati nel modo seguente: nella specie bovina: bovino da latte, vitello al di sotto di kg 220 di peso morto, alimentato con solo latte o suo succedaneo ed a carne bianca; bovino adulto, animale svezzato comprendente una delle seguenti 5 categorie: A giovenca, femmina che non ha mai partorito; E vitellone, maschio giovane intero; C castrato; B toro, riproduttore oppure bue a fine carriera; D vacca, femmina che ha partorito almeno una volta; nella specie bufalina: annutolo, sotto l'anno di età; adulto, oltre l'anno; nella specie ovina: agnello da latte, alimentato soltanto con latte o succedaneo, suddiviso in due categorie (tradizionale < 7 kg; leggero 7 13 kg di peso morto); agnellone, giovane svezzato e ingrassato; adulto (pecora e ariete); nella specie caprina: capretto da latte, alimentato soltanto con latte o succedaneo; caprettone, giovane svezzato e ingrassato; adulto (capra e becco). 85

83 IL PESO CORPOREO ALLA MACELLAZIONE Il peso corporeo alla macellazione che nella produzione della carne è per l'allevatore il parametro tecnicamente più evidente ed economicamente più rilevante è funzione sia del peso alla nascita che dell'incremento ponderale dalla nascita alla macellazione ed è influenzato, in entrambi i suoi componenti, da fattori genetici, alimentari e tecnici. Il peso dell'animale alla nascita dipende: dalla specie (kg nei bovini e nei bufalini e 3 5 negli ovini e nei caprini); dalla razza (generalmente le razze da carne hanno pesi superiori a quelle da latte e queste a quelle rustiche); dal sesso (i maschi superano le femmine mediamente del 10 15%); dall'ordine di parto (i figli di pluripare superano quelli delle primipare del 5 10%); dal tipo di parto (i singoli pesano più dei bigemini e questi più dei trigemini); dalla stagione di parto (i nati nel semestre inverno-primaverile pesano più di quelli estivo-autunnali); dalla durata della gravidanza della madre (una gestazione piu' lunga comporta un piu' elevato peso alla nascita); dal tipo di alimentazione (in particolare dal livello nutritivo della razione complessiva) della madre nell'ultima fase della gravidanza (ultimo terzo); infatti il ritmo di accrescimento prenatale, essendo molto basso sia nella fase embrionale che in quella fetale iniziale e diventando consistente soltanto nella fase fetale finale (g/d nei bovini e nei bufalini e negli ovini e nei caprini), è ovviamente legato, oltreché ad aspetti genetici (l'ereditabilità del carattere è infatti del 20 30%), sopratutto al livello nutritivo della razione materna nell'ultimo mese (ovini e caprini) o negli ultimi 2 mesi (bovini e bufalini) di gravidanza, in particolare alla quantità di concentrati somministrati. L'importanza economica di un alto peso alla nascita è rilevante però soltanto negli animali destinati alla macellazione a pesi non elevati (tipo i lattoni e i mezzo-lattoni), nei quali il peso alla nascita contribuisce percentualmente in maniera rilevante (20 30%) alla formazione del peso finale; è ridotta invece in quelli (tipo i vitelloni, i bufalotti, gli agnelloni ed i caprettoni) che vengono macellati dopo lo svezzamento e l'ingrassamento a pesi elevati, nei quali la sua incidenza é bassa (8 10%); è nulla infine negli animali adulti. Se inoltre si considera l'elevata correlazione che esiste, a parità di altre condizioni, fra il peso alla nascita e la frequenza delle distocie, questo può diventare un fattore addirittura negativo, soprattutto in alcune condizioni aziendali (allevamento di razze da carne o simili predisposte naturalmente alle distocie; conduzione estensiva della mandria o del gregge; carenza di assistenza al parto) nelle quali l'allevatore deve tendere ad ottenere invece animali, oltreché ben conformati, di modesto peso alla nascita, anche se quelli più pesanti sono più vitali ed hanno ritmi di accrescimento superiori. 86

84 L'incremento ponderale o aumento del peso corporeo dalla nascita alla macellazione è il risultato congiunto di due fenomeni fisiologici fra loro inscindibili ma che si realizzano con una sfasatura temporale: l'aumento delle dimensioni corporee dell'animale (accrescimento dimensionale somatico) e la variazione di forma, di struttura e di composizione degli organi dell'animale (accrescimento differenziale strutturale o sviluppo); tanto l'uno quanto l'altro trovano la loro espressione sintetica e la loro misurazione quantitativa nel ritmo di accrescimento. Il fenomeno dell'accrescimento che inizia con la fecondazione e termina, di fatto, con il raggiungimento dell'età adulta (5 6 anni nei bovini e nei bufalini, 4 5 negli ovini e nei caprini), attraversando la fase prenatale o uterina (vita embrionale e vita fetale) e quella post-natale (vita produttiva) è caratterizzato: inizialmente, dalla prevalenza della componente dimensionale somatica, cui è legata la crescita delle tre parti del corpo dell'animale (in successione temporale, tessuto osseo e cartilagineo, tessuto muscolare e tessuto adiposo); successivamente, dalla prevalenza della componente strutturale, cui è legata la differenziazione percentuale degli organi e la diversificazione della composizione dei tessuti (contenuto idrico, lipidico, proteico e minerale). L'incremento ponderale complessivo che ne deriva è funzione sia del ritmo di accrescimento che dell'età di macellazione. Il ritmo di accrescimento come s'è detto, espressione sintetica e misura quantitativa del fenomeno dell'accrescimento può essere espresso sia in valore assoluto come kg (per le specie bovina e bufalina) o g (per le specie ovina e caprina) di incremento ponderale giornaliero, sia in valore relativo come kg (o g ) di incremento giornaliero per q (o kg) di peso corporeo dell'animale: in tutte le specie il primo (Diagramma 2.2.1a) ha un andamento quasi parabolico (inizialmente e sino ad una certa età aumenta più che proporzionalmente al peso corporeo dell'animale, successivamente diminuisce gradualmente sino ad arrestarsi definitivamente con il raggiungimento dell'età adulta); il secondo (Diagramma 2.2.1b) ha invece un andamento esponenziale sempre decrescente sino al suo arresto. Esso può essere espresso con la formula generale I= a x P x e xt, in cui I è l'incremento giornaliero al peso P ed x l'esponenziale, positiva o negativa, che esprime il ritmo di crescita al tempo t. I suoi valori relativi medi variano: nei bovini e nei bufalini fra 0,5 1% nella fase iniziale con animali giovanissimi e 1 2 nella fase finale di finissaggio; negli ovini e nei caprini fra 1 2% e 4 5, rispettivamente: a tali valori relativi corrispondono valori assoluti rispettivamente di kg/d 1 1,2 e 87

85 0,3 0,4 nei bovini e nei bufalini e g/d e negli ovini e nei caprini; conseguentemente la curva del peso corporeo ha un andamento sigmoide (Diagramma 2.2.1c). Il ritmo di accrescimento purtroppo subisce sempre un rallentamento, a volte eccessivo, durante la fase dello svezzamento (fase di passaggio dalla alimentazione lattea a quella solida e non necessariamente di separazione del giovane dalla madre) e quando le condizioni sanitarie ed alimentari dell'animale non sono perfette; esso però può essere recuperato, almeno parzialmente (accrescimento compensativo), qualora ad un periodo di ipoalimentazione e/o di stress segua uno di ripristino ottimale delle condizioni alimentari e/o sanitarie. Il ritmo di accrescimento non è nè uguale nè costante, nello stesso animale, per i diversi tessuti, organi ed apparati; questi presentano infatti un accrescimento differenziale che è il responsabile della diversificazione strutturale dell'animale: normalmente le ossa crescono più rapidamente ed anticipatamente dei muscoli e questi dei depositi adiposi, con conseguente diversificazione temporale fra i ritmi di sviluppo dei tessuti scheletrico, muscolare ed adiposo (accrescimento ad onde). Questa diversificazione di sviluppo fra tessuti, sempre presente in tutte le specie e le razze, può essere più o meno accentuata in funzione della precocità dell'animale, che é la sua capacità di raggiungere più o meno precocemente sia le dimensioni somatiche (precocità somatica) che la struttura corporea (precocità strutturale) dello stato adulto (Diagramma 2.2.1d). A seconda della loro precocità, le razze vengono classificate (Diagramma 2.2.1d) in: precoci (le razze rustiche e alcune razze da latte), medie (alcune razze da latte e le razze a duplice attitudine), tardive (le razze da carne). La precocità ha rilevante importanza pratica in quanto concorre a determinare l'età ottimale di macellazione: ad esempio, bovini caratterizzati da prolungato ritmo di accrescimento e da lentezza di maturazione strutturale debbono essere necessariamente macellati a pesi molto elevati e debbono quindi essere destinati alla produzione del vitellone pesante; bovini con caratteristiche opposte debbono essere invece destinati alla produzione del vitellone leggero. L'età di macellazione, responsabile anch'essa del peso alla macellazione, varia in funzione del ritmo di accrescimento e quindi della precocità dell'animale (ad esempio, le femmine debbono essere macellate prima dei maschi) e delle particolari esigenze del mercato (alcuni mercati preferiscono gli animali leggeri a quelli pesanti, altri gli animali da latte a quelli svezzati ed ingrassati). Talvolta però 88

86 l'allevatore è costretto, per ragioni tecniche o per particolari condizioni del mercato, a macellare gli animali anticipatamente oppure posticipatamente rispetto all'età tecnicamente ottimale L'INDICE DI CONVERSIONE ALIMENTARE L'indice di conversione alimentare, che è il più importante parametro di stima della convenienza economica di qualsiasi produzione zootecnica, è la quantità di alimento (comunque espressa: kg di sostanza secca o, meglio, cal o J di energia netta) mediamente consumata dall'animale per ogni kg di incremento di peso corporeo; è normalmente espresso in UFL oppure in UFC/kg di incremento. Esso varia in funzione principalmente: della specie (le specie bovina e bufalina hanno ovviamente indici più elevati delle specie ovina e caprina 4,5 6,5 vs 3 4 in quanto, avendo per la loro maggiore mole un dispendio energetico di mantenimento proporzionalmente superiore, danno una resa di trasformazione inferiore); della razza (le razze da carne hanno indici più bassi di quelle da latte e queste di quelle rustiche, grazie al loro differente ritmo di accrescimento); del sesso (i maschi hanno indici più bassi delle femmine, grazie alla loro maggiore capacità di trasformazione alimentare); dell'età (gli animali giovani hanno ritmi di accrescimento più elevati e conversioni alimentari più favorevoli di quelli meno giovani o adulti); del peso corporeo (l'animale con l'avanzare dell'età e del peso destina una quota alimentare progressivamente crescente al proprio mantenimento); dello stato di ingrassamento (gli animali inizialmente utilizzano l'energia alimentare prevalentemente per l'accrescimento dimensionale somatico sviluppo osseo e muscolare e successivamente per la differenziazione strutturale sviluppo adiposo, che comporta un maggior dispendio energetico ed un minor contenuto idrico e quindi un innalzamento dell'indice di conversione); del piano alimentare (piani moderati comportano consumi alimentari minori associati però a ritmi di accrescimento modesti, con conseguenti indici più elevati; piani alti invece determinano consumi maggiori associati a ritmi elevati, con indici proporzionalmente più bassi); della tecnica di ingrassamento (animali liberi ma mantenuti in recinti ristretti ed alimentati razionalmente crescono più di altri mantenuti in condizioni opposte); delle condizioni igienico-sanitarie generali (soltanto animali sani esplicano pienamente la loro potenzialità produttiva). Il piano alimentare, che è la successione dei livelli nutritivi della razione adottata durante l'ingrassamento, può essere costante per tutto l'ingrassamento (come nel caso del livello nutritivo sempre alto alto-alto praticato normalmente con animali a ritmi di accrescimento elevato e macellati abbastanza precocemente e molto grassi) oppure differenziato nel tempo (come nel caso di 89

87 livello moderato nella prima fase e livello alto nella seconda fase moderato-alto normalmente praticato con animali provenienti dall'allevamento brado o semibrado, destinati ad ingrassamento spinto e ad essere macellati a pesi elevati; oppure nel caso contrario alto-moderato praticato con animali a maturazione tardiva). Il livello nutritivo, che è il rapporto fra l'energia totale ingerita dall'animale e quella strettamente necessaria al suo mantenimento, è considerato basso quando è inferiore a 1,5; moderato fra 1,5 2; alto oltre 2; talvolta è espresso empiricamente come quantità di concentrati somministrati per q di peso corporeo dell'animale (kg/q 0,5-1,0-1,5, rispettivamente) LA RESA ALLA MACELLAZIONE La resa alla macellazione è il rapporto percentuale fra il peso morto (carcassa, comunque preparata) ed il peso vivo (peso corporeo, comunque rilevato) dell'animale macellato: R= PM/PVx100. Poiché però sia il sistema di macellazione dell'animale che il tipo di preparazione commerciale della sua carcassa variano in funzione della specie animale, dell'età di macellazione ed anche delle consuetudini locali, esistono espressioni diverse di questo rapporto che possono ingenerare qualche confusione sulla corretta interpretazione del parametro, la cui esatta valutazione è di fondamentale importanza per l'allevatore soprattutto ai fini economici della fissazione del prezzo di vendita dell'animale; occorre pertanto definire esattamente i due termini (denominatore e numeratore) del rapporto. Il peso vivo può essere espresso come: peso lordo (peso dell'animale nelle condizioni ordinarie dell'allevamento, ossia sazio e dissetato: in pratica, dopo il pasto, la pascolata e l'abbeverata); peso stallato (peso dell'animale stallato, mantenuto cioè a digiuno alimentare e idrico da almeno 12 ore; usualmente tale peso è stimato detraendo dal peso lordo una tara che varia in funzione del tipo e dell'età dell'animale da macellare: ad esempio, 3 4% per vitelloni ingrassati in stalla; 5 6% per vitelloni bradi; 7 10% per vacche a fine carriera produttiva; 4 5% per agnelli da latte, 5 6% per capretti da latte); peso netto (peso dell'animale privato di tutto il contenuto gastroenterico; tale peso ovviamente non può essere determinato che a posteriori, ossia dopo la macellazione, detraendo dal peso lordo oppure dal peso stallato il peso del contenuto gastrointestinale residuo). Il peso morto può essere espresso come: peso in carcassa (peso dell'animale privato del sangue, della testa, della pelle, dei visceri ad eccezione dei reni e del grasso perirenale, della coda, della parte distale degli arti e sezionato prima in mezzene e poi in quarti; è il tipo di preparazione classica 90

88 per tutte le categorie delle specie bovina e bufalina e per gli adulti delle specie ovina e caprina); peso alla romana (peso dell'animale privato del sangue, della pelle, dell'apparato gastroenterico ad eccezione del digiuno e del peritoneo, della parte distale degli arti; è il tipo di preparazione per gli agnelli e i capretti da latte); peso alla caprettina (peso dell'animale privato del sangue, dell'apparato gastroenterico ad eccezione del digiuno e del peritoneo; era il tipo di preparazione classica per i capretti da latte, ma ormai quasi in disuso per il divieto di commercializzazione degli animali con la pelle). Tale peso morto, qualunque sia il tipo di preparazione commerciale (in carcassa, alla romana, alla caprettina), può essere rilevato "a caldo" immediatamente (entro un'ora) dopo la macellazione, oppure "a freddo" dopo un raffreddamento di ore: il raffreddamento comporta sempre un calo di peso della carcassa (calo di raffreddamento) che varia, entro certi limiti, con la distanza dalla macellazione, con l'intensità di ventilazione ed anche con lo stato di ingrassamento della carcassa e si aggira intorno al 1,5 2%. A seconda quindi dell'elemento considerato sia al numeratore (peso in carcassa, peso alla romana, peso alla caprettina) che al denominatore (peso lordo, peso stallato, peso netto) e del momento di rilevazione del primo (immediatamente dopo la macellazione a caldo oppure dopo 24 ore a freddo), si potranno avere sullo stesso animale rese differenti che saranno, secondo le diverse combinazioni possibili per le varie specie animali: rispetto al tipo di peso morto, resa in carcassa (per bovini, bufalini ed adulti di ovini e caprini), resa alla romana (per agnelli e capretti da latte), resa alla caprettina (per capretti da latte); rispetto al tipo di peso vivo, resa lorda, resa a digiuno, resa netta; rispetto al momento di rilevazione, resa a caldo, resa a freddo. Nella pratica commerciale per resa alla macellazione si intende di norma la resa in carcassa, a digiuno, a freddo (resa commerciale); nella pratica sperimentale la resa netta, in carcassa, a freddo (resa netta). Ovviamente sullo stesso animale quest'ultima è sempre superiore a tutte le altre; essa viene reclamizzata sui depliants commerciali delle razze da carne, spesso senza specificare che si tratta di resa netta e non di resa commerciale, inducendo in tal modo, intenzionalmente o no, l'allevatore acquirente in errore. La resa alla macellazione (con riferimento, se non diversamente specificato, alla resa commerciale dei bovini, sebbene il concetto sia estendibile a tutte le altre rese e a tutte le altre specie) è influenzata da fattori genetici, alimentari e tecnici. 91

89 I principali fattori genetici sono: la specie (la specie bovina ha di norma una resa maggiore di quella bufalina e la specie ovina superiore a quella caprina, per la superiore attitudine alla produzione della carne delle prime due specie rispetto alle seconde); la razza (le razze specializzate per la produzione della carne hanno una resa superiore a quelle a duplice attitudine, queste a quelle specializzate da latte e queste ultime a quelle rustiche; i meticci derivati da razze da carne hanno una resa intermedia fra la razza incrociante da carne e la razza incrociata da latte oppure rustica); il sesso (il maschio ha una resa sempre superiore alla femmina). Il principale fattore alimentare è il piano alimentare adottato dato, come s'è detto, dal susseguirsi dei livelli nutritivi praticati (moderato-alto, alto-moderato, alto-alto) nelle varie fasi dell'ingrassamento: il livello alto comporta maggiori rese. I principali fattori tecnici sono: l'età ed il peso di macellazione (i giovani rendono più degli adulti; i giovani da latte più di quelli svezzati ed ingrassati, per il diverso sviluppo relativo dell'apparato digerente in generale e dei prestomaci in particolare); lo stato di ingrassamento (la resa è superiore negli animali finiti rispetto a quelli semifiniti; negli animali stabulati rispetto a quelli bradi); le performances di macellazione (precisione, puntualità e professionalità degli addetti alla macellazione); le condizioni generali degli animali (quelli stressati dal trasporto e/o dall'affaticamento hanno rese inferiori a quelli macellati in condizioni ottimali). La macellazione consiste nello stordimento, nel dissanguamento, nella scuoiatura, nella eviscerazione e nella sezionatura dell'animale in 2 mezzene o in 4 quarti. Lo stordimento (praticato normalmente nelle specie bovina e bufalina e talvolta omesso negli adulti delle specie ovina e caprina) consiste nella frattura dei seni frontali per mezzo di una pistola con proiettile captivo oppure nell'applicazione di corrente elettrica a basso voltaggio e ad alto amperaggio in un apposito locale del mattatoio. Il dissanguamento, che segue immediatamente allo stordimento e alla sistemazione dell'animale in posizione verticale, consiste nella iugulazione (recisione dei grossi vasi giugulari e carotidi del collo) dell'animale (nei capretti e negli agnelli da latte la iugulazione è praticata con l'animale in posizione orizzontale e spesso, seppure illegalmente, anche senza precedente stordimento). La scuoiatura consiste nella asportazione della pelle, di solito previa insufflazione di aria con un compressore per facilitarne il distacco dal corpo dell'animale (questa operazione non è effettuata soltanto nei capretti da latte che sono preparati sottopelle o alla caprettina). La eviscerazione consiste nell'asportazione di tutti i visceri, ossia degli organi sessuali 92

90 maschili (pene e testicoli) nei maschi e femminili (apparato genitale femminile e mammella con relativo grasso) nelle femmine, degli organi della cavità toracica (esofago, cuore, polmoni e trachea), del diaframma, degli organi della cavità addominale (rumine-reticolo, omaso, abomaso, intestino, fegato, milza e pancreas, ad eccezione dei reni e delle capsule perirenali); nella preparazione alla romana ed alla caprettina (agnelli e capretti da latte) non vengono asportati nè i visceri prediaframmatici, nè parte dell'intestino digiuno, nè il peritoneo, utilizzati tradizionalmente dal consumatore nella preparazione di pietanze speciali (cordula etc). La sezionatura (inesistente nella preparazione alla caprettina e soltanto parziale in quella alla romana) consiste nell'asportazione: della testa, con separazione fra l'occipitale e l'atlante; della parte distale degli arti, tagliati quelli anteriori al ginocchio (articolazione carpico-metacarpica) e quelli posteriori al garretto (articolazione tarsico-metatarsica), della coda (vertebre caudali); nella successiva suddivisione della carcassa così ottenuta prima in due mezzene secondo il piano sagittale mediano e successivamente, normalmente dopo il raffreddamento, in quattro quarti secondo un taglio variabile regionalmente ma quasi sempre a pistola; i quarti anteriori comprendono quindi le regioni del collo, del garrese, del petto, del costato, della spalla, del braccio, del gomito, dell'avambraccio, del fianco e dell'addome; quelli posteriori le regioni del dorso, del lombo, della groppa, della coscia, della natica e della gamba e costituiscono i tagli migliori (Figura ). Oltre ai quattro quarti, dagli animali macellati si ottiene il cosiddetto quinto quarto, che è costituito dalle frattaglie edibili (testa con cervella e lingua; coda; cuore, polmoni e diaframma; fegato, milza e pancreas; stomaci; midollo; timo) ed i sottoprodotti della macellazione (sangue, pelle, grasso; corna, unghie e crini; budella, vescica; ossa e carnicci vari) che sono utilizzati dalle varie industrie di trasformazione. La stima corretta della resa alla macellazione sugli animali ancora vivi è di rilevante importanza economica per l'allevatore ai fini della fissazione di un equo prezzo di vendita, soprattutto quando questo è stabilito con riferimento al peso vivo: nonostante i molti tentativi fatti da vari studiosi per determinare univocamente dei caratteri (quali l'individuazione di dimensioni somatiche facilmente misurabili come, ad es. la circonferenza toracica, la statura e la lunghezza del tronco) strettissimamente correlati con la resa, non esiste al momento un parametro valido per alcuna specie; tale stima è quindi sempre soggettiva e si serve dei mezzi tradizionali basati sullo stato di ingrassamento, rilevabile con la palpazione o tastamento di alcune specifiche regioni (tasti) 93

91 dell'animale vivo. I principali tasti, che sono dati dall'entità dei depositi adiposi sottocutanei, sono in ordine progressivo di stato di ingrassamento dell'animale: grassella (plica cutanea del fianco), cimiero o culaccio (plica laterale della coda) e punta di petto (prominenza sternale); lombo (estremità dei processi trasversi delle vertebre lombari), costa ( estremità delle ultime costole) e coppa (prolungamento delle scapole); cuore (regione cardiaca), anca (tuberosità iliaca) e inguine (fondo dello scroto nei maschi e mammella nella femmina) LE CARATTERISTICHE DELLA CARCASSA E DEI SUOI TAGLI La bontà di una carcassa è legata soprattutto alla quantità di masse muscolari e di depositi adiposi in essa presente: la sua valutazione commerciale, non sempre di facile effettuazione, non può quindi prescindere da una obbiettiva quantificazione di questi elementi; allo scopo sono pertanto presi in considerazione, anche su indicazione delle disposizioni comunitarie, principalmente tre elementi: la conformazione, lo stato di ingrassamento o adiposità, la resa in tagli pregiati. La conformazione della carcassa, che è identificata con lo sviluppo del suo profilo in generale e delle sue tre parti essenziali (coscia, schiena, spalla) in particolare, è valutata, a livello comunitario, in 6 classi commerciali (SEUROP) le cui caratteristiche sono le seguenti (Figura 2.2.4a): - S (Superiore): Profilo superconvesso, sviluppo muscolare con doppia groppa, coscia, schiena e spalla superconvesse e superspesse (riservata di fatto agli animali eccezionali di razze da carne); - E (Eccellente): Profilo molto convesso, sviluppo muscolare eccezionale, coscia molto arrotondata, schiena larghissima e spessissima, spalla molto arrotondata; - U (Ottima): Profilo convesso, sviluppo muscolare abbondante, coscia arrotondata, schiena larga e spessa, spalla arrotondata; - R (Buona): Profilo rettilineo, sviluppo muscolare buono, coscia sviluppata, schiena spessa, spalla sviluppata; - O (Media): Profilo leggermente concavo, sviluppo muscolare medio, coscia mediamente sviluppata, schiena media, spalla quasi piatta; - P (Mediocre): Profilo molto concavo, sviluppo muscolare ridotto, coscia poco sviluppata, schiena stretta, spalla piatta. Poiché ciascuna di queste 6 categorie può a sua volta essere suddivisa in 3 sottoclassi (1-; 1; 1+), possono aversi complessivamente 18 tipi di carcasse. 94

92 Le misurazioni vengono eseguite in parte sull'animale vivo al momento della macellazione, in parte dopo la macellazione sulla carcassa refrigerata. Le prime consistono nella rilevazione: dell'altezza al garrese, alla croce e del torace; della lunghezza del tronco e della groppa; della larghezza della groppa e del torace; della circonferenza del torace; dello spessore della pelle. Le seconde nella rilevazione: della lunghezza della carcassa e della coscia, della profondità del torace, della larghezza sia massima che minima della coscia. Lo stato di ingrassamento o adiposità della carcassa, individuabile con la quantità di grasso presente sia al suo esterno (arto posteriore, dorso, torace, addome, arto anteriore) che costituisce il grasso di copertura, sia al suo interno (bacino, rene, diaframma, costole, petto e apofisi dorsali) che costituisce il grasso interno, è valutato in 5 classi (1, 2, 3, 4, 5) suddivisibili, a loro volta, ciascuna in tre sottoclassi (-, 0, +) per complessivi 15 possibili tipi codificati dal MAF (attualmente MIPAF) nel modo seguente (Figura 2.2.4b): 1. ingrassamento molto scarso: copertura di grasso inesistente sia all'esterno che all'interno; 2. ingrassamento scarso: copertura di grasso sottile con muscoli visibili; 3. ingrassamento medio: copertura dei muscoli toracici con lievi depositi al loro interno; 4. ingrassamento buono: copertura abbondante dei muscoli toracici e discreta degli altri ; 5. ingrassamento ottimo: copertura abbondante di tutti i muscoli con infiltrazioni di grasso. La resa in tagli o pezzature pregiate, in cui le mezzene ed i quarti sono suddivisi anche se in maniera differente da regione a regione, hanno grandissimo rilievo nella valutazione delle caratteristiche delle carcasse. Sotto l'aspetto anatomico (Pezzatura anatomica), la carcassa è costituita dai tagli dei quarti anteriori e da quelli dei quarti posteriori. I tagli del quarto anteriore (sino all'ultima vertebra dorsale, seguendo il margine caudale dell'ultima costola) sono rappresentati: dalla spalla (scapola, omero e muscoli annessi), dall'avambraccio (radio-ulna, carpo e relativi muscoli), dal collo (vertebre cervicali e relativi muscoli), dalla punta di petto e petto (sterno, parte inferiore delle costole e muscoli annessi), dalla bistecca (vertebre dorsali, due terzi delle costole e muscoli costali relativi, muscoli toracici). I tagli del quarto posteriore (dalla prima vertebra lombare seguendo il margine superiore dell'ultima costola) sono rappresentati: dal lombo (regione lombare e relativi muscoli), dall'addome (muscoli addominali), dalla coscia (vertebre sacrali e prima coccigea, bacino, femore, rotula e muscoli annessi), dalla gamba (tibia, fibula, tarso e relativi muscoli). 95

93 Sotto l'aspetto commerciale (Pezzatura commerciale) le pezzature principali sono: Spalla, sottospalla, petto, punta di petto, collo, costola, per i quarti anteriori; Filetto, arrosto, girello, fesa, noce, scamone, per i quarti posteriori. Tutte le caratteristiche della carcassa sono funzione, oltre che del piano alimentare e quindi dello stato di ingrassamento, soprattutto del tipo genetico dell'animale (specie e razza, sesso ed età). Le razze da carne forniscono quarti posteriori e quindi tagli pregiati (filetto, girello, arrosto) in quantità superiore alle razze a duplice attitudine, queste alle razze da latte, queste ultime alle rustiche: l'incidenza del quarto posteriore sulla mezzena infatti oscilla mediamente fra 60 40%, quella dei tagli di prima qualità su quelli totali fra 35 15%. I maschi sono in genere superiori alle femmine e gli animali meno giovani migliori di quelli più giovani. 96

94 LA QUALITÀ E LA COMPOSIZIONE DELLA CARNE La carne è costituita dal muscolo, dal grasso e, per alcuni tagli, anche dalle ossa e dai tendini: il muscolo, costituito prevalentemente di acqua (75 80%), di proteine (15 20%) e di lipidi (2 3%), è formato da tessuto muscolare (fibre muscolari di varia lunghezza e spessore composte da numerosissime miofibrille contrattili), da tessuto connettivo (dato prevalentemente dal collagene responsabile principale della tenerezza della carne) e da tessuto adiposo intramuscolare. Essa deriva dalla evoluzione, dopo la morte dell'animale, dei suoi costituenti principali ed in particolare del tessuto muscolare, la cui struttura e la cui composizione subiscono una serie di processi di maturazione: modificazioni fisiche, quali la rigidità cadaverica per il consumo dell'atp; trasformazioni biochimiche, quali l'idrolisi del glicogeno e la riduzione del ph, indispensabile per la buona conservazione della carne; fenomeni di idrolisi e di ossidazione, sia a carico delle proteine ed in particolare della mioglobina, sia a carico dei lipidi intra e intermuscolari; calo ponderale per evaporazione, la cui entità dipende dall'umidità, dalla temperatura e dalla ventilazione. La velocità di tali processi dipende sopratutto dal tipo di muscolo, dall'età, dallo stato di ingrassamento e dalla temperatura di refrigerazione. La carne che può essere consumata fresca (entro 5 6 d, purchè conservata a T di 5 6 C), refrigerata (entro d, purchè conservata a T di 1 2 C), congelata (entro 6 mesi, purchè conservata a T di -18 C) e surgelata (congelamento rapido in 4 h), oltrechè essiccata, insaccata, affumicata, salata e inscatolata presenta qualità organolettiche, composizione chimica e rese allo spolpo molto variabili in funzione di diversi fattori (specie, razza, sesso, età e peso di macellazione; piano alimentare e stato di ingrassamento; provenienza e tecnica di allevamento; taglio commerciale e stato di maturazione o frollatura). Le caratteristiche organolettiche della carne che interessano il consumatore e che quindi concorrono a definirne il valore commerciale ossia il prezzo di vendita sono principalmente: il colore, la tenerezza, il sapore e l'odore. Il colore, essendo la caratteristica percepita più immediatamente dal consumatore, costituisce il primo criterio di valutazione e quindi di giudizio sul prezzo di vendita; esso varia in funzione: della specie (nella specie bufalina è più scuro che in quella bovina; nella specie ovina più che in quella caprina), della razza (nelle razze da carne è più chiaro che in quelle da latte e rustiche), del sesso (nei maschi è più scuro che nelle femmine), dell'età di macellazione (negli adulti è più scuro che nei giovani), del tipo di alimentazione (negli animali svezzati è più scuro che in quelli a carne bianca), 97

95 della distanza dalla macellazione (schiarisce con il passare del tempo), del tipo di conservazione (hanno effetto soprattutto la temperatura, l'umidità e la ventilazione), delle condizioni di macellazione (gli stress provocano colore scuro). Alla sua definizione concorrono sopratutto: l'intensità, la lucentezza o luminosità e la persistenza o stabilità. L'intensità è data dalla quantità e dallo stato di ossidazione di pigmento presente nella fibra muscolare, il quale è rappresentato quasi esclusivamente dalla mioglobina cromoproteina formata da globina (gruppo proteico) e da Fe (gruppo prostetico) che conferisce il colore in quanto con il dissanguamento l'emoglobina si riduce a poco più del 10%; essa può essere quantificata rilevando il contenuto in Fe mioglobinico della carne. La luminosità è data dalla lucentezza ed è misurata con lo spettro-fotometro. La persistenza, variabile con il muscolo, è la stabilità o resistenza del colore al trattamento termico. La tenerezza, che è la resistenza alla masticazione od al taglio, è funzione della specie, della razza, del sesso, dell'età e peso di macellazione, nonchè dello stato di ingrassamento dell'animale, ed è migliorabile, entro certi limiti, con le modalità di macellazione e di raffreddamento, con la maturazione e la frollatura; essa è legata, oltreché alle caratteristiche originarie (quantità e qualità del tessuto connettivo e struttura delle miofibrille), anche alle modalità di cottura (durata, temperatura e tipo di riscaldamento). Può essere valutata soggettivamente con la masticazione o indirettamente con apposite analisi dinamometriche. Il sapore, che è dato dall'insieme delle sensazioni olfattive e gustative all'assaggio, deriva dai corpi volatili o solubili presenti nella carne (composti azotati, carboidrati e trigliceridi). L'odore, che varia in funzione della specie, del sesso, dell'età e del tipo di alimentazione, nonchè del tipo ed intensità di cottura, dovebbe essere fragrante o, al massimo, leggermente acidulo. La composizione chimica della carne viene determinata analiticamente su porzioni di muscoli campione (ad esempio: lunghissimo dorsale, semimembranoso, semitendinoso, lungo vasto etc): di solito sono rilevati il valore calorico o energetico mediante bomba calorimetrica, il contenuto in acqua (sia di costituzione che di ritenzione), in proteine ed eventualmente nei diversi aminoacidi, in grasso ed eventualmente la serie acidica dei suoi acidi grassi. La resa allo spolpo è data dalla percentuale di muscolo, di grasso, di ossa + tendini della carcassa e dipende principalmente dalla specie, dalla razza, dal peso ed età di macellazione, dal piano alimentare e stato di ingrassamento dell'animale; essa è determinata, anziché con lo spolpo dell'intera mezzena campione che sarebbe eccessivamente oneroso, con lo spolpo di tagli campione, la cui 98

96 composizione sia risultata strettamente correlata con quella dell'intera carcassa, e con l'applicazione di equazioni di regressione del tipo Y= b 0 +b 1 X in cui Y è, di volta in volta, il contenuto percentuale in muscolo, in grasso ed in ossa + tendini della mezzena ed X è, di volta in volta, il contenuto in muscolo, in grassi ed in ossa + tendini del taglio campione rilevato con lo spolpo LE PRODUZIONI MINORI Le produzioni minori sono: la produzione di lana, limitatamente alla specie ovina; la produzione di pelli; la produzione di letame, limitata quasi esclusivamente alle specie bovina e bufalina LA PRODUZIONE DI LANA La lana, che è la copertura pilifera della pelle della specie ovina ed il cui costituente chimico fondamentale è la cheratina, è costituita dal vello (parte più esterna e grossolana, composta prevalentemente da peli provenienti dai follicoli primari) e dal sottovello (parte più interna e sottile, composta prevalentemente da filamenti provenienti dai follicoli secondari). A seconda della prevalenza in essa di questi due componenti, la lana è classificata, sotto l'aspetto merceologicocommerciale, nelle seguenti classi: tessile, intermedia, da materasso. I principali parametri che ne definiscono la qualità sono: - la finezza o diametro della fibra, attualmente misurata elettronicamente su tutto il bioccolo, che può variare da 10 a 50µ; - la lunghezza, misurata sul filamento disteso, che può variare da cm 5 10 a 20 30; - la resistenza alla trazione, alla torsione ed alla flessione, particolarmente importanti nell'industria tessile per la filatura; - la increspatura e l'elasticità; la leggerezza e la morbidezza; la coibenza e la conduttività; la lucentezza e la colorabilità; la omogeneità e la densità. La qualità della lana è influenzata dal clima (T, U, L), dall'alimentazione (concentrazione energetica e proteica della razione, presenza di aminoacidi solforati) e dalla tosatura (frequenza e distanza di tosatura). Tabella Classificazione e caratteristiche delle lane Tipo Componente dei Densità Finezza Qualità Rapporto Lunghezza commercial filamenti delle fibre delle fibre delle fibre follicolare delle fibre e (n /mm²) (in µ) (in S) (S/P) (in cm) 99

97 Tessile sottovello > vello >40 <25 > <10 Intermedia sottovello = vello Da sottovello < vello <20 >35 < >20 materasso Una produzione pilifera impropriamente considerata lana anche se costituita da fibre lunghissime (sino a cm 25 di lunghezza) e sottilissime (intorno ai 15 µm di diametro) è quella fornita dalle razze Angora e Mongolica (che è denominata, rispettivamente, Mohair e Kashmir) della specie caprina che viene utilizzata, in tutto il mondo, per la preparazione di filati finissimi di grandissimo valore commerciale LA PRODUZIONE DI PELLI La pelle, la cui incidenza sul peso vivo dell'animale e sulla sua carcassa è rispettivamente del 8 10% e del 15 20%, viene utilizzata quasi esclusivamente nell'industria conciaria nella produzione del cuoio (sopratutto nella specie bovina), per la fabbricazione di pelletterie (quali scarpe, borse etc.) e di tappeti (sopratutto nella specie ovina e caprina) per l'arredamento. Il suo valore commerciale è legato alla sua qualità, che viene identificata con la sua grandezza e robustezza e soprattutto con la sua integrità LA PRODUZIONE DI LETAME Il letame, che è l'insieme degli escrementi (feci e urine) dell'animale e della paglia (lettiera) spesso fermentati, assume importanza economica, di fatto, soltanto nella specie bovina, sia per la entità della produzione che per le sue caratteristiche; esso è reimpiegato direttamente in azienda per la fertilizzazione dei terreni oppure è utilizzato nell'industria floricola e serricola, soprattutto se conservato alla stato solido. La sua qualità dipende dal suo contenuto in sostanza secca e in elementi fertilizzanti (N, P, K) e dall'assenza di residui inquinanti (detersivi, microbi, sostanze tossiche). La quantità annualmente prodotta in una stalla (o in un ovile) dipende dalla consistenza dell'allevamento, dalla ingestione alimentare degli animali, dalla composizione e digeribilità degli alimenti, dalla quantità di paglia impiegata come lettiera e dal sistema di conservazione della massa prodotta: ad esempio, nei bovini, nell'ipotesi di un peso corporeo medio unitario di q 5 (3 7), di un livello di ingestione alimentare medio del 3% (2 4), di una escrezione fecale del 30% (20 40) della s.s. ingerita e di un contenuto idrico globale della massa (acqua fecale + urine + acqua di rifiuto della 100

98 stalla) dell'80% (70 90), la quantità annualmente prodotta (in 300 giorni di raccolta) è mediamente di q 67,5 (45 90), corrispondente a 13,5 q (9 18) di sostanza secca per capo allevato. Riferimenti bibliografici PAZZONA A. - Mungitura Meccanica e Refrigerazione del latte alla stalla, 15. INEA (Roma), BRANDANO P. e col. - Recenti acquisizioni sulla qualità del latte ovino e caprino e derivati. Seminario latte, SS, NUDDA A. - La qualità del latte ovino. Tesi Dottorato, PARIGI-BINI E COLL. - La produzione della carne. PÀTRON Editore (BO), MAF - ASPA - Metodologie di macellazione degli a.p.z..ismea (Roma), PEDIGLIERI V. - Le lane d'italia. ASSONAPA, REDA (Roma),

99 Figura Sale e impianti di mungitura Sala lineare a tandem (2+2) Sala lineare a spina di pesce (5+5) Sala lineare a pettine (6+6) Sala rotativa (12) Sala lineare trasportata (12+12) Sala a piattaforma mobile (18) (da Pazzona A., Quaderni INEA 1994, n 15) 102

100 Prospetto 2.2. Categorie animali per la produzione della carne Specie Classificazione zootecnica Classificazione commerciale Categoria Età Peso (kg) Categoria Vitello da latte Tradizionale m Leggero m Pesante m Bovino da latte < 220 kg p. m. A giovenca Bovina Vitellone Leggero m Semipesante m Pesante m > 15 > 500 Bovino adulto B toro C castrato D vacca Adulto Vacca y Toro y E vitellone Bufalina Vitello da latte m Bufalotto m Vacca y Adulto Toro y Annutolo < y 1 Adulto > y 1 Tradizionale d Tradizionale Agnello da latte Agnello da latte <7kg Pesante d Leggero 7-13 kg Ovina Agnellone Leggero d Tradizionale d Agnellone Pesante d Adulto Pecora y Ariete y Adulto Castrato m Caprina Tradizionale d Capretto da latte Capretto da latte Pesante d Caprettone d Caprettone Adulto Capra y Becco y Adulto 103

101 Figura a Diagramma dell andamento del ritmo di accrescimento assoluto 120 Ritmo assoluto (in kg/d oppure in g/d ) Tempo Figura b Diagramma dell andamento del ritmo di accrescimento relativo Ritmo relativo (in % oppure in % ) Tempo Figura c Diagramma dell andamento del peso corporeo 1, ,00000 Peso corporeo ( in kg oppure in g ) 0, , , , , Tempo 104

102 Figura d Diagramma del ritmo di accrescimento dei vari tessuti Razze precoci Ritmo ossa muscolo grasso Tempo Razze medie Ritmo ossa muscolo grasso Tempo Razze tardive Ritmo ossa muscolo grasso Tempo 105

103 Figura La carcassa e i suoi tagli da ASPA, Agricoltura e Ricerca, Maggio

104 S (SUPERIORE) E (ECCELLENTE) U (OTTIMA) R (BUONA) O (ABBASTANZA BUONA) P (MEDIOCRE) Figura a Conformazione della carcassa 109

105

106 Figura b Stato di ingrassamento o adiposità della carcassa 1 (MOLTO SCARSO) 2 (SCARSO) 3 (MEDIAMENTE SCARSO) 4 (ABBONDANTE ) 5 (MOLTO ABBONDANTE) 110 1

Da latte M P C I I C P M 0 3 0 0 0 0 3 0 0 3 0 4 4 0 3 0

Da latte M P C I I C P M 0 3 0 0 0 0 3 0 0 3 0 4 4 0 3 0 I RUMINANTI Apparato boccale privo di incisivi superiore e canini Philum Subphilum Superclasse Classe Sottoclasse Superordine Ordine Sottordine Famiglia Genere -Bos -Bubalus -Bison -Ovis -Capra Cordata

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