Trattamento chirurgico dell insufficienza mitralica ischemica

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1 PROCESSO AI GRANDI TRIAL Trattamento chirurgico dell insufficienza mitralica ischemica Ottavio Alfieri 1, Antonio M. Calafiore 2, Angela L. Iacò 2, Michele Di Mauro 3 1 U.O. e Cattedra di Cardiochirurgia, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano 2 Department of Adult Cardiac Surgery, Prince Sultan Cardiac Center, Prince Sultan Military Medical City, Riyadh, Arabia Saudita 3 Istituto di Cardiologia, Università degli Studi, L Aquila Background. L insufficienza mitralica ischemica è associata ad aumentata morbilità e mortalità. Nei pazienti con insufficienza mitralica moderata resta da chiarire se l associazione della riparazione della valvola mitrale alla rivascolarizzazione chirurgica mediante bypass aortocoronarico (CABG) abbia effetti benefici. Metodi. 301 pazienti con insufficienza mitralica ischemica di grado moderato sono stati randomizzati a CABG da solo o a CABG associato a riparazione della valvola mitrale (procedura combinata). L endpoint composito era rappresentato dal volume telesistolico del ventricolo sinistro indicizzato (VTSVSi), un parametro di rimodellamento ventricolare sinistro, ad 1 anno, valutato mediante il test di Wilcoxon rank-sum in cui i decessi sono stati categorizzati in relazione al valore più basso di VTSVSi. Risultati. Ad 1 anno, il VTSVSi medio nei pazienti sopravvissuti era 46.1 ± 22.4 ml/m 2 nel gruppo sottoposto a CABG da solo e 49.6 ± 31.5 ml/m 2 nel gruppo sottoposto a procedura combinata (variazione media rispetto al basale -9.4 e -9.3 ml/m 2, rispettivamente). Il tasso di mortalità è stato pari a 6.7% nel gruppo sottoposto a procedura combinata e 7.3% nel gruppo sottoposto a CABG da solo (hazard ratio con riparazione mitralica 0.90; intervallo di confidenza 95% ; p=0.81). La valutazione del VTSVSi ad 1 anno basata sul rank test (comprendente i decessi) non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi (z score 0.50; p=0.61). L aggiunta dell intervento di riparazione della valvola mitrale è risultata associata ad un tempo maggiore di circolazione extracorporea (p<0.001), ad un prolungamento della degenza ospedaliera (p=0.002) e ad un aumentata incidenza di eventi neurologici (p=0.03). I pazienti sottoposti a procedura combinata hanno presentato meno frequentemente insufficienza mitralica moderato-severa rispetto ai pazienti sottoposti a CABG da solo (11.2 vs 31.0%, p<0.001). Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi in termini di eventi cardiaci o cerebrovascolari maggiori, decessi, riospedalizzazioni, stato funzionale o qualità di vita ad 1 anno. Conclusioni. Nei pazienti con insufficienza mitralica ischemica di grado moderato, l aggiunta della riparazione mitralica all intervento di CABG non ha determinato un maggiore rimodellamento inverso del ventricolo sinistro. La riparazione della valvola mitrale è risultata associata ad una minore prevalenza di insufficienza mitralica moderato-severa ma a fronte di un incremento degli eventi avversi. Pertanto, in questo studio, ad 1 anno non è stato evidenziato un vantaggio clinicamente rilevante derivante dall associazione della riparazione mitralica all intervento di CABG. Un follow-up a più lungo termine potrebbe stabilire se la minore prevalenza di insufficienza mitralica possa tradursi in un beneficio clinico netto. [N Engl J Med 2014;371: ] G Ital Cardiol 2015;16(4): Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Prof. Ottavio Alfieri U.O. e Cattedra di Cardiochirurgia, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano alfieri.ottavio@hsr.it Prof. Antonio M. Calafiore Department of Adult Cardiac Surgery, Prince Sultan Cardiac Center, Riyadh, Arabia Saudita am.calafiore@gmail.com IL PUNTO DI VISTA DI OTTAVIO ALFIERI La questione del trattamento dell insufficienza mitralica (IM) funzionale di entità moderata nel contesto di una cardiomiopatia ischemica è molto dibattuta e resta decisamente controversa. Le recenti linee guida europee 1 e americane 2 non esprimono in proposito una posizione univoca: nelle prime la correzione chirurgica dell IM moderata durante l intervento di bypass aortocoronarico viene considerata probabilmente utile ed efficace e viene quindi fortemente consigliata (raccomandazione di classe IIa), mentre nelle seconde la raccomandazione è assai più debole (classe IIb). In entrambe le linee guida il livello di evidenza è C, a significare che le raccomandazioni si basano sul consenso di opinione tra esperti e su studi osservazionali retrospettivi, ma non su studi prospettici randomizzati. In questo scenario, lo studio multicentrico randomizzato di Smith et al. 3 ha una rilevanza scientifica di primissimo piano. Le evidenze scientifiche precedenti sono costituite da un certo numero di studi osservazionali, alcuni dei quali dimostrano l effetto benefico della correzione dell IM moderata durante il by- 1

2 O ALFIERI ET AL pass aortocoronarico 4-6, mentre altri giungono a conclusioni diametralmente opposte 7-9, e altri ancora non evidenziano alcuna differenza significativa tra i risultati ottenuti con il solo bypass aortocoronarico o con il bypass in combinazione con la correzione dell IM 10,11. Più recentemente, la questione del trattamento dell IM moderata nella cardiomiopatia ischemica viene affrontata anche in due studi randomizzati. Nel primo di questi studi, Fattouch et al. 12, dopo un follow-up medio di 32 mesi, documentano che l aggiunta della riparazione mitralica alla rivascolarizzazione chirurgica del miocardio si associa a un effetto benefico sul rimodellamento del ventricolo sinistro, sull entità dell IM residua e sulla classe funzionale NYHA. Nel secondo studio, Chan et al. 13, confrontando l intervento di bypass associato a riparazione mitralica con l intervento di bypass isolato, dimostrano, dopo un follow-up di 12 mesi, un effetto favorevole dell intervento combinato sotto il profilo del consumo di ossigeno di picco (endpoint primario), del volume del rigurgito mitralico, del livello plasmatico del peptide natriuretico di tipo B e del volume telesistolico del ventricolo sinistro. Nessuno dei due studi mostra differenze significative in termini di mortalità. L interpretazione di tutti i lavori scientifici sopramenzionati non è agevole e anzi può essere fuorviante, in quanto il materiale clinico oggetto di investigazione è quasi sempre numericamente limitato, gli endpoint sono spesso diversi e talora discutibili, i metodi di valutazione dell IM non sono standardizzati e le caratteristiche cliniche dei pazienti sono eterogenee. Prescindendo dalla letteratura a disposizione, e proseguendo nella discussione sul tema dell IM moderata nella cardiomiopatia su base ischemica, è senz altro utile considerare gli argomenti logici che possono essere portati a favore o contro l aggiunta della riparazione mitralica all intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica. È stato ripetutamente dimostrato che la presenza di IM, anche di entità solo moderata, ha un impatto prognostico negativo nel paziente con cardiomiopatia ischemica. Appare pertanto ovvia la necessità di eliminare l IM e quindi interrompere la sequenza degli eventi sfavorevoli che si verificano a seguito del rigurgito valvolare: sovraccarico volumetrico del ventricolo sinistro, progressiva dilatazione e disfunzione dello stesso, scompenso cardiaco. La correzione dell IM però non è una procedura a costo zero. Essa richiede l apertura di una cavità cardiaca (l atrio sinistro) e un tempo aggiuntivo di circolazione extracorporea e di clampaggio aortico. Tutto ciò comporta un trauma complessivo maggiore e non è del tutto esente da complicanze, che, specialmente nel paziente anziano e/o affetto da copatologie, possono determinare un rischio operatorio consistentemente più alto. I benefici potenziali della riparazione mitralica pertanto potrebbero essere, in determinate circostanze, del tutto annullati dal rischio aumentato dell intervento combinato. Non bisogna poi dimenticare che non infrequentemente nel paziente coronaropatico la rivascolarizzazione miocardica isolata può migliorare la funzione regionale del ventricolo sinistro, ridurre le dimensioni della camera ventricolare, ristabilire la geometria dell apparato sottovalvolare e quindi eliminare o almeno attenuare l IM funzionale. Lo studio multicentrico randomizzato di Smith et al. 3 è stato disegnato e condotto con l intento di fornire informazioni utili o addirittura conclusive in un contesto clinico relativamente frequente, di fronte al quale il processo decisionale è caratterizzato dall incertezza. I dati della letteratura a disposizione, come sottolineato in precedenza, sono contraddittori e certamente non offrono un supporto affidabile per la decisione. Inoltre, le argomentazioni logiche a favore della concomitante riparazione mitralica si scontrano con la realistica probabilità di un rischio operatorio aumentato rispetto a quello del bypass isolato. Lo studio ha alcune caratteristiche che soddisfano i requisiti attesi: il numero di pazienti è sufficientemente ampio, l end - point primario (volume telesistolico ventricolare sinistro indicizzato) è appropriato in quanto predittore della prognosi nel paziente con cardiomiopatia ischemica, gli endpoint secondari, che comprendono la mortalità e tutti gli eventi avversi cardiaci e cerebrovascolari, forniscono i dati clinici fondamentali, il grado di IM è definito secondo criteri ben precisi ed è determinato da un laboratorio ecocardiografico centralizzato indipendente, la riparazione mitralica è standardizzata (anuloplastica sottodimensionata). Il limite maggiore dello studio è rappresentato dal breve follow-up (12 mesi). I risultati possono essere così riassunti: a) nei pazienti con IM funzionale moderata che vengono sottoposti a un intervento di bypass aortocoronarico, la riparazione mitralica aggiuntiva non determina, a 12 mesi dalla procedura, alcun vantaggio significativo, rispetto al bypass isolato, per quanto riguarda la riduzione del volume telesistolico del ventricolo sinistro indicizzato ovvero il rimodellamento inverso; b) non sono state riscontrate differenze significative nemmeno per quanto concerne la mortalità, l endpoint combinato degli eventi avversi cardiaci e cerebrovascolari, le riospedalizzazioni e la qualità della vita; c) l aggiunta della procedura di riparazione mitralica all intervento di bypass comporta una significativa riduzione della percentuale di pazienti con IM residua moderata o più che moderata; d) l intervento combinato, rispetto al bypass aortocoronarico isolato, è gravato da un numero più elevato di eventi neurologici. Gli autori concludono che, sulla base della loro analisi, la riparazione mitralica in aggiunta al bypass non determina alcun vantaggio clinicamente significativo. È tuttavia necessario un periodo di follow-up più lungo per verificare se la minore prevalenza di IM residua moderata o severa osservata nei pazienti che hanno avuto la riparazione della mitrale si traduce in un beneficio clinico. È legittimo a questo punto chiedersi quale impatto questo studio possa avere sulla nostra pratica clinica. Dobbiamo davvero eseguire soltanto l intervento di bypass in tutti i pazienti che necessitano di rivascolarizzazione chirurgica del miocardio e hanno una IM moderata di tipo funzionale? Certamente no! Nel mondo reale vi sono senza dubbio pazienti che possono decisamente trarre beneficio dalla riparazione mitralica aggiuntiva e che quindi vanno identificati, in omaggio a un comportamento che previlegia sempre la personalizzazione della cura. Gli studi randomizzati come quello in discussione forniscono dati importanti, ma, per quanto ben disegnati e condotti, non possono mai determinare le scelte terapeutiche nel singolo individuo. Il motivo di ciò è che la popolazione randomizzata è necessariamente e invariabilmente eterogenea, e l eterogeneità ha un inevitabile effetto confondente. Per entrare nello specifico dello studio in questione, a scopo esemplificativo, 2

3 TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL INSUFFICIENZA MITRALICA ISCHEMICA si può osservare che circa il 35% dei pazienti randomizzati non aveva avuto un infarto miocardico precedente. Evidentemente, in questa grossa percentuale di pazienti, l IM non poteva che essere dovuta ad alterazioni della geometria ventricolare sinistra secondarie a una condizione fisiopatologica di ischemia o ibernazione nel contesto di un miocardio vitale. È del tutto ovvio che questo 35% di pazienti beneficiasse del solo intervento di bypass. Continuando nell esemplificazione, non si sa quanti pazienti presentassero una cicatrice corrispondente all impianto di un muscolo papillare, e quindi avessero un IM molto difficilmente trattabile in modo efficace con il solo intervento di bypass. E non si sa neppure il numero di pazienti con un IM difficilmente correggibile con una anuloplastica sottodimensionata ( tethering asimmetrico, distanza di coaptazione >1 cm, ecc.). Gli esempi potrebbero continuare, a sottolineare la realistica difficoltà se non addirittura l impossibilità di randomizzare pazienti del tutto omogenei, pur nell ambito della stessa patologia. La strategia terapeutica nel singolo paziente deve essere pertanto dettata dalle peculiarità ecocardiografiche dell IM, dalla distribuzione delle lesioni coronariche ostruttive, dalla presenza e dalla distribuzione delle aree cicatriziali e delle aree vitali disfunzionanti per ischemia o ibernazione, oltre che da considerazioni generali relative alla valutazione del rischio operatorio. In conclusione, non deve passare il concetto che in tutti i pazienti con IM funzionale moderata e cardiopatia ischemica eseguire o non eseguire la riparazione mitralica sia la stessa cosa e che quindi la riparazione mitralica possa essere omessa. Al contrario, nel mondo reale vi sono pazienti in cui la correzione chirurgica dell IM è conveniente e altri in cui tale procedura non è assolutamente indicata. Il saper distinguere gli uni dagli altri rappresenta la sfida più importante della valutazione preoperatoria. BIBLIOGRAFIA 1. Vahanian A, Alfieri O, Andreotti F, et al. Guidelines on the management of valvular heart disease (version 2012): the Joint Task Force on the Management of Valvular Heart Disease of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). Eur J Cardiothorac Surg 2012;42:S Nashimura RA, Otto CM, Bonow RO, et al AHA/ACC guideline for the management of patients with valvular heart disease: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol 2014;63:e Smith PK, Puskas JD, Ascheim DD, et al.; Cardiothoracic Surgical Trials Network Investigators. Surgical treatment of moderate ischemic mitral regurgitation. N Engl J Med 2014;371: Bax JJ, Braun J, Somer ST, et al. Restrictive annuloplasty and coronary revascularization in ischemic mitral regurgitation results in reverse left ventricular remodeling. Circulation 2004;110(11 Suppl 1):II Aklog L, Filsoufi F, Flores KQ, et al. Does coronary artery bypass grafting alone correct moderate ischemic mitral regurgitation? Circulation 2001;104(12 Suppl 1):I Deja MA, Grayburn PA, Sun B, et al. Influence of mitral regurgitation repair on survival in the surgical treatment for ischemic heart failure trial. Circulation 2012;125: Castleberry AW, Williams JB, Daneshmand MA, et al. Surgical revascularization is associated with maximal survival in patients with ischemic mitral regurgitation: a 20-year experience. Circulation 2014;129: Kang DH, Kim MJ, Kang SJ, et al. Mitral valve repair versus revascularization alone in the treatment of ischemic mitral regurgitation. Circulation 2006;114(1 Suppl):I Ryden T, Bech-Hanssen O, Brandrup-Wognsen G, Nilsson F, Svensson S, Jeppsson A. The importance of grade 2 ischemic mitral regurgitation in coronary artery bypass grafting. Eur J Cardiothorac Surg 2001;20: Wong DR, Agnihotri AK, Hung JW, et al. Long-term survival after surgical revascularization for moderate ischemic mitral regurgitation. Ann Thorac Surg 2005;80: Kim YH, Czer LS, Soukiasian HJ, et al. Ischemic mitral regurgitation: revascularization alone versus revascularization and mitral valve repair. Ann Thorac Surg 2005;79: Fattouch K, Guccione F, Sampognaro R, et al. Efficacy of adding mitral valve restrictive annuloplasty to coronary artery bypass grafting in patients with moderate ischemic mitral valve regurgitation: a randomized trial. J Thorac Cardiovasc Surg 2009; 138: Chan KM, Punjabi PP, Flather M, et al.; RIME Investigators. Coronary artery bypass surgery with or without mitral valve annuloplasty in moderate functional ischemic mitral regurgitation: final results of the Randomized Ischemic Mitral Evaluation (RIME) trial. Circulation 2012;126: IL PUNTO DI VISTA DI ANTONIO M. CALAFIORE, ANGELA L. IACÒ E MICHELE DI MAURO L insufficienza mitralica (IM) ischemica, se conseguente ad un infarto del miocardio, si accompagna ad una ridotta sopravvivenza 1 e ad un aumentata incidenza di scompenso congestizio 2, eventi ormai ben documentati in letteratura. A questo si aggiunge l imprevedibilità della risposta dell IM ischemica alla rivascolarizzazione miocardica, che spesso non riesce a diminuirne l entità, ma condiziona, se non corretta, il risultato della rivascolarizzazione miocardica 3,4. D altro canto non vi è alcuna dimostrazione che il trattamento chirurgico concomitante dell IM ischemica possa in qualche modo migliorare la sopravvivenza di questi pazienti. Col tempo la sensibilità dei chirurghi verso il trattamento delle complicanze meccaniche dell infarto miocardico è sicuramente aumentata. Manchiamo però di certezze, almeno nei gradi intermedi di IM ischemica, come emerge dalle linee guida europee 5 ed americane 6, che assegnano al trattamento chirurgico dell IM ischemica moderata, rispettivamente, la classe IIa-livello C e la classe IIb-livello C. In realtà, due studi randomizzati sono già disponibili in letteratura. Il primo 7, che ha incluso 102 pazienti, riporta risultati nettamente a favore della correzione chirurgica dell IM ischemica, in termini di miglioramento funzionale ed ecocardiografico, mentre il secondo 8 è stato interrotto per manifesta superiorità dell outcome nei pazienti sottoposti a trattamento dell IM ischemica. In questo contesto si colloca lo studio prospettico randomizzato di Smith et al. 9, con follow-up ad 1 anno, che ha coinvolto 26 centri nordamericani 9. I 301 pazienti arruolati con IM ischemica moderata sono stati suddivisi in due gruppi, ambedue trattati con rivascolarizzazione miocardica, in uno isolata (solo bypass aortocoronarico [CABG], n=151) e in uno associata ad anuloplastica riduttiva (CABG+riparazione mitralica [MVr], n=150). L endpoint primario è stato il rimodellamento ventricolare sinistro valutato tramite il volume telesistolico indicizza- 3

4 O ALFIERI ET AL to [VTSVSi). I risultati dello studio non hanno mostrato differenze significative fra i due gruppi, ad eccezione di una maggiore incidenza di complicanze neurologiche nel gruppo CABG+MVr e di IM ischemica moderata o severa nel gruppo CABG. Le conclusioni di questo studio sono tali da meritare un analisi approfondita per valutare se i risultati presentati possano influenzare la nostra pratica clinica. Il primo, e più importante, punto riguarda l assenza di una chiara definizione dell IM ischemica. Non viene infatti identificata la differenza fondamentale fra due diverse situazioni. L IM ischemica può essere causata da ischemia pura, una situazione dove, non essendovi necrosi, è possibile la ripresa della contrattilità nella zona di miocardio che include il muscolo papillare interessato o che indirettamente provoca lo spiazzamento di uno o ambedue i papillari, con le conseguenti alterazioni del meccanismo di chiusura valvolare. L IM ischemica può essere invece dovuta ad una situazione infartuale che, pur avendo gli stessi meccanismi, non è reversibile. Mentre quindi nel primo caso la rivascolarizzazione può migliorare o eliminare del tutto l IM ischemica, nel secondo caso la rivascolarizzazione da sola non ha effetti sull IM ischemica. La presenza di IM ischemica moderata non sarebbe dovuta essere di per sé un requisito per l arruolamento nello studio, ma doveva essere supportata da indagini che ne evidenziassero l eziologia francamente postinfartuale. Nello studio circa un terzo dei pazienti non aveva avuto un infarto miocardico e, fra quelli con infarto, non è stata valutata la presenza di ischemia residua nella stessa area. Stranamente, le variabili ecocardiografiche non sono presenti, ad eccezione della frazione di eiezione (FE) e del VTSVSi. In particolare, non sono disponibili i dati sulla funzione ventricolare destra, la presenza o meno di insufficienza tricuspidale, e conseguentemente di ipertensione polmonare, e i diametri del ventricolo sinistro. In media, la FE era del 40%, quindi non particolarmente bassa. È degno di nota che un nostro precedente studio 10 aveva concluso che nei pazienti con FE >30% la presenza di IM ischemica lieve o moderata influenzava i risultati a lungo termine nei pazienti con FE compresa tra 31% e 40%, ma non in quelli con FE >40%. Inoltre, i valori di VTSVSi sono relativamente modesti, contrariamente a quanto atteso dagli stessi autori ( i partecipanti al nostro studio avevano VTSVSi più bassi di quanto previsto ) 9. Ciò limita in ogni caso la possibilità di modificazioni significative. Il reclutamento dei pazienti è stato del tutto inadeguato. Sono stati ritenuti idonei allo studio 725 pazienti in un periodo di 5 anni (dal 2009 al 2013) in 26 centri, quindi 5.6 pazienti/centro. Di questi, ne sono stati randomizzati 301, quindi 2.3 pazienti/centro. Sono stati scrutinati 6676 pazienti, di cui 5951 (89.1%) non presentavano i criteri di inclusione, che comprendevano: 1) IM ischemica moderata secondo il giudizio dell ecocardiografista del centro, valutata tramite ecocardiografia transtoracica con metodo integrato; 2) coronaropatia suscettibile di rivascolarizzazione chirurgica con indicazione clinica alla rivascolarizzazione; 3) età 18 anni; 4) possibilità di firmare i moduli relativi al consenso informato e al rilascio di informazioni mediche riservate. Sulla base di tali criteri di inclusione, ci si pone la domanda di come venissero scrutinati i pazienti: probabilmente solo perché avevano indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica o perché avevano un qualche grado di IM ischemica o altro? In assenza di informazioni più dettagliate, ne deriva che i 301 pazienti randomizzati costituiscono il 4.5% dei pazienti scrutinati, percentuale sicuramente non rappresentativa del mondo reale. I dati presentati nello studio non mostrano differenze in alcuno degli endpoint valutati. Tuttavia, nelle conclusioni viene evidenziata l aumentata incidenza di complicanze neurologiche nei pazienti sottoposti a CABG+MVr. Il numero di pazienti che ha avuto un ictus è risultato simile nei due gruppi. La differenza appare quando vengono cumulati tutti gli eventi neurologici che risultano essere 4 per i pazienti sottoposti a CABG e 13 per quelli sottoposti a CABG+MVr (p=0.03). Evidentemente un paziente ha avuto 2 ictus, in quanto nel gruppo CABG+MVr sono stati considerati 6 pazienti ma fra gli eventi avversi gli ictus sono 7. La filosofia dello studio è quanto meno discutibile, in quanto si focalizza non sul numero di pazienti che presentano un evento avverso, ma sul numero astratto di eventi. Se quindi un paziente muore in seguito ad un ictus dopo un ricovero per scompenso cardiaco in cui presenta un infezione respiratoria e un episodio di fibrillazione atriale, vengono considerati ben 5 eventi, anche se il paziente è solo uno. Può essere un sistema valido dal punto di vista statistico, ma sicuramente la logica ne risulta sconfitta. Se si legge la didascalia della tabella 2 9, si nota che nel gruppo CABG+MVr è incluso un paziente con una massa situata nella dura madre. Queste sono lesioni tumorali, in genere meningiomi, non riconducibili ad una patologia causata dall intervento eseguito. Averla considerata un serio evento negativo non è giustificabile. Se togliamo la massa e un ictus (duplicato), i pazienti con eventi neurologici diventano 4 e 11 (valutazione per eccesso), rispettivamente. Utilizzando il test esatto di Fisher, viene meno la significatività statistica (p=0.07). Si ha l impressione che l aver considerato il numero di eventi e non di pazienti sia stata una forzatura tecnica a scapito della realtà clinica. In ultimo, nella discussione gli autori, commentando lo studio randomizzato condotto da Chan et al. 8, affermano che il trial è stato interrotto a causa del lento arruolamento.... Questa affermazione è strana, giacché Chan et al. 8 riportano che La principale ragione per interrompere precocemente il trial è stata la dimostrazione del beneficio relativo all aggiunta dell anuloplastica al CABG.... In definitiva, con questo trial abbiamo perso un occasione di eseguire uno studio serio e ben condotto su un argomento delicato, che è parte della nostra pratica clinica. La pericolosità dello studio consiste nella generalizzazione di risultati legati ad un reclutamento poco più di 2 pazienti l anno per centro, con una percentuale di pazienti valutati/randomizzati estremamente modesta (4.5%). Non sappiamo di che IM ischemica si tratti, né siamo certi che le complicanze neurologiche siano effettivamente più elevate nel gruppo CABG+MVr. Il trattamento dell IM ischemica moderata rimane ancora lasciato all esperienza dei singoli chirurghi. BIBLIOGRAFIA 1. Grigioni F, Enriquez-Sarano M, Zehr KJ, Bailey KR, Tajik AJ. Ischemic mitral regurgitation: long-term outcome and prognostic implications with quantitative Doppler assessment. Circulation 2001;103: Grigioni F, Detaint D, Avierinos JF, Scott C, Tajik AJ, Enriquez- Sarano M. Contribution of ischemic mitral regurgitation to congestive heart failure after myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2005;45: Ellis SG, Whitlow PL, Raymond RE, Schneider JP. Impact of mitral regurgitation on long-term survival after percutaneous coronary intervention. Am J Cardiol 2002;89:

5 TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL INSUFFICIENZA MITRALICA ISCHEMICA 4. Schroder JN, Williams ML, Hata JA, et al. Impact of mitral valve regurgitation evaluated by intraoperative transesophageal echocardiography on long-term outcomes after coronary artery bypass grafting. Circulation 2005;112(9 Suppl):I Vahanian A, Alfieri O, Andreotti F, et al.; Joint Task Force on the Management of Valvular Heart Disease of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Association for Cardio- Thoracic Surgery (EACTS). Guidelines on the management of valvular heart disease (version 2012). Eur Heart J 2012;33: Nishimura RA, Otto C ACC/AHA valve guidelines: earlier intervention for chronic mitral regurgitation. Heart 2014;100: Fattouch K, Guccione F, Sampognaro R, et al. Efficacy of adding mitral valve restrictive annuloplasty to coronary artery bypass grafting in patients with moderate ischemic mitral valve regurgitation: a randomized trial. J Thorac Cardiovasc Surg 2009;138: Chan KM, Punjabi PP, Flather M, et al.; RIME Investigators. Coronary artery bypass surgery with or without mitral valve annuloplasty in moderate functional ischemic mitral regurgitation: final results of the Randomized Ischemic Mitral Evaluation (RIME) trial. Circulation 2012;126: Smith PK, Puskas JD, Ascheim DD, et al.; Cardiothoracic Surgical Trials Network Investigators. Surgical treatment of moderate ischemic mitral regurgitation. N Engl J Med 2014;371: Calafiore AM, Mazzei V, Iacò AL, et al. Impact of ischemic mitral regurgitation on long-term outcome of patients with ejection fraction above 0.30 undergoing first isolated myocardial revascularization. Ann Thorac Surg 2008;86: Smith PK, Michler RE, Woo YJ, et al. Design, rationale, and initiation of the Surgical Interventions for Moderate Ischemic Mitral Regurgitation Trial: a report from the Cardiothoracic Surgical Trials Network. J Thorac Cardiovasc Surg 2012;143:

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