Progettare, finanziare e valutare le iniziative locali per l'integrazione dei migranti

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1 Paper for the Espanet Conference Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa Milano, 29 Settembre 1 Ottobre 2011 Progettare, finanziare e valutare le iniziative locali per l'integrazione dei migranti Qualche nota di metodo e qualche critica di sostanza di Enrico Allasino Marco Sisti Enrico Allasino, Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte, Torino, allasino@ires.piemonte.it Marco Sisti, Associazione per lo Sviluppo della Valutazione e l Analisi delle Politiche Pubbliche, Torino, msisti@prova.org

2 1. Premessa Le Regioni italiane hanno promosso e finanziato iniziative per l integrazione degli immigrati stranieri. Nel caso del Piemonte, che approfondiamo in questo saggio 1, sono stati deliberati piani in base ai quali vengono erogati fondi, propri o trasmessi dallo stato, per iniziative della amministrazione regionale stessa, di altri enti locali o del composito insieme di organizzazioni pubbliche e private che hanno competenze e capacità di intervento in materia. I finanziamenti vanno a beneficio di progetti ovvero di attività specifiche, limitate nel tempo, con caratteri innovativi e sperimentali proposti da una pluralità di attori, selezionati con procedure pubbliche e sottoposti (a volte) a valutazioni ex post. In questo processo viene prodotta una documentazione sistematica dal cui esame dovrebbero emergere gli orientamenti e le scelte dell insieme di organizzazioni pubbliche e private che operano in un dato territorio e, di conseguenza, le politiche locali per gli immigrati 2. Basandoci su una attività pluriennale di monitoraggio e valutazione delle politiche sociali per l'immigrazione svolta dall'osservatorio sull'immigrazione per la Regione Piemonte, comparabile a quella realizzata dall'osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità (ORIM) 3 per la Regione Lombardia, cerchiamo di evidenziare alcuni aspetti problematici comuni delle procedure, alcuni limiti di metodo e di merito nelle modalità adottate per disegnare e gestire gli interventi di integrazione. Queste policies si inseriscono appieno nel contesto delle nuove politiche sociali e in particolare nel welfare mix che le caratterizza e mostrano i dilemmi e i nodi strutturali in esse individuati (Ascoli e Ranci, 2003). Le nostre critiche non puntano a sostenere che esse vadano totalmente ridefinite o abbandonate. Al contrario, l'analisi mostra, a nostro parere, che le distorsioni e i limiti evidenziati possono essere in larga parte corretti con una più rigorosa definizione degli obiettivi e degli strumenti ed una più equilibrata gestione dei rapporti tra i vari attori pubblici e privati. Piuttosto, anche in questo caso il tema dell'immigrazione ideologicamente controverso e che riguarda popolazioni politicamente deboli - può anticipare e rendere più evidenti tensioni e criticità che stanno diffondendosi in altri settori di intervento sociale. 1 Questa comunicazione si basa sulle analisi contenute in diversi rapporti prodotti dall'osservatorio sull'immigrazione nell'ambito delle attività di valutazione e monitoraggio svolte per la Regione Piemonte. Tutti i rapporti e gli atti amministrativi citati sono reperibili nel sito dell'osservatorio (in particolare nelle sezioni Pubblicazioni e Attività istituzionali) a cui rinviamo il lettore interessato. Per una recente panoramica della legislazione delle Regioni in materia di immigrazione cfr. Gentilini, In realtà, le attività per l integrazione degli immigrati finanziate direttamente dalla Regione sono solo una parte di quelle complessivamente realizzate con finanziamenti di altre fonti: dai ministeri alle fondazioni bancarie, all'unione Europea agli organismi ecclesiali. Per quanto il coordinamento, o almeno la reciproca conoscenza tra le diverse iniziative siano previste formalmente o perseguite di fatto, risulta difficile aver un quadro sinottico dell insieme delle attività svolte, se non in territori e periodi ristretti. La nostra trattazione si limita quindi ai piani di intervento specifici della Regione e non pretende di essere un'analisi complessiva delle attività per l'integrazione degli immigrati nel territorio regionale. 3 Disponibili nel sito 2

3 2. Il caso del Fondo per l immigrazione della Regione Piemonte In Piemonte la principale fonte pubblica di finanziamento delle politiche per l integrazione sociale dei cittadini stranieri è il Fondo regionale per l immigrazione 4. Come vedremo il Fondo finanzia un insieme piuttosto ampio di interventi, che afferiscono a diversi ambiti di policy. Con una disponibilità di risorse che nel corso del tempo ha oscillato intorno ad uno stanziamento annuale di due milioni e mezzo di euro, il Fondo è stato fino ad oggi distribuito dalla Regione alle amministrazioni provinciali in proporzione alla presenza di immigrati Una programmazione triennale Il primo anno di erogazione del Fondo è stato il Per i primi due anni la Regione ha gestito le risorse con una procedura a bando: gli enti che realizzavano interventi rivolti all immigrazione presentavano alla Regione una domanda di finanziamento legata allo svolgimento di un particolare progetto. Successivamente la Regione procedeva ad una selezione tra le domande di finanziamento pervenute ed erogava direttamente le risorse assegnate ai diversi soggetti beneficiari. A partire dal 2001 la Regione Piemonte ha cambiato modalità di gestione ed ha abbandonato la procedura a bando. Due sono state le novità principali. In primo luogo, si è introdotto l uso di un Programma triennale di interventi in materia di immigrazione extracomunitaria, che ancora oggi, sebbene con un nome diverso, costituisce il principale strumento di programmazione a livello regionale. Il documento ha la funzione di dettare gli orientamenti delle politiche adottate a livello locale nei successivi tre anni: indica le priorità da seguire e definisce gli obiettivi specifici che la Regione intende perseguire. In secondo luogo, la Regione ha deciso di coinvolgere direttamente nella pianificazione ed attuazione degli interventi le amministrazioni provinciali, affidando loro il compito di elaborare piani provinciali e di scegliere quali progetti finanziare. Alla base di tale coinvolgimento vi è l idea che un sistema di pianificazione e gestione più decentrato consenta un erogazione più spedita dei finanziamenti e una maggiore capacità di risposta alle esigenze presenti sul territorio. Il primo ciclo di programmazione è stato varato con riferimento al triennio ; il secondo ciclo al triennio Il documento programmatico nell ultimo triennio, , ha assunto il nome di Piano Regionale Integrato per l Immigrazione (PRII) ed è stato approvato dal Consiglio regionale del Piemonte nel luglio del Questo è il documento programmatico ancora oggi in vigore, in quanto nel 2010 non si è proceduto all approvazione di un nuovo Piano. 4 Nei documenti ufficiali della Regione Piemonte si usa l espressione Fondi relativi agli interventi in materia di immigrazione extracomunitaria, che qui abbreviamo con quella comunemente usata dagli uffici. 3

4 2.2. L aspirazione ad un approccio integrato (al di là della retorica) Prima di procedere con la descrizione degli interventi, ci soffermiamo sull uso del termine integrato, che entra come una novità nel titolo del Piano e che dovrebbe qualificare l approccio della Regione. Si tratta di una parola ricorrente, fortemente evocativa, che allude ad almeno due concetti distinti. Con tale termine si fa riferimento sia alla capacità di sviluppare un azione unica che riguardi le diverse aree d intervento della Regione 5, sia a quella di connettere tra loro tutti gli enti impegnati nel dare attuazione al Piano. Riflettere su tali accezioni ci permette di anticipare alcune considerazioni sulla natura del processo amministrativo che sta alla base di queste politiche. Il richiamo all idea di integrazione è infatti meno retorico e formale di quanto si potrebbe pensare. Corrisponde piuttosto ad una precisa scelta di governo: la volontà di ricercare, in assenza di un impianto normativo certo 6 e in seno ad un sistema di welfare mix che si sta costruendo un pezzo alla volta, con risorse scarse, un esteso coinvolgimento dei vari soggetti, pubblici e privati, in grado di dare un qualche contributo alla causa. L appello ad operare in modo integrato - che l amministrazione rivolge in primis a sé stessa - sottolinea l esigenza di trovare al tempo stesso la massima adesione e la sintesi tra le eterogenee forze in campo, nel tentativo di massimizzare l utilità della politica regionale. E una scelta che, come vedremo, accompagna l intero processo d implementazione 7. Sebbene integrazione sia la parola d ordine di modelli decisionali ispirati alla razionalità assoluta, dietro alla scelta degli uffici regionali traspare più uno schema d azione di tipo incrementale, basato sull accordo tra i diversi portatori d interesse (Bobbio, 1996): enti locali, associazioni di immigrati, categorie professionali (es. i mediatori culturali), cooperative e organizzazioni di volontariato. Come recita il PRII : La Regione riconosce la funzione sociale e culturale svolta da associazioni ed enti del terzo settore, promuove il loro coinvolgimento nei processi decisionali e, con le Province, sostiene l attuazione di interventi del privato sociale per il raggiungimento di obiettivi condivisi. E poco più avanti lo stesso documento annuncia l intenzione di dar vita ad un sistema di governance tra più soggetti nell'ottica della integrazione delle politiche e del principio di sussidiarietà verticale tra istituzioni pubbliche, e orizzontale tra le stesse e la società civile, che permetta di coinvolgere nella programmazione una pluralità di attori. Si opta per mantenere un elevata flessibilità nell asse decisionale, in quanto l aspirazione a tenere tutto insieme - ad 5 Il Piano vuole favorire un approccio multisettoriale degli interventi attraverso un coordinamento tra le politiche sociali, sanitarie, dell istruzione e della cultura, abitative, formative e del lavoro, delle pari opportunità sul territorio regionale e le politiche di cooperazione allo sviluppo e di formazione nei paesi d origine. PRII, La Regione Piemonte non ha ancora una legge organica in materia di integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, che riconosca ruoli e funzioni ai diversi soggetti operanti in questo ambito. La legge vigente - n. 64 «Interventi regionali a favore degli immigrati extracomunitari residenti in Piemonte» - risale al 1989, mentre un nuovo testo di legge predisposto dalla amministrazione Bresso non ha avuto seguito. 7 Il ciclo di programmazione si apre con la firma di un protocollo d intesa - richiamato dallo stesso PRII - tra Regione e amministrazioni provinciale. Si veda più avanti. 4

5 integrare politiche settoriali e amministrazioni - obbliga a non dettare soluzioni nette, a non definire obiettivi troppo puntuali che potrebbero condurre all esclusione di qualcuno o di qualcosa. Il Piano regionale mostra così una grande capacità di adattamento alle istanze e ai bisogni locali; caratteristica di sicuro vantaggio in una situazione connotata, oltre che da finanziamenti modesti, anche da un fenomeno migratorio in continua evoluzione. Ciò però porta con sé diversi rischi. Innanzitutto, è facile scivolare in un eccesso di delega. Il passaggio di responsabilità agli enti decentrati senza un adeguato trasferimento di mezzi e senza l indicazione di una chiara direzione di marcia sottopone i soggetti delegati ad un continuo logorio e privilegia l azione volontaristica degli individui, più che consentire l affermazione di una funzione istituzionale. Come conseguenza, si viene a creare un clima di costante incertezza e precarietà che grava sui progetti avviati. Un clima che finisce per minare alla base il consolidamento di queste politiche. Inoltre, governare questo processo richiede molte energie per evitare il pericolo della frammentazione e la perdita di una visione d insieme. Per contenere la deriva verso uno spezzettamento della politica regionale occorre creare meccanismi e strutture che aiutino lo scambio delle informazioni, che permettano un confronto tra le esperienze e che facilitino il mutuo aggiustamento tra le parti in gioco Gli obiettivi del Piano regionale I piani regionali approvati nel corso degli anni presentano una struttura simile, anche se sono espressi da maggioranze politiche differenti. Non è oggetto di questa analisi confrontare le politica per l'integrazione sociale delle amministrazioni di diverso orientamento politico 8, nel nostro caso prima di centrodestra ( ), poi di centrosinistra ( ) e infine nuovamente di centrodestra, ma piuttosto indicare alcune caratteristiche strutturali comuni alla traduzione in policies dei diversi orientamenti di politics. Il Piano regionale ha fissato sia obiettivi che potremmo definire di sistema, ovvero trasversali alle differenti aree di policy, sia obiettivi legati a singoli settori d intervento pubblico. Tra gli obiettivi trasversali ritornano anche i temi legati all adozione di un approccio integrato come (a) favorire il coordinamento tra enti ed istituzioni. Al quale si aggiungono quelli di (b) sviluppare la conoscenza del fenomeno migratorio; (c) favorire l'informazione relativa all accesso ai servizi e la formazione degli operatori che interagiscono con le cittadine e con i cittadini stranieri; (d) promuovere la conoscenza della cultura italiana e delle culture di provenienza delle cittadine e dei cittadini stranieri; (e) valutare l efficacia delle politiche previste dal Piano. L elenco degli obiettivi settoriali è anche più esteso: (f) favorire l inserimento scolastico; (g) aiutare la riqualificazione professionale e il lavoro; (h) facilitare il reperimento di alloggi; (i) favorire la 8 Come è stato fatto nel caso di alcune grandi città italiane da Caponio,

6 salute dei cittadini; (l) promuovere la partecipazione alla vita pubblica locale e i percorsi di cittadinanza attiva; (m) agevolare l integrazione delle donne straniere; (n) contrastare forme di razzismo e di discriminazione; (o) intervenire in favore delle fasce più deboli della popolazione straniera (richiedenti asilo, rifugiati politici, vittime della tratta); (p) promuovere la cooperazione internazionale. Il Piano si caratterizza dunque per la molteplicità e l ampiezza degli obiettivi. Gli indirizzi di spesa sono minimi e gran parte delle decisioni sono rinviate alla contrattazione successiva che coinvolge i livelli di governo locale. Gli anglosassoni per riferirsi a politiche di questo tipo usano l espressione aggregate multisite program. Sono i casi in cui esiste una sola fonte di finanziamento centrale, ma la scelta di quali interventi adottare in concreto viene demandato alle periferie sulla base di accordi non particolarmente vincolanti. Anche le modalità d attuazione del Piano sono definite all interno di un documento successivo all approvazione del Piano, il Protocollo d Intesa siglato da Regione e Province. Il Protocollo non definisce ulteriormente gli obiettivi, ma si limita a delineare le funzioni assunte dalle amministrazioni provinciali e a fissare i criteri di ripartizione delle risorse: una quota uguale per ogni Provincia (fissata annualmente in base alle disponibilità di bilancio); il 35% dell importo in proporzione alla popolazione residente per Provincia; il 45% dell importo in proporzione agli immigrati extracomunitari residenti per Provincia; il 20% dell importo in proporzione agli alunni stranieri iscritti nelle scuole locali Il finanziamento delle politiche per l integrazione Il quadro degli stanziamenti nell intero periodo (Tabella 1) mostra che i finanziamenti provenienti dallo Stato hanno rappresentato, fino al 2004, la parte più consistente del Fondo, pari a circa l 80% degli stanziamenti complessivi.. Tabella 1- Gli stanziamenti nei tre cicli di programmazione Anno Risorse regionali % Risorse statali % Totale risorse % % % % % % % % % 0 0% % % % % % % % % Totale % % (Fonte: Regione Piemonte) 6

7 Nel 2005 gli stanziamenti statali volti a finanziare il Fondo si sono azzerati e dal 2006 le risorse regionali costituiscono una percentuale sempre maggiore delle risorse disponibili. In totale, nei nove anni di riferimento, sono stati stanziati circa 25 milioni di euro, di cui il 52% coperto da fonti regionali ed il rimanente 48% da finanziamenti nazionali 2.5. La distribuzione delle risorse sul territorio Il processo di finanziamento delle politiche per l integrazione sociale dei cittadini immigrati prevede diversi passaggi amministrativi. Ogni anno - tra agosto e ottobre - una delibera della Giunta Regionale stabilisce l ammontare di risorse destinato ad ogni Provincia. Negli ultimi tre anni tale cifra è rimasta costante (mentre sono aumentate le risorse dedicate a progetti a valenza regionale). La quota più elevata - circa il 45% del totale, intorno ad un milione di euro - va alla Provincia di Torino; la quota minore pari al 4% - circa euro - alla Provincia del Verbano Cusio Ossola. Entro il mese di dicembre ogni Provincia presenta alla Regione un Piano che chiarisce quali sono gli orientamenti che l amministrazione intende seguire. A tale presentazione segue una prima erogazione alle Province pari all 80% delle risorse assegnate. Le modalità adottate per l allocazione delle risorse sul territorio variano da una Provincia all altra. Le amministrazioni possono gestire direttamente le risorse, affidando la realizzazione di specifici progetti ad uno o più enti realizzatori; oppure possono assegnare le risorse ad enti intermedi che si occupano di distribuire le risorse a livello locale; o, infine, possono erogare direttamente contributi, attivando bandi pubblici e selezionando progetti meritevoli presentati da enti pubblici o da organizzazioni del privato sociale. In ogni caso l unità minima di finanziamento riconosciuta dalla procedura regionale è il progetto. L attuazione delle singole iniziative solitamente inizia in primavera e dura indicativamente un anno. Intorno a settembre ogni Provincia trasmette alla Regione una relazione che fa il punto sullo stato di realizzazione del Piano provinciale. Al termine di ogni progetto l ente gestore (ente locale, scuola, associazione di volontariato, ecc.) presenta una scheda di rendicontazione. L annualità 9 si conclude ufficialmente intorno al mese di luglio dell anno successivo con la consegna di un resoconto finale e, a meno che non vi siano state economie inattese, la conseguente erogazione del restante 20% delle risorse inizialmente assegnate. In totale l intera procedura, dal primo stanziamento delle risorse fino all erogazione finale, dura due anni. Al momento della scrittura di questo documento - luglio non si è ancora chiusa la procedura avviata nell agosto del Il termine usato dagli uffici preposti mostra la difficoltà a indicare periodi teoricamente di dodici mesi che si allungano di fatto ben oltre tale termine. 7

8 3. I progetti realizzati a livello locale Ogni anno il Fondo consente il finanziamento e la realizzazione di circa 170/180 progetti di dimensioni e contenuti molto diversi. Si va da progetti che presentano spese superiori ai euro fino a progetti che impegnano solo qualche migliaio di euro. Anche l importanza del contributo regionale è molto variabile. In alcuni casi i finanziamenti del Fondo per l immigrazione coprono soltanto il 10% della spesa complessiva, in altri i finanziamenti salgono fino a raggiungere il 90%. Come si spiega una simile varietà? E soprattutto cosa nasconde? 3.1. Si tratta di veri progetti? Un progetto può essere definito come un insieme di attività tra loro coordinate e finalizzate al raggiungimento di un obiettivo di cambiamento (ad es. la nascita di un nuovo servizio, ma anche l adozione di una nuova procedura) entro un certo periodo di tempo prefissato. Di solito un progetto è realizzato con la cooperazione di varie persone (o enti) e sotto la supervisione di un responsabile unico che gestisce un budget prefissato. Al termine del progetto è prevista un attività sistematica di valutazione che dovrebbe consentire di capire se l obiettivo è stato raggiunto e quali sono le eventuali difficoltà di realizzazione incontrate. Dall analisi degli interventi oggetto di rendicontazione emerge che in realtà non tutte le azioni finanziate dal Piano regionale possono essere considerate dei veri progetti. Tanto meno, come abbiamo già sottolineato, costituiscono unità di analisi con caratteristiche omogenee Progetti o servizi? Spesso i requisiti sopra indicati sono rispettati solo da un punto di vista formale e a fini amministrativi. Può accadere così che i finanziamenti vadano ad alimentare attività, che rispondono a bisogni persistenti, legati a fenomeni strutturali, e che sono (o dovrebbero essere) gestite in modo continuativo dagli enti pubblici. In un ottica più di servizio, che di progetto. Tanto è vero che tali interventi sovente proseguono anche dopo la scadenza ufficiale del progetto. Sebbene per la maggior parte dei progetti finanziati si dichiari una durata inferiore ai dodici mesi, coerentemente alle scadenze indicate dalle procedure di finanziamento, in molti casi gli interventi hanno il loro inizio in anni precedenti all ottenimento del contributo e continueranno anche in quelli successivi. Nei progetti rendicontati nel 2010 circa l 80% dei progetti erano già stati realizzati in passato e i responsabili indicavano la loro intenzione di proseguirli in futuro. Dalla lettura delle schede di rendicontazione emerge chiaramente che le attività assumono la denominazione di progetto perché così viene richiesto dalle modalità di finanziamento attualmente in uso. Si tratta però di un adeguamento di carattere amministrativo più che caratteristica sostanziale posseduta dagli interventi. 8

9 3.3. Responsabili di progetto o centri di spesa? In diversi casi ciò che è rendicontato come progetto contiene al suo interno molteplici microazioni di varia natura, che non sono accomunabili da un obiettivo chiaramente identificabile (se non di carattere molto generale). Ciò accade, ad esempio, quando il soggetto che ha la titolarità del progetto è un ente territoriale sovraordinato - ad esempio, un consorzio socioassistenziale - che svolge prevalentemente il ruolo di centro di spesa. In questi casi, piuttosto che coordinare le attività realizzate all interno di un progetto finalizzato a raggiungere un obiettivo ben individuato, l ente distribuisce le risorse a disposizione tra diversi soggetti impegnati a realizzare interventi di vario tipo, in risposta ad istanze ed esigenze provenienti dal territorio. Si spiega così anche la grande variabilità osservata nelle dimensioni dei progetti finanziati. Nella realtà i progetti sono prevalentemente contributi finanziari volti a sostenere l erogazione di prestazioni di varia natura. La grandezza del progetto dipende dunque più dalle caratteristiche del centro di spesa che rende conto dell utilizzo dei contributi, che da quelle dell intervento realizzato. Se si tratta di un ente territoriale di grandi o medie dimensioni, l aggregato di contributi - che solo formalmente assume la forma di progetto - è più corposo. Se il centro di spesa è una scuola o un piccolo comune, tale aggregato si riduce. I progetti sono realizzati grazie all impiego di risorse provenienti da fonti diverse: risorse messe a disposizione dalla Provincia e dalla Regione; risorse proprie dell ente titolare del progetto e valorizzazione delle stesse; contributi erogati da enti terzi; entrate derivanti dal progetto stesso. Nella tabella 2 è riportata la distribuzione delle risorse impiegate da progetti rendicontati nel 2010 per fonte di finanziamento e provincia. A livello regionale il contributo di Regione e Provincia pesa più del 50%, ma la rilevanza delle varie forme di finanziamento varia da tra province. A Biella, Novara, Torino e Vercelli il contributo provinciale (che contiene al suo interno il finanziamento regionale) è la principale fonte di finanziamento dei progetti (dal 52% all 82%); ad Alessandria, Asti, Cuneo e Verbania sono le risorse proprie (comprese le cosiddette valorizzazioni) ad assicurare la maggior parte del finanziamento ai progetti. I contributi di enti terzi (fondazioni private e associazioni) costituiscono la terza fonte di finanziamento in tutte le Province, contribuendo con importi di entità decisamente inferiori alle prime due fonti. Le entrate derivanti da progetto (ad es. pagamenti di tariffe da parte degli utenti) di fatto non esistono. 9

10 Tabella 2 Distribuzione dei finanziamenti per fonte e provincia (2010) Prov. Contributo Risorse Valorizzazione terzi progetto Contributi Entrate del provinciale proprie AL 37% 40% 18% 3% 1% AT 44% 54% 0% 3% - BI 52% 32% 12% 4% - CN 42% 26% 22% 10% - NO 59% 33% 5% 3% - TO 82% 16% 0% 1% - VB 18% 75% 2% 6% - VC 75% 25% 0% 0% - TOT 53% 35% 8% 4% - (Fonte: Regione Piemonte) Per quanto riguarda la distribuzione per area di intervento (tabella 3) la maggior parte dei progetti sono finalizzati all integrazione scolastica (circa il 40% del totale nei progetti realizzati nel 2010) e a garantire la fruizione di servizi collettivi da parte dei cittadini stranieri, facilitando la comunicazione tra questi e le amministrazioni (il 32%). Molto spesso tali interventi sono vere e proprie prestazioni erogate in favore degli utenti: attività di sportello; servizi di mediazione culturale tra genitori ed insegnanti; assistenza specializzata su materie legali. Tabella 3 La distribuzione dei progetti per aree di intervento (2010) Aree di intervento n. Risorse provinciali % Integrazione scolastica e giovani % Informazione e comunicazione % Partecipazione alla vita pubblica locale e intercultura % Discriminazione e fasce deboli % Orientamento e formazione professionale % Tutela della salute % Inserimento abitativo % Altro % Totale % (Fonte: Regione Piemonte) 4. La valutazione degli interventi Le politiche per l integrazione sociale dei cittadini stranieri esigono una valutazione non limitata alla conformità formale-giuridica, come accadeva in passato. Il Piano dichiara a tal proposito che la Regione intende favorire la messa in atto di un sistema di monitoraggio e valutazione che permetta di conoscere l impatto che il Piano Regionale Integrato dell Immigrazione e i Piani Provinciali hanno avuto sul territorio, i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi previsti. Il sistema deve fornire, inoltre, un analisi sia qualitativa che quantitativa dei progetti realizzati e individuare le buone prassi. Il 10

11 processo di valutazione, che coinvolge gli attori ai diversi livelli, fornisce elementi utili per rivedere le strategie di intervento e riprogrammare le politiche del settore. Il nostro lavoro ha tentato di dar seguito a questa esigenza di valutazione. Nel farlo sono emerse alcune difficoltà che crediamo valga la pena raccontare, seppure in sintesi Il passaggio dal controllo (sui conti) all apprendimento (sulle politiche) La prima difficoltà è di ordine generale. Essa consiste nel tenere ben distinti i diversi obiettivi conoscitivi che possono motivare la costruzione di un sistema di monitoraggio e valutazione e, sulla base di tale distinzione, impegnare le amministrazioni in differenti strategie di lavoro. Nelle politiche che prevedono un passaggio di risorse ad enti periferici esiste sempre, per l ente centrale, la necessità di procedere ad una verifica delle spese sostenute a livello locale. Si tratta di un attività che si compie su dichiarazioni di spesa, fatture e note contabili. L obiettivo è accertare che le risorse siano state utilizzate per gli scopi previsti; che siano stati rispettati criteri di regolarità; che non vi siano state appropriazioni indebite o ingiustificate. Si tratta di un monitoraggio capillare, svolto a fini strettamente contabili, su tutte le procedure di spesa. A questo controllo sui conti si accompagna talvolta l esigenza di dare un giudizio sul merito degli interventi e dei progetti finanziati. Come sono stati realizzati? Quante e quali persone hanno coinvolto? Si sono rivelati utili? Rispondendo a tali quesiti si vuol apprendere se le politiche promosse hanno contribuito a risolvere i problemi degli immigrati. Come è facilmente intuibile, raccogliere informazioni (e formarsi un opinione) su quest ultimo aspetto è un operazione molto più complessa della precedente. Nella pratica amministrativa corrente queste due esigenze, così diverse tra loro, finiscono per confluire nella stessa procedura di raccolta di informazioni: la distribuzione di una scheda di rendicontazione cartacea che, al termine del ciclo di finanziamento, ogni ente deve compilare, firmare e restituire al suo referente superiore. Tale pratica, funzionale al controllo contabile, si rivela però del tutto inadeguata a conoscere la reale attuazione e i risultati degli interventi. Soprattutto perché in tali procedure alla richiesta di informazioni viene legata l erogazione dei contributi. L ente che rende conto degli esiti dell intervento ha un chiaro incentivo a non mettere pubblicamente in discussione le scelte che ha assunto e piuttosto ad evidenziare i buoni risultati che ha ottenuto con l attività progettuale, perché alle sue dichiarazioni, che assumono un valore formale, è connessa la possibilità di ricevere il saldo dei contributi assegnati ed eventuali finanziamenti futuri. Se dunque l interesse è capire come funzionano le politiche e quali effetti esse producono, è necessario cambiare drasticamente sia modalità di rilevazione, che strategia di analisi. 11

12 4.2. Produrre cambiamenti o erogare prestazioni? Tenuta distinta la logica contabile, occorre comunque precisare a quali domande si intende rispondere. Le attività condotte in seno alla pubblica amministrazione possono essere considerate da due prospettive diverse. Da un lato si può leggerle come azioni volte a produrre dei cambiamenti in determinati fenomeni sociali. Dall altro, come azioni volte a garantire la fruizione di un servizio ad una certa platea di utenti. Il modo in cui si legge l azione pubblica determina anche il tipo di valutazione cui faremo riferimento. Nel primo caso l attività sottoposta a valutazione è rappresentabile come una sorta di terapia che dovrebbe correggere una situazione ritenuta nociva, pericolosa o comunque negativa per la collettività. L uso del condizionale in questo caso non è una formalità: il fatto che una politica nasca, o sia concepibile, come risposta terapeutica ad un problema non significa che lo risolva davvero. Il dubbio che questo possa non accadere sta alla base di una famiglia di metodi valutativi che tentano di identificare l effetto della politica su una o più variabili d interesse. L obiettivo è scoprire se essa è stata efficace o meno nell affrontare un certo problema. Riprendendo la terminologia del Piano, l obiettivo è capire se essa abbia prodotto un impatto. Un esempio di domanda di valutazione sugli effetti è la seguente: l attività di tutoring svolta da mediatori culturali nei confronti di alunni stranieri facilita il loro inserimento a scuola? Migliora i loro voti? Consente di limitare i casi di dispersione scolastica? Per rispondere a domande di questo tipo occorre impegnarsi in un percorso di valutazione che si basa essenzialmente sull analisi controfattuale 10. Nel secondo caso, quando l attività pubblica è letta come azione volta a garantire la fruizione di un servizio da parte di una platea di utenti, l interesse prioritario sta nel comprendere se, e in che misura, le prestazioni offerte da una certa organizzazione corrispondono ad un certo livello quantitativo o qualitativo considerato soddisfacente. Detto in altri termini, non vogliamo capire se l azione serve o meno a cambiare le cose, ma se, date certe condizioni, è stata realizzata nel modo migliore possibile. Esistono molte attività pubbliche che si prestano più ad una lettura in termini di erogazione di servizi che non di produzione di cambiamenti. Prendiamo il caso di un attività come l aiuto nella compilazione della richiesta di idoneità alloggiativa. Ci possiamo chiedere se è ragionevole il tempo atteso dal cittadino per ottenere l aiuto della persona preposta alla compilazione della pratica. Oppure se tale persona offre tutte le informazioni necessarie. O ancora se è possibile per l amministrazione diminuire i costi sostenuti per la produzione di tali certificati. Domande di questo tipo mirano a verificare il rendimento dell organizzazione chiamata a fornire una certa prestazione. Tale verifica prende solitamente il nome di analisi di performance. 10 La sfida cognitiva alla base di questo tipo d analisi consiste nel ricostruire ciò che sarebbe accaduto al fenomeno d interesse se la politica non avesse avuto luogo (situazione controfattuale). 12

13 4.3. Risultati (e difficoltà) dell esperienza condotta Il nostro lavoro per la Regione Piemonte è proceduto su due fronti. Su un primo fronte si è tentato di razionalizzare ed uniformare le modalità di rendicontazione dei progetti, sostituendo le tradizionali schede cartacee con questionari on line uguali per tutte le province che sono stati compilati direttamente sul web dagli enti che hanno ricevuto il contributo. Si è trattato di un grande sforzo organizzativo, che mirava ad abbassare i costi di invio dei questionari e di elaborazione delle informazioni raccolte. Con la nuova procedura (al secondo anno di applicazione) tutti i dati relativi ai progetti sono immediatamente disponibili in un archivio informatico, senza la necessità di lunghe ed onerose trascrizioni. I funzionari possono facilmente consultare il database e avere un report sulle variabili d interesse. Occorre però evidenziare due limiti di questa operazione. Il primo limite è di carattere gestionale: la compilazione del questionario on line non ha (ancora) sostituito del tutto la rendicontazione cartacea. Questa è una lacuna che potrà essere colmata in seguito, se la procedura si consoliderà e sarà accettata come una prassi normale di rendicontazione da tutti gli enti. Ad esempio con la certificazione della firma elettronica. Il secondo limite, più di sostanza, è dato dal fatto che il passaggio sul web non ha (ovviamente) cambiato la natura delle informazioni riportate. Tutto si basa su dichiarazioni formulate dagli enti nel momento della resa dei conti e i dati mantengono quelle caratteristiche formali evidenziate in precedenza. Sebbene essi consentano di farsi una prima idea su chi è stato finanziato, con quante risorse, per fare che cosa, riescono a dirci poco sugli esiti delle attività realizzate e sulle difficoltà che gli enti hanno incontrato nel realizzarle. Diciamo che la narrazione dei risultati ottenuti dai progetti rimane molto superficiale e da interpretare con una certa cautela. Il secondo fronte di lavoro è stato più innovativo. Innanzitutto, date le caratteristiche delle politiche promosse dal Piano regionale, si è riconosciuta l impossibilità di intraprendere un analisi di tipo controfattuale. Come abbiamo visto, il Piano persegue una pluralità di obiettivi, finanziando una grande varietà di interventi, progettati e attuati a livello locale da parte di un insieme eterogeneo di soggetti. Un tessuto composto di attività di varia natura, nel quale gli stessi operatori del settore faticano a riconoscere una trama unitaria. L analisi controfattuale ha senso ed è una strategia percorribile solo quando ci troviamo dinanzi ad una ricetta di policy ben definita, che viene adottata con le stesse modalità su tutto il territorio interessato. Non era il nostro caso. In secondo luogo, è stata messa in evidenza la natura di servizio di gran parte degli interventi finanziati. Nel far ciò l attenzione si è concentrata sugli Sportelli Informastranieri. Dopo un indagine condotta attraverso interviste individuali e collettive volta a ricostruire i principali modelli organizzativi adottati, si è proposto di dar vita ad una sorta di benchmarking club che riunisse gli Sportelli presenti sul 13

14 territorio regionale 11. La nascita del club avrebbe consentito loro di misurarsi reciprocamente sia rispetto alle diverse soluzioni organizzative adottate, sia rispetto alle performance raggiunte. L idea era di offrire agli sportelli aderenti al club una serie di utilities molto concrete (es. strumenti di comunicazione multimediale e assistenza in questioni legali) e nel contempo di aiutarli a rilevare le informazioni necessarie alla comparazione, attraverso l uso di tecniche quantitative e qualitative. In questa prospettiva si è testato l impiego di un protocollo di osservazione etnografica per descrivere e interpretare i processi interni delle organizzazioni. La sperimentazione di questo protocollo ha avuto una risposta positiva da parte degli enti coinvolti. Quali sono stati gli sviluppi di questo impegno? Mentre sul primo fronte di lavoro le cose sono andate avanti (nonostante i limiti), il secondo fronte si è fermato dopo la prima sperimentazione. Il motivo principale è l attuale carenza di risorse, che peraltro mette in discussione il rifinanziamento di queste politiche. Ma c è anche un altra spiegazione possibile. La modalità di lavoro proposta è del tutto estranea alla cultura amministrativa prevalente e, tutto sommato, risulta essere poco rassicurante. Creare un benchmarking club significa per l amministrazione promotrice essere in grado di gestire i risultati delle comparazioni effettuate, proporre interpretazioni plausibili delle differenze riscontrate, costruire argomentazioni sensate presentabili in pubblico, mediare tra gli eventuali conflitti che possono sempre emergere tra i partecipanti al gruppo. Si tratta cioè di abbandonare il ruolo di mero erogatore di risorse, interpretare in modo nuovo l azione amministrativa e far propria fino in fondo una funzione di valutazione (altrimenti delegata all esterno) fondata su un interesse reale per i risultati delle politiche. Molto più rassicurante proseguire con la pratica abituale di chiedere una rendicontazione formale sulle spese sostenute al termine della realizzazione di ogni progetto. Il problema è capire se è altrettanto utile. 5. Alcuni aspetti problematici In questo quadro problematico generale, emergono alcuni nodi specifici che dovrebbero essere affrontati non solo perché limitano la possibilità di utilizzare la documentazione per conoscere e analizzare la politica per l'integrazione. Essi influiscono sulla strutturazione del sistema di attori, sulla loro organizzazione interna e quindi possono produrre effetti profondi e duraturi sulla implementazione della politica al di là delle enunciazioni di principio. 11 Un benchmarking club è composto da un insieme di enti che decidono volontariamente di mettere in comune esperienze e conoscenze per migliorare il loro operato, attraverso un opera di analisi sistematica delle attività svolte. E una pratica utilizzata da tempo nel mondo delle imprese private. 14

15 5.1. I requisiti formali Le linee di indirizzo e gli obiettivi dei PRII dovrebbero indicare i percorsi in cui si devono inserire, per metodo e per contenuto, gli interventi che intendono usufruire del contributo regionale. Queste indicazioni possono essere requisiti indispensabili per accedere ai fondi oppure indirizzi generali per gli interventi da sottoporre a ulteriori valutazioni di coerenza, efficacia e qualità. Tra i primi vi può essere, ad esempio, l iscrizione al Registro delle associazioni e degli enti che operano a favore degli immigrati, il rispetto scrupoloso delle scadenze e l inammissibilità di certe voci di spesa. I secondi richiedono invece una valutazione da parte dell'ente che seleziona i progetti, sul fatto che una certa iniziativa possa conseguire gli obiettivi prestabiliti, ad esempio promuova la conoscenza e l'informazione sui diritti e sui doveri dei cittadini e che riesca a farlo meglio di altre concorrenti. I requisiti del primo tipo, che comportando un aggravio dei costi interni, hanno spinto le organizzazioni più solide a strutturarsi nel senso auspicato dai finanziatori: divisione e specializzazione dei compiti, attribuzione di responsabilità, adozione di procedure formali, rispetto di tempi e metodi, capacità di dialogare con le amministrazioni. Vi sono evidenti vantaggi in ciò, ma anche il rischio di una certa omologazione organizzativa. Le organizzazioni più piccole e informali, come le iniziative più innovative, frutto di auto-organizzazione (Lanzara, 1993) o meno coerenti con gli orientamenti politico-organizzativi dominanti rischiano di venire penalizzate o del tutto escluse Obiettivi da conseguire (e da interpretare) Gli obiettivi enunciati nel PRII dovrebbero invece guidare la progettazione in direzioni precise. Il cambiamento di colore politico delle amministrazioni si può tradurre nei piani in termini espliciti (ad esempio finanziando progetti che favoriscono il rientro nei paesi di origine) o attraverso termini di cui si decodifica facilmente il senso (così il piano approvato dal centrodestra richiama di frequente i diritti e i doveri, parla di intercultura e vuol favorire l apprendimento della cultura piemontese, mentre quello successivo approvato dal centrosinistra parla di multicultura e di apprendimento della cultura italiana). In realtà questi orientamenti non sembrano determinare un cambiamento strategico nelle attività, ma piuttosto un adeguamento tattico e formale dei progetti. E ovvio che se un bando dichiara prioritaria la formazione scolastica, ma non prevede fondi per le feste multiculturali, i progetti presentati si sforzeranno di mettere in luce quanto fanno per la prima e di tacere sulle seconde, che, nel caso siano comunque previste, saranno finanziate con fondi di altra origine. Quando si dichiara di voler favorire il rientro in patria dei migranti, i progetti di cooperazione internazionale evidenziano che la loro realizzazione conseguirebbe tale obiettivo, anche se è evidente che si tratta 15

16 al massimo di alcune unità a fronte di flussi in ingresso di decine di migliaia di persone. Da un lato si esige il rispetto di un obiettivo politico, dall altro si persegue l obiettivo sostanziale - la cooperazione internazionale - senza problemi salvo un tributo verbale. Esiste una indubbia capacità mimetica della progettazione, che si allinea per amore o per forza alle richieste di chi controlla i finanziamenti, ma senza abbandonare l orientamento di fondo della organizzazione che la realizza. Esso resta quindi opaco alla valutazione ufficiale e va ricostruito con altri strumenti di indagine, come gli studi di caso. Questo non vuol dire che gli orientamenti politici siano ininfluenti: essi legittimano o delegittimano certe strategie e certe organizzazioni (Vino, p. 152). Ma per verificarne gli effetti è necessaria una indagine di medio-lungo periodo e che riguardi il sistema nel suo insieme e che non si fermi sul piano delle enunciazioni progettuali o della conformità agli indirizzi Le buone pratiche Le buone pratiche sono un concetto ricorrente e consolidato in questi documenti programmatici e nei bandi. E appunto buona pratica diffondere la conoscenza di attività, metodi, procedure che abbiano dimostrato efficacia ed efficienza nel risolvere o migliorare certe situazioni e, dopo averle opportunamente adattate alle condizioni specifiche, riprodurle. Si tratta di un processo di apprendimento organizzativo, di diffusione dell innovazione e di consolidamento delle tecnologie sociali. L'adozione di buone pratiche segna il passaggio dalla fase sperimentale tipica del progetto - a quella consolidata: esse dovrebbero diventare prassi comuni, consolidarsi nelle politiche locali e nei servizi, quando possibile anche in quelli comuni. Di nuovo questo sembra avvenire solo qualche volta (Tosi et al, 2010, p. 431). Vi è qui una contraddizione: come si è detto (par. 3.2.), molti progetti sono in realtà servizi continuativi e quindi il passaggio è di fatto avvenuto. Tuttavia, essendo ripresentati e rifinanziati annualmente, questa continuità resta limitata alla durata del progetto e condizionata dal suo rifinanziamento. La confusione tra innovazione e consolidamento delle esperienze viene mantenuta nei progetti: essi devono adeguarsi alla finzione di avere un carattere sperimentale, di eccezione e quindi di provvisorietà e continuano a essere selezionati (anche) sulla base della capacità di innovare o almeno diffondere buone pratiche. D altra parte, per aumentare le possibilità di essere finanziati, i progetti non devono sfidare gli orientamenti dei programmi o sconfessare l operato precedente delle stesse organizzazioni proponenti e finanziatrici e il fallimento di un esperimento, come si è visto, non è facile da ammettere. Vi è quindi il rischio che si adottino acriticamente soluzioni diffuse e accettate senza particolari contestazioni, che divengono per definizione buone. I modelli 16

17 diventano paradigmi, come paventa Tosi (2009, p. 220) che rischiano di dispensare dalla verifica della loro efficacia. Si realizza così una concentrazione rituale su alcuni interventi (Ivi, p. 221) che rischia di escluderne altri perché non ortodossi, non previsti nel repertorio corrente senza autentiche possibilità di prove e verifiche, proprio perché dovrebbero essere questi progetti a consentirle, ma ciò dovrebbe avvenire sperimentando invece altre pratiche Il caso degli sportelli informativi La necessità di conciliare la massimizzazione delle probabilità di ottenere i finanziamenti richiesti con il rispetto delle competenze effettive e delle strategie e degli orientamenti propri di ogni singola organizzazione può oscurare la funzione principale di una attività. Gli sportelli informativi per gli stranieri hanno ricevuto consistenti finanziamenti in Piemonte, direttamente o tramite attività classificate servizi agli immigrati o mediazione culturale 12. Informare gli immigrati sulle procedure per affrontare la burocrazia italiana o per avere conoscenza di diritti, risorse disponibili, opportunità, doveri è una delle attività più vecchie e diffuse. Essa viene di solito considerata positivamente sia in una ottica di rispetto dei diritti, sia di empowerment, per consentire agli individui di agire in autonomia opzioni rispettivamente preferite dalla sinistra e dalla destra. Talora l utilità degli sportelli specifici per stranieri viene messa in dubbio perché si ritiene preferibile che essi utilizzino i servizi comuni, tanto per evitare discriminazioni e ghettizzazioni quanto per non dare l impressione che sia loro riservato un trattamento preferenziale. L obiezione è superata dal fatto che, evidentemente, gli immigrati hanno problemi peculiari come l ottenimento del permesso di soggiorno o la necessità di traduzione e che gli sportelli dovrebbe appunto agevolare l accesso alle procedure comuni evitando equivoci e rallentamenti (Ponzo e Zincone, 2010). Ma vi è qualche elemento in più che spiega la diffusione di queste attività. Le nostre analisi, convergendo, a nostro parere, con quelle dell Orim, mostrano che le strutture definite sportelli informativi hanno tipologie diverse sino a costituire vere reti di servizi per una vasta utenza - e possano trasformarsi nel tempo da forme semplici verso tipi più complessi (Sisti e Pomatto, 2008, p. 5). In molti casi gli sportelli sono la sola o la principale struttura che offre servizi minimi, ma continuativi per l integrazione. Essi funzionano come sensori, punti di contatto con gli immigrati e rilevatori delle loro esigenze, osservatori, consulenti, progettisti di interventi e ideatori di politiche per gli enti locali (Sisti e Pomatto, 2008; Tosi, 2009, p. 221). Inoltre, il termine generico informazione serve a veicolare contenuti molto più operativi di quanto appaia. Gli sportelli informativi non si limitano quasi mai a mettere a disposizione del pubblico le 12 Ad esempio, sono stati erogati 394,339 nella prima annualità del piano 2004/2006 sulla voce informazione, seconda per rilevanza dopo la voce mediazione con oltre

18 informazioni già disponibili nell organizzazione. L'acquisizione di informazioni dall'esterno è essenziale per le organizzazioni perché serve anzitutto a conoscere e controllare l ambiente in cui operano. Ma poi essa si accompagna con la capacità di farne una risorsa strategica, di controllare nodi delle reti, di stabilire e mantenere fiducia e credito con le altre organizzazioni. Questo sembra spiegare la diffusione e la continuità di un servizio in apparenza abbastanza semplice, immateriale e facilmente riducibile Il lavoro in rete La necessità che le organizzazioni collaborino fra loro, auspicata in generale e in molti bandi richiesta come condizione necessaria, sembra una delle caratteristiche più positive di questi piani. Essa va analizzata proprio perché vuole essere uno strumento per costruire quel welfare mix che caratterizza le nuove politiche sociali, per uscire da una logica gerarchica tradizionale e dalla competizione atomistica, per favorire la attivazione del territorio nel senso di coinvolgere una pluralità di attori e di interessi in esso presenti. Una ricostruzione complessiva dei network sarebbe interessante, ma ci è sinora risultata di difficile realizzazione per la molteplicità delle organizzazioni e delle sigle, non di rado legate variamente fra loro per matrice culturale, origini, storie personali dei membri, composizione degli organi direttivi. I vuoti, le interruzioni nelle reti sono comunque rilevanti. Molti comuni non hanno praticamente alcun intervento per l integrazione, se non «incoraggiati dalla radicalizzazione securitaria (e xenofobica) del problema immigrazione e autorizzati dal discorso pubblico e dalle misure istituzionali che l hanno veicolata, si sono fatti imprenditori del rifiuto dell immigrazione e della presenza degli immigrati nel territorio.» (Tosi, 2010, p. 21). Sul fronte opposto, è difficile dire quante organizzazioni preferiscano essere autonome, non richiedano finanziamenti pubblici, scomparendo quindi dalle mappe costruite in base a questi. Le reti inoltre mantengono una struttura gerarchica. La reale coprogettazione degli interventi può essere limitata ai partner più forti, mentre altri sono subordinati e operativi solo per attività marginali. Le reti possono essere molto escludenti - chi non ne fa parte può scomparire al quadro 13 - e non solo occasionali, ad hoc. Le nostre analisi e quelle dell Ismu confermano processi di strutturazione e cambiamento delle reti, di diverse strutturazioni che talora sfuggono a una prima analisi e che possono costituire la vera novità del modus operandi del sistema nei confronti dell integrazione degli immigrati. Per non limitarsi a una ricognizione formale, sarebbe necessario ricostruire la storia e gli organigrammi di 13 Ascoli et al. (2003, pp ) indicano alcune strategie delle organizzazioni del terzo settore per ridurre i rischi della concorrenza, quali la specializzazione di nicchia e i consorzi o raggruppamenti di impresa. Questa seconda ipotesi sembra poco diffusa per i servizi per gli immigrati. Può valere piuttosto la strategia speculare degli enti locali di favorire organizzazioni locali con cui si hanno rapporti consolidati. 18

19 questo sistema di attori e poter pesare i loro interventi in termini non puramente finanziari. Vi sono informazioni ampiamente note, ma non facilmente traducibili in termini oggettivi e comparabili come la rilevanza qualitativa e per dimensioni degli interventi, la specializzazione tematica o territoriale, il prestigio e la stima di cui godono. Questo è sovente l'interesse principale del personale politico: sapere chi sono questi gruppi nel quadro del potere locale, da quali ambiti provengono attivisti e sostenitori, quali politici o esponenti pubblici hanno come riferimento, da chi sono appoggiati e da chi sono avversati... E' ovvio, anche se analizzato più nella cronaca che nella letteratura scientifica, che si presti molta, sovente troppa attenzione a questa componente nella valutazione ex ante ed ex post degli interventi Precari e volontari Infine, è ben noto il problema del personale addetto alla progettazione e all attuazione di queste iniziative. Vi sono due aspetti distinti: uno è la diffusione del precariato collegata alla logica dei progetti. Finanziamenti incerti e limitati rendono difficile la stabilizzazione del personale specialmente nelle organizzazioni non profit e del privato sociale, mentre nel settore pubblico si ricorre a personale precario a vario titolo per le necessità aggiuntive. D'altra parte questo personale, stabile o precario, svolge compiti che vanno al di là di quanto previsto nei progetti non solo per il (generalmente maggiore) impegno personale. Non pochi di costoro si ritrovano nella veste di leader, di mediatore, di operatore di sportello pubblico, di volontario, di amministratore rendendo permeabile il confine fra pubblico e privato, tra un organizzazione e l altra, mantenendo al di là delle sigle e dei progetti, una rete di relazioni e di informazioni personali che rendono forse meno instabile e concorrenziale il sistema: su questo sarebbe utile indagare. 6. Conclusione Epilogo: il fondo per l immigrazione della Regione Piemonte non è stato rifinanziato per il Quello delle politiche per l integrazione degli immigrati è stato un caso rilevante di innovazione. Se paragoniamo la situazione di venti anni fa, con pochi immigrati e pochi servizi presenti solo in alcune città di fronte a problematiche che apparivano molto serie, con quella di oggi, quando cinque milioni di immigrati vivono e lavorano ovunque in Italia e in qualche modo trovano risposte alle loro esigenze da parte delle amministrazioni locali e del terzo settore, riteniamo non si possa sottovalutare il percorso compiuto, per quanto grandi siano stati i difetti e gli errori. Non bisogna accettare acriticamente la retorica di parte che parla solo di problemi e di rischi legati all immigrazione: quella dell integrazione può essere considerata, almeno in ipotesi, una politica di successo, anche se con molti limiti e soprattutto senza garanzie per il futuro. 19

20 La politica per l integrazione, e il sistema di attori che la realizza, risente certamente delle sue origini storico-politiche, della impostazione iniziale delle problematiche (Allasino, Baptiste e Bulsei, 1994). Si sono però anche introdotte novità di rilievo, portate del cambiamento politico amministrativo generale del Paese oltre che del fenomeno migratorio. Lavorare per progetti, puntare su attività efficienti, innovative, vicine alle esigenze locali, che vedono come attori anche il terzo settore e il mercato, sottoposte a valutazioni sistematiche è una impostazione che ha indubbi meriti. Ma vi sono anche aspetti più problematici e discutibili o che sembrano rispondere a cambiamenti nei rapporti di forza politica tra gli attori. Non si tratta di difetti intrinseci, ma piuttosto di deviazioni a monte, nella volontà di impostare politiche coerenti e oggetto di pubblico dibattito, condivise almeno nei loro fondamenti. Consolidare, strutturare le attività, ancorandole a funzioni stabili, almeno nell arco di alcuni anni, era un modo per riconoscere che certe situazioni non sono effimere e per tutelare diritti e interessi legittimi. Trasformare molte iniziative a favore dell integrazione degli immigrati ma crediamo che le considerazioni valgano anche per molte altre politiche sociali in progetti finanziati di volta in volta, per periodi limitati e con bilanci stabiliti annualmente, oltre ai vantaggi ampiamente noti permette anche ai decisori politici che controllano le risorse di evitare lunghi e faticosi negoziati con presidenti, consigli di amministrazione, rappresentanti sindacali, associazioni di o pro immigrati ecc. per garantire la continuità dei servizi o per convincerli a orientare diversamente la loro attività, riorganizzarla o ridurla. E molto più semplice annunciare che un progetto non è ammissibile o non è stato selezionato perché ve ne erano di migliori, che i fondi sono ridotti o azzerati e scaricare sugli enti e le organizzazioni che pensavano di utilizzarli il problema di continuare a fornire il servizio, di proseguire l attività e di mantenere lo stipendio agli addetti. I decisori politici possono scommettere sull intervento di altri - dalle fondazioni bancarie ai contributi volontari - o trovare escamotages, ad esempio finanziandoli come progetti relativi ad altre politiche. Salvo riattivare con procedure d urgenza e con trattative dirette alcuni interventi, come è avvenuto recentemente per l accoglienza dei profughi dall Africa settentrionale. In reazione a ciò, il lavoro del terzo settore, delle associazioni e delle amministrazioni pubbliche più impegnate sul tema si concretizza in un paziente bricolage di risorse di varia origine diversamente combinate che servono anzitutto a consentire l esistenza e la continuità dell organizzazione e poi a mantenere una propria specializzazione, una missione in termini di competenze, risorse umane, reti di relazioni, orientamento ideale. Nel caso di questioni controverse e politicamente scottanti come quelle legate all immigrazione questo modo di procedere non provoca solo problemi organizzativi e pratici, ma conferma la scarsa 20

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