Complementi sulla teoria delle superfici: il theorema egregium di Gauss

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1 Complementi sulla teoria delle superfici: il theorema egregium di Gauss Enrico Rogora 27 novembre 2016 Il contenuto di questo capitolo è tratto in massima parte da [?]. Una superficie S R 3 dello spazio tridimensionale si può parametrizzare localmente con una funzione vettoriale α(u, v) = (x(u, v) y(u, v) z(u, v)) u, v U R 2. I parametri u, v si dicono le coordinate locali della superficie. Assumeremo che le parametrizzazioni siano sempre almeno di classe C 3. Per esempio, equazioni parametriche per la sfera sono x = cos(t) cos(u); y = cos(t) sin(u); z = sin(t) t ( π/2, π/2), u (0, 2π) Equazioni parametriche per la pseudo-sfera sono invece x = 2 e v + e cos(u); y = 2 v e v + e sin(u); z = v ev + e v v e v e v u (, ), u (0, 2π) Per studiare le proprietà locali di una superficie, data in forma parametrica, utilizzeremo il prodotto scalare e vettoriale di R 3, e le derivate del primo e del secondo ordine della parametrizzazione. Le derivate del primo ordine sono ( x(u, v) ( x(u, v) α u =, u y(u, v), u ) z(u, v) u α v = v, y(u, v), v In maniera analoga si definiscono le derivate del secondo ordine α uu α uv α vv. ) z(u, v). v Un punto della superficie si dice regolare se esiste nel suo intorno una parametrizzazione in cui le derivate sono definite e indipendenti. Il piano tangente 1

2 in un punto regolare è lo spazio affine passante per quel punto e avente come direzione lo spazio vettoriale generato dalle derivate prime. Il piano tangente ad una superficie in P rappresenta l intorno infinitesimo del primo ordine del punto P 1. Nell esempio della sfera, il piano tangente al punto α(0, 0) è il piano di equazione parametrica vettoriale α(0, 0) + λα u (0, 0) + µα v (0, 0) λ, µ R. Il prodotto vettoriale α u α v definisce un vettore ortogonale al piano tangente. La mappa di Gauss della superficie S è quindi la funzione vettoriale N(u, v) = α u α v α u α v che è definita per tutti i punti regolari. Per studiare una superficie nello spazio introduciamo la prima e la seconda forma fondamentale e il differenziale della mappa di Gauss. La prima forma fondamentale in un punto p della superficie è semplicemente la restrizione del prodotto scalare dello spazio ambiente al piano tangente. Nella base α u, α v tale restrizione è determinata dai coefficienti E = α u, α u F = α u, α v G = α v, α v. (1) Il differenziale della mappa di Gauss N : S S 2 in un punto è dn p : T p S T N (p)s 2 = Tp S; quindi possiamo pensare dn p come un endomorfismo di T p S. La trasformazione lineare dn p è determinata dalla sua azione su una base e quindi dalla matrice (a ij ) definita da dn p (α u ) = N u = a 11 α u + a 21 α v dn p (α v ) = N v = a 12 α u + a 22 α v. (2) Verifichiamo che dn p è autoaggiunto rispetto alla prima forma fondamentale. Per la linearità di dn p basta far vedere che dn p (α u ), α v = α u, dn p (α v ) in quanto α u e α v costituiscono una base per T p S. Poiché dn p (α u ) = N u e dn p (α v ) = N v, bisogna dimostrare che N u, α v = N v, α u. Derivando rispetto a u la relazione 0 = N, α v, otteniamo N u, α v = N, α uv e derivando rispetto a v la relazione 0 = N, α u, otteniamo N v, α u = N, α vu e quindi l asserto, poiché α uv = α vu. 1 Si noti che l idea euristica di punto infinitamente vicino non è esprimibile rigorosamente utilizzando un punto classico. Rappresentare un punto infinitamente vicino a un punto dato con un vettore coglie l idea intuitiva che un punto infinitamente vicino è raggiunto in un tempo infinitamente breve attraverso un moto passante per il punto dato con velocità uguale al vettore assegnato. 2

3 Per ogni punto p della superficie, consideriamo la forma bilineare II p definita ponendo 2 II p (v, w) = dn p (v), w. La seconda forma fondamentale della superficie in p è la forma quadratica v II p (v, v) associata a II p. I coefficienti della seconda forma fondamentale, nella base α u, α v sono e = N u, α u = N, α uu f = N v, α u = N, α uv = N, α vu = N u, α v g = N v, α v = N, α vv (3) Sostituendo (2) e (1) in (3) otteniamo f = N u α v = a 11 F + a 21 G f = N v α u = a 12 E + a 22 F e = N u α u = a 11 E + a 21 F g = N v α v = a 12 F + a 22 G (4) Usando la notazione matriciale ( ) ( ) ( ) 1 a11 a 21 e f E F = (5) a 12 a 22 f g F G da cui abbiamo il seguente legame tra la prima e la seconda forma fondamentale e il differenziale della mappa di Gauss a 11 = a 12 = a 21 = a 22 = ff eg EG F 2 gf fg EG F 2 ef fe EG F 2 ff ge EG F 2 La curvatura gaussiana in un punto di una superficie è il limite, del rapport tra l area dell immagine con la mappa di Gauss dell intorno di un punto e l area di tale intorno sulla superficie, al tendere a zero del diametro dell intorno. È pertanto esprimibile, a meno del segno, come il determinante del differenziale della mappa di Gauss. Da (5) otteniamo l espressione della curvatura Gaussiana in funzione dei coefficienti della prima e della seconda forma fondamentale. K = det(a ij ) = eg f 2 EG F 2. 2 Per un interpretazione geometrica che giustifica la scelta del segno, cfr. [?], p (6) 3

4 Non è difficile dimostrare anche che, per la curvatura media vale la formula H = tr(a ij ) = 1 eg 2fF + ge. 2 EG F 2 Dimostriamo ora che K, a differenza di H dipende solo dai coefficienti della prima forma fondamentale e dalle sue derivate. Per fare ciò studiamo la variazione infinitesima, in un punto P, del sistema di riferimento α u, α v, N e definiamo α uu = Γ 1 11α u + Γ 2 11α v + l 1 N α uv = Γ 1 12α u + Γ 2 12α v + l 2 N α vu = α vv = Γ 1 21α u + Γ 2 21α v + l 2 N Γ 1 22α u + Γ 2 22α v + l 3 N (7) N u = a 11 α u + a 21 α v N v = a 12 α u + a 22 α v I coefficienti Γ i jk nella formula (7) si chiamano simboli di Christoffel, in onore del matematico tedesco Elwin Bruno Christoffel ( ). Per trarre le conseguenze che ci interessano da questo sistema di equazioni premettiamo alcuni semplici calcoli. Derivando E = α u, α u otteniamo e Derivando F = α u, α v otteniamo e Derivando G = α v, α v otteniamo e E u = u α u, α u = 2 α uu, α u E v = v α u, α u = 2 α uv, α u. F u = u α u, α v = α uu, α v + α uv, α u F v = v α u, α v = α uv, α v + α vv, α u. G u = u α v, α v = 2 α uv, α v G v = v α v, α v = 2 α vv, α v. Da queste uguaglianze si ricava immediatamente α uu, α u = 1 2 E u α uu, α v = F u 1 2 E u α uv, α u = 1 2 E v α uv, α v = 1 2 G u 4 α vv, α u = F v 1 2 G u α vv, α v = 1 2 G v (8)

5 Prendendo il prodotto scalare delle prime quattro relazioni in (7) con N, si osserva che i coefficienti l i coincidono con quelli della seconda forma fondamentale, e precisamente l 1 = e, l 2 = l 2 = f, l 3 = g. Prendendo invece il prodotto scalare delle prime quattro relazioni in (7) con α u e α v e utilizzando le formule (8) abbiamo { Γ 1 11 E + Γ 2 11F = α uu, α u = 1 2 E u Γ 1 11F + Γ 2 11G = α uu, α v = F u 1 2 E v { Γ 1 12 E + Γ 2 12F = α uv, α u = 1 2 E v Γ 1 12F + Γ 2 12G = α uv, α v = 1 2 G u { Γ 1 22 E + Γ 2 22F = α vv, α u = F v 1 2 G u (9) Γ 1 22F + Γ 2 22G = α vv, α v = 1 2 G v Le equazioni precedenti sono raggruppate in tre sistemi di due equazioni in due incognite, i simboli di Christoffel. Il determinante di tali sistemi è EG F 2 che è sempre diverso da zero. È quindi possibile risolvere i sistemi ed esprimere i simboli di Christoffel in funzione dei coefficienti della prima forma fondamentale e delle loro derivate. Vale quindi il seguente risultato: ogni proprietà di una superficie immersa che è espressa in funzione dei soli simboli di Christoffel è invariante per isometrie. Derivando ulteriormente le relazioni (7) e usando le relazioni (α uu ) v (α uv ) u = 0 (α vv ) u (α vu ) v = 0 N uv N vu = 0 (10) si ottengono nuove relazioni tra i coefficienti della prima e della seconda forma fondamentale, dette condizioni di compatibilità. Derivando la prima relazione di (7) rispetto a v abbiamo (α uu ) v = Γ 1 11α uv + Γ 2 11α vv + en v + (Γ 1 11) v α u + (Γ 2 11) v α v + e v N. Derivando la seconda rispetto a u abbiamo (α uv ) u = Γ 1 12α uu + Γ 2 12α vu + fn u + (Γ 1 12) u α u + (Γ 2 12) u α v + f u N. Possiamo ora uguagliare le due espressioni per la prima di (10), sostituire le espressioni (7) per le derivate seconde e uguagliare i coefficienti di α u, α v e N separatamente, ottenendo in questo modo tre relazioni. Quella relativa al coefficiente di α v, è Γ 1 11Γ Γ 2 11Γ ea 22 + (Γ 2 11) v = Γ 1 12Γ Γ 2 12Γ fa 21 + (Γ 2 12) u. 5

6 Introducendo i valori di a ij calcolati in (6) ne segue che (Γ 2 12) u (Γ 2 11) v + Γ 1 12Γ Γ 2 12Γ 2 12 Γ 2 11Γ 2 22 Γ 1 11Γ 2 12 = E eg f 2 EG F 2 = EK. Da quest ultima formula si vede come la curvatura gaussiana K della superficie dipenda esclusivamente dai coefficienti della prima forma fondamentale e dalle loro derivate. Abbiamo quindi dimostrato il Theorema Egregium di Gauss La curvatura gaussiana K di una superficie è invariante per isometrie locali. Possiamo ripetere analoghe manipolazioni algebriche sui coefficienti di α u e N. Per α u otteniamo una relazione equivalente a quella già ottenuta. Per N, otteniamo la prima equazione di Codazzi-Mainardi, e v f u = eγ f(γ 2 12 Γ 1 11) gγ (11) Possiamo agire nella stessa maniera rispetto alla seconda delle equazioni (10). Otteniamo due forme equivalenti dell equazione di Gauss e la seconda equazione di Codazzi-Mainardi, f v g u = eγ f(γ 2 22 Γ 1 12) gγ (12) Dalla terza equazione (10) non si ottengono nuove relazioni. La formula di Gauss e le equazioni di Codazzi Mainardi sono dette equazioni di compatibilitài. Non esistono altre equazioni di compatibilità. Vale anzi il Theorema di Bonnet Siano E, F, G, e, f, g funzioni differenziabili, definite su un aperto V R 2, con E > 0, G > 0. Si assuma che le date funzioni soddisfino formalmente le equazioni di Gauss e di Codazzi-Mainardi e che EG F 2 > 0. Allora, per ogni q V, esiste un intorno U V di q e un diffeomorfismo α : U α(u) R 3 tale che la superficie regolare α(u) R 3 abbia E, F, G; e, f, g come coefficienti della prima e della seconda forma fondamentale rispettivamente. Inoltre, se U è connesso e se α : U α(u) R 3 è un altro diffeomorfismo che soddisfa le stesse condizioni, allora esiste una traslazione T e una rotazione ρ in R 3 tale che α = T ρ α. 6

7 Esempi Consideriamo una curva parametrizzata { x(u) = φ(u) z(u) = ψ(u) u (a, b) nel piano x, z. La superficie di rotazione ottenuta ruotando la curva intorno all asse z è definta dalle equazioni parametriche x(u, v) = φ(u) cos(v) y(u, v) = φ(u) sin(v) z(u, v) = ψ(u) u (a, b), v [0, 2π) Dalle definizioni, seguono immediatamente le formule E = φ 2 F = 0 G = φ 2 + ψ 2 N(u, v) = sign(φ) φ 2 + ψ 2 (ψ cos u, ψ sin u, φ ) e = φ ψφ f = 0 g = sign(φ)(φ ψ φ ψ ) φ 2 + ψ 2 φ 2 + ψ 2 7

8 e quindi, dalla formula K = eg f 2 EG F 2, otteniamo la seguente formula generale per la curvatura gaussiana di una superficie di rivoluzione K = ψ φ + φ ψ ψ. (13) φ(φ 2 + ψ 2 ) Per esempio, consideriamo la curva trattrice di equazioni parametriche { x(u) = sech(u) u (, + ) z(u) = u tanh(u)(u) Ruotando la curva attorno all asse z si ottiene la pseudosfera, la cui curvatura gaussiana è costante, uguale a meno uno, come risulta facilmente applicando la formula (13). 8

9 In questa maniera si è trovato un esempio, dovuto a Beltrami, cfr. [1], di superficie a curvatura costante negativa immersa nello spazio euclideo tridimensionale. Tale superficie è un modello locale della geometria iperbolica. Si noti però che non si tratta di un modello globale. L ipersfera di Beltrami contiene infatti una curva di punti singolari (l intersezone con il piano z = 0). Come dimostrerà Hilbert, non può esistere una superficie non singolare immersa in R 3 su cui la geometria iperbolica valga senza eccezioni. È possibile però definire una tale superficie in maniera intrinseca. Un modello completo dalla geometria iperbolica si può avere sul disco x 2 y 2 < 1 scegliendo come metrica ds 2 = 4 (1 x 2 y 2 ) 2 (dx2 + dy 2 ) I coefficienti della prima forma fondamentale di questa superficie sono quindi E(x, y) = G(x, y) = 4 (1 x 2 y 2 ) 2 F = 0. La formula di Gauss per la curvatura, cfr. [?], ci dà quindi l espressione 4E 2 K = E(E 2 y + E 2 x) + E(E 2 x + E 2 y) 2E 2 (E yy E xx ), 9

10 che ancora fornisce il valore costante uguale a meno uno per la curvatura. Le rette iperboliche, cioè le linee di minore lunghezza tra due punti, sono archi di circonferenze che intersecano il bordo del disco in maniera ortogonale. In particolare, tra le rette iperboliche sono da considerare anche i segmenti per il centro. Si verifica immediatamente che, rispetto alla metrica iperbolica, l intersezione con il disco iperbolico di una retta per il centro, ha lunghezza infinita. La costruzione della retta iperbolica per due punti del cerchio iperbolico si può fare con riga e compasso. Siano P e Q due punti del disco, non allineati con il centro O. Si consideri la retta t che congiunge il centro O a P e si tracci ad essa la perpendicolare in P. Sia S una delle due intersezioni di tale perpendicolare con il bordo del disco e sia s la perpendicolare in S alla retta OS. Sia P = s t. Analogamente si costruisca Q a partire da Q. Siano m e n gli assi dei segmenti P P e QQ rispettivamente e sia C la loro intersezione. L arco di cerchio centrato in C e passante per P e Q è la retta iperbolica cercata. Le isometrie del disco iperbolico sono f(z) = az + c cz + a f(z) = az + c cz + a ( a > c ) Il modello intrinseco della geometria iperbolica appena descritto è dovuto a Beltrami ed è noto come modello di Poincaré per la seguente interpretazione fisica (tratta dalle lezioni di Castelnuovo del ). 10

11 Sia data una sfera S di raggio R che limita uno spazio in cui la temperatura e l indice di rifrazione siano variabili in funzione della distanza dal centro; e gli oggetti mobili entro questo spazio si mettono subito in equilibrio di temperatura col posto occupato ed abbiano lo stesso coefficiente di dilatazione per modo che la lunghezza di uno di questi corpi possa assumersi come temperatura assoluta. Si supponga che la temperatura assoluta sia R 2 al centro della sfera, 0 alla superficie, R 2 ρ 2 a distanza ρ dal centro; l indice 1 di rifrazione sia alla stessa distanza. Per un essere abitante l interno della sfera le dimensioni dei corpi sembrerebbero R 2 ρ 2 invariabili col movimento, la superficie sferica sarebbe irraggiungibile e rappresenterebbe l infinito, i raggi luminosi che verrebbero detti rettilinei sarebbero in realtà cerchi normali alla superficie della sfera, e per i triangoli limitati da tre raggi luminosi si verificherebbe la geometria iperbolica. Riferimenti bibliografici [1] Beltrami E., Saggio di interpretazione sulle geometrie non eulidee, Giornale di matematiche. 11

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