Il condominio negli edifici. Le parti di proprietà esclusiva e comuni.
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- Irma Cirillo
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1 Le delibere nel condominio: la modifica dei criteri di ripartizione dei costi, le maggioranze necessarie. Studio Sinacta avvocati e commercialisti associati Stefano Pugno avvocato Il condominio negli edifici. Le parti di proprietà esclusiva e comuni. Prima di addentrarci nell oggetto della nostra trattazione mi pare necessario fare alcune premesse di ordine terminologico e di concetto. Innanzitutto, quando si parla di «condominio negli edifici» o più semplicemente di «condominio» intendiamo riferirci a quella particolare situazione giuridica che per legge si viene a creare nell assetto proprietario degli edifici composti da più appartamenti. In essi, coesiste, infatti, una proprietà c.d. esclusiva, costituita dalle unità immobiliari di proprietà dei singoli titolari, e una proprietà condominiale o sulle c.d. parti comuni, che si sostanzia in un particolare regime di comproprietà (forzosa) disciplinato dal codice civile. Le parti comuni sono quelle indicate dall art cod. civ., salvo che il titolo (ossia l atto di acquisto) non disponga diversamente, attribuendo la proprietà presuntivamente stabilita dalla legge come condominiale ad un determinato soggetto in via esclusiva. Il principio cardine in materia di condominio negli edifici è esposto dall art cod. civ. in forza del quale il diritto di comproprietà di ciascun condomino è proporzionato al valore della sua proprietà esclusiva. Le decisioni relative alle parti comuni (c.d. delibere) vengono adottate dall assemblea dei condomini. Al centro del sistema condominiale si colloca il regolamento di condominio che costituisce lo statuto della vita condominiale, ossia della gestione delle parti comuni. L adozione del regolamento di condominio è obbligatorio per gli edifici superiori a dieci condomini. In caso di inerzia nell adozione del regolamento, se questo non è stato 1
2 predisposto dall originario ed unico proprietario, ciascun condomino è legittimato a rivolgersi all Autorità Giudiziaria ordinaria per l adozione del regolamento, con sentenza costitutiva. Il regolamento. Clausole aventi natura contrattuale e regolamentare. Normalmente è il costruttore dell edificio o il venditore, proprietario originario dello stabile, a predisporre il regolamento di condominio che viene allegato ai singoli atti di acquisto, divenendo così immediatamente vincolante al momento del trasferimento della proprietà della singola unità immobiliare. Tale tipo di regolamento viene detto di «formazione esterna», per distinguerlo dal regolamento di «formazione interna», adottato invece dall assemblea dei condomini. Per interpretare correttamente un regolamento di condominio, occorre innanzitutto partire dalla natura delle pattuizioni in esso contenute. Qualora il regolamento preveda una limitazione del diritto di proprietà sulle parti esclusive o di comproprietà su quelle comuni allora la clausola avrà natura c.d. contrattuale. In tal caso, occorrerà l approvazione unanime di detta clausola affinché essa possa ritenersi valida e produrre effetti vincolanti. Qualora invece il regolamento si limiti a disciplinare l organizzazione delle parti comuni la clausola avrà natura regolamentare e potrà essere oggetto di delibera da parte dell assemblea dei condomini, secondo i quorum deliberativi previsti dal regolamento o dal codice civile. Questa l esatta interpretazione del regolamento condominiale. Da tempo, invece, si era soliti distinguere tra regolamenti c.d. contrattuali e regolamenti c.d. assembleari per giustificare la modificabilità dei primi solo con il consenso unanime; mentre per i secondi sarebbe stato sufficiente il rispetto dei quorum previsti dal codice civile. In realtà, la giurisprudenza aveva messo in luce come anche nei regolamenti c.d. contrattuali esistevano clausole che ben potevano essere modificate a maggioranza, in 2
3 quanto attinenti alla gestione e all uso delle parti comuni (es.: mutamento dell impianto di riscaldamento per consentire l utilizzo di un differente combustibile; la soppressione del servizio di portineria). Così, correttamente, si esprime Cass. civ., sez. II, 8 novembre 2004, n (in Guida al Diritto, 2004, n. 46, p. 79): «il regolamento di condominio, quale quello contemplato dal comma 1 dell'art c.c., tanto se prediposto dal proprietario o costruttore dello stabile e accettato di volta in volta dai successivi acquirenti degli appartamenti (c.d. regolamento contrattuale, ndr), quanto se formato dall'assemblea dei condomini, (c.d. regolamento assembleare, ndr) se si limita a disciplinare uso e modalità di godimento delle cose comuni, ripartizione delle spese per la tutela dell'edificio, rimane nell'ambito dell'organizzazione interna del condominio. Questa può essere modificata dall'assemblea dei condomini con la maggioranza indicata dall'art c.c. Se, invece, il regolamento non si limita alla disciplina dell'uso delle cose comuni in conformità dei diritti spettanti ai singoli condomini, ma detta norma che, incidendo sui singoli diritti, alterano, a vantaggio di alcuni partecipanti e a danno degli altri, la misura del godimento che ciascun condomino ha in ragione della propria quota, allora nessuna modificazione, può essere ammessa senza il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio». Tale orientamento è stato poi avallato anche dalla giurisprudenza successiva e dalla recente Cassazione civile sez. II, 14 agosto 2007, n (in Notariato, 2008) secondo cui: «le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni e quelle che attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta, essendo esse costitutive di oneri reali o di servitù prediali da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari dell'edificio condominiale; mentre per la variazione di clausole che disciplinano l'uso delle cose comuni è sufficiente la deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, secondo comma, c.c. (nella specie, la S.C., sulla base di tali principi, ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la 3
4 nullità della deliberazione assembleare con la quale era stata modificata la clausola del regolamento di condominio relativa al divieto della sosta dei veicoli nel cortile comune)». A questo proposito la giurisprudenza ha chiarito come le seguenti clausole abbiano natura contrattuale: Divieto di affittare camere ammobiliate Divieto di esercitare una sartoria Divieto di tenere animali Divieto di cambio di destinazione dell unità immobiliare Divieto di destinare gli appartamenti a laboratorio Divieto di destinazione a scuole e circoli anche di canto, ballo e musica Divieto di destinazione ad ambulatori e gabinetti medici Divieto di esercitare attività rumorose o notturne L assemblea. L assemblea è il luogo delle decisioni dei condomini sulle parti comuni. Negli edifici con meno di quattro condomini, per i quali non è obbligatoria la nomina dell amministratore, l assemblea delibera sia sugli atti di ordinaria amministrazione che di straordinaria. Negli edifici con più di quattro condomini, all assemblea competono invece le materie che, per regolamento o ai sensi dell art cod. civ., non sono di competenza dell amministratore, ossia essenzialmente: 1) la conferma dell'amministratore e l'eventuale sua retribuzione; 2) l'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini; 3) l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e l'impiego del residuo attivo della gestione; 4) le opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale. Le attribuzioni dell amministratore previste dall art cod. civ. sono invece: 4
5 1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; 3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. 5) alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione. La materia assembleare è particolarmente vasta. In questa sede, mi pare opportuno soffermarmi su alcuni aspetti di interesse: innanzitutto, la convocazione. L assemblea ordinaria dei condomini «deve» essere convocata dall amministratore almeno una volta l anno; l assemblea straordinaria «può» essere convocata quando lo si ritiene opportuno; mentre è sempre obbligatoria quando sopravvengano atti di citazione o provvedimenti dell Autorità Amministrativa che esorbitino dai poteri conferiti all amministratore (cfr. art co. 3 cod. civ.). L avviso di convocazione deve essere comunicato esclusivamente ai condomini, ossia ai proprietari di unità immobiliari dell edificio. Non ad altri. In giurisprudenza si è spesso dibattuto sulla casistica del «condomino apparente», ossia di colui il quale, pur non essendo giuridicamente proprietario dell immobile, si comporta nei rapporti con i terzi o con l amministratore come tale, ingenerando la convinzione in dette persone di essere l effettivo proprietario. Sul punto, la giurisprudenza ha chiaramente affermato che l unico legittimato alla convocazione ed a partecipare all assemblea (salvo quanto previsto dalla legge in materia di locazione di immobili urbani) è il solo proprietario effettivo. Spetta all amministratore svolgere le necessarie indagini per verificare l effettiva titolarità del diritto di proprietà (così Cass. civ. Sez. Unite, 8 aprile 2002, n. 5035, pubblicata in molte riviste, tra cui Corriere Giur., 2002, n. 12, p. 1577). 5
6 È utile quindi dare alcune indicazioni sulle seguenti ipotesi. 1. Comproprietà. Qualora l unità immobiliare sia in comproprietà tra più persone (per esempio, per effetto di una successione) ritengo sia opportuno convocare tutti i comproprietari. La giurisprudenza più recente ritiene che la convocazione possa essere inviata anche ad uno solo dei comproprietari (così Cass. civ. Sez. II, 27 luglio 1999, n. 8116). D altra parte esiste anche un orientamento di segno opposto (Cass. civ. Sez. II, 28 luglio 1990, n. 7630) e altri ritengono che la convocazione fatta ad uno solo dei comproprietari sia valida solo se viene dimostrato che il destinatario ha comunicato o trasmesso l avviso all altro comproprietario interessato (Cass. civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830). In caso di separazione personale dei coniugi, la convocazione deve essere inviata ad entrambi i coniugi separati, fermo restando l onere da parte dei coniugi di comunicare all amministratore la nuova residenza. 2. Nuda proprietà e usufrutto. Nel caso di concessione dell usufrutto dell unità immobiliare è consigliabile inviare la convocazione tanto al nudo proprietario quanto all usufruttuario. Ai sensi dell art. 67 disp. att. cod. civ. l usufruttuario (e solo questi) ha il diritto di voto sull ordinaria amministrazione, ivi compresa la nomina dell amministratore; per le altre delibere il relativo diritto di voto spetta al nudo proprietario. 3. Compravendita nel corso della gestione In caso di compravendita dell unità immobiliare nel corso della gestione l avviso di convocazione dovrà essere indirizzato al solo nuovo proprietario. 4. Morte del condomino. In caso di decesso del condomino, l avviso di convocazione va inviato agli eredi, i quali hanno l onere di avvisare di detto evento l amministratore. 6
7 Per completare il quadro, mi soffermerei brevemente sull ordine del giorno dell assemblea. L ordine del giorno deve essere contenuto nell avviso di convocazione dell assemblea. Non è necessario che questo sia sviluppato analiticamente, ma occorre indicare gli elementi essenziali della discussione, anche al fine di prevenire, per quanto possibile, riunioni fiume. Sotto questo profilo, la voce «varie ed eventuali» che spesso si trova negli avvisi di convocazione è pressoché inutile e controproducente. Da un lato, essa è generica per poter correttamente informare i condomini e non può essere utilizzata come strumento per evitare di mettere in odg argomenti problematici (e magari evitare la presenza di condomini ingombranti ); d altra parte se tutti i condomini sono d accordo è sempre possibile discutere in assemblea di qualsiasi argomento, senza che sia necessario una preventiva comunicazione; in tal caso, occorre il consenso unanime. Vi è poi il rischio che la procura dei delegati a partecipare all assemblea sia nulla in riferimento agli argomenti discussi sotto la voce «varie ed eventuali» per indeterminatezza, con tutte le conseguenze del caso. Altra questione particolarmente interessante è la seconda convocazione. Il codice civile prevede che l assemblea possa deliberare con quorum differenti in prima e seconda convocazione. Molti amministratori cercano di evitare la prima convocazione che spesse volte rimane deserta o non raggiunge il quorum costitutivo necessario. La giurisprudenza ha cassato tutte le soluzioni sbrigative volte ad aggirare la scansione temporale - costitutiva della assemblea, precisando altresì che la seconda convocazione non può essere tenuta nello stesso giorno di quella di prima. L avviso di convocazione può essere portato a conoscenza in ogni forma, ma l amministratore deve procurarsi la prova dell avvenuta comunicazione. Infine, si rammenti che il regolamento condominiale può prevedere un termine di preavviso superiore (ma non minore) rispetto ai cinque giorni stabiliti dall art. 66 disp. att. cod. civ. 7
8 La ripartizione delle spese. Le spese relative alle parti comuni vengono imputate ai condomini in relazione al valore della unità immobiliari di cui essi sono titolari esclusivi, in base al principio di cui all art cod. civ. A tale scopo, l art. 68 disp. att. cod. civ. prevede che il regolamento di condominio stabilisca il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini. Il valore preso in considerazione è un mero valore teorico ed è determinato secondo un calcolo tecnico basato sulla superficie reale di ogni unità immobiliare ragguagliato, in millesimi, al volume totale dell'edificio. Il calcolo, di solito, viene fatto moltiplicando la superficie reale dell'appartamento per dei coefficienti di riduzione (o in qualche caso di aumento) che modificano i metri quadri in funzione dell'effettivo utilizzo della superficie dell'appartamento. Questi coefficienti possono essere stabiliti dal tecnico incaricato sulla base di ragioni oggettivamente dimostrabili o in relazione a quanto dispone la Circolare ministeriale n del 26 marzo 1966 (che aggiorna e sostituisce la precedente n del 1 luglio 1926). Anche in questo settore è utile distinguere tra tabelle millesimali: - di natura contrattuale o convenzionale; - di natura assembleare. La tabella contrattuale o convenzionale è solitamente predisposta dal costruttore dell immobile e viene approvata all atto di acquisto, quale allegato dell atto di compravendita, oppure può essere approvata all unanimità dall assemblea. 8
9 La tabella assembleare è approvata con il voto favorevole della maggioranza dei condomini intervenuti in assemblea e portatori di almeno la metà dei millesimi (Cass. civ. Sez. II, 28 giugno 2004, n ). La differenza più importante tra le due tipologie sta nel fatto che solo la tabella contrattuale o convenzionale può prevedere criteri di riparto differenti da quelli legali. Entrambe poi possono essere modificate, in relazione ai fatti previsti dall art. 69 disp. att. cod. civ. L art. 69 disp. att. cod. civ. stabilisce che i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano, utilizzati per la tabelle millesimali, possono essere riveduti o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore (e si parla di revisione); 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano (e si parla di modifica). Per la modifica delle tabelle millesimali è necessario che vi siano state interventi consistenti, in grado di influire in modo cospicuo sull essenza e sull aspetto dell edificio. La tabella millesimale di tipo contrattuale può essere modificata dai condomini esclusivamente all unanimità ed è nulla l eventuale delibera presa a maggioranza (Cass. 25 agosto 2005, n ); la tabella millesimale di tipo assembleare può essere revisionata dall assemblea stessa con il voto favorevole della maggioranza dei condomini intervenuti e portatori di almeno la metà dei millesimi (Cass. 28 giugno 2004, n ). In mancanza di tali maggioranze, occorre un provvedimento dell Autorità Giudiziaria che accerti la sussistenza dei requisiti dell art. 69 disp. att. c.c. e provveda in merito alla modifica dei valori millesimali. 9
10 La revisione delle tabelle millesimali può avvenire, però, anche per effetto di un comportamento reiterato nel tempo di accettazione del pagamento delle spese condominiali calcolate con le nuove tabelle (consenso tacito). Da qui la necessità di un espresso dissenso alla modifica delle tabelle o comunque di impugnare entro trenta giorni, la delibera stessa (Cass. 8863/2005). Delibere in materia energetica. Ricostruito il quadro giuridico del sistema condominiale, approfondiamo ora la tematica delle delibere in materia energetica. Da un punto di vista generale, l impianto di riscaldamento ed elettrico di un condominio si presumono parti comuni ai sensi dell art cod. civ. Tali impianti devono essere conformi alle disposizioni in materia di sicurezza degli impianti e su ciò deve vigilare l amministratore. Per incentivare il risparmio energetico, il Legislatore, oltre ad intervenire dal punto di vista fiscale e finanziario, ha predisposto una legislazione di favore in materia di delibere condominiali. L art. 123 DPR 6 giugno 2001, n. 380 è intervenuto sul settore, modificando in parte la Legge 9 gennaio 1991, n. 10. Esso attualmente prevede le seguenti facilitazioni. Per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili e assimilate stabiliti dalla legge, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali. Per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio decide a maggioranza, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del codice civile. 10
11 Sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonchè le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti. Gli interventi che godono delle dette agevolazioni sono: Coibentazione; Generatori di calore ad alto rendimento; Apparecchiature per la produzione combinata di energia e calore; Impianti fotovoltaici; Sistemi di controllo e di contabilizzazione; Trasformazione di impianti centralizzati in unifamiliari a gas; Sistemi di illuminazione ad alto rendimento. Eventuali clausole del regolamento condominiale contrastanti con le dette disposizioni sono nulle e improduttive di effetti (anche se contenute in regolamenti già o successivamente approvati all unanimità o aventi natura contrattuale). Pertanto l assemblea potrà sempre deliberare nel rispetto delle maggioranze appena viste. Appare interessante poi riportare alcune precisazioni sugli impianti di riscaldamento che spesso hanno sollevato numeroso contenzioso. 1. Rinuncia al riscaldamento centralizzato 11
12 La Corte di Cassazione ha da tempo precisato che il condomino può legittimamente rinunciare all uso del riscaldamento, sottraendosi all onere di corrispondere le spese relative, salvo che il regolamento condominiale di origine contrattuale preveda quale limitazione del diritto di proprietà l obbligo di avvalersi dell impianto di riscaldamento condominiale. Nel caso in cui il condomino rinunci all uso del riscaldamento, egli sarà comunque tenuto al pagamento degli oneri relativi alla manutenzione straordinaria, ossia a quegli oneri non connessi all uso, ma all esistenza stessa dell impianto di proprietà condominiale. 2. Soppressione del servizio La soppressione del servizio è una innovazione da approvarsi con le speciali maggioranze di cui al comma 5 dell art cod. civ.; mentre occorrerà l unanimità dei consensi per l eliminazione dell impianto. 3. Insufficiente o eccessivo riscaldamento di alcuni locali I condomini hanno diritto ad un equa distribuzione del calore nei vari appartamenti. Il condomino non può sottrarsi dal pagamento delle spese, qualora l erogazione del riscaldamento non sia sufficiente, ma ha diritto di portare la questione in assemblea affinché questa deliberi le opere necessarie per la regolarizzazione dell impianto. Nel caso di eccessivo riscaldamento, il condomino potrà diminuire gli elementi radianti e chiedere conseguentemente la riduzione delle spese a questi imputabili; ma le spese relative al distacco sono a suo carico. 4. Installazione di un nuovo impianto Il nuovo impianto è una innovazione da approvarsi con le speciali maggioranze di cui al comma 5 dell art cod. civ. Qualora poi l innovazione comporti una spesa molo gravosa e suscettibile di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo. 12
13 Caso pratico: l installazione di pannelli fotovoltaici da parte del singolo condomino e del condominio. Concludo ora con un breve esempio pratico, al fine di concretizzare quanto abbiamo finora visto. Analizziamo il caso dell installazione di pannelli fotovoltaici da parte di un singolo condomino e del condominio. Nel primo caso, dobbiamo innanzitutto chiederci in che luogo il condomino intenda installare tali pannelli. Qualora intenda farlo sulla sua proprietà esclusiva, occorre valutare che ciò non contrasti con il regolamento condominiale. Essendo peraltro tale divieto una limitazione del diritto di proprietà, esso dovrà trovare collocazione in un regolamento predisposto dal proprietario originario ed allegato ai singoli atti di compravendita (e trascritto) oppure approvato all unanimità. In difetto, qualsiasi delibera che vieti l installazione di pannelli fotovoltaici sulla proprietà esclusiva è illegittima e priva di effetti. Qualora invece il condomino intenda installare i pannelli sulle parti comuni, e sempre che il regolamento non lo vieti espressamente, occorre accertare, in primo luogo, che tale installazione non alteri la cosa comune e non impedisca agli altri di farne parimenti uso, ai sensi dell art cod. civ. In altri termini, il condomino non può occupare in via permanente tutto o quasi il lastrico solare o il cortile. L installazione dei pannelli poi non deve ledere il decoro architettonico del fabbricato (cfr. art cod. civ.), né creare danno alle parti comuni (art cod. civ.). Nel caso in cui sia l assemblea dei condomini a volere l installazione dei pannelli, questa potrà giovarsi degli speciali quorum deliberativi previsti dal DPR 380/2001 e ciò a prescindere dal fatto che nel regolamento condominiale vi siano eventuali clausole di segno contrario o che stabiliscano quorum più onerosi. In tal caso, abbiamo infatti visto che eventuali clausole o delibere difformi sono illegittime e prive di effetti. 13
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