2 OMERO E LA PERFORMANCE DEGLI ANTICHI CANTI EPICI
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- Severino Greco
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1 2 OMERO E LA PERFORMANCE DEGLI ANTICHI CANTI EPICI 1. La «questione omerica» La letteratura greca si apre con due opere di valore universale, l'iliade e l'odissea, che, oltre alla vastità e complessità del mondo storico-culturale rispecchiato, documentano un'elaborazione formale raffinata e originale. Alle spalle dei due poemi stanno i «secoli bui» del Medioevo ellenico. È sufficiente questo accostamento, che suona stridente contrasto, per capire l'inadeguatezza della tradizionale interpretazione e dei poemi e del periodo storico; tuttavia, chi tenta di superare i consueti schematismi, dovendo ripetutamente cozzare contro la scarsità, l'incertezza, la labilità degli indizi e delle prove, s'accorge ben presto della problematicità delle questioni e della modestia dei risultati, i quali spesso sono ipotesi piuttosto che soluzioni, acquisizioni parziali piuttosto che conquiste definitive. La «questione omerica» risente più che mai di questi limiti e rimane aperta. Ancor oggi ci domandiamo se Omero sia esistito o no, se sia autore di tutti e due i poemi oppure di uno solo, e soprattutto, comunque si chiami e in qualunque tempo si debba collocare, in che rapporto stia con l'opera o le opere che ci sono giunte. Già per gli antichi la personalità di Omero non ha contorni definiti. Essi non conoscono il luogo di nascita, perché ben sette città si contendono l'onore d'aver dato i natali al poeta, tra cui Smirne, Colofone, Chio; quest'ultima sembra vantare qualche titolo in più, se si accorda un certo credito all'inno ad Apollo, 1 che parla del «cieco poeta di Chio», e a ciò che può rappresentare la corporazione degli Omeridi, aedi-rapsodi in qualche modo legati a Omero e attivi nell'isola in epoca storica. Gli antichi non conoscono neppure il vero nome. Omero dovrebbe essere il nome d'acquisto connesso alla cecità fisica (Æ m Ærãn, «colui che non vede»), che, secondo moduli tradizionali, esalta la realtà interiore del cantore veggente; ma potrebbe più probabilmente riallacciarsi alla supposta condizione di «ostaggio» (Ìmhroj). La Vita pseudoerodotea racconta che si chiamava Melesigene e che, imbarcatosi giovanissimo su una nave, girò il mondo, quel La «questione omerica» Nell'età antica 1. È uno dei 33 Inni omerici. Essi sono giunti a noi sotto il nome di Omero, ma non sono suoi, e appartengono a un arco temporale che va dal VII al III secolo a.c. 45
2 mondo che ritrasse nei poemi. Ma sia la biografia attribuita a Erodoto, sia le altre sei che ci sono giunte, molto recenti, non vanno al di là delle pure e semplici leggende. Così la Gara tra Omero ed Esiodo, 2 suggellata dalla vittoria di Esiodo - poeta della pace e del lavoro - nei confronti del cantore delle battaglie, non è che un'invenzione seriore dedotta dalle caratteristiche delle opere dei due poeti. Nulla di sicuro, quindi, sulla realtà di Omero. Tuttavia la questione omerica, cioè l'approccio scientifico al problema, nasce, nell'antichità, solo con l'affermarsi della filologia alessandrina del III e II secolo a.c. Senone ed Ellanico, sulla base delle differenze di stile e di spirito avvertite nell'iliade e nell'odissea, deducono l'impossibilità dell'attribuzione a Omero di tutti e due i poemi. Sono i cwr zontej, i «separatisti», contraddetti in ciò da Aristarco, che con la sua autorità fa tosto accettare la teoria «unitaria» a tutta l'età classica. L'Anonimo del trattato Sul sublime 3 nelle sue riflessioni su Omero, assorbendo alcune suggestioni dei «separatisti», chiude la questione con una formula che riuscirà a varcare i secoli per giungere fino a noi. Egli sostiene a proposito di Omero che I filologi alessandrini essendo stata l'iliade composta al culmine dell'ispirazione, tutto il corpo dell'opera risulta drammatico e combattivo, mentre l'odissea è per lo più narrativa, il che è proprio della vecchiaia. Per cui nell'odissea Omero si potrebbe paragonarlo al sole che sta tramontando, cui resta la grandezza, senza tuttavia la forza. Infatti qui non riesce più a mantenersi alla stessa altezza dei celebri canti iliadici, non più un sublime sempre di alto profilo e che non denuncia cedimento alcuno, non più uguale profluvio di passioni le une sulle altre, non più la versatilità e la forza oratoria stipata d'immagini tolte dalla realtà; ma come in un oceano che in se stesso si ritira e che si mette in disparte nei propri confini, ancora appaiono i riflessi della sua grandezza nella piatta superficie dei suoi racconti favolosi e incredibili. (IX, 13. Trad. di R Donadi) Nell'età moderna la questione omerica ha la sua preistoria nell'opera di un francese, François Hédelin d'aubignac, e di un italiano, Giambattista Vico, che affrontano il problema in modo non diretto e da punti di vista diversi, ma con risultati sostanzialmente identici per quanto riguarda il nocciolo della questione. Nell età moderna D Aubignac ne Le congetture accademiche sull'iliade d'omero del 1664 (pubblicate solo nel 1715), all'interno della polemica allora vivacissima in Francia tra «antichi e moderni», nega l'esistenza di Omero e spiega la composizione dell'iliade come un lavoro di messa insieme di canti anonimi da parte di un grossolano «rattoppatore». Vico, parlando della Discoverta del vero Omero (1730) nella Scienza nuova, giunge in modo autonomo pressoché alle stesse conclusioni di d'aubignac; sostiene, cioè, che Omero non ha realtà storica e l'iliade è opera collettiva del genio greco nell'«età degli e- roi»: 2. La redazione del racconto - così come quella delle sette biografie omeriche - è da attribuire all'epoca imperiale; il nucleo centrale, invece, è già documentato nel III secolo a.c. 3. Lo scritto Sul sublime è un trattato di retorica, giunto frammentario, che concentra la propria indagine sopra l'öyoj (il «sublime») riguardato come l'essenza della grande poesia. l autore, sconosciuto, viene generalmente collocato nel I secolo d.c. 46
3 Ma tali e tante difficultà, e insiememente i poemi di lui pervenutici, sembrano farci cotal forza d'affermarlo per la metà: che quest'omero sia egli stato un'idea ovvero un carattere eroico d'uomini greci, in quanto essi narravano, cantando, le loro storie. (Scienza nuova, III, 2) Contrariamente a d'aubignac, Vico riconosce all'opera di Omero grande validità artistica, in quanto espressione di quei sensi «perturbati e commossi» e di quella «fantasia» che rappresentano gli ingredienti costitutivi e specifici dell'arte e che gli uomini dell'«età eroica» possedevano compiutamente. Tuttavia né d'aubignac né Vico possono essere considerati i padri della questione omerica, sia per il carattere informale delle loro intuizioni sia per la scarsissima incidenza sui contemporanei. L'avvio scientifico della questione porta il nome di un filologo tedesco, Federico Augusto Wolf. Nei Prolegomena ad Homerum del 1795, con metodo rigoroso, Wolf sostiene che Omero deve essere collocato all'inizio di una lunga tradizione epica orale, la quale troverà sistemazione e trascrizione molto più tardi, nel VI secolo a.c. Le argomentazioni a favore di questa tesi sono soprattutto la mancanza della scrittura ai tempi di Omero e la redazione pisistratea dei poemi secondo la testimonianza di Cicerone: qui (= Pisistratus) primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus. (De oratore, III, 34,137) Da Wolf nasce, così, la «questione omerica»; e subito, sulle sue orme, sorgono schiere di «analisti», che cercano di riconoscere, come in uno scavo archeologico, i vari strati della genesi dei poemi, per determinarne le caratteristiche, per spiegarne gli anacronismi e le aporie narrative. Meritano di essere citate la teoria dei «piccoli canti» (Kleinlieder) di Lachmann - egli ne distingue sedici - poi confluiti nel Grossepos e quella del «nucleo originario» e dei «progressivi ampliamenti» di Hermann, che postula all'origine dell'iliade e dell'odissea una «Iliade primitiva» (Urilias) e una «Odissea primitiva» (Urodyssee). Naturalmente alle schiere di «analisti» si contrappongono schiere di «unitari», che rivendicano la monogenesi dei poemi e l'unicità del loro autore. Costoro alle argomentazioni degli antichi ne aggiungono altre dedotte dalla comparazione con opere moderne - l'orlando Furioso per esempio - che non vanno e- senti dalle stesse incoerenze rimproverate ai poemi omerici; oppure fanno appello alla nuova estetica romantica, che, con la sua concezione dell'irrazionalità dell'arte, offre una giustificazione di fondo delle diverse contraddizioni. Nel contempo, però, un altro concetto romantico, quello di «poesia popolare», viene sfruttato ancor di più dagli «analisti», perché, se la poesia è espressione dell'anima collettiva del popolo, diventa logico pensare all'epos omerico in termini di poligenesi. 4 Wolf Analisti e unitari 4. È opportuno aggiungere anche che la polemica intorno a Omero è tanto vivace in quanto si innesta su quella, allora dibattutissima, intorno alla poesia. Della distinzione romantica, infatti, tra Kunstpoesie o «poesia d'arte» e Naturpoesie o «poesia di natura» e del riconoscimento del carattere ingenuo e naturale della poesia, Omero offre l'esempio più ghiotto. Egli, privo come appare di una tradizione artistica precedente, sembra incarnare allo stato puro quel miracoloso fenomeno della poesia aurorale che i romantici esaltano. 47
4 I raffronti con le Chansons de gestes, 5 il Kalevala, 6 il Nibelungenlied 7 e le altre saghe popolari servono da inequivocabile conferma. La seconda tappa, dopo Wolf, è rappresentata negli anni Settanta e Ottanta da Schliemann. In mezzo allo scetticismo ormai diffuso sulla realtà storica del mondo omerico, l'archeologo tedesco inizia gli scavi sulla collinetta di Hissarlik, scoprendovi i resti di Troia e il Tesoro di Priamo; poi a Micene porta alla luce le tombe che fa risalire al tempo di Agamennone e il Tesoro di Atreo. Le tesi degli «unitari» ritornano in auge; gli scavi sembrano confermare tangibilmente il quadro tradizionalmente accettato sui due poemi. E quando le successive missioni archeologiche accertano che la Troia di Schliemann non è la Troia omerica, che le tombe di Micene devono essere datate alcuni secoli prima di Agamennone, che, insomma, tutte le certezze di Schliemann scricchiolano, le loro nuove scoperte permettono di alimentare un'ingenua fiducia nella realtà omerica. Oggi alcuni studiosi, in un bilancio più sereno e più cauto, affermano che è possibile riconoscere la non contraddittorietà tra i reperti archeologici e il mondo di Omero, ma che non ci sono elementi che permettano di dedurre una conferma positiva di esso. La terza tappa è segnata dagli studi dell'americano Milman Parry (i primi risalgono al 1928, ma sono recepiti molto tardi, dopo la seconda guerra mondiale). Il punto di partenza è il concetto di Kunstsprache o «lingua artificiale» - proprio della dizione epica - elaborato da alcuni grammatici e filologi (K. Witte, K. Meister, ecc.); applicandolo a un'analisi minuziosa dei testi omerici, Parry ne definisce innanzi tutto la «formularità» e poi l'«oralità». Diversamente da tutte le altre opere della letteratura greca (non di altre letterature, perché lo stesso Parry rileva un analogo procedimento nei canti epici serbocroati), i poemi di Omero si fondano su formule fisse, epiteti ricorrenti, espressioni tipo, che tendono a comparire nelle medesime sedi del verso e con schema metrico costante. Questi elementi, oltre a far parte della stilizzazione del linguaggio epico e a rispondere a leggi di economia espressiva, sono anche capaci di interpretare i complessi rapporti psicologici che s'instaurano tra narratore e ascoltatore. Ecco, perciò, che la formularità trova il suo naturale complemento nell'oralità. I poemi omerici sono per Parry, oral poetry, cioè «poesia orale», intendendo con l'espressione non solo la «trasmissione» e la «diffusione», ma anche la «composizione» orale del testo. La quarta tappa della questione omerica coincide con la decifrazione di Michael Ventris della lineare B nel Finora, però, la scoperta non si è rivelata particolarmente feconda per la storia dei poemi; se da un lato ha permesso una lettura più precisa del mondo miceneo, dall'altro sembra che i punti di contatto tra il mondo dell'epica e il mondo delle tavolette in lineare B non siano numerosi né rilevanti. Schliemann e le successive missioni archeologiche Parry Ventris 5. Canzoni popolari francesi di lotta e di cavalleria, appartenenti all'età medioevale e in gran parte anonime. 6. È il poema nazionale dei Finni e deriva dalla intelligente messa insieme di canti antichi di carattere avventuroso, fiabesco, paesaggistico fatta da Elias Lónnrot nel L anonima composizione del Nibelungenlied o «poema dei Nibelunghi» è databile attorno al 1200, ma raccoglie miti, leggende e fatti storici risalenti alle grandi migrazioni delle genti germaniche del V secolo d.c. e tramandati attraverso le interpretazioni di svariati poeti epici. 48
5 Oggi, pur lasciando la questione per tanti aspetti aperta, sembra di poter affermare che Omero segna un punto d'arrivo nella storia dell'epica, che i poemi a lui attribuiti sono da collocare, a causa della loro raffinata elaborazione formale, al termine di un'intensa attività poetica orale, della quale sono testimonianza importante. La loro costituzione, se pure in parte ancora suscettibile di mutamenti, avviene nella Ionia durante la seconda metà dell'viii secolo: prima l'iliade e qualche decennio dopo l'odissea. Un poeta chiamato Omero, vissuto press'a poco fra il 780 e il 700 a.c., può essere realmente esistito; sembra tuttavia molto probabile che il nome rimandi piuttosto a un epiteto tradizionale dato a una forte personalità, particolarmente geniale nel rievocare durante le riunioni festive le saghe eroiche di un lontano passato. Sulla questione della paternità dell'iliade e dell'odissea, le opinioni degli studiosi rimangono discordanti: «unitari» e «separatisti» si fronteggiano come ai tempi dei filologi alessandrini. Posizioni fortemente differenziate emergono anche sul problema della originaria composizione orale o scritta dei due poemi. Alcuni parlano di oralità integrale e altri di registrazione sotto dettatura; alcuni vi riconoscono i segni di una trascrizione parziale e altri di una composizione interamente scritta dal poeta. Può essere interessante rilevare che gli ultimi importanti interventi sul problema si schierano decisamente a favore dell'ultima posizione. 8 Conclusioni 8. Cfr. J. Latacz, Omero, il primo poeta dell'occidente, Laterza, Roma-Bari 1990 e V. Di Benedetto, Nel laboratorio di Omero, Einaudi, Torino
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