Direttore Editoriale Marco Trabucchi. Comitato Editoriale Carlo Caltagirone Niccolò Marchionni Elvezio Pirfo Umberto Senin

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1 Direttore Editoriale Marco Trabucchi Comitato Editoriale Carlo Caltagirone Niccolò Marchionni Elvezio Pirfo Umberto Senin Coordinatore Comitato Scientifico Luigi Ferrannini Comitato Scientifico Fernando Anzivino Fabrizio Asioli Giuseppe Barbagallo Luisa Bartorelli Carlo A. Biagini Enrico Brizioli Amalia C. Bruni Francesco Catapano Fabio Cembrani Alberto Cester Pasquale Chianura Erminio Costanzo Antonino Cotroneo Luc P. De Vreese Fabio Di Stefano Gerardo Favaretto Antonio Federico Nicola Ferrara Giuseppe Fichera Massimo Fini Piermaria Furlan Giuseppe Gambina Gianluigi Gigli Marcello Giordano Guido Gori Ina Hinnenthal Marcello Imbriani Daniela Leotta Maria Lia Lunardelli Patrizia Mecocci Enrico Mossello Ciro Mundi Massimo Musicco Leo Nahon Gianfranco Nuvoli Patrizio Odetti Alessandro Padovani Luigi Pernigotti Nicola R. Pizio Paolo F. Putzu Renzo Rozzini Francesco Scapati Osvaldo Scarpino Carlo Serrati Sandro Sorbi Gianfranco Spalletta Claudio Vampini Orazio Zanetti Segreteria di Redazione Angelo Bianchetti Vincenzo Canonico Rivista registrata presso il Tribunale di Firenze Registrazione: n Data di registrazione: 1/12/2010 Proprietario: Promo Leader Service Congressi ISBN Le norme editoriali sono consultabili sul sito: I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. La violazione di tali diritti è perseguibile a norma di legge per quanto previsto dal Codice Penale. Stampa: Fotolito Immagine, Firenze

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3 PSICOGERIATRIA 2012; 1: 3-4 Indice PSICOGERIATRIA Quadrimestrale - Anno VII - Numero 2 - Maggio - Agosto 2012 EDITORIALE Marco Trabucchi pag. 5 ARTICOLI ORIGINALI PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO-ASSISTENZIALE DECADIMENTO COGNITIVO/DEMENZA Fausta Podavitte, Tarciso Marinoni pag. 7 IL DATA-BASE DELLE DISABILITÀ CIVILI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO (ANNO 2011) Fabio Cembrani pag. 20 DEMENZA E ARTE PITTORICA Gabriele Cipriani, Luca Cipriani, Lucia Picchi, Marcella Vedovello pag. 27 VALUTAZIONE DI EFFICACIA DI UN MODELLO DI COUNSELING AI FAMILIARI-CAREGIVER NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER Antonio Rosario Ziello, Maila D antonio, Carla Poderico, Alessandro Iavarone, Sabrina Carpi, Angiola Maria Fasanaro pag. 34 IL CHRONIC CARE MODEL: UN PROGETTO IN FASE DI SPERIMENTAZIONE SUI PERCORSI ASSISTENZIALI INTEGRATI PER LA PREVENZIONE DEL DECORSO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER NELL ASP DI CATANZARO Pietro Gareri et al pag. 41 MENTALIZZAZIONE E INVECCHIAMENTO - theory of mind in healthy AGIN Matteo Pardini, Davide Sassos, Carlo Serrati pag. 47 Contributi Seminario Direttivo AIP Genova Editoriale AIP Liguria Sandro Ratto, Luigi Ferrannini, Simona Gotelli, Giangranco Nuvoli, Patrizio Odetti, Nicola R. Pizio, Carlo Serrati pag. 52 LETTURA PER IL DIRETTIVO AIP Don Marino Poggi pag. 54

4 PRIMI BILANCI SULL ANDAMENTO DI UN CENTRO NOTTURNO PER ANZIANI Fernando Anzivino, Francesca Balestri, Cinzia Ricci pag. 57 LA CIRCONVENZIONE DI PERSONA INCAPACE NEI MOLTO ANZIANI: PROFILI PSICHIATRICO FORENSI Francesco Scapati et al pag. 61 COMUNICAZIONE DELLA DIAGNOSI NELLE DEMENZE, QUALE PRASSI? Giuseppe Gambina, Annachiara Bonazzi, Maria Teresa Condoleo, Valeria Valbusa, Elisabetta Broggio, Francesca Sala, Maria Cristina Martini, Giuseppe Moretto pag. 71 PSICOGERIATRIA: IL CONCETTO DI TERAPIA COMBINATA Guido Gori pag. 77 IL GRANDE VECCHIO VISTO DAI GIOVANI SPECIALISTI Simona Gotelli pag. 81 L OSPEDALE È UN LUOGO PER GRANDI VECCHI? Nicola Renato Pizio pag. 84 IL VECCHIO E LE MEDICINE-RECENSIONE Piera Ranieri, Angelo Bianchetti pag. 87 PIETRE ANGOLARI pag. 89 Poesia Commento a cura di Franca Grisoni pag. 91 NOTIZIE Annuncio Brain Aging

5 PSICOGERIATRIA 2012; 2: 5-6 Editoriale Marco Trabucchi Viviamo in un momento di grande ricchezza di idee e di stimoli attorno alla possibilità di costruire un sistema delle cure più vicino al bisogno dei nostri contemporanei. Nei decenni scorsi agli entusiasmi del primo trentennio dopo la guerra è seguito un periodo nel quale prevalevano gli elementi critici rispetto alla cultura prevalente, senza però che crescessero indicazioni evolutive. Oggi invece secondo un impressione diffusa viviamo in un momento di proposte e di indicazioni significative, che avranno bisogno di essere vagliate e organizzate; rappresentano però veramente un flusso di idee straordinario per interesse e capacità innovativa. Propongo una sorta di riassunto schematico di queste idee prevalenti utilizzando come modello la demenza, malattia che ha avuto grande sviluppo in questi anni sia per l evoluzione epidemiologica sia per la mole di studi e ricerche che l hanno interessata. Infatti si potrebbe dire che le demenze, e la la malattia di Alzheimer in particolare, riassumono molte dialettiche che accompagnano l evoluzione culturale e pratica della medicina dei nostri giorni. 1. Una serie di studi ha dimostrato che l incidenza della demenza di Alzheimer si va progressivamente riducendo negli ultimi anni. Anche se il fenomeno non assume un rilievo tale da ridurre la prevalenza della malattia, a causa del prolungamento della spettanza di vita, è interessante per le determinati che l hanno indotto, non ancora chiarite. E infatti la conseguenza del generale miglioramento della qualità della vita che ha caratterizzato gli ultimi vent anni (partecipazione psicologica alla collettività, migliore alimentazione, maggiore attività fisica, maggiore attenzione alla prevenzione, ecc.)? Questa interpretazione va in senso opposto rispetto al fatto che in questi anni le maggiori malattie croniche per le quali è ipotizzato un rapporto causale con l Alzheimer sono aumentate. E quindi difficile ricostruire una precisa catena di eventi e il quadro complessivo resta incerto, sia per gli aspetti teorici, sia perché i dati sulla ridotta incidenza sono stati utilizzati per dimostrare che la demenza può esser prevenuta (ma come?). 2. Da molti anni la ricerca scientifica in tutto il mondo è coinvolta nella definizione dei meccanismi che portano alla demenza. Non si è però trovata una risposta soddisfacente. Probabilmente la definizione di un solo fattore responsabile della patologia non è realistica; ad esempio l ipotesi genetica non ha portato a risultati utili per un reale progresso. Infatti non più dell 1% delle demenze è attribuibile ad una alterazione genetica; anche l ipotesi di qualche anno fa che le malattie direttamente legate ad una mutazione potessero rappresentare modelli utili per identificare più facilmente eventuali terapie non ha avuto seguito. Oggi prevale il modello della betamiloide, con un percorso però non chiaro. Infatti vi sono numerose contraddizioni rispetto ad una sequenza che leghi direttamente evento biologico con la fenomenologia clinica. Questa cesura ha portato ad ipotizzare la presenza di beta amiloide nel cervello come un target indipendente rispetto all espressione clinica; la logica è quella di indirizzare l intervento verso il dato biologico, evidenziabile attraverso adeguate strumentazioni, senza che sia necessario valutarne la ricaduta clinica. Un modello così riduzionistico sembrava sconfitto negli anni scorsi dal progresso indotto dalla definizione degli esiti in medicina; questi tentativi in senso conservativo fanno pensare sulle difficoltà estrinseche ed intrinseche del ragionamento clinico.

6 6 MARCO TRABUCCHI 3. In questi anni si sono succedute molte ipotesi terapeutiche sulla malattia di Alzheimer, nessuna delle quali però ha sostituito l approccio ormai tradizionale con gli inibitori delle colinesterasi e la memantina. I ripetuti tentativi hanno portato fino ad ora solo a fallimenti, sia per le errate ipotesi patogenetiche sia per gli effetti collaterali delle molecole proposte. Ora vi è un nuovo entusiasmo attorno ai possibili nuovi farmaci che si sostiene potrebbero essere disponibili nel ambito di 2-3 anni. Chi scrive non vuole esprimere pessimismo a questo proposito, perchè significherebbe cancellare molti anni di impegno anche personale; la lettura degli articoli scientifici sollecita però qualche perplessità rispetto all interpretazione di un collegamento preciso tra la presenza di beta amiloide e la sintomatologia della demenza. Anche la dimostrazione ottenuta con i nuovi marcatori PET sulla presenza di amiliode non viene interpretata come una dimostrazione diretta della presenza della malattia (si veda a questo proposito quanto recentemente dichiarato dalla FDA sul fluobetapir, la cui misura servirebbe solo ad escludere l eventuale presenza di una malattia di Alzheimer). 4. L introduzione di nuove ipotesi terapeutiche fondate sul controllo attraverso meccanismi diversi dell eccesso di betaamiloide nel cervello ha alcune precise conseguenze anche sul piano pratico-organizzativo. La più rilevante è l esigenza di disporre di strumenti per rilevare la presenza della sostanza; quante PET saranno disponibili in Italia nel 2015 per questo uso, senza sottrarre tempo macchina alle esigenze dei pazienti affetti da patologie oncologiche? e in quali ambienti, slegati dalle UVA? vicino a quali competenze specifiche? i costi saranno sostenibili dal SSN, evitando discriminazioni in base alla capacità economica del singolo cittadino più o meno assicurato? accadrà che il semplice referto di una PET potrà sostituire un approccio clinico più individualizzato? Analoghe considerazioni potranno essere fatte anche a proposito della misura liquorale della beta amiloide e della tau. Tutto ciò rinforza il modello interpretativo della malattia fondato solo sulla misura dell evento biologico, sensibile all azione di farmaci che ne impediscono la sintesi o ne facilitano l eliminazione. Ma di che malattia di tratta? Non si può dimenticare a questo proposito che per lungo tempo -ed in parte ancor oggi- la medicina ha preferito considerare gli eventi biologici come l espressione prevalente delle malattie e quindi targhet dei trattamenti. 5. I farmaci ipoteticamente attivi sull amiloide saranno studiati entro modelli che assomigliano ad una sperimentazione in vitro. Allentando il legame con la patologia, le modalità di sperimentazione clinica riflettono un modello rigido di selezione che comprende una tipologia semplice di malattia, non inquinata dagli eventi del mondo reale (l età avanzata, la polipatologia, la perdita di funzione, la presenza di fattori psicologici, l ambiente vitale, ecc.). Ma chi sono questi animali (umani) da esperimento? Saranno molto difficili da selezionare e rappresenteranno solo una piccola frazione del grande mondo delle persone che soffrono di demenza. Forse su di loro si potrà verificare che il nuovo anticorpo (o altro intervento farmacologico) funziona perché riduce il livello encefalico di beta-amiloide; ma cosa significa questo risultato? potrà essere trasferito realmente al mondo reale delle demenze? 6. Nei prossimi mesi gran parte dei farmaci per le demenze diverrà generico. Quali conseguenze avrà sulla cura dei pazienti? Rappresenterà una semplificazione positiva rispetto alle attuali note o comporterà una banalizzazione delle cure, prescritte da medici non esperti della malattia e non in grado di inserire il farmaco in un reale approccio complesso di cura? Nessuno riesce a prevedere quale evoluzione avrà la prescrizione terapeutica; si tratta però di un evento che investirà nei prossimi mesi moltissimi farmaci in tutti i campi. Con profondi cambiamenti rispetto alle modalità di curare (sarebbe necessario a questo proposito un atteggiamento propositivo, che collochi l innovazione in una giusta prospettiva: ma chi si assume questo compito?). Come si può vedere dalla rapida descrizione dei punti di crisi che coinvolgono oggi il mondo delle demenze, vi sono parecchi aspetti contigui con le problematiche che investono oggi l insieme della medicina. Occuparsi quindi del problema ci fa sentire all interno del grande dibattito che a molti livelli riguarda la cultura e la prassi medica più avanzate. Dobbiamo affrontare il compito con volontà innovativa, immergendoci completamente nelle nuove indicazioni che provengono dal mondo reale e da quello di chi ipotizza nuovi modelli e ne tenta la sperimentazione. Con l orgoglio di chi sa di essere al centro di una trasformazione epocale, difficile ed impegnativa, che però produrrà un ulteriore salto in avanti delle possibilità di curare le persone più fragili, come quelle affette da demenza.

7 PSICOGERIATRIA 2012; 2: 7-19 Articoli Originali Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza Fausta Podavitte 1, Tarcisio Marinoni 2 1 Direttore dipartimento ASSI 2 Responsabile U.O. Assistenza protesica e continuità di cura Pubblichiamo di seguito il Prontuario diagnostico-terapeutico-assistenziale sulle demenze di recente predisposto dall ASL di Brescia. Riteniamo in questo modo di dare un contributo alla discussione e un supporto concreto ai colleghi che in questi mesi sono dedicati alla preparazione di un documento su questi argomenti per le proprie aziende sanitarie. Ovviamente non tutto il contenuto del PDTA di Brescia incontra l approvazione dell AIP; i punti in discussione sono ancora molti. Però è di per sé importante che un azienda sanitaria dedichi attenzione al problema delle demenze, perché questo facilita il coinvolgimento di tutti gli attori (dal medico di famiglia, in modo che favorisca una diagnosi precoce, a chi ha la responsabilità di assistere la persona ammalata nelle fasi avanzate della malattia). Il testo si presta a specifici ampliamenti su specifici argomenti, attorno ai quali la nostra rivista sarebbe onorata di ospitare il contributo del lettori; in particolare sottolineo, tra i molti motivi di interesse, l importanza di analizzare il ruolo delle Unità di valutazione geriatrica alla luce del cambiamento indotto dalla genericazione dei farmaci per la demenza, di costruire percorsi protetti per le persone affette da demenza ricoverate negli ospedali per acuti, di progettare metodologie per l assistenza domiciliare costruita attorno alla specificità del bisogno delle persone ammalate di demenza. Premessa Lo scopo di questo documento è di migliorare, nel territorio bresciano, la gestione integrata del paziente con decadimento cognitivo/demenza e della sua famiglia attraverso una conoscenza più puntuale dei servizi esistenti e un loro appropriato utilizzo, oltre a una più organica integrazione tra servizi/strutture e tra operatori. In particolare, il documento si propone di definire i principali passaggi del percorso che il malato e la sua famiglia affrontano, in modo da migliorare il funzionamento del sistema di rete, ottimizzare l utilizzo delle risorse e ridurre i disagi a carico del paziente e della sua famiglia. Il presente lavoro: - è stato elaborato dal Tavolo per le demenze, istituito dall ASL di Brescia con la partecipazione di suoi rappresentanti, di referenti delle strutture per le demenze, dei MMG e rappresentanti sanitari delle RSA; - utilizza alternativamente i termini decadimento cognitivo/demenza a seconda del contesto, soprattutto in rapporto al livello di definizione diagnostica in argomento; - contiene criteri e indicazioni operative riguardanti servizi/strutture che si occupano dei pazienti affetti da decadimento cognitivo/demenza e delle loro famiglie, in modo da garantire la continuità e l appropriatezza dell assistenza;

8 8 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni - integra il documento Organizzazione della rete integrata per le demenze nell ASL di Brescia condiviso nell ottobre 2010 tra ASL, aziende ospedaliere pubbliche e strutture ospedaliere private accreditate alle quali afferiscono le strutture per le demenze (disponibile sul sito web ASL di Brescia secondo il percorso: ASL Brescia > Operatori > Novità e aggiornamenti), per quanto riguarda, in particolare, gli aspetti clinico-epidemiologici e l evoluzione della rete per le demenze nell ASL di Brescia; - è stato assentito dai responsabili delle strutture per le demenze e dalle principali organizzazioni rappresentanti le RSA (UPIA, UNE- BA) in data ; - è stato validato dal comitato aziendale della medicina generale il dal Tavolo dei direttori sanitari delle strutture di ricovero e cura accreditate in data ; Sono attori principali del PDTA: - le strutture per le demenze (ASTD - ambulatorio specialistico territoriale dedicato o delle demenze e della memoria o centro di primo livello; il CD - centro per le demenze o delle demenze e della memoria o centro di secondo livello) definite a seguito della riorganizzazione delle UVA nel 2010; - i MMG; - le équipe ASL Ucam Unità di continuità assistenziale multidimensionale coinvolti con ruoli specifici nella fase pre-diagnostica, diagnostica, di cura e assistenza del paziente con decadimento cognitivo e della sua famiglia; - le strutture residenziali e semi-residenziali per anziani (RSA Residenze sanitario assistenziali e CDI Centri diurni integrati) e per disabili (RSD Residenze sanitarie per disabili e CDD - Centri diurni per disabili); - gli enti accreditati per l erogazione dell ADI assistenza domiciliare integrata. Sono destinatari i pazienti affetti dai diversi tipi di decadimento cognitivo/demenza nelle varie fasi della malattia (dalla fase iniziale di sospetto diagnostico fino alla fase terminale) e le loro famiglie. Fasi di particolare rilievo nella gestione del paziente L attenzione verso il paziente affetto da decadimento cognitivo/demenza nel territorio dell ASL di Brescia è alta e gli interventi qualificati, anche grazie al lavoro svolto nel corso dell ultimo decennio. A fronte, però, del progressivo aumento del numero di pazienti, della complessità delle loro situazioni clinicoassistenziali e socio-familiari, della costante necessità di semplificazione dell accesso ai servizi e della riduzione dei connessi disagi al paziente e alla sua famiglia, oltre che della disponibilità di risorse predefinite e limitate, si ritiene necessario definire modalità più appropriate e innovative per la gestione dei seguenti passaggi fondamentali del percorso, attualmente ancora in parte frammentari e non sufficientemente coordinati: - fase del sospetto diagnostico, prima verifica diagnostica e invio alla fase specialistica (con percorso preferenziale che garantisce il contenimento dei tempi di attesa per prima visita presso le strutture per le demenze); - diagnosi ed eventuale avvio del trattamento; - gestione del follow-up con percorsi preferenziali, per garantire anche il contenimento dei tempi di attesa per l accesso alle strutture per le demenze; - monitoraggio e gestione domiciliare del malato (rapporto MMG/specialista di struttura per le demenze, Ucam ASL e servizi domiciliari); - gestione ingresso nei servizi diurni e residenziali della rete territoriale; - gestione dei disturbi psico-comportamentali; - informazione, formazione e supporto a familiari e caregiver per una corretta gestione del paziente; - formazione degli operatori per un assistenza qualificata. Il ruolo che le strutture per le demenze possono assumere nel percorso complessivo diagnostico, curativo e assistenziale del paziente si esplica in particolare in due fasi: - una prima fase, i cui obbiettivi principali sono la diagnosi e l eventuale avvio del trattamento; - una seconda fase, post-diagnostica, il cui obiettivo principale è il monitoraggio del malato, attraverso la sua periodica rivalutazione, al fine di rilevare eventuali problemi intercorrenti (somatici, cognitivocomportamentali, sociali, assistenziali) ed elaborare strategie per la loro risoluzione. Questo percorso vede agire in modo integrato strutture per le demenze (vedasi l elenco nella tabella seguente), MMG e Ucam in un unico piano di intervento, con chiara definizione dei reciproci ruoli, prevedendo anche il coinvolgimento dei servizi della rete territoriale fra i quali cure domiciliari, CDI e RSA.

9 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 9 Strutture per le demenze attive nell ASL di Brescia N. Struttura di appartenenza U.O. di afferenza Sede Classificazione 1 A.O. Spedali Civili di Brescia Clinica Neurologica Brescia CD 2 Fondazione Poliambulanza Dip. Medicina e Geriatria Brescia CD 3 Fondazione Poliambulanza - S. Orsola Dip. Medicina e Geriatria Brescia ASTD 4 A.O. Mellino Mellini U.O. Neurologia Chiari ASTD 5 IRCCS Centro S.Giovanni di Dio F.B.F. U.O. Alzheimer Brescia CD 6 Fond.ne Ospedale e Casa di Riposo Richiedei U.O. Riabilitazione Palazzolo s/o. ASTD 7 Istituto Clinico S. Anna U.O. Medicina Brescia CD 8 Istituto Clinico Città di Brescia U.O. Neurologia Brescia CD 9 Istituto Clinico San Rocco Franciacorta U.O. Riabilitazione Ome ASTD 10 A.O. Desenzano del Garda Dip.to di Salute Mentale Manerbio ASTD ASTD = Ambulatorio specialistico territoriale dedicato (1 livello); CD = Centro per le demenze (2 livello) Percorso tipo e competenze Sulla scorta del percorso-tipo del paziente affetto da decadimento cognitivo/demenza vengono delineati i passaggi fondamentali di seguito illustrati e le relative competenze. 1) fase pre-diagnostica, prima verifica ed eventuale invio all ASTD Obiettivo: pervenire a una diagnosi precoce di decadimento cognitivo attraverso lo sviluppo di capacità di sospetto diagnostico e l applicazione di strumenti di prima conferma in modo più omogeneo nel territorio ASL; Attori principali: MMG; Compiti: individuazione dei soggetti affetti da sospetto decadimento cognitivo attraverso lo screening effettuato secondo modalità ben definite; VES emocromo sodio, potassio glicemia creatinina AST, ALT elettroforesi sieroproteica Strumenti: in caso di sospetto diagnostico il MMG effettua lo screening delle funzioni cognitive raccogliendo dai familiari/caregivers precise informazioni anamnestiche. In caso di lieve anomalia (un solo item positivo, che presenta però un impatto con l attività quotidiana), il questionario può essere nuovamente somministrato dal MMG a breve distanza di tempo (tre mesi) per meglio valutare l evoluzione delle performance del paziente. E facoltà del MMG somministrare al paziente anche il MMSE Mini mental state examination, in particolare quando lo screening tramite questionario evidenzia criticità. In caso di risultato patologico, il MMG avvia il processo di esclusione diagnostica/diagnosi differenziale attraverso la prescrizione e la valutazione dei risultati degli esami strettamente necessari di seguito riportati: colesterolo totale e HDL trigliceridi B12 e folati TSH esame urine ECG TC encefalo senza mezzo di contrasto

10 10 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni In tal modo vengono raccolti i principali elementi di inquadramento diagnostico, si semplifica e rende più rapido l iter diagnostico, si razionalizza e ottimizza l utilizzo delle risorse del sistema sanitario (gli esami sopra citati sono validi anche se eseguiti entro i sei mesi precedenti la valutazione specialistica). Prendendo visione dei referti, il MMG completa un primo screening di esclusione (ad esempio per patologie somatiche, problemi psichici, ecc.) o di inclusione. In quest ultimo caso invia la persona al primo livello specialistico (ASTD) con richiesta - su ricetta SSR di visita multidisciplinare, completa del quesito diagnostico decadimento cognitivo, accompagnata dai risultati dello screening, degli esami e da relazione contenente le comorbidità, le terapie in atto, gli eventuali effetti collaterali. 2) Conferma diagnostica, diagnosi differenziale ed eventuale avvio del trattamento Obiettivo: pervenire a una diagnosi certa e decidere l eventuale avvio dell intervento terapeutico (farmacologico o non farmacologico); Attori principali: struttura per le demenze di 1 livello ASTD (se necessario anche di 2 livello CD); Compiti: corretto inquadramento diagnostico anche attraverso richiesta diretta di esami strumentali di secondo livello, somministrazione di test neuropsicologici, utilizzo di strumenti diagnostici complessi (es.: RMN, PET/SPECT, esame liquorale); eventuale avvio del trattamento farmacologico (secondo quanto alla nota 85 CUF/AIFA); comunicazione della diagnosi; informazione e supporto ai familiari. Strumenti: nel territorio dell ASL di Brescia, l attività delle strutture per le demenze di 1 e 2 livello è sviluppata con comune riferimento alle linee guida per le demenze della società italiana di neurologia - anno 2004 e della Società italiana di psicogeriatria - anno SINTESI DELL ITER DIAGNOSTICO - PRIMO INQUADRAMENTO PRESSO L ASTD Il medico dell ASTD: 1. riceve il malato con i familiari e la documentazione clinica (relazione, risultati dello screening e degli esami esami), completa l anamnesi, esegue una valutazione obiettiva somatica e neurologica e una prima valutazione secondo le regole dell assessment multidimensionale (MMSE, IADL, BADL, NPI - quest ultima formale anche se non esistono disturbi del comportamento, cioè 0/144); 2. decide quali accertamenti eseguire per completare la diagnosi (es.: test neuropsicologici, RM encefalo) oppure invia il malato al CD di secondo livello, che può decidere di effettuare eventuali ulteriori esami di approfondimento, biologici o strumentali; 3. al termine degli accertamenti (anche già in prima visita, quando non vi sono dubbi), effettua una diagnosi, imposta una terapia farmacologica, cognitiva e/o comportamentale - se indicate - e stabilisce i tempi dei follow-up per la verifica della compliance e dei risultati terapeutici e per l adeguamento del piano terapeutico (secondo nota 85 CUF/AIFA: a un mese per la valutazione degli effetti collaterali; a tre mesi per la rivalutazione dell efficacia e successivamente ogni sei mesi); 4. prescrive - su ricetta rossa - le visite successive e fissa i relativi appuntamenti (personalmente o inviando i familiari al CUP); 5. redige relazione per il MMG con consiglio di effettuare almeno una visita di controllo da parte del MMG nell intervallo tra le visite specialistiche semestrali. 3) Fase post-diagnostica e di follow-up Obiettivo: garantire precisi riferimenti al malato e alla sua famiglia; monitorare la malattia e il trattamento; intervenire prontamente e in modo integrato nella gestione dei problemi clinici intercorrenti; Attori principali: MMG; struttura per le demenze di 1 livello ASTD (se necessario anche di 2 livello CD); Compiti: il MMG partecipa al follow-up garantendo il controllo del malato nel periodo intercorrente (sei mesi) tra una visita ASTD e la successiva, la rivalutazione degli eventuali effetti collaterali della terapia cognitiva e/o sedativa, la pronta gestione degli eventuali problemi clinici intercorrenti. La struttura per le demenze, oltre a redigere on line il piano terapeutico, resta disponibile a fornire al MMG consulenza tramite telefono e/o e a rispondere prontamente alle sue eventuali richieste di rivalutazione. Strumenti: MMG e struttura per le demenze fanno riferimento alle tappe del PDTA come sopra sintetizzate. In occasione di ogni valutazione: - il MMG aggiorna la situazione inviando al

11 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 11 medico ASTD una breve relazione-raccordo anamnestico; - il medico della struttura rilascia una relazione per il MMG che riporta gli accertamenti eseguiti e il piano di cura aggiornato. Come da nota 85 CUF/AIFA, per i primi quattro mesi di terapia i farmaci per il trattamento della malattia di Alzheimer sono forniti gratuitamente dalle ditte produttrici e consegnati ai pazienti direttamente dalle strutture per le demenze di 1 e 2 livello. In seguito tali farmaci possono essere forniti, con costi a carico del SSR, direttamente dalla struttura per le demenze e rendicontati in file F oppure prescritti - sempre su ricetta rossa - direttamente dal medico ASTD ovvero dal MMG con riferimento al piano terapeutico specialistico. Integrazione degli interventi e principali motivi di contatto tra struttura per le demenze, mmg, Ucam Le principali condizioni che rendono necessario un contatto diretto (telefonico e/o per CRS-SISS), oltre la relazione cartacea, fra medico di struttura per le demenze, MMG e Ucam sono le seguenti: - condizioni di urgenza/emergenza clinica legate alla terapia (soprattutto se nuovo avvio o recente modifica di terapia cognitiva e/o sedativa) ed eventuale necessità di modifica del piano terapeutico; - comparsa di effetti indesiderati da farmaci; - comparsa o peggioramento di disturbi del comportamento; - comparsa di nuove, significative comorbilità con le connesse possibili interazioni tra terapie farmacologiche; - modificazioni della situazione sociale e familiare (valutazioni effettuate con il coinvolgimento delle Ucam); - qualsiasi altra condizione che richieda una consulenza e/o concordanza di atteggiamento fra i curanti (in particolare, terapia sedativa). Le modalità di contatto diretto, finalizzato a favorire una gestione congiunta delle varie problematiche che possono insorgere, sono lasciate all iniziativa di tutti gli attori. Si consigliano, comunque, l utilizzo del contatto telefonico diretto e/o della comunicazione , i cui riferimenti vanno sempre riportati nelle rispettive comunicazioni. RAPPORTO STRUTTURE PER LE DEMENZE MEDICI DI RSA/RSD Le strutture per le demenze, a cui competono diagnosi, definizione del piano terapeutico, follow-up specialistico, sono riferimento anche per i medici di RSA/RSD nella gestione clinica di ospiti affetti da decadimento cognitivo/demenza a fini di: - rivalutazione e consulenza per casi già diagnosticati; - valutazione a scopo diagnostico per casi con sospetto decadimento cognitivo successivo all ingresso in RSA/RSD. I medici di RSA/RSD svolgono tutte le funzioni di cui sopra già in capo ai MMG. Va evidenziato che, fatta salva la gestione dei primi quattro mesi di terapia farmacologica come sopra indicata, le restanti competenze e costi dei trattamenti sono a carico della RSA/ RSD ospitante. CRONOGRAMMA DEL PERCORSO TIPO ATTIVITà F1 F2 F3 T0 MMG - Sospetto diagnostico: applicazione questionario performance (eventuale ripetizione a 1 mese + eventuale MMSE) X 1 mese 3 mesi Ogni 6 mesi MMG - Prescrizione esami (ematochimici + ECG + TC encefalo senza m.d.c.) X MMG - Valutazione esami, prescrizione visita multidisciplinare e invio a ASTD con documentazione X

12 12 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni ASTD Entro un mese dalla prenotazione, visita multidisciplinare per definizione diagnostica, impostazione dell eventuale trattamento farmacologico o non farmacologico, fornitura diretta farmaci per Alzheimer per i primi quattro mesi, eventuale segnalazione all Ucam. Eventuale invio a CD per esami complessi. X ASTD - Valutazione effetti collaterali del trattamento farmacologico X ASTD - Valutazione efficacia ed effetti collaterali del trattamento farmacologico; invio relazione al MMG; definizione e invio piano terapeutico farmacologico X MMG Monitoraggio con visita almeno a tre mesi da quella specialistica (effetti collaterali; gestione eventuali problemi clinici intercorrenti; collaborazione con Ucam); eventuale prescrizione farmaci sulla base del piano terapeutico specialistico; invio raccordo anamnestico a ASTD ASTD - Rivalutazione efficacia ed effetti collaterali del trattamento; relazione al MMG con accertamenti e piano di cura aggiornato; eventuale prescrizione-fornitura diretta di farmaci per Alzheimer MMG Prescrizione farmaci e monitoraggio (effetti collaterali; gestione dei problemi clinici intercorrenti; collaborazione con Ucam); eventuale prescrizione di farmaci per Alzheimer X X X F1= Fase del sospetto diagnostico F2= Fase della prescrizione dei controlli ematochimici preliminari F3= Fase della valutazione dell esito esami ed eventuale invio all ASTD T0= Primo inquadramento diagnostico specialistico Modalità di rendicontazione delle prestazioni ambulatoriali correlate al primo inquadramento del decadimento cognitivo da parte delle strutture per le demenze Il primo inquadramento diagnostico del nuovo soggetto con decadimento cognitivo effettuato dall ASTD è rendicontato con il codice visita multidisciplinare e comprende: - tutti gli interventi di prima valutazione con le prestazioni elencate nell iter diagnostico di cui sopra (esclusi eventuali test neuropsicologici e RM encefalo); - l attività di consulenza telefonica e/o per diretta a MMG e/o Ucam; - la registrazione - in un database condiviso - e la messa a disposizione dell ASL dei dati di valutazione e di monitoraggio (MMSE, IADL, BADL, NPI, test neuropsicologici, sintesi TC e RM encefalo, altro) ai fini della verifica della corretta applicazione del PDTA e per finalità epidemiologico-statistiche. Certificazione per la valutazione dei pazienti affetti da demenza ai fini dell accertamento dell invalidità civile La valutazione dei pazienti affetti da demenza, per le loro caratteristiche, che li differenziano dal paziente non autosufficiente più tradizionale, è risultata spesso disomogenea. A ciò ha anche contribuito in passato una modalità di presentazione del paziente da parte dello specialista, con diagnosi non documentata. Ai fini di una qualificata presentazione dei pazienti affetti da demenza alle commissioni, è risultata assai positiva la sperimentazione dell utilizzo di strumenti di valutazione uniformi e condivisi, elaborati in accordo tra le strutture per le demenze, i responsabili delle commissioni per l accertamento dell invalidità civile e l INPS. Ciò facilita il lavoro delle commissioni e garantisce ai richiedenti risposte omogenee per tutto il territorio. Pertanto si conferma l utilizzo del seguente modello di certificazione da parte dei medici delle strutture per le demenze. Si precisa che detta certificazione è gratuita solo se redatta - su richiesta dell interessato

13 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 13 - nell ambito di intervento specialistico a significato diagnostico-terapeutico. Viceversa, se rivolta esclusivamente a ottenere la certificazione specialistica ai fini della certificazione per l invalidità, la richiesta non va formulata su ricetta SSR e il costo della certificazione è a carico dell assistito. L allegato A riporta una serie di riferimenti normativi e di errori di percorso da evitare. I servizi della rete territoriale e le necessità di integrazione Dalle strutture per le demenze (ASTD o CD) all Ucam/CeAD Nel percorso assistenziale del paziente con decadimento cognitivo/demenza i due momenti che assumono particolare rilievo, specialmente nel rapporto con i familiari, sono: - la comunicazione della diagnosi, fase importante che sancisce l inizio di un lungo percorso terapeutico-assistenziale; - la valutazione e l individuazione di capacità ed effettiva disponibilità familiare al prendersi carico del malato. In una prima fase la gestione domiciliare spesso è solo della famiglia, che necessita di supporto nella ricerca di badante e indicazioni di comportamento. Deve essere garantita una costante rivalutazione della disponibilità e capacità assistenziale, anche precedentemente all eventuale attivazione di servizi della rete. Quando e come attivare i servizi sociosanitari della rete territoriale Nei numerosi casi di demenza per i quali non può risultare esaustiva la sola gestione del paziente a cura di struttura per demenze e MMG, ma si rende necessario il coinvolgimento di altre figure professionali per una valutazione multidimensionale e l attivazione di servizi della rete territoriale, le strutture per le demenze inviano la segnalazione al MMG e/o all Ucam di riferimento territoriale. Alcune delle condizioni che richiedono l avvio di tale processo sono: - il paziente è solo o non dispone più di validi riferimenti familiari/caregiver; - l ambiente domestico necessita di adeguamento alle esigenze dal malato; - i familiari/caregiver presentano un livello non sufficiente di conoscenza della malattia e/o degli strumenti di sua gestione e/o di capacità di utilizzo degli stessi; - i familiari/caregiver sono in difficoltà o non in grado di gestire i problemi comportamentali del malato; - il quadro del paziente subisce un aggravamento clinico e/o sociale che richiede la ricerca di nuove soluzioni; - l assistito con demenza è in fase terminale. In questi casi la struttura per le demenze, oltre a inviare la relazione di dimissione/ restituzione al MMG, trasmette copia della stessa quale segnalazione all Ucam e, nel caso di degente, attiva la dimissione protetta (come da percorso previsto nel documento Accordo per le ammissioni e dimissioni protette 2008 ASL di Brescia). Sulla base delle informazioni fornite dalla struttura per le demenze e dei dati di valutazione multidimensionale raccolti a seguito di osservazione e valutazione dei bisogni, analogamente a quanto succede per ogni situazione complessa, l Ucam, con il MMG, definisce la proposta di intervento integrato, attiva i servizi/l assistenza necessaria e garantisce il monitoraggio dei risultati. In Regione Lombardia dal 2010 sono attivi i Centri di assistenza domiciliare (CeAD), uno per distretto, finalizzati a garantire condivisione e coordinamento da parte di ASL e Comuni delle attività volte a sostenere la domiciliarità per persone fragili: accoglienza della domanda, valutazione dei bisogni, attivazione di servizi in capo ad entrambi gli Enti. Attraverso il CeAD l Ucam può coinvolgere gli operatori delle amministrazioni comunali per garantire risposte alla varia e complessa rosa di bisogni spesso contestualmente presentati da paziente e suo contesto familiare. Di seguito vengono brevemente elencati e illustrati i servizi attivabili per il paziente affetto da demenza, evidenziando la specificità d approccio e dei bisogni. Elenco dei servizi territoriali Assistenza domiciliare integrata nelle sue varie forme - occasionale/estemporanea: interventi domiciliari occasionali dedicati ai pazienti che necessitano di prestazioni sporadiche (es.: prelievo domiciliare; ciclo di terapia iniettiva); - credit mensile: assegno virtuale per l acquisto di prestazioni esclusivamente sanitarie erogate da caregiver professionali (es.: interventi riabilitativi); - voucher socio-sanitario: assegno virtuale per l acquisto di prestazioni socio-sanitarie erogate da caregiver professionali; - credit/voucher flessibili: di durata superiore o inferiore al mese a seconda della complessità della situazione e dell intensità dei bisogni assistenziali.

14 14 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni Servizi diurni - CDI (Centri diurni integrati), che possono garantire anche ricoveri notturni; - CDD (Centri diurni per disabili), nei casi di demenza precoce (pazienti con età inferiore ai 65 anni). Servizi residenziali - RSA (Residenza sanitario assistenziale) e ricoveri di sollievo; - RSD (Residenze sanitarie per disabili) per pazienti non anziani (es.: pazienti con demenza, malattia rara in età giovane-adulta); - Rete riabilitativa (posti letto in strutture di riabilitazione, in particolare ex IDR). Iniziative a supporto del caregiver - Scuola di assistenza familiare: vengono garantiti i corsi di formazione a supporto della famiglia/caregiver non professionale, dedicati alle fragilità, fra cui le demenze, con la collaborazione di distretto, struttura per le demenze, MMG, ufficio di piano. Alcuni fra gli obiettivi dei corsi di formazione sono: o la riduzione dei rischi di rottura di equilibri familiari; o la riduzione dell ansia del caregiver nella gestione del malato; o il prolungamento dei tempi di vita a domicilio; o la riduzione/contenimento dei disturbi di comportamento del paziente; o la maggior appropriatezza dell approccio nella cura. Ruolo delle strutture per le demenze nelle cure domiciliari Attori del processo innovativo da introdurre nell ambito della gestione domiciliare del paziente affetto da demenza sono anche le strutture per le demenze, in particolare gli ASTD. Da essi viene assicurato il supporto agli operatori dell assistenza domiciliare attraverso: - iniziative formative per renderli in grado di garantire consulenza qualificata ai familiari presso il domicilio; - consulenza, anche telefonica, quali specialisti di riferimento per operatori dell ADI. Monitoraggio esiti sperimentazione cure domiciliari gestione disturbi comportamentali Le finalità del nuovo approccio domiciliare sono duplici: - garantire sostegno al caregiver attraverso indicazioni per una gestione adeguata del paziente, riducendo atteggiamenti inadeguati e lo stress correlato; - garantire al paziente un ambiente domestico più favorevole e adeguato alla malattia, riducendo tensione, ansia e l intensità dei disturbi psico-comportamentali. Si propone che l infermiere domiciliare somministri al caregiver il CBI (Caregiver burden inventory) ai tempi 0 (inizio dell intervento domiciliare), tre mesi e sei mesi (indicativamente corrispondente alla fine del trattamento, con pianificazione di follow-up successivi almeno annuali, per rilevare l eventuale variazione nello stress correlato alla gestione del malato. Appropriato utilizzo dei servizi semiresidenziali e residenziali L utilizzo appropriato dei Centri diurni (CDI - CDD) sia per anziani sia per disabili, affetti da demenza richiede: - la ridefinizione della tipologia dei pazienti con decadimento cognitivo/demenza che possono essere accolti in strutture diurne in base alle condizioni cliniche e al quadro complessivo, definito attraverso il PAI e periodicamente monitorato; - la rilevazione dei sistemi di protezione in uso nei CDI, per valutare la capacità di gestione da parte della struttura di pazienti con decadimento cognitivo/demenza e disturbi psico-comportamentali; - la definizione di obiettivi di intervento rispetto a paziente e famiglia; - le modalità e i criteri di utilizzo dei ricoveri notturni in regime di protezione. Le RSA (le RSD per pazienti con demenza < a 65 anni) sono le strutture per eccellenza a cui si ricorre sia quando il sostegno familiare è assente, sia quando la malattia rende ingestibile il paziente a domicilio. Il numero assai elevato di persone con decadimento cognitivo e affette da demenza ospiti di RSA e la complessità e specificità di approccio che questi ospiti richiedono, motivano l esigenza di confronto e analisi dei modelli organizzativi in atto e degli esiti positivi raggiunti. Al fine di rendere appropriati l ingresso in struttura e le modalità di gestione dei pazienti nei servizi residenziali (RSA RSD), viene richiesto: - il censimento e la valorizzazione di esperienze pilota di impiego di terapie non farmacologiche e di modalità organizzative gestionali in RSA, al fine di definire modelli di riferimento; - la verifica dei sistemi di contenzione e dell utilizzo di terapie farmacologiche; - il possibile utilizzo di ricoveri di sollievo ad alta protezione, da definire nel PAI, sia

15 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 15 pianificati sia per situazioni di emergenza; - le iniziative innovative (es.: disponibilità di consulenza telefonica, corsi per familiari, ecc.). I servizi comunali a supporto della domiciliarità I Comuni garantiscono, a loro volta, una serie di servizi orientati a sostenere il mantenimento del paziente nel proprio ambiente di vita. Fra di essi: - SAD (ASA/OSS, servizio pasti a domicilio, servizio lavanderia); - servizio di trasporto; - servizio di telesoccorso; - buono sociale (finalizzato anche alla legalizzazione delle badanti). Per rendere più specifico anche l intervento domiciliare comunale è da prevedere l utilizzo nel SAD di ASA/OSS appositamente formati, in stretto raccordo con gli operatori ASL e con il coinvolgimento delle strutture per le demenze o di servizi della rete con competenza in materia. L attività non istituzionale Per rendere la rete più completa e in grado di rispondere ai numerosi bisogni familiari, sono da prevedere iniziative aggiuntive alla rete istituzionale, fra le quali: - la formazione di volontari (banca del tempo) in aiuto ai caregiver per sollievo temporaneo (es.: sostituzione per alcune ore); - il rafforzamento dei rapporti con l associazione Alzheimer, al fine di meglio integrare bisogni segnalati dai familiari e risposte istituzionali. La specificità di approccio al paziente con demenza nei servizi Uno degli obiettivi del PDTA è rendere maggiormente dedicati e specifici, in relazione ai bisogni della demenza, i servizi della rete geriatrica. Viene dedicato particolare spazio all assistenza domiciliare, poiché servizio a oggi non sufficientemente mirato ai bisogni della malattia, ma elettivamente rivolto a bisogni di natura sanitaria. Di seguito vengono evidenziati alcuni fra gli aspetti più significativi relativi ai servizi sopra elencati e alle innovazioni nella gestione dei pazienti. Caratteristiche da sviluppare per l assistenza domiciliare a pazienti affetti da demenza L intervento dell assistenza domiciliare dedicata alle demenze richiede: - la definizione di criteri di individuazione dei pazienti che ne possono beneficiare e degli obiettivi di cura e assistenza, fra i quali si citano i pazienti con iniziali disturbi psicocomportamentali, non in carico ad altri servizi, ma supportati dai soli care-giver familiari e/o badanti ai quali fornire suggerimenti per l adeguamento dell ambiente domestico e/o indicazioni per la corretta gestione dell assistito; - pazienti in fase avanzata, per fornire a familiari/caregiver supporto nella gestione dell igiene personale, dell alimentazione, dei disturbi psico-comportamentali, oltre che per interventi di natura sanitaria. - la valutazione e verifica del contesto domiciliare e familiare per fornire indicazioni di comportamento al caregiver e garantire la sperimentazione di interventi educativi - riabilitativi assistenziali; - l utilizzo del monitoraggio periodico domiciliare quale strumento di osservazione e rilevazione precoce di bisogni e di mantenimento di buone relazioni nella famiglia e con la famiglia; - interventi di natura sanitaria attraverso il profilo di cura (voucher/credit) più adeguato alla situazione del paziente; - la formazione del personale addetto alle cure domiciliari per garantire competenza e appropriatezza nelle risposte ai quesiti relativi anche alla gestione dei disturbi psicocomportamentali. La condivisione delle informazioni e del sistema informativo quale processo di integrazione Ai fini di facilitare l applicazione del PDTA da parte di tutti gli attori e di monitorarne le attività e i risultati, si prevede la prossima messa a disposizione di un software on-line da parte dell ASL, che permetta la condivisione delle informazioni attraverso almeno le seguenti funzioni: - registrazione dei principali elementi anagrafici, diagnostici, di inquadramento multidimensionale, terapeutico-clinici, assistenziali (attivazione di servizi); - supporto alle attività prescrittive (inserimento del programma terapeutico con possibilità di stampa e/o di trasmissione); banca dati/ registro demenze. Il rapporto ospedale-territorio Il ricovero ospedaliero rappresenta occasione di significativa criticità per i pazienti con

16 16 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni decadimento cognitivo e disturbi psicocomportamentali, sia quando già con diagnosi di demenza, poiché scatena il disorientamento nel malato e il conseguente acuirsi dei disturbi psico-comportamentali, sia in fase non sospetta di malattia, poiché l evento acuto (es.: frattura, intervento chirurgico ecc.) può divenire causa scatenante dell esordio della malattia o per l emergere di manifestazioni deliranti transitorie. Le U.O. ospedaliere maggiormente coinvolte sono quelle chirurgiche, internistica e geriatrica. Si propone di applicare il documento ammissioni/ dimissioni protette sottoscritto dal 2008 fra ASL e strutture ospedaliere, anche alla gestione dei pazienti con decadimento cognitivo, nelle seguenti modalità: a) ricovero ospedaliero di paziente con diagnosi pregressa di demenza: il MMG fornisce al reparto di ricovero documentazione e informazioni utili ai fini della gestione del malato; b) gestione pazienti con primi sintomi/sospetti a seguito di ricovero ospedaliero: l U.O. ospedaliera attiva l ASTD di riferimento che effettua una prima valutazione di inquadramento con screening prediagnostico e decide l iter successivo. Modalità di diffusione e attuazione del pdta Sono da prevedere iniziative informative e formative rivolte a tutte le strutture per le demenze, ai MMG, alle Ucam e ai CeAD, finalizzate a condividere contenuti, obiettivi e modalità di diffusione del PDTA, per sostenere la sua effettiva e corretta attuazione. In una seconda fase sono da pianificare iniziative informative e formative per operatori delle cure domiciliari e per quelli della rete territoriale.

17 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 17 Allegato A - FAC-SIMILE fronte CERTIFICAZIONE PER VALUTAZIONE PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA Gent.mo collega, in data odierna si è sottoposto a visita il/la sig...., nato a... il.., residente a.... Il paziente: è attualmente seguito da questa Struttura in regime: o Domiciliare o Ambulatoriale o Ricovero diurno o Ricovero accede per prima visita (non è in carico a questa Struttura). Breve descrizione dei motivi recenti per cui il paziente è giunto all osservazione In anamnesi risulta: Alla luce della documentazione clinica e della valutazione odierna, si certifica che è affetto/a dalle seguenti condizioni patologiche: Diagnosi (1) COD. ICD9-CM Anno di diagnosi Profilo funzionale: (2) BADL: IADL: /6 Funzioni perse:... data / / /6 Funzioni perse:... data / / /8 / 5 Funzioni perse...data / / /8 / 5 Funzioni perse...data / / Tinetti scale: Equilibrio:. /16 Andatura:. /12 Totale:..../28 data / / Equilibrio: /16 Andatura:. /12. Totale:.../28 data / / Sul piano cognitivo il/la paziente presenta: (3) Al MMSE: /30 data / / ; /30 data / / ; /30 data / / Al GDS: /30 data / / ;. /30 data / / ; /30 data / / Sul piano comportamentale sono presenti: (4). In fede (5) (Timbro, firma e recapiti del Responsabile UVA)

18 18 Fausta Podavitte, Tarcisio Marinoni LEGENDA Allegato A - FAC-SIMILE retro (1) Elencare tutte le principali patologie presenti (2) Allegare i test disponibili; specificare le funzioni perse (3) Breve descrizione del profilo cognitivo. Se possibile fornire 2/3 MMSE somministrati a distanza di alcuni mesi l uno dall altro; somministrare il GDS nei casi in cui si sospetti la presenza di uno stato depressivo in grado di peggiorare il MMSE (4) Specificare, se presenti, i principali disturbi comportamentali (5) Esempio di riferimenti del Responsabile di UVA: Nome & cognome medico certificante Qualifica Struttura di appartenenza Recapito telefonico Recapito e.mail

19 Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale decadimento cognitivo/demenza 19 Allegato B PRECISAZIONI SU PARAMETRI E FINALITÀ DELLA VALUTAZIONE PER PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA Il parametro di riferimento valutativo, trattandosi di pazienti generalmente ultra65enni, è stabilito dal Decreto legislativo 23/11/1988, n. 509 e dalla Legge 11/2/1980 n. 18: esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente accertate da apposite indagini cliniche, strumentali e di laboratorio quando siano causa di: difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età impossibilità di deambulare senza l aiuto permanente di un accompagnatore impossibilità a compiere gli atti quotidiani della vita. A questi parametri si aggiunge quanto previsto dalla Legge 104 del 5/2/1992: presenza di minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Le richieste mirano a ottenere benefici prevalentemente, ma non esclusivamente, economici. Alcuni luoghi comuni fuorvianti Benché il concetto di grado di autonomia sia universale, appare piuttosto relativo, ad esempio, in riferimento all età e al setting familiare-sociale. E possibile stabilire dei cut-off delle scale valutative al di sotto/sopra dei quali riconoscere la situazione di non autonomia. Sebbene si possa trovare una concordanza di massima, gli automatismi sono sempre insidiosi sia per il clinico sia per il medico-legale. Il clinico deve fornire, nei limiti delle proprie capacità, una precisa diagnosi e una valutazione funzionale, anziché esprimersi sulla valutazione medico-legale dell autonomia. Alcuni errori metodologici 1. diagnosi in assenza di riscontri documentali o strumentali 2. valutazioni funzionali sul riferito 3. valutazioni funzionali su singola osservazione; vengono così sottovalutate le naturali fluttuazioni della patologia e gli interventi terapeutici (farmacologica e/o socio-riabilitativi) 4. delega della valutazione allo specialista e compito meramente notarile di trascrizione diagnostica alla Commissione. Valore e limite delle scale funzionali: a. permettono di fornire i parametri per valutare il grado della compromissione delle funzioni proprie dell età, della capacità di deambulare e degli atti quotidiani della vita; b. spesso, soprattutto se male applicate, si basano su parametri riferiti (continenza, autonomia motoria, questionari auto compilati, ecc.) o soggettivi (con possibilità quindi di simulazione, ad es. deficit di memoria). 1. Finalità della certificazione 1. fornire un inquadramento diagnostico certo 2. fornire gli elementi per la valutazione funzionale e prognostica Alcune riflessioni metodologiche 1. certificare significa asserire come certo (diagnosi); 2. le valutazioni funzionali, dovendo stimare frequenza, durata e gravità di un deficit (vedere ICF) necessitano di valutazioni spesso in tempi diversi. Nel caso di forme cronicodegenerative inoltre, la stessa patologia e/o la terapia possono comportare fluttuazioni della funzionalità con parziali recuperi; 3. una diagnostica precisa permette di correlare correttamente (anche a fini prognostici, i.e. necessità di revisione) la causa dei deficit funzionali.

20 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Il data-base delle disabilità civili della Provincia autonoma di Trento (anno 2011) FABIO CEMBRANI Direttore Unità operativa di medicina legale Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento Premessa... Libertà, tuttavia, non è l ultima parola. Libertà è solo una parte della storia e la metà della verità, ma libertà è l aspetto negativo dell l intero fenomeno il cui aspetto è positiva responsabilizzazione. In realtà, la libertà è in pericolo di degenerare in mero arbitrio se non è vissuta in termini di responsabilizzazione. (V. Frankl, 1956) Nel lessico utilizzato nel linguaggio professionale è entrata - prepotentemente - la parola responsabilità, la cui storia è abbastanza recente visto e considerato che la sua introduzione nella lingua risale al politico americano Alexander Hamilton (Nevis, Antille, New York 1804) che per primo la utilizzò - veicola significati diversi (polisemici), ambivalenti, a tratti anche antinomici che oscillano tra due opposti estremi: quello che la identifica nell imputabilità giuridica (ovverosia nell attitudine a rispondere all autorità costituita delle nostre azioni e delle nostre omissioni) e - dunque - nella colpa di rilevanza giuridica e quello che la interpreta, all opposto, nell impegno umano e nella promessa che veicola la parola latina spondeo. Qui la vorrei, tuttavia, utilizzare per definire una nostra non più eludibile attitudine professionale perché i tempi sono diventati maturi per dare un senso profondo alla nostra sfera di libertà che, se non vissuta in termini responsabilizzanti, finisce per diventare mero arbitrio auto-referenziale: quella di riconoscere e di assumerci la responsabilità delle nostre azioni, delle nostre decisioni e delle nostre politiche, ciò comportando, evidentemente, l obbligo di riferire, di spiegare e di contabilizzare pubblicamente il nostro operato. È evidente che, nella linea interpretativa proposta, la responsabilità professionale richiama l accountability che, come sappiamo, è uno tra gli strumenti più potenti dei sistemi di governance fondando la sua ragione d essere su una regola-cardine: gli individui devono essere responsabili delle loro azioni all interno del sistema e devono, soprattutto, dare conto di ciò che fanno abbandonando definitivamente quella autoreferenzialità che, spesso, si coglie purtroppo anche nella dialettica professionale. In tale direzione vuole andare il presente lavoro che dà conto dell attività erogata da una articolazione funzionale del Servizio sanitario nazionale (l U.O. di medicina legale dell azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento), in un anno solare (il 2011), riguardo al settore di tutela delle c.d. menomazioni civili (invalidità civile, cecità civile e sordomutismo). La descrizione del contesto La Provincia autonoma di Trento è un piccolo territorio (poco più del 2% della superficie nazionale) su cui vive una popolazione di persone (dato registrato all ) con un aumento assoluto, rispetto al 2009, di unità, equivalente a un incremento relativo del 9,7 per mille. Alla

21 Il data-base delle disabilità civili della provincia autonoma di Trento (anno 2011) 21 stessa data la popolazione straniera residente in Trentino ammonta a persone, con un aumento assoluto rispetto al 2009 di unità, equivalente a un incremento relativo dell 8,2; gli stranieri costituiscono, pertanto, l 8,8% della popolazione totale trentina e risultano in crescita rispetto al 2009, anno in cui si registravano 8,2 stranieri ogni 100 residenti. Sul piano amministrativo il territorio della Provincia autonoma di Trento è strutturato in modo oltremodo complesso essendo presenti, oltre ai Comuni e ai distretti sanitari, anche le comunità di valle. Mentre sono 217 i Comuni sparsi tra il fondovalle e i rilievi pedemontani (è in 12 Comuni principali che si concentra quasi il 50% dell intera popolazione del Trentino avendo una densità superiore ai abitanti), i Distretti sanitari sono quattro: il distretto centro nord, il distretto centro sud, il distretto est ed il distretto ovest. oltre a queste realtà locali (amministrative e sanitarie) esistono, in Trentino, 15 ulteriori strutture di governo del territorio (le comunità di valle) che sono state costituite con la legge provinciale 27 novembre 2009, n. 15. Così come la maggior parte delle società moderne occidentali, anche la Provincia autonoma di Trento ha registrato, negli ultimi anni, un modello demografico contraddistinto da un accentuazione della denatalità a cui si contrappone un aumento della speranza di vita alla nascita, come testimoniano l aumento dell età media della popolazione e gli irrilevanti valori dei quozienti di mortalità infantile. La riduzione della natalità, che ha contraddistinto la dinamica demografica della Provincia di Trento fin dalla metà degli anni 60 e l aumento dell età media della popolazione, hanno comportato una progressiva trasformazione della composizione per età della popolazione residente, caratterizzata oggi dalla prevalenza degli anziani sui giovani: gli over-65 in Trentino hanno, infatti, superato le unità (19,3%) e di questi circa sono gli over-80; i minorenni sono quasi (il 18,3%) mentre i giovani fino a 14 anni sono il 15,3%. La popolazione in età attiva (di anni) costituisce, infine, circa i due terzi del totale (il 65,4%), a un livello molto simile a quello nazionale (65,7%). L indice di vecchiaia (calcolato rapportando il numero degli anziani over-65 al numero dei giovani fino a 14 anni compiuti), è triplicato dal 1961 ad oggi, passando dal 42,2% al 126,0%. Distinto per genere, l indice di vecchiaia si differenzia in modo significativo: nel 2009 è pari a 100,6 per i maschi e a 153,0 per le femmine. L indice di carico sociale, calcolato rapportando la popolazione in età non lavorativa (convenzionalmente a carico perché giovane o anziana) a quella in età lavorativa (tra i 15 e i 64 anni) ha subito, nel corso del tempo, contenute modificazioni nel suo valore complessivo, passando dal 45,7 degli anni 80 al 53,0 nel 2009, mostrando che la quota di persone a carico è pari a circa la metà delle persone in età lavorativa; l indice, distinto per genere, ammonta a 47,9 per i maschi e 58,3 per le femmine e il suo costante incremento è legato, evidentemente, al progressivo invecchiamento della popolazione trentina. I macro-indicatori del data-base Il data-base dell U.O. di Medicina Legale dell Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento ha registrato, nel 2011, persone visitate avendo attivato, in prevalenza autonomamente, il percorso finalizzato al riconoscimento dell invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo; la gran parte di esse (8.186) hanno attivato il riconoscimento dell invalidità civile e la tabella 1 analizza, per questa categoria più numerosa, le caratteristiche di genere mostrando la prevalenza delle femmine (4.842 femmine, 59,15%) sui maschi (3.344 maschi, 40,85%) come si registra, peraltro, tra le persone che hanno attivato il riconoscimento della cecità civile dove le femmine, rappresentano, da sole, il 61,43% del campione diversamente da quanto, infine, si registra tra le poche persone che hanno attivato il riconoscimento del sordomutismo (63,16% maschi). Tab. 1: Provincia Autonoma di Trento. Suddivisione per genere invalidi civili: frequenze assolute e relative (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Genere Freq. ass. Freq. rel. % Maschi ,85 Femmine ,15 Totale

22 22 FABIO CEMBRANI Questa prevalenza riguardo al genere viene confermata anche riguardo alle persone che hanno attivato il percorso finalizzato all accertamento della cecità vivile: in questo settore di tutela, il data-base registra oltre il 61.4% di femmine vs. 38,6% di maschi e in questo settore di tutela 40 sono state le persone riconosciute cieche parziali e 14 i ciechi totali Se si analizza la struttura di età delle persone che hanno attivato il riconoscimento dell invalidità civile si evidenzia (tabella 2) la netta prevalenza di over-65 (62,03%), il buon numero di persone in età lavorativa (33,44%) e il basso numero di infra-18enni (4,53%), a dimostrazione che questo percorso assistenziale viene, di regola, attivato dalle persone anziane che richiedono prestazioni di tipo economico (l indennità di accompagnamento) a copertura parziale delle spese per il loro fabbisogno di assistenza, sia in forma (prevalente) di domiciliarità che di residenzialità diurna e/o continuativa. Con alcune caratteristiche, legate al genere (tabella 3), che confermano quanto evidenziato dagli altri nostri archivi di disabilità trentini: nei minori e nella fascia di età produttiva prevalgono leggermente le persone di genere maschile mentre negli over-65 prevalgono, nettamente, le femmine (3.357 vs maschi). Tab. 2: Provincia Autonoma di Trento. Suddivisione per classi di età: invalidi civili. Frequenze assolute e relative (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Classi di età Maschi Femmine Totale Freq. ass. Freq. rel. % Freq. ass. Freq. rel. % Freq. ass. Freq. rel. % 0-17 anni 209 6, , , anni , , ,44 Ultra-65enni , , ,03 Totale La tabella 3 rappresenta la distribuzione territoriale delle persone che compongono il database in relazione ai distretti sanitari di residenza in rapporto al genere; la sua analisi conferma che, sia pur con minime differenze, l ambito territoriale non influenza quanto registrato rispetto al genere confermandosi la prevalenza delle femmine. Tab. 3: Provincia autonoma di Trento: invalidi civili notificati per aree territoriali di residenza e genere. Frequenze assolute e relative (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Distretti sanitari Maschi Femmine Totale Freq. ass. Freq. % Freq. ass. Freq. % Freq. ass. Freq. % Distretto Ovest , , ,60 Distretto Centro Nord , , ,93 Distretto Centro Sud , , , Distretto Est , , ,38 Provincia , , ,00 Dati conoscitivi più interessanti si desumono dall analisi della tabella 4: essa analizza il tipo di disabilità riconosciuta alle oltre persone che hanno attivato il riconoscimento dell invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo riferendola, progressivamente, al suo codice identificativo (Mod. A/SAN).

23 Il data-base delle disabilità civili della provincia autonoma di Trento (anno 2011) 23 Tab. 4: Provincia Autonoma di Trento. Totale soggetti affetti da minorazioni da cause civili notificati per tipo di esito e suddivisi per genere: frequenze assolute e relative (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Tipo di esito Maschi Femmine Totale Freq. % Freq. % Freq. % MINORE NON INVALIDO 61 1, , ,14 SOGGETTO ULTRA65ENNE autonomo nella deambulazione e nelle attività quotidiane della vita, senza diritto alla indennità di accompagnamento INVALIDO con riduzione permanente della capacità lavorativa in misura superiore ad 1/3 INVALIDO con riduzione permanente della capacità lavorativa in misura superiore a 2/ , , , , , , , , ,99 INVALIDO con totale e permanente inabilità lavorativa: 100% 197 5, , ,36 INVALIDO con totale e permanente inabilità lavorativa e con impossibilità di deambulare senza l aiuto permanente di un accompagnatore SOGGETTO ULTRA65ENNE con inabilità permanente e con impossibilità a deambulare senza l aiuto permanente di un accompagnatore INVALIDO con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita SOGGETTO ULTRA65ENNE con inabilità permanente e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita MINORE con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età 17 0, , , , , , , , , , , , , , ,76 MINORE con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età e con perdita uditiva superiore ai 60 db nell orecchio migliore alle frequenze di 500, 1000, 2000 Hz 1 0,03 0,00 1 0,01 SOGGETTO ULTRA65ENNE con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell età con invalidità permanente pari al 100% 1 0,03 1 0,02 2 0,02 SOGGETTO ULTRA65ENNE con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell età , , ,16 CIECO CON RESIDUO VISIVO non superiore a un ventesimo in entrambi gli occhi 40 1, , ,35 CIECO ASSOLUTO 14 0, , ,32 SORDOMUTO 12 0,35 7 0, ,23 Totale esiti notificati , , ,00 Analizziamo, con ordine, i dati in essa contenuti, cominciando con le persone che hanno attivato il riconoscimento dell invalidità civile distinguendole per fascia di età. Dei 371 minori, 95 (25,6%) sono stati riconosciuti non invalidi, 231 (62,26%) invalidi con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell età (uno solo di questi a causa di una perdita uditiva superiore ai 60 db nell orecchio migliore alle frequenze di 500, 1000, 2000 Hz e i rimanenti 130 (35,04%) invalidi con diritto all indennità di accompagnamento in quanto non deambulanti e/o non in grado di compiere in maniera autonoma gli atti quotidiani della vita. Delle persone in età lavorativa, sono state quelle riconosciute invalide con un impairment lavorativo superiore a un terzo, 917 quelle invalide con un impairment lavorativo supe-

24 24 FABIO CEMBRANI riore a due terzi e 364, infine, le persone inabili: 299 (10,92) sono state, invece, quelle riconosciute non autosufficienti perché non deambulanti (34, 11,37%) o non in grado di compiere in modo autonomo gli atti quotidiani della vita (265, 88,63%). Riguardo ai over-65, 559 sono state le persone riconosciute autonome nella deambulazione e nelle attività quotidiane della vita senza diritto all indennità di accompagnamento e quelle invalide con difficoltà persistenti a svolgere le normali attività della vita senza diritto all indennità di accompagnamento: gli over-65 non autosufficienti sono stati, infine, (49,25%) e, di questi, perché non in grado di compiere in maniera autonoma gli atti quotidiani della vita. Delle persone che costituiscono il data-base, (65,25%) sono state quelle riconosciute senza diritto all indennità di accompagnamento ancorchè per gran parte invalide e (34,75%) non autosufficienti o perché non deambulanti o perché non in grado di compiere in maniera autonoma gli atti quotidiani della vita con una peculiare caratteristica se si analizza l impairment in relazione non già al genere ma all età: nelle persone in età produttiva (18-65 anni) prevale nettamente il deficit motorio diversamente da quanto si registra negli over-65 visto che in questa ampia fascia di età la non autosufficienza è soprattutto prodotta dalla dis-autonomia negli atti quotidiani della vita, ciò comportando, evidentemente, un assessment assistenziale certamente più strutturato, complesso e impegnativo. La tabella 5 analizza le relazioni tra la riconosciuta non autosufficienza della persona con sua età e con il distretto sanitario di residenza. Tab. 5: Provincia autonoma di Trento: soggetti riconosciuti invalidi civili con diritto all indennità di accompagnamento suddivisi per età e distretto sanitario di residenza. Frequenze assolute e relative (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Distretto Sanitario 0-17 anni anni Ultra-65enni Totale Freq. % Freq. % Freq. % Freq. % Distretto ovest 7 15, , , ,66 Distretto centro nord 11 24, , , ,18 Distretto centro sud 15 33, , , ,81 Distretto est 12 26, , , ,34 Totale L analisi dei dati dimostra che, per ogni classe d età, è il distretto sanitario centro sud che registra il numero più elevato di persone riconosciute non autosufficienti (962, 33,81%); seguono il distretto sanitario centro nord (688, 24,18%), quello est (664, 23,34%) e infine quello ovest (531, il 18,66%). Se si analizza, invece, il numero degli over-65 riconosciuti non autosufficienti ( con ID ) e quelli riconosciuti invalidi senza diritto all indennità di accompagnamento ( senza ID ) si evidenziano alcune diversità significative rispetto al territorio di residenza delle persone: nei distretti sanitari centro nord e centro sud prevalgono, infatti, gli over-65 invalidi senza diritto all indennità di accompagnamento (52,64% vs. 47,36% e 51,62% vs. 48,38%) mentre negli altri due contesti territoriali il rapporto si inverte come dimostra il grafico n.1. La tabella 6 analizza, infine, i settori nosologici delle menomazioni elencate nel decreto del Ministero della salute 5 febbraio 1992 che, più frequentemente, sono state riconosciute all origine dell impairment produttivo della inabilità permanente e della non autosufficienza. La sua analisi dimostra che il settore nosologico più frequentemente rappresentato come causa della disabilità è quello relativo alle malattie della sfera psichica (904 casi, 29,10%); seguono, in ordine progressivo, le malattie del sistema nervoso periferico (893 casi, 28,75), quelle neoplastiche (703 casi, 22,63%) quelle del sistema nervoso centrale (223 casi, 7,18%), quelle cardio-circolatorie e via via tutte le altre. Tra le menomazioni all origine della non autosufficienza e del diritto all indennità di accompagnamento troviamo, in ordine decrescente, la paraparesi con deficit di forza grave o paraplegia associata o non a disturbi sfinterici riconosciuta in 793 casi, la demenza grave (con MMSE pari o inferiore a 17/30 o CDR nelle ultime 4 classi) riconosciuta in 764 casi (ai quali vanno aggiunti 17 casi inquadrati in una demenza iniziale ed altri 7 casi inquadrati come malattia di Alzhei-

25 Il data-base delle disabilità civili della provincia autonoma di Trento (anno 2011) 25 Grafico 1: Provincia autonoma di Trento: totale soggetti ultra65enni riconosciuti invalidi civili suddivisi in base al diritto o meno di percepire l indennità di accompagnamento. Frequenze assolute suddivise per distretto. Periodo 1 gennaio dicembre 2011 Legenda Codice Distretti 1 Distretto sanitario ovest 2 Distretto sanitario centro nord 3 Distretto sanitario centro sud 4 Distretto sanitario est Tab. 6: Provincia autonoma di Trento: soggetti riconosciuti invalidi civili al 100% o con diritto a percepire l indennità di accompagnamento suddivisi secondo il settore nosologico delle menomazioni accertate. Frequenze assolute con rapporto percentuale (periodo 1 gennaio dicembre 2011) Settore Nosologico Esito Totale Codice Descrizione 04 5a 5b 6a 6b Freq. % 1 APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO ,61 2 APPARATO RESPIRATORIO ,22 3 APPARATO DIGERENTE ,13 4 APPARATO URINARIO ,68 5 APPARATO ENDOCRINO ,00 6 APPARATO LOCOMOTORE - ARTO INFERIORE ,70 7 APPARATO LOCOMOTORE - ARTO SUPERIORE ,03 8 APPARATO LOCOMOTORE - RACHIDE ,45 9 SISTEMA NERVOSO CENTRALE ,18 10 SISTEMA NERVOSO PERIFERICO ,75 11 APPARATO PSICHICO ,10 13 APPARATO VESTIBOLARE ,03

26 26 FABIO CEMBRANI 14 APPARATO VISIVO ,19 17 APPARATO FONATORIO ,10 19 APPARATO RIPRODUTTIVO ,03 20 PATOLOGIA CONGENITA O MALFORMATIVA ,52 21 PATOLOGIA IMMUNITARIA ,52 22 PATOLOGIA NEOPLASTICA ,63 23 PATOLOGIA SISTEMICA ,13 Totale esiti notificati mer con deliri o depressione a esordio senile), le neoplasie a prognosi infausta o probabilmente sfavorevole nonostante asportazione chirurgica riconosciute all origine della disabilità in 546 casi, la sindrome extrapiramidale parkinsoniana o coreiforme o coreatetosica grave (59 casi), l emiparesi grave o emiplegia associata a disturbi sfinterici (56 casi), la tetraparesi con deficit di forza grave o tetraplegia con associazione o non a incontinenza sfinterica (38 casi), la sindrome schizofrenica cronica grave con autismo delirio o profonda disorganizzazione della vita sociale (24 casi); ciò a dimostrazione che la non autosufficienza è un fenomeno complesso che, tuttavia, riconosce prevalentemente a suo fondamento, in tutte le fasi della vita, malattie del sistema nervoso, malattie della sfera psichica (la demenza) e malattie neoplastiche con la precisazione che negli over-65 sono i disturbi cognitivi la causa più frequente di disabilità e di dipendenza. Considerazioni di sintesi L obiettivo che mi sono proposto era, in buona sostanza, quello di rappresentare l attività erogata da una articolazione funzionale del Servizio sanitario nazionale (l U.O. di Medicina Legale dell Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento), in un anno solare (il 2011), riguardo al settore di tutela delle c.d. menomazioni civili (invalidità civile, cecità civile e sordomutismo) per dar conto, pubblicamente, non solo dei relativi conseguiti ma dell impatto sociale prodotto in termini di sostegno economico offerto alle persone invalide e non autosufficienti. Ne è emerso uno spaccato che conferma come il settore della disabilità sia davvero complesso nei suoi indicatori non solo numerici e la conferma che il data-base registra persone di tutte le età, che i più rappresentati sono gli over-65, la prevalenza del genere femminile fatta eccezione per la fascia di età dei minori, il numero, non trascurabile, di persone riconosciute non autosufficienti (frequenza relativa del 34,75% in leggero calo rispetto a quanto registrato nel 2010: frequenza relativa del 36,97%) specie negli over- 65, la prevalenza delle cause neurologiche e psichiatriche (in primis, le demenze ed i disturbi cognitivi) all origine della disabilità e la persistenza di una certa disequità territoriale nell accesso alle prestazioni monetarie sulla quale ci si dovrà particolarmente focalizzare nelle azioni di governo del sistema che dovranno essere realizzate per sostenere l esigibilità dei diritti.

27 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Demenza e arte pittorica Gabriele Cipriani 1, Luca Cipriani 2, Lucia Picchi 1, Marcella Vedovello 1 UOC di neurologia, ospedale di Viareggio 2 Corso di laurea in Scienze dei beni culturali, università di Pisa cprgrl@gmail.com Summary Creativity in any of its forms may be conceived as a cognitive capability involving different regions of the brain: if art is an expression of neurological functions and how it organizes and interprets perception, painting is a very complex behaviour and its neural correlates involve brain areas processing the perceptive, cognitive, and emotional valences of stimuli; brain damages, therefore, could modify artistic expression. It would be reasonable to predict that disorders that impair cognitive systems diffusely would also impair the ability to make art, but artistic skills in some of this conditions are relatively preserved or modified and, sometimes, even improved. Aim To characterize dementia-induced changes in visual art production. Methods We searched electronic databases and key journals using appropriate search terms: visual art, figurative art, dementia, creativity, visuospatial impairment. Results Different pattern of change in figurative art production emerge from anatomically diverse dementia types. Effects of cognitive decline on art production is shown through the analysis of change in technical abilities of painters affected by dementia. Conclusions Dementia in artists provide an opportunity to study brain-creativity relationships, in particular through the stylistic changes which may develop after brain lesion. Much remains to be reported and studied in the neurobiology of stylistic change in figurative art in patients developing dementia. Keywords: visual art, figurative art, dementia, creativity, visuo-spatial impairment.

28 28 Gabriele Cipriani1, Luca Cipriani, Lucia Picchi, Marcella Vedovello Riassunto La creatività in ogni sua forma può essere concepita come abilità cognitiva che coinvolge variegate regioni del cervello: se l arte è espressione di una funzione cerebrale che organizza e interpreta la percezione, la pittura rappresenta un comportamento complesso e i suoi correlati neurologici coinvolgono aree cerebrali connesse con la percezione, la cognitività, risposte emotive allo stimolo; danni cerebrali, possono, dunque, modificare l espressività artistica. E intuibile aspettarsi che malattie che determinano una diffuso deficit cognitivo possano compromettere le abilità artistiche anche se, esse, in talune situazioni si presentano preservate o modificate e, talora, perfino migliorate. Scopo Descrivere le modificazioni indotte dalla demenza nell elaborazione di opere di arte pittorica. Metodi Sono state utilizzate banche-dati elettroniche ricercando i termini: arte visive, arte figurativa, demenza, creatività, compromissione visuo-spaziale. Risultati Emergono differenti modalità di cambiamenti nella produzione artistica figurativa in funzione di vari tipi di demenza con compromissione di diverse regioni anatomiche. Gli effetti del declino cognitivo sulla produzione artistica vengono mostrati attraverso l analisi delle modificazioni delle abilità tecniche riscontrate in pittori affetti da demenza. Conclusioni La demenza che colpisce gli artisti fornisce un opportunità per studiare le relazioni cervellocreatività, in particolare mediante le mutazioni stilistiche che si sviluppano in conseguenza del danno cerebrale. Rimane ancora molta strada da fare nella comprensione della neurobiologia delle variazioni stilistiche che si osservano nelle opere pittoriche dei pazienti che sviluppano un processo dementigeno. Parole chiave: arte visiva, arte figurativa, demenza, creatività, deficit visuo-spaziale. L arte rende visibile l invisibile Paul Klee Introduzione L arte rappresenta una forma di comunicazione che si stabilisce fra l artista e l osservatore ed è espressione di particolari doti simboliche e astrattive; mentre l apprendimento del linguaggio rappresenta un acquisizione comune, solo poche persone riescono a creare opere che evocano intense emozioni per le quali vengono ricordate nei secoli. La creatività si riferisce alla capacità di produrre nuovo e originale materiale; è la risposta a una motivazione interna o a un bisogno nel campo di scienze pure, applicate o nell arte: necessita di una sofisticata sollecitazione, programmazione e rappresentazione interiore. La produzione artistica costituisce un compito estremamente complesso che coinvolge la vista, le prassi, la memoria e le funzioni esecutive; manifestazioni come la scultura, il disegno, la pittura richiedono l integrazione di una serie di funzioni cognitive e motorie. è noto come la corteccia temporale e occipitale siano coinvolte nei processi di percezione di forma e colore, mentre aree parietali sono implicate nella percezione dello spazio 1. Regioni del lobo frontale contribuiscono alla creatività visiva 2 ; la corteccia prefrontale dorsolaterale prende parte alla pianificazione e all organizzazione dello sforzo artistico, mentre il giro cingolato modula le pulsioni e le emozioni. Le arti figurative necessitano, dunque, dell integrità delle funzioni neurologiche in specie di quelle inerenti l organizzazione e l interpretazione della percezione. Il primo report neurologico dove vengono esaminate le conseguenze di un danno cerebrale negli artisti risale al Senza valutare gli stati emotivi e l ispirazione che genera l opera d arte, risulta chiaro dalla premessa come la compromissione neuropsicologica che si verifica nei processi dementigeni interferisca sull estrinsecazione delle arti figurative. Neurofisiologia della pittura Da tempo gli studiosi cercano di localizzare la sede del talento artistico; con l avvento della

29 Demenza e arte pittorica 29 moderna tecnologia sono stati fatti dei progressi anche in questo campo seppure, per quanto attiene l arte, non è possibile effettuare un eccessiva semplificazione non potendosi ridurre il talento e la creatività a una semplice funzione sensitiva o motoria. L introduzione di tecniche d avanguardia come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fmri) permettono lo studio di aree cerebrali non solo da un punto di vista morfologico, ma anche funzionale, talora perfino in tempo reale. Già nel 1968 N. Geschwind e W. Levitsky 4 dimostrarono l esistenza di un asimmetria nei due emisferi cerebrali umani: a un asimmetria anatomica corrisponde un asimmetria funzionale. Benché le funzioni specifiche delle diverse aree della corteccia siano ancora oggetto di molte discussioni e indagini, esistono, tuttavia, alcune nozioni relativamente consolidate. In ogni individuo, l emisfero dominante presiede al linguaggio e alle operazioni logicheanalitiche, mentre l altro controlla le emozioni, le capacità artistiche e la percezione spaziale e geometrica e quindi le abilità visuo-spaziali. In quasi tutti i destrimani e in molti mancini l emisfero dominante è il sinistro. Semplificando, il modello proposto è il seguente: l emisfero sinistro presiede al pensiero razionale, mentre l emisfero destro al pensiero creativo. Gli individui con doti artistiche presentano una maggiore rappresentazione elettroencefalografica nelle regioni parieto-temporali destre rispetto alle contro laterali 5. L emisfero sinistro esercita un azione inibitoria sui processi creativi. A comprovare questi dati vi sono le osservazioni che in soggetti con lesioni di regioni emisferiche sinistre si sono sviluppate facoltà artistiche non evidenti in precedenza 6-7 : questa evenienza è stata definita facilitazione parossistica funzionale 8. è stato postulato che la degenerazione selettiva della corteccia temporale anteriore e orbito frontale riduca l inibizione di aree più posteriori coinvolte nel sistema visivo della percezione valorizzando, in ultima analisi, l inventiva e le abilità artistiche 7 ; per contro lesioni nell emisfero non dominante ne hanno determinato una involuzione 9. Ancora: all emisfero non dominante si deve la comprensione dell essenza delle forme, mentre l emisfero dominante sembra coinvolto nella valutazione dei dettagli Stile e demenza Lo stile rappresenta una personale e particolare firma nella produzione artistica, spesso involontario e non controllato. Non è sempre facile legarne le modificazioni a lesioni cerebrali. Innanzi tutto esso può andare incontro a un evoluzione naturale, segno della crescita e della maturazione dell artista, in secondo luogo modeste variazioni stilistiche sono difficili da identificare, infine altri fattori, oltre al danno cerebrale, possono determinare diversificazione dell impostazione pittorica senza che il mutamento corrisponda a un fattore ben identificabile 12. Gli esempi più convincenti di modificazioni artistiche associate a danno encefalico possono essere trovate in soggetti che hanno sviluppato una sindrome dementigena. Demenza e arti visive Verranno analizzate le problematiche inerenti la creatività e le capacità artistiche in pittori che hanno sviluppato malattia di Alzheimer (MdA), demenza a corpi di Lewy (DLB), demenza fronto-temporale (DFT), demenza alcolica. La MdA, prima causa in assoluto di demenza, determina, oltre ad alterazione delle operazioni mnesiche, compromissione delle funzioni visuo-costruttive e visuo-prassiche, compresa quella di discriminare angoli e colori. E stato dimostrato come l acuità visiva sia conservata, mentre risulta compromessa l abilità a riconoscere oggetti di uso comune e facce note 13. Il deficit disesecutivo affievolisce la capacità di pianificazione. Inoltre i malati divengono spesso apatici e meno propensi a iniziare e portare avanti i loro progetti 14. Risulta, quindi, intuitivo pensare come il disturbo possa determinare significative difficoltà nel concepire e attuare un opera pittorica; con l evoluzione della malattia i temi artistici divengono più semplici, i dettagli meno elaborati di quanto non fossero in precedenti lavori, vengono abbandonate le ombreggiature e la prospettiva è persa, la motivazione scema progressivamente e l originalità della produzione cede il passo alla copia di opere antecedenti 15. Disintegrazione dei rapporti spaziali, distorsioni, stereotipie possono dominare la scena 16. Willem de Kooning, nato a Rotterdam nel 1904 e naturalizzato cittadino americano nel 1962, morto a Long Island nel 1997 alla veneranda età di 92 anni, ha fortemente influenzato con la sua pittura i movimenti cubisti e surrealisti. Alla fine degli anni 70 gli amici e i colleghi cominciarono a notare nel pittore significative dimenticanze le quali segnarono l ingresso nella MdA. Egli continuò a dipin-

30 30 GABRIELE CIPRIANI1, LUCA CIPRIANI, LUCIA PICCHI, MARCELLA VEDOVELLO gere per il resto della sua vita continuando ad attrarre l attenzione della critica anche se con il progredire della malattia la sua arte divenne sempre più astratta e difficile da capire, mostrando tracce semplificate di forme più complesse elaborate in precedenza 17. Nei lavori dell ultimo periodo lo spazio si semplifica ed è dominato da linee espresse in un numero limitato di colori che lasciano ampio margine a campiture bianche. Mentre la tavolozza dei colori divenne sempre più limitata, la prospettiva e la tecnica della sfumatura vennero perse anche se le opere risultarono cariche di un affascinante e forte valore estetico. (fig. 1) Carolus Horn (1921- Figura 1: Willem de Kooning Composizioni prima (A) e dopo (B) l insorgenza della malattia. 1992) raffinato grafico ed illustratore tedesco, fu l autore di noti manif esti pubblicitari di Opel, Esso e Cola-Cola. Nei primi anni 80 iniziò a presentare i segni di esordio della MdA, ma continuò a lavorare fino agli ultimi stadi della demenza. La sua arte mostra i segni della progressione della malattia che sono rappresentati da una alterata percezione della profondità e perdita della tridimensionalità, dalla mancanza di discriminazione dei volti, dell età e dei generi, dalla variazione di preferenza nell uso dei colori volgendo la sua scelta dallo spettro blu-verde a quello rosso-giallo, tendenza a includere ornamenti superflui e creature mitiche, semplificazione di tutte le forme e oggetti 16. Di tutto questo si ha una esemplificazione nelle quattro versioni della rappresentazione del Ponte Rialto a Venezia effettuate, la prima all età di 57 anni, quando la malattia non si era ancora manifestata, le altre all età di 64, 65 e 67 anni 18. E stato sottolineato come la regressione che si presenta nei disegni di Horn segua il cammino opposto di quello che si verifica nella maturazione dei disegni dei bambini 19. (fig. 2) William Utermohlen (1933- Figura 2: Carolus Horn, Ponte di Rialto. Rappresentazioni del medesimo soggetto prima (A) e durante ( B- C- d) l insorgenza della malattia. 2007), artista americano residente a Londra, leader della Pop Art britannica, da quando, nel 1995, all età di 61 anni, seppe di essere affetto dalla MdA, dette un personale contributo alla valutazione di come si modificano le arti pittoriche nel corso della malattia creando una cronaca delle variazioni della sua creatività e arte attraverso una serie di autoritratti che offrono una rara opportunità di sperimentare il processo dementigeno dall interno, attraverso un racconto visivo della lotta di un artista con la demenza. Questi autoritratti, evidenziando come lo spazio diviene indistinto, meno organizzato e iper-semplificato e lo stile pittorico sempre più astratto, mostrano più di ogni parola quello che stava vivendo l autore 20. (fig.a 3) Mervyn Peake (1911-

31 Demenza e arte pittorica 31 Figura 3: William Utermohlen, Autoritratto. Rappresentazioni del medesimo soggetto prima (A) e durante ( B- C- D) l insorgenza della malattia.. (disinibizione, violazione delle regole, tendenza al vagabondaggio) e dell affettività (apatia, disinteresse, perdita di empatia). Nella variante temporale predominano i disturbi del linguaggio. Nelle DFT si evidenziano, per quanto attiene l espressività artistica, diversi pattern comportamentali che sono correlati, oltre ai deficit cognitivi, ai cambiamenti di personalità come l insorgenza di tratti ossessivi-compulsivi. Sono stati descritti casi in cui la creatività è emersa con l insorgenza della malattia 7-22 ; si tratta di sottotipi di DFT dove prevale la degenerazione focale della porzione anteriore del lobo temporale di sinistra 23. Le pitture prodotte hanno caratteristiche realistiche o surrealistiche senza componenti simboliche o astratte, la medesima figura è ripetuta molte volte per la tendenza alla perse- Figura 4: Mervyn Peake, opere eseguite prima (A) e dopo (B e C) l insorgenza della demenza. Riproduzione su gentile concessione della Mervyn Peake Estate. 1968), scrittore, poeta e pittore britannico, ha illustrato opere di narrativa per bambini e ragazzi come l Isola del tesoro, le favole dei fratelli Grim e Alice nel paese delle meraviglie. Nel 1956 iniziò a dare segno di una misteriosa malattia degenerativa caratterizzata da segni di parkinsonismo, deficit cognitivi con significative fluttuazioni dell attenzione, deliri e allucinazioni, spiccata ipersensibilità ai neurolettici: oggi siamo in grado di diagnosticare la malattia come DBL 21. Dal 1958 i suoi disegni divennero simili a caricature e successivamente, si fecero geometrici e quindi quasi astratti. Da un punto di vista teorico le modificazioni dell espressività artistica in un soggetto con DBL sono attese poiché i deficit delle funzioni esecutive, visuo-spaziali e costruttive sono segni preminenti del disturbo da imputare alla perdita neuronale che si verifica nei lobi parietale e frontale. (fig. 4). Le DFT rappresentano il 2-9% di tutte le demenze; costituiscono un capitolo eterogeneo di forme degenerative nel cui contesto si distinguono due varianti: quella frontale e quella temporale. Nella prima predominano alterazioni della personalità, del comportamento, della condotta sociale verazione e i colori preferiti sono rappresentati dal rosso porpora, blu o giallo 24. Il fenomeno è stato descritto in individui con un differente background culturale che, quindi, non sembra interferire con il manifestarsi dell acquisizione delle nuove abilità le quali sono verosimilmente

32 32 Gabriele Cipriani, Luca Cipriani, Lucia Picchi, Marcella Vedovello legate a funzioni cerebrali innate 25 vengono slatentizzate dal venire meno di un meccanismo inibitorio. La documentata esistenza di casi isolati di pazienti che hanno migliorato la loro produzione artistica rappresenta l eccezione e non la regola: l apatia, elemento clinico tipico delle DFT, determina, in genere, lo spengersi della creatività 7. Budtys et al. 26 hanno descritto il caso di una donna di 40 anni, V V, che mostrava un evidente declino cognitivo associato a modificazioni della personalità, ecolalia, perseverazione verbale, parkinsonismo. Fu posta diagnosi di Neuronal intermediate filament inclusion disease (NIFID), variante della DFT che si manifesta con una eterogeneità clinica che comprende deficit cognitivi, segni piramidali ed extrapiramidali 27.V V era un artista professionista diplomatasi all accademia d arte lituana nel Dal 2000, mentre cominciava a mostrare atteggiamenti ipocritici e labilità emotiva, manifestava sostanziali cambiamenti stilistici e un progressivo declino professionale nella sua pittura: lo stile astratto si modificò in concretezza simbolica con elementi figurativi ansiogeni e carichi di aggressività. I disegni divennero primitivamente realistici e pieni di figure ripetute con perseveranza. Alcuni pazienti colpiti da demenza semantica (DS) [variante temporale della DFT: si presenta con afasia fluente, con parafasie e perdita del significato delle parole, ed è associata alla compromissione del riconoscimento di oggetti e facce. Frequentemente si associano alterazioni del comportamento, quali stereotipie, compulsività e apatia] si caratterizzano per una intensa produttività grafica, ma non sono più in grado di formulare una modalità di pensiero concettuale-astratto che rappresenta un importante elemento per la creatività 28. É stato postulato 29 che il deficit della funzione linguistica del tipo afasia semantica possa essere importante nel migliorare la qualità delle pitture o disegni, come dimostrerebbero studi effettuati su bambini autistici 30. Léo Schnug ( ) era un pittore e grafico alsaziano la cui opera, composta essenzialmente da soggetti storici, si situa nella prima metà del secolo scorso. Lo stile, caratterizzato da una grande sicurezza e finezza di tratto, si modifica gradualmente con l insorgenza di una demenza alcolica che lo condurrà al ricovero presso un istituto psichiatrico. Con il manifestarsi di una sindrome cerebellare le pennellate divennero appesantite e imprecise; l artificio di sostituire lunghi colpi di matita con piccoli tratti contigui consentì all artista di continuare la sua opera mascherando il tremore. Le scene storiche furono rimpiazzate da tavole con soggetti tormentati e lugubri. I fenomeni deliranti e allucinatori entrano a fare parte della tematica pittorica dell artista 18. (fig. 5) Figura 5: Leo Schnug, opere eseguite prima (A) e dopo (B) l insorgenza della malattia. Conclusioni La demenza scardina, in maniera variegata, il cammino creativo e il talento pittorico. Il processo degenerativo, può danneggiare gravemente settori selettivi del cervello lasciandone altri integri. Questo è uno dei principali fattori per cui differenti tipi di demenza primitiva determinano distinti generi di influenza sulle capacità e sulle doti artistiche. Invertendo i termini del problema è possibile sostenere che l arte rappresenta sia un aiuto per la comprensione della demenza sia una modalità espressiva per lo studio della mente. Rimane insoluto un quesito: si può parlare di arte quando il pittore non è più in possesso delle passate capacità mentali? Essendo gravemente compromessa, in particolare nella MdA, la facoltà di ricordare l idea inizialmente concepita nella mente dell artista, il lavoro ultimato può essere diverso dalla rappresentazione interna che in principio ha ispirato la pittura. Rimane ancora molta strada da fare nella comprensione della neurobiologia delle variazioni stilistiche che si osservano nelle opere pittoriche dei pazienti che sviluppano un processo dementigeno.

33 Demenza e arte pittorica 33 Bibliografia 1 Haxby J V, Grady CL, Horowitz B, Salerno J, Ungerleider LG, Mishkin M, Shapiro MB Dissociation of object and spatial visual processing pathways in human extrastriate cortex. Proc Natl Acad Sci USA 1991 Mar 1;88(5): Stuss DT, Levine B. Adult clinical neuropsychology: lessons from studies of the frontal lobes. Annu Rev Psychol. 2002;53: Alajouanine T. Aphasia and artistic realizatioin. Brain 1948;71; Geschwind N, Levitsky W. Human brain: left-right asymmetries in temporal speech region. Science 1968 Jul 12;161(837): Martindale C, Hines D, Mitchell L, Covello E. EEG alpha asymmetry and creativity. Pers Indv Differ 1984;5: Miller BL, Ponton M, Benson DF, Cummings JL, Mena I. Enhanced artistic creativity with temporal lobe degeneration. Lancet. 348(9043): Miller BL, Cummings J, Mishkin F, Boone K, Prince F, Ponton M, Cotman C. Emergence of artistic talent in frontotemporal dementia. Neurology Oct;51(4): Kapur N. Paradoxical facilitated function in brain-behaviour research. A critical review. Brain 1996;119: Schnider A, Regard M, Benson DF, Landis T. Effects of a right hemisphere stroke on an artist s performance. Neuropsychiatry Neuropsychol Behav Neurol 1993;6: Kaplan JA, Gardner H. Artistry after unilateral brain disease. In: Boller F, Grafman J, eds. Handbook of Neuropsychology. Amstedam; Elsevier Science Publishers; 1989: Gardner H. Artistry after brain damage. In: Gardner H, ed. Art, Mind and Brain: A Cognitive Approach to Creativity. New York: Basic Books; 1982: Bogousslavsky J. Artistic creativity, style and brain disorders. Eur Neurol 2005;54(2): Mendez MF, Mendez MA, Martin R, Smyth, KA, Whitehouse PJ. Complex visual disturbances in Alzheimer s disease. Neurology 1990;40: Chatterjee A, Strauss ME, Whitehouse PJ. Personality Changes in Alzheimer s Disease. Arch Neurol 1992;49(5): Cummings JL,Judy M. Zarit JM Probable Alzheimer s Disease in an Artist. JAMA 1987;258(19): Maurer K, Prvulovic D. Paintings of an artist with Alzheimer s disease: visuoconstructural deficits during dementia. J Neural Transm 2000; 112: Espinel CH. de Kooning s late colours and forms: dementia, creativity, and the healing power of art. The Lancet 1996;347: Sellal F, Musacchio M. Créativité artistique et démence. Psychol NeuroPsychiatr Vieil 2008;6 (1): Maurer K, Prvulovic D.Carolus Horn When the Images in the Brain Decay. In Bogousslavsky J, Boller F (eds): Neurological Disorders in Famous Artists. Front Neurol Neurosci. Basel, Karger, 2005, vol 19, pp Crutch SJ, Isaacs R, Rossor MN. Some workmen can blame their tools: artistic change in an individual with Alzheimer s disease. Lancet 2001 Jun 30;357(9274): Sahals DJ. Dementia with Lewy bodies and the neurobehavioral decline of Mervyn Peake. Arch Neurol 2003 Jun;60(6): Snowden JS, Neary D, Mann DMA. Fronto-temporal Lobar Dementia. New York, NY: Churchill-Livingstone; 1996: Miller BL, Boone K, Cummings J, Read SL, Mishkin F. Functional correlates of musical and visual talent in frontotemporal dementia. Br J Psychiatry. 2000;176: Miller BL, Hou CE. Portraits of Artists. Emergence of Visual Creativity in Dementia. Arch Neurol 2004;61: Midorikawa A, Fukutake T, Kawamura M. Dementia and painting in patients from different cultural backgroungs. Eur Neurol 2008;60: Budrys V, Skullerud K, Petroska D,Lengveniene J, Kaubrys G. Dementia and Art: Neuronal Intermediate Filament Inclusion Disease and Dissolution of Artistic Creativity. Eur Neurol 2007;57: Cairns NJ, Grossman M, Arnold SE, Burn DJ, Jaros E, Perry RH et al. Clinical and neuropathologic variation in neuronal intermediate filament inclusion disease. Neurology 2004 Oct 26;63(8): Rankin KP, Anli AL, Howard S, Slama H, Hou CE, Shuster K et al.a case-controlled study of altered visual art production in Alzheimer s and FTLD. Cogn Behav Neurol 2007 Mar;20(1): Chatterje A. The neuropsychology of visual artistic production. Neuropsychologia 2004;42: Gordon N. Unexpected development of artistic talents. Postgrad med J 2005,81:

34 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Valutazione di efficacia di un modello di counseling ai familiari-caregiver nella malattia di Alzheimer ANTONIO ROSARIO ZIELLO 1,4, MAILA D ANTONIO 1, CARLA PODERICO 2, ALESSANDRO IAVARONE 3, SABRINA CARPI 1, ANGIOLA MARIA FASANARO 1 1 UVA, AORN A. Cardarelli, Napoli 2 Dipartimento di psicologia, seconda università di Napoli 3 UOC di neurologia, ospedale CTO, AORN ospedali dei colli, Napoli 4 Centro di ricerche cliniche, telemedicina e telefarmacia, università di Camerino Introduzione La demenza è una delle patologie più invalidanti e gravose sul piano assistenziale. La letteratura sottolinea che i caregiver dei pazienti con demenza hanno una condizione di salute significativamente peggiore rispetto a caregiver di pazienti con altre patologie 1 e che vi incide, spesso in maniera predominante, la sofferenza associata alla percezione di una ripetuta perdita del malato. L assistenza richiede da un lato l adozione di modalità relazionali sempre diverse, e dall altro il superamento ripetuto del processo psicologico correlato alla perdita e al lutto. Le qualità di vita del caregiver e del paziente sono inoltre strettamente legate 2. Al caregiver burden è stata rivolta grande attenzione e numerosi interventi psico-educazionali sono stati sviluppati e valutati. Essi includono corsi di formazione rivolti all acquisizione di migliori abilità di gestione del malato; programmi di sostegno tra pari e programmi di consulenza 3. Numerosi interventi hanno dimostrato efficacia sui sintomi depressivi, il carico assistenziale percepito e la qualità di vita dei familiari 4,5,6,7. Altri hanno dimostrato di ridurre l istituzionalizzazione del paziente 8. Più recentemente è stato evidenziato che una maggiore padronanza e autoefficacia nel gestire gli episodi stressanti che quasi inevitabilmente si presentano nel decorso della malattia, diminuisce nel caregiver il grado dello stress e ne limita le conseguenze 9. Ciò rappresenta un obiettivo importante al quale possono conseguire benefici tangibili sulla salute psico-fisica del caregiver. Sulla base di tali premesse è stato concepito e attuato da noi un counseling focalizzato sugli aspetti modificabili del carico assistenziale e del processo di stress. Il nostro intervento è stato mirato non solo a informare e suggerire strategie di gestione della malattia, ma anche e soprattutto ad aiutare il caregiver a esplorare la natura dei propri problemi. L intervento è stato attuato in un setting di gruppo, che è dimostrato essere più adatto a gestire le dinamiche psicologiche che si sviluppano in questi contesti 10, in quanto attraverso esso si realizza anche un sostegno reciproco tra i familiari e un migliore riconoscimento e condivisione degli aspetti globali e della gestione delle emozioni 11. Riportiamo i risultati di questo intervento in 30 caregiver di pazienti con malattia di Alzheimer. In tutti i casi i caregiver erano familiari (coniugi o figli/ figlie) dei pazienti, i quali erano tutti nella fase lieve moderata di malattia. La nostra ipotesi era che un counseling attuato attraverso una particolare attenzione non solo agli aspetti informativi, ma soprattutto a quelli psicologici dei familiari e che includesse gli aspetti legati ai fenomeni correlati al lutto,

35 Valutazione di efficacia di un modello di counseling ai familiari-caregiver nella malattia di Alzheimer 35 potesse rivelarsi particolarmente efficace nel migliorare lo stress dei caregiver. Materiale e metodi Trenta caregiver informali (21 donne) di soggetti con malattia di Alzheimer diagnosticati e regolarmente seguiti nella Unità valutativa Alzheimer (Uva) dell azienda ospedaliera di rilievo nazionale Antonio Cardarelli hanno preso parte al counseling. L età media dei caregiver era 58 anni (ds = 12,58) e la scolarità media 13 anni (ds = 4,59). Sono stati inclusi solo caregiver che avevano un contatto quotidiano con il malato, ed escluse quindi le figure di assistenti private (badanti). I 30 familiari-caregiver, in gruppi di sei persone, hanno partecipato a quattro incontri con due psicologi esperti sia di dinamiche di gruppo sia, particolarmente, della malattia di Alzheimer. Gli incontri erano di 90 minuti ciascuno e a cadenza settimanale. Nel primo e secondo ci si è essenzialmente concentrati sugli aspetti di informazione sulla malattia e sulle strategie più adattive per la gestione del paziente nella vita quotidiana. Il terzo incontro è stato rivolto essenzialmente al concetto di lutto anticipatorio e delle sue diverse fasi (sentimenti di ira, colpa, collera, negazione, e strategie cognitive mirate ad anticipare l adattamento alla perdita o volte alla riaffermazione di significati esistenziali importanti). Nel quarto è stato dato ampio spazio all espressione dei vissuti emotivi dei caregiver in relazione all assistenza e alle condizioni conflittuali che ne conseguono. Prima e dopo l intervento sono stati valutati in ognuno dei caregiver: a) le conoscenze generali sulla malattia; b) il carico assistenziale percepito. Sono stati usati rispettivamente un questionario creato ad hoc (Conus, figura 1) e il questionario formalizzato 12 (CBI, figure 2 e 3). Figura 1: Conus - Un questionario ideato per stimare la quantità di informazioni percepite dal caregiver, sia sulla malattia sia nella gestione del proprio familiare. è composto da sette item, a ognuno dei quali è attribuito un valore su scala Likert a quattro punti che va da per niente (1) a molto (4).

36 36 Figura 2 Figura 3 ANTONIO ROSARIO ZIELLO, MAILA D ANTONIO, CARLA PODERICO, ALESSANDRO IAVARONE, SABRINA CARPI, ANGIOLA MARIA FASANARO

37 Valutazione di efficacia di un modello di counseling ai familiari-caregiver nella malattia di Alzheimer 37 Il Caregiver burden inventory (CBI - Novak, Guest, 1989) valuta il carico assistenziale sotto diversi aspetti attraverso 24 domande raggruppabili in cinque sezioni: - carico oggettivo (time - dependence burden) - associato alla restrizione di tempo per il familiare (item 1-5). - carico evolutivo (developmental burden) - associato a sentirsi tagliato fuori rispetto alle aspettative e alle opportunità dei coetanei (item 6-10). - carico fisico (physical burden) - relativo all affaticamento e ai problemi di salute somatica (item 11-14). - carico sociale (social burden) - relativo ai conflitti con l attività lavorativa e/o il nucleo familiare (item 15-19). - carico emotivo (emotional burden) - relativo ai sentimenti di vergogna e di imbarazzo provati nei confronti del paziente (item 20-24). A ciascuna affermazione è attribuito un valore da 1 a 5. Il carico oggettivo, evolutivo, sociale ed emotivo hanno ciascuno un punteggio massimo pari a 20, mentre il carico fisico ha un punteggio massimo pari a 16 (quindi il punteggio per esso ottenuto va moltiplicato per il fattore di correzione 1,25). Sono state, inoltre, rilevate le caratteristiche socio-demografiche dei caregiver, il grado di parentela col malato e gli anni di assistenza, e quelle del paziente (età, sesso). Il grado di malattia è stato valutato secondo le linee guida dell agenzia italiana del farmaco (Aifa) del marzo La malattia di Alzheimer è stata, quindi, valutata come gravità: lieve per MMSE compreso tra 21-26; moderata per MMSE tra 15-20; moderatamente grave per MMSE 10-14; grave per MMSE <10. I dati sono stati analizzati con procedure statistiche di tipo descrittivo, prima, e successivamente di tipo inferenziale. L analisi è stata condotta con l ausilio del programma StatView 5.0 e, per quanto concerne l analisi inferenziale, attraverso l analisi della varianza (Anova) e i confronti multipli con i test post hoc. Risultati L iniziale analisi descrittiva mostra la distribuzione delle seguenti caratteristiche socio-demografiche dei caregiver. Tabella 1 Caregiver Sesso (m / f) 8/22 Età 58,03 (ds = 12,58) Scolarità (ds = 4.59) Sesso assistito (m/f) 14/16 Età assistito 72.6 (ds = 8.15) Grado malattia (ds =.931) - grado moderato Anni assistenza (ds = 1.67) La tabella 1 mostra che nonostante la malattia sia equamente distribuita tra i pazienti dei due sessi, l assistenza ricade essenzialmente sulle donne (rapporto 3:1). I caregiver, mediamente, Tabella 2 prestavano cure da tre anni e mezzo a pazienti di grado moderato. La tabella 2 mostra un equa distribuzione della variabile legame familiare (coniugi e figli). Caregiver Coniugi 16 Figli 11 Altro 3 TOTALI 30 Confrontando i punteggi del carico assistenziale totale e delle diverse dimensioni prima e dopo l intervento di counseling, si osservano, in prima istanza, un abbassamento delle medie e delle deviazioni standard e delle diverse dimensioni (tabella 3).

38 38 ANTONIO ROSARIO ZIELLO, MAILA D ANTONIO, CARLA PODERICO, ALESSANDRO IAVARONE, SABRINA CARPI, ANGIOLA MARIA FASANARO Tabella 3 Pre counseling Post - counseling CARICO MEDIA DEV ST MEDIA DEV ST Oggettivo Evolutivo Fisico Sociale Emotivo TOTALE Figura 4 Attraverso il Wilcoxon test si evince una differenza significativa (p<.001) nei punteggi pre e post del carico assistenziale totale. Approfondendo l analisi statistica sulle diverse dimensioni del CBI, i dati mostrano che la diminuzione del carico totale ricade significativamente (p<.001) sulle dimensioni di tipo evolutivo ed emotivo (figura 4). Confrontando i dati al test post-hoc con il carico totale pre-post intervento e la variabile grado parentela, si osserva che la iniziale significativa differenza ai punteggi baseline tra i caregiverconiugi e i caregiver-figli si riduce al termine dell intervento, sino a non essere più significativa (figura 5). Figura 5

39 Valutazione di efficacia di un modello di counseling ai familiari-caregiver nella malattia di Alzheimer 39 Infine, attraverso il questionario ad hoc (Conus) si rileva un aumento significativo (p<.001) delle informazioni e delle conoscenze relative alla malattia (figura 6). Figura 6 L aumento di informazione non risulta essere influenzato dalla variabile sesso e scolarità. Conclusioni Le competenze e le caratteristiche del caregiver hanno un ruolo fondamentale nella gestione del paziente 14,15 e l intervento descritto è stato volto a entrambe. Per quanto riguarda il primo aspetto si è curato l aspetto dell informazione, che ha cercato di essere il più possibile chiara e corretta, sia sulle fasi della malattia, sia sui processi neurobiologici che le determinano. Conoscere questi aspetti nel loro sviluppo può rappresentare, fin dalla prima diagnosi, una riduzione del rischio di sviluppare un maggior distress in rapporto al carico assistenziale 16 e rappresenta un esigenza espressa dalla maggior parte di essi per una migliore gestione delle disfunzioni cognitive e, soprattutto, comportamentali 17. Fra i vari interventi proponibili, la scelta di organizzare incontri della durata di un mese in piccoli gruppi si è dimostrata efficace nell aumentare la conoscenza della malattia e nell alleviare il carico assistenziale. Globalmente abbiamo rilevato una sostanziale riduzione del livello globale del carico assistenziale e, nello specifico, la riduzione si è rivelata maggiore nei coniugicaregiver, i quali, invece, prima dell intervento mostravano il maggiore livello di carico. L analisi dei dati mostra anche che la riduzione complessiva dell onere assistenziale percepito riguarda soprattutto gli aspetti evolutivi ed emotivi del caregiver, ossia la sensazione di fallimento e i sentimenti negativi nei confronti del paziente. Ipotizziamo che questo risultato consegua all aver approfondito molto le dinamiche e i vissuti di chi presta assistenza. Ciò è stato probabilmente determinante, da un lato per ridurre nel caregiver la sensazione di essere schiacciato, dall altro per diminuire le conseguenze di atteggiamenti di ostilità e aggressività che il caregiver, anche inconsapevolmente, può mettere in atto. I membri del gruppo, che si trovano inseriti in una sorta di piccolo sistema sociale in cui smettono di essere dei portatori di paure, insicurezze, ansie e disagi, diventano, inoltre, parte di una rete quasi familiare e si aiutano reciprocamente nell individuare reazioni non adattive 18. Pensiamo che sia stato utile dare enfasi anche al fenomeno del lutto con le ovvie differenze che questo assume nella malattia di Alzheimer, ove il lutto è ricorrente e ripetuto ogni volta che cambia la fase della malattia e diminuisce l autonomia del paziente. Attraverso il sostegno del gruppo e una gestione mirata dell intervento, i partecipanti sembrano riuscire ad attuare una ristrutturazione cognitiva che li aiuta nella ricerca di una accettazione sia del ruolo di caregiver sia della condizione cronica del proprio malato. Questo aspetto, che ha occupato i due terzi del tempo globale dando ampio spazio all espressione dei vissuti e delle emozioni di ognuno, è stato valutato da tutti come particolarmente significativo.

40 40 ANTONIO ROSARIO ZIELLO, MAILA D ANTONIO, CARLA PODERICO, ALESSANDRO IAVARONE, SABRINA CARPI, ANGIOLA MARIA FASANARO Probabilmente un intervento di questo tipo va riproposto a intervalli di tempo, o associato a interventi meno strutturati, del tipo Alzheimer Cafè, favorendo una rete i rapporti sociali, della quale la maggioranza dei caregiver manifesta un profondo bisogno. Bibliografia 1 Bertrand RM, Fredman L, Saczynski J. Are All Caregivers Created Equal? Stress in Caregivers to Adults With and Without Dementia. Journal of Aging and Health. Aug 2006; Vol 18(4), pp Marvardi M, Mattioli P, Spazzafumo L. The Caregiver Burden Inventory in evaluating the burden of caregivers of elderly demented patients: results from a multicenter study. Aging Clin Exp Res. 2005; pp Fortinskya RH, Kulldorff M, Kleppinger A and Kenyon- Pesce L. Dementia care consultation for family caregivers: Collaborative model linking an Alzheimer s association chapter with primary care physicians. Aging & Mental Health. 2009; Vol. 13, No. 2, March 2009, Hepburn KW, Tornatore J, Center B, Ostwald SW. Dementia family caregiver training: Affecting beliefs about caregiving and caregiver outcomes. Journal of the American Geriatrics Society ; 49: Gitlin LN, Belle SH, Burgio LD, Czaja SJ, Mahoney D, Gallagher-Thompson D. Effect of multicomponent interventions on caregiver burden and depression; the REACH multisite initiative at 6-month follow-up. Psychology and Aging. 2003; 18: Davis LL, Burgio LD, Buckwalter KC, Weaver M. A comparison of in-home and telephone-based skill training interventions with caregivers of persons with dementia. Journal of Mental Health and Aging. 2004; 10: Belle SH, Burgio L, Burns R, Coon D, Czaja SJ, Gallagher- Thompson D, et al. Enhancing the quality of life of dementia caregivers from different ethnic or racial groups. Annals of Internal Medicine. 2006; 145: Mittelman MS, Roth DL, Coon DW, Haley WE. Sustained benefit of supportive intervention for depressive symptoms in caregivers of patients with Alzheimer s disease. American Journal of Psychiatry. 2004; 161: Roepke SK, Mausbach BT, Aschbacher K, Ziegler MG, Dimsdale JL, Mills PJ et al. Personal mastery is associated with reduced sympathetic arousal in stressed Alzheimer caregivers. The American journal of geriatric psychiatry official journal of the American Association for Geriatric Psychiatry. 2008; Scocco P, Trabucchi M. Counselling psicologico e psichiatrico nelle case di riposo. Vivere e lavorare nelle strutture per anziani. Centro Scientifico Ed., Torino, Grassi L, Biondi M, Costantini A. Manuale pratico di Psiconcologia, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma Novak M, Guest C. Application of a multidimensional caregiver burden inventory. The Gerontologist. 1989; 29 n 6, pp Agenzia Italiana del Farmaco Alzheimer. Bollettino di Informazione sui Farmaci. 2009; Serie generale - n. 238, pp Fasanaro AM et al. La memoria dimenticata: malattia di Alzheimer e costi dell assistenza. Critical Medicine Publishing, Roma, pp Bianchetti A, Trabucchi M. Alzheimer. Malato e familiari di fronte alla perdita del passato. Il Mulino, Bologna, 2010; pp Zucchella C, Bartolo M, Pasotti C, Chiapella L, Sinforiani E. Caregiver Burden and Coping in Early-stage Alzheimer Disease. Alzheimer Dis Assoc Disord. 201; Signe A, Elmståhl S. Psychosocial intervention for family caregivers of people with dementia reduces caregiver s burden: development and effect after 6 and 12 months. Scand J Caring Sci Mar;22(1): Honea NJ et al. Putting Evidence into Practice: nursing assessment and interventions to reduce family caregiver strain and burden. Clin J Oncol Nurs Jun;12(3):

41 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Il Chronic Care Model: un progetto in fase di sperimentazione sui percorsi assistenziali integrati per la prevenzione del decorso della Malattia di Alzheimer nell ASP di Catanzaro PIETRO GARERI 1, GUIDO GIARELLI 2, MAURIZIO ROCCA 3, RAFFAELE DI LORENZO 4, GIANFRANCO PUCCIO 4, ROSANNA COLAO 4, SABRINA AM CURCIO 4, ROBERTO LACAVA 1, ALBERTO CASTAGNA 1, ORNELLA DE VITO 4, AMALIA CECILIA BRUNI 4 1 Geriatra ASP Catanzaro 2 Università Magna Græcia, Catanzaro - O.R.Sa.C., Osservatorio regionale sulla salute del cittadino 3 Direttore distretto socio sanitario Catanzaro lido, ASP Catanzaro 4 Centro regionale di neurogenetica, ASP Catanzaro bruni@arn.it Abstract Le dinamiche demografiche ed epidemiologiche evidenziano la tendenza ormai consolidata all invecchiamento della popolazione, con il conseguente aumento della rilevanza delle patologie croniche come la malattia di Alzheimer, che presenta tassi di prevalenza che ormai superano il 5% della popolazione anziana. Tale patologia non risulta ancora affrontata in modo adeguato dal Servizio sanitario regionale calabrese con difficoltà di accesso ai servizi, ritardi e inappropriatezza delle cure, scarso coordinamento degli attori coinvolti nei processi di cura, scarsi accessi a domicilio da parte degli specialisti. Pertanto, in Calabria è stato approvato da parte del Ministero della salute un programma di sperimentazione di percorsi assistenziali integrati per la prevenzione delle complicanze della malattia di Alzheimer sulla base del modello ampliato del Chronic care model (CCM). La strategia del CCM comporta l organizzazione di percorsi assistenziali integrati che possano garantire un adeguato coordinamento tra tutto il personale sanitario (ospedaliero e territoriale) e sociale coinvolto nel percorso. In questo processo sono passi indispensabili l accesso a fonti d aggiornamento informative e formative continue per l assistenza ai malati cronici in grado di supportare ogni decisione clinica con protocolli e linee guida che garantiscano la massima efficacia del trattamento assistenziale e l omogeneizzazione degli approcci assistenziali su tutto l ambito regionale. Questo articolo puntualizza gli strumenti e gli obiettivi principali di questo progetto, svolto dall ASP di Catanzaro (Distretto sociosanitario di Catanzaro, Centro regionale di neurogenetica di Lamezia Terme) in collaborazione con l Università Magna Graecia di Catanzaro e due società scientifiche, l AIP e l AGE. Introduzione: Lo scenario epidemiologico Anche nella Regione Calabria, come nel resto d Italia e dei paesi post-industriali, le dinamiche demografiche ed epidemiologiche evidenziano la tendenza ormai consolidata all invecchiamento della popolazione, con il conseguente aumento della rilevanza delle patologie croniche. Tra queste si assiste al progressivo aumento di patologie stabilizzate o che progrediscono lentamente (cardiopatie, AIDS, patologie oncologiche, lesioni neurologiche, ecc.). Mentre inoltre in passato l esito della cura era la guarigione o la morte,

42 .42 P. GARERI, G. GIARELLI, M. ROCCA, R. DI LORENZO, G. PUCCIO, R. COLAO, S. AM CURCIO, R. LACAVA, A. CASTAGNA, O. DE VITO, A. C. BRUNI oggi esistono almeno cinque profili assistenziali differenti che portano a esiti differenti: 1) la guarigione completa, attraverso un breve periodo di convalescenza o riabilitazione; 2) la guarigione ritardata, attraverso un periodo di riabilitazione medio-lungo e una disabilità temporanea (le prime due sono più difficilmente raggiungibili in pazienti anziani affetti da comorbidità e la cui gestione è particolarmente complessa); 3) la guarigione sufficiente attraverso un processo di cure e riabilitazione continuo e una disabilità permanente; 4) la guarigione dipendente attraverso cure, riabilitazione e assistenza continuative e una disabilità limitante; 5) la morte, come esito inevitabile di malattie croniche degenerative e cure palliative e assistenza continua. Tra le patologie croniche di grande rilevanza sociale ed epidemiologica, la malattia di Alzheimer (MA) rappresenta una delle forme più frequenti, con tassi di prevalenza che ormai superano il 5% della popolazione anziana. Nel caso calabrese, tale patologia non risulta ancora affrontata in modo adeguato dal Servizio sanitario regionale con difficoltà di accesso ai servizi, ritardi e inappropriatezza delle cure, scarso coordinamento degli attori coinvolti nei processi di cura, scarsi accessi a domicilio da parte degli specialisti. Questo accade in particolare per alcune fasce della popolazione che, per condizioni sociali, livello di istruzione e di conoscenza dei servizi, accedono al Servizio sanitario regionale con minore tempestività ed intensità di altre. A fronte di tale scenario, nel contesto nordamericano è andato recentemente emergendo un nuovo modello di prevenzione, cura e assistenza dei pazienti affetti da malattie croniche denominato Chronic care model (CCM), prima a opera del professor Ed Wagner e dei suoi colleghi del McColl institute for healthcare innovation in California 1,2 e poi con successive modifiche e integrazioni in altri Paesi. Il modello propone una serie di cambiamenti a livello dei sistemi sanitari utili a favorire il miglioramento della condizione dei malati cronici e suggerisce un approccio proattivo tra il personale sanitario e i pazienti stessi, che diventano parte integrante del processo assistenziale valorizzandosi così il ruolo del cittadino (della famiglia) nel complessivo processo di cura. Il CCM è caratterizzato da sei componenti fondamentali fra loro interagenti: le risorse della comunità, le organizzazioni sanitarie, il sostegno all autocura, l organizzazione del team, il sostegno alle decisioni e i sistemi informativi per tentare di valutarne la fattibilità di applicazione allo specifico contesto (fig. 1). Figura 1: Il Chronic care model (CCM): finalità Il CCM è stato adottato dall OMS e largamente introdotto nelle strategie d intervento dei sistemi sanitari di diversi Paesi, dal Canada all Olanda, dalla Germania al Regno Unito. Quest ultimo, in particolare, adottando integralmente il modello nell ambito del suo National health service, ne ha integrato in maniera più articolata le componenti, esplicitando il ruolo dei servizi sociali 3. Di recente, un gruppo di ricercatori della Canadian academy of health sciences ha proposto di affrontare quelle che non vengono più semplicemente definite come malattie ma condizioni sanitarie croniche (chronic health conditions) mediante una versione ampliata e più comprensiva del CCM, nella quale gli aspetti clinici sono integrati da quelli di sanità pubblica, quali la prevenzione primaria collettiva e l attenzione ai determinanti della salute. In questa versione gli outcome non riguardano solo i pazienti ma le comunità e l intera popolazione 4,5. Inoltre, di rilevante interesse sono anche il modello di stratificazione del rischio proposto dalla Kaiser Permanente 6, che integra il CCM con una particolare attenzione alla differenziazione delle strategie d intervento in relazione ai differenti livelli di rischio e il Patient centered medical home model proposto dall American college of physicians 7, che introduce un medico di riferimento che si fa carico dei problemi di salute della persona a domicilio, garantendo il coordinamento, la continuità e la globalità degli interventi, mentre la persona ha accesso a un team assistenziale interprofessionale che dispone di avanzati strumenti informativi per il miglioramento della qualità del servizio e la sicurezza del paziente. Il CCM propone dunque una serie di cambiamenti all interno dei sistemi sanitari allo scopo

43 Il Chronic Care Model: un progetto in fase di sperimentazione sui percorsi assistenziali integrati per la prevenzione del decorso della Malattia di Alzheimer nell ASP di Catanzaro 43 di migliorare l assistenza mediante un approccio proattivo integrato fra operatori, pazienti e familiari. Pertanto, dalla parte degli operatori viene favorita l integrazione socio-sanitaria attraverso interventi multidisciplinari e differenziati; dalla parte di familiari e pazienti il modello favorisce lo sviluppo di abilità nel self-management 1,2. Tale modello risulta dunque in grado di: - identificare persone ad alto rischio attuando una gestione attiva e soprattutto personalizzata; - prevedere e anticipare possibili complicazioni e aggravamenti della malattia. La grande novità del CCM è pertanto il fatto che possa mirare sia alla prevenzione che al miglioramento della gestione delle malattie croniche in ogni loro stadio. L applicabilità nella malattia di Alzheimer deriva dalla necessità di gestire tali pazienti con un approccio innovativo, caratterizzato da una forte integrazione assistenziale e sanitaria all interno della rete dei servizi, così per come, peraltro, delineata nei riferimenti normativi di livello nazionale (d.lgvo 502/92 e s.m.i. - legge 328/2000). Si passa cioè, secondo l approccio tipico geriatrico, dalla prospettiva di cura tradizionale della malattia a una visione più olistica che ha come oggetto l approccio integrato focalizzato sulla persona. In definitiva, tale modello e le sue versioni evolute e integrazioni disegnano quindi una nuova strategia assistenziale basata sul concetto di sanità d iniziativa che, superando quella classica della medicina d attesa disegnata sulle malattie acute, sia in grado di assumere il bisogno di salute prima dell insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si aggravi, e di gestire la malattia stessa in modo tale da rallentarne il decorso, garantendo al paziente interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di rischio. In sintesi, la strategia del CCM comporta l organizzazione di percorsi assistenziali integrati che garantiscano un adeguato coordinamento tra tutto il personale sanitario (ospedaliero e territoriale) e sociale coinvolto nel percorso. In questo processo sono passi indispensabili l accesso a fonti d aggiornamento informative e formative continue per l assistenza ai malati cronici in grado di supportare ogni decisione clinica con protocolli e linee guida che garantiscano la massima efficacia del trattamento assistenziale. Altro passo fondamentale è l omogeneizzazione degli approcci assistenziali su tutto l ambito regionale. Peraltro, il CCM è già stato valutato sperimentalmente con pazienti e caregiver di pazienti con malattia di Alzheimer nel Cleveland Alzheimer managed care demonstration 8, un progetto che ha visto coinvolti 210 pazienti con Alzheimer e che ha prodotto significativi risultati in termini di: - riduzione dei ricoveri ospedalieri; - riduzione delle visite al pronto soccorso e delle visite specialistiche ambulatoriali; - riduzione nell utilizzo dei servizi; - aumento dei livelli di soddisfazione per la qualità delle cure e delle informazioni ricevute; - diminuzione dei sintomi di depressione, di deterioramento della salute e di tensione sia nei pazienti sia, ovviamente, soprattutto nei caregiver. Descrizione del progetto Il comitato scientifico del CCM del Ministero della salute nella seduta del 7 luglio 2011 ha giudicato congruente la proposta proveniente dall Assessorato alla salute della Regione Calabria Sperimentazione di percorsi assistenziali integrati per la prevenzione delle complicanze della malattia di Alzheimer sulla base del modello ampliato del Chronic care model, in cui l ente esecutore è l Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. Il progetto ha come obiettivo generale quello di valutare i risultati della sperimentazione del Chronic care model nella versione canadese ampliata per la costruzione di percorsi preventivodiagnostico-terapeutico-assistenziali integrati finalizzati alla prevenzione del decorso della malattia di Alzheimer in pazienti con diversi livelli di gravità e di rischio di complicanze. Gli obiettivi specifici possono essere così sintetizzati: a) passaggio da modelli assistenziali di tipo reattivo a modelli di assistenza proattiva ai soggetti con Alzheimer e ai loro caregiver; b) costruzione di percorsi assistenziali integrati differenziati sulla base della stratificazione del rischio e sui livelli relativi di intensità assistenziale; c) riconoscimento delle cure primarie quale punto centrale di riferimento dei processi assistenziali con forti collegamenti con il resto del sistema dei servizi sanitari e sociali; d) erogazione di un assistenza focalizzata sui bisogni individuali della persona nel suo specifico contesto di vita familiare e sociale; e) realizzazione di percorsi formativi al self-management dei soggetti con Alzheimer e dei loro caregivers; f) attivazione di équipe multiprofessionali integrate orientate al miglioramento continuo della qualità e della personalizzazione delle

44 44 P. GARERI, G. GIARELLI, M. ROCCA, R. DI LORENZO, G. PUCCIO, R. COLAO, S. AM CURCIO, R. LACAVA, A. CASTAGNA, O. DE VITO, A. C. BRUNI cure erogate; g) costruzione di un sistema informativo dei servizi socio-sanitari (S.I.S.S.) per la popolazione-target riferimento; h) attivazione di processi di partecipazione comunitaria finalizzati alla realizzazione di strategie di prevenzione primaria collettiva basate sull empowerment della comunità. Gli attori principali di questo progetto sono l ASP di Catanzaro (Distretto sociosanitario di Catanzaro, Centro regionale di neurogenetica di Lamezia Terme) in collaborazione con l Università Magna Graecia di Catanzaro (O.R.Sa.C., Osservatorio regionale sulla salute del cittadino), due società scientifiche, l AIP e l AGE e l ARN-onlus (Associazione per la ricerca neurogenetica), i medici di medicina generale, i pazienti e le famiglie e, naturalmente, i centri Uva (Tabella 1) Tabella 1: Gli attori del progetto CCM Il territorio dell ASP Catanzaro ha un estensione di 2390 km 2, i comuni inclusi sono addirittura 80; gli ultrasessantacinquenni sono , con un indice di invecchiamento (rapporto di composizione tra la popolazione anziana e la popolazione più giovane di 0-14 anni) di 124,5 (dato nazionale = 141,7). I centri Uva operanti nel territorio dell ASP sono tre (Catanzaro, Lamezia Terme, Girifalco); i casi di demenza attesi sono , inoltre i medici di medicina generale sono 280. Outcome attesi Si prevede la costruzione, sperimentazione e valutazione randomizzata e controllata di tre diversi percorsi: 1. un percorso di self-management per soggetti nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer e a basso rischio di complicanze (supporto all auto-cura, formazione paziente esperto); 2. un percorso di care management per soggetti con patologia conclamata a medio rischio di complicanze (cure primarie integrate, follow-up); 3. un percorso di case management per soggetti nelle fasi severe della malattia ad alto rischio di complicanze (progetto personalizzato, ADI, hospice). La tabella 2 riporta i criteri e gli indicatori per la verifica dei risultati raggiunti. La sperimentazione della strategia proposta per i malati di Alzheimer nel contesto dell ASP di Catanzaro è resa possibile dalle precedenti esperienze dei principali soggetti coinvolti, che nel loro specifico ambito hanno già operato in precedenza alcune esperienze significative. In particolare, al fine di assicurare adeguati percorsi di cura alle persone affette da demenza, l Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, ha istituito nel 2008 un Gruppo operativo interdipartimentale permanente (GOIP). Il GOIP ha visto la collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale di figure coinvolte nell assistenza al paziente demente.

45 Il Chronic Care Model: un progetto in fase di sperimentazione sui percorsi assistenziali integrati per la prevenzione del decorso della Malattia di Alzheimer nell ASP di Catanzaro 45 Tabella 2: Criteri e indicatori per la verifica dei risultati raggiunti Conclusioni Il CCM si propone di migliorare l assistenza mediante un approccio proattivo integrato fra operatori, pazienti e familiari. Dalla parte degli operatori viene favorita l integrazione socio-sanitaria attraverso interventi multidisciplinari e differenziati. In un ottica di Community oriented primary care è prevista inoltre la realizzazione e la valutazione di una campagna di prevenzione primaria collettiva per la malattia di Alzheimer e di attenzione ai determinanti di salute rivolta alla popolazione target dell ASP di Catanzaro finalizzata a effettuare una diagnosi precoce e l identificazione e il contenimento dei fattori di rischio ambientali e legati agli stili di vita. In Calabria il tempo intercorrente tra l esordio dei sintomi e la diagnosi è di circa 48 mesi (circa il doppio del dato nazionale); è dunque indispensabile focalizzare e centrare su campagne informative. La trasferibilità dei tre percorsi integrati suddetti e della campagna di prevenzione primaria collettiva ipotizzata è garantita dalla formazione e sensibilizzazione dei MMG, degli operatori delle Uva, degli specialisti ambulatoriali e delle società scientifiche regionali. In particolare, si dovrà procedere alla formazione di 280 medici di medicina generale, sia con corsi di tipo residenziale sia attraverso la formazione a distanza. Saranno selezionati 25 medici di medicina generale che entreranno a far parte del progetto (cinque per ogni distretto). Sono altresì indispensabili: una campagna di prevenzione che consenta di raggiungere con informazioni i circa ultrasessantacinquenni (attraverso i mass media, le trasmissioni tv e le associazioni culturali); una forte integrazione tra i diversi attori sociosanitari attraverso la valutazione multidimensionale dei bisogni, l utilizzo di strumenti di coordinamento e di integrazione e strumenti di monitoraggio a distanza; un portale informatico (figura 2). Quest ultimo consente la presa in carico globale del paziente ed è già stato avviato, come detto sopra, presso il CRN di Lamezia Terme in occasione della formazione del GOIP-demenze. Il portale conterrà le informazioni relative ai servizi presenti su tutto il territorio dell ASP: centri di valutazione, ambulatori, diagnostica, strutture diurne residenziali e semiresidenziali, medici di medicina generale etc., modalità di accesso alle prestazioni, possibilità di ottenere sostegno psico-fisico al caregiver, amministratore di sostegno, etc., modalità per richiedere e fruire dei servizi socio-sanitari: pensioni, invalidità, permessi familiari, ausili, etc. La presa in carico del singolo paziente sarà multidisciplinare con la possibilità di condividere

46 46 P. GARERI, G. GIARELLI, M. ROCCA, R. DI LORENZO, G. PUCCIO, R. COLAO, S. AM CURCIO, R. LACAVA, A. CASTAGNA, O. DE VITO, A. C.BRUNI Figura 2: il portale informatico le informazioni registrate dai singoli operatori i quali potranno accedere al sistema (cartella clinica informatizzata condivisa) via Internet da qualsiasi punto. È prevista anche la versione per dispositivi mobili (palmari e smartphone) mediante i quali si potranno effettuare consultazioni sanitarie anche dal domicilio del paziente. Saranno disponibili in rete gli strumenti di screening diagnostici (scale cliniche di valutazione e test neuropsicologici), i fascicoli sanitari, le immagini strumentali (MRI/TC/SPECT), le indagini strumentali (ECG, EEG) e di laboratorio. Con il prossimo avvento della firma digitale, potranno inoltre essere sperimentati nuovi modelli interdipartimentali di assistenza e diagnostica come teleconsulto, tele-cardiologia e tele-radiologia, prenotazioni e accettazioni informatizzate con invio di referti e documentazione al domicilio. In conclusione, parafrasando il celebre articolo di Namith et al. 5 Transforming care for Canadians with chronic health conditions: Put people first, expect the best, manage for results, noi diremmo in senso augurale Transforming care for Calabrians with dementia to improve their quality of life! Bibliografia 1 Wagner EH. Chronic disease management: What will it take to improve care for chronic illness? Effective Clinical Practice, 1998; 1: Bodenheimer T, Wagner EH, Grumbach K. Improving primary care for patients with chronic illness. Journal of the American Medical Association 2002; 288: From An NHS and Social Care Model for Improving Care for People with Long Term Conditions, The NHS and Social Care Long Term Conditions Model section, Department of Health, Barr VJ, Robinson S, Marin-Link B, Underhill L, Dotts A, Ravensdale D et al. The expanded chronic care model: An integration of concepts and strategies from Population Health Promotion and the Chronic Care Model, Healthcare Quarterly 2003; 7(1): Nasmith L, Ballem P, Baxter R, Bergman H, Colin-Thomé D, Herbert C et al. Transforming care for Canadians with chronic health conditions: Put people first, expect the best, manage for results, Canadian Academy of Health Sciences, Ottawa, Canada, Crane R.M. Introduction to Kaiser Permanente. Director, Kaiser Permanente Institute for Health Policy. 7 American College of Physicians. The Advanced Medical Home: A Patient-Centered, Physician-Guided Model of Health Care. Policy Monograph. January 22, Cleveland Alzheimer Managed Care Demonstration, Recognized for innovation and quality in health care and aging. American Society on Aging, 2002.

47 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Mentalizzazione e invecchiamento Theory of mind in healthy aging Matteo Pardini, 1 Davide Sassos, 2 Carlo Serrati 2 1 Dipartimento di neuroscienze, oftalmologia e genetica, università di Genova 2 U.O. di neurologia, ospedale S. Martino, Genova matteo.pardini@gmail.com Abstract Introduction: Theory of mind (ToM) is the ability to infer one s own and other people s mental states. Although the analysis of ToM skills in the first years of life in normal subjects has been quite extensive there are few and disagreeing studies looking to ToM age-related modifications in healthy subjects. In this study we thus decided to evaluate ToM skills over the adult life-span to shed light on the age-related changes in ToM skills and their possible relationship with perceived quality of life and social skills. Methods: Two thousand healthy subjects aged were included in the study. All subjects were asked to complete the Reading the mind in the eyes task (RMET), a validated measure of ToM skills and a quality of life questionnaire (SF-12). Moreover we asked a relative of each enrolled subject to quantitatively evaluate his/her social proficiency using a visual analog scale. Results: Our data showed a significant reduction of RMET scores in older subjects compared to younger participants. Moreover reduced ToM skills were associated with a reduced perceived quality of life and with lower social skills. Discussion: Our data showed that performance in an advanced ToM task (the RMET) significantly declines during adult life. We also showed that in the older subjects cohorts, decline in ToM skills is associated with reduced perceived social skills. Potentially cognitive training aimed to improve ToM could help in reducing the burden of social difficulties in elderly subjects. Riassunto Introduzione: la Teoria della mente, o mentalizzazione, rappresenta la capacità di valutare gli stati mentali propri e altrui. La relazione tra mentalizzazione e invecchiamento fisiologico nonché il suo impatto sulla qualità della vita è al momento poco chiara. Scopo dello studio è di esplorare le modificazioni delle capacità di mentalizzazione in un gruppo di soggetti di età compresa tra i 45 e i 75 anni, nonché di verificare l impatto di eventuali deficit della mentalizzazione sulla qualità della vita. Metodo: 200 soggetti di età compresa tra i 25 e i 75 anni sono stati reclutati nello studio. I soggetti sono stati valutati mediante la scala Reading the mind in the eyes test (RMET), una misura validata di teoria della mente, una scala di qualità della vita percepita e una scala compilata dai familiari per valutare la partecipazione in attività sociali. Risultati: la valutazione mediante la scala RMET ha dimostrato una significativa progressiva riduzione delle capacità di mentalizzazione con l aumentare dell età. Inoltre una ridotta mentalizzazione si è rivelata associata con una

48 48 Matteo Pardini, Davide Sassos, Carlo Serrati ridotta qualità della vita percepita e un minore coinvolgimento in attività sociali. Conclusioni: la mentalizzazione presenta una progressiva riduzione con l aumentare dell età anche in soggetti liberi da significativa comorbidità neuropsichiatrica. Un training focalizzato sulle capacità di teoria della mente potrebbe rappresentare un utile intervento per migliorare la qualità della vita e delle interazioni sociali. Introduzione La mentalizzazione, o teoria della mente, rappresenta la capacità di un individuo di riconoscere gli stati mentali propri e altrui 1. Il costrutto teorico della mentalizzazione è stato sviluppato nell ambito dello studio dei disturbi pervasivi dello sviluppo ma recenti evidenze hanno permesso di riconoscere ai deficit delle mentalizzazione un ruolo chiave anche nella psicopatologia dell adulto, per esempio nella schizofrenia 2 nonché nei processi degenerativi o traumatici a carico delle cortecce prefrontali. 3-5 Benché la curva di sviluppo nell infanzia della mentalizzazione sia già stata chiarita in sufficiente dettaglio da diversi anni, 6 al momento i dati in letteratura sulle modificazioni delle capacità di mentalizzazione nell invecchiamento fisiologico sono molto scarsi e contrastanti tra loro. In particolare alcuni autori riportano una sostanziale stabilità delle capacità di mentalizzazione durante la vita adulta, 7 mentre altre evidenze sperimentali sembrano suggerire un inizio del decadimento delle capacità di riconoscimento degli stati emotivi una delle componenti chiave della teoria delle mente già dopo la quinta decade di vita. 8,9 Il paragone tra i suddetti studi non appare però sempre agevole, vista la differenza negli strumenti psicometrici utilizzati, i non chiari criteri di inclusione utilizzati e la possibilità di fattori di confondimento come la presenza di deficit cognitivi o dell umore. Scopo di questo studio è di valutare le modificazioni delle capacità di mentalizzazione durante l età adulta in soggetti liberi da deficit cognitivi o comportamentali, nonché di valutare le possibili ricadute ecologiche di un eventuale deficit della mentalizzazione. Metodi Soggetti Duecento soggetti di età compresa tra i 20 e i 75 anni di età sono stati inclusi nello studio utilizzando i seguenti criteri di inclusione: scolarità uguale o superiore a 16 anni, anamnesi negativa per turbe dell umore, uso di farmaci psico-attivi o significative patologie neuropsichiatriche o internistiche, punteggio corretto per età al MMSE uguale a o maggiore di 27, Clock drawing test nella norma. 10 Inoltre soggetti con una significativa deflessione del tono timico valutata mediante la Hospital anxiety and depression scale (HADS) 11 al momento della valutazione non sono stati considerati includibili nello studio. I soggetti sono stati divisi in quattro gruppi di cinquanta soggetti ciascuno in base all età anagrafica: un gruppo di controllo (dai 20 ai 25 anni di età), un gruppo di giovani adulti (dai 45 ai 55 anni d età), un gruppo di adulti (dai 55 ai 65 anni d età) e un gruppo di soggetti anziani (dai 65 ai 75 anni d età). Valutazione psicometrica E stato quindi chiesto a tutti i soggetti di completare il Reading the mind in the eyes test (RMET) revided version, 12 uno dei test di mentalizzazione più usato nella pratica clinica. Questo test è composto da 36 immagini in bianco e nero degli occhi di attori o attrici; i soggetti devono individuare per ogni stimolo quale emozione gli attori stanno cercando di trasmettere, scegliendo tra quattro risposte possibili. Rispetto ad altri test di mentalizzazione il RMET presenta il significativo vantaggio di non avere un effetto tetto nella popolazione normale. Il punteggio totale è rappresentato dal numero di espressioni emotive correttamente identificate. Tutti i soggetti reclutati nello studio, inoltre, hanno completato una scala di qualità della vita, particolarmente adatta per la sua brevità e robustezza psicometrica per essere utilizzata in soggetti normali di varie età, ovvero la SF Infine le capacità sociali attuali dei soggetti arruolati sono state valutate mediante una Vas dal familiare più stretto di ogni soggetto; in questa scala punteggi più alti rappresentano più spiccate capacità sociali.

49 Mentalizzazione e invecchiamento - Theory of Mind in Healthy Aging 49 Analisi statistica I punteggi ottenuti alla scala RMET sono stati paragonati mediante Anova tra i quattro gruppi e quindi mediante singole analisi post-hoc. Inoltre la qualità della vita percepita e le capacità sociali sono state correlate con le capacità di mentalizzazione mediante test di Pearson. La soglia statistica è stata posta a 0,05 corretta per test multipli mediante approccio di Bonferroni. I dati sono riportati come media ± deviazione standard Risultati Mentalizzazione ed età L analisi statistica mediante Anova ha dimostrato una significativa differenza tra i quattro gruppi d età nei punteggi di RMET (si veda figura1 e tabella 1; p<0,001 (F(3,116)=24,5). L analisi post-hoc mediante test di Scheffè si è rivelata significativa per p<0,05 per tutti i contrasti tranne per il gruppo di controllo vs. i giovani adulti. Mentalizzazione e qualità della vita Le capacità di mentalizzazione misurate mediante il test RMET dimostrano una significativa correlazione diretta con la qualità della vita percepita misurata mediante il SF-12 (SF-12 medio per il gruppo sperimentale: 56,4±3,4; r=0,40; p<0,001), dimostrando che i soggetti con ridotte capacità di mentalizzazione riportano una qualità della vita più bassa rispetto ai soggetti ad alta capacità di mentalizzazione; tale correlazione è rimasta significativa dopo la correzione per i punteggi di HADS-D utilizzando un approccio a correlazioni parziali (media HADS-D: 3,2±0,5; r=0,32; p<0,001). Figura 1: punteggi di RMET divisi per gruppi di età Tabella 1: punteggi di RMET divisi per gruppi di età gruppo controlli (età: anni) giovani adulti (età anni) adulti (età: anni) anziani: (età anni) Risposte corrette (media dev. ± st.) 26,7± 2,8 25,3± 3,2 23,5 ± 3,1 21,6± 2,2

50 50 Matteo Pardini, Davide Sassos, Carlo Serrati Mentalizzazione e capacità sociali Si è apprezzata una significativa correlazione diretta tra punteggi di RMET e le capacità sociali valutate dai familiari (r=0,35; p<0,001), dimostrando che i soggetti con ridotta mentalizzazione presentano capacità sociali più modeste rispetto ai soggetti ad alta mentalizzazione. Discussione Lo scopo di questo studio era di valutare le modifiche delle capacità di mentalizzazione e le conseguenti eventuali ricadute ecologiche durante l età adulta in soggetti non affetti da patologie neuropsichiatriche. I dati raccolti hanno permesso di dimostrare una significativa riduzione delle capacità di teoria della mente sin dalla quinta decade di vita. Tale riduzione si è rivelata associata a una ridotta qualità della vita percepita e a difficoltà in ambito sociale. Il rapporto tra teoria della mente e invecchiamento non è univoco in letteratura. Happè e collaboratori, per esempio, 7 hanno dimostrato una performance migliore dei soggetti d età maggiore ai 75 anni e cognitivamente indenni alle valutazioni neuropsicologiche tradizionali, in un compito di teoria della mente con spiccate caratteristiche verbali, mentre altri autori, come per esempio Mayor e collaboratori 14 o Sullivan e Ruffman 9, hanno dimostrato una riduzione delle capacità di mentalizzazione dipendente dall età. I nostri dati sembrano in contrasto con i risultati di Happè mentre appaiono in linea con le ricerche di Mayor e di Sullivan. Tale discordanza negli studi pubblicati può essere ascritta a diversi fattori. Un primo fattore è la differenza tra i vari studi nella scolarità dei soggetti reclutati; nel nostro studio, per esempio, tutti i soggetti presentavano livelli di scolarità omogenei tra i gruppi e più elevati rispetto agli altri studi pubblicati. Un secondo fattore che rende i vari studi di non immediata valutazione comparativa è la diversità negli strumenti psicometrici utilizzati. Il RMET è stato sviluppato per essere capace di individuare deficit più sfumati nella teoria della mente rispetto ad altri strumenti disponibili e di non presentare nei controlli sani un effetto tetto ; tali aspetti lo rendono a nostro avviso più adatto a misurare eventuali modifiche nelle capacità di mentalizzazione rispetto ad altri test di teoria della mente. Rispetto ai risultati pubblicati in altri studi i nostri dati mettono in evidenza una ricaduta ecologica della progressiva riduzione della teoria della mente con l età ovvero un possibile impatto sulla qualità della vita percepita e le capacità sociali. Questo dato è in linea con un analoga osservazione in ambito dello sviluppo delle abilità sociali nell infanzia e conferma la significativa relazione tra capacità di mentalizzazione e capacità sociali. 15 Tale aspetto appare particolarmente significativo vista l importanza del mantenimento di una rete di rapporti sociali adeguata nel ridurre il rischio di psicopatologia nell anziano e dei possibili effetti positivi della stimolazione sociale sul funzionamento cognitivo. Al momento esistono in letteratura diversi protocolli di riabilitazione cognitiva della teoria della mente adattati a diverse patologie neuropsichiatriche giovanili; 16 futuri studi sono programmati per valutarne l adattabilità anche nell ambito della popolazione adulta e anziana. Il limite principale di questo studio è la sua natura trasversale e l utilizzo di un unico test per la valutazione della mentalizzazione. Nuovi studi, con una valutazione longitudinale nel tempo dello stesso gruppo di soggetti, sono in corso per confermare i dati al momento raccolti. Riassumendo, i dati presentati dimostrano una progressiva riduzione delle capacità di mentalizzazione a partire dalla quinta decade di vita; tale riduzione sembra essere correlata a una riduzione della qualità della vita percepita e delle capacità sociali. I nostri risultati suggeriscono un possibile ruolo per la valutazione delle capacità di teoria della mente all interno della valutazione neuropsicologica standard in ambito psicogeriatrico.

51 Mentalizzazione e invecchiamento - Theory of Mind in Healthy Aging 51 Bibliografia 1 Baron-Cohen S, Leslie A M, Frith, U. Does the autistic child have a theory of mind? Cognition 1985;21: Frith CD, Corcoran R. Exploring theory of mind in people with schizophrenia Psychol Med. 1996;26: Gregory C, Lough S, Stone V, Erzinclioglu S, Martin L, Baron-Cohen S, Hodges Theory of mind in patients with frontal variant frontotemporal dementia and Alzheimer s disease: theoretical and practical implications. Brain. 2002;125: Havet-Thomassin V, Allain P, Etcharry-Bouyx F, Le Gall D. What about theory of mind after severe brain injury? Brain Inj. 2006;20: Leopold A, Krueger F, Dal Monte O, Pardini M, Pulaski SJ, Solomon J et al. Damage to the left ventromedial prefrontal cortex impacts affective theory of mind. Soc Cogn Affect Neurosci Leslie, A. (1987). Pretence and representation: The origins of theory of mind. Psychological Rev. 1987; 94: Happé FG, Winner E, Brownell H. The getting of wisdom: theory of mind in old age. Dev Psychol. 1998;34: Pardini M, Nichelli PF. Age-related decline in mentalizing skills across adult life span. Exp Aging Res. 2009;35: Social understanding: How does it fare with advancing years? Br J Psychol. 2004;95: Royall DR, Cordes JA, Polk M. CLOX: an executive clock drawing task. J Neurol Neurosurg Psychiatry. 1998;64: Zigmond AS, Snaith RP. The hospital anxiety and depression scale. Acta Psychiatr Scand. 1983;67: Baron-Cohen S, Wheelwright S, Hill J, Raste Y, Plumb I. The Reading the Mind in the Eyes Test revised version: a study with normal adults, and adults with Asperger syndrome or high-functioning autism. J Child Psychol Psychiatry. 2001;42: Ware J Jr, Kosinski M, Keller SD. A 12-Item Short-Form Health Survey: construction of scales and preliminary tests of reliability and validity. Med Care Mar;34(3): Maylor EA, Moulson JM, Muncer AM, Taylor LA. Does performance on theory of mind tasks decline in old age? Br J Psychol. 2002;93: Walker S. Gender differences in the relationship between young children s peer-related social competence and individual differences in theory of mind. J Genet

52 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Editoriale AIP Liguria Diritto alla cura, sostenibilità economica e prassi clinica. Spunti di riflessione S.RATTO, L.FERRANNINI, S.GOTELLI, G.NUVOLI, P.ODETTI, N.PIZIO, C.SERRATI Sezione ligure dell Associazione italiana di psicogeriatria Il tema della richiesta di salute della persona anziana può essere analizzato in tre dimensioni fondamentali: fisiologica, sociologia, filosofica. Se la dimensione medica è legata alla complessità clinica e quella sociologica all asimmetria delle relazioni, la dimensione filosofica si caratterizza per l inconsapevole condizionamento del nostro pensiero, per le esperienze passate e per i valori, veri o presunti, derivati dai media e dalla cultura della società. Di fatto, oggi, alla maggiore difficoltà della persona anziana a identificarsi in un ruolo valoriale consegue lo smarrimento del senso autentico del proprio esistere. A volte questo dipende dalla convinzione che la vecchiaia rappresenti solo l avvio del percorso verso la fine, altre volte è l incapacità del sistema e della comunità sociale a offrire condizioni di vita che la vecchiaia di per sé non è in grado di sostenere. Non disgiunto da ciò, emerge il problema delle relazioni interpersonali, talora poco rispettose e dignitose, indice manifesto delle drammatiche difficoltà che si presentano nella senilità. Di fronte al mutare delle condizioni di vita e alla drammaticità dei bisogni, il modello assistenziale vigente, di tipo protesico-sostitutivo, mostra spesso carenze e intollerabile impegno socio-economico. Rimeditare sui nostri modelli organizzativi, ma anche sulle finalità del rapporto di cura con la persona anziana, e con i valori a essa sottesi, potrebbe sviluppare relazioni di reciprocità e di minore dipendenza, valorizzando i momenti premianti nel senso della comunità, della capacità di vivere insieme e di coinvolgere. Nel concreto, si tratta di incentivare e dare attuazione a quel principio di sussidiarietà che favorisca la creazione di una vera e profonda alleanza col cittadino, ancor più importante in questo momento critico per la sostenibilità di un sistema segnato profondamente dalla crisi. Di fatto esiste una scelta, pressoché ineludibile, di deframmentare la prassi clinica, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra la medicina basata sulle evidenze e la medicina narrativa, che nella realtà dovrebbero essere sinergiche e non antagoniste. Viene oggi proposta continuamente una sorta di sanità leggera, che però modifica i modelli assistenziali esistenti e non può che basarsi su una forte e innovativa alleanza con i cittadini-utenti del Servizio sanitario nazionale, alleanza al momento tutta da definire. Si tratta certo di fare scelte di priorità in modo intelligente e mirato, superando i conflitti d interessi economici, politici e di appartenenza e costruendo nuovi Lea, intesi come percorsi di cura e reti di risposte dalle quali non si può prescindere, pena una crescita di pretese associate a costi in aumento e anche ricadute su settori interagenti con quello sanitario: il mondo produttivo, sociale, familiare.

53 Diritto alla cura, sostenibilità economica e prassi clinica. Spunti di riflessione 53 Al centro di tutto ciò si colloca il privilegio della responsabilità, che impone una clinica e un saper fare coraggioso, tecnicamente ed eticamente fondato. Questo è il ruolo imprescindibile del clinico, da riaffermare fortemente proprio quando vi è il rischio di una scissione tra la dimensione clinica e quella manageriale: da un lato, un front office che si spende davanti al paziente e alla comunità che lo assiste e, dall altro, un back office che fuori dalla vista definisce cosa fare e come. Vediamo in questa scissione uno dei rischi più forti dell attuale fase di riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale, che può portare alla perdita di credibilità tecnica e a un ulteriore spreco di risorse. Il clinico, che individua il bisogno e le cure necessarie, si trova di fronte a un bivio: essere un interventista o un accompagnatore? Nel caso dello psicogeriatra, essere archeologo o architetto, cioè lavorare nelle fondamenta per non perdere frammenti di memoria e di storia (delle discipline, delle tecniche, delle culture e delle persone) o impegnarsi nella costruzione di nuovi strumenti e organizzazioni di cura? Ci pare che servano, soprattutto in psicogeriatria, entrambe le dimensioni e funzioni: il viaggio - da Kavafis a Saramago è di per sé più importante della meta e si può nuotare in superficie, mantenendo al contempo i piedi sul fondo. Di certo difficile ma fattibile, se si crede che la vita non sia solo risultati, ma soprattutto relazione. Questi temi finora discussi appaiono particolarmente evidenti nella fascia di età degli ultraottantenni, diventati ormai frequentatori abituali degli studi medici. Non solo ragioni epidemiologiche, quindi, sono alla base della scelta del tema della riunione di Genova del consiglio direttivo della nostra società scientifica, ma anche filosofiche e organizzative. La fascia di età del grande vecchio, in crescita esponenziale, rappresenta il 3% della popolazione italiana totale con una percentuale doppia di donne rispetto a quella degli uomini. Le problematiche di salute ovviamente sono più pesanti e complesse, così come l interazione con familiari-caregiver, spesso anziani a loro volta, con peculiari necessità di assistenza e cura. La complessità e le peculiarità dei problemi sono significativamente collegate alla maggiore attenzione che il paziente ultraottantenne sta ricevendo all interno della comunità scientifica. La ridotta attesa di vita, l importanza centrale della qualità e delle condizioni della stessa, la capacità di consenso alle cure non infrequentemente ridotta, caratterizzano l esistenza di molte persone in questa fascia di età. L incontro col grande vecchio mette, quindi, il medico a confronto con gli stili di vita inconsapevolmente vincenti, con la spiegazione e l orgoglio della propria longevità, con l angoscia degli infiniti eventi di perdita occorsi. Su queste basi è nato l incontro di Genova articolato in due giornate. Nella prima si è cercato di rispondere sul piano generale alle problematiche sopradescritte e di delineare operativamente il ruolo dell Aip; nella seconda giornata sono stati articolati più in dettaglio aspetti specifici di terapia, di diagnostica, di relazioni tra operatori, pazienti e familiari e, infine, gli aspetti organizzativi. L allocazione di risorse, i luoghi di erogazione delle stesse, il ruolo e la figura del medico specialista del futuro hanno rappresentato i cardini di un complesso ragionamento, che ha attraversato le due giornate di lavoro. Probabilmente nessun paziente come l ultraottantenne pone ai clinici interrogativi sull etica e sul senso delle scelte fatte e di quelle da fare nelle prospettive, nell equilibrio tra diritto alla cura e diritto/dovere al limite di essa. A tutte queste problematiche e al mondo del grande vecchio ci avviciniamo col rispetto originato da conoscenze imperfette e con la forza di scelte professionali convinte ed eticamente fondate. La sezione ligure dell Aip, che si è costituita anni fa proprio attorno al tema della relazione tra amici professionisti delle tre discipline, è particolarmente orgogliosa di aver ospitato i colleghi del direttivo in questi due giorni di seminario. I contributi di questo numero della nostra rivista sono stati pubblicati anche con la speranza di poter restituire, almeno in parte, il clima di crescita culturale che si è creato, clima che caratterizza le relazioni tra i soci tutti.

54 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Lettura per il direttivo Aip Don marino poggi Ogni uomo è persona, ma il riconoscimento dell assolutezza della persona avviene fra persone, per cui si può sostenere che non c è persona senza comunità e solo in essa la persona può rivendicare la propria identità ed esercitare quindi in senso pieno i propri diritti. Il diritto della persona anziana alla cura è un problema nel più vasto interrogativo sul fondamento del diritto alla cura e sulla necessità della risposta esplicita al diritto, necessità che chiamiamo dovere. Ora i diritti hanno come fondamento la persona umana, e l appello che da essa viene, anche se non viene riconosciuto, non cessa comunque di generare responsabilità. I diritti si riconoscono, non si concedono. è proprio della persona essere affidata. Può succedere infatti che, a fronte di una giusta richiesta che ci viene rivolta, non si sia all altezza di una risposta competente e adeguata, ma questo non annulla il dovere di dare una risposta (es. il diritto alla cura in paesi poveri). La famiglia è la prima comunità a cui siamo affidati e in essa impariamo a esercitare i primi diritti. A questo punto si pone una domanda: nasciamo già persone oppure diventiamo tali dentro relazioni personali che fanno crescere e fiorire in noi la nostra umanità? Siamo già persone, perché senza la assolutezza della persona non ci sarebbero relazioni, ma c è un cammino temporale da compiere, dentro uno sforzo concreto, più o meno favorevole alla nostra crescita. Ci sono perciò fasi della nostra esistenza che sono sotto la nostra responsabilità e quella dell ambiente umano che ci ha accolti: come dire che l essere persona non si esercita nell autosufficienza. A proposito di queste fasi, a un primo sguardo possiamo parlare di tempi più passivi e altri più attivi, di una fase di apprendimento e poi di una fase produttiva, ma subito ci rendiamo conto che questa lettura funzionale non accoglie pienamente quella novità che è l uomo, cioè la persona capace di relazione (per esempio, nel bambino, quale ricchezza si sprigiona!). Le scoperte scientifiche, frutto dello studio del cervello umano, ci danno conferma che l uomo è fatto per mettersi in relazione. Il diritto alla cura è una delle tante relazioni possibili e, come ogni diritto, lo si può esercitare solo attraverso le relazioni in cui viviamo. Verrebbe così da pensare che la relazione è una realtà che ci anticipa, anche se è chiaro che non ci sono relazioni di fatto se non tra persone reali, di fatto esistenti. Concludendo: senza un ambiente umano fatto di relazioni, non ci sarebbero fasi dell esistenza se non biologiche e tutto sarebbe misurabile solo col criterio dell utilità e dell inutilità. I diritti hanno senso in un ambiente umano che li ha resi percepibili e quindi possibili. Alternativa tragica a questa realtà sarebbe dire che la forza e il denaro, con il loro potere, sono l unica possibilità che abbiamo per far valere i diritti.

55 Lettura per il Direttivo AIP 55 è vero che là dove la relazione è libera, gioiosa e gratuita, si realizza una vera promozione umana, perché solo in un ambiente simile l uomo impara ed esercita il sincero dono di sé (Gaudium et spes, 24). Però è altrettanto vero che questa libertà è vocazione, aspirazione, traguardo da raggiungere, mentre la quotidianità, dentro e fuori di noi, ci misura e ci inquadra dentro prestazioni da offrire. è amaro riconoscerlo: non è spontaneo il dono, ma la difesa; la sopraffazione e il confronto ci sconvolgono. Tutto ci invita a tenerci le cose in mano e solo momenti particolari ci danno la gioia del dono L uomo si è perso? Perché dobbiamo lottare contro una logica solo mercantilistica, mentre il lasciarsi andare al dono di sé sarebbe pericoloso? Le risposte sono molte, forse alcune più fondate di altre. La prima e più ovvia dice che l uomo è biologicamente egoista e può affermarsi e difendersi solo con la forza (si badi bene che questa posizione esclude veri diritti e dà valore solo a quelli sostenuti da adeguata suasion ). La seconda invece afferma che la gratuità abbellisce la lotta di tutti contro tutti e la ingentilisce, anche se essa è tipica di anime elette e non riesce a essere regola (in questo caso il diritto spera e anela a incontrare anime elette). Una terza risposta, molto complessa, afferma che la gratuità è originaria, ma l uomo è caduto dalla sua posizione di inizio e vive la sua storia come un continuo sforzo di recupero di questo bene perduto, di questa chiamata (si parla di peccato di origine e di redenzione). In questo caso il diritto va riconquistato nell esercizio del proprio dovere. In questa risposta è fondamentale l esigenza che qualcuno ci ami per primo e che ci si senta destinatari di questo dono. Per capire meglio la portata di quest affermazione, facciamo un esempio: senza uno stato di diritto è impossibile affermare dei diritti senza correlarli con la forza: forza che, inevitabilmente, nelle mani di chi la esercita tenderebbe a prendere il posto del diritto stesso. Ma torniamo al nostro tema: come si può esercitare il diritto alla cura senza una capacità contrattuale con chi tiene in mano i mezzi per soddisfare quest esigenza? Il diritto alla cura si può esercitare solo dentro una comunità, cioè dentro uno stato di diritto. A questo punto della riflessione, dopo aver riconosciuto la necessità di un ambiente umano dentro il quale è indispensabile crescere, diamo uno sguardo alle fasi della vita, per soffermarci quindi sulla fase ultima della vita anziana. Dire che la vita possa essere descritta come una parabola è palesemente insufficiente. In ogni fase della vita l uomo sa amare e questa capacità rappresenta il motore recondito della crescita. L amore però abbiamo detto che nasce come risposta, per cui senza la sollecitazione di un dono gratuito l amore stenta a sbocciare, si rinchiude e rintana, si difende e comincia a guardare al proprio bisogno, frammentandosi in mille esigenze, in bisogni che trovano un parziale appagamento solo nella soddisfazione immediata di questa o quella richiesta: e su queste dinamiche gli esempi si sprecano. L uomo che impara ad amare non disdegna il fare, anzi lo considera il segno chiaro della propria capacità di dono: non c è infatti opposizione fra il fare e l amare, anche se c è un primato assoluto dell amore che sfugge a ogni tentativo di misura. Pensare alla maturità come la fase dell operosità è fondato sui fatti, ma guai se dovesse entrare in letargo e si spegnesse la capacità di amare. Dove si troverebbero gli educatori, non di mestiere, ma di vita? Il fare facilita l identificazione di sé (lascia segni evidenti, quantificabili), mentre l amore, proprio per la sua gratuità, non pretende riconoscimenti. In una società dei consumi, l enfasi del fare è scontata, ma getta luci e ombre sulla fase meno operosa dell esistenza, quella della persona anziana. Ma anche nella prima fase, quella dell infanzia, una mentalità propensa a valorizzare i fatti tende a offrire anche troppo ai bimbi e a indirizzarli sulla strada delle prestazioni (spesso anche la scuola di formazione, quella dei primi anni scolari, è troppo orientata al servizio delle prestazioni). Tornando al diritto alla cura della persona anziana, come affrontarlo e riconoscerlo nei fatti e secondo giustizia? Accettato che la relazione si attua e vive nel tempo e nello spazio, il diritto alla cura dell anziano deve essere contestualizzato: in Italia, a Genova, in periferia come in centro, come residente o come ospite Il diritto del tutto a tutti è illusorio e non è mai esistito, se non nella mente malata di chi pretende o si pone come onnipotente nell azione, nel fare. Ogni relazione vera vive e si esercita nella semplicità, nell umiltà, nella povertà e nella riconoscenza. Accostarsi a una persona che chiede aiuto è dovere, solo se generato da un diritto vero e autentico. Se il diritto è presunto (pretesa), ci trovia-

56 56 Don marino poggi mo di fronte a una malattia della psiche, oppure siamo di fronte a una pretesa da contrastare. Chi chiede aiuto sollecita o la paura e il senso di impotenza, oppure un certo desiderio di onnipotenza. è necessario un discernimento, cioè la chiara coscienza di sé e delle proprie possibilità e la conoscenza della richiesta e della sua verità. Per esempio il diritto alla cura invita il medico a chiedersi quale sia la verità del suo servizio e quale sia di fatto il bisogno. Sappiamo quanto sia facile lasciarsi andare a diagnosi preconfezionate oppure a fare calcoli sulla possibilità di vita del malato oppure a condividere pretese di eternità immortalità, o ancora a limitarsi al semplice utile economico. Guai a dimenticare che tutto passa (panta rei ) e che il valore delle nostre esistenze riposa sempre più in profondità: nella capacità di amare, in cui si colloca l essenza dell uomo. Se il discorso precedente ci ha convinto, possiamo suggerire questa intuizione: il diritto vero alla cura dell anziano è reso evidente ed efficace dallo sguardo di rispetto e comprensione della persona che lo accoglie e si pone al suo servizio. Questo è vero per tutti, ma per l anziano esistono più dubbi di essere importante, di valere, di non essere solo un peso e quindi di troppo. Un medico che guarda in faccia! Ritengo che talvolta l accanimento terapeutico nasca dal senso di impotenza del medico che ha sbagliato approccio, o dal malato che vive in una condizione di pretesa, poco umana, magari favorita dalle possibilità economiche.. Di fronte a chi sta consumandosi non è facile cogliere il suo valore personale: nell impotenza, l uomo rischia di essere buttato oppure di buttarsi via. L anziano capace di amore conosce i suoi limiti e facilita il medico, ma ha bisogno che l amore verso di sé venga sostenuto. è fondamentale che sappia di avere valore, di essere importante, un membro vivo e indispensabile alla compagine umana, una creatura che può scoprire in maniera ulteriore il senso della sua vita e rinviare la domanda a chi lo soccorre. Riassumendo si può dire: - il progetto in cui inserire la diagnosi e la cura deve comprendere il senso dell esistenza anche sofferente; - la sfiducia sulla possibilità di riuscita della cura non deve inficiare il rapporto, perché anche una impotenza sofferta è molto vera, autentica e umana e non atterrisce chi soffre; - lo scambio personale deve passare attraverso delicatezze che ogni medico sa trovare e che talvolta sono anche più efficaci delle medicine; - la maturità della relazione da instaurare passa da ciò che viene indicato dal paziente come proprio bisogno, alla persona stessa che mostra il proprio volto, rivelando a poco a poco il suo segreto. Occorre non aver paura di questo aspetto profondo del rapporto. Purtroppo c è una domanda lecita nell agire medico, agire che è tecnico-scientifico, domanda che, alimentata dalla mentalità tendenziale di oggi, diventa pericolosa. Qual è la possibilità di successo delle cure? Questa domanda da sempre ha condotto il medico a chiarirsi sul senso del proprio servizio. La relazione di aiuto del medico si riconosce sia nel servizio offerto, sia nella relazione che è capace di instaurare: è una relazione asimmetrica, quindi molto delicata da viversi. Eccone alcuni aspetti: - tenere in mano qualcuno - decidere al suo posto - sapere da subito il da farsi Sono poteri e pericoli reali, accomunati da un offerta di aiuto che, prima che generosità, è dovere. Essere forti e risolutori è entusiasmante e ambiguo al contempo, anche perché spesso è proprio quello che il paziente chiede. Essere pronti ad ascoltare la richiesta di aiuto e offrire attenzione e professionalità all interno di una disponibilità relazionale, è il primo passo per un servizio medico sano. Le relazioni si vivono veramente nella semplicità e nella comune povertà che è felice di arricchirsi con il dono dell altro e diviene alleanza, istruita dalla realtà. è un cammino aperto nelle due direzioni, sia il paziente sia il medico devono crescere nel rapporto, accettando la chiamata a essere uomini innanzitutto, qui e ora. Nella vera relazione di aiuto, non c è in assoluto chi dà e chi riceve, al più si può intravedere chi dà per primo, ma senza chiedere nulla in cambio: si beve insieme alla stessa fonte!. Si può concludere che la professione medica ha da sempre incontrato l uomo, per cui primariamente è valutata nel suo valore etico, anche se la competenza scientifica-tecnica rappresenta un corredo importante e indispensabile. Nella cura dell anziano è molto chiaro che il medico è continuamente sollecitato a guardarsi dentro e a curare la sua stessa crescita. La cura vera è sempre reciproca, se non lo fosse non potrebbe instaurarsi quella alleanza dalla quale nasce e cresce l uomo.

57 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Primi bilanci sull andamento di un centro notturno per anziani FERNANDO ANZIVINO 1, FRANCESCA BALESTRI 2, CINZIA RICCI 3 1 Geriatra, presidente regionale Aip Emilia Romagna 2 Medico in formazione in nucleo demenze 3 Psicologa, nucleo demenze di Misano Adriatico fernando.anzivino@gmail.com Perché un centro notturno? Per rispondere a un bisogno e a una esigenza espressa dai familiari e raccolta dal centro di ascolto aziendale. Durante questi momenti è emersa anche la necessità da parte di alcuni familiari di essere aiutati nella fascia notturna (momento in cui insorgono maggiormente i disturbi del comportamento con wandering legati all alterazione del ritmo sonno-veglia caratteristico di questa malattia. Per soddisfare questo bisogno emergente si è valutato di proporre un progetto per la realizzazione di un centro semiresidenziale notturno per anziani da attivare presso i locali del centro diurno. Inoltre la realizzazione di questo progetto si trova in linea con le indicazioni del progetto demenze della Regione Emilia Romagna del 30/12/1999 e risponde alle proposte sperimentali incentivate dalla Regione Emilia Romagna (delibera di giunta n del 99) 1. Il progetto demenze individuando la famiglia come risorsa importante nella cura e nell assistenza dei malati rende importante attivare azioni di supporto nei loro confronti. Il servizio propone soluzioni di sollievo alla famiglia offrendo assistenza notturna e ospitalità temporanea continuativa o saltuaria, da una notte fino a un massimo di tre settimane (21 giorni). I destinatari di questo servizio sono anziani con disturbi del comportamento e alterazione del ritmo sonno-veglia. Individuare gli spazi adatti Per gli anziani affetti da demenza spazi e ambienti hanno grande potenzialità terapeutica. Per questo si è pensato di utilizzare gli ambienti del centro diurno: sicuri, spaziosi, privi di barriere, dove l anziano può muoversi tranquillamente in sicurezza e dove gli stimoli sono attenuati (rumore, poche persone, ambienti con arredi ridotti al minimo indispensabile). Il problema della selezione del personale è stato risolto utilizzando persone formate appositamente nel saper riconoscere e poter rispondere adeguatamente ai problemi di tipo comportamentale e di difficile gestione (delirium, aggressività, wandering, ecc.) e allo stesso tempo saper mettere in pratica quei meccanismi psicologici di autodifesa necessari al ruolo specifico di colui che assiste. Il personale ha esperienza pluriennale nel settore. Vista la sperimentazione dl servizio si è pensato di creare un piccolo nucleo destinato a ospitare massimo cinque anziani.

58 58 FERNANDO ANZIVINO, FRANCESCA BALESTRI, CINZIA RICCI Orario di apertura: il centro notturno è attivo di norma dalle alle 7.30 del mattino per 365 giorni all anno, con la possibilità di arrivare al centro entro le Vi è la possibilità, per parenti e conoscenti, di effettuare visite fino alle Il rapporto personale/utente è di 1:5 massimo, con possibilità di adeguamento in base alla gravità delle problematiche presentate e per l effettuazione di particolari prestazioni assistenziali. Per alcuni ospiti è stato attivato anche un rapporto 1/1. Il problema del cambiamento di ambiente Quando una persona si ammala viene compromessa anche la capacità all adattamento ambientale e l inserimento in un nuovo ambiente costituisce un radicale cambiamento e può incidere sul benessere psicofisico dell ospite. Per questo motivo prima dell ingresso si cerca di raccogliere maggiori informazioni sul vissuto, sulle conoscenze, sulle abitudini e sui gusti dell anziano. Queste informazioni sono utili nel lavoro di equipe per la progettazione degli interventi individuali mirati. Gli obiettivi del centro semiresidenziale notturno sono: - alleviare l impegno familiare, già sovraccaricato dall assistenza diurna dell anziano, con un accoglienza protetta solo notturna; - consentire alla famiglia di poter usufruire di periodi di riposo notturno; - diminuire lo stress del caregiver legato alla assistenza; - mantenere l anziano il più lungo possibile al proprio domicilio; - gestire i disturbi del comportamento attraverso interventi di terapia non farmacologica, - evitare il ricorso a misure contenitive tranquillizzando l ospite attraverso un rapporto empatico e di ascolto che permetta di comprendere la sua realtà e gestire i momenti di ansia. Elementi positivi del servizio Flessibilità del servizio: - in termini di orari (dalle 17,30 alle 7,30 dal lunedì alla domenica); - di modalità di frequenza (da una notte a massimo 21 notti consecutive); - di tempestività di attivazione e del tipo di attività proposte all anziano. - Tale flessibilità consente di mantenere inalterati i ritmi dell anziano che lascia il proprio domicilio per passare la notte in un altro luogo a lui sconosciuto. Programma delle attività: Il programma di attività quotidiane si ispira ad alcuni criteri fondamentali: - la personalizzazione degli interventi di assistenza; - la flessibilità dei ritmi; - le modalità di esecuzione delle attività (adeguate alle esigenze di ogni singolo ospite: per esempio orario flessibile del pasto, della messa a letto, del bagno etc.); - la valorizzazione della capacità funzionale residua di ogni singolo anziano; - la promozione dell autonomia nelle attività di vita quotidiana (ADL - quali mangiare, vestirsi, etc.). Fasi in cui si struttura l assistenza Accoglienza: accompagnamento dell utente negli spazi dedicati, attività utile all ambientamento e alla rassicurazione. Attività serali: socializzazione, piccole attività occupazionali, cure igieniche, somministrazione della cena con possibilità di pasti personalizzati, somministrazione dei farmaci su esclusiva prescrizione medica, attività di preparazione e di predisposizione dell ospite al riposo notturno. Attività notturne: gli anziani che presentano disturbi del ritmo sonno-veglia possono usufruire contemporaneamente di sorveglianza, assistenza e attività specifiche al fine di ridurre stati di elevata agitazione. Attività mattutine: cure igieniche, somministrazione della colazione, preparazione dell ospite per il rientro al domicilio. Osservazione e annotazione di tutti gli elementi di disturbo e di rassicurazione durante la notte per redigere il Pai e trasmettere informazioni utili alla famiglia. Rapporti con i familiari: Il centro propone incontri individuali con i famigliari dell ospite; agli incontri partecipa la psicologa, l educatore e/o l animatore e la referente degli addetti all assistenza. Le date e gli orari dell incontro vengono concordati con il familiare. Spesso a tale colloquio seguono contatti abbastanza frequenti e stabili

59 Primi bilanci sull andamento di un Centro Notturno per anziani 59 fra la famiglia e gli operatori: sono incontri che definiamo informali, perché possono avvenire anche senza appuntamento quando il famigliare accompagna l ospite al centro, o tramite contatti e colloqui telefonici. Risultati raggiunti: il servizio è partito a ottobre 2006 ed è tuttora funzionante, è convenzionato con l AUSl del distretto centro nord di Ferrara anche se il numero degli anziani che ne hanno usufruito è ancora residuo per poter far delle considerazioni e valutazioni tecniche sul raggiungimento degli obiettivi generali del servizio. Fino a ora, comunque, i risultati sono stati abbastanza confortanti con reciproca soddisfazione da parte dei familiari, degli operatori e degli anziani che durante questi periodi non hanno peggiorato i loro disturbi comportamentali. Utenza: le persone che hanno usufruito dei periodi di sollievo hanno richiesto direttamente l accesso. La struttura ha provveduto, per la maggioranza di essi, a richiedere la valutazione e l autorizzazione alla Unità di valutazione geriatrica, potendo così accedere al convenzionamento. Per altri, invece, la richiesta di ospitalità era dettata da gravi e urgenti necessità familiari, per cui non si è avuto il tempo di richiedere il convenzionamento. Da aprile 2007 al 31/12/2007 la situazione è stata la seguente: - dieci ospiti autorizzati dalla UVG per un totale di 88 accessi; - quattordici ospiti convenzionati per la frequenza del centro diurno i cui familiari hanno richiesto accoglienza temporanea di sollievo; - sette ospiti per cui non è stato possibile attivare la procedura del convenzionamento in quanto l accoglienza è stata organizzata urgentemente per affrontare gravi emergenze dei familiari; Dal 1/1/2008 al 31/12/2008: - 84 accessi convenzionati per un totale di gg 420 di ricovero; - sei accessi di ospiti non convenzionati perché di altre Ausl per un totale di gg 25; - 35 accessi per cui non è stato possibile attivare la procedura del convenzionamento in quanto l accoglienza è stata organizzata urgentemente per affrontare gravi emergenze dei familiari; - in media ogni ospite ha usufruito del servizio per cinque giorni. I dati successivi sono in via di elaborazione ma da una prima valutazione si mantengono costanti nel tempo. Soddisfazione dei famigliari Ci limitiamo a evidenziare, attraverso la presentazione dei risultati di un questionario somministrato ai familiari nel febbraio 2008, il gradimento rilevato. Il questionario è stato inviato a tutti i familiari che nel 2007 hanno usufruito del servizio. Ne sono rientrati 24 su 31 spediti. Dalla lettura è emersa totale soddisfazione relativamente: - alle modalità assistenziali e relazionali degli operatori; - agli orari di apertura; - alla chiarezza e trasparenza delle informazioni ricevute; - all utilità del servizio. Per quanto attiene a eventuali modifiche del comportamento il 50% ha notato miglioramenti sul comportamento e il 50% non ha notato alcun cambiamento. Alla domanda: su una scala da 1 a 10, quanto potrebbe dirsi soddisfatto del servizio?, il risultato è stato di 9. Criticità rilevate Scarsa conoscenza del servizio: si tratta di un servizio nuovo che, anche in fase di proposta quale aiuto temporaneo alla famiglia, viene spesso visto dal caregiver non solo come una sconfitta e un insuccesso personale nella cura del proprio caro ma anche con il timore che l anziano, cambiando ambiente (rumori, odori, spazi, visi diversi), possa disorientarsi maggiormente e accentuare i disturbi comportamentali. A volte il familiare ha difficoltà ad ammettere di aver bisogno di aiuto perchè scattano meccanismi di difesa e di diffidenza. Difficoltà nello spostare l anziano dal proprio contesto: non sempre è possibile far frequentare il centro a tutti gli anziani in quanto alcuni presentano grandi disabilità e difficoltà a uscire di casa ed essere trasportati. Costi: il costo di gestione è maggiore di quello del servizio centro diurno. utilizzare spazi, attrezzature e materiale del centro diurno ha comunque permesso di contenere la retta a carico della famiglia. Tuttavia, per chi ha potuto usufruire dell accesso in regime di convenzione, la retta è stata solo leggermente superiore a quella del centro diurno.

60 60 FERNANDO ANZIVINO, FRANCESCA BALESTRI, CINZIA RICCI Positività rilevate L anziano, non sradicato dalla sua realtà territoriale, ha potuto mantenere le relazioni familiari, di vicinato, il suo spazio domestico, arricchendosi di nuove relazioni altrimenti non possibili a causa del deterioramento fisico e psichico. La valenza riabilitativa del servizio: l esiguo numero di ospiti permette una maggiore e attenta osservazione consentendo all operatore di prendere consapevolezza di abilità residue di cui non si era ancora venuti a conoscenza. Si dimostra così che in qualsiasi momento della permanenza è possibile attivare azioni stimolanti o rassicuranti al fine di favorire il benessere dell ospite. L assistenza efficace all anziano demente con disturbi comportamentali la si può fare solamente in un rapporto diretto anziano/operatore: l utente già disorientato nello spazio e nel tempo necessita di muoversi liberamente, di liberare la propria ansia e non deve essere assolutamente contenuto e ricondotto a comportamenti cosiddetti normali ma al contrario deve essere tranquillizzato e indirizzato verso ciò che si ritiene normale per lui in quel momento. A conferma della valenza riabilitativa del servizio citiamo alcune esperienze. Paziente G: affetto da malattia di Alzheimer con grandi difficoltà di espressione verbale, durante la frequenza al centro notturno recitava correttamente le preghiere serali. Gli operatori hanno colto questa sua risorsa e hanno attivato un progetto teso a valorizzare la sua capacità di espressione verbale. Paziente A: presentato come persona solitaria e con difficoltà ad entrare in relazione con altri, ha partecipato a un attività ricreativa serale strutturata, a cui hanno partecipato anche i familiari di altri ospiti, socializzando in modo adeguato. Paziente R: presentata come persona disorientata che di notte vaga per casa senza meta, trovando un ambiente adatto e dotato di punti luminosi di riferimento è riuscita a utilizzare autonomamente il bagno. Note 1 Delibera di giunta della Regione Emilia Romagna n del La Regione incentiva e assicura il monitoraggio delle esperienze che si sviluppano nel territorio regionale con particolare riferimento a: a) soluzioni abitative innovative per piccoli gruppi di dementi, quali alternative al ricovero in strutture residenziali collettive, con sperimentazione di forme gestionali che valorizzano tutte le abilità e le autonomie persistenti; b) realizzazione di abitazioni di dimensioni e collocazioni idonee a ospitare nuclei familiari con anziani affetti da demenza. La collocazione urbanistica, la dotazione di attrezzature e di impianti adeguati, la prossimità e la facilità di accesso a spazi verdi protetti costituiscono elementi che potranno caratterizzare queste esperienze; c) attivazione di centri notturni per garantire assistenza durante la notte ad anziani affetti da demenza nelle fasi maggiormente problematiche per quanto riguarda i disturbi comportamentali, consentendo ai familiari che li assistono di fruire del riposo notturno; d) diffusione dell utilizzo di supporti tecnologici destinati sia alle persone anziane affette da demenza, per vivere dignitosamente e con sicurezza al proprio domicilio e in comunità, sia a coloro che a vario titolo assistono persone affette da demenza. Una particolare attenzione va posta nell individuare soluzioni tecnologiche integrate nell ambiente di vita capaci di rispondere alle esigenze etiche e di rispetto delle persone, verificandone l efficacia in termini di miglioramento della qualità della vita delle persone affette da demenza e di chi li assiste; e) diffusione di attività a carattere preventivo ( mantenimento della memoria ).

61 PSICOGERIATRIA 2012; 2: La circonvenzione di persona incapace nei molto anziani: profili psichiatrico-forensi F. Scapati, D. La Tegola, F.j. Carabellese, M. Bruno Sezione criminologia e psichiatria forense, università degli studi di Bari francesco.scapati@tin.it La circonvenzione di persona incapace rappresenta una fattispecie delittuosa espressamente contemplata dal nostro codice penale, all art. 643, il quale prevede che: «chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o dell inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito [ ]». Non vi è dubbio che l anziano sia vittima privilegiata di questo reato, sia quando il suo quadro clinico presenti un semplice invecchiamento cerebrale, sia quando la situazione sia complicata da fatti degenerativi o vascolari. La vulnerabilità specifica che caratterizza, infatti, l anziano, lo espone in maniera particolare al rischio di rimanere vittima di suggestioni, pressioni ambientali, influenze esterne, in altre parole lo pone in balia di quell attività induttiva che costituisce uno degli elementi fondanti di questo reato e che può condurlo a rischiare di perdere o compromettere i beni, piccoli o grandi che siano, accumulati in una vita di lavoro. Le difformità di valutazione riscontrate in un ventennio di sentenze giurisprudenziali nonché la quotidiana pratica forense, mentre da un lato si presenta operativamente pressoché rassicurante per tutto ciò che riguarda l approccio al concetto di infermità, che per la persona anziana fa capo a ben precise codificazioni e classificazioni nosografiche, viceversa compare densa di inquietanti interrogativi privi di valide segnaletiche giurisprudenziali e diagnostiche, lì dove c è invece da valutare il concetto aleatorio di deficienza psichica prevista dallo stesso codice penale. La corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che l età senile, benché spesso si accompagni a disturbi delle funzioni psichiche, non può da sola, isolatamente considerata, essere ritenuta condizione sufficiente o elemento idoneo a dimostrare e a concretare la deficienza psichica se il soggetto conserva le capacità fisiche e psichiche essenziali a comprendere, a volere, a determinarsi; d altra parte non può essere trascurato l effetto dell età sul complesso delle condizioni psichiche della persona, specie in relazione a taluni fenomeni che spesso si riallacciano alla vecchiaia (Cass. pen., 17 novembre 1937, Giust. pen., 1938; Cass. pen. 15 febbraio 1943, Giust. pen., 1973). Il giudice deve accertare se nel caso concreto sussistano effettivamente quei turbamenti della sfera intellettiva che, benché consueti nelle persone di età avanzata, non possono senz altro presumersi esistenti nel soggetto passivo al momento del fatto. La vecchiaia fisiologica può acquistare rilievo agli effetti dell art. 643 c.p. quando, attraverso la valutazione di tutti gli elementi processuali, il giudice giunga a stabilire che l età ha determinato uno stato di indebolimento mentale o altre alterazioni della psiche. Il reato di circonvenzione di incapace sussiste nel caso di accertata alterazione di natura arterosclerotica determi-

62 62 F. Scapati, D. La Tegola, F.j. Carabellese, M. Bruno nante un processo di involuzione senile che oltrepassi i limiti fisiologici (Cass. pen., 13 giugno 1961; Cass. pen., 10 ottobre 1961; Cass. pen., 3 dicembre 1972). La sentenza n del 10 ottobre 1961, richiamandosi alle osservazioni del perito psichiatra, ha rilevato che l esame clinico e neurologico aveva messo in evidenza, nella paziente, dati riferibili a un alterazione diffusa di natura arterosclerotica e aveva fatto riscontrare un processo in involuzione senile che oltrepassava i limiti fisiologici e che aveva compromesso le facoltà mentali (poteri critici e volitivi). «L incriminazione mira a proteggere da ogni forma di sfruttamento subdolo, le persone che sono in stato di infermità mentale [ ] rientrano perciò nella disposizione in esame anche i vecchi, gli ubriachi e financo gli individui viventi in stato di completa rusticitas oltreché, ovviamente, i minori, gli interdetti, gli inabilitati, le persone inferme o psichicamente deficienti» (Antolisei, 1955). Cassinelli (1938) rileva che: «il riferimento della relazione ministeriale ai vecchi, alle donne e alla rusticitas delle persone ignoranti viventi nelle campagne, non implica già un elencazione di deficienza mentale per categorie di persone, il che sarebbe assurdo, ma indica soltanto, per esemplificazione, quelle categorie nelle quali può più facilmente rivelarsi quella deficienza o insufficienza mentale allo scopo di dimostrare come questa non debba avere uno specifico carattere morboso, né debba stabilirsi clinicamente con l indispensabile intervento dello psichiatra» (Battaglini, 1938). È spesso difficile nello stato senile distinguere lo stato fisiologico da quello patologico, poiché le modificazioni cellulari e dei tessuti (atrofia senile), le modificazioni del ricambio strettamente collegate tra loro e interferenti, si riflettono sulle varie funzioni degli organi che «turbandosi portano e mantengono tanto spesso lo stato senile sui margini della patologia quand anche non vi entrano in pieno» (Papere, 1934). Secondo la Cassazione penale sezione II, sentenza del 16 dicembre 1981, n : «Nel reato di circonvenzione di persona incapace, al fine di accertare la deficienza psichica non occorre una vera e propria malattia mentale, ma è sufficiente uno stato di deficienza psichica, del potere di critica o di indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l opera della suggestione». Quanto alla struttura del reato, la condotta è individuata da due concetti: induzione e abuso. L induzione consiste, in un ipotesi delittuosa, in un condizionamento particolare, volto a far sì che il soggetto dell influenza compia un atto dalle conseguenze dannose. È poi necessario l abuso, cioè che l induzione sia attuata avvantaggiandosi delle condizioni di inferiorità in cui si trova la vittima del reato. A differenza della truffa (art. 640), la circonvenzione di incapace è reato di pericolo e non di danno; presuppone particolari condizioni nel soggetto passivo, non implica di necessità l uso di artifici o raggiri, essendo sufficienti consigli, esortazioni, blandizie, lusinghe, l isolamento con promessa di assistenza, mantenimento e tutela o altro (sentenze Cass. sez. V, 16 maggio 1978; sez. V, 3 novembre 1978; sez. V, 20 marzo 1979) (Fornari, 2004). Soggetti passivi del reato sono gli infermi di mente, i deficienti psichici e i minori. Infermi di mente sono ritenuti concordemente in dottrina coloro che presentano una rilevante minorazione della sfera intellettiva o volitiva, con una notevole alterazione della capacità di intendere e di volere, afferente a un ben preciso quadro morboso psicopatologico. Sull interpretazione dello stato di deficienza psichica riportiamo alcune sentenze repertate nell ambito di una ricerca svolta per conto del Consiglio nazionale delle ricerche, tralasciando l ordine meramente cronologico. «Nel reato di circonvenzione di incapaci, il giudice, al fine di accertare lo stato di deficienza psichica del soggetto passivo, può ben dare rilevanza alla passione morbosa che il soggetto passivo (una donna di età avanzata) nutriva per l agente (assai più giovane) commista a una costante esaltazione mistico-sentimentale, poiché è noto che, al pari della carenza affettiva, la tenace presenza di un idea dominante, carica di contenuto emotivo, unitamente a una forte tensione affettiva, possono, specie in persone anziane e in soggetti dalla personalità debole, avere un effetto deviante del pensiero critico e un azione nettamente inibitrice sulla volontà» (Cass. sez. V, 30 maggio 1978). «Se è vero che l età avanzata del soggetto passivo, isolatamente considerata, può non essere un elemento idoneo a dimostrare la deficienza psichica agli effetti del delitto di circonvenzione di incapace, essa però non può essere trascurata, se è di gran lunga superiore alla media della vita, e ha messo in luce imponenti manifestazioni di decadimento mentale» (Cass. sez. V, 8 giugno 1979). «Rispondono in concorso di tentativo di circonvenzione di incapaci pluriaggravata il presidente del Movimento freudiano internazionale e lo

63 La circonvenzione di persona incapace nei molto anziani: profili psichiatrico-forensi 63 psicoanalista appartenente all associazione per aver tentato di indurre una paziente in analisi ad acquistare una quota di società del gruppo, minacciando l interruzione del trattamento analitico come conseguenza di un suo eventuale rifiuto [ ]» (Tribunale di Milano, 17 luglio 1986, Pres. Pescarzoli, Att. Verdiglione, Conv. A.A., Foro It 1987, II: 30). «Ai fini della sussistenza del reato di circonvenzione di persona incapace, non è necessario che il soggetto passivo sia privo in modo totale della capacità di intendere e di volere. Ma è sufficiente che lo stesso versi in uno stato di minorazione della sfera intellettiva e volitiva, tale da privarlo del normale discernimento e potere critico e volitivo così da essere indotto a compiere atti che una persona di media capacità critica non si sarebbe determinata a fare (fattispecie relativa a ritenuta sussistenza del reato in relazione alle condizioni di grave decadimento senile e di perdita delle qualità mnemoniche del soggetto passivo, incapace, perciò, di una cosciente volontà di autodeterminazione)» (cfr. mass. n ) (Cass. sez. II, 16 gennaio 1988, n ). «Nell art. 643 c.p. per concretarsi l induzione è sufficiente l impiego, da parte dell agente, di qualsiasi mezzo per persuadere o anche per rafforzare nel soggetto passivo una decisione pregiudizievole dallo stesso già adottata, impedendo, così, l insorgere di una volontà contraria a tale decisione e mancando nella norma ogni tipizzazione della condotta, la prova della induzione può essere anche indiretta, indiziaria e presuntiva e cioè risultare da elementi gravi, precisi e concordanti come l isolamento dell incapace, i continui e stretti rapporti dell agente con lui, la natura degli atti compiuti senza plausibili motivi e con incontestabile pregiudizio, atteso il potere-dovere del giudice penale di ricercare ovunque prove o elementi di prova al fine ultimo dell accertamento della verità cui è preordinato il processo penale» (cfr. mass. n ) (Cass. sez. II, 22 aprile 1988, n ). «Il reato di circonvenzione di persona incapace non esige, per la sua configurabilità, la sussistenza di uno stato di malattia psichica dalla quale discenda l incapacità di intendere e di volere del soggetto passivo; infatti, il legislatore ha inteso tutelare non tanto le persone parzialmente o totalmente incapaci dall abuso che l agente possa compiere per tale loro incapacità, ma ha inteso piuttosto salvaguardare quei soggetti che, a cagione della loro età o del loro stato di infermità o di deficienza psichica, che li rendono particolarmente assoggettabili alle pressioni, agli stimoli e agli impulsi che altri esercitano su di loro, siano facilmente determinabili e coscientemente indotti al compimento di atti pregiudizievoli» (cfr. mass. n e mass. n ) (Cass. sez. II, 17 giugno 1988, n ). «Non vi è contraddizione tra il ritenere sussistente l aggravante della minorata difesa (art. 61 n. 5 c.p.) nel delitto di rapina e l escludere il delitto di circonvenzione di persone incapaci (art. 643 c.p.), perché ai fini dell applicazione dell attenuante è sufficiente che la difesa sia semplicemente ostacolata per condizioni di tempo o di luogo ovvero perché si tratta di persona debole o incapace di difendersi per deficienze psichiche o fisiche laddove, per aversi il reato di circonvenzione di persona incapace, è richiesta la sussistenza di un effettiva minorazione delle facoltà intellettive o volitive che, indebolendo il potere di critica, facilita la suggestionabilità del minorato» (Cass. sez. II, 18 febbraio 1991, n ). «Le forme depressive e le manifestazioni di tipo emozionale strettamente collegate con l età fisiologica avanzata non assumono rilevanza ai fini dell ipotesi delittuosa di cui all art. 643 c.p., che richiede una menomazione psichica tale da incidere concretamente sulle condizioni del soggetto e da menomarne sensibilmente le capacità volitive e intellettive» (Cass. sez. II, 11 giugno 1991, n ). Il succitato excursus giurisprudenziale, pur presentandosi oltremodo chiaro in relazione alla differenziazione tra il concetto di infermità e quello di deficienza psichica, evidenzia ancora di più la distonia tra le necessità di pubblica tutela da parte del magistrato e l attuale non presenza di parametri di valutazione standardizzati in relazione allo stesso concetto di deficienza psichica, allo stato attuale del tutto aleatori, non punteggiato nei suoi parametri diagnostici e giammai pertanto comportante l oggettivo operato dello psichiatra forense. Difatti ricerche relative a oltre un ventennio di sentenze giurisprudenziali, hanno repertato antinomiche valutazioni, non soltanto nell ambito della stessa magistratura, bensì tra gli stessi periti, riscontrando enormi contrasti e disfunzionalità diagnostico-valutative nelle perizie repertate nei singoli fascicoli processuali, atteso peraltro che non sussiste la rigida equazione malattiacirconvenibilità, e una persona pur inferma di mente per una palese alterazione organica, può presentarsi ben consapevole del valore o del disvalore di contenuti, atti, fatti, donazioni e/o omissioni e si presenti pertanto non circonveni-

64 64 F. Scapati, D. La Tegola, F.j. Carabellese, M. Bruno bile; per esempio: «Poiché la demenza artereosclerotica ha carattere intermittente e ricorrente, essendo la normalità rappresentata dall alternarsi di periodi di capacità a periodi di incapacità, colui che impugna il testamento ha l onere di provare che questo fu redatto in un momento di incapacità» (Cass. civ., 4 maggio 1982, n ). Tra gli altri disturbi mentali, ricorrono nelle esperienze peritali più quadri minori che gravi patologie, come d altronde è facilmente immaginabile visto che le vittime del reato di circonvenzione di incapace devono mantenere, sia pure in maniera marginale, una capacità di consentire. Il reato si colloca, infatti, in quella zona d ombra nella quale vi è un atto apparentemente esente da vizi ma in cui si ritiene che la volontà espressa resa deficitaria dall esistenza di infermità sia stata in qualche modo influenzata, diversamente indirizzata da qualcuno che, resosi conto della particolare vulnerabilità della vittima, ne abbia abusato attraverso un attività induttiva esterna. La volontà del soggetto passivo, dunque, deve comunque essere presente dal momento che la circonvenzione si concreta nell incontro di due volontà, anche se una di esse è viziata per infermità o deficienza psichica. Anche il minore può essere vittima di questo reato, la cui finalità è ovviamente la protezione di persone che si trovino in condizioni di particolare debolezza, di vulnerabilità. Veniamo ora all analisi dell art. 643 c.p., tentando di scomporlo nei suoi diversi elementi costitutivi e per prima cosa definiamo i concetti di infermità e di deficienza. L infermità, come è stato esplicitato in precedenza, è un concetto generico, esteso: non coincide con quello di malattia mentale, ma naturalmente ne comprende ogni forma. Vi include, inoltre, tutte quelle condizioni cliniche, di qualsiasi origine e natura esse siano purché, evidentemente, di significato patologico che abbiano un riflesso sullo stato di mente di un individuo, pregiudicandone più o meno intensamente il funzionamento e le capacità di assicurare performance adeguate. Anche situazioni patologiche transitorie possono concretizzare una condizione di infermità. In effetti, la dottrina ritiene che siano applicabili qui gli stessi criteri di delimitazione del concetto di infermità utilizzato per il vizio di mente ex artt. 88 e 89 c.p., sebbene la fattispecie affrontata in questa sede richieda alcune specificazioni. «La nozione giuridica di infermità rilevante ai fini della imputabilità può in concreto essere integrata, oltre che da quelle alterazioni psichiche per le quali la scienza medico-legale utilizza la definizione di malattia di mente (e che la scienza psichiatrica definisce psicosi organiche o endogene ovvero a esse assimilate), anche da altre anomalie che la scienza psichiatrica riconduce nella categoria dell abnormità psichica e i cui soggetti sono per lo più designati con le espressioni di nevrotici (se la sindrome è caratterizzata da un particolare tipo di sofferenza, con senso di malattia, che si esplica con svariati sintomi e meccanismi) e di psicopatici (se la sindrome è caratterizzata da quadri e comportamenti dannosi non solo per il soggetto, ma anche per gli altri), le quali non integrano il concetto medico-legale specifico di malattia, ma costituendo varianti anomale dell essere psichico, sono ricondotte nella categoria medico-legale generica della infermità di mente» (Cass. pen. Sez. I., 29 settembre 1986). Nella circonvenzione di incapace, infatti, non è richiesta la totale esclusione delle capacità di comprensione e volitive, ma «è sufficiente che il soggetto passivo versi in uno stato di minorazione della sfera intellettiva e volitiva tale da privarlo di quel normale discernimento e potere critico e volitivo che lo inducono a compiere atti che una persona di media capacità non si sarebbe indotta a fare» (Cass. pen., 1 giugno 1987, Palumbo). E ancora: «per la configurabilità del reato di cui all art. 643 c.p. non è richiesta la completa assenza delle facoltà mentali o la totale mancanza nel soggetto passivo della capacità di intendere e di volere, ma è sufficiente uno stato di menomazione del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo» (Cass. pen., 26 marzo 1987, Mancino). Paradossalmente può dirsi che non solo non è necessaria la totale incapacità ma che, perché il reato si realizzi, debba essere presente una qualche attività psichica residua, tale da consentire l adesione, ancorché superficiale e ipocritica, del soggetto passivo allo stimolo induttivo. Per quanto riguarda il concetto di deficienza psichica, in questo rientrano non solo le condizioni psicopatologiche che risultano sfumate o meno gravi rispetto a quelle che caratterizzano l infermità, ma anche le situazioni cliniche al di fuori della psicopatologia vera e propria (debolezza di carattere, fragilità, particolare suggestionabilità) (Trib. Milano, 20 giugno 1997). Clinicamente può concretizzarsi in tutte quelle situazioni comunque al di sotto di una condizione di comune normalità : per esempio, un intelligenza borderline o una personalità con tratti peculia-

65 La circonvenzione di persona incapace nei molto anziani: profili psichiatrico-forensi 65 ri che tuttavia non concretizzano un disturbo di personalità vero e proprio. In altre parole la deficienza psichica ha un rilievo quantitativo che è plasticamente identificabile in qualcosa che si trova al di sotto di un immaginario confine che delimita la normalità, e che comprende entro di sé «condizioni psichiche che sfuggono alle classificazioni della psichiatria ma che il legislatore ha ritenuto meritevoli di tutela penale» quali per esempio, «abbassamento intellettuale, menomazioni del potere di critica, indebolimento della funzione volitiva o affettiva, che rendono facile la suggestionabilità e diminuiscono i poteri di difesa contro insidie» (Cass. pen., 16 aprile 1982). Il rilievo di un infermità o di una deficienza psichica naturalmente costituisce solo la premessa peraltro indispensabile per il riconoscimento del reato di circonvenzione. Non tutte le condizioni qualificabili, genericamente, come infermità configurano, infatti, una circonvenibilità. Se è vero dunque che uno degli elementi costituenti il reato è l attività induttiva, è necessario che il ricevente sia influenzabile, suggestionabile al punto da farsene condizionare; ma l esperienza clinica insegna che quadri anche rilevanti di patologia per esempio un disturbo delirante possono essere ben poco aperti alla suggestione mentre condizioni morbose molto meno gravi si pensi a un disturbo dipendente di personalità possono esserlo in misura maggiore. In definitiva, non tutte le diagnosi consentono di collocare automaticamente il soggetto nell alveo dei circonvenibili; è sempre necessario che sia presente, e in modo rilevante, quella che a buon titolo possiamo considerare la caratteristica psicologica fondante di tutti i quadri rilevanti ex art. 643 c.p., ovvero la suggestionabilità (Fornari, 2004), che definiremo patologica se riferita all infermità, particolare se riferita alla deficienza psichica. Per tornare al caso della vecchiaia, particolare attenzione bisogna dedicare all esame della sfera affettiva: la labilità emotiva e i frequenti stati d ansia, specie se correlati a decadimento dei poteri di critica, possono produrre condizioni di spiccata suggestionabilità, tali da porre l anziano in uno stato di vulnerabilità passiva, rendendolo potenziale vittima di abuso. Per altro verso non va commesso l errore di interpretare in chiave patologica ogni scelta effettuata sulla scorta di motivazioni impregnate di emotività. Operando diversamente, come correttamente sostiene Fornari, «si giungerebbe a sostenere paradossalmente la circonvenibilità in tutti i casi in cui, per esempio, una donazione si fonda sulla presenza di una disposizione emotiva contingente, comprensibile, motivata, ma non per questo particolare o patologica (la donazione del malato al personale di assistenza; il regalo di una persona anziana a una più giovane che di lei si sia presa amorevolmente cura ecc.). Tutti i rapporti umani, in altre parole, si costruiscono e si mantengono, in positivo o in negativo, sulla presenza di un certo grado di suggestionabilità reciproca» (Fornari, 2004). In definitiva, «il legislatore ha inteso tutelare non tanto le persone parzialmente o totalmente incapaci dall abuso che l agente possa compiere per tale loro incapacità, ma piuttosto salvaguardare quei soggetti che, a cagione della loro età e del loro stato di infermità o di deficienza psichica che li rendono particolarmente assoggettabili alle pressioni, agli stimoli e agli impulsi che altri esercitano su di loro siano facilmente determinabili e coscientemente indotti al compimento di atti pregiudizievoli» (Cass. pen. sez. II, 19 aprile 1988, n. 871, Bellacicco). Analoghe considerazioni si possono avanzare in tutti quei quadri clinici riconducibili al consumo e all abuso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, indipendentemente dal fatto che il consumo abbia determinato un ben delineabile disturbo da abuso di sostanze. L assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti e gli stati a essa correlati si pensi in proposito alla condizione di craving possono in potenza porre l individuo in posizione di vulnerabilità tale da esporlo al rischio di compiere atti con implicazioni giuridiche dannose per lui o altri, non solo di ordine patrimoniale ed economico. Una volta definiti i concetti di infermità e deficienza, ovvero le qualità che attengono alla vittima, restano da qualificare i concetti di induzione e abuso, che riguardano l autore di questo reato. L agente attivo della circonvenzione, riconosciuta la condizione di infermità o di deficienza psichica del soggetto passivo, apprezzato cioè il suo stato di suggestionabilità patologica o particolare, ne abusa, cioè ne approfitta consapevolmente. Quell abuso si concretizza appunto attraverso l induzione, come esprime chiaramente la seguente sentenza: «Ai fini della sussistenza del delitto di circonvenzione di persone incapaci, di cui all art. 643 c.p., il concetto di induzione, la quale è un elemento del tutto distinto e non va confusa con il mezzo usato (atto giuridico), postula un attività positiva diretta a determinare o, quantomeno, a rafforzare (ostacolando ripensa-

66 66 F. Scapati, D. La Tegola, F.j Carabellese, M. Bruno menti) nel soggetto passivo il proposito di compiere un determinato atto giuridico; invero, indurre vuol dire convincere, influire sulla volontà altrui, e quindi esige da parte dell agente uno stimolo che poi determina il soggetto passivo al compimento dell atto dannoso» (Cass. pen. sez. II, 4 giugno 1985, n. 1495). Il responsabile di circonvenzione, in altri termini, utilizzando ogni tipo di stimolo efficace in tal senso blandizie, lusinghe, consigli, esortazioni, suggestioni, isolamento determina nel soggetto passivo una decisione. Si viene a concretizzare cioè, in un rapporto che diviene significativo, l incontro di due volontà, una delle quali plasmabile e suggestionabile perché viziata da una condizione patologica di infermità o deficienza psichica. L abuso si concretizza naturalmente quando l autore del reato abbia chiara consapevolezza della condizione di infermità o deficienza, ne riconosca distintamente la vulnerabilità particolare e pertanto, coscientemente, ne approfitti. Infermità e deficienza devono dunque risultare evidenti, chiare anche a un occhio non esperto, al giudizio della persona media, come diretta conseguenza dell inadeguatezza del comportamento della vittima. Senza chiara riconoscibilità, infatti, non vi è reato, atteso che ne rappresenta il presupposto stesso del reato. Abuso e induzione sono dunque strettamente legati da nesso di causa, costituendo il primo la premessa dell azione di induzione. Secondo la giurisprudenza della Cassazione «costituisce induzione a compiere atti che importino effetti giuridici dannosi qualsiasi attività di eccitamento, di stimolo, di suggestione, e quindi, l uso di qualsiasi mezzo idoneo a determinare nel soggetto passivo il consenso al compimento di un atto giuridico, di guisa che venga a stabilirsi un nesso di causalità fra l abuso dello stato di infermità o di deficienza psichica dello stesso soggetto passivo e l evento, il quale si concreta nel compimento dell atto» (Cass. pen. sez. II, 27 gennaio 1987, n. 851). Induzione, dunque, come azione propositiva, che si prefigge uno scopo e che utilizza mezzi psicologici diversi pur di ottenere il consenso del soggetto passivo. Mezzi leciti, peraltro, senza cioè utilizzo di artifici o raggiri (che altrimenti costituiscono truffa) o coercizione violente, ma sotto forma di «apprezzabile pressione morale, suggestione o persuasione, cioè spinta psicologica» (Cass. pen., 3 novembre 1978). Nel tempo però, a questa interpretazione restrittiva se ne è affiancata un altra che qualifica come induzione non solo l attività protesa a convincere ma anche l aver omesso di adoperarsi al fine di evitare che un individuo, che si mostra in chiare condizioni di infermità, agisca in modo improprio o sconsiderato, ovvero «quando l agente abbia, approfittando delle condizioni d infermità o deficienza dell incapace, rafforzato in quest ultimo, anche ostacolandone i ripensamenti, un proposito a esso pregiudizievole e del quale l agente possa giovarsi» (Tribunale di Pescara, 6 giugno 2000). Quest ultima possibilità richiamata può ben adattarsi al medico, e ancor più allo psichiatra che conosce la vulnerabilità dei suoi pazienti ed è consapevole del potere suggestivo insito nel suo ruolo. Evidentemente, alla luce delle cognizioni tecniche e scientifiche di cui lo psichiatra dispone, non è sufficiente che egli non abbia suggerito personalmente ipotizziamo una donazione da parte del paziente, ma deve sollecitare l insorgere di una volontà contraria perché sa che quella donazione può essere parte integrante di un movimento transferale. A tale riguardo particolarmente emblematica appare una vicenda che coinvolse un noto analista italiano che aveva fondato e ampliato un associazione con molteplici finalità (cliniche, culturali, editoriali, di ricerca scientifica) grazie anche a donazioni di danaro dei suoi analizzati: «Rispondono in concorso di tentativo di circonvenzione di incapaci pluriaggravata il presidente del Movimento freudiano internazionale e lo psicanalista appartenente all associazione per aver tentato di indurre una paziente in analisi ad acquistare una quota di società del gruppo, abusando del suo stato di deficienza psichica» (Tribunale di Milano, 17 luglio 1986, in Foro It 1987, II, 30). In sostanza si ravvisò nel comportamento dell analista, e dei suoi collaboratori più stretti, un opera di abuso delle condizioni di deficienza psichica dei soggetti a loro legati da rapporti analitici; una perizia svolta all epoca rilevò che in alcuni casi specifici si era concretizzata una vera e propria sudditanza psicologica, e identificò la nevrosi da transfert creatasi all interno della relazione terapeutica come deficienza psichica transitoria e delimitata alla sola relazione con il terapeuta. In quel caso, che riguardava una persona in trattamento prima didattico-analitico e poi terapeutico, venne sottolineato come lo sviluppo di una nevrosi da transfert, largamente sottratta al controllo della coscienza, comprometteva gravemente la capacità di valutazione e giudizio nei

67 La circonvenzione di persona incapace nei molto anziani: profili psichiatrico-forensi 67 confronti del terapeuta, tenuto conto che uno degli elementi costitutivi di tale relazione sta proprio nella regressione, al suo interno, a condizioni di dipendenza. A ciò si aggiunga la forza suggestiva di sollecitazioni da parte dell analista al compimento di atti che, se negati, portano all interruzione o alla crisi di un rapporto percepito come necessario e vitale per l analizzato (Carella et al, 1996). Questo caso, al di là dell interesse specifico, consente di mettere in luce l aspetto eminentemente relazionale del reato. Anche se non mancano certo sentenze che continuano ad attribuire a infermità e deficienza un carattere assoluto, «che deve sussistere nei confronti di tutti in maniera che chiunque possa abusarne» (Cass. pen. sez. II, 21 gennaio 1987, n. 850), è evidente che così può essere solo in un numero limitato di casi, e che invece, nella maggior parte, è nella particolare relazione che può cogliersi il senso dell abuso. Tanto più si transita da gravi forme di infermità verso quadri più lievi o coincidenti con il concetto di deficienza, tanto più è chiaro che la suggestionabilità richiesta diviene particolare o patologica nell ambito di quel rapporto e calata in quelle circostanze esistenziali. Da qui la necessità, per il perito o consulente, di non limitarsi a una descrizione clinica del caso ma di effettuare una rivisitazione dei fatti che tenga conto del contesto in cui sono avvenuti, del percorso esistenziale della vittima, dei suoi vissuti relativamente alle scelte effettuate. Si comprende bene, allora, quanta importanza abbia il contesto in cui si realizza l ipotesi delittuosa, in termini di riconoscibilità del soggetto passivo, di sua accessibilità da parte di terzi, di vulnerabilità; ancora, quanto importante sia il livello di conoscenza fra vittima e agente attivo, da quanto duri, quale significatività abbia avuto, da quali aspetti affettivi ed emotivi sia stato contrassegnato il rapporto. Naturalmente, perché l indagine possa dirsi completa, necessiterebbe anche della conoscenza dell autore, se è vero, come si diceva all inizio, che quello della circonvenzione è reato che si concretizza nell incontro di due volontà, anche se una delle due è viziata da infermità o deficienza. Non sono mancate in questo senso anche sentenze illuminate, come quella che segue, emessa dal Tribunale di Milano: «in ogni caso, la valutazione giudiziale della deficienza psichica deve essere condotta non già in termini assoluti, bensì nell ambito del rapporto interattivo che si instaura tra due soggetti, ponendo a confronto la personalità della vittima con quella del soggetto attivo» (Tribunale di Milano, 20 giugno 1997, Ambrosiano). Il c.p.p. pone, peraltro, espresso divieto all esame della personalità dell imputato e dunque tale eventualità è, a oggi, preclusa, anche se fra le possibilità della difesa vi è quella di presentare una consulenza di parte volta a focalizzare le qualità psichiche dell imputato, che potrebbero smentire in un certo senso l ipotesi delittuosa delineata. I quesiti che vengono posti al perito sono, dunque, sostanzialmente due. Il primo è di accertare se al momento dei fatti per cui si procede il periziando si trovasse in una condizione di infermità o deficienza ex art. 643 c.p., se fosse cioè circonvenibile; il secondo, se detta condizione fosse riconoscibile da terzi. Induzione e abuso sono elementi che dovrà, invece, acquisire il magistrato e non toccherà, dunque, al perito, esprimersi in merito. Vi è ancora da dire che, per costante orientamento della giurisprudenza, la circonvenzione è un reato di pericolo e non di danno. In altre parole, non è necessario che effettivamente il danno si realizzi perché vi sia circonvenzione; è sufficiente invece che il pregiudizio sia potenziale, quale conseguenza dell atto giuridicamente rilevante realizzato dal circonvenuto dietro l opera di induzione, come espresso nella seguente sentenza: «Il delitto di circonvenzione di cui all art. 643 c.p. è reato di pericolo che si realizza nel momento in cui è compiuto l atto capace di produrre un qualsiasi effetto dannoso per il soggetto passivo o per altri» (Cass. pen. sez. II, 29 gennaio 1988, n. 337, Lamesta). Si tratta, com è facilmente comprensibile, di indagini e valutazioni assai complesse talvolta, che vedono come protagonisti spesso persone anziane, che in alcune circostanze non possono essere visitate perché decedute nel frattempo. In quest ultimo caso viene a mancare non tanto la possibilità di appurare la presenza di un infermità o di una condizione di deficienza (ottenibile in alcuni casi sul piano documentale), quanto l opportunità di apprezzare quell elemento relazionale, transazionale, dato dal rapporto fra circonvenuto e agente attivo, che è sotteso alla fattispecie delittuosa. Si è detto, infatti, che perché il reato di circonvenzione si concretizzi il circonvenuto in qualche modo deve aderire all azione di induzione del soggetto attivo, sì che fra i due si stabilisca una sorta di intesa, rapporto che è manipolato dal secondo al fine del conseguimento di un proprio vantaggio. Nelle valutazioni retrospet-

68 68 F. Scapati, D. La Tegola, F.j. Carabellese, M. Bruno tive fatte in assenza del periziando tutti questi aspetti che delineano lo scenario entro cui i fatti si sono svolti, l intreccio relazionale e i vissuti di accompagnamento vengono meno e di conseguenza al perito psichiatra si impone un atteggiamento di grande cautela, ricordando che in assenza di elementi sufficienti piuttosto che conclusioni forzate o troppo fondate su ipotesi, sono più utili oneste ammissioni di mancanza di dati sufficienti per rispondere. La prudenza è d obbligo anche nel caso in cui invece sia possibile visitare il soggetto e recuperare così dalla sua viva voce le ragioni, le motivazioni che lo hanno condotto a fare una determinata scelta. Ciò che si trova di fronte lo psichiatra, per lo più, sono storie intrise di solitudine affettiva, anziani che vedono declinare la propria efficienza, il proprio livello di autonomia e che restano soli, dimenticati o solo trascurati da parenti troppo indaffarati per poter passare del tempo con loro. Affidati alle cure di una badante o di qualche persona che fornisce loro mera assistenza, si legano affettivamente a questa, incoraggiati magari dalla disponibilità fornita, dalle attenzioni loro rivolte. Queste persone dunque, ormai rassegnate ad avere solo incontri frettolosi e magari un po distanti con i parenti, riscoprono il piacere delle attenzioni, delle cure, delle premure, ritrovano desiderio di interazione e a breve pensano di premiare questo estraneo che così bene si comporta con loro e, forse, anche di punire quei parenti così lontani, così disinteressati. Vogliono premiare magari il loro assistente ma anche tenerlo stretto a sé, hanno paura di perderlo e in questi casi è sufficiente che questi esprima un desiderio, si limiti magari a pronunciarlo ad alta voce, perché essi si sentano quasi in obbligo di assecondarlo. Sono tante le storie simili a questo quadro, storie nelle quali si scorge l intreccio tra fatti esistenziali la solitudine, l isolamento, il declinare delle forze fisiche e psichiche e aspetti che richiamano direttamente il deterioramento conseguente a una patologia mentale propria della terza età. Non tutto è circonvenzione, ben inteso, così come non tutti gli aspetti di vulnerabilità o debolezza concretizzano un reato ma ci sembra importante ribadire che spesso un quadro di infermità diviene più grave sul piano espressivo nell accezione utile in questo senso, ovvero della suggestionabilità proprio alla luce di alcuni fattori ambientali, e che la comprensibilità dell accaduto può essere più agevolmente colta in una prospettiva relazionale. È indubitabile, dunque, che l analisi del contesto in cui la vicenda si colloca, del grado di conoscenza e della qualità della relazione fra autore e vittima, siano elementi utili alla comprensione degli eventi; aiutano, infatti, a capire se e in quale modo l autore abbia potuto cogliere gli aspetti di vulnerabilità della presunta vittima, ma anche quale tipo di investimento affettivo sia stato fatto dall anziano e che peso abbia avuto nella sua scelta. Non è necessario, peraltro, che il perito tragga da questi elementi conclusioni sulla vicenda che non gli spettano, tanto più che ciò che ha a disposizione non sono fatti ma solo il modo con cui una delle parti in causa ha vissuto quei fatti; saranno tuttavia elementi utili alla valutazione del giudice, l unico in grado di sintetizzare in un giudizio il parere clinico del perito, gli elementi documentali e testimoniali e per decidere in ultimo se, in concreto, vi è stata circonvenzione. Per concludere, è facile prevedere che lo psichiatra forense si troverà sempre più frequentemente investito di questioni attinenti la circonvenzione di persona incapace, tenuto conto della sempre maggiore rilevanza numerica degli anziani: da qui la necessità di mantenere un atteggiamento di grande cautela nell esprimere valutazioni psichiatrico-forensi, cautela commisurata alla delicatezza stessa delle vicende umane e giudiziarie coinvolte. Abbiamo cercato di esporre la metodologia d intervento e non ci stanchiamo di raccomandare la massima prudenza per un giudizio che può avere pesanti ripercussioni sul piano penale (oltre che morale e patrimoniale). Il perito sia sempre consapevole dei propri limiti, non cerchi di andare ultra petita e abbia ben chiaro che a lui compete solo un giudizio tecnico motivato e non già un apodittica sentenza. Nei casi incerti, che sono poi i più frequenti, il perito dovrà avere anche il coraggio di limitarsi a un esame di personalità sulla presunta vittima rimandando al magistrato, che dispone di altri e ben più considerevoli elementi di giudizio, ogni definitiva decisione. Caso n.1 Mentre un tempo la vecchiaia era considerata la fase della saggezza e dell equilibrio morale e l anziano era la memoria storica della società, il custode della tradizione e il detentore di un patrimonio esperienziale tramandabile alle generazioni future, la cultura dominante di oggi tende a delinearlo come un soggetto inattivo perché fortemente ridotto è il suo ruolo, status sociale ed economico.

69 La circonvenzione di persona incapace nei molto anziani: profili psichiatrico-forensi 69 Tutto questo induce a una concezione stereotipata dell invecchiamento e l anziano viene più spesso concepito come un soggetto bisognoso in senso lato, di peso, che assorbe risorse dalla società. Tale concezione dell anziano, insieme alla perdita di amici e di familiari, alla vedovanza, all isolamento sociale, alla solitudine, al non essere più desiderati, all ineducazione della società verso la vecchiaia, di frequente è alla base del senso di inutilità e della depressione tipica dell età involutiva. Però se è vero che in età avanzata l anziano può perdere l autosufficienza per il manifestarsi di polipatologie, è altrettanto vero che tale condizione non accomuna l intera popolazione anziana. Molti dei soggetti anziani, difatti, godendo di buone condizioni economiche, hanno prospettive di vita più lunghe e si trovano a progettare un futuro ancora più ampio e variegato, potenzialmente ricco di interessanti esperienze di vita e possibilità di autorealizzazioni. Da questo punto di vista la condizione anziana è tutt altro che spenta e passiva e, di fatto, il sentirsi anziano non coincide con il superamento di una soglia anagrafica. Vi è accordo generale nel ritenere la terza età una fase dello sviluppo dell individuo che, come in altre fasi, si accompagna a processi di trasformazione e di cambiamento. Diverse, infatti, sono le vicissitudini che richiedono alla persona anziana di adattarsi a una nuova condizione e, tra queste, un ruolo significativo riveste la vedovanza. Quanto maggiore è la capacità di adattarsi al cambiamento e alle nuove richieste opportunità dell ambiente, tanto maggiore è il grado di raggiungimento di un nuovo equilibrio, fonte di benessere e sicurezza. In quest ottica la vecchiaia è un ottimo momento per coltivare nuovi interessi o per riscoprire quelli che in passato si erano accantonati. È il momento in cui, nonostante le comprensibili difficoltà, si possono intrecciare nuove relazioni amicali o affettive. Quanto appena detto, però, confligge con una tendenza a giudicare l anziano non in grado di autodeterminarsi liberamente e con il ritenerlo spesso soggetto a capzione. Di tanto, infatti, si ha evidenza nelle perizie che vengono conferite in tema di circonvenibilità. Abbiamo ricevuto l incarico di valutare le condizioni psicofisiche di un ottantenne per stabilire se, per infermità o deficienza psichica, si trovasse in tale stato di mente da potersi ritenere persona circonvenibile. Il dato storico clinico: imprenditore di ottant anni sposato e con quattro figli, titolare di un azienda nella quale lavoravano tutti e quattro i figli. L attività imprenditoriale, negli anni, aveva consentito di accumulare un ingente patrimonio. Rimasto vedovo, dopo qualche tempo, avrebbe iniziato una relazione affettiva con una signora 12 anni più piccola, anch essa vedova, titolare di pensione di riversibilità del marito funzionario di pubblica amministrazione, e con un figlio adulto. Dopo un anno di frequentazione, la coppia così formatasi comunicava alla rispettiva figliolanza di voler contrarre matrimonio. Tanto appreso, i figli dell imprenditore presentavano denuncia querela contro la compagna del padre ritenendo il loro genitore in qualche modo vittima della donna e, a sostegno di quanto da loro ipotizzato, denunciavano un significativo cambiamento dello stile di vita del loro padre che, tra l altro, nell arco di un anno, avrebbe destinato circa 50,000,00 in favore della compagna. Ricevuto dalla Procura l incarico di consulenza, abbiamo sottoposto a valutazione psichiatrica e psicodiagnostica (MMSE, Wais R, Rorschach) l imprenditore 80enne giungendo a formulare la diagnosi di cardiopatia ischemico-ipertensiva in fase di buon compenso; pregresso disturbo ansioso-depressivo, iperglicemia, e giungendo a escludere condizioni di infermità di mente o di deficienza psichica tali da rendere il periziando persona circonvenibile. A tanto si giungeva anche in considerazione delle argomentazioni fornite dal periziando nel corso dell accertamento a sostegno delle scelte dallo stesso compiute. Motivava l acquisto regalo di una macchina per la sua compagna con la necessità di avvalersi di un mezzo di trasporto nuovo, e come tale più sicuro e affidabile rispetto a quello in uso alla compagna, soprattutto in considerazione del fatto che era egli stesso a beneficiare del mezzo dato che la compagna gli assicurava gli spostamenti necessari a se stesso e alla loro frequentazione. Motivava, inoltre, il ripianamento delle pendenze della compagna con l esigenza di accompagnarsi a una donna in grado di condividere una quotidianità improntata quanto più possibile alla serenità, alla tranquillità ritenendo impossibile esimersi dall aiutare una persona cui si vuole bene, specie quando la somma impe-

70 70 F. Scapati, D. La Tegola, F.j. Carabellese, M. Bruno gnata, ,00, è poca cosa se rapportata al patrimonio posseduto, dallo stesso stimato in ,00. Con tali presupposti, e con il riscontro della veridicità della sostanze possedute, il comportamento dell imprenditore, condivisibile o meno, appare sintonico per il raggiungimento di un obiettivo decisamente congruo e in linea con le aspettative che si era prefisse, ovvero, uscire da una situazione di isolamento affettivo e di solitudine che avrebbe sperimentato con la vedovanza. è molto verosimile che verso questa situazione probabilmente insperata, inaspettata e forse irripetibile, abbia potuto porgersi con rinnovato entusiasmo, con ritrovato slancio vitale, con maggiore disponibilità partecipativa, trasporto e coinvolgimento, senza però sconfinare in una condizione di malattia e/o deficienza psichica per cui subire un ipotetico abuso. Sembrerebbe così ritrovarsi nella condizione riportata nelle considerazioni introduttive, in cui la capacità di adattamento al cambiamento da parte dell anziano abbia potuto produrre il raggiungimento di un nuovo equilibrio, di un ritrovato benessere probabilmente non compreso e condiviso da chi gli sarebbe stato vicino. Bibliografia consigliata - Ambrosoli M. Tutela dell incapace naturale e requisito del pregiudizio. I contratti 2001, f. 1: Antolisei F. Manuale di diritto penale. Giuffrè, Milano, Bandini T, Lagazzi M. L indagine psichiatrico-forense sull anziano vittima di circonvenzione d incapace. Riv it med leg 1990, Battaglini E. (1938) Giustizia penale vol Carella Prada O, Cancrini L et al. La nevrosi da transfert come deficienza psichica transeunte nella circonvenzione di incapace. La giustizia penale 1996, f. 4, pt.1: Cassinelli B. La circonvenzione d incapace (1938). In: Mastronardi U. Villanova M, Bellomo M. Invecchiamenti e circonvenzione d incapace. Edizioni Universitarie Romane, Roma, Fiandaca G. Caso Verdiglione: il transfert psicanalitico come impostura? Foro It 1987, f. 2: Fornari U. Trattato di psichiatria forense. 3 a ed., Utet, Torino, 2004.

71 PSICOGERIATRIA 2012; 1: Comunicazione della diagnosi nelle demenze, quale prassi? GIUSEPPE GAMBINA, ANNACHIARA BONAZZI, MARIA TERESA CONDOLEO, VALERIA VALBUSA, ELISABETTA BROGGIO, FRANCESCA SALA, MARIA CRISTINA MARTINI, GIUSEPPE MORETTO SSO Centro Alzheimer e disturbi cognitivi, Dai di neuroscienze, Uoc neurologia d. O., Azienda Oui - Verona giuseppe.gambina@ospedaleuniverona.it Le demenze hanno un grande impatto sugli aspetti fisici, psicologici e sociali, ma pongono anche importanti sfide etiche. Una delle maggiori sfide etiche che si profila minacciosa è la difficoltà affrontata dai clinici nella comunicazione della diagnosi. La comunicazione di cattive notizie ha avuto in oncologia la sua più cogente risonanza e in questo ambito sono stati sviluppati diversi modelli di comunicazione. Fino agli anni sessanta il 90% circa dei medici non comunicava la diagnosi 1 ma, a motivo dello sviluppo di nuove terapie e di una maggior attenzione ai diritti del malato, dagli anni settanta in poi si è avuto un cambiamento di atteggiamento per cui in un lavoro di Novack 2 solo il 10% dei medici non comunicava la diagnosi. Tuttavia la congiura del silenzio e della disinformazione non è cessata tanto che la scrittrice S. Sotang 3, scrive:..tutte le bugie che si dicono ai malati di cancro e che essi ci dicono, indicano quanto sia diventato difficile per le società industriali avanzate adattarsi alla morte.... La comunicazione della diagnosi alle persone affette da demenza ricalca le stesse difficoltà incontrate nell ambito oncologico con alcune differenze: la mancanza attualmente di terapie farmacologiche in grado di modificare il decorso della malattia ( disease modifying therapy ), che può indurre i medici a non comunicare la diagnosi (es. nell indagine di Vasillas 4 il 61% dei general practitioners non comunica la diagnosi); l ammalato stesso, ancorché consapevole, tende a negare i suoi disturbi e i suoi familiari spesso chiedono al medico che la diagnosi non venga comunicata. Non cambia l atteggiamento degli psicogeriatri, il 60% non comunica la diagnosi e di questi il 20% ritiene che non sia utile al paziente 5. Ancora, alcuni medici trovano duro comunicare la diagnosi di demenza 6, e altri riferiscono di quanto la comunicazione della diagnosi di demenza sia più difficile che per altre malattie 7. In sintesi i punti di resistenza coinvolgono sia il medico, sia la famiglia del malato, e spesso anche l ammalato medesimo. Tuttavia la comunicazione della diagnosi al paziente è molto importante perché non rappresenta soltanto un compito ineludibile, non è solo un dovere sancito da motivazioni di ordine giuridico, deontologico ed etico, ma risponde al bisogno di informazione del malato e può facilitare l adattamento alla malattia. Le modalità con cui questo è (o non è) fatto incidono su tutti gli aspetti successivi perché, in seguito, molteplici decisioni mediche e non mediche saranno assunte senza la possibilità di ricorrere al consenso e perfino all assenso del paziente. Pertanto per assicurare un ruolo non marginale al paziente è importante che egli sia informato della diagnosi e della natura della malattia nelle fasi in cui la sua capacità decisionale sia intatta o in gran parte preservata. Quindi se è ineludibile comunicare la diagnosi è altrettanto inevitabile sviluppare una prassi, per almeno quattro motivi: diagnostici, terapeutici, medico-legali, deontologici ed etici.

72 72 G. GAMBINA, A. BONAZZI, M.T. CONDOLEO, V. VALBUSA, E. BROGGIO, F. SALA, M.C. MARTINI, G. MORETTO Diagnosi e Terapia I criteri diagnostici rivisti per la malattia di Alzheimer 8 potenzialmente permettono di diagnosticare la malattia di Alzheimer ancora nella fase di assenza dei sintomi costitutivi della sindrome clinica e che pertanto sarebbero in grado di permettere, qualora disponibile, di trattare ad esempio con l immunoterapia quei soggetti a rischio nelle fasi precocissime di malattia 9. Medico-legali Le norme giuridiche, quali la Carta dei servizi sanitari 1995 Art. 4, la sentenza della Corte di Cassazione n.364/1997, il codice di deontologia medica, 2006 (art. 33), impongono al medico di comunicare la diagnosi, in particolare il codice di deontologia medica recita: Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. [ ] Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. A ulteriore rinforzo a quanto esplicitato finora c è da aggiungere la Carta dei diritti del malato di Alzheimer approvata dalle associazioni dei familiari dei malati 10. Etici Immanuel Kant afferma che è moralmente sbagliato non comunicare la diagnosi anche se ha conseguenze dannose 11. Questa affermazione ci introduce nell annoso dilemma etico se rispettare il principio di non-maleficenza o di autonomia. Il comportamento dei medici è emblematico. Infatti, nella cultura anglosassone, ove prevale il principio di autonomia, a un questionario se informano i pazienti con demenza della loro diagnosi, il 100% risponde che è a favore della comunicazione perché il paziente è ancora in grado di dire che tipo di assistenza desidera ricevere nelle fasi terminali, oppure perché può pianificare il proprio futuro, oppure perché (nel 97%) è un diritto del paziente di sapere. Allo stesso questionario il 100% dei medici italiani invece adduce le seguenti ragioni a sfavore della comunicazione della diagnosi: si deprimerebbe e non trarrebbe più piacere per il resto dei suoi giorni, per l 85% si deprimerebbe e la consapevolezza del suo stato indurrebbe un declino più rapido; per l 81% non c è cura e pertanto conoscere la diagnosi non gli giova 12, da cui si evince il netto prevalere del principio di non-maleficenza. Ma quali sono i desiderata dei familiari e dei malati stessi? Tre studi inglesi 13,14,15 condotti rispettivamente su pazienti con disturbi isolati di memoria e con demenza lieve documentarono la preferenza dei più (70-92%) di essere informati sulla loro condizione. In uno studio americano 16 l 80% dei soggetti cognitivamente indenni aveva espresso di voler essere informato qualora avessero sviluppato una forma di demenza. In uno studio italiano 17 tutti i partecipanti espressero il parere che non si dovesse fornire al malato un informazione piena in termini di demenza, esplicitazione di una prognosi sfavorevole. Il 13% espresse l opinione che al paziente si potesse comunicare la diagnosi purché non fosse in termini di demenza ma di malattia di Alzheimer e la prognosi fosse in termini di perdita di memoria. Diventa pertanto necessario sviluppare una corretta prassi che aiuti il medico a comunicare in modo adeguato ed efficiente la diagnosi di demenza. Di seguito saranno presi in esame: l atteggiamento etico, il tempo e la comunicazione della diagnosi, la consapevolezza e la capacità di agire e i modelli di comunicazione di cattive notizie. Atteggiamento etico Il primo ostacolo da superare è la posizione etica dualistica, ovvero se rispondere al principio di non-maleficenza o di autonomia che così posti non sono conciliabili. Ci aiuta a superare questa situazione di stallo il concetto di autonomia relazionale, sviluppato dal Nuffield Council of Bioethics 18, in cui il senso del sé e l espressione del sé di una persona dovrebbero essere visti saldamente fondati nella loro rete sociale e relazionale, in quanto in senso assoluto un autonomia totale della persona non è conciliabile con la rete relazionale di cui il malato ha bisogno prima o poi. Tempo e comunicazione della diagnosi. Come prima ricordato i criteri rivisti della diagnosi di malattia di Alzheimer 19 dando valore ai criteri supportivi possono permettere una diagnosi precoce, ma allo stato attuale delle cose è più utile invece una diagnosi tempestiva, cioè la diagnosi è opportuna al momento in cui le mutazioni cognitive e gli altri cambiamenti che le persone provano cominciano a interessare le loro vite e le vite di coloro che vivono con essi 18.

73 Comunicazione della diagnosi nelle demenze, quale prassi? 73 Consapevolezza e capacità di agire Un attenta valutazione della consapevolezza del malato dei suoi sintomi e della capacità di agire è fondamentale, la loro mancanza o compromissione ha importanti implicazioni nella cura e nella gestione del paziente 20. In ambito clinico lo studio della consapevolezza può avere diverse sfaccettature 21 : neurologica ove il termine anosognosia indica la situazione di coloro che, in seguito a una lesione focale del cervello, non sono consapevoli del difetto neurologico. Riferito alla demenza, il termine anosognosia indica l assenza di consapevolezza dei sintomi neuropsicologici (cognitive anosognosia), dei disturbi del comportamento e della funzionalità 22 ; Awareness, che in psichiatria designa la coscienza di malattia mentale. Più in dettaglio può indicare la consapevolezza di un cambiamento in corso, o di un sintomo specifico, ad esempio di un disturbo di memoria, oppure del significato e delle conseguenze dei sintomi, oppure ancora di avere una malattia e quale 23 ; e infine Insight che proviene dalla psicologia gestaltica e psicoanalitica e riguarda la capacità di introspezione. Quasi tutti gli studi sono ispirati al modello neurologico dell anosognosia, cioè considerano la non-consapevolezza come un difetto o un sintomo della lesione cerebrale soggiacente alla demenza. Meno numerosi sono i lavori che prendono in esame la consapevolezza di malattia e della diagnosi di demenza, anche perché molto spesso non viene comunicata al paziente. Le ricerche hanno dimostrato che la consapevolezza è conservata per lo più nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, mentre è generalmente assente nelle fasi avanzate ed è variamente compromessa nelle fasi intermedie 24. In rapporto ai sintomi psichici secondo alcuni studi, ad alti livelli di consapevolezza sarebbe associato un maggior rischio di depressione 25, mentre l apatia sembra legata a un minor grado di consapevolezza di malattia 26, forse in rapporto con la compromissione di un comune network neuronale nell emisfero destro 27. Nel box 1 viene riportata una sintesi di un nostro studio esplorativo sulla consapevolezza nelle persone affette da demenza di Alzheimer lieve/moderata. Box 1: Conoscere per agire Presso l Uso interaziendale centro Alzheimer e disturbi cognitivi dell azienda Oui di Verona è stato condotto uno studio esplorativo finalizzato a valutare la consapevolezza e la capacità di autodeterminazione in 79 soggetti affetti da demenza senile tipo Alzheimer lieve/moderata (in submission). I soggetti sono stati sottoposti allo studio della consapevolezza mediante: anosognosia questionnaire dementia (AQ-D) e allo studio della clinical competence mediante specifici test neuropsicologici (fluenze verbali, trail making test, memoria di prosa) oltre alle comuni indagini biocliniche, neuropsicologiche e di imaging che vengono utilizzate nella diagnosi di probabile malattia di Alzheimer 33,34 (McKhann 1984, McKhann 2011). La casistica era costituita da 35 maschi e 44 femmine, con età media di 77,65 anni (±5,6), scolarità media 7,6 anni (±3,93) e un punteggio medio al MMSE uguale a 23,30/30 (±3,73). I risultati hanno evidenziato che più della metà dei pazienti risultava essere consapevole delle proprie difficoltà cognitive e che tra età e consapevolezza non vi era una correlazione significativa, cioè la consapevolezza non diminuisce all aumentare dell età. La consapevolezza varia invece in funzione del valore del MMSE dove si può riscontrare un comportamento differente tra i gruppi di pazienti con fasce di MMSE diverse: nel gruppo di pazienti della fascia di MMSE compresa tra i punteggi ottenuti all AQ-D risultano variabili passando da una buona consapevolezza a una moderata anosognosia; mentre nei gruppi di pazienti nella fascia di MMSE compresa tra e i punteggi all AQ-D evidenziano una condizione di anosognosia moderata nei primi e consapevolezza preservata nei secondi. Tutti i pazienti studiati hanno una clinical competence (CC) compromessa, variando da una CC parzialmente compromessa (9%) a una CC decisamente deficitaria. Se consideriamo, poi, le correlazioni tra le funzioni cognitive esploranti la CC e la consapevolezza emerge che c è una correlazione tra test neuropsicologici e scale di consapevolezza, facendo ipotizzare che esista una relazione tra funzioni esecutive e grado di consapevolezza. Lo studio permette di fare alcune riflessioni generali, per esempio che nel setting di valutazione neuropsicologica della persona affetta da Sdat venga esplorato adeguatamente lo stato di consapevolezza (dei sintomi cognitivi o di malattia) mediante scale ad hoc; in questo senso è in corso di validazione nel nostro centro in lingua italiana la scala AQ-D, al fine di pianificare un corretto percorso di comunicazione della diagnosi. Un ulteriore approfondimento merita lo studio della CC e soprattutto la ricerca di test più mirati alla sua valutazione.

74 74 G. GAMBINA, A. BONAZZI, M.T. CONDOLEO, V. VALBUSA, E. BROGGIO, F. SALA, M.C. MARTINI, G. MORETTO Capacità di agire È stato dimostrato che c è correlazione tra consapevolezza 28 (di malattia) e capacità di agire. La capacità di agire è possibile solo in presenza di un certo grado di consapevolezza. La comprensione dell informazione e la valutazione della situazione sono privi di contenuto se manca la consapevolezza di malattia. Modelli di comunicazione di cattive notizie I modelli sono diversi e variano sulla base dei contesti culturali: a. modello della NON comunicazione, b. modello della comunicazione completa e c. modello della comunicazione personalizzata. Tra i modelli della comunicazione personalizzata il protocollo di Baile, Buckman et al. 29, denominato SPIKES, un acronimo formato dalle lettere dei sei passi fondamentali costitutivi dell intervento che iniziano dall esplorazione delle conoscenze e delle aspettative del malato fino alla comunicazione della verità rispettando il ritmo e la volontà del malato. Sempre su questa linea si pone il modello proposto dall Istituto superiore di sanità 30. Lacouturier J., Bamford C. et al 31 hanno proposto per un appropriata comunicazione della diagnosi di demenza, l identificazione di comportamenti chiave per la best practice, raggruppabili in otto categorie distinte che possono interessare il paziente e il caregiver sia separatamente che insieme: preparare la comunicazione della diagnosi; coinvolgere i familiari; esplorare le aspettative del paziente; comunicare la diagnosi; rispondere alle reazioni del paziente; focalizzare la qualità di vita e il benessere del paziente; valutare le prospettive future; comunicare in modo efficace. Tuttavia, quando ci si appresta a preparare la comunicazione delle diagnosi, indipendentemente dal modello che si vuole seguire, ci sono alcune domande chiave che bisogna porsi: qual è attualmente la condizione psichica della persona? Qual è il suo grado di comprensione? Vuole sapere la verità? È pronta ad ascoltarla? Come affronta abitualmente gli shock emotivi? Come reagisce alle notizie che riguardano la sua salute? Ha l abitudine di restare calma o di perdere il controllo in situazioni difficili? È il suo primo contatto con la malattia o è spesso stata ammalata nel corso della sua vita? È a conoscenza della malattia di Alzheimer? Ci sono altre persone affette nella sua Box 2: Esempio di comunicazione della diagnosi CL, donna di 80 anni, cinque anni di scolarità, vedova da 35 anni, vive da sola, una figlia. La signora a cui è stata formulata la diagnosi di demenza senile tipo Alzheimer (Sdat), era stata condotta presso il nostro centro per la comparsa da circa un anno di un deficit a carico della memoria episodica, difficoltà a gestire il denaro e apatia. La comunicazione della diagnosi ha seguito le seguenti fasi: preparatoria, della conoscenza esplorativa, dell informazione/ comunicazione della diagnosi, della chiarificazione e della programmazione di un piano d azione. La fase preparatoria, caratterizzata dallo studio della consapevolezza ha fatto emergere che la paziente è consapevole del proprio deficit cognitivo e funzionale, che riferisce in modo spontaneo ma di gravità inferiore rispetto a quanto riferito dalla figlia. Le domande volte a esplorare quali sono le percezioni e le aspettative riguardo alla patologia finalizzate all esplicitazione della diagnosi (conoscenza esplorativa) evidenziano che la paziente pur essendo consapevole dei propri deficit cognitivi non desidera conoscere la diagnosi e il nome della malattia perché questo le creerebbe troppa ansia. La figlia ha un comportamento completamente diverso dalla madre, chiedendo esplicitamente se si tratti di malattia di Alzheimer, quale è la prognosi e in quale caso si possa avviare la procedura della nomina dell amministratore di sostegno. L atteggiamento che si coglie sembra essere di una fuga in avanti, di fronte all ansia che il problema della madre genera. Di fronte a questa domanda la paziente rimane indifferente. Nonostante vari tentativi per far emergere le paure e le ansie la paziente manifesta un chiaro atteggiamento difensivistico. La comunicazione della diagnosi pertanto si conclude con la conferma del deficit cognitivo di cui era consapevole. Le vengono spiegati i possibili trattamenti farmacologico, non farmacologico e il sostegno psicologico che la paziente al momento rifiuta. La figlia viene invitata, invece, a incontri di counseling finalizzati da una parte a chiarire i quesiti che aveva posto e dall altra a migliorare la relazione con la madre nel rispetto dei desideri di quest ultima. Il caso presentato differisce dalla situazione più frequente in cui il malato può essere disponibile alla comunicazione della diagnosi ma il familiare si oppone in tutti i modi. Nel presente caso si è scelto di far prevalere il principio di autonomia del malato, libero cioè di scegliere di non conoscere la diagnosi e la prognosi. L approccio multidimensionale e multiprofessionale ha consentito al team di prendere in carico l ammalata (e il familiare) mantenendo un rapporto attento alle possibili future richieste di aiuto.

75 Comunicazione della diagnosi nelle demenze, quale prassi? 75 famiglia? Quali sono attualmente le sue responsabilità familiari? Deve prendere provvedimenti legali? È urgente annunciare la diagnosi? Nel box 2 viene riportato un esempio di comunicazione della diagnosi effettuata nel nostro centro ove emerge come il processo vede coinvolte le diverse professionalità che lo compongono: medico, neuropsicologo, pedagogista, e di come questo percorso poi serva per una presa in carico del malato e della famiglia che lo assiste. Riflessioni conclusive Lo studio della letteratura permette di individuare gli strumenti utili per comunicare la diagnosi, avendo chiaro quale atteggiamento etico si voglia seguire. Tuttavia questi strumenti non sono di per sé sufficienti per permettere una buona ed efficace comunicazione della diagnosi anche perché il medico non viene formato in questo senso. Pertanto è opportuno che accanto ai modelli di comunicazione della diagnosi, il medico sviluppi una reale capacità di comunicare con il malato e di sviluppare una relazione utile ad accompagnarlo nel suo percorso di malattia. Per cominciare questo percorso personale può essere utile che ognuno analizzi la propria capacità di accompagnamento etico (tabella 1), pietra miliare di qualsiasi relazione medico/paziente/familiare. Tabella 1: accompagnamento etico

76 76 G. GAMBINA, A. BONAZZI, M.T. CONDOLEO, V. VALBUSA, E. BROGGIO, F. SALA, M.C. MARTINI, G. MORETTO Bibliografia 1 Oken D, What to tell cancer patients. A study of medical attitudes. JAMA 175: , Novack DB, Plummer R, Smith RL et al, Changes in physicians attitudes toward telling the cancer patient. JAMA 241: , Sotang S, Malattia come metafora. Cancro e Aids, Mondadori, Vassilas CA, Donaldson J, Telling the truth: what do general practitioners say to patients with dementia or terminal cancer? Br J Gen Pract. 48:1081 2; Downs M, Clibbens R, Rae C et al, What do GPs tell people with dementia and their families about the condition? Dementia 1(1):47 58; Illife S, Manthorpe J, The debate on ethnicity and dementia: from category fallacy to person centred care? Aging & Mental Health 8(4): , Glosser G, Wexler D, Balmelli M, Physicians and families perspectives on the medical management of dementia. J Am Geriatric Soc. Jun 33 (6): , Dubois B, Feldman HH, Jakova C et al, Research criteria for the diagnosis of Alzheimer s disease: revising the NINCDS ADRDA criteria. Lancet Neurol 6: ; Lemere CA, Maier M, Seabrook TJ Developing novel immunogens for a safe and effective Alzheimer s disease vaccine. Prog Brain Res , Alzheimer s Disease International (ADI), Alzheimer Europe, Alzheimer Italia, Kant E, in M. Dalvi, Breaking a Diagnosis of Dementia, Mental Illnesses, Understanding, Predicition and Control, Ed. L l Abate January Tiraboschi P, Problemi etici nella relazione tra medico e paziente con demenza: la comunicazione della diagnosi, Neurol Sci - 31 (S64-S69) Elson P, Do older adults presenting with memory complaints wish to be told if later diagnosed with Alzheimer s disease?, Int J Geriatr Psychiatry, Marzanski M, On telling the truth to patients with dementia. West J Med 173: , Pinner G, Bouman WP, Attitudes of patients with mild dementia and their carers towards disclosure of the diagnosis. Int Psychogeriatr 15: , Holroyd S, Snustad DG, Chalifoux RN, Attitudes of Older Adults on Being Told the Diagnosis of Alzheimer s Disease, American Geriatric Society, Pucci E, Belardinelli N, Borsetti G et al, Relatives attitudes towards informing patients about the diagnosis of Alzheimer s disease, Journal of Medical Ethics, Nuffield Council of Bioethics, Dementia Ethical issues; 19-47, October Sperling RA, Aisen PS, Beckett LA et al, Toward dening the preclinical stages of Alzheimer s disease: recommendations from the National Institute on Agning and the Alzheimer s Association workgroup Alzheimer & Dementia, 1-13; Aalten P VanValen E, Clare L et al, Awareness in dementia: in the eye of the beholder, Aging Mental Helath, 9 p ; Barrett AM, Paul J. Eslinger, MD et al, Unawareness of cognitive deficit (cognitive anosognosia) in probable AD and control subjects, Neurology, 64 p , Lopez OL, Becker JT, Somsak D et al, Awareness of cognitive deficits and anosognosia in probable Alzheimer s disease. Eur Neurol, 34(5), , Markowa IS, Berrios GE et al, Insight in clinical psychiatry revisited, Compr Psychiatry, 36 p , McDaniel KD, Edland SD, Heyman A, Relationship between level of insight and severity of dementia in Alzheimer disease, Alzheimer Dis Assoc Disord, 9 p , Harwood DG, Sultzer DL, Wheatley MV, Impaired insight in Alzheimer disease: association with cognitive deficits, Psychiatric symptoms and behavioural disturbances, Neuropsychiatry Neuropsychol Behav Neurol, 13 p 82-88, Derousnè C, Thibault S, Lagha-Pierucci S et al, Decreased awareness of cognitive deficits in patients with mild dementia of the Alzheimer type, Int J Geriatr Psychiatry, 14 p , Ott BR, Lafleche G, Whelihan WN et al, Impaired awareness of deficits in Alzheimer s disease, Alzheimer Dis Assoc Disord, 10 p 68-76, Cairns R, Maddock C,Buchanan A et al, Prevalence and predictors of mental incapacity in psychiatric in patients, Br J Psych, 187 p , Baile Wf, Buckman R, Lenzi R et al, SPIKES A six-step protocol for delivering bad news: application to the patient with cancer. Oncologist 5: , De Santi A, Morosini PL, Noviello S, Manuale della comunicazione in oncologia Tuveri Lecouturier J, Bamford C, Hughes JC et al, Appropriate disclosure of a diagnosis of dementia; identifying the key behaviours of best practice, BMC Health Services Research, Viafora C, 5 th International Meeting on A.B.C.D.E. Affective, behavioral and cognitive disorders in the elderly. February 26-28, Verona McKhann G, Drakman D, Folstein M et al, Clinical diagnosis of Alzheimer s disease: report of the NINCDS- ADRDA Work Group under the auspices of Department of Health and Human Services Task Force on Alzheimer s Disease. Neurology 34:939 44; McKhann GM, Knopman DS, Chertkow H et al, The diagnosis of dementia due to Alzheimer s disease: Recommendations from the National Institute on Aging and the Alzheimer s Association workgroup, Alzheimer s &Dementia, (1-7); 2011

77 PSICOGERIATRIA 2012; 1: Psicogeriatria: il concetto di terapia combinata Guido Gori Geriatra-psichiatra-membro Ipa - (international psychoanal.society) guigor@libero.it Introduzione Il problema del che fare di fronte al disturbo psichico ha a monte la necessità di un riconoscimento consensuale; quindi ha avuto una grande importanza lo sviluppo di una descrizione nosografia in modo da poter essere paradigmatica. In più, il desiderio di semplificare il complesso, di unificare il molteplice e ridurre il contraddittorio ha stimolato la ricerca di un legame di corrispondenza biunivoca tra sintomi e rimedi, che certamente rappresenta un passo in avanti dal punto di vista della gestione terapeutica. Ma anche se lo sviluppo di una nosologia sintomatica e descrittiva ha costituito la premessa per un uso degli psicofarmaci che ne sfruttasse tutte le grandi potenzialità, sono rimasti alcuni punti di debolezza. Quindi accanto a una diagnosi descrittiva, che ha avuto il merito di dare una lingua unitaria alla psicopatologia e di orientare in modo corretto l uso dei farmaci, si è sviluppata una diagnosi dinamica e strutturale che spiegasse la natura e il corso evolutivo della malattia Argomento di questo lavoro è una pratica nella quale si vedono integrati da una parte la somministrazione di psicofarmaci e dall altra parte un trattamento relazionale, psicologico, psicoterapico. La premessa di questa riflessione è che ancora oggi, in molti contesti, si tende a pensare alla malattia come a un evento alieno che invade l organismo e che quindi la terapia coincida con l attacco alla malattia anziché con il trattamento della persona. Ciò accade non solo di fronte a malattie acute ma anche di fronte a eventi clinici con esordio insidioso ed evoluzione lenta, oppure di fronte alla sofferenza psichica del giovane, dell adulto e del vecchio. In realtà occorre una valutazione complessa e approfondita per poter percepire i dettagli psichici individuali, che sono la premessa per una diagnosi e una cura a misura di ciascun soggetto, mentre va evitata una concezione reificata della malattia. Negli ultimi anni in ambito psichiatrico classico, ma anche in ambito psicogeriatrico, l evoluzione della psicofarmacologia ha consentito a vari disturbi psicotici di essere avvicinati psicologicamente. In alcuni contesti quindi la psicoterapia ha modificato la sua posizione di evento eccezionale per divenire un delicato strumento operativo di ogni psichiatra e psicogeriatra interessato alla comprensione del vissuto e del comportamento del suo paziente. In questo ambito è diventata conoscenza diffusa che molte difficoltà di comprensione e di comunicazione nel rapporto con adulti-anziani-grandi vecchi con disturbi psicotici, disinibiti, agitati e aggressivi hanno una radice controtransferale: qualsiasi intervento conoscitivo e terapeutico implica la necessità per il terapeuta di mettersi in relazione con strati emotivi più profondi di sé. Questi concetti basali costituiscono oggi un aspetto ineliminabile del patrimonio culturale dello psichiatra e anche chi è focalizzato sui risultati di un trattamento farmacologico non può

78 78 guido gori non tener presente che l approccio terapeutico a un soggetto, al di là della somministrazione farmacologica, chiama in causa una storia, un vissuto un esperienza, una famiglia, una società. L integrazione quindi tra trattamento farmacoterapico e psicoterapeutico e non una valutazione differenziale degli effetti dell uno sull altro riveste oggi un ruolo di rilevanza prioritaria. La terapia combinata in psichiatria: differenze tra trattamento farmaco e psicoterapico. Come sostenuto da molti autori la psicoterapia e la farmacoterapia hanno ciascuna effetti differenti o diversi loci nei quali questi effetti si manifestano. Gli studi condotti su pazienti con depressione suggeriscono che i farmaci agiscano prevalentemente sulla formazione dei sintomi, sulle difficoltà di carattere affettivo, abbiano un effetto più veloce, una durata più breve e possano avere una funzione profilattica. La psicoterapia sembra influenzare più direttamente le relazioni interpersonali e l adattamento sociale, con risultati più tardivi ma di maggiore durata nel tempo. Il sinergismo positivo delle due modalità, idealmente non competitivo e non reciprocamente inibitorio, può attuarsi sia attraverso interazioni simultanee sia sequenziali. Anche qui la maggior parte delle ricerche sono focalizzate su pazienti depressi. Un numero significativamente maggiore di pazienti che hanno ricevuto trattamento psicoterapico (cognitivo-comportamentale, dinamico, reminescence therapy) associato al farmaco sono risultati asintomatici al follow up rispetto a quelli con solo farmaco. I risultati suggeriscono che i miglioramenti ottenuti con psicoterapia sono simili a quelli ottenuti con farmacoterapia e che la psicoterapia è associata a tassi di drop out inferiori. La terapia combinata in psicogeriatria In psicogeriatria vale lo stesso concetto di sinergismo positivo tra intervento medicamentoso e psicologico-relazionale. Un esempio può essere rappresentato da quanto accade in un centro diurno per soggetti affetti da demenza in stato avanzato dal punto di vista cognitivo e comportamentale, per i quali la combinazione tra ansiolitici-antipsicotici e quanto viene offerto dalla struttura in termini di programmi emotion oriented rappresenta in molti casi un intervento vantaggioso e di lunga durata. In psicogeriatria tuttavia il termine di terapia combinata può anche avere un significato allargato. In particolare sappiamo che il paziente con demenza necessita, a un certo stadio della malattia, di una presa in carico da parte della famiglia. Il modello di funzionamento espresso nell attuale classificazione internazionale del funzionamento (ICF10) concepisce la disabilità non come diretta conseguenza della malattia, ma come risultante di danni provocati dalla malattia stessa da una parte, e di fattori contestuali dall altra. Questi ultimi comprendono fattori personali e ambientali, considerando sia l ambiente fisico quello familiare e sociale. Ecco che nell approccio ai bisogni di queste persone diventa assolutamente riduttivo, anche da parte del sanitario, rivolgersi esclusivamente alla cura della patologia senza affrontare il contesto ambientale e soprattutto relazionale in cui il paziente vive, che determina in misura rilevante il funzionamento, la partecipazione e la qualità della vita di questi soggetti. Accanto quindi a una terapia che combina farmaci e psicoterapia, è spesso utile, se non necessario, allargare il focus dell intervento alla famiglia e in particolare al caregiver primario del soggetto affetto da demenza. In psicogeriatria dunque il termine combinato dovrebbe essere inteso come concettualizzazione del malessere senile in cui i destinatari dell intervento terapeutico sono due, cioè il soggetto sofferente e il suo caregiver. La ricerca sugli interventi psicosociali sui caregivers si è notevolmente ampliata in questi ultimi anni, soprattutto su caregiver di soggetti affetti da decadimento cognitivo. Nella demenza infatti sono rilevanti i vissuti emozionali sia soggettivi familiari, sia negli stadi iniziali sia tardivi. Questi possono essere sinteticamente correlati al sentimento di perdita ( non sono più quello di un tempo il mio congiunto non è e non sarà più quello di prima..) e spiegano il frequente riscontro di aspetti depressivi nel soggetto coinvolto e nel suo caregiver. L assistenza ad anziani non indipendenti è assicurata dalla famiglia, di solito coniuge o figli adulti. è un compito molto impegnativo, associato ad aumentati livelli di depressione, ansia, insonnia, conflitti familiari, abuso di farmaci, alcool e malattie. In tale scenario clinico, quando un familiare viene a trovarsi in un ruolo assistenziale di questo tipo, devono essere valorizzati alcuni aspetti: 1) Conoscenza e comprensione della malattia; oltre che una corretta terminologia può risultare determinante, ai fini dei risultati, la capacità di

79 Psicogeriatria: il concetto di terapia combinata 79 comprensione da parte del familiare di termini come ripetitività, agnosia, aprassia, aprattoagnosia, meccanismo di difesa arcaico, proiettivo, delirio abbandonico. 2) Età delle persone coinvolte e loro stato di salute. 3) Presenza di servizi assistenziali sul territorio. 4) Qualità della relazione affettiva, in atto e nel passato, tra soggetto coniuge e figli. Infatti se c è un anamnesi di una buona relazione, evento che per fortuna è il più frequente, il familiare mostra la sua dedizione, la sua tolleranza alle proprie rinunce fino all assunzione di non facili adattamenti come l inversione dei ruoli. Ma, se non c è una buona relazione, lo psicogeriatra deve attivarsi a cogliere precocemente segnali, spesso non chiaramente manifesti, di rifiuto del familiare a farsi carico del congiunto, in modo che sentimenti di angoscia, di intolleranza e atteggiamenti di rivendicazioni non ricadano sul paziente. è importante dunque che una relazione non buona possa essere resa evidente per l eventuale messa in gioco di altri caregiver e per affrontare tale aspetto verbalmente col familiare in questione se lo richiede. In tale contesto il familiare, anche se inizialmente intollerante, può giovarsi di un supporto psicologico che lo aiuti a rileggere e rivisitare certi aspetti del suo legame coniugale o filiale e a scoprirsi orientato verso una dimensione assistenziale, nonostante tutto, come in certi casi può realmente accadere. Nelle prime fasi della malattia le reazioni del caregiver possono assumere atteggiamenti che ricalcano le fasi del lutto. In effetti di fronte a una patologia che sembra cancellare la persona del malato mentre è ancora in vita, tanto che è stata definita living death, è possibile che il familiare reagisca con shock, negazione della realtà, protesta, ricerca di una fonte che sconfessi la diagnosi, percezione di una morte della relazione anche se il malato è spesso fisicamente sano e la relazione continua, ma cambia. In questa relazione il caregiver deve essere aiutato a sottrarsi agli effetti di un lutto costantemente vissuto al presente, ciò che può realizzarsi solo attraverso una figura esterna che informi e illustri le capacità residue ancora presenti nel paziente e come sia necessario per attivarle modificare il proprio linguaggio verbale e corporeo. Quando la malattia ormai è stata accettata, accanto allo svilupparsi di una spontanea o appresa dedizione al ruolo assistenziale, nel caregiver si possono individualizzare altri atteggiamenti che testimoniano una dimensione interna di conflittualità. Ad esempio nei soggetti che temono di non essere all altezza del compito, che non nutrono fiducia nelle proprie intuizioni, spesso assistiamo a una prevalenza di operatività rispetto alla riflessione; così vediamo pazienti che vengono lavati, imboccati, spogliati, ma che noi sappiamo essere in grado di compiere autonomamente tali attività. Quindi l azione che prevale sul pensiero può determinare un rischio di eccesso di disabilità che penalizza entrambi i membri della coppia. In altri contesti è molto importante analizzare il rapporto tra caregiver informale (familiare) e formale (badante) perché accanto ad atteggiamenti di cooperazione, condivisione o sana competitività possiamo spesso riscontrare diffidenza, svalutazione ipercritica associata a sentimenti di colpa ( lei fa dove io sono incapace ). Nella logica di una terapia combinata è dunque rilevante analizzare le suddette problematiche e farne oggetto di discussione pacata col caregiver, perché la demenza mette in discussione gli equilibri del contesto familiare e crea un turbamento che può essere il precursore di un rinnovamento, se c è un aiuto esterno, come invece la causa di uno sfaldamento del sistema. Quindi le strategie familiari di adattamento attivo sono in molti casi rivelatrici del setting relazionale e della dimensione affettiva in quel nucleo familiare. Si può oscillare così da una delega completa ad altri, a una sottostima o negazione dei problemi (tipica di quei soggetti che non accettano di concepire la demenza del congiunto come una crisi del sistema e che viene così ridotta ad avaria di un membro ), fino a una vera assimilazione. In questo caso il caregiver accetta di modificarsi preservando la sua struttura di base, mostrando pattern interattivi con lo scopo e con il desiderio di salvaguardare una relazione che si sta profondamente modificando e/o deteriorando ma che è ancora in atto, e che il paziente è in grado di apprezzare se la dimensione emotiva positiva supera le occasioni di irritabilità. Ecco perché, a mio avviso, terapia combinata in psicogeriatria coincide con un intervento per il soggetto malato e contemporaneamente per il suo caregiver, per il quale sono state previste esperienze terapeutiche individuali o di gruppo. Counselling informativo e psicologico individuale. In questo contesto da una parte vengono richieste spiegazioni sui sintomi in atto, sulla modalità evolutiva, se si può tracciarne una gerarchia, sulla prevenzione, sull ereditarietà, sulla possibilità di andare in vacanza, sui rapporti con i nipoti, sul reale valore della terapia

80 80 guido gori farmacologica, sui servizi territoriali. Dall altra lo psicogeriatra può percepire lo stato d animo dell interlocutore, può valutarne sentimenti non realistici di responsabilità e fare in modo che tutto ciò diventi materia di argomentazione con il caregiver, nell ottica di ridurne la tensione emotiva interna e di fornire una maggiore consapevolezza dei bisogni-desideri del congiunto. Counselling informativo e psicologico di gruppo. Per gli aspetti informativi valgono le stesse osservazioni riportate nelle esperienze individuali, anche se qui sono maggiormente richieste spiegazioni sui comportamenti alterati, dal momento che i gruppi, almeno nella nostra esperienza, sono formati da caregiver di pazienti in stadio avanzato. La funzione psicologica del gruppo consente lo sviluppo di un sentimento di universalità, cioè si arriva a percepire che non si è soli in tale esperienza, e che le proprie difficoltà, inclusi i sentimenti reattivi agli agiti aggressivi del paziente sono vissuti anche da molti altri e che comunque sono compresi, accettati e oggetto di analisi da parte di colui che conduce il gruppo e degli altri partecipanti. In effetti dopo otto settimane di counselling di gruppo su caregiver di pazienti a rischio di istituzionalizzazione è stata ottenuta una significativa riduzione del Caregiver Burden. Nell ambito informativo può assumere rilevanza anche una chiarificazione terminologica, concettuale e operativa di indennità di accompagnamento, legge 104, amministrazione di sostegno, procura, interdizione ed inabilitazione, servizio di assistenza sociale e sue funzioni. Non sempre, infatti, altri colleghi, diversi dal geriatra coinvolto nel settore, sono in grado di fornire adeguati dettagli in merito. Conclusioni In questo articolo si è inteso sottolineare il termine combinato correlato all intervento terapeutico. Mentre in ambito psichiatrico tale espressione si riferisce a due modalità diverse, farmacologica e psicorelazionale, sinergiche e non contrapposte, di accostarsi al medesimo soggetto, in ambito psicogeriatrico, oltre a quanto appena detto, la terapia è combinata perché si rivolge al paziente e al suo familiare. Cosi infatti si riesce non solo a inserire il caregiver in una dinamica terapeutica di sostegno e di informazioni, di cui in molti casi risulta grandemente bisognoso, ma soprattutto si mette a fuoco il concetto che curare il demente vuole dire inevitabilmente curare il suo contesto ambientale e relazionale. Gli studi in questo ambito non sono molti, i trattamenti tendono a essere di breve durata, il campione degli studi è tipicamente limitato, in pochi casi sono stati ottenuti i dati del follow up, ma la letteratura suggerisce che fattori fondamentali per l efficacia del risultato siano la regolarità e la durata dell intervento offerto. Bibliografia consigliata Del Corno F.,Lang M., Taidelli G. Le terapie combinate in psichiatria. Franco Angeli, Milano, 1986 Karasu T.B. Psychoterapy and pharmacotherapy: toward an integrative model. Am.J. Psychiat., 139, Coffey C.,E., Cummings J. Neuropsichiatria Geriatrica, cap. 36. Ed. CIC, ICF: International Classification of Functioning, Disability and Health. World Health Organization. info@who.int

81 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Il Grande Vecchio visto dai giovani specialisti SIMONA GOTELLI Psichiatra, dipartimento di salute mentale, ASL3 Genova Dottoranda in neuroscienze applicate, università degli studi di Genova La musica di Schubert richiede allenamento, per essere apprezzata. Anch io quando l ascoltavo le prime volte la trovavo noiosa. Alla tua età è naturale. Ma vedrai che un giorno l apprezzerai. Le cose che non annoiano, stancano presto, mentre quelle apparentemente noiose non stancano mai. (M. Haruki, Kafka sulla spiaggia, 2002) Il rapporto tra il paziente anziano e i giovani specialisti è influenzato da vari aspetti: culturali, emotivo-motivazionali e tecnici. Gli aspetti culturali, intesi come l atmosfera antropologica in cui l individuo vive e che cambiano nel corso del tempo e delle generazioni, condizionano innanzitutto il concetto di grande vecchio, termine che tradizionalmente contiene in sé significati culturali opposti. Da una parte infatti richiama alla mente aspetti positivi, quali saggezza, esperienza, longevità, potere, rispetto e memoria storica, dall altra richiama aspetti negativi quali malattia, solitudine, lentezza, cronicità, demenza, isolamento e peso sociale. Nell immaginario collettivo moderno, dominato dall individualizzazione, dalla globalizzazione, dall enfasi consumistica e dalla progressiva dis-umanizzazione delle relazioni, sembra prevalere il secondo tipo di associazione. La prevalenza di una concezione negativa si è progressivamente radicata contestualmente al cambiamento della struttura familiare, sempre meno comunità e sempre più monade, e di quella sociale, con un passaggio da una vita comunitaria a quella che Bauman 1 ha definito una vita liquida, caratterizzata da relazioni fragili e spesso transitorie, relazioni senza storia né appartenenza, in cui la persona anziana perde il suo ruolo e la sua identità. Questo cambiamento sociale, insieme al progressivo invecchiamento della popolazione, ha portato da un lato alla perdita dei valori positivi della vecchiaia, dall altro alla necessità di prendersi cura delle persone anziane che spesso sono sole, non più accudite dal contesto familiare allargato. Per questo motivo, quelle che un tempo erano funzioni sociali e familiari vengono sempre più spesso demandate ai servizi sanitari, funzioni che sempre più interesseranno i giovani medici che dovranno gestire nel divenire della loro carriera il progressivo aumento della popolazione over 65 e di quella over 85. Il cambiamento sociale in atto porta i giovani ad avere sempre meno possibilità di entrare in contatto con gli aspetti positivi della vecchiaia, che generalmente sono limitati all età infantile, quando i nonni svolgono funzioni per lo più genitoriali. I giovani hanno scarsa familiarità con gli anziani, che sempre più raramente fanno parte della loro vita quotidiana e, quindi, spesso rappresentano un entità estranea e poco conosciuta. Questa mancanza appare importante per la nostra professione perché è stato dimostrato che le persone che hanno esperienze di vita o di cura di persone anziane sono più predisposte a lavorare successivamente con persone in questa fascia d età (Gomez et al, 1991) 2.

82 82 Simona gotelli Gli aspetti culturali e la storia personale influiscono, infatti, fortemente sulle scelte professionali; molto spesso la scelta della specializzazione o dell area specialistica viene fatta seguendo le capacità e le attitudini individuali, ma d altra parte anche le opportunità di lavoro possono permetterci di disvelare interessi non consci e di abbattere i nostri pregiudizi. Aspetti emotivi, motivazionali e di storia lavorativa si fondono insieme e vanno a incidere nel rapporto tra anziani e giovani medici. Un esempio di ciò emerge dalle parole di alcuni giovani psichiatri che nel raccontare la loro esperienza formativa in un centro Uva di una clinica psichiatrica descrivono il loro incontro con il paziente anziano e il grande vecchio: Prima di lavorarci lo ritenevo noioso, poi ho scoperto la complessità della gestione del paziente anziano e ho sviluppato un forte interesse ; All inizio ero molto scettica. Io non sono cresciuta con persone anziane e anche all università nei vari reparti che ho frequentato li tolleravo poco Adesso invece la ritengo l esperienza più formativa della specialità, è molto difficile curare gli anziani e quindi è stimolante cercare la cura più adeguata e poi sono affettuosi! ; All inizio lo ritenevo noioso, in realtà il lavoro con gli anziani è ricco e complesso, richiede capacità di sintesi e contenimento, bisogna saper dare istruzioni precise, ma al contempo essere elastici. A oggi lo ritengo un ambito molto vario e stimolante 3. Da una parte quindi noia, diffidenza, scetticismo iniziale che si trasforma in curiosità, interesse, stimolo a una formazione specialistica. Verrebbe da dire: se lo conosci non lo eviti! è possibile che la diffidenza iniziale che emerge dalle parole dei giovani sia sostenuta dal fatto che l incontro col paziente anziano evoca nel giovane specialista la paura per se stesso di invecchiare, ammalarsi, morire, e con questa gli effetti della perdita di ruolo, della perdita dell efficienza e anche della solitudine. Tutti questi aspetti vengono combattuti e spesso rifiutati dalla società attuale incentrata su ideali narcisistici di efficienza, bellezza e perfezione. è poi possibile che esista pregiudizialmente anche uno scarso investimento sull idea di cura di un paziente che si ritiene non avere quasi più futuro o tempo di star meglio e che è comprensibile sia, ad esempio, depresso. L esperienza vissuta col paziente, però, porta con sé lo stimolo dato dalla complessità, dalla gestione delle comorbilità e delle politerapie, dalla fragilità che spronano lo specialista, e ancor più il giovane con il suo entusiasmo e la sua motivazione, a cercare la migliore cura, farmacologica e di relazione, fatta di contenimento delle ansie e delle angosce, ma anche di resistenza agli attacchi aggressivi, invidiosi, che la giovinezza del curante può stimolare nell anziano. è infatti importante anche avere presente quale può essere il vissuto del paziente anziano nel rapporto col giovane specialista, aspetto che può influenzare la relazione terapeutica e le scelte che vengono prese al suo interno. Il paziente può investire il giovane di sentimenti filiali, soprattutto quando vissuto come il figlio ideale o il figlio mai nato, ma anche investirlo di attacchi aggressivi sostenuti dall invidia della sua giovinezza. Di certo, per il giovane medico, e non solo nell ambito della psicogeriatria, può essere difficile guadagnarsi la fiducia del paziente che può avere dubbi sulla sua competenza. Penso che in parte tale diffidenza sia sostenuta dalla scarsa esperienza che il paziente ha di relazione con lo specialista giovane: a questo punto un po si rovesciano le parti e così come il giovane è diffidente all idea di relazionarsi con l anziano che poco ha conosciuto nella sua vita, altrettanto il paziente anziano che generalmente incontra medici di una certa esperienza negli ambulatori e negli ospedali, è diffidente non avendo conoscenza delle competenze lavorative di un giovane medico. Di solito l esperienza è positiva anche per il paziente che trova nel giovane un accuratezza terapeutica insieme a una maggior disponibilità all ascolto, fatto che permette una connessione tra narrazione clinica e narrazione di vita, che fa riassumere al grande vecchio, almeno per il momento della visita, quel ruolo di saggio e sapiente, perso nel contesto sociale. Sarebbe un errore tuttavia enfatizzare solo gli aspetti relazionali o quei sentimenti di tenerezza, di ammirazione, di compassione che vengono spesso stimolati nel rapporto con l anziano e in particolare con il grande vecchio, sottovalutando la complessità e la fragilità fisica di questi pazienti (basta un influenza per confondere il quadro clinico), e in generale gli aspetti tecnici. Per questo il giovane specialista, sia che lavori in ambito psicogeriatrico, sia che lavori in un settore meno specialistico, ma comunque in prospettiva molto frequentato da anziani, deve essere formato a gestire un paziente con caratteristiche e bisogni specifici. è necessario, quindi, che il giovane medico ab-

83 Il Grande Vecchio visto dai giovani specialisti 83 bia una formazione multidisciplinare (clinica, psicologica, neuroradiologica) e si abitui a lavorare in rete; affini la capacità di riconoscere la depressione in una fascia d età in cui è spesso giustificata ; si abitui al monitoraggio fisico regolare del paziente; impari a lavorare con i caregiver e a prevenire l istituzionalizzazione del paziente, senza cedere alla tentazione di ascoltare o dare credito solo ai familiari, ma ascoltando il paziente anche se deteriorato; infine sviluppi un ottica di prevenzione e interventi precoci anche per il paziente molto anziano, evitando nel contempo gli accanimenti terapeutici. Nell anno europeo dell invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni è auspicabile che anziani e giovani medici abbiano sempre più occasioni di incontro, sia per superare diffidenze reciproche, sia per favorire l acquisizione di competenze specifiche da parte del giovane specialista, come investimento sul futuro. Bibliografia 1 Bauman Z., Vita liquida, Ed. Laterza, Bari, Gomez G. E. et al, Attitude Toward the Elderly, Fear of Death, and Work Preference of 3 Baccalaureate Nursing Students, Gerontology & Geriatrics Education, 1991, 11: Baccalaureate Nursing Students, Gerontology & Geriatrics Education, 1991, 11: 45-56

84 PSICOGERIATRIA 2012; 2: L ospedale è un luogo per grandi vecchi? NICOLA RENATO PIZIO Ospedale di Lavagna (GE); responsabile S. C. di neurologia npizio@asl4.liguria.it Il titolo della relazione che mi è stata assegnata corrisponde in effetti a un dato di realtà molto evidente: nella popolazione ospedaliera l incidenza di persone molto anziane si fa via via maggiore, e l evento di un ricovero ospedaliero, spesso ripetuto, è una possibilità crescente nella vita del grande anziano. Pertanto ho cercato di rimanere su un piano descrittivo, tentando di individuare le ragioni di questo fenomeno, e cercando di introdurre, in termini di domande, fattori di critica all attuale organizzazione dell assistenza ospedaliera in riferimento proprio a questo documentato aumento della presenza di grandi anziani nell ospedale. A questo mi permetterò di associare osservazioni personali aneddotiche derivanti proprio dalla mia attività di medico ospedaliero in un reparto di degenza neurologica. Come detto, oggi nella vicenda umana dei grandi vecchi l ospedale interviene pesantemente. Quali ne sono i motivi? Intravvedo tre ordini di motivi: 1) Motivi legati al paziente anziano in sé: con l avanzare dell età, sono ovviamente più frequenti le patologie, e l associazione delle stesse. Il paziente grande anziano è spesso affetto da diverse patologie (metaboliche, vascolari, neoplastiche) complicantisi a vicenda e l affronto delle quali può essere problematico a domicilio. Altro motivo di quest ordine è la presenza di demenza che può complicare di per sé la gestione di patologie diversamente affrontabili in pazienti in grado di fornire collaborazione nei percorsi terapeutici e preventivi. Altro motivo è legato al genere: a 75 anni i vedovi sono il 16%, ma le vedove sono il 60%. Ciò costituisce un fattore molto importante per la condizione della donna, che si ripercuote sulla patologia (ansia, depressione), e sul ricorso ai servizi sanitari, compreso uso farmaci, ricoveri ospedalieri ecc. 2) Motivi legati al contesto familiare: si va da situazioni di assenza di rapporti familiari (paziente che vive solo, o con un/una badante) a presenza di figli che iniziano a non esser più giovani (un paziente centenario o novantenne può avere figli settantenni), quindi anch essi a rischio di patologie; esistono anche situazioni di conflitto relazionale, famiglie disgregate ecc.. ovviamente la mancanza di un efficace rete familiare impedisce l affronto di problematiche sanitarie minori o che comunque in altro contesto potrebbero essere affrontate a domicilio. 3) Motivi legati all organizzazione dell assistenza territoriale: se da una parte è encomiabile lo sforzo, che diversi gruppi di medici di medicina generale stanno facendo per dare una risposta coordinata alla sfida della cronicità, è evidente a tutti che il singolo MMG appare in difficoltà nella gestione di un paziente che per la sua strutturale estrema fragilità richiede molto tempo, molta attenzione e un grande impegno relazionale. L attuale situazione demografica con il peso crescente della fragilità e della cronicità e la congiuntura economica evidenziano l urgenza di sviluppare e poten-

85 L ospedale è un luogo per grandi vecchi? 85 ziare l offerta dei servizi territoriali. Il livello delle cure primarie è sempre più strategico per questo obiettivo come conferma anche l attenzione che i vari sistemi regionali esprimono nei loro progetti di riforma. A questo proposito appare interessante, anche se foriero di nuove problematiche, il progetto CREGs della Regione Lombardia. Sempre in questo capitolo una parola va spesa sulla medicina dell emergenza territoriale: essa è solitamente impostata sulla brevità dell intervento e sulla velocizzazione delle procedure, e ciò male si accorda con situazioni complicate per multi patologie, possibilità di disturbi cognitivocomportamentali, mancanza di caregiver adeguati. Probabilmente vi è anche una certa carenza formativa del personale del 118 sull affronto del paziente grande anziano. Così come è fatto l ospedale risponde alle esigenze e ai bisogni del grande vecchio? Cerchiamo di seguire passo passo l impatto dell ospedale sulla persona molto anziana. L arrivo è in genere urgente, il primo impatto è con il triage del pronto soccorso. Qui sorge una domanda per i responsabili delle strutture di PS e accettazione: quanto pesa l età nel determinare il codice? Sono formati i triagisti a valutare il grande vecchio? Che esperienza fa il grande vecchio dell attesa in PS? Conosciamo tutti i tempi di attesa per i codici non gialli o rossi in pronto soccorso. Sappiamo anche cosa sono le situazioni di affollamento che spesso caratterizzano i pronto soccorsi delle nostre città e non è difficile prevedere le conseguenze di una attesa di ore su un lettino scomodo, in termini di esperienza fisica di dolore, e di possibilità di delirium. Seguendo l esperienza della degenza in una sala p.es. medica, si può osservare una serie di disagi che, elencati sinteticamente, sono i seguenti. Innanzitutto la necessità di convivenza con altre presenze: gli altri malati, con i loro rumori (discorsi, lamenti, a volte urla ecc ), il personale, i visitatori. I tempi della vita ospedaliera sono assolutamente diversi dai tempi della vita casalinga: sveglia precoce, pasti anticipati, così come è anticipato lo spegnimento delle luci. Le manovre di modifica posturale che periodicamente vengono espletate dal personale implicano talora risvegli improvvisi in pazienti che tendono ad assopirsi. L allettamento in una sala di degenza ospedaliera, specialmente in occasione di eventi che comportino difficoltà motorie, assume spesso le caratteristiche di una situazione di costrizione: la persona per molte ore della giornata avendo il campo visivo (quando permane) occupato sostanzialmente dal soffitto della stanza; ai lati, nel caso del paziente molto anziano, sono quasi sempre presenti le sbarre, il materasso antidecubito comporta delle scomodità, per non parlare delle problematiche relative alla questione della necessità di contenzionamento. La messa in opera di devices (cateteri vescicali, cateteri venosi, sondini nasogastrici, erogatori di ossigeno, apparecchi per aerosol, ventilatori non invasivi). L esperienza dell interazione con questi supporti esterni di cui la persona anziana per le sue condizioni cliniche e cognitive può non riuscire a comprendere significato e utilità, a volte è estremamente penosa e fonte di stati di agitazione con necessità di provvedere a contenimento (umano, meccanico o farmacologico) che a sua volta può ulteriormente degradare lo stato di benessere del paziente. La presenza dei familiari. La sensazione di solitudine e di abbandono della persona molto anziana durante un ricovero ospedaliero è assai comune. Occorre ricordare che in Regione Liguria, analogamente ad altre regioni, è vigente dal 1980 una legge che riconosce il diritto alla presenza di un famigliare accanto al letto del paziente ultra settantacinquenne (compatibilmente con le esigenze operative dei vari reparti). Non è comunque detto che la situazione clinica consenta tale presenza continuativa, o che la famiglia sia in grado di garantire la stessa presenza. Inoltre, in condizioni di compromissione cognitiva, l assenza anche solo di qualche minuto viene percepita come molto prolungata. Andando maggiormente sul piano clinico assistenziale, ci sono due sintomi-esperienze-malattie su cui occorre che l attenzione degli operatori ospedalieri (medici e infermieri in prima battuta) sia particolarmente presente, perché tendono a essere sottostimati, sottovalutati e quindi non affrontati: sono il dolore e la depressione. Il paziente molto anziano, in condizione di deprivazione sensoriale (come può accadere giacendo nel letto di un ospedale) può non essere in grado di comunicare in modo adeguato la presenza di dolore fisico o di uno stato di depressione del tono dell umore. È significativo l impegno che a tutti i livelli del servizio sanitario nazionale, anche con l apposita legge n.30 del 2010, si sta avviando per la prevenzione del dolore nelle strutture sanitarie. Nei confronti della popolazione molto anziana, occorre a questo proposito tenere conto delle barriere cognitive, del gap di preparazione degli operatori (e spesso della loro insufficien-

86 86 NICOLA RENATO PIZIO za numerica). Simile discorso vale per il disturbo depressivo. Il personale è addestrato alla gestione ospedaliera del grande vecchio? Si fa tutto per prevenire episodi di delirium? Esiste una gestione oculata farmacologica in merito? Esistono lo spazio e il tempo per un adeguata comunicazione tra i soggetti interessati alla cura del grande anziano, tenendo conto dell organizzazione della vita di un ospedale per acuti? Un discorso a parte merita il caso di eventuale intervento chirurgico. Lo sviluppo delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche (per quanto riguarda sia la chirurgia maggiore sia quella a minore invasività) ha praticamente eliminato ogni limite di età a priori per sottoporre una persona a intervento chirurgico, laddove ci siano l urgenza e l indicazione. Non volendo addentrarsi in considerazioni sull appropriatezza o meno degli interventi chirurgici (in riferimento a concetti come aspettativa di vita, impegno di risorse, costi, controlli dell outcome ecc..), occorre dire che le problematiche e gli scenari descritti prima (in termini di peggioramento dello stato cognitivo, episodi di delirium, ultimamente maggiore sofferenza psichica) vengono sicuramente accentuati in occasione di esperienza chirurgica. Bisogna tuttavia ricordare su questo punto che esistono esempi consolidati di come un affronto interdisciplinare del paziente anziano possa migliorare anche l outcome chirurgico (p.es. progetti ortogeriatrici che hanno rappresentato una svolta positiva nella gestione di pazienti con frattura di femore, anche molto anziani). La dimissione del paziente molto anziano dall ospedale avviene il più delle volte per cessata emergenza (respiratoria, cardiaca, dismetabolica, neurologica ecc..) non per guarigione: la polipatologia da cui è affetto permane e quindi la possibilità di un rericovero, anche a breve distanza temporale, è sempre presente. Inoltre, l esito frequente è quello di una maggiore disabilità rispetto a prima dell evento che ha portato al ricovero. Il paziente che viene dimesso, e i suoi familiari o caregiver, quale consapevolezza reale hanno di ciò? Quale sostegno è possibile? Funziona la rete delle cure domiciliari? Il medico di medicina generale viene coinvolto, e come? Credo che a questo riguardo esista in Italia una situazione a pelle di leopardo. Quando la dimissione non è a casa, come viene percepita dal paziente? Si tratta di un percorso di riabilitazione/convalescenza o è l anticamera della morte? Al di là delle difficoltà pratiche che si rilevano spessissimo nell attuare percorsi di dimissione protetta a domicilio o presso strutture residenziali dal ricovero per acuti (vale a dire tempi di attesa lunghi tra l invio delle schede di segnalazione e l effettivo ricovero, la carenza dei posti, il basso turn over, la difficoltà nella fornitura di presidi e ausili, l insufficiente informazione dell utenza circa i servizi erogabili a livello residenziale), è esperienza comune, specialmente laddove le capacità cognitive non risultino del tutto compromesse, il riscontro di una difficile accettazione da parte del paziente del non ritorno a casa. La morte in ospedale: l ospedale diventa sempre di più il luogo della morte della persona. Nella mia esperienza personale, ricordo anni fa la frequente richiesta da parte dei familiari di portare a morire a casa il congiunto. Ora non mi capita più di ricevere richieste di questo tipo, ma appare evidente la difficoltà dei parenti ad affrontare questo momento, anche nei casi in cui la comunicazione delle sfavorevoli condizioni del paziente viene fatta in modo adeguato, con delicatezza ma senza ipocrisie. In conclusione, l ospedale di oggi, tra DRG e dovere della presa in carico : l ospedale per acuti è diventato, soprattutto grazie allo sviluppo delle risorse tecnologiche, sempre più un luogo in cui si progettano e si attuano procedure, si erogano prestazioni, si affrontano problemi emergenti, e sempre meno il luogo della presa in cura del paziente, e non può essere che così, se non altro sul piano delle necessità economiche per mantenere l efficienza degli ospedali stessi. Il ciclo della prestazione diventa sempre più breve e il bisogno diventa sempre più lungo (proprio grazie allo sviluppo tecnologico che ha permesso un allungamento della vita clamoroso nel corso degli ultimi decenni). Perciò il problema resta. Gli ospedali sono nati nel medioevo per ospitare pellegrini e viandanti ammalati (come ad esempio l ospedale di S.Maria della Scala di Siena, nell antichità classica non esistevano). Chi intercetta oggi in modo adeguato questo bisogno, con particolare riferimento alle persone di cui ci stiamo occupando? E anche, chi siamo noi cui è dato in sorte di occuparci di queste persone con questi bisogni? Le persone anziane, la loro sofferenza prolungata anche grazie alle cure ha bisogno di essere ospitata. Avremo sempre più bisogno sia di ospedali sia di reparti di urgenza. Di ospedali per ospitare, per curare la gente e per assisterla. Forse su questo punto occorre un altro tipo di alleanza oltre a quella tra medico e paziente, l alleanza tra il professionista della salute e l amministratore che fa la politica della salute.

87 PSICOGERIATRIA 2012; 2: Il vecchio e le medicine di Marco Trabucchi, Edizioni Panorama Sanità, 2012 Piera Ranieri, Angelo Bianchetti Istituto clinico S. Anna, Brescia Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Il vecchio e le medicine non è esattamente un manuale di farmacologia geriatrica quanto piuttosto, come indicato nel sottotitolo, appunti per affrontare difficoltà psicologiche, cliniche, organizzative, economiche che incontra chi deve occuparsi o utilizzare i farmaci per l anziano, Il libro si fonda sull idea che il farmaco non è un appendice più o meno importante del lavoro clinico, ma rappresenta un momento importante, e spesso decisivo, del rapporto di cura con la persona anziana e che l utilizzo corretto di questo strumento richiede cultura specifica, conoscenza dei diversi aspetti della vita del farmaco e capacità di leggere i problemi della persona anziana ammalata. L autore ci ricorda che l età di per sé non rappresenta una barriera alle cure con i farmaci, ma la cura dell anziano richiede una specifica metodologia di approccio clinico. L autore vuole dimostrare che le cure rivolte ai vecchi, per quanto difficili, ottengono risultati clinici e umani rilevanti. Per raggiungere tale scopo è necessario disporre di mezzi adeguati, di una formazione di alto livello, di una sensibilità personale verso i problemi delle persone più fragili e infine di una coscienza civile che impegna a favore di tutti i cittadini, indipendentemente dall età e dal livello di efficienza. Il volume si colloca nella logica di contribuire a un ulteriore progresso delle conoscenze per migliorare la qualità delle cure prestate alle persone anziane. Si affronta il problema della somministrazione dei farmaci nell anziano alla luce delle più moderne teorie sui processi di invecchiamento, sull evoluzione della prassi clinica e dei sistemi di cura, sull organizzazione sociale in generale. Il volume descrive le problematiche più rilevanti poste dalla prescrizione e dall uso dei farmaci nell anziano, con attenzione sia agli aspetti macro (quelli che condizionano una cura appropriata per ragioni economiche, organizzative, scientifico-culturali, ecc) sia a quelli micro, cioè le modalità per le quali il farmaco può raggiungere attraverso il lavoro del medico e degli altri operatori sanitari il massimo di efficacia nel singolo individuo, caratterizzato da una storia, portatore di sintomi e segni, spesso condizionato da fattori personali e sociali, razionali e irrazionali. Il libro offre una lettura originale dei dati demografici, sottolineando come questi debbano offrire un supporto alle decisioni che restano affidate a chi opera clinicamente. Chi cura un paziente anziano dovrebbe essere guidato da emozione, compassione, passione e pazienza, scienza e cultura. Il libro approfondisce gli elementi che permettono al medico di sviluppare questi elementi della prassi clinica rappresentati dai momenti che contraddistinguono l atto clinico: la raccolta dell anamnesi, la visita, il percorso diagnostico e la definizione del percorso di cura. La prescrizione del farmaco va collocata all interno di questo percorso, anche se molte volte il rapporto medico-paziente segue strade diverse. Uno spazio importante nel libro è dedicato al tema della specificità dello stu-

88 88 Piera Ranieri, Angelo Bianchetti dio e prescrizione dei farmaci nel soggetto anziano. Gli studi di farmacologia clinica nelle età avanzate incontrano numerosi problemi che poi hanno una ricaduta sulle registrazioni e quindi sull utilizzo in ambito clinico dei farmaci. Molte sperimentazioni farmacologiche ancora oggi escludono le persone anziane, i metodi di analisi dei risultati non tengono in considerazione i fattori legati all invecchiamento, alla comorbidità e anche la definizione stessa degli end-point non tiene conto di elementi centrali nella definizione di salute dell anziano, quali l autosufficienza, il bisogno assistenziale o la qualità della vita. è innegabile quindi che sia necessario arrivare a un modello di sperimentazione che tenga maggiormente conto delle variabili specifiche della persona anziana e che permetta quindi una realistica esecuzione degli studi anche in questa fascia di soggetti. Collegato questo tema si colloca quello dell utilizzo di protocolli e linee guida per il trattamento di patologie dell anziano; anche in questo caso la non attenzione agli elementi specifici della persona anziana ammalata rischia di rendere inapplicabili in un rilevante numero di casi le indicazioni delle linee guida. Il farmaco viene considerato uno strumento importante per la cura, immerso in dinamiche complesse, in continua trasformazione, spesso di difficile interpretazione. Lo scenario impone di leggere il farmaco nella prospettiva della complessità, ben al di là del dato chimico-biologico. Esso è infatti un mezzo di cura che si è sviluppato attraverso studi e ricerche, che viene prescritto secondo regole definite e scelte individuali, che esercita una funzione attraverso la relazione con il paziente oltre che attraverso i meccanismi biologici, che è al centro di interessi legittimi, ma talvolta contraddittori, e che costituisce un elemento rilevante nell organizzazione dei servizi sanitari. Nelle conclusioni del libro vengono in modo efficace sintetizzati gli elementi che caratterizzano il corretto utilizzo dei farmaci nell anziano, che pensiamo possa essere uno stimolo per leggere il libro: 1. il farmaco è utile ai vecchi; 2. nonostante il terrorismo dei numeri, la nostra società, continuando sulla scia del recente passato, è in grado di garantire ai propri vecchi cure adeguate per una vita migliore, controllando il dolore e la sofferenza e riducendo i rischi di perdita dell autosufficienza; 3. il farmaco è un mezzo delicato, che richiede studi e ricerche per la messa a punto e cultura ed esperienza per la prescrizione; 4. gli studi sui farmaci per l anziano non hanno compiuto in questi anni i progressi attesi; si deve quindi concentrare sul tema una maggiore attenzione della biomedicina sperimentale e clinica; 5. i vecchi assumono molti farmaci. Attorno a questo aspetto si sono concentrati dibattiti non sempre lucidi e razionali. Il troppo e il troppo poco è ancora al centro di una dialettica irrisolta; 6. i cittadini amano e odiano i farmaci; cioè è ancor più vero per l anziano, sempre in bilico tra l amore e la dipendenza da una parte e la critica e il rifiuto dall altra; 7. la cura del anziano è un esercizio di complessità. Da questo punto di vista la medicina dei vecchi insegna alla medicina in generale come si devono affrontare aspetti clinici che si sovrappongono e interagiscono con modalità non predicibili; 8. less is more? Alla ricerca di un equilibrio che richiede prudenza e determinazione, senza però lasciare spazio a rinunce, spesso figlie dell ageismo ; 9. la cura dei vecchi è fatta di tanto: farmaci, relazione, interventi con mezzi non farmacologici, tecnologia, servizi, ecc.; è doveroso trovare un equilibrio attraverso studi, ricerche, valorizzazione dell esperienza; 10.la spesa farmaceutica per l anziano è elevata. Il punto centrale è chiarire se è adeguata, e allora i cittadini devono essere disposti a sacrifici, o se è la conseguenza di sprechi e inappropriatezza e quindi va ridotta. Ma la problematica è solo clinica e non deve essere inquinata da motivazioni diverse.

89 PSICOGERIATRIA 2012; 1: Pietre Angolari LUISA BARTORELLI Quali le pietre angolari per il futuro? Mentre i dati epidemiologici ci fanno prevedere un esercito di smemorati che avanza verso la metà del secolo, pervengono grandi notizie su sempre più vaste memorie artificiali, progettate dai più importanti centri tecnologici universitari o dalle più sofisticate società industriali. Emergono nuovi concetti, nel caso nostro quello definito come realtà aumentata, riguardo a tutta una gamma di percezioni in più, di cui potremmo essere dotati tramite strumenti da indossare: occhiali, braccialetti, ciondoli forniti di Led e minuscoli tatuaggi stampati sulla pelle, sia per raccogliere i segni vitali, sia per geolocalizzazioni di sicurezza. In effetti, già in alcune esperienze come nel Premio Linda: un abito per l Alzheimer, erano stati segnalati vestiti con scheda Sim integrata o Led incorporato, e così pure nella sperimentazione del progetto Diogene della SdP si è recentemente dimostrata la validità degli orologi Gps per la localizzazione delle persone affette da demenza, a rischio di perdersi o a rischio di fuga. Tuttavia esiste una cesura tra questo esercito di vecchi smemorati e la scienza informatica che avanza, anch essa con la forza di un esercito, aumentando le memorie virtuali. C è il disagio dato dall impotenza davanti al decorso di una malattia così diffusa e d altra parte l esultanza di una strepitosa tecnologia, in corsa verso dotazioni che dovrebbero facilitare al massimo i circuiti mente-corpo-mondo esterno. Al di là degli aspetti strettamente legati a un controllo dello stato di salute delle persone tramite sensori sempre più efficaci, una simile tecnologia, capace di registrare e conservare la memoria di tutto quello che facciamo, potrà farsi protesi per le persone affette da demenza? Si potrà colmare la discrepanza tra la perdita di memoria di tanti e l onda nuova che monta nella nostra società? La risposta, che per la generazione attuale di old-old è sicuramente negativa, potrebbe anche essere diversa per le persone che entreranno via via in futuro nella fascia di età critica, a grande rischio di demenza. I dubbi comunque rimangono, ed è bene continuare il nostro impegno su altri fronti e con altre risorse. Sul piano delle alleanze terapeutiche, se ne è evidenziata una al limite dello straordinario e difficilmente riproducibile. Negli Stati Uniti le prigioni per ergastolani (in Usa veramente essi vi rimangono a vita!) cominciano a trovarsi di fronte a una alta incidenza di demenza, a causa dell invecchiamento dei carcerati, anche perché l essere rinchiusi si configura come fattore di rischio di invecchiamento precoce (+ 15 anni). In California, davanti a tale situazione, hanno sperimentato con successo i gold coats, detenuti che pur essendo killer incalliti, accettano di formarsi al ruolo di caregiver per i loro colleghi indementiti; vengono chiamati così perché per distinguersi indossano giacche gialle, delle quali vanno molto fieri, quale segno di un lavoro che aumenta la loro autostima, come si argui-

90 90 PIETRE ANGOLARI sce da interviste a loro effettuate; frequentano, appunto, un corso di formazione sulla demenza, accudiscono ai loro colleghi più sfortunati, sono supervisionati dallo psicologo del carcere, ricevono anche un piccolo compenso di 50 dollari mensili. Si tratta di un iniziativa eccezionale, di grande contenuto umanitario. Non vorremmo che proprio questa fosse la pietra angolare dimenticata dai costruttori.

91 PSICOGERIATRIA 2012; 1: Poesia Alberto Bertoni QUADERNO DELLA MADRE Mia madre Mia madre non è uno scoiattolo né un topo, ergo di lei non posso parlare con leggerezza o schifo Mia madre al massimo piange quando sono lontano e con gli anni, le ore, peggiora pensa che io non vivo Fra l utero e il marmo Eh, beh, carissima, sì immagina come rimango blindato qui fra l utero e il marmo ridotto a puro pianto io finalmente nessuno, muto fra l utero e il marmo Intanto è passata un altra estate, mia madre l ho ricoverata per demenza e siccome conosco abbastanza, poverina la genealogia equina so che due brocchi trottatori come i miei genitori potranno fare tutto ma non un purosangue di Longchamp Così, se non ti spiace, penso a quando aggrappato a qualcosa dirò «Bonjour, comme ça va!» a un infermiera del Botswana stringendo in mano una banana la barba non rasata, senza fondo lo sguardo ultimo anch io e lontano sul traguardo Un purosangue di Longchamp Entra in un bar una faccia peruviana e «Bonjour, comme ça va!» esclama alla barista slava, Sylwia o Katia, mentre il tuo nome all Iper si riduce a una marca di acqua meno cara o alla specie invece più rara di pesca settembrina e sembra che sia per forza il nome di una santa come tu stessa santa hai sperato di essere, bambina

92 92 POESIA ODISSEE Franca Grisoni La scrittura di Alberto Bertoni si rapporta continuamente con l assenza e con la morte. In Ricordi di Alzheimer (Book), è il padre a essere accompagnato nella sua via crucis fin dai primi sintomi ancora oscuri della malattia, con spiragli di comunicazione e di intimità lungo la progressiva perdita di ogni relazione, fino alla morte nella casa in cui ha continuato a essere accudito. Di questa avventura umana e letteraria abbiamo avuto modo di scrivere in Psicogeriatria gennaio-aprile In Quaderno della madre, alla figura paterna è subentrata quella materna; questa piccola raccolta si trova in Recordare (Incontri), un volume a più voci che raccoglie poesie in memoria delle madri e dei padri di Alberto Bertoni, Roberto Aperoli ed Emilio Rentocchini. E qui scopriamo che anche la madre di Bertoni, come il padre, è stata colpita da demenza. Nella poesia La zattera dei folli, Bertoni sa fare così nostra questa sua duplice esperienza perché egli l ha introiettata fisicamente: la sua «bocca / contratta nello spasmo / che ingoia tutto il molo d asfalto / la chimera, la piaga, lo slancio / dove salpa la zattera che porta / la demenza di mia madre e di mio padre / nel mare senza luce» e qui mi spiacerebbe dover mettere un punto: nessuna di queste poesie è chiusa con un punto fermo. L assenza di questo importante elemento della sintassi rimanda a un oltre che sfugge, che si sottrae alla disposizione conoscitiva del lettore perché o è indicibile, oppure non è ancora stato sperimentato, se non come terribile possibilità aperta all impensabile. E se è vero che la poesia è una questione di voce e che questa è sgorgata dalla «bocca» di chi se ne è nutrito, andiamo a leggere ad alta voce le poesie stampate a lato, e alla fine di ogni verso attraversiamo in silenzio il bianco del foglio, lasciamoci precipitare nel verso seguente che ci sorprenderà, facciamoci condurre alla mancanza di punto finale, fino ad apprendere l empatia del poeta. Sappiamo che il processo di disumanizzazione causato dalla perdita di memoria non riguarda solo la persona colpita da demenza, ma coinvolge anche chi se ne prende cura. Come il Nostro poeta, che conosce, condivide, patisce la sofferenza della madre in lutto per lui, anche se egli è solo lontano («pensa che io non vivo»). Ma anche egli stesso nella madre vive la propria morte, se sta già «blindato qui / fra l utero e il marmo». È una storia di amore e morte: la madre che gli ha dato la vita, che gli ha fatto spazio dentro il suo utero, è già votata al «marmo» che la sta chiudendo in una morte anticipata, prima ancora di quella definitiva, quando sarà serrata dal «marmo» tombale, mentre a dire che la tragedia è quella materna, ma che è il figliospettatore a patirla in piena consapevolezza, sono sufficienti questi due versi: «ridotto a puro pianto / io finalmente nessuno, muto». A conferma che queste poesie narrano una storia d amore, come quelle in cui il protagonista era il padre, basta un campione minimo: l io vede che la madre lo sta guardando «fisso dagli occhi dove sono nato». È così. Quello materno è uno sguardo che mette al mondo, che dona la vita, per questo è così difficile accettare di perdere la possibilità di essere riconosciuti dagli occhi materni; per questo è così diverso il lutto per la madre da quello del padre, quando i genitori sono uniti in un unica «zattera» da due forme di demenza che ne ha fatto «due brocchi». La passione di Bertoni per le corse ippiche gli ha fatto scrivere alcune poesie. In Un purosangue di Longchamp, però, il pronostico non si riferisce a una possibile vittoria equina, ma con la metafora dei «due brocchi trottatori», riferita ironicamente ai genitori, il poeta dice la possibilità che ha egli stesso di essere colpito da una malattia neurodegenerativa per cause genetiche. Soggetto a rischio, già si descrive con lo sguardo «senza fondo» che ben conosce per averlo patito in prima persona nel deterioramento cognitivo di entrambi i genitori di cui ha cantato le odissee uniche e irripetibili.

93 In collaborazione con Aging and dementia: addressing the horizons S AV E THE DAT E BRESCIA 8-9 novembre 2012 Presidenti del Congresso Alessandro Padovani, Marco Trabucchi

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