Nutrition and Metabolism - Nu.Me. UPDATE DIABETE TIPO 2 E MALNUTRIZIONE VOLUME DEGLI ATTI

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1 A M I L E ASSOCIAZIONE DIETETICA ITALIANA V I T A Nutrition and Metabolism - Nu.Me. UPDATE DIABETE TIPO 2 E MALNUTRIZIONE Genova giugno 2011 VOLUME DEGLI ATTI N T U M ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIETETICA E NUTRIZIONE CLINICA A N N O M C M L

2 La Fondazione ADI ha per scopo la valorizzazione della Dietetica e Nutrizione Clinica ed in particolare promuove: la ricerca scientifica di particolare interesse sociale nel campo della dietetica e nutrizione clinica; gli studi clinici e la ricerca scientifica clinica e di base nell ambito della Dietetica e Nutrizione Clinica e delle patologie correlate; la formazione degli operatori sanitari per accrescerne la professionalità al fine di migliorare la qualità della cura e della vita di soggetti con malattie su base disnutrizionale e loro complicanze anche attraverso corsi, eventi e campagne di sensibilizzazione su scala nazionale. La Fondazione ADI ha lo scopo di contenere e razionalizzare la spesa pubblica sanitaria, e promuovere lo svolgimento di iniziative volte a: Raccogliere fondi per la suddetta ricerca; Disegnare ed attuare programmi di ricerca in tema di epidemiologia, prevenzione, clinica, terapia, economia sanitaria, problematiche sociali, modelli gestionali nell ambito delle patologie correlate alla Dietetica ed alla Nutrizione Clinica; Disegnare ed attuare programmi di ricerca di base; Diffondere i risultati di tali programmi attraverso iniziative congressuali, editoriali e divulgative, sia in ambito socio-sanitario che nella popolazione generale; Attuare, in collaborazione con altre associazioni dell area, programmi di formazione professionale delle categorie sanitarie interessate; Finanziare premi, borse di studio e programmi di ricerca finalizzati agli scopi di cui sopra.

3 PRESENTAZIONE G. Fatati Presidente Fondazione ADI La Fondazione ADI ha voluto promuo - vere un incontro tra specialisti su due tematiche di scottante attualità: il diabete e la malnutrizione per difetto. Sono tematiche solo in apparenza distanti (il diabete si accompagna spesso all obe - sità cioè alla malnutrizione per eccesso) non solo perché unite da un marker metabolico comune, che è l insulinore - sistenza, ma per la condivisione della necessità di razionalizzarne ed ottimiz - zarne il trattamento. Il numero delle persone che ne sono affette e il costo sociale di queste patologie richiedono un attenzione particolare. Si calcola che più di 246 milioni di persone nel mondo siano affette da diabete mellito; di questi, 3,8 milioni muoiono ogni anno per cause diretta mente correlabili alla malattia di base. L iperglicemia causa una condizione di stress ossidativo che genera una serie di effetti tessutali che rappresentano i fattori causali delle complicanze re sponsabili della morbilità e della mor talità associate. Riduzioni anche minime dell HBA1c permettono di ottenere una riduzione notevole delle complicanze. L intervento deve essere il più precoce possibile (the earlier, the better) per evitare che la cattiva memoria metabo lica aumenti il rischio di complicanze macrovascolari. Purtroppo la maggior parte dei report internazionali evidenzia che la terapia del diabete tipo 2 non è né precoce né intensiva denotando una inerzia tera - peutica inaccettabile. Negli ultimi anni la disponibilità degli inibitori del DPP IV e degli analoghi del GLP-1 hanno portato nuove risorse terapeutiche. La Fondazione ADI ritiene importante che la comunità scientifica si confronti per condividere flow-chart terapeuticocomportamentali che consentano non solo di curare ma soprattutto di prendersi cura della persona con diabete. Il fenomeno dell inerzia terapeutica è ancora più grave, se possibile, quando parliamo di malnutrizione per difetto. Gli studi riportano che il 20-40% dei pazienti presentano, alla loro ammissione in ospedale, un quadro di malnu tri zio - ne, che il 70% peggiora il proprio stato nutrizionale durante i primi 10 giorni di ricovero ospedaliero e addirit tura che vi è un mancato riconosci mento della patologia nel 62-70% dei casi. Per quanto riguarda l Italia, lo studio PIMAI (Project Iatrogenic Malnutrition in Italy), terminato nel settembre 2005, che ha coinvolto 13 strutture ospeda - 1

4 liere in 13 regioni, per un campione totale di 1830 soggetti, ha evidenziato che all ingresso in ospedale la percen tuale di soggetti malnutriti è pari al 31% e l indice di trascuratezza nutrizionale elevato. Questi dati lasciano perplessi se si pensa che lo screening per la valuta - zione del rischio di malnutrizione è una semplice procedura, a basso costo, utilizzabile da infermieri, dietisti e medici, già al primo contatto con il malato. La Nutrizione Artificiale, nelle persone in cui l alimentazione orale non è praticabile e/o non è sufficiente a soddisfare i fabbisogni calorico-proteici o è controindicata, influenza positiva mente la prognosi, con riduzione di morbilità e mortalità, miglioramento del decorso clinico e della qualità di vita. Al pari di quanto accade per il soggetto diabetico, anche per il malnutrito, l intervento non è né precoce né otti mizzato. L incontro con esperti nazionali e internazionali speriamo possa contri buire a ridurre il fenomeno inaccet tabile dell inerzia terapeutica. 2

5 IL RUOLO DEGLI INIBITORI DEL DPP-IV NELLA TERAPIA DEL DIABETE MELLITO: IL VILDAGLIPTIN F. Dotta, L. Nigi, A. Patti, C. Fondelli U.O. Diabetologia, Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche e Biochimica, Università di Siena Incretine ed enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-IV) L osservazione che il glucosio somministrato per via orale si associa ad una stimolazione della secrezione insulinica superiore a quella ottenuta da un infusione endovenosa, ha fatto sì che si sviluppasse il concetto di effetto incretinico. Quest ultimo, che segue l ingestione di cibo, è determinato dalla sintesi e dal rilascio da parte della mucosa intestinale di sostanze ormonali, denominate ormoni incretinici, coinvolti nella regolazione della motilità gastro-intestinale, nella secrezione di enzimi gastrici e pancreatici, nella contrazione della colecisti, nella regolazione dell appetito e nell assorbimento dei nutrienti. In particolare, tali ormoni favoriscono, con meccanismo glucosio dipendente, la sintesi e la secrezione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche, aumentano la sensibilità al glucosio delle cellule alfa e beta e favoriscono l utilizzo del glucosio indotto dall insulina, da parte del muscolo e del fegato. Simultaneamente le incretine sopprimono la secrezione di glucagone da parte delle cellule alfa pancreatiche e quindi riducono la produzione epatica di glucosio. Il primo ormone incretinico ad essere stato identificato è il GIP (glucose-dependent insulinotropic polipeptide), sintetizzato dalle cellule K del digiuno, successivamente è stato individuato il GLP-1 (Glucagon Like peptide-1), prodotto dalle cellule L dell ileo distale. I livelli circolanti di GIP e GLP-1, relativamente bassi durante il digiuno, si innalzano nell arco di alcuni minuti in risposta all assunzione di cibo e decrescono altrettanto rapidamente a causa dell inattivazione enzimatica da parte di una proteasi serinica: la dipeptidil-peptidasi IV (DPP-IV o CD26). CD26/DPP-IV è una glicoproteina di 110-kDa, presente sia in circolo che sulla membrana cellulare, la quale svolge multiple funzioni biologiche, per cui riveste un ruolo molto importante la sua intrinseca attività serin dipeptidasica N-terminale. È abbondantemente espressa a livello del fegato, del polmone, del rene, dell orletto a spazzola degli enterociti, dei linfociti e delle cellule endoteliali ed i substrati sui quali svolge la propria attività sono rappresentati da peptidi contenenti prolina, che includono fattori di crescita, chemochine, neuropeptidi e peptidi vasoattivi. È importante il ruolo svolto da CD26/DPP-IV nella regola- 3

6 zione del sistema immunitario e del sistema endocrino, nei processi di trasduzione del segnale, nell infiammazione e nell apoptosi cellulare; sembra inoltre che possa contribuire alla progressione tumorale. Tra le molecole riconosciute come substrati dell enzima in vivo si possono includere, dunque, le incretine (GIP e GLP-1) le quali vengono inattivate attraverso clivaggio del residuo aminoacidico alanina, seguente la penultima lisina della catena peptidica. Studi su topi dimostrano infatti che l inattivazione del gene del DPP-IV provoca elevati livelli circolanti degli ormoni incretinici, un aumento della secrezione insulinica ed una riduzione dell escursione dei livelli di glucosio dopo carico orale. Farmaci incretino-mimetici ed inibitori del DPP-IV Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 è stata dimostrata una riduzione dell effetto incretinico rispetto ai soggetti sani e questo contribuisce ad un alterato rilascio sia di insulina che di glucagone, soprattutto nel periodo postprandiale, con conseguente iperglicemia. La causa del ridotto effetto incretinico dopo un pasto nei soggetti con diabete di tipo 2 potrebbe essere in parte determinato dalla ridotta secrezione di GLP-1 (quella di GIP è invece normale) e a sua volta questo potrebbe essere dovuto ad una riduzione dell espressione dei recettori per GLP-1 e GIP nelle isole pancreatiche a causa dell iperglicemia cronica. Data l importanza del ruolo di GLP-1 nella regolazione dei livelli plasmatici di glucosio e nella riduzione dei picchi glicemici post-prandiali, tramite il miglioramento della risposta insulinica all iperglicemia, sarebbe stato auspicabile un suo utilizzo in forma nativa come agente terapeutico nel diabete di tipo 2; tuttavia la sua emivita estremamente breve (1.5-5 minuti) a causa della rapida inattivazione da parte del DPP-IV, ne rende impossibile l utilizzo. Strategie farmacologiche hanno permesso di superare tali limitazioni, sia direttamente, rendendo il GLP-1 resistente alla degradazione da parte di DPP-IV (incretino mimetici ed analoghi del GLP-1), sia indirettamente, tramite l inibizione dell attività dell enzima degradante (inibitori del DPP-IV). Inibitori del DPP-IV L osservazione che il GLP-1 è rapidamente degradato per opera dell enzima DPP-IV ha portato, come abbiamo detto, allo sviluppo di specifici inibitori enzimatici in modo da impedire il rapido decremento dei livelli circolanti di GLP-1 dopo un pasto. L idea di un possibile utilizzo terapeutico degli inibitori del DPP-IV si fonda sul concetto che l inibizione di tale enzima può prolungare l azione del GLP-1 con successivo miglioramento della secrezione insulinica e quindi della tolleranza ai carboidrati (3). Il miglioramento della tolleranza glucidica dopo trattamento con inibitori del DPP-IV è 4

7 stato infatti dimostrato in diversi studi su ratti obesi in cui l aumento dei livelli di GLP-1 integro circolante sembra aver svolto un ruolo fondamentale, come anche nel preservare la funzione beta cellulare osservata in modelli murini di insulino-resistenza e/o di ridotta tolleranza ai carboidrati. Ulteriori conferme del ruolo positivo svolto dall aumento del GLP-1 endogeno in seguito all inattivazione del DPP-IV emergono da studi svolti su ratti Fisher, che presentano una inattivazione dell enzima e topi CD26 knock-out; entrambi i modelli animali presentano un miglioramento della tolleranza ai carboidrati quando confrontati con i controlli; inoltre risultano protetti nei confronti dello sviluppo di insulino-resistenza e di ridotta tolleranza ai carboidrati a seguito di una dieta a alto contenuto di grassi. Nonostante il razionale per l utilizzo di questi farmaci nella pratica clinica si basi sulla loro capacità di prolungare l azione del GLP-1, come è stato ampiamente dimostrato, tuttavia ciò potrebbe non essere sufficiente a spiegare la loro efficacia, dato che l esatto meccanismo d azione non è ancora stato chiarito. Il DPP-IV è un enzima ubiquitario in grado potenzialmente di tagliare numerosi peptidi oltre al GLP- 1 e al GIP ed è quindi possibile che l effetto positivo che segue l inibizione di DPP-IV nel diabete di tipo 2 non sia unicamente attribuibile alla maggiore emivita di queste incretine ma sia in realtà mediato anche dall inibizione di altri peptidi. Infatti la somministrazione di inibitori della DPP-IV in soggetti con diabete tipo 2 è seguita da un aumento della concentrazione postprandiale di GLP-1 pari al doppio e da un significativo miglioramento del compenso metabolico; al contrario la stessa concentrazione di GLP-1 ottenuta mediante infusione esogena dell ormone non provoca nessun effetto sul controllo metabolico. Inoltre il GLP-1 potrebbe indirettamente modulare il sistema nervoso autonomo attraverso l attivazione di terminazioni nervose periferiche cosicchè i livelli circolanti dell ormone sarebbero di scarsa rilevanza, al contrario della sua concentrazione in forma attiva in prossimità delle terminazioni nervose, che invece sarebbe fondamentale. Infine, alcuni neuropeptidi potrebbero essere coinvolti nel meccanismo d azione degli inibitori del DPP-IV nel diabete tipo 2 in quanto a livello di terminazioni nervose terminali delle isole pancreatiche sono localizzati peptidi biologicamente attivi, potenzialmente in grado di influenzare la funzione insulare, che potrebbero essere legati ed inattivati dalla DPP-IV; pertanto gli inibitori di tale enzima provocherebbero delle alterazioni nella loro emivita. Molte molecole in grado di inibire il DPP-IV, in maniera reversibile e tramite meccanismo competitivo, dopo la loro somministrazione orale, sono state sviluppate e risultano in grado di provocare una riduzione del 90% circa dell attività enzimatica nelle 24 ore successive alla loro assunzione. Questi agenti farmacologici sono in grado di 5

8 innalzare i livelli di GIP e GLP-1 metabolicamente attivi, promuovendo la secrezione insulinica e riducendo quella di glucagone. Poiché questi agenti farmacologici agiscono sulla secrezione endogena di incretine potrebbero essere utilizzati efficacemente nelle prime fasi di malattia.(13). Sono attualmente disponibili in Italia tre inibitori della dipeptidil-peptidasi- IV (DPP-IV), il sitagliptin, il vildagliptin ed il saxagliptin Il Vildagliptin L inibitore della DPP-IV vildagliptin viene utilizzato nella terapia del diabete di tipo 2 in associazione con metformina nei pazienti con insufficiente controllo glicemico nonostante il dosaggio massimale della terapia con metformina, in associazione con sulfonilurea in pazienti con insufficiente controllo glicemico nonostante il dosaggio massimale della terapia con sulfoniluree e nei pazienti in cui l utilizzo di metformina non è raccomandato oppure non è tollerato, in associazione ad un tiazolidinedione in pazienti con insufficiente controllo glicometabolico e in coloro in cui l utilizzo di TZD non è appropriato. Il vildagliptin si è dimostrato essere un potente inibitore del DPP-IV, in maniera dose-dipendente, in soggetti con diabete di tipo 2 (negli stessi pazienti si assisteva altresì ad un incremento dei livelli di insulina e simultaneo decremento dei livelli plasmatici di glucosio e glucagone), di essere in grado di innalzare i livelli plasmatici di incretine, biologicamente attive, in pazienti affetti da diabete tipo 2 e di incrementare l attività della beta cellula pancreatica. Vildagliptin è risultato inoltre in grado di migliorare la sensibilità all insulina e quindi l utilizzo del glucosio a livello dei tessuti periferici in soggetti con diabete di tipo 2. La dimostrazione che vildagliptin sia in grado di incrementare i livelli di GLP- 1 e di abbassare i livelli di glucosio dopo un pasto senza alterare i processi di svuotamento gastrico o il grado di comparsa ematica del glucosio ingerito supporta i dati secondo i quali il farmaco è in grado di incrementare il controllo glicemico tramite la stimolazione della secrezione insulinica e l inibizione della secrezione di glucagone piuttosto che agire sull assorbimento ei nutrienti. Vildagliptin ha una durata d azione inferiore rispetto a sitagliptin. Il dosaggio di tale farmaco è di 50 mg da assumere in compresse, in duplice somministrazione giornaliera, se utilizzato in associazione con metformina o con tiazolidinedioni, il dosaggio è invece di 50 mg in monosomministrazione (preferibilmente al mattino) se usato con una sulfonilurea, poiché in questa popolazione di pazienti la somministrazione di vildagliptin 100 mg al giorno non è risultata più efficace di vildagliptin 50 mg una volta al giorno. L assunzione può avvenire indipendentemente dai pasti e non sono raccomandate dosi superiori a 100 mg al giorno. Il farmaco presenta un rapido assorbi- 6

9 mento dopo la somministrazione orale (t max ore) con concentrazioni plasmatiche di picco che si osservano a 1.7 ore. Il cibo ritarda lievemente (2.5 ore) il tempo necessario per raggiungere la concentrazione plasmatica di picco, ma non ne altera l esposizione complessiva cosicché il farmaco può essere assunto indipendentemente dal pasto. Vildagliptin inibisce in maniera rapida, reversibile ed altamente selettiva l attività del DPP- IV, ha una biodisponibilità superiore all 80% ed uno scarso legame alle proteine plasmatiche (circa del 9%). Esso viene metabolizzato tramite idrolisi, non utilizza il citocromo p450 ed il principale metabolica è farmacologicamente inattivo. Vildagliptin viene eliminato principalmente con le urine (85%) e in parte minore con le feci (15%). Il farmaco non sembra interagire farmacologicamente con altri farmaci di comune utilizzo come ramipril, simvastatina, warfarin, diossina, valsartan, amlodipina e si è dimostrato non interferire con gli altri antidiabetici orali. I risultati che stabiliscono l efficacia clinica di vildagliptin sono basati su nove studi principali, tre studi controllati in monoterapia su 2198 pazienti mai sottoposti a una cura per il diabete, confrontando il farmaco con placebo, metformina o rosiglitazone, quattro studi che hanno confrontato gli effetti di vildagliptin alla dose di 50 o 100 mg al giorno, in combinazione con precedente trattamento con metformina (544 pazienti), pioglitazone (463 pazienti), glimepiride (515 pazienti) o insulina (296 pazienti), uno studio in monoterapia in pazienti precedentemente sottoposti ad una terapia con pioglitazone e un ulteriore studio in monoterapia in pazienti che non avevano mai assunto farmaci antidiabetici. Obiettivo primario degli studi considerati è stata la valutazione del tasso di riduzione dell emoglobina glicosilata, in quanto indicatore di efficacia della terapia in studio, che è risultata ridotta in tutti gli studi. Complessivamente, vildaliptin ha migliorato il controllo glicemico quando sommininstrato in monoterapia o quando utilizzato in associazione con metformina, con una sulfonilurea o con un tiazolidinedione come risulta dalla riduzione significativa dell emoglobina glicosilata. Negli studi clinici l entità della riduzione dell emoglobina glicosilata con vildagliptin è risultata maggiore nei pazienti con valori della stesa più elevati al basale. In uno studio controllato con placebo, in doppio cieco della durata di 24 settimane, su pazienti affetti da diabete tipo 2, non in trattamento farmacologico e con un emoglobina glicosilata media di %, vildagliptin si è dimostrato efficace nel ridurre il valore dell emoglobina glicosilata e ben tollerato al dosaggi odi 100 al giorno, sia in unica che in doppia somministrazione. Vildagliptin ha dimostrato un efficacia paragonabile a metformina nel ridurre l emoglobina glicosilata (-1% vs -1.6%, non è stata raggiunta significatività statistica) dopo un anno di trattamento; la riduzione dell emoglobina glicosilata 7

10 avveniva soprattutto intorno alla dodicesima settimana con entrambi i trattamenti a dispetto di una maggiore tollerabilità a livello gastrointestinale e di nessun effetto sul peso corporeo che invece risultava ridotto nei pazienti trattati con metformina. L associazione tra metformina e vildagliptin (sia al dosaggio di 50 che di 100 mg al giorno), ha dimostrato un efficacia maggiore rispetto alla terapia con sola metformina nel controllo dei valori glicemici a digiuno e dopo i pasti e nell abbassare il valore dell emoglobina glicosilata. A questi risultati si aggiunge un incremento dell attività della beta-cellula, un mancato effetto sul peso corporeo ed una buona tollerabilità dell associazione farmacologica. Inoltre, un recente studio condotto da Ahren ha esaminato gli effetti del vildagliptin sull attività delle cellule beta pancreatiche e sulla sensibilità all insulina in relazione al pasto dopo 52 settimane in pazienti affetti da diabete tipo 2 in trattamento con metformina. La sensibilità insulinica determinata dopo un test di tolleranza al glucosio risultava aumentata nei soggetti trattati con vildagliptin più metformina rispetto ai soggetti trattati soltanto con metformina, e la secrezione insulinica risultava aumentata nel primo gruppo e ridotta nel secondo. Poiché la metformina è in grado di incrementare i livelli di GLP-1 attraverso un aumento della sintesi si otteneva un effetto sinergizzante dei due farmaci nella terapia del diabete mellito di tipo 2. Vildagliptin ha dimostrato un efficacia comparabile a pioglitazone nel ridurre l emoglobina glicosilata in uno studio di 24 settimane, in doppio cieco condotto su pazienti con diabete di tipo 2 mai sottoposti a trattamento farmacologico. I pazienti trattati con pioglitazone andavano incontro ad un aumento del peso corporeo ed a una maggiore incidenza di edema periferico, mentre i pazienti trattati con vildagliptin mostravano una riduzione dei livelli di trigliceridi, di colesterolo totale e di LDL colesterolo. Vildagliptin si è dimostrato altrettanto efficace nel raggiungimento di un buon controllo glicometabolico rispetto a pioglitazone in soggetti in trattamento con metformina, con una tollerabilità altrettanto comparabile e senza aumento del peso corporeo. In aggiunta a pioglitazone, in uno studio di 24 settimane in doppio cieco condotto su pazienti affetti da diabete tipo 2 e scarsamente controllati in monoterapia con il tiazolidinedinedione, vildagliptin si è dimostrato più efficace del placebo nel ridurre l emoglobina glicosilata, senza un incremento del rischio di ipoglicemia. Infine, in presenza di IGT, vildagliptin si è dimostrato in grado di incrementare i livelli di GLP-1, di ridurre i livelli plasmatici di glucosio e la secrezione di glucagone, con un aumento dell attività della beta cellula pancreatica e questo potrebbe avere delle implicazioni molto importanti per la prevenzione del diabete di tipo 2. 8

11 SITAGLIPTIN S. Leotta Unità Operativa Complessa di Dietologia e Malattie Metaboliche, Ospedale "Sandro Pertini", Roma La ricerca nel campo della terapia orale del diabete è in continua evoluzione: lo studio dell asse incretinico sembra decisamente promettente. In sostanza l obiettivo è quello di ripristinare e sfruttare l azione naturale del GLP-1 che nei diabetici è deficitaria. Le incretine sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale, prodotti rispettivamente GLP-1 (Glucagon-like peptide 1), dalle cellule L dell ileo/colon; GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide), dalle cellule K del duodeno. Questi ormoni, secreti dopo i pasti, specialmente il GLP-1, svolgono un importante ruolo nel controllo glicemico attraverso i seguenti meccanismi: aumentando la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas; diminuendo la secrezione di glucagone (antagonista dell insulina) da parte delle cellule alfa del pancreas; rallentando la motilità e lo svuotamento gastrico (modulando l inclinazione della la curva glicemica postprandiale), con riduzione dell appetito. Il GLP-1 è degradato a peptide inattivo entro 21-minuti dall enzima DPP-4 (dipeptidil-peptidasi IV). Poiché la produzione di GLP-1 diminuisce col diminuire della glicemia e la sua permanenza attiva è di soli 1-2 minuti, la caratteristica peculiare è il controllo sulla glicemia settato al bisogno, che permette di prevenire il rischio di ipoglicemie. L immissione in commercio del Sitagliptin (Xelevia, Januvia ), approvato dall FDA (17 ottobre 2006, già in commercio dal 2007 in USA, dal 2008 in Italia) in grado di nell inibire il DPP-4 evitando così la degradazione del GLP-1 ha segnato una svolta nella ricerca farmacologica. Numerose evidenze confermano la capacità di ridurre in modo considerevole l emoglobina glicosilata: il Sitagliptin comporta una riduzione dello 0,70% di Hb1Ac in associazione con Metformina in 24 settimane e dello 0,88% se associato con Pioglitazone) e senza indurre in alcun modo aumento del peso (spesso provocano addirittura riduzione del peso) e con rarissimi casi di ipoglicemia. Nel registro dei farmaci antidiabetici sottoposti a monitoraggio al febbraio 9

12 2011, il Sitagliptin rappresenta la molecola più prescritta, (50% dei piani terapeutici effettuati in 24 mesi), confermando inoltre l efficacia al followup, nel controllo glicemico con una riduzione di Hba1c dello 0,8% e un calo ponderale di 1,2 kg nello stesso arco di tempo. In termini di sicurezza il farmaco mostra con un basso rischio di episodi ipoglicemici, pari la 3,9%, inferiori al vildagliptin o exenatide (rispettivamente 14% e 4%). Inferiore anche l incidenza di effetti collaterali e di pancreatiti, la più bassa rispetto agli altri farmaci sottoposti monitoraggio. La capacità dei farmaci di ridurre l appetito, intake alimentare e ritardare lo svuotamento gastrico ne fanno ipotizzare un possibile futuro utilizzo come farmaci pesati sul controllo del peso. Le potenzialità di cardioprotezione e di riduzione dei fattori di rischio Cv inoltre aprono la strada ad una opzione terapeutica che possa vederne l uso non solo nel diabete tipo 2 ma anche nella sindrome metabolica. CONCLUSIONI COSA SI SA OGGI SULL ARGOMENTO TRATTATO: - Gli inibitori dei DPPIV, sono una classe innovativa di farmaci che permettono il controllo della glicemia attraverso un meccanismo deficitario nel diabetico di tipo 2. Numerose evidenze confermano la capacità di ridurre in modo considerevole l emoglobina glicosilata: il Sitagliptin comporta una riduzione dello 0,70% di Hb1Ac in associazione con Metformina in 24 settimane e dello 0,88% se associato con Pioglitazone) e senza indurre in alcun modo aumento del peso (spesso provocano addirittura riduzione del peso) e con rarissimi casi di ipoglicemia. PROSPETTIVE FUTURE La capacità dei farmaci di ridurre l appetito, intake alimentare e ritardare lo svuotamento gastrico ne fanno ipotizzare un possibile futuro utilizzo come farmaci pesati sul controllo del peso. Le potenzialità di cardioprotezione e di riduzione dei fattori di rischio Cv inoltre aprono la strada ad una opzione terapeutica che possa vederne l uso non solo nel diabete tipo 2 ma anche nella sindrome metabolica. 10

13 SAXAGLIPTIN. INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI G. Di Cianni, C. Goretti UOC Diabetologia e Malattie del Metabolismo ASL 6 Livorno Introduzione Il diabete di tipo 2 (DM2) rappresenta la forma di diabete più comune ed è il risultato di difetti di secrezione insulinica e di fenomeni di insulino-resistenza. Il DM2 è una malattia progressiva la cui evoluzione corrisponde alla diminuita capacità di secrezione insulinica da parte della beta-cellula pancreatica 1. Studi clinici randomizzati controllati come il DCCT 2 e lo UKPDS 3 hanno dimostrato che il miglioramento del compenso glicemico si associa alla riduzione di incidenza di complicanze microangiopatiche e cardiovascolari. Per molti pazienti diabetici è difficile raggiungere e mantenere gli obiettivi terapeutici prefissati (HbA1c <7%) con i soli cambiamenti nella dieta e l aumento dell attività fisica e, pertanto, si rende necessario instaurare un trattamento con antidiabetici orali e, più tardi, anche con insulina per controllare i livelli di glicemia. La terapia con ipoglicemizzanti orale è riservata ai pazienti che conservano una certa capacità di produrre insulina, mentre il trattamento con insulina è indicato per uno stadio più avanzato quando cioè la capacità di produzione di insulina si è deteriorata al punto che i trattamenti orali non sono più in grado di mantenere i livelli di glucosio ad un livello appropriato. In accordo con le linee guida internazionali e nazionali 4, la gran parte dei soggetti che necessita di terapia farmacologica inizia con la metformina e, quando questa non è più sufficiente per mantenere sotto controllo la glicemia, vengono usati altri diabetici orali quali sulfoniluree (SU), tiazolidiondioni (TZD) e inibitori della dipeptidil peptidasi 4 (DPP4: sitagliptin, vitagliptin, saxagliptin). Saxagliptin (Onglyza ) è il terzo inibitore della dipeptidil peptidasi-4 (DPP- 4) commercializzato in Italia, dopo sitagliptin (Januvia) e vildagliptin (Galvus). Bloccando la DPP-4, l enzima che inattiva e degrada le incretine, ormoni rilasciati dall intestino in risposta al pasto, saxagliptin (come sitagliptin e vildagliptin) potenzia la sintesi e il rilascio di insulina e riduce la produzione di glucagone con conseguente riduzione della glicemia. Farmacocinetica Somministrato per via orale a digiuno, saxagliptin raggiunge le concentra- 11

14 zioni plasmatiche massime in 2 ore. Dopo metabolizzazione a livello epatico (CYP3A4/5) ad un metabolita attivo che ha potenza dimezzata rispetto al farmaco progenitore, viene eliminato, insieme al metabolita, prevalentemente con le urine (75%) e in misura inferiore con le feci (22%). L emivita è di 2,5 ore (saxgliptin) e 3,1 ore (metabolita attivo). I potenti inibitori del CYP3A4/5 come la claritromicina e il ketoconazolo possono aumentare le concentrazioni plasmatiche del saxagliptin, mentre la somministrazione concomitante con farmaci La dose raccomandata è di 5 mg al giorno induttori del CYP3A4/5 (come carbamazepina e fenitoina) può portare ad una loro riduzione 5. Efficacia clinica Sei studi controllati, randomizzati, in doppio cieco, hanno valutato l efficacia del saxagliptin: 3 in prima linea (2 in monoterapia e 1 in associazione) (6-8) e 3 in seconda linea (in associazione) In tutti gli studi, la misura di esito principale era rappresentata dalla variazione dell emoglobina glicosilata (HbA 1c ) rispetto al basale. In prima linea (pazienti naive) In uno studio della durata di 24 settimane, condotto su 401 pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato dalla dieta e dall esercizio fisico, il saxagliptin (2,5 mg, 5 mg e 10 mg) ha ridotto l HbA 1c dello 0,6%- 0,7% rispetto al placebo 6. Una analoga riduzione dello 0,6% dell HbA 1c si è osservata con la dose registrata di 5 mg in uno studio più breve (12 settimane) realizzato su 338 pazienti 7. Un altro studio ha confrontato il saxagliptin in monoterapia con la metformina (500 mg mg/die) e l associazione dei due farmaci in diabetici mai trattati in precedenza e con HbA 1c basale media di 9,5% 5. Dopo 24 settimane, l HbA 1c é diminuita del 2% con metformina, dell 1,7% con saxagliptin 10 mg/die, del 2,5% con saxagliptin 10 mg + metformina e del 2,8% con saxagliptin 5 mg + metformina. La riduzione media dell HbA 1c rispetto al placebo è simile a quella osservata con gli altri incretino-mimetici orali vildagliptin e sitagliptin (- 0,7%) 12, ma inferiore a quella ottenuta con metformina. In seconda linea Tre studi della durata di 24 settimane hanno valutato l aggiunta di saxagliptin a preesistenti terapie ipoglicemizzanti. Nel primo studio, 743 pazienti con inadeguato controllo del diabete con metformina (1,5-2,5 g/die) sono stati randomizzati a saxagliptin (2,5 mg, 5 mg e 10 mg) o a placebo 9 Dopo 6 mesi, la riduzione media dell HbA 1c è risultata statisticamente significativa con le 3 dosi (rispettivamente -0,6, -0,7 e -0,7%). Nel secondo, l aggiunta di saxagliptin (2,5 mg e 5 mg) al trattamento con un glitazone (pioglitazone 30 o 45 mg, rosiglitazone 4 o 8 mg) in 565 pazienti ha comportato una diminuzione significativa dell HbA 1c (-0,7% con 2,5 12

15 mg/die, -0,9% con 5 mg/die) rispetto al placebo (-0,3%) 10. l confronto tra metformina + saxagliptin e metformina + sulfonilurea (glipizide) è basato su un trial di confronto head-to head 13, che ha mostrato dopo 52 settimane di follow-up la non inferiorità nella capacità di riduzione dell HbA1c. Il peso corporeo è risultato diminuito nel gruppo saxagliptina+metformina ed è aumentato nel gruppo di confronto, con una differenza statisticamente significativa. La proporzione di soggetti con almeno un evento ipoglicemico in 52 settimane è risultata bassa nel gruppo saxagliptina+metformina (3%) con una differenza clinicamente e statisticamente significativa rispetto al gruppo glipizide+metformina (36,3%) Un altro studio di non inferiorità, di cui si conoscono solo i risultati preliminari contenuti nel dossier registrativo (EPAR) dell EMA, ha confrontato saxagliptin con sitagliptin in 801 pazienti in trattamento con metformina. Dopo 18 settimane di trattamento, la riduzione media dell HbA 1c rispetto al basale è stata -0,52% con saxagliptin e -0,62% con sitagliptin, mentre la percentuale di pazienti che hanno raggiunto una risposta terapeutica (definita come HbA 1c 6,5) è stata rispettivamente 26% e 29% (14). Saxagliptin in pazienti con insufficienza renale La commissione Europea ha appena approvato un nuovo dosaggio di saxagliptin 2,5 mg indicato per i pazienti adulti con diabete mellito di tipo 2, affetti da insufficienza renale moderata o grave, patologia che in Italia colpisce circa il 30% dei pazienti diabetici. Saxagliptin è il primo farmaco della sua classe, ad essere approvato in Europa per i pazienti che presentano un quadro d insufficienza renale moderata o grave. L utilizzo in questi pazienti è stato approvato dall Ema sulla base dei risultati di uno studio multicentrico, randomizzato in doppio cieco, che ha valutato gli effetti di una dose giornaliera da 2,5 mg di saxagliptin verso placebo su 170 pazienti, con diabete di tipo 2 e insufficienza renale (clearance della creatinina [CrCl] 50 ml/min). Lo studio ha confermato l efficacia e la sicurezza del farmaco anche in questo setting. Effetti indesiderati Il profilo degli effetti indesiderati del saxagliptin appare simile a quello degli altri inibitori della DPP-4. Negli studi in monoterapia verso placebo, gli eventi avversi più frequentemente osservati con l impiego del saxagliptin alla dose raccomandata di 5 mg/die sono consistiti in infezioni, soprattutto respiratorie e urinarie, sinusite, cefalea, vomito, dispepsia, capogiri, stanchezza 14. L aumento del rischio infettivo è da ricondurre all effetto immunosoppressivo del blocco della DPP-4: l enzima è una proteina di membrana pressoché ubiquitaria espressa in molte cellule, compresi i linfociti. Altri effetti indesiderati meno comuni com- 13

16 prendono reazioni di ipersensibilità come orticaria, edema e rash cutanei. Al pari del vildagliptin, nella scimmia alte dosi di saxagliptin hanno causato lesioni ulcerative e necrotiche della cute alle estremità. Negli studi non è stata osservata un aumentata incidenza di lesioni cutanee alla dose registrata, ma l esperienza è limitata nei pazienti con complicazioni diabetiche della cute. Il saxagliptin non sembra aumentare gli eventi avversi cardiovascolari (in particolare ritardo di conduzione atrio-ventricolare), ma gli studi hanno escluso i pazienti diabetici con preesistenti problemi cardiovascolari (es. scompenso, angina instabile, TIA, infarto miocardico). È in corso uno studio randomizzato, controllato con placebo, volto a determinare l incidenza degli eventi cardiovascolari maggiori in pazienti diabetici con più fattori di rischio 15. Al pari degli altri inibitori della DPP-4, saxagliptin riduce la conta leucocitaria (0,7%), comporta un basso rischio di ipoglicemia e non influenza il peso corporeo. Conclusioni Il saxagliptin è il terzo inibitore orale della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), l enzima che inattiva e degrada le incretine. Nei pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato con una monoterapia ipoglicemizzante (metformina, una sulfanilurea, pioglitazone), saxagliptin è paragonabile in termini di efficacia e tollerabilità rispetto agli altri incretino-mimetici. Non differenti, per incidenza e tipologia, sembrano gli effetti indesiderati, mentre superiore è il potenziale di interazione con altri farmaci. Per tutti mancano dati sulla prevenzione delle complicanze cardiovascolari del diabete, mentre è interessante sottolineare la possibilità di impiego a di questo farmaco in pazienti con insufficienza renale. Bibliografia 1. World Health Organization consulation Group. Definition, diagnosis and classification of diabetes mellitus and its complications. Part 1: diagnosis and classification of diabetes Mellitus. Geneva: WHO, The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. The Effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 1993; 329: UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group. Effect of intensive blood-glucose control with metformin on complications in overweight patients with type 2 Diabetes (UKPDS 33). Lancet 1998; 352; AMD-SID. Standard italiani per la cura del diabete mellito Torino: edizione infomedica, Onglyza. Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP). 6. Rosenstock J et al. Effect of saxagliptin monotherapy in treatment-naïve patients with type 2 diabetes. Curr Med Res Opin 2009; 25: Rosenstock J et al. Glucose-lowering activity of the dipeptidyl peptidase-4 inhibitor saxagliptin in drug-naïve patients with type 2-diabetes. Diabetes Obes Metab 2008; 10: Jadzinsky M et al. Saxagliptin given in com- 14

17 bination with metformin as initial therapy improves glycaemic control in patients with type 2 diabetes compared with either monotherapy: a randomized controlled trial. Diabetes Obes Metab 2009; 11: DeFronzo R et al. The efficacy and safety of saxagliptin when added to metformina therapy in patients with inadequately controlled type 2 diabetes with metformina alone. Diabetes 2009; 32: Hollander P et al. Saxagliptin added to a thiazolidinedione improves glycemic control in patients with type 2 diabetes and inadequate control on thiazolidinedione alone. J Clin Endocrinol Metab 2009; 94: Chacra AR et al. Saxagliptin added to a submaximal dose of sulphonylurea improves glycaemic control compared with uptitration of sulphonylurea in patients with type 2 diabetes: a randomized controlled trial. In J Clin Pratct 2009; 63: Amori RE et al. Efficacy and safety of incretin therapy in type e diabetes. JAMA 2007; 298: Goke B, Gallwitz B, Eriksson J, Hellqvist A, Gause-Nilsson I. Saxagliptin is non-inferior to glypizide in patietnts with type 2 diabetes mellitus inadequately controlled o metformin alone: a 52 week randomized controlled trial. Int J Clin Pract 2010; 64: European Medicines Agency (EMA). CHMP Assessment Report for Onglyza. Scientific Discussion n EMEA/H/C/001039: 57 pages. 15. AstraZeneca. Clinical Protocol SAVOR: saxagliptin assessment of vascular outcomes recorded in patients with diabetes mellitus. October CONCLUSIONI COSA SI SA OGGI SULL ARGOMENTO Il saxagliptin è il terzo inibitore orale della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), l enzima che inattiva e degrada le incretine. Nei pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato con una monoterapia ipoglicemizzante (metformina, una sulfanilurea, pioglitazone), saxagliptin è paragonabile in termini di efficacia e tollerabilità rispetto agli altri incretino-mimetici. Non differenti, per incidenza e tipologia, sembrano gli effetti indesiderati, mentre superiore è il potenziale di interazione con altri farmaci. PROSPETTIVE FUTURE Il saxagliptin non sembra aumentare gli eventi avversi cardiovascolari, ma gli studi esistenti escludevano i pazienti diabetici con pregressi eventi cardiovascolari; a tal proposito è in corso uno studio randomizzato, controllato con placebo, volto a determinare l incidenza degli eventi cardiovascolari maggiori in pazienti diabetici con più fattori di rischio. Pertanto si può concludere che per tutte le gliptine mancano dati sulla prevenzione delle complicanze cardiovascolari del diabete, mentre è interessante sottolineare la possibilità di impiego a di questo farmaco in pazienti con insufficienza renale. 15

18 LIRAGLUTIDE G. Sesti Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro Le incretine Glucagon-like peptide 1 (GLP-1) e glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP) sono i due ormoni intestinali responsabili dell effetto incretinico, ovvero di quel fenomeno per il quale l assunzione orale di glucosio induce una secrezione insulinica maggiore rispetto alla somministrazione endovenosa 1. Diversi studi suggeriscono come l effetto incretinico sia ridotto nei pazienti con diabete tipo 2, in parte a causa dei ridotti livelli di GLP-1, ma non di GIP 2,3. Studi in vitro e in modelli animali hanno dimostrato che il GLP-1 esercita sulle svariati effetti positivi sulle beta-cellule pancreatiche tra cui un aumento della sintesi di insulina, della proliferazione e del differenziamento della beta-cellula e una riduzione dell apoptosi 4-7. Studi sull uomo hanno messo in evidenza come la somministrazione di GLP-1 in pazienti diabetici ha effetti positivi sulla funzionalità delle betacellule stimolando la sintesi e il rilascio di insulina in modo glucosio-dipendente e promuovendo sia la fase precoce della secrezione insulinica che quella tardiva 8,9. Inoltre, il GLP-1 sopprime il rilascio di glucagone la produzione epatica di glucosio, inibisce lo svuotamento gastrico, la secrezione acida e riduce l appetito Tali caratteristiche biologiche rendono il GLP-1 un promettente candidato per il trattamento del diabete di tipo 2. Tuttavia, il GLP-1 è rapidamente inattivato e degradato dall enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-4) 12. A questo è dovuta la sua breve emivita di circa 1-2 min e la necessità di un infusione continua per ottenere un beneficio clinico nei pazienti con diabete di tipo Per ovviare a questa limitazione, sono state sviluppate diverse molecole in grado di mimare gli effetti del GLP-1 nativo. Exenatide e Liraglutide sono due agonisti del recettore del GLP-1 capaci di esercitare gli effetti farmacologici di GLP-1. Exenatide è un analogo della exendina-4, proteina avente un omologia del 53% con il GLP-1 umano, che necessita di essere somministrato due volte al giorno. Liraglutide è un analogo acilato del GLP-1 umano con un omologia pari al 97% all ormone nativo e richiede una singola iniezione giornaliera L emivita di Liraglutide è di circa 13 ore consentendone la mono- 16

19 somministrazione giornaliera. In seguito a somministrazione sottocutanea, la catena di acidi grassi presente nella molecola promuove la formazione di eptameri nel sito di iniezione rallentando l assorbimento della molecola. Una volta in circolo la stessa catena di acidi grassi facilita il legame reversibile di Liraglutide con l albumina, conferendo stabilità e parziale resistenza alla degradazione mediata da DPP-4 e prolungandone l azione. Studi pre-clinici hanno dimostrato che Liraglutide è in grado di aumentare la funzionalità e la massa cellulare, di ridurre l appetito e il peso corporeo. L efficacia e la sicurezza di Liraglutide è stata estesamente testata in studi pre-clinici e clinici. Studi di fase 2 Studi di fase 2 hanno dimostrato che Liraglutide esercita effetti simili al GLP- 1 nativo sui livelli glicemici essendo in grado di ripristinare la risposta betacellulare all aumento della glicemia 17, di migliorare la capacità secretoria delle beta-cellule stimolando sia la prima sia la seconda fase della secrezione di insulina 18 e di ridurre il rilascio post-prandiale di glucagone 19. In aggiunta agli effetti metabolici, Liraglutide è in grado di ridurre la motilità del tratto gastrointestinale e di rallentare lo svuotamento gastrico, effetti che possono contribuire alla perdita di peso e al miglioramento del controllo glicemico post-prandiale 20,21. Studi di fase 3 Il programma di trial di fase 3, denominato Liraglutide Effect and Action Diabetes (LEAD), ha analizzato l efficacia e la tollerabilità della somministrazione giornaliera di Liraglutide in monoterapia e in combinazione con gli antidiabetici orali comunemente usati. Il programma LEAD ha compreso sei studi controllati randomizzati, includendo più di pazienti con diabete tipo 2. Negli studi LEAD-1 (Liraglutide + sulfonilurea vs. tiazolidinedione + sulfonilurea) (21) e LEAD-2 (Liraglutide + metformina vs. sulfonilurea + metformina) 22 è stata confrontata l efficacia dell associazione di Liraglutide con un farmaco ipoglicemizzanti orale (sulfonilurea e metformina, rispettivamente) rispetto al trattamento con due ipoglicemizzanti orali. Nel trial LEAD-3, è stata analizzata l efficacia di Liraglutide in monoterapia rispetto a quella della sulfonilurea 23. Nello studio LEAD-4 è analizzata l efficacia della combinazione di Liraglutide con due ipoglicemizzanti orali (Liraglutide + metformina + tiazolidinedione vs. metformina + tiazolidinedione) 24, mentre nello studio LEAD-5 è analizzata l efficacia della combinazione di Liraglutide con due ipoglicemizzanti orali rispetto a quella di insulina glargina con due ipoglicemizzanti orali (Liraglutide + metformina + sulfonilurea vs. glargine + metformina + sulfonilurea) 25. Infine, nel trial LEAD-6 (Liraglutide ± metformina ± sulfonilurea vs. Exenatide ± metformina ± sulfonilurea) è 17

20 stata messa a confronto l efficacia di Liraglutide in combinazione con uno o due ipoglicemizzanti rispetto a quella di Exenatide in combinazione con uno o due ipoglicemizzanti 26. Effetti di Liraglutide sui livelli di HbA1c I trial di fase 3 del programma LEAD hanno dimostrato che Liraglutide, in monoterapia o in combinazione con ipoglicemizzanti orali, è in grado di indurre una significativa riduzione dei livelli di HbA1c Nel LEAD 3, il trattamento per 52 settimane con Liraglutide, in monoterapia alla dose giornaliera di 1,2 mg o 1,8 mg, ha indotto una riduzione dei livelli di HbA1c di 0,84% e 1,14% rispettivamente, che è risultata significativamente maggiore rispetto a quella osservata con glimepiride in monoterapia (-0,51%) (23). Negli studi LEAD in cui è stata valutata l efficacia di Liraglutide in aggiunta ad uno o due ipoglicemizzanti orali, il trattamento con Liraglutide è risultato più efficace nel ridurre i livelli di HbA1c rispetto agli altri trattamenti combinati con la solo eccezione dello studio LEAD-2 in cui è stata osservata una riduzione della HbA1c di 1,0% sia con la combinazione Liraglutide + metformina sia con la combinazione glimepiride + metformina (22). Liraglutide in monoterapia o in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali consente a un maggiore numero di pazienti di raggiungere livelli target di HbA1c <7,0%. Effetti di Liraglutide sulla funzione della beta-cellula Studi clinici di fase 2 hanno dimostrato che Liraglutide può avere un influenza positiva sulla funzione della beta cellula (18) a conferma dei dati degli studi pre-clinici che indicano come il GLP-1 o i suoi analoghi esercitino effetti protettivi sulla beta cellula pancreatica riducendo l apoptosi e promovendo la proliferazione e il differenziamento 4-7,27. I dati degli studi di fase 3 del programma LEAD avvalorano l ipotesi che Liraglutide possa migliorare la funzione beta cellulare. In tutti gli studi LEAD 1-6 è stato osservato un aumento della funzione della beta cellula, misurata mediante l indice HOMA-B (homeostasis model assessment for beta-cell function analysis), nei soggetti in trattamento con Liraglutide. Inoltre, è stata osservata una riduzione di un altro indice dell attività beta cellulare, il rapporto proinsulina/insulina, che è risultato tra e inferiore rispetto al valore riscontrato all ingresso del trial. Liraglutide ed ipoglicemia La terapia con ipoglicemizzanti quali le sulfoniluree e l insulina è spesso associata ad un aumentato rischio di ipoglicemia. Liraglutide stimola la secrezione insulinica e sopprime il rilascio di glucagone in maniera glucosiodipendente, limitando, pertanto, il rischio di ipoglicemia. Negli studi di fase 3 del programma LEAD 1-6, è stato osservato che il trattamento con 18

21 Liraglutide è associato ad un basso rischio di ipoglicemia (0,03-1,2 eventi/paziente/anno) sovrapponibile a quello del gruppo placebo L associazione di Liraglutide a metformina o a tiazolidinedioni non comporta un incremento del rischio di ipoglicemia rispetto alla monoterapia con metformina o tiazolidinedioni, mentre un lieve aumento del rischio di eventi ipoglicemici minori è presente quando Liraglutide è adoperata in combinazione con sulfoniluree (0.51 evento/pazien - te/an no) 21. Nessun evento di ipoglicemia maggiore si è verificato negli studi LEAD ad eccezione dello studio LEAD-1, in è stato registrato un evento maggiore di ipoglicemia in un soggetto trattato Liraglutide 1,8 mg + glimepiride 42 e nel LEAD-5 in cui si sono verificati cinque eventi ipoglicemici maggiori nel gruppo sottoposto a trattamento con Liraglutide + metformina + glimepiride 25. Effetti di Liraglutide sul peso corporeo e la pressione sistolica I trattamenti antidiabetici comunemente impiegati, ad eccezione di quello con metformina, sono associati ad un incremento ponderale. Il trattamento con Liraglutide sia in monoterapia sia in associazione con ipoglicemizzanti orali è associato ad un consistente e duraturo calo ponderale, che non è ascrivibile agli effetti collaterali gastrointestinali in quanto riscontrato anche nei pazienti privi di sintomatologia gastrointestinale In monoterapia (trial LEAD-3), Liraglutide induceva una riduzione del peso corporeo pari a 2,05 kg alla dose di 1,2 mg e 2,45 kg alla dose di 1,8 mg contrariamente alla terapia con glimepiride che provoca un aumento di 1,12 kg (P<0.0001) 23. Questo calo ponderale si verificava principalmente nelle prime 16 settimane di trattamento e veniva mantenuto durante le 52 settimane di trattamento. Liraglutide (1,8 mg) in monoterapia riduceva la circonferenza addome di 3,0 cm significativamente maggiore rispetto alla riduzione di 0,4 cm osservata con glimepiride (P<0.0001) 23. L efficacia di Liraglutide nel controllo del peso corporeo era anche evidente nei trial di combinazione. Ad esempio, nello studio LEAD-5, l aggiunta di Liraglutide al trattamento con metformina + glimepiride induceva una riduzione del peso corporeo pari a 1,8 kg rispetto all incremento di 1,6 kg osservato il trattamento con glargina combinata a metformina + glimepiride. (P<0.0001) 25. Inoltre in tutti gli studi LEAD 1-5 è stata osservata una maggiore perdita di peso nei pazienti con un indice di massa corporea (BMI) più elevato (fino 4,4 kg nei pazienti con un iniziale BMI 35 kg/m2), suggerendo che Liraglutide facilita un maggiore calo ponderale proprio nei pazienti che ne hanno più bisogno. In un sottostudio del trial LEAD-2 22, 160 pazienti sono stati sottoposti ad esame DEXA (dual-energy X-ray absorptiometry) per la misurazione della 19

22 massa magra, della massa grassa e della percentuale di grasso corporeo e a tomografia computerizzata per valutare il contenuto di grasso viscerale e sottocutaneo. È stato osservato che la perdita di peso osservato con il trattamento con Liraglutide è dovuto per due terzi ad una riduzione del tessuto adiposo, rappresentato in massima parte dal grasso viscerale. L ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. È stato osservato che il trattamento con Liraglutide si associa ad una riduzione della pressione sistolica in tutti i trial LEAD 1-6. Riduzioni significative della pressione sistolica sono osservate precocemente dopo appena 2 settimane di trattamento e si manifestano prima che si verifichi un significativo calo ponderale. Liraglutide e tollerabilità Gran parte degli eventi avversi riscontrati nei trial LEAD sono stati di lieve o moderata gravità e di breve durata. I più frequenti effetti collaterali associati al trattamento con Liraglutide sono i disturbi gastrointestinali, in particolare la nausea, che si osservano nel 5-40% dei pazienti. Gli effetti collaterali gastrointestinali sono in gran parte di lieve entità e transitori. Ad esempio, meno del 10% dei pazienti trattati con Liraglutide 1,8 mg in monoterapia continua ad accusare nausea dopo 4 settimane di trattamento 23. Complessivamente, nei trial di fase 3 del programma LEAD, pochi pazienti hanno dovuto interrompere il trattamento con Liraglutide a causa della nausea (fino ad un massimo del 6% dei pazienti trattati). Un limitato numero di casi di pancreatite acuta è stato osservato in seguito all assunzione di exenatide in vari trial clinici controllati. Secondo studi osservazionali di adeguate dimensioni, i pazienti con diabete di tipo 2 hanno un rischio 3 volte maggiore di sviluppare pancreatiti acute rispetto alla popolazione non diabetica 28. Negli studi di fase 3 del programma LEAD, l incidenza di pancreatite acuta nei pazienti trattati con Liraglutide è risultata sovrapponibile a quella della popolazione diabetica generale. Grazie alla notevole omologia di sequenza aminoacidica con il GLP-1 nativo (97%), il trattamento con Liraglutide è associato ad un basso rischio di formazione di anticorpi, compreso tra 0 e 13%. La presenza di anticorpi anti- Liraglutide non sembra influenzare l efficacia del farmaco sul controllo metabolico. Confronto tra Liraglutide e altri GLP- 1 mimetici Lo studio LEAD-6 ha messo a confronto l efficacia di Liraglutide con quella di exenatide in combinazione con metformina ± sulfonilurea 26. I dati ottenuti dimostrano che Liraglutide induce una maggiore riduzione di HbA1c rispetto ad Exenatide (HbA1c: -1.12% vs %, rispettivamente, 20

23 P<0.0001) con un minor rischio di ipoglicemia (1,9 vs 2,6 eventi/pazien - te/anno; P=0.0131). Queste differenze sebbene modeste erano tuttavia in grado di consentire a un maggiore numero di pazienti in trattamento con Liraglutide di raggiungere livelli target di HbA1c <7,0% (54% con Liraglutide vs. 43% con Exenatide P=0.0015). Inoltre, il trattamento con Liraglutide era associato ad una maggiore riduzione della glicemia a digiuno (-28,98 mg/dl vs. -10,80, P<0,0001). Tuttavia, la terapia con Exenatide induceva una maggiore riduzione dei livelli di glicemia post-prandiale dopo la prima colazione (differenza: 23,94 mg/dl; P<0.0001) e dopo cena (differenza: 18,18 mg/dl; P=0.0005). Il trattamento con Liraglutide era associato ad un miglioramento della funzione beta-cellulare, valutata tramite l indice HOMA-beta, significativamente maggiore rispetto al trattamento con Exenatide (32.1% vs 2.7%, rispettivamente; P<0.0001). Non sono state osservate differenze significative tra i due trattamenti relativamente agli effetti sul peso corporeo che risultava ridotto sia con il trattamento con Liraglutide (-3.24 kg) sia con il trattamento con Exenatide (-2.87 kg). Conclusioni Il trattamento con Liraglutide sembra capace di affrontare molti dei problemi comunemente incontrati nella gestione terapeutica del diabete mellito tipo 2. Il trattamento con Liraglutide induce una riduzione significativa e sostenuta nel tempo di tutti i parametri glicemici: HbA1c, glicemia a digiuno e glicemia post-prandiale. Per di più, il miglioramento del controllo metabolico è accompagnato da un effetto positivo sulla funzione della beta cellula e da un basso rischio di ipoglicemia, paragonabile a quello osservato con placebo, tranne che nell associazione con sulfoniluree. Inoltre, Liraglutide induce una riduzione del peso corporeo, contrariamente alla maggior parte degli antidiabetici attualmente in uso, e una significativa diminuzione della pressione sistolica. Il trattamento con Liraglutide è associato in alcuni pazienti ad eventi avversi gastrointestinali come nausea e vomito, che tuttavia sono lievi e transitori. Ulteriori studi clinici a lungo termine con Liraglutide sono, tuttavia, necessari per valutare la durata degli effetti positivi del farmaco sul controllo glicemico, sul peso corporeo, sulla pressione sistolica e sulle complicanze micro- e macro-vascolari associate al diabete tipo 2. Bibliografia 1. Nauck MA, Homberger E, Siegel EG, et al. Incretin effects of increasing glucose loads in man calculated from venous insulin and C-peptide responses. J. Clin. Endocrinol. Metab. 63: , Nauck M, Stöckmann F, Ebert R, Creutzfeldt W. Reduced incretin effect in type 2 (noninsulin-dependent) diabetes. Diabetologia. 29: 46-52, Vilsbøll T, Krarup T, Deacon CF, Madsbad 21

24 S, Holst JJ. Reduced postprandial concentrations of intact biologically active glucagon-like peptide 1 in type 2 diabetic patients. Diabetes. 50: , Wang Y, Egan JM, Raygada M, Nadiv O, Roth J, Montrose-Rafizadeh C. Glucagonlike peptide-1 affects gene transcription and messenger ribonucleic acid stability of components of the insulin secretory system in RIN cells. Endocrinology. 136: , Farilla L, Hui H, Bertolotto C, et al. Glucagon-like peptide-1 promotes islet cell growth and inhibits apoptosis in Zucker diabetes rats. Endocrinology. 143: , Farilla L, Bulotta A, Hirshberg B, et al. Glucagon-like peptide-1 inhibits cell apoptosis and improves glucose responsiveness of freshly isolated human islets. Endocrinology. 144: , Bulotta A, Hui H, Anastasi E, et al. Cultured pancreatic ductal cells undergo cell cycle re-distribution and beta-cell-like differentiation in response to glucagon-like peptide- 1. J Mol Endocrinol. 29: , Zander M, Madsbad S, Madsen JL, Holst JJ. Effect of 6-week course of glucagon-like peptide 1 on glycaemic control, insulin sensitivity, and -cell function in type 2 diabetes: a parallel-group study. Lancet. 359: , Vilsbøll T, Krarup T, Madsbad S, Holst JJ. Defective amplification of the late phase insulin response to glucose by GIP in obese type 2 diabetic patients. Diabetologia. 45: , Nauck MA, Kleine N, Orskov C, Holst JJ, Willms B, Creutzfeldt W. Normalization of fasting hyperglycaemia by exogenous glucagon-like peptide 1 (7-36 amide) in type 2 (non-insulin-dependent) diabetic patients. Diabetologia. 36: , Rachman J, Barrow BA, Levy JC, Turner RC. Near-normalisation of diurnal glucose concentrations by continuous administration of glucagon-like peptide-1 (GLP-1) in subjects with NIDDM. Diabetologia. 40: , Vilsbøll T, Agersø H, Krarup T, Holst JJ. Similar elimination rates of glucagon-like peptide-1 in obese type 2 diabetic patients and healthy subjects. J Clin Endocrinol Metab. 88: , Larsen J, Hylleberg B, Ng K, Damsbo P. Glucagon-like peptide-1 infusion must be maintained for 24 h/day to obtain acceptable glycemia in type 2 diabetic patients who are poorly controlled on sulphonylurea treatment. Diabetes Care. 24: , Knudsen LB, Nielsen PF, Huusfeldt PO, et al. Potent derivatives of glucagon-like peptide-1 with pharmacokinetic properties suitable for once daily administration. J Med Chem. 43: , Degn KB, Juhl CB, Sturis J, et al. One week s treatment with the long-acting glucagon-like peptide-1 derivative liraglutide (NN2211) markedly imporves 24-h glycemia and - and -cell function and reduces endogenous glucose release in patients with type 2 diabetes. Diabetes. 53: , Agersø H, Jensen LB, Elbrønd B, Rolan P, Zdravkovic M. The pharmacokinetics, pharmacodynamics, safety and tolerability of NN2211, a new long-acting GLP-1 derivative, in healthy men. Diabetologia. 45: , Chang AM, Jakobsen G, Sturis J, et al. The GLP-1 derivative NN2211 resores -cell sensitivity to glucose in type 2 diabetic patients after a single dose. Diabetes. 52: , Vilsbøll T, Brock B, Perrild H, et al. Liraglutide, a once daily human GLP-1 analogue, improves pancreatic B-cell function and arginine-stimulated insulin secretion during hyperglycaemia in patients with type 2 diabetes mellitus. Diabet Med. 25: , Juhl CB, Hollingdal M, Sturis J, et al. Bedtime administration of NN2211, a long-act- 22

25 ing GLP-1 derivative, substantially reduces fasting and postprandial glycemia in type 2 diabetes. Diabetes. 51: , Madsbad S, Schmitz O, Ranstam J, Jakobsen G, Matthews DR. Improved glycaemic control with no weight increase in patients with type 2 diabetes after once-daily treatment with the long-acting glucagon-like peptide 1 analog liraglutide (NN2211). Diabetes Care. 27: , Marre M, Shaw J, Brandle M, et al. Liraglutide, a once-daily human GLP-1 analogue, added to a sulphonylurea over 26 weeks produces greater improvements in glycaemic and weight control compared with adding rosiglitazone or placebo in subjects with type 2 diabetes (LEAD-1 SU). Diabetic Medicine. 26: , Nauck M, Frid A, Hermansen K, et al. Efficacy and safety comparison of liraglutide, glimepiride, and placebo, all in combination with metformin in type 2 diabetes. Diabetes Care. 32: 84-90, Garber A, Henry R, Ratner R, et al; for the LEAD 3 study group. Liraglutide versus glimepiride monotherapy for type 2 diabetes (LEAD-3 Mono): a randomised, 52- week, phase III, double-blind, parallel-treatment trial. Lancet. 373: , Zinman B, Gerich J, Buse J, et al. Efficacy and safety of the human GLP-1 analog liraglutide in combination with metformin and TZD in patients with type 2 diabetes mellitus (LEAD-4 Met+TZD). Diabetes Care 32: , Russell-Jones D, Vaag A, Schmitz O, et al. Liraglutide vs insulin glargine and placebo in combination with metformin and sulfonylurea therapy in type 2 diabetes mellitus (LEAD-5 met+su): a randomised controlled trial Diabetologia 2009 DOI /s y (in stampa) 26.Blonde L, Rosenstock J, Sesti G, et al. A study of two glucagon-like peptide-1 receptor agonists for the treatment of type 2 diabetes: liraglutide once daily compared with exenatide twice daily in a randomised, 26-week, open-label trial (LEAD-6). Lancet 374: 39-47, Shimoda M, Kanda Y, Tawaramoto K, Hashiramoto M, Matsuki M, Kaku K. The once-daily human GLP-1 analog liraglutide preserves pancreatic beta cells in diabetic db/db mice through both acute and chronic action mechanisms. Diabetologia. 51 (Suppl 1): S210, Noel RA, Braun DK, Patterson RE, Bloomgren G. Increased risk of acute pancreatitis and biliary disease observed in patients with type 2 diabetes: a retrospective cohort study. Diabetes Care. 32: ,

26 SULFONILUREE: EFFICACIA E SICUREZZA V. Borzì U.O.C. I Medicina, Azienda Ospedaliera Università Policlinico - Vittorio Emanuele, Catania La prevalenza del diabete mellito sta progressivamente e pericolosamente aumentando in tutto il mondo e oggi interessa il 7% della popolazione. La metformina e le sulfoniluree (SUs) sono i farmaci orali più usati nel trattamento del diabete di tipo 2 e sono gli unici ipoorali inclusi nella lista dei farmaci essenziali da parte della WHO, aiutati in questo probabilmente anche dalla loro disponibilità come generici 1. Le attuali linee guida, sia italiane che straniere, raccomandano di iniziare il trattamento del diabete di tipo 2 con la metformina e quindi procedere all aggiunta di un secondo farmaco se i target glicemici non sono raggiunti in un ragionevole lasso di tempo. In questo caso, la scelta alternativa alle SUs sarebbero i TZDs, i segretagoghi non SUs, gli inibitori dell alfa-glucosidasi e la nuova classe delle incretine( agonisti del GLP-1 e inibitori delle DDP-IV). Le SUs stimolano la secrezione di insulina, legandosi agli specifici recettori SUR-1 delle cellule beta, evocando l immediato rilascio dei granuli di insulina preformati e stimolando la sintesi di nuovi granuli (seconda fase della secrezione). La stimolazione del rilascio di insulina è non glucosio dipendente e questo può indurre l insorgenza di ipoglicemie. Le SUs di prima generazione sono adesso raramente utilizzate, mentre quelle di seconda generazione che hanno un miglior profilo farmacologico, continuano ad essere comunemente prescritte. Purtroppo, probabilmente sulla spinta commerciale dei nuovi farmaci, negli ultimi anni si è assistito ad un atteggiamento critico verso questa classe, che ne vorrebbe limitare, o addirittura precludere l uso. Le critiche che normalmente vengono rivolte sono le seguenti: Ridotta Durability Induzione all apoptosi delle betacellule Rischio di ipoglicemia Aumento degli eventi CV Incremento Ponderale Ridotta Durability L efficacia ipoglicemizzante delle SUs è stata valutata in molti studi retrospettivi e prospettici e da decadi di esperienze cliniche in tutto il mondo. Quando sono usati in monoterapia, in pazienti inadeguatamente controllati, le SUs riescono a ridurre l HbA1c di 24

27 circa 1-2% 2. Allorchè vengono utilizzate in associazione alla metformina, così come normalmente si fa, la riduzione dell HbA1c è di circa 1-1.5%. La minore riduzione ottenuta in associazione è facilmente intuibile in quanto, allorchè si inizia una terapia di associazione, non solo l iperglicemia è più marcata, ma anche la progressione della malattia e quindi la deplezione beta cellulare è più avanzata. Comunque l efficacia delle SUs è sovrapponibile a quella degli altri agenti ipoglicemizzanti. Lo studio che ha corroborato l idea della precoce failure delle SUs è stato lo studio ADOPT 3. che è stato concepito nella speranza che il declino apparentemente inesorabile della funzione delle beta-cellule, descritto con metformina, sulfoniluree ed insulina nell UKPDS, potesse essere fermato o inibito in misura consistente dal rosiglitazone. Ma se andiamo a interpretare in maniera critica questo studio, dobbiamo dire che il controllo della glicemia, nell arco dei primi due mesi di trattamento, era considerevolmente migliore con le sulfoniluree, rispetto a metformina e glitazone. Questa situazione si manteneva per tutto il primo anno ed infatti l incrocio con la linea della metformina avveniva alla fine del primo anno e a 18 mesi si aveva con quella del rosiglitazone. E in ogni caso la differenza cominciava a diventare significativa solo dopo tre anni, per cui si può asserire che nell arco dei primi tre anni il grado di compenso fra i tre farmaci era quasi sovrapponibile. Ed infine, dato altrettanto importante, a 4 anni, il 67% dei pazienti manteneva una glicemia a digiuno < 140 mg/dl in monoterapia con la glibenclamide. Inoltre precedentemente, gli UKPDS 16 e 49 4,5 avevano dimostrato la buona durabilità delle SUs; infatti nel corso degli anni di follow up, l incremento dell HbA1c era sovrapponibile per SUs ed insulina e la percentuale di pazienti che a 9 anni rimanevano in monoterapia era uguale fra quelli trattati con metformina o sulfoniluree. E se andiamo a valutare la durata dell efficacia con la nuova classe di farmaci delle incretine, i dati di durability non sono per niente superiori, in quanto non superano ancora i tre anni per l exenatide 6 e due anni per sitagliptin 7 ; e in questa, fra l altro, alla fine del secondo anno si comincia già ad intravedere un iniziale rialzo dell HbA1c. La perdita della massa e della funzione beta-cellulare ha posto dei dubbi sull uso delle SUs nel trattamento del diabete di tipo 2, in quanto alcuni studi in vitro avrebbero mostrato che questi agenti potrebbero indurre apoptosi delle beta-cellule 8. Ma questi dati non sono stati confermati da altri studi che avrebbero infatti escluso una azione pro-apoptotica delle SUs 9,10. Fra l altro è molto difficile stabilire se queste osservazioni sperimentali si possano traslare nella pratica clinica, anche alla luce dei dati 25

28 dell UKPDS 4, in cui si dimostrava che la perdita della funzione beta-cellulare non avveniva solo per per SUs, ma anche per gli altri farmaci e con una velocità di declino perfettamente sovrapponibile, suggerendo quindi che altri fattori dovessero essere responsabili di questo fenomeno. Rischio di ipoglicemie La questione dell ipoglicemia con le SUs è importante ed in certi soggetti ha un impatto sulla qualità della vita, oltre che sulla morbilità e/o mortalità. A causa del loro meccanismo di azione, è certamente il più comune evento avverso associato a questa classe di farmaci. Nella popolazione diabetica generale, trattata con questi farmaci, non è un gran problema, come evidenzia ad esempio l UKPDS Questo studio ha impiegato due tra i farmaci che determinano più ipoglicemie (glibenclamide e clorpropamide), eppure si è osservato un tasso di ipoglicemie severe nello 0.5% circa dei pazienti per anno. La prevalenza delle ipoglicemie aumenta, ovviamente, quando alle SUs si associa la terapia insulinica 12. I dati disponibili invece dallo studio ADOPT sulle ipoglicemie 3, sono alquanto limitati; infatti l ipoglicemia non veniva confermata dalla misurazione della glicemia plasmatica, come succede invece negli studi in cui si valuti la terapia insulinica e il tasso di prevalenza del 10-12% è stato registrato anche in riferimento ai soggetti trattati con metformina o rosiglitazone in monoterapia. Sottraendo queste cifre, quindi forse il 28% dei soggetti in trattamento con glibenclamide potrebbe aver avuto sintomi di ipoglicemia e solo lo 0,6% un evento grave in un momento qualsiasi dei 5 anni dello studio. Pertanto anche nell ADOPT l ipoglicemia è un problema che interessa solamente una minoranza di persone in trattamento con SUs. Le ipoglicemie sono un riconosciuto fattore di rischio cardiovascolare, come è stato ormai assodato anche dagli ultimi studi (ACCORD, ADVANCE e VADT). Non tutte le sulfoniluree hanno lo stesso rischio di causare ipoglicemie; la glibenclamide per esempio è tra le SUs a maggior rischio, anche se nella metanalisi di Gangji non è stata associata ad un maggior rischio di eventi cardiovascolari né di mortalità 13. Un recente lavoro 14 ha valutato 1419 casi di ipoglicemia che si sono presentati nel corso di 10 anni, presso il Dipartimento di Emergenza della Lippe Detmold Clinic. Il 10% di questi era in trattamento con SUs. Tra questi casi, si è visto che non esisteva alcuna correlazione dose-effetto, che l 80% delle ipoglicemie interveniva in soggetti oltre i 70 anni di età, in politerapia farmacologica, con comorbidità e molti anche con insufficienza renale (73%). Il 27% dei pazienti ricevevano farmaci che interferivano con il substrato CYP2C9, responsabile del metabolismo epatico delle SUs, come torasemide, clopidogrel, diclofenac, fen- 26

29 toina o statine. Molti inoltre erano sottopeso (BMI< 18) e con malnutrizione. Solo un terzo dei pazienti avevano frequentato un corso di educazione o eseguivano regolare automonitoraggio, mentre la quasi totalità inoltre viveva da sola. La coorte di questo studio riflette molto bene quello che avviene nella vita reale, dimostrando che solo una acritica prescrizione di SUs può contribuire ad aumentare il rischio di eventi avversi. La farmacoterapia del diabete mellito di tipo 2 richiede speciali considerazioni e una definizione critica del target metabolico, basati sulla disabilità fisica e cognitiva, sulle comorbidità, sulle terapie associate e sulla spettanza di vita. Quindi non è l uso delle SUs che dovrebbe essere bandito, quanto invece il loro uso acritico. Solo una terapia sartoriale, cioè ritagliata sulle caratteristiche cliniche e socioculturali economiche del nostro paziente, ci permette di utilizzare al meglio farmaci efficaci, a basso costo e anche abbastanza sicuri. Le SUs dovrebbero essere iniziate al più basso dosaggio, monitorizzando le glicemie domiciliari nelle prime settimane. Quindi l aumento progressivo del dosaggio andrebbe fatto ogni 2-4 settimane. Se si presentano ipoglicemie, oppure non si ottengono ulteriori riduzioni della glicemia, è consigliabile ritornare alle dosi precedenti. Ricordiamo inoltre che, man mano che la glicemia si abbassa, e quindi diminuisce la glucotossicità, la stessa dose di SUs può determinare ipoglicemie, in quanto la secrezione insulinica migliora. In altre parole, allorchè pensiamo di aggiungere alla metformina una SU, dovremmo fare lo stesso ragionamento che facciamo allorchè iniziamo una terapia insulinica. Forse che non utilizziamo l insulina solo perché responsabile di un maggior numero di ipoglicemie, dieci volte superiori a quelle da SUs? Aumento degli eventi CV È ormai del tutto assodato che un buon controllo glicemico, specie nelle prime fasi della malattia, riduce le complicanze sia micro che macrovascolari. Rimane purtroppo ancora controverso come raggiungerlo in maniera efficace e sicura. Le SUs sono state infatti accusate di essere responsabili di un maggior numero di eventi cardiovascolari. Trentacinque anni fa lo studio UGDP ha dimostrato un eccesso di mortalità cardiovascolare nei pazienti trattati con tolbutamide, rispetto a quelli trattati con placebo o insulina, malgrado i primi avessero un miglior controllo. Questo studio fu aspramente criticato per vari motivi legati al disegno o al modo in cui era stato condotto 15. Negli ultimi anni numerosi altri studi hanno cercato di riaprire questo dibattito. Uno studio osservazionale su 5795 pazienti, raccolti da un database, ha dimostrato che le SUs, specie quelle di I generazione, sono responsabili di un aumento della mortalità rispetto alla 27

30 metformina. Comunque questo studio non riporta dei dati importanti per la valutazione del rischio CV, quali il peso, la pressione arteriosa, il controllo glicemico, il livello dei lipidi e le comorbidità 16. Un altro studio, con informazioni prese dal Diabetes Audit and Research in Tayside, Scotland (DARTS), ha evidenziato che i pazienti in terapia con SUs avevano una mortalità superiore a quelli in trattamento con metformina e che la mortalità era ulteriormente aumentata in coloro che facevano una terapia combinata (metformina plus SUs) 17. Ma anche a questo studio si potevano muovere numerose critiche, quali per esempio il fatto che non esistesse un gruppo di controllo e che la coorte dei pazienti in terapia con SUs, avesse un più alto rischio CV di base, una maggiore durata del diabete, un maggior numero di uomini e più pazienti con precedenti ricoveri ospedalieri per malattie CV. Numerosi altri studi hanno valutato l effetto dell associazione SUs plus metformina sugli eventi cardiovascolari, con risultati non univoci 18,19. Contrariamente a questi studi, l UKPDS, che è stato un vero trial clinico di intervento, ha dimostrato che la glibenclamide non era associata ad alcun evento avverso cardiovascolare 20. Infatti durante gli 11 anni di follow-up, la glibenclamide ha portato ad una significativa riduzione degli eventi micro vascolari ed a una quasi significativa riduzione di quelli macrovascolari. Inoltre il DIGAMI 2 ha rafforzato il concetto dell importanza del controllo glicemico per se, indipendentemente dalla terapia utilizzata 21. Anche lo studio ADOPT 3 ha evidenziato che la glibenclamide aveva un rischio CV uguale a quello della metformina, ma minore, incluso lo scompenso cardiaco, rispetto al rosiglitazone. L azione negativa delle SUs sarebbe conseguenza dell inibizione del precondizionamento ischemico da parte di questa classe di farmaci, in quanto la presenza di recettori per le Sus a livello cardiaco, determinando la chiusura dei canali K+ ATP-dipendenti del miocita, ne determinerebbero una aumentata contrattilità e una minore vasodilatazione. Numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che il precondizionamento ischemico non è sempre inibito dalla glibenclamide 22 e che questo fenomeno spesso non è presente nei soggetti diabetici 23,24,25. Numerosi studi clinici rafforzano questi dati sperimentali. Infatti la mortalità post-ima era addirittura diminuita in quei soggetti che erano già in trattamento con SUs 26 e in un altro studio su 245 pazienti diabetici ricoverati in ospedale per IMA, di cui 76 in trattamento con glibenclamide, questa SU non sembrava aumentare né l area di necrosi, né la mortalità 27. Per cui in conclusione si può affermare che le SUs possono essere considerate come efficaci agenti ipoglicemizzanti, con una sicurezza cardiovascolare supportata ormai da studi clinici a lungo termine e che, dentro questa classe, la glibenclamide è la più prescritta e studiata. 28

31 Incremento Ponderale Il miglioramento del controllo glicemico si associa ad incremento ponderale. Questo effetto è stato ben dimostrato dai trials di intervento con terapia intensiva, sia nel diabete tipo 1 che nel tipo 2 (DCCT e UKPDS). Uno dei principali fattori che portano all aumento di peso è la riduzione della glicosuria senza una contemporanea ridotta introduzione calorica, ma anche altri fattori, come effetti diretti sugli adipociti, sul sistema gastrointestinale o sul centro dell appetito, possono giocare un ruolo importante. Quasi tutti i farmaci che sono utilizzati nel trattamento del diabete, provocano incrementi ponderali, ad eccezione della metformina e degli analoghi del GLP-1. Gli inibitori delle DPP-IV sembrano avere invece un effetto neutro 28. Anche lo studio ADOPT 3 ha dimostrato che sia i pazienti in trattamento con glibenclamide, sia quelli con rosiglitazone presentavano un incremento ponderale; ma l andamento della curva di incremento ponderale nei pazienti in terapia con glibenclamide è più rassicurante e non può dirsi un vero e proprio effetto collaterale. Infatti l aumento iniziale di peso sembra essere di circa 2.5 Kg in un anno, coerente con la riduzione dello 0.8% dell HbA1c e della glicosuria. Da quel momento in poi il peso corporeo, nei soggetti in terapia con glibenclamide, si riduceva lentamente nel corso dello studio, coerentemente con il lento deterioramento del controllo glicemico. Questo avveniva nonostante la stimolazione della secrezione insulinica endogena, valutata con il modello omeostatico, risultava quasi normalizzata a 6 mesi e si manteneva per 4 anni al di sopra dei valori basali e superiore agli altri farmaci, quasi come se la glibenclamide avesse determinato un miglioramento della sensibilità insulinica. I pazienti invece in trattamento con rosiglitazone, continuavano ad aumentare di peso nel corso dello studio. Ma noi, seguendo le linee guida, aggiungiamo le SUs dopo il fallimento della metformina; e a questo punto gli unici farmaci a disposizione che potrebbero non determinare un incremento ponderale sono gli agonisti del GLP-1 e/o gli inibitori delle DDP-IV. Ma un grosso problema a questo punto della discussione, deve essere affrontato: il costo e i rapporti costo-benefici. Oggigiorno i costi del diabete sono sempre più al centro dell attenzione e questo per 2 motivi. Il primo è la crescente prevalenza del diabete, determinata dagli errati modelli di lifestyle che la nostra società ci propone e dal prolungamento della sopravvivenza delle persone che sviluppano diabete. Il secondo motivo è invece costituito dai maggiori costi dei nuovi farmaci e delle nuove metodologie di somministrazione, che possono raddoppiare o triplicare i costi totali del trattamento del diabete. Le SUs, sono farmaci a basso costo, ma con un buon profilo di sicurezza in riferimento all ipoglicemia e agli eventi CV 29. In confronto ad 29

32 un tiazolinedione, nell arco di tre anni l effetto ipoglicemizzante può essere identico, mentre il rapporto costo/effetto ipoglicemizzante è di circa sei volte a favore della sulfonilurea. Il rapporto diventa veramente straripante se prendiamo in considerazione la nuova classe delle incretine e soprattutto gli analoghi del GLP-1. Inoltre i profili comparativi degli effetti collaterali sembrano indicare un rapporto costo/beneficio superiore per le sulfoniluree 30. Per cui l unica cosa che potrebbe modificare le nostre scelte terapeutiche, in favore dell uso di farmaci più costosi quali le incretine, sarebbe la dimostrazione inequivocabile di una migliore preservazione delle beta cellule, che potrebbe ridurre la necessità di ulteriori costosi trattamenti più avanti nel corso della malattia, da parte di questi farmaci. Ma ad oggi, queste evidenze sono solo sperimentali e non ancora supportati da studi controllati e randomizzati. Per cui si può concludere con le seguenti affermazioni: 1. Le SUs sono ugualmente efficaci, almeno fino a 3 anni, rispetto ai farmaci competitori 2. Gli eventi ipoglicemici, anche se presenti, possono essere fortemente ridotti da un uso ragionato e critico di questi farmaci, individuando con attenzione i soggetti in cui utilizzarli 3. Le SUs non determinano un incremento degli eventi cardiovascolari, anzi ne riducono l incidenza 4. L aumento di peso è moderato e fisiologico e non hanno effetti avversi sulla sensibilità insulinica 5. Non sono costose e hanno un buon rapporto costo-benefici Bibliografia 1. Cohen FJ, Neslusan CA, Conklin JE, Song X. Recent antihyperglycemic prescribing trends for US privately insured patients with type 2 diabetes. Diabetes Care 2003; 26: D. M. Nathan,J. B. Buse, M. B. Davidson, E. Ferrannini, R. R. Holman, R. Sherwin & B. Zinman. Medical management of hyperglycaemia in type 2 diabetes mellitus: a consensus algorithm for the initiation and adjustment of therapy. Diabetologia 2009; 52: Kahn SE, Haffner SM, Heise MA, Herman WH, Holman RR, Jones NP, Krawitz BG,Lachin JM, O Neill C, Zinman B, Viberti G, for the ADOPT Study Group: Glycemic durability of rosiglitazone, metformin, or glyburide monotherapy. N Engl J Med 2006; 355: , 4. UKPDS Group. UK Prospective Diabetes Study 16: overview of six years therapy of type 2 diabetes: a progressive disease. Diabetes. 1995; 44: Glycemic Control With Diet, Sulfonylurea,Metformin, or Insulin in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus Progressive Requirement for Multiple Therapies (UKPDS 49). JAMA. 1999; 281: Klonoff DC, Buse JB, Nielsen LL, et al. Exenatide effects on diabetes, obesity, cardiovascular risk factors and hepatic biomarkers in patients with type 2 diabetes treated for at least 3 years. Curr Med Res Opin. 2008; 24: D. Williams-Herman, J. Johnson, R. Teng, G. Golm, K. D. Kaufman, B. J. Goldstein & J. M. Amatruda. Efficacy and safety of sitagliptin and metformin as initial combination ther- 30

33 apy and as monotherapy over 2 years in patients with type 2 diabetes. 2010; 12: Kathrin Maedler, Richard D. Carr, Domenico Bosco, Richard A. Zuellig, Thierry Berney, and Marc Y. Donath Sulfonylurea Induced Cell Apoptosis in Cultured Human Islets. JCEM. 2006; 90 (1): Silvia Del Guerra, Lorella Marselli, Roberto Lupi, Ugo Boggi, Franco Mosca, Luca Benzi, Stefano Del Prato, Piero Marchetti. Effects of prolonged in vitro exposure to sulphonylureas on the function and survival of human islets Journal of Diabetes and its Complications. 2005; Volume 19, Issue 1: Maria Sara Remedi, Colin G. Nichols. Chronic Antidiabetic Sulfonylureas In Vivo: Reversible Effects on Mouse Pancreatic b- Cells. PLoS Medicine. 2008; Volume 5, Issue 10: United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group: Intensive bloodglucose control with sulphonylureas or insulin compared with conventional treatment and risk of complications in patients with type 2 diabetes (UKPDS 33) Lancet. 1998; 352: Michael Bodmer,Christian Meier, Stephan Krahenbuhl, Susan s. Jick, Christopher. Meier. Metformin, Sulfonylureas, or Other Antidiabetes Drugs and the Risk of Lactic Acidosis or Hypoglycemia. Diabetes Care 2008; 31: Azim S. Gangji, Tali Cukierman, Hertzel C. Gerstein, Charles H. Goldsmith, Catherine M. Clase. A Systematic Review and Meta- Analysis of Hypoglycemia and Cardiovascular Events. Diabetes Care 2007; 30: Andreas Holstein, Claude Hammer, Michael Hahn, Nidhi-Su-Ann Kulamadayil & Peter Kovacs. Severe sulfonylurea-induced hypoglycemia: a problem of uncritical prescription and deficiencies of diabetes care in geriatric patients. Expert Opin. Drug Saf. 2010; 9: Selzer HS. A summary of criticisms of the findings and conclusions of the University Group Diabetes Program(UGDP). Diabetes 1972; 21: Simpson SH, Majumdar SR, Tsuyuki RT, Eurich DT, Johnson JA. Dose-response relation between sulfonylurea drugs and mortality in type 2 diabetes mellitus: a population-based cohort study. CMAJ 2006; 174: Evans JM, Ogston SA, Emslie-Smith A, Morris AD. Risk of mortality and adverse cardiovascular outcomes in type 2 diabetes: a comparison of patients treated with sulfonylureas and metformin. Diabetologia 2006; 49: B. Sillars, W. A. Davis, I. B. Hirsch and T. M. E. Davis. Sulphonylurea metformin combination therapy, cardiovascular disease and all-cause mortality: the Fremantle Diabetes Study. Diabetes, Obesity and Metabolism 2010; 12: Ajay D. Rao, Nitesh Kuhadiya, Kristi Reynolds, Vivian A. Fonseca. Is the Combination of Sulfonylureas and Metformin Associated With an Increased Risk of Cardiovascular Disease or All-Cause Mortality? Diabetes Care 2008; 31: UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group. Effect of intensive blood-glucose control with metformin on complications in overweight patients with type 2 diabetes (UKPDS 34). Lancet 1998; 352: Malmberg K, Ryden L, Wedel H et al. Intense metabolic control by means of insulin in patients with diabetes mellitus and acute myocardial infarction (DIGAMI 2): effects on mortality and morbidity. Eur Heart J 2005; 26: Valensi P, Slama G. Sulphonylureas and vascular risk: facts and controversies. Br J Diabetes Vasc Dis 2006; 6: Ishihara M, Inoue I, Kawagoe T et al. Diabetes mellitus prevents ischaemic preconditioning in patients with a first acute anterior wall myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2001; 38:

34 24.Ghosh S, Standen NB, Galinianes M. Failure to precondition pathological human myocardium. J Am Coll Cardiol 2001; 37: Lee TM, Chou TF. Impairment of myocardial protection in type 2 diabetic patients. J Clin Endocrinol Metab 2003; 88: Danchin N, Charpentier G, Ledru F et al. Role of previous treatment with sulfonylureas in diabetic patients with acute myocardial infarction: results from a nationwide French registry. Diabetes Metab Res Rev 2005; 21: Klamann A, Sarfert P, Launhardt V, Schulte G, Schmiegel WH, Nauck MA. Myocardial infarction in diabetic vs non-diabetic subjects. Survival and infarct size following therapy with sulfonylureas (glibenclamide). Eur Heart J 2000; 21: Priscilla Hollander. Anti-Diabetes and Anti- Obesity Medications: Effects on Weight in People With Diabetes.Diabetes Spectrum 2007; Volume 20: Lebowitz HE, Melander A: Sulfonylureas: basic aspects and clinical uses. In International Textbook of Diabetes Mellitus. 3rd ed. DeFronzo RA, Ferrannini E, Keen H, Zimmet P, Eds. Chichester, U.K., John Wiley, 2004, p The CDC Diabetes Cost-Effectiveness Group: Cost-effectiveness of intensive glycemic control, intensified hypertension control, and serum cholesterol reduction for type 2 diabetes. JAMA 287: ,

35 FARMACI ALL ORIZZONTE G. Perriello Sezione di Medicina Interna e Scienze Endocrine e Metaboliche, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Perugia La terapia del diabete tipo 2 (T2DM) ha subito negli ultimi anni un notevole progresso con l avvento di nuove classi di farmaci, ad azione specifica sul sistema delle incretine. Tale sistema è alterato nel T2DM, per cui la disponibilità di GLP-1 è ridotta, con conseguente minore stimolazione della secrezione insulinica dopo pasto. La somministrazione esogena di GLP-1 a scopo terapeutico è vanificata dalla presenza dell enzima DPP- 4, che ne impedisce l azione inibendone l attività. Per ovviare a ciò la ricerca farmacologica si è orientata verso la sperimentazione di 2 classi di farmaci innovativi: 1) gli analoghi del GLP-1 e 2) gli inibitori del DPP-4. Gli analoghi del GLP-1 stimolano direttamente la secrezione insulinica agendo sui recettori beta-insulari ed esplicano azioni extrapancreatiche che contribuiscono al miglioramento della glicemia. Gli inibitori del DPP-4 agiscono stimolando la secrezione endogena d insulina attraverso l aumento della disponibilità di GLP-1 endogeno 1. Finora sono stati introdotti nella terapia del T2DM due analoghi del GLP-1, exenatide e liraglutide, e tre inibitori del DPP-4 (sitagliptin, vildagliptin e saxagliptin). Sono all orizzonte l exenatide LAR, l abiglutide e la lixisenatide come analoghi, e linagliptin ed alogliptin come inibitori del DPP-4. L exenatide LAR è una formulazione a lento rilascio dell esistente exenatide, che potrà essere somministrata una volta alla settimana. L approvazione è attesa da parte dell EMA per la fine 2011, e da parte della FDA per il L exenatide LAR ha dimostrato una maggiore efficacia rispetto alla somministrazione di exenatide due volte al dì, con maggiore diminuzione di peso e minore incidenza di nausea 2. In un altro studio, la somministrazione settimanale di exenatide LAR (2 mg) ha determinato una maggiore riduzione della HbA1c (1,5 vs 1,3%) rispetto alla all insulina glargine, in aggiunta a metformina e/o sulfonilurea 3 (Figura 1). Tra gli inibitori della DPP-4, il linagliptin è stato recentemente approvato negli Stati Uniti. Rispetto agli altri inibitori della DPP-4 già in commercio, linagliptin non è eliminato attraverso l emuntorio renale, per cui è utilizzabile nei pazienti diabetici con insufficienza renale. In studi clinici randomizzati e controllati, linagliptin alla 33

36 dose di 5 mg al dì, ha determinato una riduzione significativa dell HbA1c di 0,69 e 0,88% dopo 12 e 24 settimane di trattamento, sia in monoterapia che in associazione con altri ipoglicemizzanti orali. Linagliptin è stato ben tollerato con effetti minimi o neutri sul peso corporeo e una bassa incidenza d ipoglicemia 4 (Figura 2). Un altra classe di farmaci all orizzonte sono gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2). Il SGLT2 è localizzato quasi esclusivamente nei tubuli prossimali del rene, dove riassorbe la maggior parte dei circa 180 grammi di glucosio che sono filtrati attraverso i glomeruli renali ogni giorno (Figura 3). Il dapagliflozin è il capostipite di questa nuova classe di farmaci; è un inibitore selettivo e reversibile della SGLT2. Riesce ad inibire il riassorbimento di circa il 50% del glucosio filtrato, determinando un aumento dell escrezione urinaria dose-dipendente del glucosio, con conseguente miglioramento della glicemia. In uno studio controllato, dopo 24 settimane di trattamento la HbA1c si è ridotta di 0,58, 0,77 e 0,89 con 2,5, 5, e 10 mg di dapaglifozin 5. In definitiva, l introduzione di questi nuovi farmaci nella terapia del diabete tipo 2 potrà consentire al diabetologo di migliorare le possibilità di controllo dell iperglicemia, attraverso una maggiore personalizzazione della terapia ipoglicemizzante. Bibliografia 1. Garber AJ: Incretin-based therapies in the management of type 2 diabetes: rationale and reality in a managed care setting. Am J Manag Care 16: S187-94, Blevins T, Pullman J, Malloy J et al: DURA- TION-5: Exenatide Once Weekly Resulted in Greater Improvements in Glycemic Control Compared with Exenatide Twice Daily in Patients with Type 2 Diabetes. J Clin Endocrinol Metab. 96: , Diamant M, Van Gaal L, Stranks S et al: Once weekly exenatide compared with insulin glargine titrated to target in patients with type 2 diabetes (DURATION-3): an open-label randomised trial. Lancet 375: , Taskinen M-R, Rosenstock J, Tamminen I et al.: Safety and efficacy of linagliptin as addon therapy to metformin in patients with type 2 diabetes: a randomized, doubleblind, placebo-controlled study. Diabetes, Obesity and Metabolism 13: 65-74, Ferrannini E, Ramos SJ, Salsali A et al: Dapagliflozin Monotherapy in Type 2 Diabetic Patients With Inadequate Glycemic Control by Diet and Exercise. Diabetes Care 33: ,

37 Figura 1. Riduzione della HbA1c dopo trattamento con exenatide LAR e glargine (ref. 3). Figura 2. Riduzione della HbA1c dopo linagliptin in add-on alla metformina (ref. 4) 35

38 Figura 3. Riduzione della HbA1c dopo trattamento dose-dipendente con dapaglifozin (ref. 5) 36

39 IL RUOLO DELL AUTOMONITORAGGIO IN FUNZIONE DEI NUOVI FARMACI G. Grassi S.C.D.U. Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, A.O.U. San Giovanni Battista Le Molinette, Torino Il termine automonitoraggio si riferisce alla misurazione delle glicemie capillari effettuate dalla persona con diabete. L automonitoraggio rappresenta un elemento integrante dell autogestione del controllo metabolico nel paziente diabetico e dell alleanza terapeutica tra medico e paziente. L automonitoraggio glicemico, per essere efficace, dovrebbe fornire al medico e al paziente informazioni idonee a mettere in evidenza le variazioni glicemiche oltre il dato integrato della Emoglobina Glicosilata. Nella gestione della terapia del diabete tipo 2 in terapia dietetica/orale non vi è uniformità di vedute sulla utilità di questo strumento di controllo della malattia diabetica. Le più recenti metanalisi ponevano l accento sul fatto che solo quando gli studi inserivano l automonitoraggio in un percorso educativo globale del paziente e l automonitoraggio si accompagnava all intervento in autogestione della terapia potevano emergere i vantaggi (Poolsup N., 2009). Il messaggio veniva recepito dall Health technology Assessment dell NHS (National Institute for Health Research, U.K., Clar C, et al. 2010) che, nella recente revisione sistematica della letteratura relativa al controllo domiciliare della glicemia nel diabete tipo 2, recita: SMBG may lead to improved glycaemic control only in the context of appropriate education - both for patients and health-care professionals. Lo spazio dell automonitoraggio nella gestione della terapia ipoglicemizzanti con le nuove classi di farmaci ipoglicemizzanti è limitato dal fatto che non vi è un importante rischio ipoglicemico ma può avere un ruolo, se adeguatamente orientato a strumento di supporto per una modifica dello stile di vita e strumento per l autogestione della terapia (Clar C, 2010) Nuovi e recenti studi mettono in luce i possibili vantaggi dell automonitoraggio in questi pazienti, se integrato con una attenta educazione per uno stile di vità idoneo alla cura e associato alla attribuzione ai pazienti di strumenti per l autogestione della terapia stessa. Lo studio STeP ha valutato l efficacia di un autocontrollo strutturato nel diabete tipo 2 non adeguatamente controllato. 483 diabetici tipo 2 mai trattati con insulina (A1c >= 7,5%) sono 37

40 sati randomizzati ad un gruppo attivo di controllo o ad un gruppo seguito con automonitoraggio strutturato che prevedeva l uso trimestrale di un profilo a 7 punti associato alla registrazione del tipo di pasto e dalla attività fisica per 3 giorni. L end-point primario era il livello di a1c misurato a 12 mesi. L uso appropriato dell automonitoraggio strutturato si accompagnava ad una riduzione significativa dell A1c e permetteva una gestione più intensiva della terapia a fronte di un minor numero globale di controli capillari della glicemia (Polonsky WH, 2011). Lo studio Roses, multicentrico condotto in Italia si poneva lo scopo di valutare l efficacia di una strategia terapeutica per il diabete tipo 2 non insulino-trattato basata sull automonitoraggio glicemico. Lo studio è stato primariamente condotto dal personale infermieristico. I pazienti venivano collocati in modo randomizzato al gruppo in trattamento basato sull automonitoraggio glicemico od al gruppo di controllo ( usual care ) in un rapporto 3:1, la durata dello studio è stata di 6 mesi. Il gruppo in automonitoraggio era istruito a modifiche nello stile di vita e nell alimentazione in risposta all andamento della glicemia dalpersonale infermieristico. Anche in questo studio l end-point primario era il livello di Emoglobina glicata. L endpoint veniva raggiunto e le conclusioni erano che, una strategia volta a fornire ai pazienti con diabete tipo 2 gli strumenti per modificare lo stile di vita in risposta all andamento delle glicemia rilevate in automonitoraggio è efficace e porta ad un miglioramento del controllo glicemico oltre che ad una riduzione del peso corporeo. Questi due studi, in modo differente, sottolineano due aspetti chiave di una nuova visione dell automonitoraggio per il diabete tipo 2: il ruolo della precisa strutturazione dello stesso unendo le informazioni derivanti dalla glicemia a quelle derivanti dal diario alimentare e di vita ed il possibile ruolo più attivo del paziente nell autogestione della terapia inteso sostanzialmente come intervento guidato sull alimentazione. Il principio base che guida la scelta della terapia farmacologica nel diabete tipo 2 nasce dall analisi della prevalente iperglicemia nei vari momenti della giornata, sostanzialmente a digiuno e post-prandiale. Seguendo le raccomandazioni contenute negli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito AMD/SID e quelle dell algoritmo di consenso ADA (American Diabetes Association)/EASD (European Association for the Study of Diabetes), possiamo fissare come obiettivo valori tra 70 e 130 mg/dl per la glicemia a digiuno o pre-prandiale, e inferiori a 180 mg/dl per quella postprandiale. È possibile definire poi, come proposto dal documento di consenso AMD 2011 limiti di soglia per le scelte relative all algoritmo: iperglicemia prevalentemente a digiuno/pre-prandiale: quando vi sia 38

41 una proporzione di valori di iperglicemia > 60% del totale delle misurazioni effettuate a digiuno o prima del pasto (ad es.: 3 valori su 5 sono > 130 mg/dl) Iperglicemia prevalentemente postprandiale: quando vi sia una proporzione di valori di iperglicemia > 60% del totale delle misurazioni effettuate dopo 2 ore dai pasti (ad es.: 3 valori su 5 sono > 180 mg/dl). Il documento principale di riferimento operativo per l automonitoraggio è rappresentato dalle linee guida dell International Diabetes Federation (IDF 2008), la proposta lascia al medico la scelta dello schema più idoneo in un ottica di personalizzazione. Il principale elemento guida e l individuazione di uno schema di profilo da effettuarsi nel periodo precedente la visita ed il recente documento di consenso AMD ripropone alcuni modelli di profilo derivanti dal documento IDF: 1. Automonitoraggio intensivo, a 7 punti (controllo della glicemia prima e 2 ore dopo i tre pasti principali e al momento di coricarsi, per tre giorni consecutivi). 2. Automonitoraggio a schema sfalsato (controllo della glicemia prima e 2 ore dopo la colazione il primo, quarto e settimo giorno di una settimana; prima e 2 ore dopo il pranzo il secondo e il quinto giorno di quella stessa settimana; prima e 2 ore dopo la cena del terzo e del sesto giorno). 3. Automonitoraggio a 5 punti (controllo della glicemia prima della colazione e della cena, e 2 ore dopo i tre pasti principali, per tre giorni consecutivi). Il percorso terapeutico del diabete tipo 2 prevede l impiego di diversi farmaci e l algoritmo base, proposto negli Standard di Cura Italiani lascia libero il clinico, naturalmente gli elementi che posso aiutare nella fenotipizzazione sono diversi: età, durata di malattia, BMI, Emoglobina glicata, ma ad essi può essere aggiunto il pattern glicemico e quindi l automonitoraggio glicemico strutturato rappresenta un elemento chiave di buona lettura di questo dato. Individuato quindi il momento di prevalente iperglicemia interviene la scelta del farmaco sulla base dell effetto principale documentato dalle diverse classi di farmaci, in particolare per quanto riguarda le nuove classi di farmaci: inibitori DPP-4 e Analoghi GLP-1 l iperglicemia prevalentemente post-prandiale ne rappresenta il naturale bersaglio (Monnier L. 2008). La chiave di lettura del percorso terapeutico alla luce dell automonitoraggio glicemico appare quindi con chiarezza, unendo modalità di monitoraggio glicemico, scelta del farmaco e poi gestione della terapia sorvegliando la risposta alla terapia con profili mirati. Bibliografia essenziale Poolsup N, Suksomboon N, Rattanasookchit S. Meta-analysis of the benefits of self-monitoring of blood glucose on glycemic control in type 2 diabetes patients: an update. Diabetes Technol Ther Dec; 11 (12):

42 Clar C, Barnard K, Cummins E, Royle P, Waugh N; Aberdeen Health Technology Assessment Group. Self-monitoring of blood glucose in type 2 diabetes: systematic review. Health Technol Assess Mar; 14 (12): Franciosi M, Lucisano G, Pellegrini F, Cantarello A, Consoli A, Cucco L, Ghidelli R, Sartore G, Sciangula L, Nicolucci A; on behalf of the ROSES Study Group. ROSES: role of self-monitoring of blood glucose and intensive education in patients with Type 2 diabetes not receiving insulin. A pilot randomized clinical trial. Diabet Med Feb 23. Polonsky WH, Fisher L, Schikman CH, Hinnen DA, Parkin CG, Jelsovsky Z, Petersen B, Schweitzer M, Wagner RS. Structured self-monitoring of blood glucose significantly reduces A1C levels in poorly controlled, noninsulintreated type 2 diabetes: results from the Structured Testing Program study. Diabetes Care Feb; 34 (2): Hirsch IB, Bode BW, Childs BP, Close KL, Fisher WA, Gavin JR, Ginsberg BH, Raine CH, Verderese CA. Self-Monitoring of Blood Glucose (SMBG) in insulin- and non-insulin-using adults with diabetes: consensus recommendations for improving SMBG accuracy, utilization, and research. Diabetes Technol Ther Dec; 10 (6): Antonio Ceriello, Vincenzo Armentano, Alberto De Micheli, Marco Gallo, Gabriella Perriello, Sandro Gentile. La personalizzazione della terapia: innovazione nella gestione del paziente con diabete di tipo 2, Il Giornale di AMD, 2011; 14: Gagliardino, J. J., Bergenstal, R., Colagiuri, S., Farmer, A., Karter, A., Kolb, H., Owens, D., Parkin, C., Oct IDF guideline on self-monitoring of blood glucose in non-insulin treated type 2 diabetes - international diabetes federation - IDF. Monnier L, Colette C. Targeting prandial hyperglycemia: how important is it and how best to do this? Curr Diab Rep Oct; 8 (5): CONCLUSIONI COSA SI SA OGGI SULL ARGOMENTO TRATTATO - L automonitoraggio glicemico rappresenta uno strumento di empowerment della persona con diabete inoltre permette al clinico di gestire al meglio la terapia ipoglicemizzante e questo, seguendo le proposte di alcuni recenti studi, è dimostrato anche per il diabete tipo 2 non insulino-trattato - L informazione derivante dall automonitoraggio glicemico, per essere efficace, deve intergrarsi con un diario alimentare e con un diario relativo all attività fisica - Informando sul pattern glicemico (fase post-prandiale, digiuno) l automonitoraggio supporta l intervento terapeutico in particolare negli snodi dell algoritmo terapeutico e quindi nella scelta della classe di farmaci più indicata PROSPETTIVE FUTURE - Il monitoraggio glicemico continuo tra le sue molteplici possibilità di utilizzo potrebbe avere un ruolo alternativo all automonitoraggio della glicemia capillare anche nella gestione dell algoritmo terapetico del diabete tipo 2 non insulino-dipendente. 40

43 MALNUTRIZIONE A. Caretto, A. R. Sturdà, P. Longo, V. Lagattolla UOC Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, Ospedale Perrino ASL - Brindisi La malnutrizione è un termine ampio che può essere usato per descrivere qualsiasi squilibrio nella nutrizione, dalla sovra-alimentazione vista spesso nel mondo sviluppato, alla sotto-nutrizione vista in molti Paesi in via di sviluppo, ma anche negli ospedali e nelle strutture residenziali nei paesi sviluppati. La malnutrizione può svilupparsi come conseguenza della carenza di assunzione di alimenti con la dieta, dell aumento dei fabbisogni associati a uno stato di malattia, delle complicazioni di una malattia di base come lo scarso assorbimento e le perdite eccessive di nutrienti, o da una combinazione di questi fattori 1. La malnutrizione è associata ad esiti negativi per i pazienti, tra cui più alta incidenza di infezioni e complicanze, aumentate perdite muscolari, alterata guarigione delle ferite, più lunga durata della degenza in ospedale e aumento della morbilità e della mortalità. È stato dimostrato che una perdita involontaria del 15% del peso corporeo provoca riduzione rapida della forza muscolare e della funzione respiratoria, mentre una perdita del 23% del peso corporeo è associato con una diminuzione del 70% della forma fisica, con il 30% di riduzione della forza muscolare e con un aumento del 30% della depressione 2. A livello psicologico, la malnutrizione è associata ad affaticamento e apatia, che a sua volta aggrava l anoressia e aumenta il tempo della convalescenza. Recentemente, la definizione di malnutrizione è stata chiarita dalla Società Europea di Nutrizione Parenterale ed Enterale (ESPEN) che ha evidenziato le differenze tra la cachessia, la sarcopenia (perdita della massa e della funzione muscolare ) e la malnutrizione 3. La cachessia può essere definita come una sindrome metabolica multifattoriale caratterizzata da grave calo del peso corporeo, perdita di tessuto muscolare con o senza perdita di massa grassa e aumentato catabolismo proteico a causa della malattia di base. La malnutrizione nei pazienti ospedalizzati è spesso una combinazione di cachessia (correlata alla malattia) e di malnutrizione (consumo insufficiente di sostanze nutritive). Negli ultimi 30 anni, nonostante i progressi in medicina e lo sviluppo dei supporti nutrizionali, numerose pubblicazioni continuano a segnalare l alta prevalenza e la mancanza di consapevolezza della malnutrizione 4. Per migliorare il tasso di individuazione, 41

44 molti studi hanno indagato vari metodi per lo screening e la valutazione della malnutrizione, e dimostrato che molti di questi strumenti sono semplici, rapidi, accurati e di grande utilità in ambito clinico. Nonostante la disponibilità di tali strumenti, la prevalenza della malnutrizione resta elevata e non è sempre prescritto un appropriato trattamento. La malnutrizione è più frequente ed è in crescita nella popolazione anziana; infatti attualmente il 16% di coloro che hanno più 65 anni e il 2% di quelli che hanno più di 85 anni sono classificati come malnutriti e si prevede che queste cifre aumentino drammaticamente nei prossimi 30 anni. Inoltre studi condotti in Paesi sviluppati hanno rilevato che sono malnutriti fino al 15% degli anziani che risiedono in comunità o sono costretti a casa, dal 23% al 62% dei pazienti ospedalizzati e fino al 85% dei pazienti che risiedono in case di riposo 5. L eziologia della malnutrizione nell età senile è multifattoriale. Una delle cause è la variazione legata all età che si verifica nel tratto gastrointestinale. La neurodegenerazione selettiva della maturazione del sistema nervoso enterico può portare a sintomi gastrointestinali quali disfagia, reflusso gastrico e costipazione. Infatti la motilità esofagea può essere ridotta per la riduzione dei neuroni del plesso mesenterico così come può essere compromessa la motilità gastrica. La motilità del colon può essere influenzata da vie di trasduzione del segnale e da meccanismi cellulari che controllano la contrazione della muscolatura liscia che quindi potrebbero portare a stipsi. La ridotta secrezione di acido gastrico ha una prevalenza in aumento con l invecchiamento e ciò determina ipocloridria. Con l aumentare dell età diminuiscono anche l appetito e il consumo di cibo. In molti anziani la fisiologica diminuzione dell apporto energetico è maggiore rispetto alla diminuzione della spesa energetica, e quindi si verifica una perdita di peso corporeo. Questa riduzione fisiologica legata all età sia dell appetito che dell assunzione di energia è stata definita anoressia di invecchiamento. Sono state identificati tre distinti meccanismi per la perdita di peso delle persone anziane, ovvero il dimagrimento, la cachessia e la sarcopenia. Il dimagrimento, cioè la perdita involontaria del peso, è dovuta principalmente alla scarsa assunzione di alimenti che può essere causata da una malattia e dal fattore psicologico che causa un bilancio energetico negativo. La cachessia è una perdita involontaria di massa magra (muscoli, organi, tessuti, pelle e ossa) con o senza perdita di massa grassa, causata dal catabolismo che si traduce in cambiamenti nel consumo energetico. Infatti le citochine, che vengono rilasciate, (interleuchina IL-1, IL-6, fattore di necrosi tumorale alfa TNF ) hanno effetti profondi sulla produzione di ormoni e sul metabolismo, con conseguente aumento del dispendio energetico a riposo, passaggio di aminoacidi dal muscolo al fegato, aumento della gluconeogenesi e di proteine della fase 42

45 acuta, con bilancio azotato negativo, e consequenziale perdita di massa muscolare. La cachessia è presente anche in molte malattie croniche come i tumori maligni, malattie croniche internistiche (diabete mellito, insuffucuenza renale cronica, bronco pneumopatia cronica), malattie infettive croniche come l AIDS, l insufficienza cardiaca, l artrite reumatoide. Il principale cambiamento legato all età nelle persone anziane è una riduzione della massa muscolare scheletrica, nota come sarcopenia. La ridotta attività fisica ha un ruolo fondamentale in quanto la mancanza di esercizio fisico causa la malattia muscolare e, col tempo, la perdita muscolare. Tuttavia, la mancanza di esercizio fisico non è l unica causa, ma è coinvolta anche l attività ormonale, neurale e quella delle citochine, che aumentano i livelli delle proteine delle fase acuta con riduzione della massa muscolare. Il declino dei livelli degli ormoni sessuali, dei glucocorticoidi e delle catecolamine nelle persone anziane aumentano le citochine pro-infiammatorie. Anche il sistema nervoso centrale può svolgere un ruolo nella sarcopenia. Infatti la riduzione dei neuroni dal midollo spinale portano alla perdita di muscolo 6. Le cause di anoressia fisiologica non sono pienamente comprese, ma si pensa che ad essa possano contribuire anche la diminuzione del senso dell olfatto e del gusto, l aumentata attività delle citochine, il ritardato svuotamento gastrico, l alterata distensione gastrica e gli squilibri ormonali. Tra le cause legate alle patologie ci sono malattie cardiache, respiratorie, gastrointestinali (per esempio sindromi da malassorbimento, disfagia, gastrite atrofica), endocrine, neurologiche (per esempio, ictus, morbo di Parkinson ), infettive. Hanno inoltre un ruolo le disabilità, l alcolismo, le demenze, la depressione, ecc. Oltre agli anziani sono spesso affetti da malnutrizione i pazienti oncologici. La perdita di peso nei malati di cancro è dovuto a diversi fattori, tra i quali la produzione di mediatori infiammatori e catabolici. Tali marcatori comprendono le proteine della fase acuta, l interleuchina-6 (IL-6), e il complesso ubiquitine-proteosoma, la cui attività può essere aumentata dalla stessa neoplasia, in particolare in alcuni tumori in rapida crescita come quelli del pancreas o del polmone [7]. La massa neoplastica può rappresentare una possibile ostruzione meccanica nel tratto digestivo, causando disfagia e alterata deglutizione (testa-collo, cancro esofageo, o masse mediastinico), sazietà precoce, nausea, vomito (tumori gastrici e intestinali piccolo), dolore intestinale per sub-occlusione o occlusione (intestino, carcinosi peritoneale). Inoltre, il tumore può interferire con la funzione d organo, per esempio, causando diarrea (carcinoma del pancreas e delle vie biliari), a causa della mancanza di enzimi digestivi. La presenza di dolore continuo o occasionale durante la deglutizione e la digestione può rappresentare un altro importante fattore che limita, quantitativamente e qualitativamente, l as- 43

46 sunzione orale. Inoltre, dopo un intervento chirurgico per la rimozione del cancro, le alterazioni gastrointestinali possono influenzare il processo di assimilazione determinando, per esempio, sazietà precoce, sindrome di dumping (chirurgia gastrica), o diarrea (resezione del pancreas e del colon). Infine, i trattamenti antitumorali (chemioterapia e radioterapia) possono causare anoressia, sazietà precoce, nausea, vomito, mucosite orale e intestinale con disfagia, diarrea, emorroidi, ragadi anali, e le modifiche in senso dell olfatto e del gusto. Tutti questi sintomi possono influenzare le scelte alimentari e contribuire all assunzione inadeguata dei pasti e una ridotta qualità della vita. Conclusioni La malnutrizione proteico-calorica può svilupparsi come conseguenza della carenza di assunzione di alimenti con la dieta, delle complicazioni e dell aumento dei fabbisogni associati a uno stato di malattia, o da una combinazione di questi fattori. La malnutrizione è associata a maggiore incidenza di infezioni e complicanze, aumentate perdite muscolari, alterata guarigione ferite, aumentata degenza ospedaliera, aumento di morbilità e mortalità. Prospettive future Sono ancora necessarie strategie per identificare precocemente la malnutrizione e finalizzare le adeguate misure di correzione nutrizionale, importante sarà ridurre i costi correlati alla malnutrizione. Bisogna ottimizzare l attenzione da parte delle istituzioni governative e formative universitarie, nonché il personale sanitario alla problematiche nutrizionali e questo permetterà una riduzione dell incidenza della malnutrizione con possibilità di un precoce interventio terapeutico e preventivo. Bibliografia essenziale 1. Soeters PB, Reijven PLM, van Bokhorst-de van der Schueren MAE, Schols JMGA, Halfens RJG, Meijers JMM, van Gemert WG. A rational approach to nutritional assessment. Clin. Nutr. 2008; 27: Allison SP. Malnutrition, disease and outcome. Nutrition. 2000; 16: Muscaritoli M, Anker SD, Argiles J, Aversa Z, Bauer JM, Biolo G, Bioirie Y, Bosaeus I, Cederholm T, Costelli P, Fearon KC, Laviano A, Maggio M, Rossi Fanelli F, Schneider SM, Schols A, Sieber CC. Consensus definition of sarcopenia, cachexia and pre-cachexia: Joint document elaborated by Special Interest Groups (SIG) cachexia-anorexia in chronic wasting diseases and nutrition in geriatrics Clin. Nutr. 2010; 29: Gout BS, Barker LA, Crowe TC. Malnutrition identification, diagnosis and dietetic referrals: Are we doing a good enough job. Nutr. Diet. 2009; 66: Morely JE. Anorexia of ageing: physiological and pathological. Am J Clin Nutr 1997; 66: Roubenoff R. Sarcopenia and its implications for the elderly. Eur J Clin Nutr 2000; 54,3: S Skipworth RJE, Stewart GD, Dejong CHC, Preston T, Fearon KC. Pathophysiology of cancer cachexia: much more than hosttumor interaction? Clin Nutr. 2007; 26:

47 LA MALNUTRIZIONE OSPEDALIERA IN ITALIA: UN PROBLEMA CHE NON SI VUOLE VEDERE L. Lucchin UOC di Dietetica e Nutrizione Clinica - Azienda Sanitaria dell Alto Adige - Comprensorio di Bolzano Chi tra gli operatori sanitari non viene quotidianamente in contatto con terminologie quali: qualità e appropriatezza delle prestazioni, priorità, necessità di risparmio, contrazione delle risorse, riduzione delle liste d attesa, ottimizzazione dei tempi, budget, ecc? E il paziente dove dovrebbe stare? Al centro del sistema? L esempio offerto dalla malnutrizione ospedaliera è un esempio lapalissiano di come le cose stiano realmente. La malnutrizione calorico proteica è l espressione o di una alterata assunzione di nutrienti o di un cattivo utilizzo degli stessi. Secondo Gordon L. et al. (ASPEN-ESPEN. JPEN J 2010; 34: 156) si identifica una STARVA- TION-RELATED MALNUTRITION (assenza di flogosi es: anoressia nervosa), una CHRONIC DISEASE-RELA- TED MALNUTRITION (flogosi cronica es: artrite reumatoide, obesità sarcopenica, neoplasie) e, infine, una ACUTE DISEASE-OR INJURY-RELA- TED MALNUTRITION (flogosi maggiori, traumatismi). Se osserviamo quali sono i pazienti ospedalizzati a maggior rischio di malnutrizione, cioè quelli con patologia acuta (Martinez Olmos MA, 2005), con patologia gastrointestinale e ortopedica (Rasmussen HH, 2004), con più di 60 anni (Stratton JR, 2006), con patologia maligna (Pirchl M, 2005),con politerapia (Pirchl M, 2005-Pirlicha M, 2006), che vivono soli (Pirchl M, 2005), con basso livello culturale (Pirchl M, 2005), con BPCO (Ramos Martinez A, 2004), ci si rende subito conto che si parla della grande maggioranza dei degenti. Le conseguente di ordine clinico sono ben documentate: deterioramento della funzione gastrointestinale e cardiovascolare (Winick, 1979), della funzione respiratoria (Arora e Rochester, 19 82), di quella muscolare (Russel, 19 83), della risposta immunitaria (Chandra, 1988), rallentamento nella guarigione delle ferite (Windsor, 1988), aumentato rischio di depressione ed apatia (Brozek, Elia 19 93), alterazioni nella termoregolazione (Allison, 1997), aumentato rischio di fratture ossee (Lumbers, 2001), di infezioni nosocomiali (Schneider, 2004), di piaghe da decubito (Hudgens, 2004; Shahin, 2010), aumento morbidità dopo rivascolarizzazione mesenterica e chirurgia pancreatica (Seelig, 2000; Schelldorfer 45

48 2005), delle complicanze nel paziente critico (Sauerwein, 2010) e nel trapiantato di fegato (Merli M, 2010). Nel German Hospital Malnutrition Study, pubblicato nel 2006, lo stato di malnutrizione veniva associato ad un incremento della degenza del 43%. Altri studi danno risultati altrettanto negativi: Isabel M 2003 = 46,7%, Hinke M 2006 = 21,7%, Ockenga J 2005 = 42,8%, Pirlich M 2006 = 43,0%,Teresa F 2007 = 93,4%, Pressoir M 2010 = 47,0%, Shen HC 2010 = 88,0%, Ben Ishay O 2010 = 270% per una media di allungamento della degenza del 49,5%. Se consideriamo la riduzione delle giornate di degenza dopo adeguato trattamento nutrizionale, troviamo in letteratura dati interessanti: meno 37% in pazienti con diarrea intrattabile (Smith, 1988), meno11% in pazienti con trauma addominale maggiore (Moore, 1986), meno 8% in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo (Szeluga, 1988), meno 62% in pazienti con ictus (Martineau J. 2005), meno 43% nei ricoverati medi di ospedali germanici (Pirlicha M, 2006). Se si esclude solo per un momento il peggioramento della qualità della vita, l incremento dei costi per questi pazienti si aggira sul 60% (Correia et al 2003, Perez de la Cruz 2004). Ma di che prevalenza parliamo? Di circa il 30% dei pazienti all atto del ricovero (Galvan et al, 2004, Rasmussen et al, 2004, Dechelotte et al, 2001, Pirlicha et al, 2006, Edington et al, 2001, Corish et al, 2000, Thorsdottir et al, 1999, Lucchin et al, 2006, Audivert et al, 2000, Dzieniszewski et al, 2005, Planas et al, 2001, Cederholm et al, 1993, Kyle et al, La media di questi studi oscilla tra il 27 e il 29,5%. Se consideriamo quello pubblicati nel solo 2010 la media è del 31,4%: Ben-Ishay et al. 33,0%, Shen HC et al, 19,7%, Raslan M et al 38,9%, Russel CA et al 20,0%, Pressoir M et al, 30,9%, Filipòvic BF et al 45,7%). Ciò che colpisce è che la prevalenza media dagli anni 80 ad oggi, è rimasta pressoché immutata. Si è solo ampliato il range di valori (min-max), con il trascorrere del tempo. Pur a fronte di una grande messe di dati disponibili a livello europeo sulla malnutrizione calorico-proteica, per una loro corretta interpretazione debbono essere tenute in considerazione alcune criticità: 1. le differenti modalità di rilevamento dello stato di nutrizione. Oggi si dispone di non meno di 70 test per sospettare o diagnosticare la malnutrizione calorico-proteica nelle diverse fasce d età e in differenti patologie (tra i più usati: Maastricht Index-MI, Mini Nutritional Assessment-MNA, Nutrition Index-NI, Nutrition Risk Index-NRI, Prognostic Nutritional Index-PNI, Subjective Global Assessment-SGA, The Malnutrition Universal Screening Tool - MUST, Nutritional Risk Screening Tool 2002-NRS-2002, Pideaux Nutritional Risk assessment-pnra, In- 46

49 nsbruck Nutrition Score-INS, ecc). Sensibilità e specificità possono differenziare al punto da poter giustificare variazioni percentuali di prevalenza fino al 120%; 2. la differente numerosità campionaria dei vari studi in cui raramente è possibile effettuare l inferenza su specifiche coorti; 3. la differente tipologia clinica dei pazienti reclutati; 4. l insufficiente rappresentatività statistica sul territorio nazionale. Quest ultimo aspetto risulta fondamentale se si vogliono pianificare interventi di politica sanitaria su ampia scala. Dei lavori di prevalenza pubblicati negli ultimi anni solo tre presentano una certa distribuzione sul territorio nazionale con il coinvolgimento di più di 10 centri; uno tedesco (Pirlich M et al 2006), uno polacco (Dzieniszewski J et al 2005)e uno italiano (Lucchin L et al 2009 studio PIMAI -Project: Iatrogenic MAlnutrition in Italy). Lo studio PIMAI è risultato sufficientemente rappresentativo del territorio nazionale in termini di numerosità campionaria, distribuzione geografica dei centri partecipanti (distribuzione % per macroaree pazienti-popolazione generale), per età media e distribuzione per sesso. Inoltre, i kit strumentali utilizzati in tutte le realtà erano identici. In questo studio si è voluto utilizzare un criterio clinico-analitico che permettesse di porre diagnosi di malnutrizione e non entità del rischio di malnutrizione, che è il risultato dei test di creening. I risultati ottenuti sono riportati nella tab 1. Utilizzando un test di screening valicato come l NRS-2002, la prevalenza ottenuta è stata del 28,6% (18,3%<65 anni e 41,9%> 65 anni ) invece del 30,7. Il sesso femminile sembra essere leggermente sfavorito rispetto a quello maschile. L età media dei pazienti malnutriti chirurgici è ri- 47

50 sultata sensibilmente più bassa rispetto a quella dei malnutriti medici, a denotare la necessità di una maggiore attenzione nelle unità operative chirurgiche. Inoltre, l utilizzo della plicometria nei pazienti malnutriti trova un valido razionale a fronte dell abitudine oramai radicata di non utilizzarla. Dal Nutrition Day (Schindler K et al 2010) emerge che solo il 42% dei pazienti italiani riferiva una alimentazione normale nella settimana antecedente, il 55% aveva perso da 0 a 4 kg prima del ricovero e il 40% più di 4 kg. Nel 2010 Haldemann-Jenni si pone le seguenti domande: Malnutrition also on surgical units? Nutrition status should be assessed? Alcuni dati confermano l elevata insensibilità del personale sanitario nei confronti della problematica: 1. per il 60% dei medici di 70 ospedali inglesi non è necessaria la valutazione nutrizionale (Lennard Jones J, 1995); 2. il 79% degli infermieri di 2 ospedali periferici dell Alto-Adige non conosce il BMI (Lucchin L, 1999); 3. in Danimarca il BMI è rilevato nel 3% dei casi (Rasmussen HH, 2004); 4. screening nutrizionale eseguito nel 40% dei casi in Danimarca, 21% in Svezia e 16% in Norvegia (Mowe M, 2006), dal 15% dei medici e 30% degli infermieri in Olanda (Norman K 2008). Se si analizzano i dati del Nutrition Day si evince che i centri italiani utilizzano test di screening nel 33% dei casi a fronte di una media europea del 52%. 5. Le lettere di dimissione continuano ad omettere le informazioni sullo stato di nutrizione (Norman K et al.clin Nutr 27: 5-15; 2008), anche in Italia e anche laddove la struttura ospedaliera si è certificata. Un sondaggio effettuato nel febbraioaprile 2010: su119 medici (27,3%) e 317 sanitari non medici (72,7%) del policlinico universitario di Udine(Peri M.R) ha evidenziato come il 77% dei medici e l 86% dei non medici risulti interessato all arricchimento delle tematiche nutrizionali e come l 80% dei medici e il 72% degli altri operatori sanitari ritenga importante conoscere peso ed altezza dei pazienti all atto dell ingresso in ospedale. Peccato che solo in una % trascurabile delle grafiche di reparto tali dati risultino disponibili. Altri dati che non meritano commenti: dopo 10gg di ricovero i pazienti neurologici passano dal 7 al 22% di malnutrizione(hafteinsdòttir, 2010); il 61.9% dei degenti perde peso dopo 15 giorni di ricovero (Lucchin, 1994); presenza di un uso improprio della TPN nel 30-60% dei casi (Paccagnella,1998); il 17.4% dei degenti scende sotto il 20% di BMI durante il ricovero(dzieniszewski,2005); la massa magra si riduce sensibilmente a partire dall 8 giorno di ricovero (Kyle, 2005); I ricoverati ricevono mediamente meno del 75% del fabbiso- 48

51 gno calorico giornaliero (Valla, 2000); il 43% dei ricoverati non assume più di 1500 kcal die (Schindler K 2010). Ma che cosa percepiscono i ricoverati? Dallo studio PIMAI (Lucchin L 2009) emerge che: solo il 18,5% dei pazienti del campione riferisce che gli è stata posta una domanda sulla perdita recente di peso. Lo strano è che la domanda veniva fatta più frequentemente alle persone normopeso (22,1%) ed obese (20,3%). E i malnutriti per difetto? coloro che presentano un BMI 18,5 riferiscono di essere pesati meno rispetto alla media degli altri: 27,2 vs 28,1%; solo il 9,4% del campione riferisce di aver ricevuto informazioni circa l adeguatezza del peso e le modalità per raggiungerla. Anche in questa circostanza non vengono privilegiati coloro che ne avrebbero più bisogno, ma le donne (10,4%) e gli obesi (18,1%); i pazienti ricordano che è stata effettuata la misurazione dell altezza durante il ricovero solo nel 13% dei casi, ma nel 20,2% rammentano che è stato loro richiesto di riferirla. Nel 63,8% dei casi non si dispone pertanto di un valore dell altezza e quindi del BMI; la stragrande maggioranza dei degenti ritiene che il vitto ospedaliero fornito risponda alle loro esigenze cliniche e si sforzano d implementarlo anche a domicilio. La pensa così il 90,9 % di coloro che hanno un BMI 18,5 e il 78,9% degli obesi. La realtà pratica sappiamo essere ben diversa e ne sono consapevoli anche i ricoverati stessi. Infatti, se si chiede se sono convinti che in pratica sia così, coloro che hanno un BMI 18,5 scendono di % al 51,5 e gli obesi al 57,8. Sono dati che meritano una seria riflessione. E la malnutrizione iatrogena? È del 1974 il primo segnale forte lanciato in Europa in questa direzione. Su Nutrition Today appare un editoriale dal titolo: Iatrogenic malnutrition, the skeleton in the hospital closet (Butterworth C). Ma che cosa s intende per iatrogeno? Qualsiasi effetto avverso sofferto da un paziente in conseguenza di un trattamento medico o chirurgico. (Dorland s Pocket Dizionario Medico 1993). Nel caso della malnutrizione l effetto avverso è conseguenza di un non trattamento per cattiva gestione sanitaria che, in ambito sanitario, peggiora in genere uno stato preesistente. Sempre i dati PIMAI ci hanno detto che 265 pazienti su 1596, pari al 16,5% presentavano, all atto del ricovero, un BMI 18,5(n 45) o un calo ponderale 3 kg negli ultimi 3 mesi (n 220). Di questo gruppo, 195 sono stati seguiti durante la degenza per rilevare se veniva intrapreso un qualche intervento nutrizionale, senza soffermarsi sull adeguatezza o meno dello stesso. Nel 95% dei casi non veniva intrapreso alcun provvedimento nutri- 49

52 zionale. Estrapolando questo dato all intero gruppo dei 265 pazienti ne risulterebbe una % di non intervento, quindi di iatrogenicità, del 15,7% (16,5% x 95%). Considerato però che la % di malnutriti, secondo il criterio clinico-analitico, che prevede anche altre possibilità, è risultata essere del 30,7%, il range della malnutrizione iatrogena potrebbe estendersi al 29,2%. In sostanza la forchetta per la malnutrizione iatrogena in Italia dovrebbe posizionarsi tra il 15,7 e il 29,2%. È poco? In termini economici, se si considerano tutti i dati riportati nel presente lavoro e si effettua una simulazione, in questo caso relativa all ospedale di Bolzano con oltre giornate di degenza all anno,. si ricava che il recupero del 50% delle giornate di degenza aggiuntive per colpa della malnutrizione, a fronte della copertura delle spese per il trattamento (formule nutrizionali e personale), comporterebbe un risparmio annuo compreso tra 1 e 3 milioni di euro. E la qualità della vita del paziente? Ogni commento si ritiene superfluo. Sul cosa fare meglio lasciare che ognuno di noi possa elaborare adeguatamente la problematica; speriamo! 50

53 LA RETE DELLE STRUTTURE OPERATIVE DI DIETETICA E NUTRIZIONE CLINICA DELLA REGIONE PIEMONTE M. L. Amerio*, S. Bianchi*, Rete delle Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica Regione Piemonte** * S.C. Ospedale C.Massaia ASL AT ** AOU S.G. Battista; ASL TO2 Ospedale S. G. Bosco; ASO Ordine Mauriziano, Torino; AOU S. Luigi Orbassano; AOU Maggiore della Carità Novara; ASO S.Croce e Carle, Cuneo; ASL Cuneo 2, Alba; ASL TO 4; ASO SS Antonio e Biagio; ASL TO2 Ospedale M. Vittoria; ASO SS Antonio e Biagio; AOU OIRM-S.Anna; Ospedale degli Infermi, Biella; Verbano-Cusio-Ossola 1. La Nutrizione Clinica in Piemonte: premesse culturali e nascita della Rete L attività di Dietetica e Nutrizione Clinica in Piemonte è stata avviata, all inizio degli anni 70, presso l Ospedale Molinette di Torino per opera del Prof. Franco Balzola. Il Servizio di Dietetica presso questo Ospedale è stato istituito nel Successivamente sono state attivate altre 13 Strutture specialistiche per soggetti adulti e 2 per i pazienti pediatrici L attività coordinata di Rete, formalmente riconosciuta con DGR del 29\3\2010, è stata avviata dalla Leg - ge Regionale 12/12/97 n 61 Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario regionale per il triennio La LR individuava le funzioni e le professionalità costitutive delle UO specialistiche e indicava come obiettivi strategici la riduzione della prevalenza e gravità della malnutrizione ospedaliera e l ottimizzazione della nutrizione artificiale ospedaliera e domiciliare, sia per quanto attiene l età pediatrica che l età adulta. Obiettivi operativi erano lo sviluppo e coordinamento della rete delle U.O. di Dietetica e Nutrizione Clinica e l individuazione di un sistema di indicatori di attività e di qualità. Per ottemperare agli obiettivi del Piano Regionale 97-99, fu istituito dall Assessore alla Sanità nel 1999 un Gruppo Tecnico-Consultivo composto da Medici e Dietisti e rappresentativo delle UO specialistiche allora operanti. 2. Il mandato della Rete delle SODNC La già citata DGR n del ha istituito la Rete regionale piemontese delle Strutture Operative di Dietetica e Nutrizione Clinica. Insieme alla successiva delibera di nomina della Commissione di Coordinamento della Rete stessa (DGR n. 507 del ) esse definiscono il ruolo della Nutrizione Clinica, peculiare, in quanto si tratta di specialità trasversale con specifiche attività a li- 51

54 vello ospedaliero, nella continuità assistenziale tra ospedale e territorio e nei confronti delle strutture che operano nella prevenzione. Le SODNC, supportate dalla normativa regionale vigente sui percorsi di attuazione della NAD (Nutrizione Artificiale a Domicilio), garantiscono la piena presa in carico nutrizionale in continuità tra Ospedale e Territorio, in quanto responsabili sia delle cure nutrizionali in regime di ricovero, che dell addestramento, attuazione e monitoraggio della NAD stessa, in collaborazione con i Servizi farmaceutici territoriali, i MMG, i servizi di Cure domiciliari Il mandato delle SODNC condiviso dai Centri operanti in età adulta e pediatrica, come recitano le citate DGR, è quello di garantire a ogni paziente un intervento adeguato dal punto di vista nutrizionale, fornendo: - attività specialistiche volte a prevenire e curare situazioni patologiche, anche gravi, legate allo stato di nutrizione, per le quali sia stata dimostrata un efficacia dell intervento nutrizionale; - interventi riabilitativi in pazienti affetti da patologie croniche miranti alla ripresa dell alimentazione orale o alla sua integrazione o sostituzione con nutrizione artificiale, in un ottica di miglioramento dello stato nutrizionale e/o della qualità di vita; - interventi nell area della malnutrizione ospedaliera e territoriale (sensibilizzazione degli operatori sanitari e assistenziali alla sorveglianza nutrizionale, programmi di screening e protocolli di trattamento); - azioni di health promotion mirate alla collettività o a gruppi target. Il documento Ruolo delle Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica, curato da Amerio ML., Domeniconi D. e Bianchi S., pubblicato come position paper dell ADI (Società Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica) definisce in modo approfondito le macrofunzioni suddivise per aree operative e tipologia di prestazioni. 3. Le attività della rete SODNC: L attività di NAD è stata fin dall inizio condivisa tra tutti i Centri autorizzati, con funzione di coordinamento affidata alla Struttura dell Ospedale S. Giovanni Battista di Torino.La normativa regionale è stata costantemente definita in collaborazione tra l Assessorato e i Centri; ha definito le caratteristiche strutturali e di risorse umane necessarie all autorizzazione dell attività per le Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica, gli obblighi delle ASL di residenza e dei pazienti, e le caratteristiche tecniche del servizio a domicilio dei materiali e prodotti necessari. E stata aggiornata nel 2003 (DGR n ) e nel 2007 (DGR ). La NPD per pazienti oncologici è stata inizialmente (1999) promossa dall Assessorato Regionale con Progetto Sperimentale (6 Centri regionali), e successivamente inserita nella normativa con la DGR del 2007 so- 52

55 pramenzionata. L insufficienza intestinale cronica benigna è stata inserita nel 2005 nell elenco regionale delle malattie rare (DGR ); ciò ha significato per i pazienti un notevole miglioramento nella gestione del trattamento, in particolare per la gratuità della fornitura dei farmaci a loro indispensabili, ma o compresi negli elenchi o utilizzati in questa situazione off label. Per rispondere a criteri organizzativi di qualità, la Rete ha elaborato in condivisione tra i Centri Responsabili NAD sia Procedure Operative per la gestione della NED (2007) e della NPD per pazienti oncologici (2009), che opuscoli rivolti ai pazienti (Gestione della NED; plurime edizioni dal 1988 al 2010) che agli operatori sanitari (Nursing per la Nutrizione Parenterale nel paziente oncologico, 2010, redatto con la partecipazione di tutti i servizi infermieristici territoriali regionali). L attività di Rete prevede inoltre la periodica valutazione di indici di qualità e di attività del servizio. La più recente di tali valutazioni è stata eseguita nel giugno In tale periodo è stata eseguita un indagine sulla qualità percepita del trattamento NED e una survey sul numero di pazienti in trattamento (prevalenza) con i tre tipi di NAD (NED, NPD per IICB e NPD in pazienti oncologici); i pazienti sono stati riferiti sia al Centro Responsabile del trattamento che alla ASL di residenza. I risultati dettagliati di questi due studi sono stati riportati, insieme a tutte le altre attività della Rete Regionale, nel Report dell anno 2008, disponibile sul sito dell Assessorato Regionale m- onte.it/sanita/cms/pubblicazioni.html L indagine sulla qualità percepita della NED è stata eseguita con apposito questionario inviato a tutti i pazienti residenti al proprio domicilio e in terapia da almeno 6 mesi (410 adulti e 78 pediatrici); hanno risposto il 73% (pazienti adulti) e il 57% (pazienti pediatrici). Sono stati richiesti giudizi sulla qualità delle prestazioni fornite dal Centro Responsabile e dalla Ditta di Servizi domiciliari, e indicazioni sulle principali criticità gestionali incontrate. Le risposte hanno fornito un quadro globalmente soddisfacente (qualità del servizio fornito dai Centri NED: ottimo nel 57% e 50%, e buono nel 38% e 45%; livello di efficienza del servizio domiciliare ottimo nel 54% e 27% e buono nel 39% e 48%, rispettivamente per i Centri per pazienti adulti e per pazienti pediatrici). La maggior difficoltà segnalata è stata la gestione dei raccordi (60%), seguita dalla medicazione della stomia (17%) e dall uso della pompa (14%). Lo studio di prevalenza ha permesso di aggiornare i dati di richiesta della NAD Si è osservato (Tabella 1) un incremento del 41% dei pazienti in NED e del 14% dei pazienti in NPD. I dati specifici dei due tipi di NPD, non disponibili separatamente in una Survey del 2005, sono risultati nel 2008: 53

56 25.8/milione di abitanti (NPD per pazienti oncologici) e 12.1/milione di abitanti (NPD per IICB). È previsto che le rilevazioni degli indicatori di attività siano ripetute periodicamente, e sono attualmente in corso quelle relative al I dati dovrebbero permettere di giungere ad elaborare utili indicazioni sulla richiesta di trattamento relativa alla popolazione: l incremento osservato dal 2005 al 2008 è probabilmente una conseguenza dell attivazione di ulteriori Centri NAD negli anni precedenti. Prevenzione e trattamento della malnutrizione La rete regionale delle SODNC è impegnata in prima linea nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione sia ospedaliera che territoriale attraverso: - la rilevazione precoce del rischio di malnutrizione (uso dello screening nutrizionale in ospedale e nelle strutture residenziali del territorio) - utilizzo dell intero potenziale terapeutico del piano di trattamento nutrizionale, dalla terapia per os (impiego del dietetico ospedaliero come terapia), alla Nutrizione Artificiale (orale, enterale e parenterale) A livello ospedaliero è noto come lo stato di nutrizione dei pazienti ricoverati, all ingresso e durante degenza, sia un importante fattore che influisce sull andamento della malattia durante degenza e sulla durata del ricovero. Le Rete delle SDNC piemontese ha attuato dal 1999 degli studi di valutazione e ha implementato in alcune sedi delle procedure di screening all ingresso, seguite dagli opportuni interventi nutrizionali, dimostrando che tali procedure minimizzano la perdita ponderale durante degenza, che in certe situazioni - data la gravità delle patologie e/o della complessità degli interventi terapeutici - è inevitabile. È pure stato dimostrato che, con l attuazione di interventi nutrizionali precoci, è possibile fare in modo che i pazienti ricevano per tutta la degenza i loro abbisogni nutrizionali, utilizzando i differenti tipi di nutrizione disponibili. A livello territoriale la malnutrizione proteico-calorica interessa particolarmente la popolazione anziana, è stata trovata nel 10-38% dei pazienti anziani non ospedalizzati, nel 5-12% di quelli a domicilio e fino all 85% degli individui istituzionalizzati Dopo una survey effettuata nel , alcune SODNC regionali hanno avviato e gradualmente implementato dal 2005 un progetto di prevenzione e trattamento della malnutrizione nei pazienti istituzionalizzati. Nel corso dell anno 2008 sono stati valutati 738 soggetti di cui 189 maschi (25%) e 552 femmine (75%) con età media è di 83 anni (range: 65/107 anni). Il mini MNA evidenzia un rischio di malnutrizione in 579 soggetti (78%) di cui 268 pazienti (36% del totale) sono risultati effettivamente malnutriti Dati recenti ( ) di letteratura hanno riportato come un tratta- 54

57 mento tempestivo di pazienti malnutriti ospedalizzati (mediante uso di semplice questionario e protocolli di intervento nutrizionale) riduca la degenza ospedaliera di un giorno con risparmio di euro a fronte di un investimento medio di 76 euro. L obesità, la grande obesità, i DCA L OMS ha recentemente sviluppato una Strategia globale su dieta, attività fisica e salute, con una serie di raccomandazioni per i Governi e le diverse Istituzioni coinvolte. Nell Unione Europea nutrizione, attività fisica e obesità sono considerate priorità chiave nella politica di Sanità Pubblica e sono incluse nel programma di azioni Obesità. Il rapporto Stato di salute della popolazione in Piemonte riporta, con riferimento all anno 2004, una prevalenza nella popolazione adulta della regione (rispettivamente negli uomini e nelle donne) del 39% e 23% del sovrappeso e dell 8% e 7% dell obesità; sul totale della popolazione adulta l esistenza di sovrappeso+obesità interessa quindi individui. Dati ancora più allarmanti arrivano dall area pediatrica: 23% di bambini ed adolescenti (6-13 anni) sono in sovrappeso e 11% obesi (Okkio alla Salute 2010). Il problema sta assumendo dimensioni preoccupanti e mai riscontrate prima per la più bassa fascia di età, 2-6 anni, nella quale la prevalenza di obesità è dell 8%. Le Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica svolgono le attività volte alla diagnosi e alla terapia dell eccesso di peso all interno delle loro finalità istituzionali, in modo quantitativamente rilevante. (Tabella 2) (Tabella 3) All interno dell attività dedicata all obesità, le Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica della Regione trattano anche i pazienti affetti da severa obesità. Nel 2004 e nel 2006 sono state promosse indagini sulle attività della Rete in ambito di grande obesità da cui si evidenzia globalmente un attività dedicata molto importante dal punto di vista numerico e in crescita progressiva (nell indagine nel 2006 le prime visite dei pazienti gravi obesi sono risultate 1300, con incremento dell 11%). Va considerato che la prevalenza di tale patologia a livello nazionale è dell 1%, il che significa l esistenza nella regione di circa pazienti affetti da grande obesità. La percentuale di pazienti inviati a chirurgia bariatrica (indagine 2004) è stata del 13.6% (n 213 soggetti), mentre il 4.3% (n 61) dei soggetti trattati è stato avviato a chirurgia plastica. Il dato delle indicazioni a chirurgia bariatrica è molto interessante, in quanto evidenzia che la chirurgia, pur essendo altamente efficace, rappresenta al momento attuale comunque una prospettiva terapeutica non perseguibile dalla maggioranza dei pazienti con grande obesità. Nel 2005 è stato attivato, con finanziamento della Ricerca Sanitaria Finalizzata regionale, il Progetto Obesità 55

58 Piemonte (POP), finalizzato alla valutazione dei risultati e dei costi di un modello di intervento di gruppo, in soggetti in sovrappeso e con obesità di grado I, eseguito da Personale Dietistico specificamente formato e all interno delle competenze della Rete di Dietetica e Nutrizione Clinica della Regione. Il programma è stato attuato ( ) in 6 ASL regionali (TO1- TO2-AT-BI-NO-CN1) e ha incluso 1514 pazienti, fornendo risultati che possono essere considerati molto positivi sia in termini di risultato sul calo ponderale che di possibili ricadute metodologiche Relativamente ai Disturbi del Comportamento Alimentare le SO di Dietetica e Nutrizione Clinica risultano le strutture alle quali afferiscono il maggior numero di pazienti (dati survey regionale2006). La rete delle SODNC partecipa al PDTA definito a livello regionale e condiviso con gli altri specialisti coinvolti nella diagnosi e cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Le SODNC svolgono attività ambulatoriali specialistiche ulteriori, in appoggio a specialità mediche o chirurgiche presenti nei Presidi rispettivi, dedicate a: - malnutrizione e problematiche nutrizionali specifiche in area oncologica (per pazienti in trattamento attivo, in area palliativa e per interventi di tipo preventivo primario e secondario) - sindrome metabolica (diabete, dislipidemia, ipertensione) - insufficienza d organo (rene, fegato, polmone, cuore), ambulatori pre- e post-trapianto (rene, fegato, midollo) - malnutrizione per difetto (disfagia, celiachia, patologie gravi, chirurgia gastro-intestinale estesa, ecc.) La ristorazione sanitaria (ospedaliera e assistenziale) Le SODNC di area adulta e pediatrica costituiscono un referente organizzativo per l Azienda di appartenenza per la componente dietetico-nutrizionale della Ristorazione Ospedaliera (elaborazione del Dietetico, controllo delle attività di cucina dietetica, addestramento e formazione specifica del personale), come previsto dalle vigenti Proposte operative per la ristorazione ospedaliera della Regione Piemonte. In alcune realtà ospedaliere sede di SO di Dietetica e Nutrizione Clinica sono stati attivati progetti di miglioramento della ristorazione ospedaliera finalizzati al riconoscimento del valore dell alimentazione come strumento di cura e di riabilitazione. A tal fine è stato elevato il livello qualitativo dei pasti, secondo criteri di nutrizionalità e organoletticità. Sono stati rivisti i criteri e le modalità d approvvigionamento delle materie prime secondo una logica di filiera corta e sostenibile, favorendo l utilizzo di prodotti che esprimano la tipicità delle produzioni agro-alimentari del territorio e rispettando i criteri di stagionalità. 56

59 Tabella 1 NED NPD Prevalenza assoluta (n pazienti in trattamento) Prevalenza per milione di abitanti Tabella 2. Attività ambulatoriale per obesità - pazienti adulti Anno Visite totali (n) Ore/settimana di ambulatorio dedicato Prime visite (n) Tabella 3. Attività ambulatoriale per obesità infantile - centri pediatrici Ambulatorio obesità infantile Prime visite medico + dietista Visite di controllo medico + dietista (dati survey regionale2006) 57

60 MALNUTRIZIONE NELLE RSA A. Pezzana(*), M. L. Amerio( ) con il contributo di: P. Avagnina( ), C. Borgio(*), I. Capizzi( ), G. Malfi( ), E. Olivieri( ), E. Paiola( ), N. Rosolin( ), E. Sgnaolin( ), Z. Frighi(*) Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica: Ospedale San Giovanni Bosco, Torino (*), Ospedale Cardinal Massaia, Asti ( ), Ospedale San Luigi Gonzaga, Orbassano (To) ( ), Ospedale Santa Croce e Carle Cuneo ( ). 1. Premessa A partire dal Piano sanitario regionale , la regione Piemonte ha inserito la prevenzione della malnutrizione tra gli interventi strategici con specifiche necessità organizzative, cliniche e gestionali. Se, infatti, la letteratura scientifica evidenzia un alto rischio di malnutrizione nel paziente anziano, specialmente se istituzionalizzato (RSA/RAF), l utilizzo presso le collettività per anziani di semplici strumenti di monitoraggio (misurazione BMI, menù dietetici, controllo assunzione giornaliera di alimenti, ecc.) consente di evidenziare e trattare precocemente la malnutrizione stessa. Nello studio PIMAI (Project Iatrogenic Malnutrition in Italy) coordinato dalla FESIN e condotto su circa duemila pazienti di quindici Regioni italiane, emerge che l 8 per cento dei pazienti al momento del ricovero in strutture ospedaliere ha un indice di massa corporea molto basso, tale da richiedere un intervento immediato a livello nutrizionale, solo il 15 per cento dei pazienti viene pesato e in circa il 10 per cento dei casi la malnutrizione è successiva e correlabile alla scarsa sorveglianza nutrizionale. La medesima indagine a livello territoriale ha evidenziato incidenza e prevalenza ancora superiore, facendo ipotizzare fino a 3 malati su 4 a rischio di malnutrizione in strutture residenziali per anziani. 2. L indagine ADI Sezione Regione Piemonte nelle strutture territoriali per anziani Nella primavera 2002 la sezione piemontese dell ADI ha promosso la stesura di un questionario (Q) mirato alle problematiche nutrizionali presenti in strutture di lungo-degenza e riabilitazione per pazienti anziani in Piemonte e alle risorse e strumenti presenti per la gestione delle problematiche stesse. Tale lavoro, stimolato da eventi formativi e iniziali richieste di collaborazione a livello regionale, rispondeva inoltre a precisi indirizzi di orientamento di sanità e assistenza in Piemonte. Dopo validazione e sperimentazione, il Q, organizzato nelle seguenti aree tematiche, è stato inviato a 82 RSA e 72 Presidi socio-assistenziali, rappresentativi della realtà regionale: - area inerente la struttura: n./tipologia di personale sanitario e di assistenza, n. totale ospiti, tipo di rico- 58

61 vero (definitivo, a termine), presenza di personale con competenze nutrizionali, collegamento funzionale con strutture provviste; - area inerente la tipologia dei pazienti ricoverati: età, pat. base prevalenti e comorbidità, autosufficienza, presenza % di lesioni da decubito e sintomi con impatto sulle possibilità di alimentazione: anoressia, disfagia, disturbi dell alvo; - area inerente l organizzazione della ristorazione: presenza di Dietetico e sue caratteristiche, presenza di alcune diete di frequente utilizzo in pazienti anziani (morbida, semiliquida, per disfagici), presenza di protocolli per prevenzione o monitoraggio della malnutrizione, utilizzo della nutrizione artificiale (NA). Il tasso di risposta è stato 31%, con rappresentatività di 2400 ospiti (74% F), età media 80 aa. È emerso un quadro caratterizzato da pz. a elevato impegno clinico-assistenziale (esiti vasculopatia, malattie cardiovascolari o neuro-degenerative in 80% degli ospiti, 65 % non autosufficienti, 9% di lesioni da decubito all ingresso in struttura). Pur con notevole variabilità nella tipologia di personale presente (35 % di strutture non ha dietisti né dipendenti, né consulenti) l attenzione alle problematiche nutrizionali è presente, anche per le caratteristiche degli ospiti (27 % difficoltà alla masticazione. 17 % disfagia). Un Dietetico è presente in circa 70% delle strutture, ma solo il 55% è articolato almeno in tre differenti tipologie di diete: le più rappresentate sono la morbida e la semiliquida. Una dieta specifica per disfagici è presente nel 45% delle strutture. 70% ha protocolli per valutazione della malnutrizione, 1,3% degli ospiti sono in Nutrizione Artificiale, prevalentemente per via enterale tramite PEG. In un quadro eterogeneo emerge una crescente attenzione alle problematiche, presenti ma solo in parte riconosciute. Si pone come priorità un approccio multidisciplinare e collaborativo tra strutture ospedaliere di Dietetica, risorse territoriale e residenze assistenziali e riabilitative. 3. Il Progetto interaziendale DORS Regione Piemonte sulla diagnosi precoce e il trattamento della malnutrizione nelle strutture territoriali per anziani Sulla scorta dei dati raccolti è stata attivata un ulteriore attività di ricerca a livello territoriale, supportata dalla regione Piemonte in collaborazione con il gruppo DORS (Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute) con i seguenti obiettivi: 1) Sperimentare un modello di prevenzione e trattamento della malnutrizione in popolazioni anziane istituzionalizzate, finalizzato a: - Identificare al tempo 0 gli anziani a rischio presso RSA/RAF, mediante strumenti validati. - Utilizzare strumenti semplici, condivisi, adeguati alla gestione del problema. (MNA pre-test come prima valutazione) 59

62 - Monitorare i cambiamenti (t -..-.tn) dello stato nutrizionale dei soggetti anziani istituzionalizzati. 2) Consolidare una rete tra Servizi di Dietetica ed strutture residenziali (RSA/RAF); 3) Verificare l efficacia del modello adottato La metodologia prevede di affiancare strumenti validati per la valutazione del rischio nutrizionale degli ospiti a interventi formativi attuati secondo le metodologie di didattica attiva e partecipata, utilizzando: 1) Interviste semistrutturate; 2) Somministrazione del questionario utilizzato nel corso dell indagine condotta dall ADI - Sezione Regione Piemonte - alle residenze (RSA/RAF); 3) Diffusione degli esiti agli operatori coinvolti 4) Esecuzione di interventi formativi - informativi per personale assistenza RSA/RAF La parte tecnico-nutrizionale (definizione del rischio, diagnosi precoce e intervento nutrizionale ad hoc) si avvale prevalentemente di: 1. Adozione di protocolli mirati in base alla definizione del rischio di malnutrizione o della presenza della malnutrizione stessa. 2. Registrazione periodica del tasso di malnutrizione negli anziani, mediante adeguati indicatori ( BMI, adozione o revisione dei dietetici in uso, valutazione dei casi di polmoniti ab ingestis, prevalenza di piaghe da decubito, ecc.). In base ai risultati ottenuti dall utilizzo dei primi tre strumenti, il gruppo di progetto ha stilato una lista di fattori determinanti condivisa e rivalutata con i destinatari: PREDISPONENTI Insufficiente conoscenza/interes - se/consapevolezza sulle conseguenze della malnutrizione sul paziente anziano istituzionalizzato Insufficiente conoscenza dell importanza della variazione del peso corporeo e dell ingesta nel paziente anziano Insufficiente conoscenza della disponibilità di strumenti semplici per screenare il rischio di malnutrizione Scarsa predisposizione al cambiamento operativo e ridotto senso di auto-efficacia, in termini di fiducia nell influire sulla salute dell anziano istituzionalizzato ABILITANTI Carenza di risorse di personale rispetto al numero di ospiti Assenza di operatori con specifiche conoscenze nutrizionali, negli standard del personale delle RSA/RAF Mancata individuazione in ambito organizzativo di un coordinatore del processo nutrizionale Assenza di menù dietetici specifici ( dietetico ) per strutture residenziali per anziani, con descrizione di diete modificate per le più frequenti patologie (es. disfagia) Assenza / insufficienza di strumenti per la valutazione del peso corporeo Insufficiente valutazione dell ingesta durante la somministrazione dei pasti 60

63 RINFORZANTI Scarsa cooperazione tra i membri (dirigenti, medici, infermieri, operatori sanitari, operatori di cucina) dei differenti staff delle strutture residenziali Scarsa attenzione e sensibilità del contesto all opera del personale attento alle problematiche nutrizionali. All interno di tale lista ed in attesa di effettuare i focus group con i destinatari, sono stati individuati come prioritari i seguenti fattori: PREDISPONENTI Mancata conoscenza/interesse/consapevolezza sulle conseguenze della malnutrizione Mancata conoscenza della presenza di strumenti semplici per screenare il rischio di malnutrizione ABILITANTI Non presenza di un dietetico specifico per le RSA che preveda diete modificate per le più frequenti patologie (es. disfagia) Scarsa presenza di strumenti per la valutazione del peso corporeo Insufficienti tempi dedicati alla valutazione dell ingesta durante la somministrazione dei pasti RINFORZANTI L individuazione dei fattori rinforzanti specifici delle varie realtà verrà effettuata in collaborazione con gli operatori, nell ambito dei focus group. In conclusione la condivisione del percorso di prevenzione e controllo della malnutrizione e il coinvolgimento attivo degli operatori nella costruzione di meccanismi operativi di gestione del trattamento precoce, rappresentano strumenti essenziali per il raggiungimento degli obiettivi. Sviluppare la consapevolezza di poter incidere efficacemente sul problema vuol dire motivare gli operatori al cambiamento. 4. Il Progetto Malnutrizione RSA in Regione Piemonte: ampliamento dell esperienza pilota e dati preliminari L esperienza pilota condotta nell ambito del Progetto DORS ha aperto la strada al progetto Malnutrizione RSA in Regione Piemonte che, a partire dalla collaborazione dei due centri inizialmente coinvolti (Torino San Giovanni Antica Sede e Asti Cardinal Massaia), ha ampliato la rete di collaborazione anche alle strutture di Dietetica afferenti all Azienda ospedaliera San Luigi di Orbassano e Santa Croce e Carle di Cuneo. Nel progetto è prevista - la valutazione nutrizionale degli ospiti, - l affiancamento al personale di struttura per un percorso formativo sul campo sui temi della malnutrizione e della disfagia, - la valutazione (ove richiesta) dell adeguatezza del dietetico in utilizzo e l integrazione tra cucine e nuclei di degenza per ottimizzare l assistenza nutrizionale. Per valutare lo stato nutrizionale sono stati utilizzati i seguenti strumenti: 61

64 MNA-SF, fabbisogni e anamnesi alimentare, misurazioni antropometriche, BMI. Sono inoltre stati effetuati incontri di formazione al personale. Complessivamente sono stati valutati fino a oggi 1599 ospiti e 45 strutture. La prima fase di lavoro (conclusa a dicembre 2009) ha permesso la valutazione completa di 738 pazienti ricoverati in RSA, dei quali 450 già residenti in struttura e 288 valutati all ammissione in Residenza. Sulla base dello screening effettuato con l MNA-SF si è evidenziata: malnutrizione nel 13,7%, rischio di malnutrizione nel 64,9% dei casi, con correlazione significativa tra questi parametri, basso BMI e calo ponderale significativo. La malnutrizione poresente o potenziale ha mostrato anche significative correlazioni con ridotto intake alimentare (valutato con Score regionale, cfr. Proposte operative della Regione Piemonte per la ristorazione assistenziale, Torino 2007), disfagia e alterato stato di dentizione. La prevalenza di malnutrizione è risultata fino a due volte maggiore nei pazienti recentemente ammessi in struttura, rispetto a quelli già degenti da almeno 6 mesi. La seconda fase è in corso e coinvolge 41 strutture assistenziali e 861 ospiti (al ). Di essi 70% sono femmine e 30%maschi, con età media 83 anni (range 65/103), media BMI 21 (range 12/39). La maggior parte dei pazienti sono affetti da patologie neurodegenerative (70%). L applicazione dell MNA-SF (punteggio medio 7) ha evidenziato 818 pazienti a rischio di malnutrizione (95%) di cui 327 sono risultati effettivamente malnutriti (38%), i quali sono stati trattati con supplementi nutrizionali orali (20%) o indicazioini alimentari (18%). 293 pazienti (34%) sono risultati disfagici, 49 pazienti (6%) presentano ulcere da decubito. 5. Conclusioni Lo studio conferma l elevato rischio di malnutrizione nel paziente istituzionalizzato. Emerge una disomogenea sensibilizzazione da parte del personale assistenziale nel riconoscimento precoce degli indicatori di rischio di malnutrizione. Diventa fondamentale il ruolo del dietista nel fornire strumenti e conoscenze adeguate per ridurre al minimo queste criticità. Punti di forza della nostra esperienza sembrano essere: il buon livello di coordinamento degli operatori specialisti coinvolti nel Progetto (in particolare medici e dietisti delle Strutture Operative di Dietetica e Nutrizione Clinica, in collegamento operativo con Dietisti del territorio e personale medico, infermieristico e assistenziale delle Residenze per Anziani (RSA/RAF) le valutazioni nutrizionali condotte sugli ospiti, nonché i dati nutrizionali approfonditi dei pazienti appartenenti alla fascia evidenziata a rischio allo screening nutrizionale, la consulenza fornita alla struttura su 62

65 organizzazione della ristorazione e del Dietetico, i contenuti e le modalità organizzative e gestionali dei corsi di formazione destinati al personale infermieristico e assistenziale delle strutture oggetto della sperimentazione l attivazione rapida di percorsi dedicati di Nutrizione Artificiale (Supplementi nutrizionali orali, nutrizione eneterale e, anche se molto raramente, nutrizione parenterale) vista l appartenenza operativa dei Dietisti a Strutture afferenti alla rete regionale delle Strutture di Dietetica accreditate alla gestione della NAD Bibliografia essenziale Lindseth G. Nutrition preparation and the geriatric nurse. Western Jour Nurs Research, 1994, 16 (6), Crogan NL, Shultz JA. Comparing nutrition knowledge exam scores with reported nutrition topics of interest among nursing home nurses. Jour Nurses Staff Development, 2000, 16 (6), Lucchin L., D Amicis A., Gentile MG, Fusco MA, Battistini P, Palmo A, Muscaritoli M (e gruppo di collaborazione PIMAI) Project Iatrogenic Malnutrition in Italy (P.I.M.A.I.): parte I In: Aggiornamenti in Nutrizione Clinica, a cura di Gentile MG, Il Pensiero Scientifico Editore, pp , Roma 2006 Lucchin L., D Amicis A., Gentile MG, Fusco MA, Battistini P, Palmo A, Muscaritoli M (e gruppo di collaborazione PIMAI) Project Iatrogenic Malnutrition in Italy (P.I.M.A.I.): parte II In: Aggiornamenti in Nutrizione Clinica, a cura di Gentile MG, Il Pensiero Scientifico Editore, pp , Roma 2006 Evans BC, Crogan NL Quality improvement practices: enhancing quality of life during mealtimes. Jour Nurses Staff Development, 2001, 17 (3), White G, Whitehead K. Enteral tube feeding training for nurses and care assistants. Br J Community Nurs 2001, 6 (11), Crogan NL, Shultz JA, Massey LK Nutrition knowledge of nurses in long-term care facilities. J Contin Educ Nurs 2001, 32 (4), Milne AC, Potter J, Vivanti A, Avenell A. Protein and Energy supplementation in elderly people at risk from malnutrition Cochrane Database Syst Rev 2009 Apr 15;(2) Dorner B, Friedrich EK, Posthauer ME Position of the American Dietetic Association: individualized nutrition approaches for older adults in health care communities. J Am Diet Ass 2010 Oct; 110 (10): A. Pezzana, M. Amerio, L. Rovera, D. Vassallo, S. Giorgini Nutritional evaluation and support as part of the elderly care in CGUs (convalescence geriatric units) and regional country hospitals. Clinical Nutrition 2004; 23: 920 A. Pezzana, C. Borgio, N. Rosolin, M.L. Amerio Survey on prevention, early screening and treatment of malnutrition in elderly homes Abstract of the 31 st ESPEN Congress, Vienna 29 th August- 1 st September Amerio M.L., Pezzana A.(coordinatori), Bassetti G, Depau S, Devalle P. Proposte operative per la ristorazione assistenziale Regione Piemonte, Assessorato alla Tutela della salute e Sanità - Direzione Sanità Pubblica, Torino febbraio

66 PRELIMINARE NUTRIZIONALE NELL ANORESSIA E DELLA BULIMIA. QUALI ARGOMENTI? D. Rigaud Nutrition CHU de Dijon (France) Preliminare nutrizionale nell anoressia e della bulimia Quali argomenti? Pr Daniel RIGAUD CHU de Dijon (go to versione italiana) Anoressia e bulimia : fabbisogno catastrofico Numerose carenze: Aminoacidi essenziali (tirosinatriptofano) : déficit cerebrale, muscoli Acidi grassi essenziali (omega-3) : umore, triglicerides Ferro (ferritine) : immunità, umore, cognizione Calcio et vitamina D : ossa, gravidanza vitamina B9 : cervello, gravidanza Genova - giugno 2011 Anoressia e bulimia : la suppressione dei pasti è frequente in % AMR AMB B N 4 pasti pasti pasti pasti pasti TOTALE Genova - giugno 2011 Fabbisogni reali : numerose carenze Anoressia Bulimia Normale Tirosina (g) 0,24 0,28 0,60 0,80 Triptofano (g) 0,08 0,11 0,30 0,50 Ferro (mg) 1,8 2,2 11,5 Vitamina B9 (g) 0,11 0,15 0,3 0,4 Vitamina D ( g) 1,2 1, anoressia : n = 146 et bulimia : n = 188 Genova - giugno 2011 Anoressia nervosa : esclusione assoluta (non ne mangia mai) Serotonina et Dopamina : rete in % AMR AMB B N Carne rossa Carne bianca Pesca Zucchero Alimenti dolci MG addizionate Alimenti grassi Motivazione, piacere, euforia, pulsioni, ripetizione, attività collegate In rosso, rete «serotonina» Umore, memorizzazione, cognizione, eccitazione Genova - giugno 2011 Genova - giugno

67 AM : deux formes Genova - giugno 2011 Gli psicotropici Non inducono o poco una presa di peso nell anoressia nervosa Non sono efficaci (antidepressori serotoninergetici) che una volta sù due per gli ammalati di bulimia E sovente dopo giorni Presentano effetti secondari, delle volte importanti (10 % dei casi) La TCC : un efficacità avverate Nell anoressia nervosa, la TCC permette una migliora stabilizzazione del peso, delle recidive meno frequenti Nella bulimia, la TCC diminuisce la frequenza delle crisi e il rischio di recidiva a un anno Ora, la TCC include nozioni dietetiche e nutritive C è dunque uno spazio teorico Per un avvicinamento nutritivo Ma la TCC Ha un esito negativo e non riesce a fare prendere del peso agli ammalati di anoressia nervosa La TCC è efficace solo due volte sù tre nella bulimia e solo dopo giorni La TCC specifica disturbo del comportamento alimentare non è praticata (in Francia) dappertutto La psicoterapia La terapia familiale ha provato la sua efficacità nell anoressia nervosa (e non nelle bulimia) La psicanalisi non ha dimostrato la sua efficacità Le altre techniche (EMDR, Ipnosi, sofrologia) nemmeno loro. Le prove : per l anoressia nervosa 7 studi retrospettivi o prospettivi sono stati publicati Suggeriscono tutti l efficacità della nutrizione enterica mediante una sonda gastrica Ma sono quasi tutti (meno uno) effettuati in luogo ospedaliero Solo uno comportava un gruppo controllo (studio randomizzato aperto) Studio sulla nutrizione enterica all ospedale 81 ammalati di anoressia nervosa Ospedalizzazione per renutrizione seguito all insuccesso della presa incarico a domicilio Studio prospettivo randomizzato : a) Gruppo controllo (n=40) accompagnato da terapia cognitiva e comportamentale + aiuto dietetico + gruppo di parole (GP) b) Gruppo NE con TCC, aiuto dietetico e GP 65

68 Pazienti anoressici : NE all ospedale NE (n = 41) Non NE (n = 40) Donne (%) 97 % 98 % Età (anni) 22.5 ± ± 3.8 Peso (kg) 34.0 ± ± 4.3 IMC (kg/(m) 2 ) 12.1 ± ± 2.0 Perdita di peso (kg) 18.6 ± ± 4.9 Durata anoressia (anni) 4.5 ± 1.9 anni 3.2 ± 2 anni Crisi di bulimia (%) 29 % 32 % Depressione vera (%) 14 % 13 % Genova - giugno 2011 Anoressia nervosa (AN) : nutrizione enterale a domicilio (NEAD) 108 ammalati anoressici, sia restrittivi (Anoressia n=52), sia bulimici (anoressia e bulimia = 56) NEAD da 2,5 a 4 mesi ( mesi) Prima NEAD, perdita di 2,4 + 1,4 kg per gli AN e di 1,98 + 1,1 kg per gli anoressici nervosi bulimici (in 3 mesi) NE et AM all ospedale : risultati AN : nutrizione enterale a domicilio : Risultati AMR ARM après AMB AMB après Età (anni) Durata DCA (anni) 3,1 + 1,4-3,7 + 2,2 - Crisi bulimia - - 9,8 + 1,2 1,6 + 1,4 (n/settimana) IMC (kg/(m) 2 ) 14,3 + 1,2 +1,28+0,8 15,9 + 1,7 +0,99+0,7* Peso (kg) 38,8 + 4,7 42,3 + 5,4 * 45,4 + 5,6 48,3 + 5,3 * Peso -2,1 + 1,4 +3,42+2,3* -1,9 + 1,1 +2,82+2,17* Genova - giugno 2011 Genova - giugno 2011 Fabbisogno per pasto Bulimia e Nutrizione enterale a domicilio Genova - giugno 2011 Anoressia : dagli studi all ospedale Effetti piuttosto positivi, ma la spiegazione domanda lo sviluppo di numerosi fattori Un solo studio prospettivo aperto, senza gruppo controllo, a domicilio Uno studio pluricentri francese in previsione (5 centri, 140 ammalati sorteggiati divisi in due gruppi) Bulimia Pochissimi studi sul vantaggio della NE La terapia TCC «specifia» DCA include un preambulo nutritivo La bulimia comporta carenze nutrienti altrettanto importanti che per l anoressia Il deficit in precursori neuromediatori concorre essenzialmente nella provocazione delle crisi Genova - giugno

69 Criteri d inclusione Bulimia severa : più di una crisi al giorno (>2) molte ore al giorno (>2) e vomiti da più di 3 mesi Stato depressivo accentuato (Beck > 14) Stato angoscioso accentuato (Hamilton >16) Fallimento delle cure anteriori bene condotte (o rifiutate) Protocollo (4) : pazienti NS entre groupes Protocollo dello studio a due braccia Risultati (2) : Ammalatti senza crisi Studio randomizzato (sorteggiato) Fase di «run in» : stabilità di crisi sù 2 settimane esigenza 3 ammalati esclusi per crisi Fase «terapeutica» : 8 settimane, dicui 3 settimane in NE exclusiva Ritiro della sonda, interruzzione NEAD Fase di accompagnamento : 12 mesi dopo il ritiro della sonda Protocollo (2) : due braccia Gruppo NEAD (n = 52) : NEAD (+ sonda) + TCC + psicoterapia di sostiena + consigli dietetici + gruppo di parole Gruppo controllo (n = 51) : tutto meno NEAD Risultati (5) : Punteggio ansietà (Hamilton) Traitement actif Ai tempi : settimana -2, 0, 4 ème, 8 ème et infine 20 ème, 32 ème e 52 ème settimana (3, 6 et 12 mesi dopo interruzione NEAD), l evaluazione seguente : Protocollo (3) : metodologia Questionnario validato per DCA (EDI), ansietà(hamilton), depression (Beck) + questionnario personale (sulle crisi) Questionnaroio validato della qualità di vita (SF 32) Misure dello stato nutritivo : clinica e biologica Misure della composizione corporea Risultati (6) : Depressione (Beck) Traitement actif 67

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