Appunti delle lezioni del corso di ALPICOLTURA

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1 Università degli Studi di Milano Sede di EDOLO Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell'ambiente e del Territorio Montano Appunti delle lezioni del corso di ALPICOLTURA Fausto Gusmeroli

2 Indice PARTE I Elementi di Geobotanica 1. Ecomorfologia delle piante Distribuzione geografica delle piante Ecologia delle piante Vegetazione e aggruppamenti vegetali Dinamica della vegetazione. 32 PARTE II I pascoli 1. Dinamica delle vegetazione nelle fasce subalpina e alpina Le principali fitocenosi delle fasce subalpina e alpina Prerogative foraggere dei pascoli Utilizzazione del pascolo Allegato

3 PARTE I Elementi di Geobotanica La Geobotanica è lo studio delle piante e della vegetazione nella loro situazione nella biosfera. Questo studio può avvenire a tre livelli (floristico, vegetazionale e paesaggistico), che vanno a costituire le rispettive branche della Geobotanica idiobiologica, della Fistosociologia e della Sinfitosociologia, queste ultime due raggruppate nella Geobotanica simbiologica. Nell ambito della Geobotanica idiobiologica si possono distinguere due discipline, la Floristica e la Corologia, la prima deputata alla compilazione delle flore, la seconda alla definizione degli areali geografici. Essendo strettamente collegate, le due discipline sono spesso riunite e identificate come Corologia. Anche la Fitosociologia (o Fitocenologia) comprende due discipline, l una, la Fitocenografia, di carattere essenzialmente analitico, finalizzata alla descrizione degli aggruppamenti vegetali, l altra, la Sintassonomia, di carattere prevalentemente sintetico, votata all ordinamento sistematico degli aggruppamenti. Le tre branche della Geobotanica, pur operando in campi ben distinti, sono tra loro integrate. La corologia, in particolare, rappresenta una premessa indispensabile alla fitosociologia e questa alla sinfitosociologia. A sua volta, la sinfitosociologia (o Fitosociologia seriale) rappresenta la base per la Geosinfitosociologia o Ecologia del paesaggio, branca che di recente ha avuto molto sviluppo, tanto da divenire disciplina autonoma. Nei capitoli seguenti saranno illustrati i principi generali della corologia (capitoli 1, 2 e 3) e della fitosciologia (capitoli 4 e 5), in riferimento soprattutto alle piante vascolari (cormofite) e alla vegetazione dei pascoli. 1. Ecomorfologia delle piante 1.1. L habitus L elemento più appariscente dell adattamento di una pianta all ambiente è rappresentato dall habitus, ossia dalla sua forma complessiva determinata dalle dimensioni, dal portamento, dalla consistenza, dalle caratteristiche delle foglie e dalla durata del ciclo biologico. Essendo una aspetto dell adattamento, l habitus è correlato alle condizioni climatiche e microclimatiche, allo sfruttamento dello spazio, alla competizione e alla difesa contro le avversità. Il comportamento cespitoso e prostrato delle specie dei pascoli è, ad esempio, un fattore di adattamento all erbivoria, come la perdita delle foglie in molte piante e cespugli lo è nei riguardi del superamento della stagione avversa. A propria volta, l habitus influenza il microclima e la formazione delle comunità vegetali. In un bosco convivono normalmente piante di aspetto molto eterogeneo, che si strutturano in strati di differente altezza, utilizzando al meglio lo spazio e modificando le condizioni di illuminazione, temperatura e umidità all interno e nelle vicinanze del popolamento stesso. Specie anche molto distanti tra loro tassonomicamente possono mostrare il medesimo tipo di habitus e di ecologia. Il fenomeno è detto convergenza adattativa o eco-morfologica. D altro canto, specie di gruppi sistematici vicini possono assumere aspetto molto diverso. Allorché la convergenza morfologica riguarda specie di aree geografiche separate, ma simili ecologicamente, si ha parallelismo eco-morfologico e le specie sono dette parallele. Come non tutte le piante ad ecologia simile convergono necessariamente su un habitus, a dimostrazione che l adattamento non si basa esclusivamente sulla morfologia, così uno stesso habitus può accomunare piante di ambienti 3

4 differenti. Si parla in tal caso di pseudoconvergenza o pseudoparallelismo. Numerosi sono gli esempi, in particolare nell ambito delle graminacee e delle conifere che, pur vivendo in una pluralità di ambienti, esibiscono tutte un aspetto tipicamente xeromorfo (abbondanza di tessuti meccanici, foglie strette e dure, spesso ridotte e sempreverdi nelle conifere). Tre caratteristiche concorrono in particolare a definire l habitus di una specie: la durata della vita, la forma di crescita e la forma biologica Durata della vita La durata della vita condiziona la tolleranza al clima ed ha perciò un notevole significato ecologico. Rispetto ad essa le piante possono essere classificate in annuali, bienni e perenni. Le piante annuali e bienni sono esclusivamente erbacee. Le annuali sono quelle che concludono il ciclo vitale entro l anno, le bienni presentano la fase vegetativa al primo anno e la riproduttiva al secondo. Le annuali sono indicate come stagionali nel caso in cui la vita si prolunghi per qualche mese, effimere se limitata a poche settimane. Sono piante scarsamente dotate contro le avversità ambientali, dalle quali si difendono con una veloce crescita e rapido passaggio alla fase riproduttiva, in maniera da superare la stagione critica allo stato di seme. Propagandosi solo per via sessuale e dovendo affrontare la concorrenza delle piante poliennali, producono semi molto longevi e in grande copia, che vanno a costituire nel terreno le cosiddette banche di semi. Chenopodium album, ad esempio, una tra le più comuni infestanti dei seminativi, ha semi in grado di sopravvivere per parecchi decenni. Le piante perenni sono alberi, arbusti, suffrutici ed erbe con ciclo biologico superiore ai due anni. Occupando per lungo tempo lo spazio hanno forte competitività e possono evitare di produrre i semi con cadenza annuale. Hanno tuttavia maggiore necessità di mettere in atto delle strategie per superare la stagione avversa, gli eventi meteorologici critici che si presentano a cadenza pluriennale e i danni provocati dall uomo e dagli animali. Il meccanismo più comune per sopravvivere nella stagione avversa è la dormienza. Le erbe possono inoltre perdere totalmente o parzialmente la porzione epigea e proteggere la parte rimanente con i detriti vegetali. Il terreno, l acqua (nelle piante acquatiche) e la coltre nevosa concorrono a proteggere gli apparati ipogei Le forme di crescita Le forme di crescita non tengono conto del presumibile significato adattativo dell habitus, ma solo di caratteri morfologici e fenologici, che vengono organizzati in modo gerarchico. Gli schemi più generali e usuali trovano impiego nella Fitosociologia formazionistica (si veda il capitolo successivo) per la descrizione dei tipi fisiognomici della vegetazione (formazioni vegetali). Nella classificazione di Beard, una delle più note, sono identificate anzitutto cinque forme di crescita, in funzione essenzialmente della dimensione delle piante. Ogni forma è poi suddivisa in relazione principalmente a caratteri fogliari: 1. Alberi Grandi piante legnose, di altezza normalmente maggiore di tre metri. Sono suddivise in: Aghifoglie (per lo più Conifere) Latifoglie sempreverdi (la maggior parte con foglie di grandezza media) Sclerofille sempreverdi (foglie più piccole e dure) Latifoglie decidue (perdita delle foglie in inverno nella zona temperata, nella stagione arida in quella tropicale) Alberi spinosi (in molti casi con foglie composte decidue) 4

5 Alberi a rosetta (non ramificati, con una corona di grandi foglie, palme e felci arboree). 2. Liane Comprendono piante legnose ed erbacee 3. Arbusti Piante legnose di altezza inferiore di norma a tre metri Aghifoglie Latifoglie sempreverdi Latifoglie decidue Sclerofille sempreverdi Arbusti a rosetta Arbusti a fusto succulento (piante grasse) Arbusti spinosi Suffrutici (la parte distale del fusto è erbacea e può degenerare nella stagione sfavorevole) Arbusti nani (arbusti striscianti, più bassi di 25 cm) 4. Epifite Piante che crescono interamente sopra la superficie del suolo o sugli alberi delle regioni tropicali umide 5. Erbe Piante prive di fusto lignificato perenne epigeo Felci Graminoidi (graminacee ed altre piante di aspetto simile) Forbie (erbe a foglia larga) In alta montagna e nei pascoli predominano le piante a cespo, a rosetta e a cuscinetto, di cui si riportano disegni esemplificativi in figura 1.1. Tali forme sono quelle che meglio si adattano alle difficili condizioni ambientali d altura, come specificato più avanti Le forme biologiche Secondo la definizione di Pignatti, per forma biologica si intende un tipo morfologico che può essere riconosciuto, pur con qualche variazione, in diversi gruppi vegetali, indipendentemente dalla loro appartenenza tassonomica. A differenza delle forme di crescita, le forme biologiche sono stabilite in relazione al significato ecologico dell habitus e dunque tendono a mettere in rilievo aspetti ecologici più che una semplice descrizione morfologica. Il primo inquadramento generale di forme biologiche, ancora oggi largamente applicato, è quello di Raunkiaer (1934), impostato sull adattamento al clima espresso dalla posizione delle gemme rispetto al suolo, ossia alla strategia seguita dalla pianta per proteggere le gemme durante la stagione critica (l inverno nelle zone a clima temperato o freddo, il periodo arido nelle zone subtropicali e tropicali). Le categorie di Raunkiaer sono cinque, con sottocategorie equivalenti alle forme di crescita. Lo schema è dunque misto. Le cinque categorie principali sono le seguenti (si veda anche la figura 1.2): 1. Fanerofite (P) 5

6 . Gemme portate su germogli ad altezza superiore a 30 cm dal suolo e dunque sottoposte ai rigori del clima. Le gemme sono protette da foglie trasformate, dette perule, che cadono in primavera lasciando cicatrici ravvicinate che formano sul ramo caratteristiche zone circolari (indicano il limite della crescita annuale). Comprendono alberi, arbusti maggiori, liane legnose, epifite, grandi piante erbacee tropicali perenni. Sono previste diverse forme di crescita. Fig. 1.1 Principali forme di crescita delle piante d alta montagna (da Rèisigl e Keller, 1990). Piante a rosetta Piante a cuscinetto (pulvini) Piante a cespo Fig. 1.2 Forme biologiche di Raunkiaer (da Pignatti, 1995) 1 = Fanerofita 2a e 2b = Camefite 3 = Emicriptofite (a = rosulate; b = subrosulate; c = scapose) 4 = Geofite (a = rizomatose; b = bulbose) 5 = Terofite 6

7 2. Camefite (Ch) Gemme portate vicine al suolo, ad altezza inferiore a 30 cm, su germogli circondati da rami e foglie. Comprendono arbusti minori, suffrutici e piante erbacee perenni che nella stagione avversa mantengono integra la porzione epigea, spesso protetta dal manto nevoso. Sono ripartite in quattro sottocategorie: suffruticose, passive (fusto sottile e flaccido ricadente al suolo), attive (come le precedenti, ma con fusti rigidi) e a cuscinetto. Intermedie tra le Camefite e le Fanerofite sono le Nanofanerofite (NP), categoria nella quale si collocano gli arbusti nani. 3. Emicriptofite (H) Gemme portate a livello della superficie del suolo. Comprendono piante erbacee perenni e bienni, con le parti superiori che si deteriorano con il freddo, proteggendo con i loro detriti ed eventualmente con l ausilio del manto nevoso, le gemme. Sono suddivise in scapose, scapolorosulate e rosulate, a loro volta ripartite in stolonifere e non stolonifere. 4. Geofite (G) Gemme portate su organi ipogei (rizomi, bulbi, tuberi, radici). Comprendono piante erbacee perenni che spesso perdono la parte epigea durante la stagione critica. Si articolano in quattro sottocategorie: rizomatose, tuberose caulinari, tuberose radicali e bulbose. Alle Geofite possono essere ricondotte anche le Idrofite (I) e le Elofite (He). Le prime sono piante acquatiche che proteggono le gemme nell acqua o nel suolo del fondale; le seconde sono piante acquatiche tipiche delle paludi, di consistenza e struttura simile ormai alle terrestri, con la parte basale sommersa in acqua e il fusto e il fiore emersi. 5. Terofite (T) Sono le piante annuali, che concludono il ciclo vitale all approssimarsi della stagione avversa, superandola allo stato di seme che, per il basso contenuto in acqua, è particolarmente resistenti al freddo invernale. Lo stadio di gemma è eliminato. Le frequenze percentuali con cui le diverse forme entrano a formare la flora di un territorio, o di una vegetazione, ne rappresenta lo spettro biologico. Raunkiare ha stimato lo spettro normale della flora mondiale, ossie le frequenze medie delle varie forme biologiche sul pianeta. Lo spettro è composto per quasi la metà da Fanerofite, per circa un quarto da Emicriptofite ed un quarto da Terofite, Camefite e Geofite nell ordine. Il confronto dello spettro di un territorio con lo spettro normale fornisce utili indicazioni di carattere ecologico per quel territorio. L elemento principale di variazione dello spettro è il clima. Il parallelismo è talmente evidente da poter classificare i climi in funzione delle forme dominanti. Si riconoscono così tre climi principali: il clima delle Fanerofite, nelle zone equatoriali e tropicali umide; il clima delle Terofite, nelle zone desertiche tropicali e subtropicali aride; il clima delle Emicriptofite, nelle zone temperate e temperato-fredde. A questi se ne può aggiungere un altro, quello delle Camefite, nelle regioni più fredde poste generalmente oltre il limite delle nevi perenni. Le Camefite mostrano tuttavia un altro massimo nelle aree caldo-aride subdesertiche. Un duplice picco contraddistingue anche le Geofite, uno nelle regioni con lunga stagione arida, l altro in quelle non aride con lungo inverno. L Italia si trova circa al confine tra la fascia arida subtropicale e quella umida temperata, con prevalenza a sud di Terofite, progressivamente sostituite al centro e al nord dalla Emicriptofite (Tab. 1.1). Lo stesso gradiente lo si può osservare sul piano locale procedendo con la quota altimetrica. Oltre allo schema di Raunkiaer esistono altri inquadramenti biologici (Ellenberg e Müller- Dombois; Schmithüsen; Vareschi; Box), elaborati successivamente nel tentativo di superare l eccessiva generalizzazione che si ha considerando la sola posizione delle gemme. Questi sistemi non hanno però avuto grande successo, in ragione essenzialmente della loro complessità. Più di 7

8 recente sono stati sviluppati approcci non più a carattere deterministico, ma statistico, basati sull analisi di singoli caratteri morfologici (altezza della pianta, superficie delle foglie, lunghezza degli organi fotosintetici etc.) Adattamenti delle piante alle condizioni di vita in quota Al crescere della quota altimetrica le condizioni ambientali divengono progressivamente più severe. Il clima è caratterizzato vieppiù da bruschi cambiamenti, con temperature rigide (diminuzione della temperatura media dell aria di circa 0.5-0,6 C ogni 100 m, maggiore in primavera ed in estate e minore in inverno), lunghi e frequenti periodi di gelo, elevate precipitazioni, maggiore ventosità, minore umidità e pressione atmosferica, forti escursioni termiche, irraggiamento complessivo e nell ultravioletto più intenso ma inferiore nello spettro fotoattivo, a causa della maggiore copertura nuvolosa. L attività biochimica dei suoli è rallentata e la pedogenesi procede molto lentamente, ostacolata spesso anche dall instabilità dei versanti e dai continui apporti superficiali di materiali rocciosi. Ne consegue per le piante un accorciamento della stagione vegetativa (circa una settimana ogni 100 m), una riduzione di tutti i processi vitali, una crescita lenta, una scarsa capacità di utilizzo delle riserve per la fase riproduttiva ed un ritardo nella maturazione sessuale. Tab. 1.1 Spettro biologico delle regioni italiane (%) (da Pignatti, 1995) Numero T I He G H Ch NP P specie Pr. Trieste Friuli Veneto Trentino A. A Lombardia Piemonte-V. A Liguria Emilia R Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzi e M Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA (N) (%)

9 Molteplici sono dunque gli adattamenti morfologici e fisiologici imposti alle piante di montagna. Tra i primi si possono ricordare la formazione di una spessa cuticola esterna di protezione dai raggi UV, un aumento degli stomi delle foglie (in maggioranza stomi sulle due pagine), la formazione di stoloni, gemme, ricacci e rosette di foglie per la riproduzione vegetativa e un apparato radicale più sottile, esteso fino a cinque volte tanto quello delle piante di valle. A livello fisiologico si osserva anzitutto un aumento di efficienza dell apparato fotosintetico (fino al 40% in più delle piante di valle) determinata da un miglioramento degli scambi gassosi, insensibilità dei processi fotosintetici alle gelate notturne e capacità di produrre sostanza organica durante la fotosintesi in un ampio range di temperatura. Si ha inoltre una maggiore resistenza ai danni da gelo e da caldo eccessivo, una temperatura di congelamento delle foglie inferiore, possibilità di crescita e attività metabolica a basse temperature e la prevalenza della moltiplicazione per via vegetativa su quella sessuale e, per quest ultima, dell autofecondazione anemogama sull impollinazione incrociata ed entomogama. 2. Distribuzione geografica delle piante 2.1. Gli areali L area entro la quale una specie è diffusa in modo stabile costituisce il suo areale. Il concetto può essere esteso anche ai ranghi tassonomici di genere e famiglia, esprimendo in tali evenienze la distribuzione complessiva rispettivamente delle specie o dei generi che li compongono. Entro l areale la specie non è necessariamente presente ovunque, ma può essere più o meno abbondante e discontinua. Il luogo geografico in cui l entità è osservabile si identifica come stazione. Forma e dimensione dell areale sono determinate da fattori intrinseci alla specie, che ne fissano la capacità competitiva, e da fattori esterni, come ostacoli geografici (un oceano, una catena montuosa, un deserto etc.), elementi climatici, fattori pedologici e biotici (patogeni, fitofagi, impollinatori). Occorre inoltre considerare anche fattori storici di carattere bioevoluzionistico ed ecologico che hanno agito nel passato. La conoscenza dell areale non è dunque fine a sé stessa, ma fornisce informazioni ecologiche che, unitamente ai dati genetici, aiutano a chiarire l origine della specie, la sua storia e l affinità con altri elementi. Quando non diversamente specificato, l areale è geografico, ad indicare la distribuzione completa della specie. Se invece si riferisce ad una porzione particolare dell areale geografico, è appellato come regionale o territoriale. Poiché le distribuzioni di molte specie sono state ampliate dall uomo, si contrappone inoltre un areale primario, naturale, a un areale secondario, di origine antropica. Un ulteriore classificazione si pone nei confronti dello sviluppo, che può essere continuo o disgiunto a seconda che interessi un unica area o più aree non comunicanti, indicate appunto come disgiunzioni. Quando queste hanno superficie circa equivalente sono dette parziali; quando sono chiaramente diverse, la più estesa rappresenta l areale principale, le altre sono areali secondari. Pinus cembra, ad esempio, ha come areale principale la regione Siberiana e come areali secondari Alpi e Carpazi, dove si rinviene in piccoli distretti. Se molto ridotte, le disgiunzioni sono interpretabili come aree relitte e la relativa popolazione è a sua volta un relitto geografico. Le disgiunzioni hanno cause storiche, derivano cioè da avvenimenti del passato di natura evoluzionistica ed ecologica. I più importanti sono senz altro i fenomeni di natura geologica, come l orogenesi e la deriva dei continenti, in grado di modificare la geografia delle terre emerse, creando fratture nella continuità del territorio. Rilevanti sono stati anche i grandi mutamenti climatici, responsabili ad esempio delle disgiunzioni delle specie artico-alpine avvenute nel Quaternario, mentre sono cause del tutto secondarie la dispersione a distanza di semi da parte di migratori e le speciazioni analoghe in punti distanti tra loro. Esistono specie ad areale molto piccolo, ridotto talvolta ad una singola montagna, una vallata, un isoletta o altro e specie che, al contrario, abbracciano il territorio di più continenti o tutto il 9

10 pianeta. Alle prime è attribuito il nome di specie endemiche, alle seconda di specie cosmopolite. Gli endemismi possono derivare o da contrazioni di precedenti areali più ampi o da ostacoli fisici alla diffusione della specie. Appartengono al primo tipo i cosiddetti neoendemismi, originatisi nel Pleistocene e nel post-glaciale, al secondo gran parte dei paleoendemismi, risalenti al Terziario e ad epoche ancora precedenti. Tra i paleoendemismi si riconoscono i relitti tassonomici, specie rimaste isolate sotto il profilo sistematico (l esempio emblematico è Ginkgo biloba, la sola specie sopravvissuta della famiglia delle Ginkgoaceae, diffusa nel Mesozoico). Gli endemismi sono molto comuni nelle isole e sui complessi montuosi, dove l estremo isolamento favorisce la speciazione ed ostacola la dispersione delle unità di neo-formazione. Le flore delle isole oceaniche, in particolare, ne risultano dottissime (circa il 90% per le Hawaii), grazie anche alla natura vulcanica che limita una copertura massiccia di vegetazione, allentando la competizione. Le specie cosmopolite possono essere primarie, come Deschampsia caespitosa e Luzula campestris per citare due specie dei pascoli, o più spesso secondarie, propagate cioè volontariamente o incidentalmente dall uomo, come le prative Dactylis glomerata e Plantago major. Il cosmopolitismo è per altro raro a livello specifico, più frequente salendo la scala tassonomica. Solo per i neoendemismi ad areale piccolo è abbastanza agevole identificare il centro di origine di un taxon, coincidendo in pratica con l attuale distribuzione. Diversamente occorre disporre di una buona documentazione fossile. Con una certa approssimazione (e un certo rischio di errore) si può considerare come regione di origine il centro di distribuzione, vale a dire l area nella quale il taxon è più articolato (maggior numero di taxa subordinati o maggiore variabilità nel caso di specie). Ciò per altro, più che attestazione di origine, è segnale di una lunga permanenza. Un altro criterio è quello del numero di ploidia, applicabile sia al rango di specie, sia di genere. Poiché le piante poliploidi sono dotate di maggiore vitalità e adattabilità, tendono ad occupare le aree periferiche degli areali, evidenziando un gradiente di ploidia coincidente con il verso di diffusione del taxon. Il centro di origine indica il clima e l ambiente a cui la specie è geneticamente adattata. Le specie che si irradiano spontaneamente ad un territorio estraneo al loro areale sono dette avventizie. La maggior parte di esse sono effimere e i pochi anni scompaiono. Alcune invece possono trovare condizioni analoghe a quelle del luogo di origine e si stabiliscono in maniera definitiva. Questi elementi naturalizzati divengono a volte talmente invasivi da comprimere la stessa flora autoctona. Valga per tutte l esempio di Robinia pseudoacacia, importata dall America secoli addietro e diffusasi rapidamente in molti paesi europei. Fra le avventizie naturalizzate vi sono le infestanti delle colture, propagate involontariamente dall uomo con le colture stesse. Avventizie particolari sono le specie eterotopiche, la cui presenza in una stazione più o meno isolata è garantita dal continuo apporto di seme dall areale principale Il fenomeno della vicarianza Le situazioni disgiuntive favoriscono la formazione di nuove specie (speciazione allopatrica). Il processo è graduale e passa attraverso il rango di sottospecie. Le nuove entità sono dette vicarianti geografiche. In senso meno restrittivo sono considerate vicarianti anche specie che, pur non essendosi generate per speciazione allopatrica, hanno distribuzione distinta e affinità sistematica. Si parla invece pseudovicarianza ove sussistono rapporti di poliploidia tra le entità. In tal caso è probabile che all origine vi sia stata una speciazione simpatrica e la separazione geografica si sia avuta successivamente. Le vicarianti geografiche sono molto diffuse sulle isole e nelle montagne, per le isole a causa della separazione geografica di popolazioni simpatriche, per le montagne a causa dell isolamento prodotto dalle forti variazioni climatiche e delle successive evoluzioni delle specie così separate. In montagna è frequente la vicarianza in rapporto all altitudine. Per le Alpi si può ricordare Anthyllis alpestris, una leguminose dei pascoli che vicaria A. vulneraria. Le vicarianti strette, essendo omocariotipiche, possono essere interfertili e dal loro contatto si possono quindi generare ibridi. Un 10

11 esempio è Platanus hybrida, il platano usato nei parchi e nelle alberature stradali, i cui genitori sono Platanus occidentalis (il platano nordamericano) e Platanus orientalis (il platano mediterraneo). Oltre alla vicarianza geografica si ha anche una vicarianza ecologica. Diversamente dalle vicarianti geografiche, che sono ecologicamente affini, le vicarianti ecologiche hanno ecologia differente, pur avendo areali del tutto, o quasi, coincidenti ed elevata somiglianza tassonomica. Questa vicarianza si può manifestare rispetto ai più disparati fattori ambientali (pedologici, climatici, antropici) e può essere etereocariotipica o omocariotipica. Nel primo caso scaturisce da una radiazione adattativa dovuta ad una speciazione improvvisa per poliploidia (solo nelle Angiosperme; nelle Gimnosperme la poliploidia è pressoché assente) e se ne può ricostruire la discendenza in base al grado di ploidia. Nel secondo caso sembra esservi una qualche forma di isolamento geografico temporaneo o una speciazione simpatrica graduale a partire da un unica specie progenitrice per l insorgenza di un qualche meccanismo di isolamento riproduttivo. Vicarianti ecologiche sono le due specie di rododendro presenti nelle Alpi, Rhododendron ferrugineum e R. hirsutum, l uno acidofilo, l altro basifilo, nelle quali uno sfasamento del periodo di fioritura determina una separazione riproduttiva (sfasamento per altro solo parziale, dato che si hanno piante ibride). Altri esempi alpini, sempre legati all acidità del suolo, sono Carex curvula e C. rosae, Genziana kochiana e G. clusii. Allorché la vicarianza geografica riguarda specie a differente ecologia, si ha una duplice vicarianza, geografica ed ecologica. Nella catena alpina l esempio classico è quello di Achillea nana e A. clavenae, specie molto simili, rispettivamente salicicola del settore occidentale e calcofila dell orientale, con una sovrapposizione nel settore centrale I corotipi Specie ad areale simile sono indicate come geoelementi e possono essere aggregate a formare delle categoria corologiche, o corotipi, che ne esprimono quindi in maniera sintetica e ordinata la distribuzione geografica. I corotipi prendono normalmente il nome della regione geografica corrispondente e non tengono conto, almeno nell impostazione tradizionale, dell ecologia. La loro definizione si basa sulla similitudine tra gli areali, valutata fino ad ora essenzialmente a vista. Ciò ha favorito una certa soggettività nella proposizione dei corotipi. Nel momento in cui saranno disponibili informazioni georeferenziate, si potranno adottare criteri più oggettivi e puntuali, ricorrendo a metodologie statistiche multivariate (clustering). Tra i corotipi della flora italiana, si possono citare: 1. Atlantiche Specie con areale che gravita verso le coste atlantiche europee, a bioclima umido e oceanico. Sono piuttosto rare in Italia. Più comuni sono le specie Subatlantiche, distribuite in quasi tutta l Europa sino alla Siberia occidentale. 2. Centro-europee Specie dei boschi di latifoglie dell Europa centrale, a clima temperato, abbondanti soprattutto nel nord Italia. 3. Sud-europee montane Specie dei sistemi montuosi sud-europei di origine terziaria (Pirenei, Alpi, Carpazi, Balcani, Appennini etc.), diffuse anch esse prevalentemente nell Italia settentrionale. 4. Endemiche alpiche Elementi esclusivi o quasi dell arco alpino, raramente irradiantisi in stazioni isolate di altri sistemi montuosi sud europei. Comprendono poco meno di 300 specie, oltre la metà delle 11

12 quali accantonate in singole vallate o massicci. Le zone più ricche di endemismi sono le Alpi Marittime e la Liguria Occidentale, l Insubria e le Dolomiti. 5. Endemiche centro-mediterranee Elementi esclusivi della penisola appenninica, spesso con irradiazioni nelle isole e in altri territori circoscritti, dove costituiscono numerosi endemismi locali. 6. Mediterranee Specie ad areale proteso verso il bacino del Mediterraneo. Si distinguono in Stenomediterranee, diffuse solo lungo le coste del bacino e alle zone più calde, nell area dell ulivo, Mediterraneo-montane, esclusive dei monti, Eurimediterranee, che irradiano nelle zone più calde dell Europa media fino al limite della coltura della vite e Mediterraneo- Atlantiche, presenti anche sulle coste atlantiche. 7. Pontiche Specie orientali, con baricentro nelle regioni a Nord del Mar Morto (Pontus euxinus), particolarmente Ucraina e Pannonia, a clima continentale-steppico. Orientali sono anche le specie Illiriche, ma sono limitate alla ex-jugoslavia. 8. Turaniane Specie orientali con areale esteso dal Mediterraneo orientale all Asia anteriore. 9. Eurasiatiche Specie delle zone temperate dell Eurasia, legate essenzialmente al bosco mesofilo di latifoglie. Clima più rigido è richiesto dalle specie appartenenti al gruppo delle Eurosiberiane, distribuite principalmente in Siberia, ma presenti anche nell Italia settentrionale. 10. Paleotemperate Raggruppamento numeroso di specie delle regioni temperate del vecchio continente, ossia Eurasia, Africa settentrionale ed Etiopia soprattutto. 11. Circumboreali Elementi montani molto numerosi delle zone temperate e fredde dell emisfero boreale, ossia Eurasia, Nordamerica e più raramente Africa settentrionale. 12. Artico-alpine Specie ad areale relitto delle zone artiche e dei massicci montuosi delle aree temperate boreali (Alpi, Carpazi, Caucaso, Montagne rocciose, spesso Hymalaja etc.). Sono componenti tipici delle praterie sopra il limite climatico degli alberi, delle paludi alpine, macereti e ghiaioni, vallette nivali e creste ventose. A questi si devono aggiungere i gruppi delle Cosmopolite, Subcosmopolite e Avventizie, di cui si è gia trattato in precedenza. Come già per le forme biologiche, la ripartizione percentuale della flora di un certo territorio tra i diversi corotipi conduce allo spettro corologico. Il corogramma è invece la rappresentazione cartografica dei corotipi realizzata mediante isopore, linee concentriche che racchiudono le aree in cui è presente la medesima percentuale di specie del gruppo considerato. Dati biologici e corologici mettono nell insieme in luce le relazioni della flora con l ambiente: i primi con le condizioni climatiche, i secondi con le origini e le vicende storiche. Lo spettro corologico delle regioni italiane è illustrato nella tabella

13 Tab. 2.1 Spettro corologico delle regioni italiane (%) (da Pignatti, 1994) Endemiche Steno mediterranee Eurimediterranee Mediterraneo- Montane Eurasiatiche Atlantiche Orofite sudeuropee Settentrionali Cosmopolite Pr. Trieste Friuli Veneto Trentino A. A Lombardia Piemonte-V. A Liguria Emilia R Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzi e M Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna I regni floristici La distribuzione della flora sul pianeta porta all individuazione di regni o imperi fitogeografici, caratterizzati da affinità floristica e da taxa endemici. Ogni regno è suddiviso in regioni, quindi in province, settori e distretti. Un regno è contraddistinto soprattutto da endemismi a livello di famiglie e genere, la regione a livello di genere e specie, le altre suddivisioni a livello di specie. L omogeneità floristica tende naturalmente a crescere scendendo nella scala gerarchica. Queste ripartizioni hanno essenzialmente rilevanza storico-evoluzionistico, mentre non hanno significato ecologico. Esse sono il risultato dei grandi mutamenti climatici verificatisi a partire dal Paleozoico, in particolare nell arco temporale dell ultimo milione di anni, interessato da notevoli variazioni climatiche. La loro identificazione non è agevole, potendo discendere da svariati criteri, nessuno dei quali assolutamente oggettivo e rigoroso. Tutti gli esperti concordano per altro nel riconoscere sei regni floristici: olartico, paleotropicale, neotropicale, capente, australiano e antartico (Fig. 2.1). Come si può osservare in figura 2.2, l Italia è compresa nel regno olartico, nelle regioni mediterranea e circumboreale (o eurosiberiana), il cui confine coincide approssimativamente con il 13

14 corso del fiume Po. Si hanno tre province floristiche: l appenninica e la sardo-corsa nella regione mediterranea, la centroeuropea nella regione circumboreale, le prime due suddivise rispettivamente in quattro e due settori, la terza racchiusa in uno solo (settore alpico). Numerosi distretti compongono i settori. La zona centroeuropea è caratterizzata da clima più freddo e umido; quella mediterranea è più calda e secca, con marcata aridità estiva. Questa complessa articolazione fitogeografica è indice di grande ricchezza floristica. Con le sue specie citate nella Flora d Italia del Pignatti, delle quali 692 endemiche (220 nelle Alpi), il nostro paese detiene il primato in Europa, con più della metà del patrimonio floristico continentale, stimato in specie. Comprendendo anche le entità introdotte dall uomo e ormai inselvatichite, il contingente nazionale salirebbe secondo Conti et al. (2005) a specie. Fig. 2.1 Regni floristici del pianeta e regioni del regno olartico (da Ubaldi, 1997) 1 = Regno olartico (1a = Regioni circumboreali; 1b = Regione sino-giapponese; 1c = Regione nordamericana atlantica; 1d = Regione delle montagne rocciose; 1e = Regione mediterranea; 1f = Regione macaronesiana; 1g = Regione irano-turanica; 1h = Regione saharo-arabica; 1i = Regione madreana) 2 = Regno paleotropicale 3 = Regno neotropicale 4 = Regno australiano 5 = Regno capente 6 = Regno antartico 14

15 Fig. 2.2 Ripartizione floristiche in Italia (da Ubaldi, 1997). (Non sono evidenziate le enclave eurosiberiana dell Appenino tosco-emiliano e mediterranea del Garda). 1 = Settore alpino della provincia centroeuropea 2 = Settore nordappenninico della provincia appenninica 3 = Settore centroappenninico della provincia appenninica 4 = Settore meridionale della provincia appenninica 5 = Settore siciliano della provincia appenninica 6 = Settori sardo e corso della provincia sardo-corsa 3. Ecologia delle piante 3.1. La distribuzione delle specie lungo i gradienti ambientali La possibilità delle piante di insediarsi in un certo ambiente dipende dai fattori ecologici che lo caratterizzano. Si tratta di variabili abiotiche (chimiche e fisiche) e biotiche legate al clima, al suolo, alla presenza dell uomo e delle altre forme viventi. Questi fattori devono permettere lo svolgimento 15

16 delle diverse fasi del ciclo biologico. È sufficiente che uno solo di essi non sia idoneo per decretare l esclusione della specie. Le esigenze ecologiche delle piante non sono puntuali, bensì intervallari. Vale dunque la legge di tolleranza di Shelford (1913), che si può considerare un estensione della legge del minimo di Liebig della nutrizione vegetale (1840). Secondo Shelford, ogni organismo manifesta per ciascun fattore di sviluppo e crescita un intervallo di tolleranza, o nicchia ecologica, compreso tra un valore minimo ed un valore massimo, al di fuori del quale l organismo non può esistere. La compatibilità della specie entro l intervallo di tolleranza, o, come si dice in ecologia, la sua funzione di risposta lungo il gradiente ambientale, non è lineare o monotonica, bensì unimodale, rivela cioè un massimo nella zona centrale. La funzione è approssimativamente Gaussiana (Fig. 3.1), dunque descritta da tre parametri: la moda, il corrispondente valore massimo e la deviazione standard. Nella terminologia ecologica, i tre parametri sono indicati rispettivamente come optimum, abbondanza massima e tolleranza. La funzione non è una probabilità di distribuzione, ma, come detto, una risposta della specie ad un parametro ambientale. E in termini statistici una regressione, dove l abbondanza della specie è la variabile dipendente e il fattore ecologico l indipendente. La sua equazione, adeguata al simbolismo ecologico, è: Ey = c exp [-(x i u) 2 /2t 2 ] con: Ey = abbondanza attesa x = valore della variabile ambientale exp = esponenziazione con base dei logaritmi naturali (circa 2.718) Fig. 3.1 Funzione di risposta unimodale delle specie a un gradiente ambientale (da Ter Braak end Prentice, 1988) u = optimum ecologico t = tolleranza c = abbondanza massima 16

17 Fig. 3.2 Curve unimodali delle abbondanze di quattro specie lungo un gradiente ambientale (da Ter Braak end Verdonschot, 1995) Le specie tendono a separare le loro nicchie, allo scopo soprattutto di minimizzare la competizione 1. Se la separazione è netta, lungo il gradiente ambientale ricorrono successive sostituzioni di specie. Di conseguenza, anche la composizione delle comunità biotiche cambia lungo i gradienti in accordo con funzioni unimodali. Le successioni che ne derivano rappresentano i cosiddetti coenoclini. Alcune specie possono preferire condizioni ecologiche estreme e i loro optima possono cadere al di fuori della regione ambientale esplorata. In tal caso le relative funzioni di risposta osservate non sono unimodali, ma monotoniche, decrescenti o crescenti, come per la prima specie raffigurata nel diagramma di figura 3.2. Se si considerano contemporaneamente due o più gradienti ecologici, la distribuzione della specie approssima generalmente la curva Gaussiana lungo ciascun fattore, costituendo nell insieme una superficie di risposta Gaussiana sul piano definito dai gradienti stessi (Fig. 3.3). I fattori ecologici non agiscono per altro separatamente, ma in modo congiunto. L interazione può influire sia sull intervallo di tolleranza, ampliandolo o comprimendolo, sia sull optimum. Inoltre, il modello Gaussiano è solo approssimativo, anche se è un eccellente approssimazione. Non sono comunque rari esempi di risposte bimodali e asimmetriche dovute al fatto che la nicchia è determinata dai processi fisiologici e non può pertanto essere abitualmente osservata nel mondo reale, dove le specie coesistono nelle comunità. Le piante, cioè, non sono distribuite semplicemente in accordo con le loro tolleranze fisiologiche, ma sono alterate dalla competizione con altre specie e da altri processi interni alla comunità. Quella che si osserva è dunque la nicchia reale o ecologica, solitamente più ristretta di quella fisiologica o fondamentale rilevabile in condizioni di laboratorio. Infine, optima e limiti di tolleranza possono essere differenti per la stessa specie a seconda della funzione fisiologica o dello fase di crescita considerate (germinazione, fioritura etc.). L impedimento di talune funzioni non significa automaticamente l esclusione della pianta da quell habitat. Ad esempio, nell impossibilità di passare alla fase riproduttiva sessuale, la permanenza può essere garantita dalla riproduzione vegetativa o dal continuo apporto di semi dall esterno. 1 In maniera generale la competizione è quella situazione nella quale differenti organismi sono costretti per sopravvivere ad attingere alle medesime (e limitate) riserve materiali o energetiche. La conseguenza è il processo di selezione, ossia la sopravvivenza dell uno a scapito dell altro. 17

18 Fig. 3.3 Superficie di risposta Gaussiana che mostra la relazione unimodale tra il valore di abbondanza di una specie e due variabili ambientali (da Ter Braak end Prentice, 1988) 3.2. Le piante come indicatrici ecologiche Normalmente, gli intervalli di tolleranza di una specie sono variabili: larghi per alcuni fattori, più severi per altri. Un parametro ambientale presente con valori che non rientrano nella nicchia della specie è detto limitante, mentre è considerato determinante se presente con valori compatibili, ma nei cui confronti la specie ha tolleranza ristretta. I fattori limitanti sanciscono l esclusione della pianta da un habitat, quelli determinanti sono invece i più importanti per la sua distribuzione. Si riconoscono perché piuttosto stabili negli habitat della pianta. Ovviamente, le specie che possiedono tolleranza elevata per tutti i principali fattori (specie euriecie) hanno maggiore valenza ecologica e dunque una distribuzione più ampia. Le specie, invece, di modesta tolleranza per uno o più fattori (specie stenoecie) tendono ad avere distribuzione più ristretta e si prestano pertanto ad essere utilizzate quali indicatrici ambientali o bioindicatrici. Vi sono sia specie indicatrici di singoli fattori, sia specie indicatrici di insiemi o ambienti. Più specie con le medesime esigenze formano un gruppo ecologico. Questo può, a sua volta, essere costituito da indicatrici di fattori o di ambienti. In base alla distribuzione delle specie nei vari ambienti sono stati proposti da Ellenberg e, successivamente, da Landolt, i cosiddetti valori indice o bioindicatori. Quelli di Ellenberg sono stati elaborati per la flora centroeuropea e poi estesi anche a Polonia, Ungheria e al Mediterraneo; quelli di Landolt limitati alla flora svizzera e validi dunque per ambienti alpini e subalpini. Gli indici di Ellemberg riguardano sei fattori, tre climatici (luce, temperatura e continentalità) e tre edafici (umidità, acidità e nitrofilia), valutati su una scala empirica da 1 a 9, ad eccezione dell umidità, espressa su scala 1-12 (i valori 10, 11 e 12 sono riservati alle piante che vivono immerse in acqua, parzialmente o completamente). Gli indici di Landolt comprendono otto fattori (quelli di Ellemberg, più granulometria e humus), valutati su una scala da 1 a 5 (Tab. 3.1). Ellemberg aggiunge anche indicazioni sulla salinità del substrato (quattro categorie) e sulla tolleranza ai metalli pesanti (due categorie); Landolt sulla salinità (due categorie) e sulle forme biologiche e di crescita (12 categorie). I bioindicatori non si basano sulle esigenze fisiologiche delle specie, ma sulle frequenze nell ambiente. Se due specie hanno valore di temperatura 3 e 4, non si può quindi concludere che l una ha minori esigenze termiche dell altra, ma soltanto che, se osserviamo due siti in cui compare alternativamente una sola delle due specie, è probabile che l uno sia più arido dell altro. Altra 18

19 conseguenze è che gli indici valgono solo per le piante nelle comunità naturali, ossia soggette alla competizione: piante in coltura pura possono manifestare un comportamento diverso. In linea di massima, quanto più una specie avrà valori indice estremi, tanto più varrà come indicatrice ecologica. Nella tabella 3.2 sono riportati gli indici di Landolt per le principali specie pascolive della montagna alpina. Con lo stesso criterio dei valori indice, altri autori hanno caratterizzato le specie rispetto al grado di adattamento al disturbo (indice di Emerobia) e rispetto al valore foraggero, inteso come valore pabulare della pianta allo stato verde e naturale. L indice di Emerobia, che varia su una scala da 1 a 10, è stato introdotto da Kovarik calcolando la frequenza percentuale delle specie nei diversi tipi di ambiente, dal più naturale al più antropizzato. Gli indici foraggeri più noti sono quelli di Daget et Poissonet, di De Vries, di Klapp, di Knapp e di Stählin, (si veda il capitolo relativo alle prerogative foraggere dei pascoli). Tab. 3.1 Indici ecologici di Landolt Indice di umidità del suolo (F) 1 = suolo molto arido 2 = suolo arido 3 = suolo da moderatamente arido ad umido 4 = suolo da umido a molto umido 5 = suolo intriso o sommerso Reazione del suolo (R) 1 = suolo molto acido, ph = suolo acido, ph = suolo poco acido, neutro, poco alcalino, ph = suolo ricco di basi, suolo alcalino, ph = suolo generalmente calcareo, ph > 6.5 Nitrofilia (N) 1= suolo molto povero 2 = suolo povero; 3 = suolo da moderatamente povero a ricco 4 = suolo ricco; 5 = suolo eccessivamente ricco (specie nitrofile) Humus (H) 1 = suolo privo di humus 2 = suolo povero di humus 3 = suolo con un tenore medio di humus, soprattutto a mull 4 = suolo ricco di humus (mull, moder, humus grezzo) 5 = suolo ricco di humus grezzo, torba Tessitura ed aerazione (D) 1 = ambienti rupestri (rocce, pietraie, muri) 2 = terreni ghiaiosi, pietrosi 3 = terreni sabbiosi ben aerati 4 = terreni limosi, più o meno ben aerati 19

20 5 = terreni argillosi o torbosi, poco aerati Intensità luminosa (L) l = stazione molto ombreggiata, richiesta < al 3% dell'ill. max (specie steno-sciafile ) 2 = stazione ombreggiata, richiesta tra i13% e il 10% (euri-sciafile) 3 = stazione in penombra, richiesta superiore al 10% 4 = stazione in piena luce, specie che sopportano tempor. la penombra (euri-eliofile ) 5 = stazione in piena luce, specie che non sopportano l'ombra (steno-eliofile) Temperatura (T) l = piante tipiche delle regioni alpine, ambienti freddi (steno-microterme) 2 = piante delle regioni subalpine, ambienti temperato-freddi (euri-microterme) 3 = piante delle regioni montane a larga distribuzione (euriterme) 4 = piante delle regioni collinari, ambienti temperato-caldi (euri-termofile) 5 = piante delle regioni meridionali, ambienti caldi (steno-termofile) Continentalità (K) 1 = piante di regioni a clima oceanico 2 = piante di regioni a clima suboceanico 3 = piante di regioni a clima diverso, ma non troppo continentale 4 = piante di regioni a clima relativamente continentale 5 = piante di regioni a clima continentale Tab. 3.2 Indici di Landolt per le principali specie dei pascoli alpini F R N H D L T K Graminaceae Agrostis alpina Agrostis rupestris Agrostis schraderana Agrostis tenuis Anthoxanthum alpinum Avenella flexuosa Briza media Calamagrostis arundinacea Calamagrostis villosa Cynosurus cristatus Dactylis glomerata Deschampsia caespitosa Festuca halleri Festuca rubra (gruppo) Festuca tenuifolia (gr. ovina) Festuca vallesiaca Festuca varia Festuca violacea Nardus stricta Ph1eum alpinum Poa alpina

21 Poa annua Poa trivialis Poa violacea Cyperaceae Carex curvula Carex ferruginea Carex fusca Carex leporina Carex pallescens Carex pilulifera Carex sempervirens Eriophorum angustifolium Luzula alpino-pilosa Luzula lutea Luzula multiflora Leguminosae Anthyllis vulneraria Lathyrus montanus Lotus alpinus Trifolium alpinum Trifolium radium Trifolium pratense Trifolium repens Trifolium thalii Altre specie Achillea millefolium Aconitum napellus Alchemilla alpina (gruppo) Alchemilla vulgaris (gruppo) Arnica montana Campanula barbata Campanula scheuchzeri Carum carvi Cerastium alpinum Crocus albiflorus Epilobium angustifolium Gallium pumilum Gentiana kochiana Gentiana clusii Gentiana punctata Gentiana purpurea Geum montanum Helianthemum nummularium Helianthemum olenadicum Hieracium auricula Hieracium pilosella Hypericum maculatum Hypericum perforatum Leontodon helveticus

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