EPATITE CRONICA DA VIRUS C: DALLA DIAGNOSI ALLA TERAPIA Giancarla Poli, Laura Ratti, Elena Redaelli, Alessandro Redaelli, Cristina Guidi,
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1 Original article Giancarla Poli et al 11 ORIGINAL ARTICLE CHRONIC HEPATITIS C: FROM DIAGNOSIS TO TREATMENT EPATITE CRONICA DA VIRUS C: DALLA DIAGNOSI ALLA TERAPIA Giancarla Poli, Laura Ratti, Elena Redaelli, Alessandro Redaelli, Cristina Guidi, * Paolo Apale e Massimo Pozzi Dipartimento Universitario di Medicina Clinica, Prevenzione e Biotecnologie Sanitarie. Dipartimento Ospedaliero di Medicina, Clinica Medica, Centro di Epatologia, * Clinica Neurologica, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza. Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano Abstract Chronic hepatitis C is a growing global health concern. About 175 million people worldwide are infected with the hepatitis C virus, which is the leading cause of chronic liver disease, hepatocellular carcinoma and liver transplantation in Western Europe and United States. While the peak incidence of acute infection has declined, the proportion of patients with infection for 20 years or longer is expected to increase with an anticipated peak in the 2010s. Thus, efforts have focused on controlling and eradicating HCV. The synergistic immunomodulatory and antiviral activities of two drugs, alpha interferon and ribavirin, allow sustained virological eradication in over 40% of infected patients, improving the early unsatisfactory results of interferon monotherapy. These results have been enhanced by modifying the interferon molecule via attachment of polyethylene glycol (PEG), allowing once-a-week administration, improving clinical results and patient s compliance without new side-effects. With the newest combination therapeutic schedules viral eradication can be achieved in over 50% of patients with difficult HCV genotype (type 1) and in over 80% of those with favourable genotypes (type 2 and 3). Patients responding to antiviral therapy clinically improve and report a significant increase in health related quality of life. Clinical improvement can be further accomplished by a close collaboration between patients and physicians to achieve a successful outcome. The present paper focuses on the issue of the best management strategy of patients with chronic hepatitis C, highlighting the relevance of psycological support in a disease that requires modulation and tailored dose adjustment of antiviral drugs. Keywords: Epatite C, HCV, Interferone Peghilato, Ribavirina Journal of Medicine and the Person 2004, 4: 01 Received July 10 th, 2003; Revised October 8 th, 2003; Accepted October 20 th, 2003 introduzione- epidemiologia L infezione da virus dell epatite C rappresenta oggi un problema emergente di salute pubblica. Si stima che da 170 a 300 milioni di individui siano portatori di infezione da HCV in tutto il mondo. In Italia l infezione interessa circa 2 milioni di persone (1). Benché lo screening sugli emoderivati abbia drasticamente ridotto il rischio dell epatite post-trasfusionale nuovi casi continuano a verificarsi tramite varie modalità di esposizione parenterale (2). Modelli matematici recentemente pubblicati (3), indicano che morbilità, mortalità e costi sanitari associati all epatite C sono destinati a lievitare nei prossimi anni. In USA ed Europa l epatite C è causa del 15-20% dei casi di epatite acuta, del 70% dei casi di epatite cronica, del 40% di cirrosi epatica scompensata, del 25-60% di carcinoma epatocellulare e del 30-40% di tutti i trapianti di fegato (4). La trasmissione può avvenire per via parenterale diretta (emoderivati in era pre-screening, uso endovenoso di sostanze stupefacenti) o indiretta (condivisione di accessori di igiene personale) (5,6). Tuttavia, nella maggior parte dei pazienti non si è in grado di risalire alla presunta via di contagio (7,8). Attualmente il rischio trasfusionale è minimo, così come minimo è il rischio di trasmissione verticale e occupazionale. La trasmissione sessuale è a minimo rischio nei partner stabili (medio rischio nei soggetti con partner multipli), così come quella intrafamiliare, mentre restano ad alto rischio l uso di droghe per via parenterale e la pratica, attualmente ritornata in voga, dei tatuaggi e del piercing (9).
2 12 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. DICEMBRE 2003, NUMERO 4 Si stima attualmente che la prevalenza di tale patologia sia dal 3 al 6% (10), con una forte correlazione con l età. La stima dell incidenza è difficile in quanto la fase acuta decorre spesso in modo asintomatico (60-70%) (11). I sintomi sono aspecifici nel 10-20% dei casi. L infezione acuta cronicizza nel 40-80% dei casi in rapporto al tipo di inoculo, alla carica virale, allo stato immunitario (12). Di questi soggetti il 20% svilupperà cirrosi: una volta che si è sviluppata cirrosi il rischio annuale di sviluppare scompenso della malattia (ascite, encefalopatia epatica, insufficienza renale funzionale, emorragia digestiva da rottura di varici esofagee, peritonite batterica spontanea) è pari al 3-5% con rischio di mortalità annuo pari al 2%. Il rischio di progressione a carcinoma epatocellulare varia da 1-4% nei paesi occidentali fino al 10% nei paesi asiatici (13). I rischi associati ad una progressione istologica della malattia comprendono il consumo alcolico > 50g/die, le condizioni dismetaboliche (tra cui obesità e diabete) o genetiche (sovraccarico marziale), la modalità di infezione, la carica infettante, l età di acquisizione dell infezione (età di contagio > 40 anni e soprattutto > 50 anni) e la co-infezione con HBV e/o HIV (14,15). La disponibilità di efficaci farmaci antiretrovirali ha comportato un significativo incremento della sopravvivenza dei soggetti infetti da HIV. Di conseguenza i soggetti coinfettati con HCV sono ora a rischio più elevato di morbidità e mortalità associate a progressione della malattia epatica. L immunosoppressione nell infezione HIV altera la storia naturale dell infezione da HCV, comportando un grado più rilevante di infiammazione e fibrosi alla biopsia con più rapida progressione della malattia epatica: l HCV è divenuto di fatto ultimamente sia negli USA che in Europa la causa principale di decesso nei pazienti infettati da HIV (16). Diagnosi I pazienti con epatite acuta HCV correlata hanno alti livelli di transaminasi da due a otto settimane dopo l esposizione; la viremia (HCV RNA) può essere identificata da una a quattro settimane dopo l esposizione. Il virus infetta sia gli epatociti che i linfociti B (11). L infezione cronica decorre in modo asintomatico nella maggioranza dei casi ed in una minoranza di pazienti si possono osservare manifestazioni aspecifiche come astenia, anoressia, mialgie (12). Coesistono manifestazioni extra-epatiche della infezione cronica da HCV che possono essere suddivise in alterazioni di tipo clinico e di tipo bio-umorale. Le manifestazioni cliniche includono l astenia (sintomo prioritario), artromialgie, parestesie e manifestazioni cutanee quali prurito e fenomeno di Raynaud. Il lupus eritematoso sistemico, la sindrome di Sjogren e la artrite reumatoide non sono comuni in pazienti con infezione cronica da HCV ed è ipotizzabile una possibile associazione casuale. Diverso è il caso delle vasculiti sistemiche, in particolare la crioglobulinemia mista ed in misura minore le panarteriti che, benchè rare, presentano una relazione causale con l infezione da HCV. Sono inoltre associate le glomerulonefriti, il linfoma non- Hodgkin, le tiroiditi autoimmuni e il lichen (13, 17-19). Il sospetto diagnostico si basa sulle alterazioni degli indici di citolisi epatica (transaminasi) e sul riscontro di positività degli anticorpi anti HCV. La conferma definitiva si ottiene con il test HCV RNA che indica la presenza di viremia positiva (HCV RNA qualitativo) potendone anche quantificare la carica (HCV RNA quantitivo) (Fig 1). Il virus HCV è un virus ad RNA. Per le sue caratteristiche di sequenza nucleotidica e di struttura genomica può essere classificato nell ambito della famiglia dei Flaviviridae, insieme con i Pestivirus e i Flavivirus umani. È caratterizzato, come gli altri virus a RNA, da un elevata frequenza di mutazioni legate ad errori durante la replicazione virale, probabilmente della RNA polimerasi RNA dipendente, non corretti per assenza dei meccanismi di riparazione associati. L eterogeneità genetica del virus dell epatite C può essere classificata sotto due categorie: quasispecie e genotipi (20). Per quasispecie si intende l eterogeneità genomica del singolo paziente infettato dal medesimo ceppo virale; per genotipo quella che si riscontra tra ceppi diversi di HCV. Le quasispecie possono essere intese come un meccanismo messo in opera dal virus per sfuggire alla sorveglianza immunologica dell ospite consentendo così la persistenza dell infezione stabile, influenzando negativamente la risposta alla terapia con Interferone e motivando finora l insuccesso nella creazione di un vaccino (21). La variabilità genetica tra i diversi ceppi del virus HCV si esprime con differenti genotipi virali. Sono state proposte Fig. 1 Decorso clinico, laboratoristico e sierologico della infezione da HCV
3 Original article Giancarla Poli et al 13 varie classificazioni, tra cui le più utilizzate sono quelle proposte da Simmonds e Okamoto. Attualmente la più utilizzata è quella di Simmonds che individua 6 diversi genotipi virali (suddivisi in 11 sottogruppi) (22). La determinazione del genotipo ha rilevanti implicazioni cliniche per quanto concerne la possibilità di decidere a priori la modalità di terapia e di prevedere la percentuale di risposta alla stessa. Sulla base della risposta alla terapia si sono identificati soggetti con genotipo favorevole (genotipo 2 e 3) e con genotipo sfavorevole (genotipo 1 e 4). I genotipi 5 e 6 hanno minore rilevanza epidemiologica. La biopsia epatica è un importante step diagnostico e rimane il gold standard per la determinazione dell attività infiammatoria e del grado di fibrosi. Esistono varie metodiche per l analisi istologica di cui quelle più consolidate sono quelle proposte da Knodell, Bedoessa e Ishack (23). Terapia Dalla scoperta del virus dell epatite C (precedentemente denominato non A-non B fino al 1989) l efficacia della terapia dell epatite cronica da HCV è costantemente migliorata. La terapia dell epatite cronica HCV correlata era inizialmente basata sull utilizzo in monoterapia dell interferone alfa. Gli interferoni sono citochine endogene secrete da tutte le cellule in risposta a numerosi stimoli, in particolare in risposta alle infezioni virali. Esistono in natura numerose molecole di interferone che possono essere divise in tre specie: IFN alfa prodotto da linfociti B e macrofagi, IFN beta prodotto dalle cellule fibroepiteliali e IFN gamma, prodotto dai linfociti T. Diverse sono le attività biologiche del sistema IFN: inibizione della replicazione cellulare, attività antivirale, attività immunomodulante, induzione dell apoptosi, attività differenziante (24,25). L azione dell interferone nell epatotopatia cronica HCV correlata può essere di 4 tipi: riduzione della replicazione virale, induzione di una risposta antivirale nelle cellule non infettate, aumento della lisi delle cellule infettate ed inibizione della fibrogenesi epatica e dell infiammazione. Agli albori della terapia con interferone (primi anni 90) una risposta virologica sostenuta (negativizzazione della viremia e normalizzazione delle transaminasi) si otteneva in meno del 10% dei pazienti. Tali vecchi regimi terapeutici prevedevano la somministrazione dell interferone 3 volte la settimana a basso dosaggio (3 mega units): la breve emivita del farmaco condizionava una inibizione della replicazione virale solo transitoria. Si è tentato di ovviare a questo problema sia con una somministrazione giornaliera del farmaco ( daily dose ) con risultati controversi e riduzione della Fig. 2 Confronto del profilo farmacocinetico tra interferone peghilato (PegInterferon-monosomministrazione settimanale) ed Interferone ricombinante alfa 2b (somministrazione a di alterni) compliance terapeutica del paziente, sia aumentando la dose del farmaco (6 mega units), che prolungando i tempi di somministrazione. Tuttavia tali tentativi hanno consentito di meglio comprendere la cinetica della inibizione della replicazione virale nei soggetti trattati. La riduzione della replicazione virale si verifica dalle 6 alle 8 ore dopo la prima somministrazione di interferone, e ciò corrisponde al tempo necessario perché il meccanismo antivirale divenga attivo negli epatociti. Significativo aumento della risposta alla terapia si è ottenuto con l introduzione, in associazione all interferone, della ribavirina (26). La ribavirina è un analogo nucleotidico della guanosina, scoperto nel 1972 e dotato di un ampio spettro di attività antivirale: la sua azione è prevalentemente di tipo immunomodulatorio e risulta sostanzialmente inefficace in monoterapia nel trattamento dell epatite cronica da HCV. I meccanismi d azione sono sostanzialmente sconosciuti ma l associazione con l interferone ne amplifica significativamente l efficacia terapeutica: due grandi studi clinici controllati condotti nel 1998 con interferone alfa più ribavirina hanno inequivocabilmente dimostrato la maggior efficacia terapeutica rispetto alla monoterapia con interferone (26,27) divenendo lo standard terapeutico nell approccio iniziale al paziente con epatite cronica da virus C. Nuova frontiera della terapia è stato l utilizzo, in associazione alla ribavirina, degli interferoni peghilati, macromolecole derivate dalla coniugazione di polietilenglicole (PEG) con interferone ricombinante. Due sono gli interferoni peghilati oggi a disposizione, PEGIFN alfa2b (12 Kdalton) e PEGIFN alfa2a (40 Kdalton), quest ultimo disponibile anche in Italia da pochissimo tempo. La peghilazione ha permesso di ottenere un assorbimento ed una eliminazione più lenti, una minore immunogenicità, un uguale tollerabilità, la possibilità di monosomministrazione settimanale, una maggiore efficacia terapeutica e soprat-
4 14 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. DICEMBRE 2003, NUMERO 4 tutto un azione antivirale e immunomodulante più prolungata e continua. (Fig 2). La lunghezza della molecola di PEG differisce per questi 2 prodotti implicando differenze che ne influenzano la farmacologia e la farmacocinetica senza che al momento attuale siano emerse sostanziali differenze in termini di risposta virologica sostenuta. Attualmente la terapia di combinazione con interferone peghilato più ribavirina rappresenta il gold standard della terapia dell epatite cronica HCV correlata: con i più aggiornati schemi posologici si arriva ad ottenere oltre il 50% di risposta virologica sostenuta nel genotipo 1 (non favorevole) e fino al 90% nei genotipi 2 e 3 (favorevoli). Il trattamento personalizzato sulla base del peso corporeo e l adesione del paziente fino a completamento del tempo previsto di terapia con i dosaggi indicati, consentono di centrare l obbiettivo di ottenere i migliori risultati terapeutici. Tali evidenze testimoniano dei grandi passi compiuti dagli albori della terapia con interferone ad oggi (Fig 3) (Fig 4). Le più recenti schedule di terapia prevedono un trattamento codificato sulla base del genotipo e della carica virale. Mentre il trattamento con il PEGInterferone alfa2b è dose adjusted per il peso corporeo, quello con il PEGInterferone alfa2a è flat dose cioè senza dosaggio adattato. (28, 29). Naturalmente la dose di entrambe le formulazioni va adeguata alla tolleranza del paziente per quanto attiene agli effetti collaterali di tipo fisico e di tipo bioumorale. Esiste un rapporto con il peso corporeo anche per il dosaggio della ribavirina, ottenendosi migliori percentuali di risposta terapeutica al trattamento di combinazione quando la dose assunta supera i 10.6 mg/kg/die. Le schedule di trattamento di combinazione sono le seguenti: Fig. 3 a) PEGInterferone alfa2a 180 microgrammi/settimana sottocute + Ribavirina > 10.6 mg/kg/die per os per 1 anno. b) PEGInterferone alfa2b 1.5 microgrammi/kg/settimana sottocute + Ribavirina > 10.6 mg/kg/die per os per 1 anno. Il trattamento per un anno è indicato nei pazienti con genotipo sfavorevole (genotipi 1 e 4). La persistente positività dell HCV RNA al sesto mese di trattamento indica l opportunità di sospendere la terapia vista la scarsissima possibilità di negativizzazione della viremia oltre tale limite temporale. Nei genotipi favorevoli (2 e 3), che presentano percentuali di risposta estremamente più elevate, la durata prevista del trattamento è di soli 6 mesi. Recenti studi suggeriscono la possibilità di accorciare ulteriormente il periodo di trattamento a soli 3 mesi qualora si assista ad una precoce negativizzazione della viremia o ad una caduta logaritmica della carica virale superiore a 2. Ciò implica un rilevante impatto nella gestione dei costi della terapia e nella gestione degli effetti collaterali del trattamento. È inoltre verosimile che la dose di Ribavirina possa essere ridotta ad 800 mg/die nei pazienti con genotipo favorevole. Per i pazienti non responders o relapsers a precedente trattamento con interferone ricombinante in monoterapia esiste indicazione a ritrattamento (dopo almeno 6 mesi dal termine della precedente terapia) con schema di combinazione con uno dei 2 tipi di interferone peghilato disponibili in associazione a ribavirina con gli schemi sopraindicati. Le possibilità di successo terapeutico in termini di risposta biochimica-virologica sono vincolate al genotipo virale ed alla estensione del periodo di ritrattamento a 48 settimane. La decisione di trattare un paziente deve tenere in considerazione il quadro istologico, eventuali stati co-morbosi, i rischi e i benefici del trattamento. Negli ultimi anni vi è stato grande interesse nell identificare, prima dell inizio Fig. 4 Percentuali globali di risposta (sono inclusi tutti i genotipi virali) in 10 differenti regimi terapeutici W = settimane di trattamento Peg = PegInterferon IFN = Interferone ricombinante Riba = Ribavirina Confronto delle percentuali di risposta virologica sostenuta tra i due tipi di interferone con dosaggio ottimizzato di Ribavirina sulla base del peso corporeo IFN = Interferone ricombinante Peg = PegInterferon t.i.w = somministrazione 3 volte la settimana
5 Original article Giancarla Poli et al 15 del trattamento, delle variabili associate con la risposta alla terapia con PegInterferone e Ribavirina. Per quanto riguarda il PegInterferone alfa2b sono state identificate 3 variabili indipendenti risultate predittive di risposta al trattamento di combinazione : 1) genotipo non-1, 2) età inferiore ai 40 anni e 3) peso corporeo non superiore ai 75 Kg. Per il PegInterferone alfa2a tali variabili sono risultate : 1) genotipo non-1, 2) bassa carica virale all inizio del trattamento, 3) giovane età, 4) peso corporeo normale in base al body mass index, 5) sesso femminile e 6) assenza di fibrosi a ponte/cirrosi all esame istologico epatico (28,29). Da tali evidenze emerge chiaramente la necessità di adottare prima di iniziare la terapia di combinazione misure comportamentali-dietetiche in quei pazienti con indice di massa corporea superiore alla norma. Infatti nei soggetti sovrappeso la componente fibrotica a livello epatico appare più rilevante rispetto ai soggetti normopeso. Il calo ponderale ottenuto con schemi dietetici appropriati infatti può indurre in assenza di altre terapie una spontanea riduzione della fibrosi e della steatosi epatica. Collateralmente è ovvia la necessità della sospensione del consumo di bevande alcooliche nell intento di eliminare un co-fattore che può amplificare i rischi di progressione più rapida della malattia. I criteri minimi per il trattamento sono la persistenza di alterati valori di transaminasi (ALT almeno 1.5 volte oltre i limiti di norma), la positività dell HCV RNA, la presenza di segni di infiammazione e/o di fibrosi epatica all istologia, una malattia epatica compensata, l astinenza dall alcool o dall uso di droghe nei 6 mesi precedenti l inizio del trattamento e l assenza di controindicazioni assolute alla terapia. Gli obiettivi della terapia sono modulati in relazione al quadro clinico: epatite acuta da HCV: eradicare il virus evitando la cronicizzazione dell infezione epatite cronica da HCV: eradicare il virus, prevenire la progressione istologica della malattia, prevenire l evoluzione verso la cirrosi e le sue complicanze, migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza cirrosi da HCV (compensata ): eradicare il virus, prevenire le complicanze e l epatocarcinoma, migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza Al termine della terapia il paziente verrà considerato responder o non responder in base alla risposta virologica (negativizzazione della viremia). La persistenza di transaminasi normali ed HCV RNA negativo per dodici mesi dopo il termine della terapia definisce il paziente con risposta virologica sostenuta. Il paziente con precoce rialzo delle transaminasi e ripositivizzazione virale viene definito relapser. Relapsers e non responders al trattamento di combinazione con peg-interferone e ribavirina dovranno attendere lo sviluppo di nuovi farmaci antivirali, in fase di studio ma non ancora disponibili, per i trattamento dell epatite cronica da HCV. Tab. 1 Effetti collaterali del trattamento INTERFERONE RIBAVIRINA Effetti molto frequenti (> 30% dei casi) Sindrome similinfluenzale Cefalea/Astenia Mialgie Febbre Piastrinopenia Anoressia Emolisi Nausea Effetti frequenti (< 30% dei casi) Eritema in sede iniezione Insonnia/alopecia/diarrea Depressione/alterazioni umore Leucopenia Anemia Congestione nasale Prurito Tab. 2 Controindicazioni al trattamento dell epatite cronica HCV Controindicazioni all interferone Depressione Psicosi Epilessia Cirrosi scompensata Etilismo Tossicodipendenza Scompenso cardiaco Malattie autoimmuni Pluripatologia Trapianti di organi solidi Diabete non controllato Controindicazioni alla ribavirina Anemia Emoglobinopatie Scompenso cardiaco Cardiopatia ischemica Vasculopatie periferiche Insufficienza renale Gravidanza Impossibilità contraccezione Le recenti linee guida dell AISF (Associazione Italiana Studio del Fegato) confermano quanto già emerso in passato in merito alla non indicazione al trattamento antivirale in soggetti con epatite C ma con persistente normalità delle transaminasi. In genere tali soggetti, anche in presenza di positività dell HCV RNA, tendono a manifestare una scarsa evolutività della malattia, risultando la sopravvivenza sovrapponibile a quella dei soggetti di controllo (16). I principali effetti collaterali in corso di terapia sono evidenziati nella tabella 1. Le controindicazioni sono riportate nella tabella 2. Aspetti psicologici ed interazione medicopaziente Studi clinici hanno documentato una consistente e significativa riduzione della qualità di vita correlata allo
6 16 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. DICEMBRE 2003, NUMERO 4 stato di salute in pazienti affetti da epatite cronica HCV correlata rispetto a soggetti sani di controllo (30). Numerosi studi hanno peraltro dimostrato un significativo miglioramento della qualità di vita in pazienti trattati e responders virologici. In particolare in un recente studio l astenia risultava migliorata significativamente rispetto ai non responders (31,32). Di rilievo appare inoltre l osservazione che i soggetti affetti da epatite cronica da HCV non sottoposti a trattamento antivirale per vari motivi (patologie concomitanti, criteri anagrafici, controindicazioni clinico-laboratoristiche) presentano distress emotivo clinicamente significativo nel 35% dei casi (33). In considerazione della frequenza, della numerosità degli effetti collaterali del trattamento antivirale e dell impatto dell interferone sulla sfera affettiva, particolare attenzione deve essere posta al rapporto con il paziente, indipendentemente dal programma di trattamento. Fondamentale è stabilire un rapporto di fiducia che permetta una gestione ottimale sia in caso di terapia che di follow-up programmato con un management equilibrato della modulazione della posologia dei farmaci in caso di trattamento. È necessaria una stretta osservazione degli effetti collaterali di tipo biochimico e fisico, con una particolare attenzione alle interferenze sulla sfera psicologico-affettiva al fine di ottenere la migliore compliance terapeutica da parte del paziente. È noto infatti l effetto negativo dell interferone in pazienti con anamnesi positiva per sindrome depressiva. La compliance terapeutica può essere migliorata da misure quali l informazione, la rassicurazione e l educazione del paziente, lo stretto follow-up ambulatoriale, la pronta disponibilità, anche telefonica, del personale medico addetto alla terapia: tali misure consentono di minimizzare le riduzioni non necessarie del dosaggio dei farmaci consentendo di ottenere una più elevata percentuale di successi terapeutici. In tale contesto, nella nostra esperienza, la valutazione preliminare del paziente candidato al trattamento deve includere una attenta valutazione neuropsicologica. Un test computerizzato di autovalutazione (Minnesota Multiphasic Personal Inventory MMPI) si è rivelato strumento efficace nell identificazione di quei soggetti in cui disturbi minori di personalità di tipo depressivo potrebbero rappresentare un problema durante il trattamento (34). L atteggiamento più moderno è quello di non escludere tali soggetti dal trattamento ma di monitorarli più strettamente durante la terapia adottando, quando necessario, un supporto farmacologico (farmaci antidepressivi, in particolare la paroxetina) mirato a consentire con il supporto dello specialista neuropsichiatra la prosecuzione della terapia, eventualmente modulandone la posologia. Nel trattamento di pazienti affetti da epatite cronica HCV correlata devono essere tenuti in considerazione aspetti non solo medici ma anche sociali. I medici dovrebbero dedicare al paziente un tempo adeguato soprattutto in occasione della prima visita, al fine di tranquillizzare una persona spesso eccessivamente ed ingiustificatamente allarmata dalla malattia: illustrare il decorso, spesso estremamente lento e benigno, e le opzioni terapeutiche con i relativi effetti collaterali e la loro gestione al paziente e ai suoi familiari consente di creare le basi per una interazione ideale medico-paziente mirata ad ottenere la migliore compliance terapeutica e di conseguenza le migliori probabilità di successo terapeutico. Prospettive future Dopo la pubblicazione di recenti lavori che hanno retrospettivamente valutato la potenzialità dell interferone nella prevenzione dell epatocarcinoma sono in corso studi policentrici di tipo prospettico in tutto il mondo (HALT- C, Epic 3) per verificare l effettivo ruolo dell interferone in tale contesto. In quest ottica è prevedibile che in futuro, anche pazienti non responders virologici all interferone, possano essere trattati per periodi prolungati con interferone peghilato a basso dosaggio nell intento di prevenire, da un lato l insorgenza dell epatocarcinoma, e dall altro, riducendo la fibrosi epatica, prevenire lo sviluppo dell ipertensione portale e delle sue sequele cliniche. Indirizzo per la Corrispondenza: Dott. Massimo Pozzi Cattedra di Clinica Medica Università degli Studi di Milano-Bicocca Divisione di Medicina 1 Ospedale San Gerardo dei Tintori Via Donizetti Monza (Milano) ITALY libero.it BIBLIOGRAFIA 1. National Institute of Health Consensus Development Conference Statement: Management of hepatitis C. Hepatology1997;(Suppl 1):2S-10S. 2. Davis GL, Albright JE, Cook S. Projecting the future healthcare burden from hepatitis C in the United States. (abstract). Hepatology 1998:28:390A. 3. Sagmeister M, Renner EL, Mullhaupt B. 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