Metodiche di allenamento dei kata Mentore Siesto - Corso Allenatori CSEN - 16/06/2003 Nella pratica del Karate, come noto, i kata sono fondamentali per la massima parte delle scuole (esclusa un'assoluta minoranza, comprendente scuole meno note); nei kata sono presenti: 1. tecniche fondamentali, necessarie a tramandare lo stile di una singola scuola secondo i dettami del / dei soke (fondatori); 2. sequenze di difesa/contrattacco, da interpretarsi a vari livelli (go no sen - irimi - sen no sen) a seconda del livello del praticante; 3. tecniche di respirazione/concentrazione energetica (ki o, in cinese, qi) e di allenamento muscolare, necessari alla salute e alla longevità del praticante. Questi tre elementi sono in effetti solo una base: se ne potrebbero citare altri (come lo studio dei bunkai - le applicazioni "evidenti" (omote) e "nascoste" (ura) dei kata, oppure l'estrazione di singole parti e il loro adattamento a fini eventualmente sportivi/agonistici), ma ritengo meno dispersivo limitarmi, in questa sede, a un numero minore di argomenti. Usare un'opportuna metodica nell'allenamento dei kata è di grande importanza per molti motivi. Vediamone insieme alcuni dei più ovvi, descritti facilmente da tre domande spesso poste dai praticanti:
Perché praticare i kata? Questa è la domanda che genericamente si pongono i praticanti di karate, o anche di altre arti marziali (cinesi, giapponesi, thailandesi ecc.) a digiuno di tali conoscenze, quando per la prima volta si trovano a studiarne uno, ma è anche la domanda che spesso porta un praticante ad abbandonare un'arte marziale: una corretta metodica di allenamento può aiutare il praticante a comprendere, almeno in parte, l'effettiva importanza di un kata, e quindi ad apprezzarlo maggiormente. Al contrario, ho verificato personalmente che un praticante che non conosca i molteplici significati dei kata vede spesso questi ultimi come un inutile retaggio del passato, da abbandonare, noiosi e faticosi e per questo è portato a trascurarli. Perché le tecniche dei kata sono così diverse da quelle del kumite? Anche questa è una domanda posta spesso dai praticanti. È necessario che il praticante capisca (anche attraverso l'allenamento dei kata) che la tecnica codificata, fondamentale (ki hon) è indispensabile per sviluppare facoltà motorie atte specificamente al combattimento e - più genericamente - ad accrescere le sue capacità, le sue percezioni e la sua reattività agli eventi esterni (propriocezione, percezioni sensoriali, intuito). Ciò che NON ci si aspetta da un karateka è che combatta secondo le tecniche fondamentali, o in posizioni rigide e codificate. Questo è uno dei principi presenti anche nell'aikido o in alcune arti marziali cinesi (Hung Gar e Tang Lang per fare un esempio): studiare le tecniche per non avere alcuna tecnica, ma solo movimenti. Perché tanti rituali da rispettare? Anche l'aspetto rituale del kata è spesso difficilmente sopportato da praticanti particolarmente inesperti, che in molti casi passano alle - meno marziali - discipline da combattimento. Ferma restando la dignità di tali discipline, è bene che il praticante capisca a fondo la differenza tra le due categorie di attività: il karate - così come tutte
le altre arti marziali - non è nato con fini agonistici, che in effetti costituiscono un ramo (a mio avviso) del tutto collaterale all'arte: il rituale fa parte di una visione e di una cultura appartenenti a un altro popolo, ed è parte integrante dell'arte. Così l'esecuzione corretta del rei (saluto), all'ingresso, prima e dopo la pratica, prima e dopo i kata o il kumite, i termini onorifici e gli altri rituali sono parte integrante del kata e dunque del karate: a un livello ancor superiore, sono parte della formazione caratteriale e della personalità del praticante. Dopo questa disquisizione iniziale veniamo alla descrizione delle principali metodiche di allenamento dei kata, che sono fondamentalmente cinque e delle quali illustrerò poi un arricchimento. 1 - Senza contrazione, lentamente: il kata viene studiato tecnica per tecnica, movimento per movimento, lentamente e senza contrazione muscolare. È la fase "di studio" della sequenza, in cui ci si concentra massimamente sullo schema dei movimenti, per apprenderlo correttamente. In questa fase è bene prestare attenzione anche alla corretta esecuzione tecnica, alla respirazione e alla postura, per non memorizzare errori che poi si rischia di mantenere nelle fasi successive. 2 - Velocemente e senza contrazione: il kata viene eseguito a grande velocità, ma senza una forte contrazione dei muscoli (kime) e senza badare eccessivamente alla correttezza formale. Si comincia a una certa velocità, tentando di aumentarla il più possibile - ovviamente cercando di non scendere, dal punto di vista tecnico, al di sotto di una soglia di decenza dell'esecuzione. 3 - Con kime, una tecnica per volta: adesso che la sequenza è stata appresa correttamente, il kata viene eseguito osservando il kime nella maniera codificata. Le tecniche vengono quindi eseguite con la rapidità a esse richiesta: in questo momento si
acquisiscono le basi per la corretta interpretazione del kata, con la differenziazione tra tecniche di parata, di rottura, di assorbimento dell'attacco avversario, di spinta e arresto dell'attacco avversario, di proiezione e infine di attacco vero e proprio. 4 - A tempi di misura: questa è l'esecuzione "verace" del kata, con il rispetto di tutti i tempi codificati. Le tecniche vengono eseguite nella sequenza prestabilita, con il kime opportuno e rispettando i tempi segnalati nell'esecuzione del kata. In questa fase è di grande importanza conoscere il significato del kime e del kiai, che viene inserito come obbligatorio almeno una volta per ogni kata. Un'esecuzione di questo tipo, normalmente, lascia il praticante spossato, dal punto di vista fisico, nervoso e spesso anche emotivo. 5 - Lento e con elevata contrazione muscolare: questa pratica è presente soprattutto in scuole come il Goju Ryu. Le tecniche vengono eseguite con una rapida e ampia inspirazione: il caricamento di ogni tecnica (es. parate) è rapido, seguito da una fase in cui la tecnica si sviluppa molto lentamente, con la contrazione quasi parossistica di tutti i muscoli del corpo. Questa è una pratica molto faticosa, di grande effetto allenante per la forza massimale e per il sistema cardiovascolare, anche se è bene non eccedervi (alcuni ritengono che, a lungo andare, causi uno stress eccessivo al sistema cardiovascolare). La metodica elencata sopra cura tutti gli aspetti dello studio del kata, a partire dalla sequenza in sé per passare all'esecuzione corretta: seguire una simile strategia di allenamento permette di ottenere validi risultati nell'esecuzione dei kata e quindi un karate di buona qualità; costituisce inoltre un ottimo allenamento muscolare e propriocettivo ai fini stessi del miglioramento dell'individuo. Unitamente alla pratica del kaisetsu (esemplificazione in stile dell'applicazione del kata) e del bunkai (studio delle strategie e delle tecniche contenute in frammenti del kata, al di là dell'applicazione stilistica delle tecniche), l'allenamento del kata, perseguito con
questa metodica può dare risultati ottimali e di lunga durata. A tale metodologia si possono associare alcune pratiche collaterali, a mio avviso da tenere in considerazione: 1 - A occhi chiusi. È un allenamento decisamente particolare, in grado di stravolgere la sensibilità del praticante e di estenderla notevolmente, che si effettua anche in molte scuole di judo (randori a terra). Un simile allenamento stimola al massimo l'apparato sensoriale, che - privato del supporto degli occhi - deve sopperire alla temporanea cecità con gli altri sensi e in particolare tramite il senso dell'equilibrio. 2 - Esecuzione "ura". Può essere effettuata in due modi: indietreggiando oppure eseguendo il kata nella direzione opposta a quella codificata. Anche questo allenamento, come il precedente, cancella tutti i riferimenti acquisiti nella pratica, costringendo il praticante a un notevole sforzo di concentrazione e aprendogli la strada a nuove interpretazioni possibili del kata. 3 - Esecuzione lenta, come nel Tai ji quan: questa è una pratica - a mio avviso - da riservarsi a esperti del settore, in grado di comprendere certi aspetti dell'arte marziale completamente estranei ai più. Come molti sanno il Tai ji quan è un'arte marziale che, tramite una pratica estremamente lenta e con lo studio della respirazione e della concentrazione, permette - secondo la teoria - lo sviluppo e la corretta circolazione di una particolare energia chiamata in Cinese "qi" (in Giapponese "ki", in sanscrito "prana"; in Italiano potremmo chiamarla "energia vitale" o "energia spirituale"). Tale energia, presente in tutti gli esseri viventi e nello spazio esterno, è da molti anni oggetto di studio da parte di importanti centri scientifici (come la NASA) e attualmente si sta tentando una spiegazione razionale degli effetti della trasmissione del "qi" e del suo allenamento (Qi Gong).
L'esecuzione di un kata in questa metodica prevede movenze molto lente e controllate, senza interruzione tra una tecnica e l'altra (gli antichi dicono "come lo svolgersi di un filo di seta"). Ogni tecnica ha inizio con un'inspirazione e termina con un'espirazione, la contrazione muscolare durante l'esecuzione deve essere limitata al minimo indispensabile per mantenere una postura corretta. La stessa postura viene modificata, sollevandosi notevolmente. In quest'ottica può essere anche consigliabile modificare le tecniche, allo scopo di non contrarre eccessivamente i gruppi muscolari interessati (es. lo tsuki può essere sostituito con tecniche a mano aperta). Un'esecuzione di questo tipo è da ritenersi molto interessante per i suoi effetti sulla fluidità dei movimenti: un karateka che affianchi questo tipo di pratica (magari allenandosi direttamente nel Tai ji quan) può notevolmente incrementare il controllo del suo corpo, ottenendo risultati notevoli in termini di precisione e agilità dei movimenti - oltre che in eleganza, cosa che non guasta.