La Rivoluzione Keynesiana



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Transcript:

La Rivoluzione Keynesiana 1

Obiettivi, strumenti e ruolo del governo Nel dibattito economico tra le diverse scuole di pensiero «Vi è ampio accordo circa i più importanti obiettivi della politica economica: occupazione elevata, prezzi stabili, sviluppo rapido,( fine ultimo massimo benessere). Si è meno d accordo sulla loro mutua compatibilità, e, tra coloro che li ritengono incompatibili, sui modi in cui essi possono e dovrebbero essere sostituiti tra di loro. L accordo è poi minimo sul ruolo che i vari strumenti della politica economica possono e dovrebbero giocare per il raggiungimento dei singoli obiettivi.» (Milton Friedman, 1968). 2

Due filoni fondamentali: Approccio classico e keynesiano La Teoria Generale (1936) di Keynes rappresenta il punto di svolta dell intero pensiero economico e una visione organica della politica economica. Prima di Keynes classici e neoclassici si contendevano il panorama del pensiero economico e concorrevano a determinare le scelte di politica economica. 3

La scuola classica La scuola classica dominò il pensiero economico fino alla fine dell 800. Tra i nomi principali A.Smith, D. Ricardo, T.R.Malthus, K.Marx, J.S.Mill. Gli economisti classici risultano in larga parte sostenitori del cosiddetto liberismo, o laissez-faire. A grandi linee il liberismo è quella dottrina politica basata sull idea che per favorire lo sviluppo economico e la crescita del benessere di tutti si debbano liberare le forze del mercato dai lacci dell autorità statale. L agire della mano invisibile del mercato consente di raggiungere il miglior risultato possibile. 4

I classici tuttavia non nascondevano gli elementi di conflitto insiti nella società capitalista. Essi ritenevano che la società fosse divisa in classi: i proprietari terrieri, i capitalisti e i lavoratori. In varie circostanze essi riconobbero che le classi sociali hanno interessi irriducibilmente contrapposti tra loro. 5

Dati i salari, il profitto spettante ai capitalisti è concepito come un residuo, come un surplus che si ottiene una volta che da una data produzione totale siano state sottratte le merci spettanti ai lavoratori sotto forma di salari (e anche quelle spettanti ai proprietari terrieri a titolo di rendite). Questo implica ciò che il profitto è tanto maggiore quanto minori siano le rendite e i salari. In tale teoria sono insiti i motivi di contrasto tra le classi sociali nella ripartizione della produzione. 6

La scuola neoclassica La scuola neoclassica della fine dell 800 coincide con la rivoluzione marginalista di Walras, Pareto, Marshall, Pigou, Fisher, Von Hayek, Robbins, ect I teorici neoclassici rifiutano una analisi della società basata sulla divisione tra le classi. Ad essa contrappongono il cosiddetto individualismo metodologico. Questo metodo si basa sulla idea che qualsiasi aggregato sociale, inclusa la classe, è in realtà costituito da singoli individui. 7

Questa scuola intende agire a livello microeconomico e postula essenzialmente due principi: La razionalità degli agenti (le imprese tendono a massimizzare i profitti e i consumatori a massimizzare l utilità); L equilibrio di mercato (ossia l assenza di eccessi di domanda e/o offerta) di tipo concorrenziale con piena flessibilità dei prezzi. In questo senso i neoclassici ritengono che il problema economico fondamentale di ogni individuo e di ogni società sia quello di impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui dispone al fine di accrescere più che può il proprio benessere. 8

Secondo i neoclassici, l analisi basata sulla esistenza delle classi sociali è inutile e per certi versi fuorviante, visto che il comportamento di ogni individuo, indipendentemente dalla classe di appartenenza, può essere esaminato come un problema di massimizzazione della utilità sotto il vincolo delle risorse scarse di cui egli dispone, e più specificamente come un problema risolvibile con il calcolo marginale. 9

Scuola classica e scuola neoclassica Le due scuole manterranno in comune la c.d. Legge di Say: l offerta crea la domanda, essendo la produzione offerta l unica fonte di determinazione dei redditi distribuiti e che questi ultimi vengano subito spesi (anche i risparmi vengono subito investiti). Il sistema economico è sempre suddiviso in due sottosistemi (equilibrio generale walrasiano) che consente di determinare le variabili reali (prodotto, occupazione, prezzi relativi) e le variabili nominali (livello dei prezzi, reddito nominale e salari monetari, tassi di interesse nominali). In tale sistema le variabili monetarie influenzano solo i valori nominali ma non quelli reali e quindi la moneta è neutrale. 10

Keynes e i classici Keynes criticherà i classici e neoclassici prendendo le mosse dall apparato teorico (razionalità degli agenti e equilibrio concorrenziale di mercato) abbandonando alcune ipotesi specifiche quali la flessibilità dei prezzi di tutti i beni fino all approccio del disequilibrio mostrando i fallimenti del mercato dovuti a frizioni, rigidità ed imperfezioni. Tale approccio finiva per proporre una visione alternativa della politica economica con un diverso ruolo dello Stato nel caso si verificasse una carenza nella domanda effettiva con condizioni più o meno persistenti di disoccupazione e depressione. E nel contesto della Grande Depressione del1929 che Keynes tenta una interpretazione del reddito nazionale e del livello di disoccupazione. L assenza di piena occupazione e la distribuzione iniqua della ricchezza sono considerati da Keynes come i fallimenti del mercato. 11

In breve come funziona il modello neoclassico Gli economisti neoclassici erano ben consapevoli che un economia capitalistica di mercato può deviare dal suo livello di equilibrio del prodotto e dell occupazione, ma Ritenevano che tali perturbazioni fossero temporanee e di breve durata. Il meccanismo di mercato sarebbe intervenuto prontamente ed efficacemente a restaurare l equilibrio di piena occupazione. 12

Modello neoclassico e intervento dello Stato L intervento dello Stato sotto forma di politiche di stabilizzazione, non sarebbe stato necessario né auspicabile, giacchè tali politiche avrebbero con ogni probabilità aggravato l instabilità. Per i classici il sistema di mercato raggiungeva sempre la piena occupazione. 13

Una versione stilizzata del modello neoclassico Ipotesi del modello: 1) La razionalità degli agenti (le imprese tendono a massimizzare i profitti e i consumatori a massimizzare l utilità); inoltre gli agenti non soffrono di illusione monetaria; 2) mercati concorrenziali: prezzi flessibili 3) informazione perfetta 4) gli scambi avvengono ai prezzi di equilibrio (marketclearing) 5) gli agenti hanno aspettative stabili Queste ipotesi garantiscono che i mercati siano sempre in equilibrio, compreso quello del lavoro. 14

La determinazione dell occupazione e della produzione Ricordiamo che la moneta è neutrale: il livello del prodotto reale è indipendente dalla quantità di moneta presente nell economia. Nell'analisi neoclassica di solito si ritiene che la produzione di una certa quantità Q di merce viene effettuata utilizzando i fattori della produzione: lavoro (N) e capitale (K) (di solito inteso come valore dei mezzi di produzione). 15

L'analisi inizia dal mercato del lavoro. Definiamo: Y produzione nazionale P prezzo della merce prodotta w salario monetario dei lavoratori N numero dei lavoratori occupati Da notare che w/p indica il salario reale dei lavoratori, cioè il potere d'acquisto del salario. 16

La funzione di produzione La funzione di produzione ha la solita forma dettata dalla legge della produttività marginale del lavoro decrescente, dato il capitale K e data la tecnologia. Dalla funzione di produzione si ricava la curva della PMGL (prodotto marginale del lavoro) decrescente. La curva della PMGL decrescente corrisponde esattamente alla domanda di lavoro delle imprese. 17

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In concorrenza perfetta le imprese massimizzano il profitto solo se: P = CMG Ma sappiamo pure che il CMG = w/pmgl per cui possiamo scrivere: Da cui PMG L =W/P 19

Se l impresa assume lavoratori in un mercato concorrenziale deve pagare ad ogni lavoratore addizionale un salario pari W i. Il costo da sostenere per assumere un lavoratore addizionale sarà: W i N i Il ricavo addizionale generato dal lavoratore addizionale è dato dall incremento di prodotto ottenuto moltiplicato per il prezzo del prodotto: P i Y i 20

Per la singola impresa Per massimizzare il profitto conviene assumere lavoratori fino a quando: W i N i < P i Y i Il profitto sarà massimo quando: W i N i = P i Y i Che equivale a: Y i = W i Il profitto è massimo quando il prodotto N i P i marginale del lavoro è uguale al salario reale. 21

La domanda di lavoro 22

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L offerta di lavoro Le famiglie massimizzano la loro utilità. Quanto lavoro venga offerto dipende dalle preferenze delle famiglie fra consumo e tempo libero, entrambe dotate di utilità positiva. Per consumare si deve guadagnare reddito sostituendo tempo libero con tempo di lavoro. Al lavoro si attribuisce disutilità. 24

Gli effetti del salario reale sull offerta di lavoro 1) Effetto di sostituzione: Un aumento del salario reale rende il tempo libero più costoso in termini di reddito sacrificato per il consumo e tende a far crescere l offerta di lavoro. 2) Effetto di reddito L aumento del salario reale, migliora la situazione dei lavoratori, i quali possono optare per un maggior tempo libero. L aumento del salario reale tende a far diminuire l offerta di lavoro. Il modello classico assume che l effetto sostituzione prevalga sull effetto reddito; l offerta di lavoro reagisce positivamente ad un aumento del salario reale. 25

L offerta di lavoro 26

Equilibrio sul mercato del lavoro La flessibilità di prezzi e salari assicura sempre l equilibrio 27

Questa è una situazione di disoccupazione. I lavoratori che si offrono sono NS 0 ma le imprese assumono solo ND 0. C'è quindi un numero di disoccupati involontari pari al segmento NS 0 -ND 0. 28

Questi disoccupati si dicono involontari perché al salario di mercato vigente (w/p) 0 essi vorrebbero lavorare ma un lavoro non lo trovano. Per i neoclassici tuttavia questa situazione è solo temporanea. Il meccanismo di mercato condurrà spontaneamente il sistema all'equilibrio in E. I disoccupati infatti (essendo tra loro in concorrenza) eserciteranno una pressione verso il basso sui salari, che farà aumentare la domanda di lavoro ND e diminuire l'offerta NS fino all'equilibrio. Si noti che in corrispondenza di E non ci sono più disoccupati involontari. 29

Restano però dei disoccupati volontari, che al salario vigente non sono disposti a lavorare ma che si renderebbero disponibili ad un salario maggiore (si tratta del segmento NS 0 -N*). I neoclassici tuttavia sostengono che i disoccupati volontari hanno liberamente scelto di non lavorare al salario reale di equilibrio. E quindi essi non costituiscono un problema politico. L'importante è che il mercato sia in grado di assorbire spontaneamente la disoccupazione involontaria, cioè sia in grado di garantire un posto a tutti i lavoratori disposti a lavorare al salario di mercato di equilibrio. Visto che in equilibrio il sistema riesce ad eliminare la disoccupazione involontaria, allora si può parlare di equilibrio di piena occupazione. 30

Come si spiega la crisi del 29? Ma allora, come si spiega la presenza di tanti disoccupati nel 1933? Ovviamente non li si poteva considerare tutti disoccupati volontari. La risposta dei neoclassici dell'epoca è che i sindacati impediscono che il salario si riduca fino al livello di equilibrio. I sindacati cioè inchiodano il sistema economico nel punto A del grafico precedente, bloccando il libero operare delle forze del mercato e generando disoccupazione involontaria pari ad AB. 31

Continuiamo. Dal mercato del lavoro al mercato dei beni Una volta determinato il livello di occupazione di piena occupazione sul mercato del lavoro Sulla funzione di produzione si trova in corrispondenza di tale livello la quantità massima di prodotto ottenibile che è il livello di prodotto di piena occupazione. 32

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La legge degli sbocchi di Say: l offerta crea sempre la propria domanda Una volta determinato il livello di produzione di piena occupazione, si pone il problema fondamentale: cosa garantisce che l'intera produzione Y* venga assorbita dalla domanda? Chi ci assicura cioè che le imprese riescano a vendere tutta la merce prodotta? 34

La questione è fondamentale: è chiaro infatti che l'equilibrio di piena occupazione può reggere solo se Y* viene venduto interamente. I neoclassici rispondono a questo interrogativo attraverso due proposizioni: 1) per ogni data produzione Y realizzata le imprese distribuiscono alle famiglie dei lavoratori e capitalisti un reddito Y di importo equivalente. 2) Le famiglie di lavoratori e capitalisti, una volta ricevuto il reddito Y, lo spendono interamente per l'acquisto della produzione (di quanto è stato prodotto). 35

Ora, se le famiglie dei lavoratori e dei capitalisti spendessero tutto il loro reddito per l'acquisto di beni di consumo, non vi sarebbe alcun problema. Ma nella realtà le famiglie spendono per consumi (C) solo una parte del reddito, mentre un'altra parte la risparmiano (S) 36

Dunque poiché una parte del reddito nazionale viene risparmiata, a quanto pare una parte della produzione resterà invenduta. Infatti, visto che produzione e reddito sono equivalenti la produzione sarà interamente acquistata se tutto il reddito viene speso I neoclassici reagiscono a questo problema sostenendo che la parte di reddito che le famiglie risparmiano verrà interamente prestata alle imprese che useranno questo reddito per fare investimenti (I). Cioè per acquistare mezzi di produzione (macchine, impianti, ecc.). Dunque, ricapitolando: dall'equilibrio del mercato del lavoro emerge un livello di produzione Y corrispondente alla piena occupazione. 37

Tale produzione sarà interamente venduta solo se viene rispettata questa condizione: produzione = domanda Y = C + I C + S = C + I S = I Ma chi ci garantisce che S e I saranno uguali? Dopotutto si tratta di decisioni prese da soggetti diversi. 38

La risposta dei neoclassici è che il tasso di interesse i garantirà il perfetto equilibrio tra S e I. Infatti: - Le famiglie decidono tra C e S in base a i. Se i aumenta le famiglie riducono i consumi e S aumenta. - Le imprese decidono I in base al costo dei prestiti i. Se i aumenta, allora I si riduce. Quindi possiamo tracciare due funzioni, S e I. Le forze spontanee del mercato, lasciate a sé stesse, garantiranno un tasso di interesse di mercato i tale che S=I. 39

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Dunque così come il salario reale w/p garantisce l'equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, così il tasso di interesse i garantisce l'equilibrio tra risparmi S e investimenti I (ossia, C+S = C+I e Y = C+I). Con ciò i neoclassici dimostrano che l'equilibrio di piena occupazione è stabile, visto che la produzione di piena occupazione sarà interamente assorbita dalla domanda, o come domanda di C o come domanda di I. Se si lascia fare al mercato, non sussiste alcun rischio di merci invendute 41

Le conclusioni del modello macroeconomico neoclassico sono palesemente liberiste. Le forze del mercato, lasciate a sé stesse, garantiscono il pieno impiego dei lavoratori e l'acquisto dell'intera produzione realizzata. L'intervento statale è inutile se c'è disoccupazione, è colpa dei sindacati. Non solo! I neoclassici puntano a dimostrare che l'intervento statale può anche essere dannoso. 42

Che ruolo svolge la moneta? La Teoria Quantitativa (Irving Fisher, 1911). Per esaminare questa teoria definiamo: M quantità di moneta creata dalla Banca Centrale. V velocità di circolazione della moneta (numero di volte che ogni banconota passa di mano in un anno) P livello dei prezzi Y produzione. Definiamo con: MV la quantità di moneta complessivamente offerta in un anno. se moltiplichiamo il numero di banconote per il numero delle volte che ogni banconota passa di mano, è chiaro che calcoliamo il totale della moneta offerta e scambiata in un anno. 43

Con PY definiamo il valore della produzione offerta e scambiata, cui corrisponde ovviamente una quantità equivalente di moneta domandata in cambio. Possiamo dunque stabilire che: MV = PY 44

M è data dalle autonome decisioni della Banca Centrale V è data dalle abitudini di pagamento della produzione Y è data dall'equilibrio di piena occupazione sul mercato del lavoro. L'unica incognita dunque è P: 45

P = MV/Y questa equazione ci dice che, dati V e Y, se la Banca Centrale decide di aumentare M, l'unico effetto di questa decisione sarà un aumento del livello dei prezzi P. Il risultato dipende strettamente dall'ipotesi di piena occupazione. 46

Infatti, se la Banca Centrale aumenta M in circolazione, gli individui disporranno di più moneta. Essi quindi useranno la moneta per comprare merci. Ma essendo la produzione già al livello di piena occupazione allora non potrà aumentare. Di conseguenza, di fronte all'incremento di domanda di merci le imprese finiranno per aumentare P. L'intervento politico della Banca Centrale, magari finalizzato a stimolare la domanda, ad aumentare Y e l'occupazione N, in realtà è inutile (Y è già al pieno impiego) ed è pure dannoso (poiché genera inflazione). Le conclusioni del modello sono ancora una volta liberiste: - neutralità della moneta 47

LA CRISI PER I NEOCLASSICI Il mercato si autoregola Notiamo un'ultima cosa. Supponiamo che si verifichi una crisi di fiducia delle aspettative di profitto. Conseguenza: gli imprenditori riducono gli investimenti (I). Il movimento del tasso di interesse riporterà in equilibrio il sistema. Infatti il tasso di interesse si ridurrà portando in equilibrio risparmi e investimenti. Alla riduzione dei risparmi corrisponderà un aumento dei consumi che compenserà la riduzione degli investimenti. 48

La virtù della parsimonia Se l obiettivo è l aumento degli investimenti? con l'aumento dei risparmi delle famiglie (la curva dei risparmi S ora si sposta verso destra) si ridurrebbe il tasso di interesse e quindi aumenterebbero gli investimenti. La virtù della parsimonia quale fattore chiave dell'accumulazione e dello sviluppo economico 49

La virtù della parsimonia Una caduta degli investimenti porta ad una diminuzione della produzione e dell occupazione. Alcuni economisti di stampo liberista talvolta hanno affermato che per rimediare a un calo degli investimenti occorre aumentare i risparmi. L idea è che le famiglie consumano troppo e quindi forniscono poco risparmio alle imprese per il finanziamento degli investimenti. Secondo questa visione, solo se la popolazione riduce il consumo e decide di rendere disponibili maggiori risparmi per le imprese, queste ultime potranno usarli per aumentare gli investimenti in nuovi macchinari e attrezzature e rendere così più efficiente e produttiva l economia. Stando a questa concezione che era molto in voga tra gli economisti liberisti dell Inghilterra vittoriana di fine 800 e che oggi pare tornata di moda - è solo attraverso le virtù della parsimonia e dell astinenza dai consumi, che si può uscire da una crisi e sviluppare l economia. 50

Questa visione è stata fortemente criticata da John Maynard Keynes, autore della Teoria generale del 1936. Keynes, che scriveva in un epoca di grave crisi economica mondiale, sostenne che il tentativo di risollevare l economia riducendo i consumi per aumentare i risparmi avrebbe soltanto peggiorato la situazione economica. In particolare, Keynes mise in luce l esistenza di un paradosso del risparmio, che andava contro i luoghi comuni dei teorici dell astinenza: Il paradosso infatti evidenzia che se si riducono i consumi la produzione non aumenta ma si riduce, ed inoltre i risparmi non aumentano ma restano invariati. 51

La rivoluzione keynesiana il principio della domanda effettiva Keynes è stato oggetto di numerose interpretazioni alternative. Tuttavia è indubbio che il suo approccio ha innovato profondamente il pensiero economico contemporaneo dando vita alla moderna macroeconomia. Proviamo a sintetizzare le innovazioni teoriche fondamentali della Teoria Generale: 52

La rivoluzione keynesiana 1) Il reddito non è sempre fissato a quello di piena occupazione per cui spesso si realizzano equilibri di sottooccupazione; 2) Tra le principali determinanti del reddito, posto che questo non è sempre fissato dall offerta (legge di Say) vi è la domanda aggregata (in particolare la domanda effettiva) generando disoccupazione anche a causa di disinformazione, problemi di coordinamento e incertezza; 3) Tra le componenti della domanda aggregata bisogna ricordare (a) i consumi, funzione del reddito disponibile con una propensione marginale inferiore a uno e (b) gli investimenti che sono la principale variabile esogena a determinare il reddito e legati non solo al tasso di interesse ma altresì alle aspettative degli imprenditori. 53

La rivoluzione keynesiana 4. I salari monetari sono generalmente rigidi nel breve periodo e i processi di aggiustamento manifestano frizioni, difficoltà; 5. La teoria della preferenza della liquidità fa si che la domanda di moneta dipende anche dal tasso di interesse e quindi non è solo un fenomeno reale ma monetario; 6. Infine l offerta di moneta non può influenzare solo i prezzi ma anche il reddito reale, la dicotomia tra settore reale e monetario viene a cadere, la moneta non è neutrale. 54

L equilibrio macroeconomico Nell equilibrio macroeconomico classico (legge di Say) la domanda aggregata (A) è sempre determinata dall offerta (reddito reale, o prodotto nazionale) (Y) per cui Ac=Y Nell equilibrio classico la domanda aggregata è una semiretta a 45 che coincide sempre con il reddito offerto Y. Il reddito di piena occupazione (Y*) dipende solo dai fattori dell offerta ossia dalle risorse produttive. Sono le forze del libero mercato a far permanere una situazione di piena occupazione. 55

L equilibrio macroeconomico classico 56

L equilibrio macroeconomico keynesiano Al contrario nel sistema keynesiano la domanda aggregata è rappresentata dalla retta Ak. La sua posizione dipende dalla domanda aggregata autonoma  (investimenti, spesa pubblica, esportazioni e consumi) mentre la sua inclinazione dipende dalle caratteristiche delle variabili (propensione marginale al consumo). In questo approccio è il reddito offerto (produzione) che si adegua alla domanda aggregata che include sia la domanda autonoma (A) ma anche quella endogena (c.d. indotta) determinata dal moltiplicatore. In termini grafici il reddito di equilibrio (Y ) è determinato dall intersezione tra la retta di domanda aggregata (Ak) e la semiretta a 45. 57

L equilibrio macroeconomico keynesiano 58

L equilibrio macroeconomico keynesiano In questo modello il reddito di equilibrio è determinato dal lato della domanda e i prezzi sono considerati, nel breve periodo, fissi, per cui la convergenza avviene attraverso aggiustamenti di quantità. In questo caso la produzione offerta si adegua al livello della spesa (domanda). In tale situazione il reddito determinato sul lato dell offerta può essere inferiore a quello di piena occupazione (Yo<Y*). Il livello di occupazione viene ad essere determinato sul mercato dei beni e non su quello del lavoro. La presenza di disoccupati è involontaria. L equilibrio di sotto-occupazione è quello al centro della Teoria Generale e che pone maggiore enfasi al mercato dei beni piuttosto che a quello del lavoro. 59

Implicazioni per la Politica economica Le c.d. rivoluzione keynesiana introduce alcuni quesiti fondamentali alla macroeconomia: 1) Come si determina il reddito di equilibrio Yo che può essere a qualunque livello anche diverso da quello di piena occupazione Y* 2) Quando e perché si determina un equilibrio di sottoccupazione (Yo<Y*) e quindi rimangono risorse inutilizzate posto che non esistono forze endogene di riequilibrio; 3) Cosa si può fare per uscire da questa situazione e colmare il gap di sottoccupazione (spostare verso l alto la retta Ak in Ak ) ossia attuare un intervento di politica economica 60

Implicazioni per la Politica economica Una possibile soluzione prospettata da Keynes è quella di provocare un aumento della Domanda aggregata ΔA, ovvero un iniezione di spesa pubblica, tale da indurre un incremento del reddito ΔY. Si tratterà comunque di un incremento ΔY> ΔA superiore alla domanda aggregata per via del c.d. moltiplicatore keynesiano del reddito (generalmente superiore all unità). 61

Implicazioni per la Politica economica Esempi di politiche keynesiane sono le opere pubbliche, interventi sulle infrastrutture e l edilizia, altri interventi redistributivi, ect. Tuttavia Keynes non è stato mai un sostenitore della spesa pubblica (deficit spending) qualunque ma solo in caso di recessione o depressione e quindi programmando spese pubbliche produttive orientate alla crescita di lungo periodo. 62