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TITOLO PSICHIATRIA NO-RESTRAINT: L ESPERIENZA DI MERANO AUTORE Stefano Egidi (1) (1) psichiatra, coordinatore del SPDC di Merano Organizzazione di un SPDC no-restraint Il reparto di Merano è stato aperto nel 2001, non abbiamo mai praticato la contenzione fisica e la porta è per la maggior parte del tempo aperta, sebbene l accesso sia maggiormente regolamentato, o la porta possa essere del tutto chiusa, in situazioni di difficile gestione che richiedono la presenza di tutto il personale del reparto. Abbiamo un bacino d utenza di 120 mila abitanti; il territorio, rurale e montano, è suddiviso in vari distretti. Siamo suddivisi in tre Centri di Salute Mentale, all interno dei quali opera un équipe multiprofessionale composta da psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori ed operatori assistenziali. Il nostro SPDC ha 10 posti letto, 9 di ricovero e 1 di osservazione breve intensiva; disponiamo di un reparto molto ampio con spazi per attività quali calcetto e ping pong ed il clima è molto disteso.. Possiamo poi contare su tre comunità alloggio: due hanno 12 posti letto ciascuna, la terza ha 24 posti letto ed è aggregata a Casa Basaglia dove c è un Centro di Salute Mentale e dei laboratori; oltre a queste strutture, appartenenti all azienda sanitaria, ci sono altre comunità alloggio dei servizi sociali. In SPDC lavorano 21 operatori, fra i quali 18 unità a tempo pieno, 3 per ciascun turno. Effettuiamo riunioni il lunedì ed il venerdì, che sono i giorni di accesso al reparto o di dimissione, con tutto il personale medico del reparto, che è lo stesso del territorio. 1

Ogni giorno c è un medico in reparto, oltre al responsabile che è presente quotidianamente per mantenere la continuità trasversale oltre a quella longitudinale garantita dai CSM, tutto ciò nell ottica di mantenere alto il livello informativo dall interno all esterno del SPDC. Per quanto riguarda il personale infermieristico, quando il reparto è stato aperto non era specificamente formato in campo psichiatrico e questo, alla luce della nostra esperienza, si può considerare un fattore facilitante, poichè infermieri ed operatori assistenziali hanno accolto con grande disponibilità la nostra impostazione del lavoro. Ci siamo chiesti, a volte, se non sarebbe stato utile che avessero sperimentato in altri SPDC, per confronto, i livelli di tensione che si possono raggiungere in certe situazioni. Siamo rimasti forse un po naïve perché, operando in un certo modo e ritenendolo positivo, abbiamo sempre gestito le situazioni che ci si sono presentate in modo tale da non considerare mai l idea della contenzione fisica. I nostri principi operativi sono quelli della presa in carico territoriale, della continuità terapeutica, dell équipe multiprofessionale e, naturalmente, del no-restraint: non abbiamo mai sentito il bisogno di praticare la contenzione e questo per ragioni insite nella nostra organizzazione del Servizio di Salute Mentale. La continuità terapeutica è al centro del nostro operare, ovvero i pazienti vengono seguiti dalla stessa équipe longitudinalmente in tutte le situazioni e le strutture, sia in SPDC, che nelle comunità alloggio, che presso il Centro di Salute Mentale e questa organizzazione investe anche pazienti eventualmente in carico al SERT o ai servizi sociali. Nella nostra esperienza, una continuità di questo tipo sul territorio ci consente di ridurre il numero dei ricoveri e la durata media della degenza, nonché di abolire il ricorso alle misure coercitive. Viene in mente l immagine del famoso dipinto di Pinel che spezza le catene agli alienati: a nostro parere, ricorrere alla contenzione rappresenta una sconfitta dell intelletto che medici, psicologi, psichiatri spendono lungo il loro intero 2

iter formativo per studiare argomenti sia scientifici che umanistici per poi, di fronte alle sfide più grandi poste dalla psiche umana, limitarsi alla soluzione coercitiva. Il norestraint è, quindi, fondamentale non solo come pratica, ma proprio come assetto mentale costante in tutto l operare psichiatrico. COMMENTO La continuità terapeutica come alternativa alla contenzione fisica Si potrebbe addirittura arrivare a concettualizzare una patogenesi della contenzione : dove comincia la contenzione, i fattori che la favoriscono ed i fattori che invece favoriscono la non contenzione. Il SPDC rischia di diventare, pur nella riforma [1], un piccolo manicomio, il doppiofondo in cui il territorio scarica le situazioni difficilmente gestibili. La Letteratura internazionale difficilmente si pone il problema della contenzione, se non nei termini di quali siano gli eventuali danni da essa derivati, di quanto e di come applicarla. Non si trova un analisi su come mai si arrivi a praticarla, se non quella degli aspetti clinici del paziente: l aggressività, la diagnosi, la psicosi fattori che ineriscono sempre all oggetto su cui si opera e a non a chi opera, ovvero chi valuta e ricorre alla contenzione. I fattori che a nostro parere hanno un impatto importante sull avvertire come necessario ricorrere a misure di contenzione sono: - la discontinuità: il lasciare soli operatori o gruppi di operatori, ovvero il reparto; - la deresponsabilizzazione: deriva da una logica di doppio fondo, poter avere un posto dove inviare, mettere ciò che non riusciamo a gestire; - la mancanza di gioco di squadra: è fondamentale che ci sia una condivisione di un modello organizzativo e dello stile di cooperazione. Naturalmente questi fattori di organizzazione impattano sui fattori relativi alla relazione di cura. Laddove la continuità terapeutica manca o è lacunosa, i vissuti di 3

abbandono o di splitting sono più frequenti, con l identificazione di referenti buoni e di altri cattivi. Si creano situazioni conflittuali causa di frustrazione e quindi di aumento delle emozioni di rabbia e delle potenziali reazioni di aggressività, che poi sono quelle che fanno scattare la pratica della contenzione. Tra i fattori che, invece, favoriscono la non contenzione, troviamo il mantenimento di una reale ed effettiva continuità terapeutica, che consente una positivizzazione dei vissuti dei momenti normativi. Anche noi effettuiamo Trattamenti Sanitari Obbligatori, ma spesso senza la necessità di chiudere la porta, sebbene possa succedere che un paziente vada fuori e che quindi sia necessario ricordargli che in quel momento riteniamo che si debba sottoporre a delle cure. Questo si realizza perché il referente, inteso sia come persona che come gruppo terapeutico, per il paziente rimane sempre costante: a partire dal ricovero, che avviene per invio diretto da parte del medico del Centro di Salute Mentale, lo stesso che poi seguirà il paziente durante il ricovero e che sarà responsabile della cartella clinica. Attorno al medico come figura di riferimento ruota l équipe del territorio che seguirà il paziente anche dopo le dimissioni, senza che si configuri alcuna rottura della continuità terapeutica anche nel momento critico del ricovero. Questo modus operandi ha effetto non solo sui pazienti, ma anche sui familiari e su altri operatori, sanitari e sociali, che a vario titolo si occupano del paziente: c è un unico interlocutore inteso come l équipe e ciò rende meno facile che si verifichino fenomeni di scissione o di conflitto fra varie parti che possono trovarsi, loro malgrado, ad inviare messaggi contrastanti. Un ulteriore conseguenza virtuosa della continuità terapeutica é il migliore monitoraggio della compliance farmacologica. In risposta ad una possibile critica da parte di chi può ritenere che non-contenzione fisica equivalga a contenzione farmacologica, portiamo la nostra esperienza di consumi farmacologici molto bassi, dal momento che non si creano situazioni di 4

scissione tra la terapia consigliata in reparto e quella poi portata avanti presso il Centro di Salute Mentale. In conclusione, la visione ampia e sfaccettata del paziente nelle fasi sia critiche che di benessere, quale si può avere mantenendo un effettiva continuità terapeutica, è di fondamentale importanza per una corretta programmazione e calibrazione degli interventi terapeutici. Bibliografia [1] Legge 13 Maggio 1978, n. 180. Accertamenti e trattamenti volontari e obbligatori. Gazzetta Ufficiale 16 maggio 1978, n. 133. 5