eumatologia pratica Problematiche cliniche osteo-articolari Giugno 2012 Numero Collegio reumatologi Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche

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1 Giugno 2012 Numero 2 Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 27/2006. R eumatologia Problematiche cliniche osteo-articolari Collegio reumatologi ospedalieri italiani Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche Società italiana di medicina generale Con il patrocinio di

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3 Reumatologia giugno 2012 Numero 2 VOLUME 7 Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Alessandro Ciocci Stefano Giovannoni Comitato Scientifico Valeria Azzolini Maurizio Benucci Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Gianni Leardini Arrigo Lombardi Alessandro Mannoni Raffaella Michieli Claudio Vitali Presidente CROI Luigi Di Matteo Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Carlo Nozzoli Presente e futuro della terapia dell artrosi R. Marcolongo gestione delle patologie osteoarticolari: le risposte ai quesiti clinici più frequenti Dolore osteoarticolare D. Gatti, E. Vantaggiato gestione delle patologie osteoarticolari: le risposte ai quesiti clinici più frequenti Osteoporosi O. Viapiana, A. Giollo, G. Tripi Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca Pisa Tel Fax Info@pacinieditore.it Marketing Dpt Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel atognelli@pacinieditore.it Fabio Poponcini - Sales Manager Tel fpoponcini@pacinieditore.it Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel mmori@pacinieditore.it Alice Tinagli - Junior Advertising Manager Tel atinagli@pacinieditore.it Ufficio Editoriale Lucia Castelli - Tel lcastelli@pacinieditore.it Stampa Industrie Grafiche Pacini Pisa Collegio reumatologi ospedalieri italiani Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche Società italiana di medicina generale Con il patrocinio di

4 NORME REDAZIONALI Gli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica degli esperti, all esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore. Il Direttore del Giornale si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Autori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno. Nel caso di provenienza da un Dipartimento Universitario o da un Ospedale il testo dovrà essere controfirmato dal responsabile del Reparto ( U.O.O., Clinica Universitaria ). Conflitto di interessi: nella lettera di accompagnamento dell articolo, gli Autori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Enti Pubblici o Privati, anche se i loro prodotti non sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore come un informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati verranno pubblicati con l accompagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento. Norme generali Testo: in lingua italiana, dattiloscritto, con numerazione delle pagine a partire dalla prima e corredato di: 1) titolo del lavoro; 2) parole chiave; 3) riassunto; 4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure. 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Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus. Esempi di corretta citazione bibliografica per: articoli e riviste Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36: libri Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p Ringraziamenti: indicazioni di grant o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standard riportati in Science 1954;120:1078. I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potranno essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto). Norme specifiche per le singole rubriche Editoriali. Sono intesi come considerazioni generali e pratiche sui temi di attualità, in lingua italiana, sollecitati dal Direttore o dai componenti il Comitato di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci. Articoli sulle patologie. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità. L articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Articoli sui sintomi. Preferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità. L articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di interesse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8 cartelle da 2000 battute) deve essere coinciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole. Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indirizzati a: Pacini Editore S.p.A., Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1, Pisa, lcastelli@pacinieditore.it Finito di stampare nel mese di Luglio 2012 dalle Industrie Grafiche Pacini Editore S.p.A. L editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. 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5 giugno 2012 volume 7 pagine Presente e futuro della terapia dell artrosi L osteoartrosi è una malattia articolare cronica caratterizzata da lesioni degenerative a carico della cartilagine che provocano, oltre alla sintomatologia dolorosa, una progressiva limitazione funzionale fino a giungere alle deformazioni articolari e spesso all invalidità. La cartilagine è l organo consistente-elastico posto tra le estremità ossee che funge nella sua integrità come struttura ammortizzatrice delle sollecitazioni e dei microtraumi cui giornalmente sono sottoposte le varie articolazioni. L osteoartrosi è la più comune delle patologie reumatiche e inizia spesso in maniera asintomatica nel 3-4 decennio di vita diventando clinicamente manifesta tra i anni. Si calcola che in Italia via siano oltre 6 milioni di pazienti sofferenti di questa malattia. Il trattamento dell osteoartrosi comprende la terapia medica (sintomatica), la fisiochinesiterapia e la terapia protesica attuata quando il quadro della malattia ha portato a lesioni irrimediabili. Recentemente è stata esaminata la possibilità di intervenire sul meccanismo intimo della malattia attraverso tentativi di riparazione delle lesioni cartilaginee, con l intento di ridare la naturale elasticità alla cartilagine e di conseguenza di ripristinare la funzione di organo ammortizzatore. I tentativi hanno preso da un lato l indirizzo dell uso di farmaci ad azione condroprotettiva, dall altro tecniche che si avvalgono del trapianto di condrociti (cellule della cartilagine) o di cellule staminali (cellule pluripotenti) in grado di differenziarsi in condrociti, ricostituendo così il tessuto cartilagineo. I farmaci condroprotettori in realtà non hanno sinora dato dimostrazioni evidenti di riuscire a riparare le lesioni cartilaginee, mentre il trapianto di condrociti, Roberto Marcolongo Già Professore Ordinario di Reumatologia dell Università di Siena Presidente LIMAR (Lega Italiana Malattie Autoimmuni e Reumatiche) roberto_marcolongo@libero.it pur avendo dato qualche risultato interessante, non è attualmente proponibile su vasta scala a causa dei costi elevati e delle limitazioni legate all impiego soltanto nei casi iniziali di malattia o quando le lesioni siano limitate. Per quanto riguarda le cellule staminali non esistono trial clinici in proposito, tuttavia le considerazioni sui costi elevati sono analoghe, con l aggravante rappresentata dalla difficoltà di ottenimento, dalle lunghe e delicate procedure di coltura e di espansione cellulare cui sono deputati pochi laboratori autorizzati. Molti studi hanno dimostrato che la somministrazione di acido ialuronico per via intrarticolare è in grado di ripristinare le proprietà viscoelastiche del liquido sinoviale con una conseguente attenuazione dei sintomi dolorosi e un miglioramento della mobilità articolare. Le attività fisiologiche e i benefici farmacologici si realizzano attraverso l interazione dell acido ialuronico con il liquido sinoviale, il suo effetto antiflogistico e antidegenerativo sulla membrana sinoviale e sulla cartilagine e soprattutto la sua precipua funzione lubrificante. Tutte queste funzioni sono peraltro strettamente legate al peso molecolare e alla viscosità elevati. Di conseguenza, se si considera la breve emivita dei vari composti ad oggi disponibili, l effetto terapeutico sulla visco-elasticità non è mai duraturo. Da sottolineare che un ruolo importante nel ridurre la quantità e la viscosità dell acido ialuronico, anche di quello introdotto per via intrarticolare, è rappresentato da enzimi di tipo degradativo come le metalloproteasi che nel cavo articolare di pazienti con osteoartrosi si trovano in larghe quantità. L interesse della ricerca si è rivolto quindi a una varietà di fattori di crescita studiati per il loro potenziale uso ai fini di una stimolazione alla rigenerazione della cartilagine articolare attraverso la proliferazione dei condrociti in associazione a un aumentata produzione dei costituenti tipici della cartilagine (fibre collagene e glicosaminoglicani). Recenti studi di ingegneria tessutale hanno fornito evidenze sperimentali sul ruolo svolto da vari fattori di crescita sui meccanismi di induzione della proliferazione e del differenziamento cellulare. Il TGF-B1 e l IGF-1 in particolare hanno dimostrato la stimolazione della sintesi della matrice e la proliferazione dei condrociti. Altri studi hanno dimostrato come l uso di estratti piastrinici può accelerare la rigenerazione di lesioni del tessuto osseo cutaneo e cartilagineo. Le piastrine partecipano ai processi di riparazione poiché posseggono un ampia varietà di fattori di crescita. I dati sinora pubblicati sull uso di iniezioni intrarticolari di IGF- 1 o di estratti piastrinici nell uomo sono tuttavia molto scarsi. Reumatologia 23

6 Non esistono quindi studi dettagliati sul regime posologico di somministrazione ai fini della riparazione cartilaginea. Sfortunatamente il costo dei fattori di crescita reperibili in commercio è proibitivo per un uso su vasta scala. È da considerare inoltre che i costi aumenterebbero ulteriormente sia per l evidente necessità di usare miscele di fattori di crescita, sia perché l emivita della maggior parte di questi fattori è molto breve il che richiederebbe un introduzione intrarticolare molto ravvicinata. Per quanto riguarda gli estratti piastrinici le difficoltà sono legate al fatto che le piastrine devono essere autologhe, ma soprattutto alle procedure di separazione e di preparazione che per legge possono essere effettuate solo nei laboratori centralizzati degli ospedali e con attrezzature particolari. Molto interessante appare il campo di studio concernente le cellule vegetali sia per quanto riguarda gli estratti di cellule vegetali, sia per quanto l eventuale uso di cellule vegetali staminali. Se questa seconda possibilità incontra le stesse difficoltà riportate per le staminali umane, più percorribile appare l uso degli estratti di cellule vegetali. Tali cellule sono infatti molto ricche di fattori di crescita come le auxine, le gibberelline, l acido abscissico e altre sostanze. Esperienze personali (non pubblicate) hanno dimostrato che alcuni estratti vegetali (ad esempio quello ottenuto dal Triticum vulgare, in commercio come fitostimolina) dà dei risultati del tutto sovrapponibili in vitro a quelli ottenuti con gli estratti piastrinici per quanto riguarda la proliferazione e la differenziazione dei condrociti. Evidentemente l innocuità di questi estratti è accertata e i costi del prodotto minimi, ma mancano completamente delle ricerche sull uso intrarticolare del prodotto. In definitiva, negli ultimi anni sono stati fatti passi importanti nel trattamento di una condizione cosi diffusa e invalidante che ricordiamo, fino a qualche tempo fa (ma ancora oggi qualcuno lo crede!), non veniva considerata una malattia, ma uno stato fisiologico legato all invecchiamento e all usura meccanica. Rispetto al deserto terapeutico di qualche anno fa esistono oggi non solo terapie efficaci, ma anche prospettive terapeutiche molto promettenti che potranno cambiare la storia naturale della malattia. 24 Reumatologia Gestione dell artritico reumatoide oggi: diversità di vedute fra vecchi e giovani reumatologi

7 giugno 2012 volume 7 pagine gestione delle patologie osteoarticolari: le risposte ai quesiti clinici più frequenti Dolore osteoarticolare PAROLE CHIAVE Dolore osteoarticolare Paracetamolo Antinfiammatori Oppioidi RIASSUNTO Le patologie muscolo-scheletriche e in particolare quelle artrosiche degenerative sono tra le principali cause di dolore e sono spesso gestite dal medico di medicina generale. Nella scelta del farmaco migliore ci si trova davanti a diversi dualismi: paracetamolo o antinfiammatori, coxib o FANS tradizionali, farmaci oppioidi o antinfiammatori. L obiettivo di questo editoriale è quello di riassumere le più recenti evidenze e di fornire a ciascun professionista dei criteri validi per poter selezionare il farmaco giusto per ciascun paziente. La valutazione dei fattori di rischio di effetti collaterali è senza dubbio fondamentale. Questo tuttavia non deve farci dimenticare anche la necessità dell efficacia clinica per rispondere adeguatamente alla richiesta del paziente che si rivolge al medico per la gestione del suo dolore osteoarticolare. Introduzione Le patologie muscolo-scheletriche sono tra le principali cause di dolore nella popolazione adulta-geriatrica e si accompagnano a un notevole carico sociale in termini di costi sia diretti che indiretti. Una vasta indagine canadese ha dimostrato che tra la popolazione che si rivolge al medico di medicina generale (MMG) almeno ¼ lo fa per questo tipo di dolore 1. Malgrado ciò ancora scarso è l interesse nella valutazione dell epidemiologia reale e dell impatto clinico di questo tipo di malattie sia in termini assoluti che rispetto ad altre patologie quali ad esempio quelle respiratorie e cardiovascolari, che pur rilevanti dal punto di vista clinico, non sono certamente più diffuse di quelle osteoarticolari. Un vasto studio epidemiologico svolto alcuni anni fa nelle Marche ha coinvolto quasi soggetti di entrambi i sessi e di età superiore a 18 anni grazie alla collaborazione di 16 MMG 2 Davide Gatti, Elisabetta Vantaggiato Unità di Reumatologia, Università di Verona Davide Gatti davide.gatti@univr.it e fornisce una fotografia accurata del problema in Italia: i disturbi muscolo scheletrici sono assai diffusi e interessano il 31% delle femmine e il 22% dei maschi. Le donne ultracinquantenni sono certamente quelle più a rischio. Le patologie più comuni sono quelle artrosiche degenerative e muscolo-tendinee. Le artriti e le altre forme infiammatorie sono invece meno frequenti pur coinvolgendo comunque una fetta non trascurabile della popolazione (circa il 3%). Il MMG si trova quindi ogni giorno ad affrontare questo tipo di pazienti che in oltre il 70% dei casi vengono poi seguiti direttamente senza essere inviati dallo specialista 1. L obiettivo del medico in questi casi diventa essenzialmente il controllo del dolore e dell infiammazione e quindi la ricerca di un equilibrio ideale tra l efficacia assicurata da una determinata scelta terapeutica e il rischio di eventi avversi associato alla stessa. La scelta del farmaco diventa così un percorso caratterizzato da diversi bivi che devono essere affrontati alla luce delle più recenti evidenze per poter fornire a ciascun professionista dei criteri validi per poter selezionare il farmaco giusto per ciascun paziente. Reumatologia 25

8 Paracetamolo o antinfiammatori? Il paracetamolo, rispetto agli antinfiammatori, è tuttora indicato come prima scelta dalle principali linee guida internazionali e nazionali per il trattamento dell artrosi anche se nella recentissima pubblicazione delle linee guida dell American College of Rheumatology (ACR) questo appare molto meno evidente 3. Il paracetamolo sarebbe più tollerato rispetto agli antinfiammatori ma la sua azione è quasi esclusivamente antidolorifica e in circa il 2/3 dei pazienti risulta essere significativamente inferiore rispetto a quella ottenibile con gli antinfiammatori sia nell artrosi 4 sia nel dolore lombare cronico 5. Recentemente sono inoltre emerse nuove evidenze scientifiche che hanno sollevato forti dubbi anche sulla tollerabilità da sempre accordata al paracetamolo. Uno studio controllato in doppio cieco in pazienti con coronaropatia (il primo mai eseguito con questa molecola malgrado essa sia in commercio da più di 50 anni!) ha dimostrato che il suo utilizzo cronico a elevato dosaggio (3 g/die) si accompagna a un significativo aumento della pressione arteriosa. Per questo motivo gli autori del lavoro concludono che l utilizzo cronico del paracetamolo deve essere valutato attentamente in maniera analoga agli antinfiammatori visto che probabilmente è gravato dagli stessi rischi in termini ipertensivi soprattutto in questa tipologia di pazienti 6. Ancora più interessanti sono poi i risultati di un altro studio clinico controllato sull efficacia e tollerabilità del paracetamolo da solo o associato a un antinfiammatorio (ibuprofene 600 o mg/ die) rispetto all antinfiammatorio da solo (ibuprofene mg/die) in pazienti con gonartrosi 7. Si tratta di un ottimo studio clinico che fornisce nuove risposte per vecchie domande. Dallo studio emergono infatti le seguenti informazioni pratiche: il paracetamolo si conferma inferiore all antinfiammatorio in termini di efficacia; la combinazione con l antinfiammatorio non è comunque superiore all antinfiammatorio da solo in termini di efficacia! il paracetamolo da solo o in combinazione si associa a una maggiore incidenza di aventi avversi rispetto l antinfiammatorio da solo! il paracetamolo da solo o in combinazione produce maggiori problemi epatici; il paracetamolo associato con l antiinfiammatorio produce perdite ematiche superiori all antinfiammatorio da solo! Antinfiammatori tradizionali o coxib? Anche se gli antinfiammatori sono più efficaci del paracetamolo il vero problema, specie nell uso cronico tipico della reumatologia, rimane il loro profilo di sicurezza e questo viene ulteriormente aggravato dal fatto che molti FANS vengono venduti come prodotti da banco e utilizzati in automedicazione e quindi senza nessun tipo di controllo da parte della classe medica. Efficacia e sicurezza gastrointestinale Tra gli effetti collaterali dei farmaci antinfiammatori la gastropatia è certamente il più frequente. La minore tossicità gastroduodenale dei coxib è stata documentata da una revisione della Cochrane Collaboration 8 che ha riconosciuto che con questi farmaci si realizza un numero significativamente inferiore di ulcere gastroduodenali e di relative complicazioni clinicamente importanti, nonché un minor numero di sospensioni del trattamento dovute a sintomi GI rispetto ai FANS tradizionali. L utilizzo dei coxib si associa a un rischio di lesioni gastroduodenali che è sovrapponibile a quello ottenibile associando a un FANS tradizionale un inibitore di pompa protonica 9 e questo deve essere considerato anche nel momento in cui si valutano i costi della terapia. Questa uguaglianza coxib = FANS + inibitore di pompa protonica si conferma anche nei pazienti che stanno assumendo basse dosi di aspirina come antiaggregante, noto fattore aggravante il rischio di sanguinamento. Se poi andiamo ad associare al coxib un inibitore di pompa protonica, anche se ci troviamo in una popolazione a elevato rischio e indipendentemente dall uso o meno di ASA, il rischio di gastropatia sembra addirittura annullarsi 10. La tossicità gastrointestinale dei FANS tuttavia non si ferma a livello di stomaco e duodeno ma interessa anche i tratti inferiori (piccolo intestino) dove l inibitore di pompa protonica (PPI) non sembra dare alcun vantaggio. Si hanno in genere problemi di perdite ematiche e proteiche occulte. Recenti studi clinici hanno evidenziato come i coxib producano meno lesioni a carico del piccolo intestino rispetto ai FANS anche quando questi ultimi sono assunti in associazione con inibitori di pompa protonica Questi dati sperimentali hanno fornito il razionale per un ampio studio in cui il coxib ha dimostrato di provocare meno eventi GI a carico dell intero intestino rispetto ai FANS tradizionali + PPI 13. Per questo possiamo affermare che se a livello di sto- Reumatologia 26 dolore osteoarticolare

9 Tabella I. Dosi equivalenti dei diversi antinfiammatori utilizzati nella spondilite anchilosante. Appare evidente come con gli antinfiammatori tradizionali la dose comunemente utilizzata (dose equivalente) sia già massimale (tratto da Dougados et al., 2011) 14. Molecola Dosi equivalenti dose massima (nella spondilite anchilosante) Diclofenac 150 mg 150 mg Naprossene 1000 mg 1000 mg Aceclofenac 200 mg 200 mg Celecoxib 400 mg 400 mg Etodolac 600 mg 600 mg Etoricoxib 90 mg 120 mg a Ibuprofene 2400 mg 2400 mg Indometacina 150 mg 150 mg Ketoprofene 200 mg 200 mg Nimesulide 200 mg 200 mg a Il dosaggio di 120 mg è indicato solo durante la fase acuta della sintomatologia nell artrite gottosa acuta per un massimo di 8 giorni. maco e duodeno coxib = FANS + PPI a livello del piccolo intestino invece la sicurezza dei coxib appare essere superiore a quella dell associazione FANS + PPI. Appare quindi evidente come ai coxib si associ un miglior profilo di sicurezza gastrointestinale, che non si realizza però a spese dell efficacia antinfiammatoria. In particolare va sottolineato come con l etoricoxib, proprio per la maggiore tollerabilità, si possono raggiungere dosaggi e livelli antinfiammatori che con i FANS tradizionali non è possibile ottenere e tutto questo con la monosomministrazione giornaliera. La dose massima dei FANS tradizionali può infatti arrivare a essere sovrapponibile al massimo ai 90 mg di etoricoxib (Tab. I) 14. Per tale motivo al momento questa molecola è quella con un profilo di efficacia che nessun altro antinfiammatorio può vantare sia nel dolore cronico (spondilite anchilosante, artrite reumatoide, artrosi * ) sia nel dolore acuto (artrite gottosa). Tollerabilità cardiovascolare Malgrado la loro efficacia e tollerabilità gastroduodenale la notorietà dei coxib è in gran parte legata al problema cardiovascolare (CV) che è stato alla base nel settembre 2004 del ritiro dal commercio del rofecoxib per la documentazione di un incremento significativo del rischio CV rispetto al placebo. L ipotesi patogenetica di gran lunga più accreditata per spiegare questo aumento del rischio CV sarebbe la presenza di un effetto trombofilico legato allo sbilanciamento tra fattori protrombotici e antitrombotici. L inibizione della COX-2 produce infatti anche un blocco nella produzione di prostaciclina endoteliale con conseguente perdita della sua azione vasodilatatrice e anti-aggregante piastrinica (protettiva). Questo effetto negativo dei coxib è ovviamente condiviso anche dai FANS tradizionali i quali tuttavia sono anche in grado di agire sulla COX-1 piastrinica in maniera simile all aspirina. Quest ultimo effetto non è tuttavia in grado di assicurare nessun tipo di protezione clinica reale dal momento che è molto limitato sia come entità che come durata a differenza dell inibizione della COX-1 piastrinica assicurata dall aspirina che è invece quasi completa (> 95%), irreversibile e duratura 15. Pertanto l inibizione della COX-2 endoteliale, indipendentemente da come venga prodotta (coxib, FANS, aspirina), si associa comunque a un aumento, assoluto o relativo, del rischio CV 15. Diversi studi osservazionali o caso controllo in questi ultimi 10 anni avevano già sollevato il dubbio che anche i FANS tradizionali, se confrontati con placebo, potessero condividere * Il dosaggio previsto nel Riassunto Caratteristiche Prodotto (RCP) per l osteoartrosi non deve superare i 60 mg/die. D. Gatti, E. Vantaggiato eumatologia R 27

10 con i coxib l aumento del rischio cardiovascolare. La conferma sperimentale è arrivata con lo studio MEDAL che ha coinvolto pazienti di età superiore o uguale a 50 anni affetti da osteoartrosi o artrite reumatoide. Lo studio MEDAL 16 ha evidenziato come il rischio CV trombotico nei pazienti trattati a lungo termine con un coxib (etoricoxib) sia sovrapponibile a quello osservato nei pazienti che assumevano FANS tradizionali (diclofenac). I risultati di questo studio forniscono una risposta incontrovertibile per quanto riguarda il raffronto sul rischio CV tra FANS e coxib dal momento che questo rappresenta ad oggi l unico trial clinico specificatamente disegnato per questo scopo. L unico FANS che potrebbe avere un profilo di tossicità cardiaca differente potrebbe essere il naproxene che a elevato dosaggio (500 mg x 2/die) è in grado di assicurare un effetto antiaggregante piastrinico simile a quello dell aspirina 15. A dosaggi più bassi, il naprossene tende tuttavia a comportarsi in maniera simile agli altri FANS anche per quanto riguarda il rischio CV come dimostra lo studio ADAPT che è stato precocemente interrotto per il riscontro nel gruppo in naprossene (220 mg x 2/die) di un aumento degli eventi vascolari presi nel loro insieme 17. Interazioni con terapia antiaggregante e terapia anticoagulante orale L interazione tra aspirinetta e FANS è un altro tema caldo spesso sottovalutato. L effetto di alcuni FANS, quale ad esempio l ibuprofene, nell annullare l effetto protettivo antiaggregante dell aspirina è così evidente da essere quantificabile addirittura in termini di differente mortalità tra gruppo che assumeva solo aspirinetta e quello che assumeva aspirinetta e ibuprofene 18. Questo tipo di competizione sulla COX-1 verosimilmente vale per tutti i FANS (con la possibile eccezione del diclofenac) ma non con i coxib che in questi pazienti rappresentano la scelta più razionale. Per quanto riguarda il rapporto tra pazienti in terapia anticoagulante con dicumarolici e antinfiammatori la prima cosa è chiedersi il motivo della terapia anticoagulante, per poter identificare eventuali controindicazioni al trattamento antinfiammatorio stesso. Se non vi sono controindicazioni, la possibilità di ricorrere ai coxib piuttosto che ai FANS tradizionali appare molto interessante. Infatti gli inibitori selettivi della COX-2 (oltre al migliore profilo gastrointestinale), a differenza dei FANS tradizionali, non alterano l aggregazione piastrinica né modificano il tempo di sanguinamento 19 e quindi sono decisamente più sicuri in questo tipo di pazienti in cui ovviamente il rischio di sanguinamento è molto più alto. Come tutti i farmaci va infine ricordata la possibile interazione diretta con la farmacocinetica degli anticoagulanti. Per quanto riguarda l etoricoxib, uno studio ha documentato come al dosaggio maggiore (120 mg) questa molecola produca solo un modesto (circa 13%) aumento dell effetto anticoagulante del warfarin, che pur essendo scarsamente significativo nella maggior parte dei pazienti, deve essere comunque tenuto in considerazione 19. Riassumendo Gli antinfiammatori (FANS tradizionali e coxib) rappresentano un ottima opzione terapeutica per il trattamento dei pazienti con patologie osteoarticolari per la loro efficacia. Dal punto di vista della safety i coxib presentano una tollerabilità CV sovrapponibile a quello dei FANS tradizionali ma un profilo di sicurezza gastrointestinale significativamente superiore e non hanno nessuna interferenza con l azione antiaggregante dell ASA. Nella scelta del farmaco antinfiammatorio migliore si dovrà quindi in primo luogo valutare il rischio gastrointestinale e l eventuale uso di ASA. Se vi è un elevato rischio gastrointestinale e/o l uso di ASA il coxib diventa la scelta sicuramente più razionale. Nei pazienti in ASA ad alto rischio gastrointestinale magari sarà utile valutare anche l uso associato dell inibitore di pompa protonica. Nei pazienti cardiopatici (coronaropatici e ipertesi) l uso di FANS e coxib espone verosimilmente i pazienti allo stesso aumento del rischio e pertanto dovrà essere il più limitato nel tempo. Non ha invece alcun senso chiedersi nel paziente con un recente infarto se sia meglio utilizzare un FANS tradizionale o un coxib, l unica scelta razionale è non usare nessuno dei due, esattamente come è stato fatto nello studio MEDAL dove l avere avuto un infarto negli ultimi sei mesi era criterio di esclusione assoluta. Cosa fare in questo caso? Una possibile opportunità è il ricorso a farmaci oppioidi. Farmaci oppioidi o antinfiammatori? La terapia con oppioidi può, come detto, rappresentare una valida alternativa all uso degli antinfiammatori quando questi sono controindicati o non tollerati. Anche gli oppioidi sono tuttavia gravati da frequenti effetti collaterali quali ad esempio nausea e vomito, costipazione, sedazione, ecc., che non sempre pos- Reumatologia 28 dolore osteoarticolare

11 Figura 1. Il confronto in pazienti con dolore post-chirurgico (alluce valgo) dimostra che l etoricoxib è non solo più efficace (maggior numero di pazienti soddisfatti) ma anche più tollerato (minor numero di pazienti che hanno sospeso la terapia, minor numero di pazienti con effetti colaterali). Tutto con una terapia in monosomministrazione quotidiana ** (tratto da Brattwall et al., 2010) 20. sono essere facilmente controllati con la riduzione della dose (e conseguente calo dell efficacia) o con il cambio di molecola. Per questo motivo il loro profilo di tollerabilità non appare essere in assoluto migliore di quello degli antinfiammatori. Un recente lavoro sul controllo del dolore dopo intervento di alluce valgo ha confrontato l efficacia e tollerabilità di un trattamento di 7 giorni con tramadolo (100 mg x 2/die) rispetto a quello per pari giorni con etoricoxib (120 mg/die per i primi 4 giorni seguiti da 90 mg/die per 3 giorni) 20. I pazienti trattati con tramadolo hanno presentato maggiori effetti collaterali (35/49 pazienti in tramadolo vs. 8/49 pazienti in etoricoxib) e maggiore percentuale di sospensione del trattamento (6/49 pazienti in tramadolo vs. 0/49 pazienti in etoricoxib) oltre ad avere una minore efficacia clinica (maggior numero di pazienti insoddisfatti 10/49 in tramadolo vs. 2/49 in etoricoxib; p = 0,03) (Fig. 1). L uso degli oppioidi purtroppo è associato, nella popolazione anziana, anche a un aumento del rischio di frattura significativamente superiore rispetto ai FANS (Fig. 2) 21 (aumento del rischio di caduta), particolarmente evidente per le formulazioni short-acting e soprattutto nelle prime settimane di terapia. Quest ultimo fatto appare particolarmente penalizzante proprio nella gestione del dolore non oncologico come quello osteoarticolare dove la necessità del trattamento antidolorifico in genere è limitato nel tempo. Conclusioni Diverse sono le opzioni terapeutiche a disposizione del medico nella gestione del dolore osteoarticolare. La scelta deve ovviamente essere basata sulle caratteristiche del paziente in termini del rischio di effetti collaterali (rischio gastrointestinale, rischio cardiovascolare, rischio di caduta, uso di ASA, ecc.) ma non può non tener conto anche della necessità di efficacia. In questi termini bisognerà abituarsi a valutare gli antinfiammatori anche in termini di dosi equivalenti senza dimenticare l importanza anche del numero di somministrazioni che in soggetti anziani e spesso già in multiterapia possono rappresentare un importante motivo di inefficacia della terapia. ** L indicazione etoricoxib dolore dopo intervento alluce valgo non è riportata nel Riassunto Caratteristiche Prodotto (RCP). D. Gatti, E. Vantaggiato eumatologia R 29

12 % senza fratture 1 0,99 0,98 0,97 0,96 0,95 0,94 0,93 0,92 0,91 0, Settimane FANS Oppioidi long-acting Oppioidi short-acting Figura 2. L uso degli oppioidi (soprattutto quelli short-acting e nelle prime settimane di terapia) si associa con un aumento significativo del rischio di frattura rispetto agli antinfiammatori (tratto da Miller et al., 2011) 21. Bibliografia 1 Power JD, Perruccio AV, Desmeules M, et al. Ambulatory physician care for musculoskeletal disorders in Canada. J Rheumatol 2006;33: Salaffi F, De Angelis R, Stancati A, et al.; MArche Pain; Prevalence INvestigation Group (MAPPING) study. Health-related quality of life in multiple musculoskeletal conditions: a cross-sectional population based epidemiological study. II. The MAPPING study. Clin Exp Rheumatol 2005;23: Hochberg MC, Altman RD, April KT, et al. American College of Rheumatology 2012 recommendations for the use of nonpharmacologic and pharmacologic therapies in osteoarthritis of the hand, hip, and knee. Arthritis Care Res (Hoboken) 2012;64: Pincus T, Koch G, Lei H, et al. Patient Preference for Placebo, Acetaminophen (paracetamol) or Celecoxib Efficacy Studies (PACES): two randomised, double blind, placebo controlled, crossover clinical trials in patients with knee or hip osteoarthritis. Ann Rheum Dis 2004;63: Chou R, Qaseem A, Snow V, et al., Clinical Efficacy Assessment Subcommittee of the American College of Physicians; American College of Physicians; American Pain Society Low Back Pain Guidelines Panel. Diagnosis and treatment of low back pain: a joint clinical practice guideline from the American College of Physicians and the American Pain Society. Ann Intern Med 2007;147: Sudano I, Flammer AJ, Périat D, et al. Acetaminophen increases blood pressure in patients with coronary artery disease. Circulation 2010;122: Doherty M, Hawkey C, Goulder M, et al. A randomised controlled trial of ibuprofen, paracetamol or a combination tablet of ibuprofen/paracetamol in community-derived people with knee pain. Ann Rheum Dis 2011;70: Rostom A, Muir K, Dubé C, et al. Gastrointestinal safety of cyclooxygenase-2 inhibitors: a Cochrane Collaboration systematic review. Clin Gastroenterol Hepatol 2007;5: Chan FK, Hung LC, Suen BY, et al. Celecoxib versus diclofenac and omeprazole in reducing the risk of recurrent ulcer bleeding in patients with arthritis. N Engl J Med 2002;347: Chan FK, Wong VW, Suen BY, et al. Combination of a cyclo-oxygenase-2 inhibitor and a proton-pump inhibitor for prevention of recurrent ulcer bleeding in patients at very high risk: a double-blind, randomised trial. Lancet 2007;369: Reumatologia 30 dolore osteoarticolare

13 11 Goldstein JL, Eisen GM, Lewis B, et al. Video capsule endoscopy to prospectively assess small bowel injury with celecoxib, naproxen plus omeprazole, and placebo. Clin Gastroenterol Hepatol 2005;3: Goldstein JL, Eisen GM, Lewis B, et al. Small bowel mucosal injury is reduced in healthy subjects treated with celecoxib compared with ibuprofen plus omeprazole, as assessed by video capsule endoscopy. Aliment Pharmacol Ther 2007;25: Chan FK, Lanas A, Scheiman J, et al. Celecoxib versus omeprazole and diclofenac in patients with osteoarthritis and rheumatoid arthritis (CONDOR): a randomized trial. Lancet 2010;376: Dougados M, Simon P, Braun J, et al. ASAS recommendations for collecting, analysing and reporting NSAID intake in clinical trials/epidemiological studies in axial spondyloarthritis. Ann Rheum Dis 2011;70: Patrono C, Baigent C. Low-dose aspirin, coxibs, and other NSAIDS: a clinical mosaic emerges. Mol Interv 2009;9: Cannon CP, Curtis SP, FitzGerald GA, et al.; MEDAL Steering Committee. Cardiovascular outcomes with etoricoxib and diclofenac in patients with osteoarthritis and rheumatoid arthritis in the Multinational Etoricoxib and Diclofenac Arthritis Long-term (MEDAL) programme: a randomised comparison. Lancet 2006;368: ADAPT Research Group. Cardiovascular and cerebrovascular events in the randomized, controlled Alzheimer s Disease Anti-Inflammatory Prevention Trial (ADAPT). PLoS Clin Trials 2006;1:e MacDonald TM, Wei L. Effect of ibuprofen on cardioprotective effect of aspirin. Lancet 2003;361: Bavry AA, Khaliq A, Gong Y, et al. Harmful effects of NSAIDs among patients with hypertension and coronary artery disease. Am J Med 2011;124: Schwartz JI, Agrawal NG, Hartford AH, et al. The effect of etoricoxib on the pharmacodynamics and pharmacokinetics of warfarin. J Clin Pharmacol 2007;47: Brattwall M, Turan I, Jakobsson J. Pain management after elective hallux valgus surgery: a prospective randomized double-blind study comparing etoricoxib and tramadol. Anesth Analg 2010;111: Miller M, Stürmer T, Azrael D, et al. Opioid analgesics and the risk of fractures in older adults with arthritis. J Am Geriatr Soc 2011;59: D. Gatti, E. Vantaggiato eumatologia R 31

14 giugno 2012 volume 7 pagine PAROLE CHIAVE Osteoporosi Fratture T-score BMD gestione delle patologie osteoarticolari: le risposte ai quesiti clinici più frequenti Osteoporosi RIASSUNTO L osteoporosi è una patologia caratterizzata da una ridotta massa ossea e fragilità scheletrica con un conseguente aumento delle fratture. Le fratture osteoporotiche tipiche si verificano in assenza di trauma o a seguito di un trauma minimo. Le più frequenti sono quelle di vertebra, femore e polso. Le fratture vertebrali e soprattutto quelle femorali sono inoltre gravate da elevata morbilità e disabilità 1. Nell articolo si affrontano quesiti pratici, come quali pazienti trattare, quando iniziare il trattamento e la sua durata, e il ruolo della compliance. Quali sono i maggiori fattori di rischio? L eziopatogenesi dell osteoporosi e delle fratture osteoporotiche è multifattoriale. Uno dei fattori di rischio principali è la riduzione della massa ossea (densità minerale ossea, BMD). È noto infatti come alla riduzione del T-score (parametro densitometrico che indica la differenza di massa ossea rispetto alla popolazione giovane e sana) corrisponda un aumento esponenziale dell incidenza di fratture sia vertebrali che non-vertebrali. Un gran numero degli eventi fratturativi si verifica però in soggetti che non sono ancora osteoporotici dal punto di vista densitometrico (cioè con un T-score < -2,5) ma che hanno solo una modesta riduzione della BMD (osteopenia). Molti altri fattori di rischio possono contribuire a determinare un aumento del rischio di frattura. Questi fattori possono agire mediante un effetto sulla massa ossea o in maniera del tutto indipendente dalla BMD (Tab. I). I fattori di rischio più importanti (quelli che hanno dimostrato un maggior grado di evidenza) sono l età e la presenza di una pregressa frattura da fragilità in anamnesi personale o familiare. Anche altri elementi, come ad esempio la menopausa precoce, l abitudine al fumo o all assunzione di alcool, lo scarso apporto di calcio e vitamina D, la presenza di malattie infiammatorie concomitanti (quali artrite reumatoide, spondiloartriti o lupus eritematoso sistemico [LES]) e l uso di corticosteroidi possono concorrere nel determinare il rischio fratturativo del singolo paziente 1 2. Quando iniziare il trattamento/quali sono i pazienti da trattare? Il trattamento dell osteoporosi è finalizzato alla riduzione della frequenza delle fratture. La bassa densità ossea è il determinante principale della predisposizione alle fratture e la valutazione della BMD attraverso la DXA è il metodo di riferimento (secondo indicazioni dell Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS]) per porre diagnosi di osteoporosi (soglia diagnostica per T-score a livello vertebrale o femorale di -2,5). Il valore della BMD è stato anche utilizzato in passato come soglia di trattamento per T-score inferiori a -2 in USA e, in maniera più conservativa, per T-score inferiori a -2,5 in Europa. Il dato Ombretta Viapiana, Alessandro Giollo, Gaia Tripi U.O. Reumatologia, Università di Verona Ombretta Viapiana ombretta.viapiana@univr.it R 32 eumatologia

15 Tabella I. Fattori clinici di rischio di frattura più comuni e livello di evidenza (tratto dalle linee guida SIOMMMS) 1. Fattori di rischio Fattori di rischio di bassa BMD Fattori di rischio per frattura Massa ossea a Età 1 a 1 a Fratture da fragilità 2 1 a dopo i 40 anni Familiarità per 2 2 fratture Terapia steroidea 1 a 1 a cronica Menopausa 1 a 2 precoce (< 45 anni) Peso 1 a 2 Ridotto apporto di 1 a 1 a calcio Ridotta attività fisica 2 2 Fumo 2 1 a Abuso di alcool 2 3 Fattori di rischio per cadute -- 1 a BMD: densità minerale ossea. densitometrico non è tuttavia, da solo, sufficiente per identificare i pazienti che è necessario trattare farmacologicamente (soglia terapeutica). Come visto precedentemente, infatti, altri fattori clinici concorrono a determinare il rischio fratturativo del paziente. In alcuni casi (pregressa frattura osteoporotica di vertebre o femore o utilizzo cronico di cortisonici) il rischio di frattura è talmente elevato da rendere indicato un trattamento farmacologico specifico in maniera indipendente dal dato densitometrico. Appare chiaro quindi che il rischio fratturativo è il risultato dell effetto combinato di diversi fattori di rischio strumentali (il dato densitometrico e/o ultrasonometrico e l aumento del turnover osseo) e clinici (età, stili di vita, comorbilità, terapie osteopenizzanti oltre allo steroide). Per stimare il rischio globale del singolo paziente di andare incontro a una frattura osteoporotica nei successivi 10 anni sono nati vari algoritmi con cui combinare insieme questi due fattori (quello densitometrico e quello clinico). Gli algoritmi attualmente in utilizzo sono il FRAX (Fracture Risk Assessment) 3 e il DEFRA (Derived Fracture Risk Assessment) 4. Entrambi si basano sull elaborazione dei dati pubblicati recentemente dall OMS (WHO Technical Report 2008) di correlazione tra rischio di frattura e numerosi fattori di rischio e forniscono un dato di rischio percentuale che tiene conto anche dell attesa di vita. Il FRAX ha evidenziato alcune criticità: le variabili vengono intese come fattori dicotomici anche quando è nota una gradualità del rischio e non un effetto tutto/niente (ad esempio: cortisone sì/no o fumo sì/no); alcune patologie (osteopenizzanti) vengono escluse dal computo del rischio in quanto rare. Il DEFRA è stato sviluppato dalla Società Italiana dell Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) tenendo conto delle problematiche del FRAX e considerando dose di steroide, numero di sigarette fumate, quantità di alcool assunto, numero delle pregresse fratture vertebrali e di femore e patologie con importante impatto sull osso anche se poco frequenti (ad esempio connettiviti, lupus eritematoso sistemico, spondilite anchilosante ) 1. L algoritmo DEFRA è disponibile online all indirizzo: L uso diffuso degli algoritmi permetterà di garantire un razionale e omogeneo approccio diagnostico e terapeutico dell osteoporosi. Si potrà infatti calcolare il rischio a 10 anni di andare incontro a una frattura osteoporotica maggiore o di femore e stratificare il rischio dei pazienti in basso, medio e alto con uno stesso sistema di misura. Rimane da stabilire (da parte delle autorità sanitarie) il livello di rischio al di sopra del quale considerare un rimborso totale o parziale dell intervento farmacologico. Nel Regno Unito, con differenti percentuali legate anche al costo della molecola considerata, viene generalmente considerato cost-effective il trattamento di un rischio di fratture maggiori osteoporotiche superiori al 20% e di un rischio di fratture di femore superiore al 5% 3 5. In Francia, le ultime linee guida identificano una soglia di rischio differente a seconda dell età della paziente 6. In Italia la nota 79 ha fin dall inizio considerato il rischio delle pregresse fratture osteoporotiche di vertebra e femore (prevenzione secondaria). Successivamente la nota è stata allargata ai pazienti in terapia steroidea cronica (anche in pre- O. Viapiana, A. Giollo, G. Tripi eumatologia R 33

16 Pregresse fratture osteoporotiche vertebrali o di femore Soggetti di età > 50 anni Previsione di corticosteroidi (> 5 mg/die di prednisone o eq.) per più di 3 mesi Ts BMD femore o Ts QUS calcagno -4 o Ts QUS falangi -5 Ts BMD femore o Ts QUS calcagno -3 o Ts QUS falangi -4 Terapia cortisonica cronica Storia familiare di fratture vertebrali e/o di femore Artrite reumatoide e altre connettiviti Pregressa frattura osteoporotica al polso Menopausa prima dei 45 anni Trattamento farmacologico rimborsabile con la nota 79 BMD: densità minerale ossea; QUS: indagine ultrasonografica quantitativa; Ts: T-score. Figura 1. Pazienti che in base a fattori di rischio clinici e dato densitometrico hanno diritto attualmente alla rimborsabilità dei farmaci in nota 79 (tratto da Nota 79, AIFA, 2009) 7. venzione primaria). Più recentemente sono stati invece identificati dei cut-off densitometrici a maggior rischio (Fig. 1) 7. L uso esteso del DEFRA potrebbe identificare i pazienti a basso rischio (a cui consigliare la correzione dell apporto di calcio e vitamina D e un adeguato stile di vita), a medio rischio (da monitorare a più breve intervallo di tempo) e ad alto rischio (in cui un trattamento farmacologico specifico è da ritenersi imprescindibile). Quanto deve durare una terapia? È necessario sospendere il trattamento? Per quanto tempo? Una delle problematiche più attuali è la durata della terapia dell osteoporosi. I farmaci attualmente in nota 79 e i bisfosfonati in particolare, tra i quali l alendronato, hanno dimostrato di essere in grado di ridurre il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali (Fig. 2) 8. Gli studi registrativi (di norma di 3-4 anni) sono stati prolungati a 8-10 anni dimostrando un incidenza di fratture negli ultimi anni del trial confrontabile con quella dei primi anni per la maggior parte delle molecole attualmente in nota Solo due studi tuttavia hanno valutato l efficacia nel ridurre il rischio di frattura a lungo termine in studi randomizzati contro placebo: lo studio FLEX (FIT Long- Term Extension) e lo studio HORIZON (Health Outcomes and Reduced Incidence with Zoledronic Acid Once Yearly Pivotal Fracture Trial), rispettivamente con alendronato e zoledronato. Nei due studi i pazienti che erano stati trattati con alendronato per 5 anni o con zoledronato per 3 anni sono stati randomizzati a placebo o a continuare il trattamento con bisfosfonati Nei pazienti trattati a lungo termine si è ottenuto un mantenimento della densità a livello femorale e un incremento della densità lombare 9. A fronte di queste piccole variazioni del dato den- Reumatologia 34 osteoporosi

17 0 Fratture vertebrali radiologiche Fratture vertebrali multiple (radiologiche) Fratture vertebrali cliniche Qualsiasi frattura clinica Fratture Fratture non vertebrali non vertebrali osteoporotiche Femore Polso RIDUZIONE DEL RISCHIO VS. PLACEBO (%) p < 0, p < 0, p < 0, p < 0, p < 0, p < 0, p < 0, p < 0,001 Figura 2. Alendronato ha ridotto significativamente il rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e di femore (tratto da Black et al., 2000) 8. sitometrico è stata tuttavia osservata una riduzione significativa del rischio di fratture vertebrali cliniche o morfometriche intorno al 50%. In particolare lo studio FLEX ha dimostrato una riduzione del rischio di fratture vertebrali cliniche del 55% e lo studio HO- RIZON ha documentato una riduzione delle fratture vertebrali morfometriche del 49% 12. Se da un lato i dati positivi di efficacia nel ridurre il rischio di fratture osteoporotiche suggerirebbero un trattamento a lungo termine, dall altro la pubblicazione di alcuni report che hanno segnalato l insorgenza di fratture atipiche in sede diafisaria e di osteonecrosi della mandibola in corso di terapia prolungata con bisfosfonati hanno aperto il dibattito sul reale bilancio tra rischi e benefici di queste molecole. Il pronunciamento della FDA (Food and Drug Administration) che ha riconosciuto un profilo favorevole di questi farmaci 13 ha riacceso la discussione su una delle problematiche più controverse degli ultimi anni che rimane la durata ideale del trattamento. Gli ultimi studi pubblicati al riguardo, fra cui il recente Perspective Paper in cui emerge chiaro il posizionamento di FDA , tendono a individualizzare la durata del trattamento sulla base del rischio del paziente singolo. In quest ottica per ottimizzare l efficacia del trattamento con bisfosfonati i pazienti ad alto rischio dopo 3-5 anni di terapia (come ad esempio quelli con BMD femorale < -2,5 o con BMD < -2 e pregressa frattura vertebrale) dovrebbero continuare il trattamento a lungo termine, mentre pazienti a rischio più basso possono essere efficacemente trattati per 3-5 anni e quindi monitorati clinicamente e con la DXA 12. Non si ritiene che la sospensione temporanea del trattamento con anti-riassorbitivi dopo alcuni anni di trattamento (come inteso nella cosiddetta vacanza terapeutica ) possa inficiare l efficacia anti-fratturativa di queste molecole 14. È importante la compliance? La compliance alle terapie croniche è in generale scarsa. L osteoporosi non rappresenta un eccezione a O. Viapiana, A. Giollo, G. Tripi eumatologia R 35

18 questa regola. Gli studi hanno documentato una compliance variabile per i trattamenti per l osteoporosi tra il 50 e il 70% Per quanto riguarda la nostra realtà italiana, lo studio TOP (Treatment of Osteoporosis in clinical Practice), un vasto studio multicentrico, ha evidenziato come quasi il 20% dei pazienti sospenda completamente il trattamento prima della successiva visita di controllo e la metà di questi lo fa entro i primi 6 mesi di terapia 17. Le ragioni di questa ridotta compliance sono molteplici: la difficoltà dello schema terapeutico, gli effetti collaterali, il costo del trattamento, le comorbilità, la pluriterapia e spesso la mancata motivazione del paziente 17. Riguardo a quest ultimo punto, bisogna ricordare come l osteoporosi sia una patologia spesso asintomatica e la mancata comprensione dei motivi per i quali la terapia viene consigliata (per la riduzione del rischio di frattura e non ad esempio per la riduzione di un dolore al rachide concomitante e dovuto all artrosi) può indurre il paziente alla sospensione della stessa. Il problema della ridotta compliance al trattamento è particolarmente rilevante in quanto si traduce in un incremento del rischio di frattura. È stato stimato che una compliance inferiore all 80% comporta un incremento del rischio di frattura del 20% rispetto a chi lo assume correttamente. Questo rischio aumenta quanto più si riduce la compliance stessa (Fig. 3) Tra le caratteristiche del farmaco, oltre all efficacia e alla tollerabilità possono essere rilevanti le modalità di somministrazione. L assunzione settimanale risulta associata a una migliore aderenza rispetto a quella giornaliera. Per contro, dati recenti mostrano come l associazione di vitamina D e alendronato in un unica compressa per somministrazione settimanale rappresenti una strategia vincente, in termini di aderenza alla terapia, rispetto ad altre formulazioni in commercio. In un quadro generale di scarsa permanenza in trattamento a 1 anno (media 43%), alendronato più vitamina D ha fatto registrare il valore migliore, pari al 52% (Fig. 4) 18. È necessario assumere anche la vitamina D e perché? Mantenere un apporto adeguato di vitamina D è il presupposto fondamentale per qualsiasi trattamento per l osteoporosi FRATTURE ,00 HR 2,00 1,00 2,33 2,09 1,26 1,22 0,76 0,64 2,50 1,59 1,01 2,59 1,79 1,24 0, % 50-69% 20-49% < 20% + + COMPLIANCE - - Figura 3. Rispetto ai soggetti con compliance ottimale (> 90%) il rischio di frattura (Hazard Ratio) aumenta al calare della compliance (tratto da Penning-van Beest et al., 2008) 15. Reumatologia 36 osteoporosi

19 Numerosi studi hanno infatti dimostrato come la somministrazione di vitamina D in dosi adeguate (superiori o uguali alle UI/die), ottenendo valori soglia di nmol/l, sia in grado di per sé di ridurre il rischio di fratture non vertebrali. Bisogna inoltre ricordare come i risultati osservati nei trial clinici registrativi di tutti i farmaci disponibili nella nostra farmacopea per l osteoporosi siano stati ottenuti associando una supplementazione adeguata di calcio e vitamina D e come in alcuni di questi trial uno dei criteri di inclusione fosse l avere un adeguato livello di vitamina D 2. Questo significa che l efficacia dei farmaci è aggiuntiva rispetto al solo trattamento con calcio e vitamina D. Il calcio e la vitamina D sono disponibili in Italia in varie formulazioni. L aderenza a questi preparati è tuttavia scarsa per la ridotta tollerabilità gastrointestinale del calcio che può comportare frequentemente stitichezza, epigastralgia, nausea, senso di ripienezza gastrica. Questo può inficiare anche l apporto di vitamina D È stato chiaramente documentato proprio in Italia come questo tenda a vanificare sia gli effetti densitometrici che quelli anti-fratturativi dei farmaci per l osteoporosi 19. In uno studio retrospettivo in donne anziane osteoporotiche trattate con anti-riassorbitivi con buona compliance alla terapia (> 75%) è stata infatti dimostrata un associazione inversa tra i livelli di vitamina D e le variazioni densitometriche a un anno sia a livello della colonna sia del femore. Il dato più rilevante è che questa mancata efficacia densitometrica si traduce anche in un significativo aumento del rischio di frattura: i soggetti con deficit di vitamina D presentavano un incidenza annualizzata di fratture (corretta per tutti i possibili fattori confondenti) del 77% maggiore rispetto alle donne con livelli di 25(OH)D superiori a 20 (Fig. 5). È quindi sempre necessario garantire un apporto adeguato di vitamina D al fine di assicurare una 100 PAZIENTI ANCORA IN TERAPIA (%) GIORNI Risedronato + calcio Risedronato 35 mg Risedronato 5 mg Alendronato 10 mg Alendronato 70 mg Ibandronato cpr Etidronato + calcio Raloxifene Alendronato Ranelato di stronzio Media + vitamina D Figura 4. L associazione di vitamina D e alendronato in un unica compressa per somministrazione settimanale ha fatto registrare la maggiore permanenza in terapia a 1 anno rispetto alle altre formulazioni in commercio (tratto da Netelenbos et al., 2011) 18. O. Viapiana, A. Giollo, G. Tripi eumatologia R 37

20 SOGGETTI SENZA DEFICIT DI VITAMINA D SOGGETTI CON DEFICIT DI VITAMINA D NON CORRETTO CORRETTO PER ETÀ E TRATTAMENTO CORRETTO PER FATTORI MULTIPLI 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,4 2,6 2,8 3,0 INCIDENZA ANNUALIZZATA DI FRATTURE (RISCHIO RELATIVO CON IC 95%) Figura 5. Rischio relativo con intervallo di confidenza al 95% dell incidenza di fratture in soggetti con deficit di vitamina D rispetto a donne con livelli di vitamina D adeguati. Viene qui presentato il dato non corretto, corretto per età e per il trattamento e corretto anche per tutti gli altri fattori confondenti (età, tipo di trattamento, pregresse fratture cliniche, durata del follow-up, intake di calcio, peso) (tratto da Adami et al. 2009) 19. risposta terapeutica massimale (sia in termini densitometrici sia anti-fratturativi) con il trattamento con anti-riassorbitivi. Questo risultato può essere ottenuto o tramite la supplementazione settimanale/mensile con vitamina D oppure utilizzando le formulazioni combinate (alendronato + vitamina D) che permettono con un unica somministrazione di risolvere entrambi i problemi. In uno studio clinico randomizzato, condotto su donne con OP postmenopausale (BMD < 2,5 in assenza di frattura pregressa o < 1,5 con fratture) e carenza di vitamina D, l associazione fissa è stata confrontata in aperto con le terapie standard scelte dal medico curante 20. Le percentuali di pazienti con livelli di 25(OH)D inferiori a 20 ng/ml, omogenee al basale, sono state significativamente inferiori (p < 0,001) nel gruppo ALN/D5600 rispetto ai controlli, sia a 6 mesi sia a 1 anno (Fig. 6). Solo il 24% delle pazienti in terapia con standard care assumeva dosi di vitamina D > 800 UI/die. A questo dato corrispondono una maggiore soppressione dei marcatori di turnover osseo e specularmente un maggiore incremento densitometrico. Le percentuali di incremento nei valori di BMD, sia a livello lombare (Fig. 7A) sia a livello del femore prossimale (Fig. 7B), risultavano significativamente superiori nelle pazienti che assumevano l associazione ALN/D5600 rispetto alla popolazione di riferimento 20. In base ai risultati di questo studio si può quindi concludere che l associazione fissa ad assunzione settimanale di 70 mg di alendronato e unità internazionali di vitamina D garantisce una riduzione del numero di soggetti con carenza vitaminica e incrementi della DMO lombare e femorale superiori rispetto a quelli ottenibili con la terapia abitualmente prescritta dal medico nella clinica quotidiana. Reumatologia 38 osteoporosi

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