Executive Summary Rapporto 2012

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1 Osservatorio AUB su tutte le aziende familiari italiane di medie e grandi dimensioni Executive Summary Rapporto 2012 a cura di Guido Corbetta, Alessandro Minichilli e Fabio Quarato Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari, Università Bocconi Premessa L Osservatorio AUB, promosso da AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), dal gruppo UniCredit, dalla Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari dell Università Bocconi e dalla Camera di Commercio di Milano prosegue il monitoraggio avviato con la prima edizione 2009 delle strutture, delle dinamiche e delle performance di tutte le aziende familiari italiane con ricavi superiori a 50 milioni di Euro. 1 Giunto alla quarta rilevazione annuale, l Osservatorio AUB intende approfondire alcune delle principali evidenze emerse nelle precedenti edizioni, cercando altresì di fornire un quadro interpretativo sempre più articolato e aggiornato sulla realtà delle medie e grandi aziende familiari del nostro Paese. 1 Fonte: AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane). 1

2 1. Le aziende italiane oltre la crisi a. Cambiamenti nella popolazione di riferimento La popolazione di aziende italiane di medie e grandi dimensioni monitorata dall Osservatorio AUB si compone alla fine del 2010 di aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro. 2 In termini di assetto proprietario, si conferma la natura prevalente della proprietà familiare, con aziende a controllo familiare (pari al 56,9%, in linea con gli anni precedenti). 3 Seppur in un quadro di stabilità, si osservano alcune dinamiche di interesse nella popolazione di riferimento. In particolare, rispetto alla rilevazione precedente dell Osservatorio AUB si registra un aumento di 289 aziende, di cui oltre la metà a controllo familiare, e una conseguente inversione di tendenza rispetto alla contrazione che aveva invece caratterizzato il Anche con riferimento alle aziende familiari monitorate dall Osservatorio AUB, 4 si assiste ad un aumento complessivo di 159 unità rispetto all anno precedente. Seppur contenuto, questo aumento nasconde un cambiamento pari al 25% della popolazione monitorata: 402 aziende sono state infatti censite per la prima volta (avendo sperimentato una crescita del fatturato), mentre 243 aziende sono uscite dalla popolazione dell Osservatorio AUB. 5 Questo turnover, certamente inferiore a quello rilevato nel 2009 (39,2%), indica come da un lato vi sia una tendenza alla stabilizzazione nella dinamica di crescita, mentre dall altro persista ancora un processo di selezione indotto dalla crisi finanziaria. Al contempo, i dati confermano come le aziende familiari rappresentino sempre più un volano importante per la nostra economia anche in termini occupazionali: il peso dei dipendenti impiegati dalle medie e grandi aziende familiari sul totale delle società di capitali presenti in Italia è passato dal 27% nel a quasi il 31% nel b. Analisi delle performance economico-finanziarie La disponibilità di dati ormai completi sull ultimo decennio ( ) 7 consente come di consueto alcune riflessioni più ampie rispetto all atteggiamento e alle risposte delle diverse classi di aziende durante la crisi. i) L analisi congiunta dei diversi indicatori di crescita, redditività e indebitamento mostra un quadro piuttosto variegato delle performance conseguite dalle medie e grandi aziende italiane. In particolare, suddividendo la popolazione in base alla natura della proprietà, si nota come alcune classi di aziende 2 L analisi è stata realizzata su aziende delle totali con fatturato superiore a 50 milioni di euro nel 2010, poiché per 64 aziende non si hanno informazioni attendibili sulla natura della proprietà (Fonte: Aida). 3 Sono considerate familiari le società controllate da una o due famiglie almeno al 50% (se non quotate) e almeno al 25% (se quotate), o da una entità giuridica a sua volta riconducibile ad una delle due situazioni sopra descritte. Il controllo familiare è stato definito attraverso l analisi della struttura proprietaria di ciascuna delle aziende considerate, utilizzando i dati Consob per le aziende quotate e i dati AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane) per le aziende non quotate. Per le informazioni sugli organi sociali sono state utilizzate le visure camerali storiche rese disponibili dalla Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato (CCIAA) di Milano. 4 Al fine di evitare duplicazioni nei dati, sono state eliminate le aziende controllate nel caso di gruppi monobusiness e le società capogruppo (spesso holding finanziarie) nel caso di gruppi multibusiness. 5 Si tratta di aziende non più incluse nella popolazione di riferimento per tre ordini di motivi: i) una contrazione dei ricavi di vendita al di sotto della soglia dei 50 milioni di Euro; ii) l avvio di una procedura concorsuale, di scioglimento o di liquidazione; iii) il coinvolgimento in operazioni di M&A. 6 I dipendenti impiegati dalle aziende familiari sono pari a 3,2 milioni, contro un totale di 9,5 milioni di dipendenti registrati da tutte le società di capitali presenti in Italia alla fine del 2010 (Fonte: Aida). 7 I dati 2011 rappresentano una proiezione basata sul 65% circa della popolazione

3 abbiano goduto di una certa protezione rispetto alla crisi, mentre altre siano state esposte in modo più marcato ai suoi effetti. 8 Tra le prime rientrano sicuramente le aziende a controllo statale, probabilmente per via della loro presenza in business meno esposti alla competizione internazionale; tra le seconde, invece, si osserva il caso delle aziende controllate da un private equity, che mostrano un gap di redditività sia in termini di ROI 9 (pari a -3,0 punti, in media, nell ultimo decennio), sia in termini di ROE 10 (pari a -13,3 punti, in media, nell ultimo decennio). Questa tendenza, peraltro costante nell intero decennio e non determinata dalla difficile congiuntura economica degli ultimi anni, potrebbe essere la conseguenza della scelta dei fondi di private equity di investire in aziende con un potenziale di valore ancora inespresso e di dotarsi di strutture finanziarie caratterizzate da debito elevato. Le filiali di multinazionali, invece, pur mostrando una buona redditività (di poco inferiore alle aziende statali, sia in termini di ROE che di ROI), rappresentano la classe di aziende cresciuta meno nel decennio Tale gap di crescita, contrariamente ad ogni aspettativa, sembra essersi generato nella prima metà del decennio analizzato, e non durante la recente crisi finanziaria. ii) In questo scenario, come già evidenziato dai dati dello scorso anno, le aziende familiari sono quelle che hanno risentito con maggiore intensità gli effetti dell annus horribilis (il 2009), pur avendo cavalcato meglio la fase di ripresa dell economia nel Secondo i dati dell Osservatorio AUB, le aziende familiari hanno chiuso il 2010 con un tasso di crescita del 12,5% - superiore a tutte le altre classi di aziende più che compensando la battuta d arresto subita nel 2009 (-9,1%). Anche il tasso di crescita del 2011 (4,6%), seppur tornato ai livelli del 2008, è nel suo complesso superiore alla media delle aziende non familiari. Considerazioni parzialmente differenti sembrano emergere dall analisi dei dati reddituali. Osservando la dinamica del ROI nell ultimo decennio è possibile notare come, fino a tutto il 2007, le aziende familiari abbiano mantenuto un gap (positivo e costante) di redditività nei confronti di tutte le altre classi di aziende pari, in media, a oltre due punti. Tale divario, a partire dal 2008, si è ridotto, fino a restringersi a 0,6 punti alla fine del Sempre in termini di ROI, le performance delle aziende familiari si sono allineate nell ultimo biennio a quelle delle filiali di multinazionali (-0,2 punti), mentre si sono ridotte rispetto alle aziende statali (-0,8 punti nel 2010 e -2,1 punti nel 2011), l unica classe di aziende caratterizzata da un incremento di redditività rispetto al periodo pre-crisi (dal 6,8% nel 2007 al 9,4% nel 2011). Molto simile appare anche la dinamica del ROE. Dopo la caduta di ben 5,7 punti tra il 2007 e il 2009, la redditività del capitale netto è tornata in linea con il novero delle aziende non familiari (ROE pari al 5,9% nel 2011, contro il 6,5% delle non familiari). Anche in questo caso, la media delle aziende non familiari nasconde una variabilità ancora più ampia tra le diverse classi di aziende, con tutta probabilità in conseguenza di differenti scelte di struttura finanziaria da parte della proprietà (ai due estremi, -6,9% il ROE delle aziende controllate da un private equity e +8,6% il ROE delle aziende statali nel 2011). Strettamente collegate sono le considerazioni sulla capacità di ripagare il debito, misurata dal rapporto PFN/EBITDA. La dinamica di tale rapporto mostra un graduale peggioramento della capacità di far fronte ai propri impegni di pagamento a partire dal 2007, che raggiunge il suo picco nel 2009 (6,3) e rimane nell intorno di tale valore anche nei due anni successivi. Seppur nel triennio il rapporto PFN/EBITDA si attesti su valori particolarmente elevati, soprattutto in relazione alla media delle aziende non familiari (con un rapporto PFN/EBITDA pari a 5,3 nel 2010), tale dato sembra essere controbilanciato 8 A tal proposito, non sono state considerate le aziende cooperative le quali, seppur nella forma di società di capitali, seguono logiche parzialmente differenti nello svolgimento dell attività economica rispetto alle altre classi di aziende, per cui i dati contenuti nel bilancio d esercizio potrebbero non essere comparabili. 9 ROI = Reddito operativo / Capitale investito (Fonte: Aida). 10 ROE = Reddito netto / Patrimonio netto (Fonte: Aida). 3

4 dalla (bassa) percentuale di aziende con EBITDA negativo (appena il 3,6% nel 2010 e il 5,2% nel 2011, contro l 8,4% e il 10% rispettivamente, nel 2010 e nel 2011, per le aziende non familiari). iii) Le differenze di redditività del capitale netto aprono la strada a considerazioni più articolate sulla struttura finanziaria e sulla sua evoluzione nelle diverse classi di aziende. Come logico attendersi, le aziende cooperative da una parte e le aziende controllate da un private equity dall altra, seppur per motivi molto differenti (le prime per la particolare natura dei conferenti del capitale di rischio, i secondi per l utilizzo del cosiddetto leveraged buy-out come strumento per le operazioni di acquisizione), mostrano una struttura patrimoniale caratterizzata da un maggior grado di tensione finanziaria. A seguire troviamo le coalizioni e le filiali di multinazionali: un maggior ricorso al capitale di prestito è spiegabile, per le prime, da una compagine sociale meno coesa, e dunque meno disposta a rinunciare al dividendo o ad aderire ad aumenti di capitale in una visione di lungo termine; per le seconde, da un maggior accesso al credito per via dell appartenenza ad un gruppo multinazionale di maggiori dimensioni e con un più elevato grado di diversificazione, almeno geografica. Di converso, le aziende a controllo familiare sono quelle meno indebitate, e dunque meno dipendenti dal capitale di terzi. In particolare, osservando l evoluzione del rapporto di indebitamento nell ultimo quinquennio, si nota come tale rapporto si sia notevolmente ridotto, passando da 7,1 nel 2007 a 5,6 nel Tale valore, inferiore di circa due punti rispetto alla media delle aziende non familiari, è il più basso dal 2001 ad oggi, e trova spiegazione nell analisi delle sue determinanti: nelle aziende familiari la crescita del patrimonio netto è stata costantemente superiore alla crescita delle attività aziendali. Tale tendenza, seppur in qualche caso potrebbe essere determinata da una contrazione degli investimenti, in termini generali testimonia la forte attenzione rivolta dalle aziende familiari al rafforzamento della solidità patrimoniale, destinando in modo costante nel tempo una parte della redditività generata all autofinanziamento del proprio percorso di crescita. Se in periodi normali un ricorso eccessivo al capitale di prestito potrebbe comportare limiti significativi all autonomia decisionale della famiglia, in fasi congiunturali negative, e complici anche le forti pressioni derivanti dal sistema finanziario, l ingresso di nuovi interlocutori nella compagine proprietaria potrebbe diventare una prospettiva concreta. Il timore di perdere la propria autonomia decisionale, o addirittura il controllo dell azienda, può aiutare a comprendere le ragioni di un percorso di riduzione del rapporto di indebitamento intrapreso negli ultimi anni dalle aziende familiari. iv) Le aziende familiari hanno mostrato nell ultimo decennio risultati in termini di crescita e redditività mediamente superiori rispetto alle altre classi di aziende, 11 seppur più attenuati negli ultimi anni di crisi. Tuttavia, ulteriori approfondimenti hanno mostrato una variabilità di risultati molto marcata all interno delle aziende familiari, ed in particolare tra aziende appartenenti a settori differenti. Concentrando l attenzione sul periodo , si nota come le sollecitazioni della crisi siano state meno accentuate per i settori delle costruzioni e del real estate, caratterizzati già in precedenza da una marginalità inferiore. Al contrario, i settori più colpiti dalla crisi sono stati il manifatturiero e i trasporti (rispettivamente -3,3 e - 3,2 punti di ROI), caratterizzati prima della crisi da una redditività più elevata, ma probabilmente anche i più esposti alla competizione internazionale (i primi) e dipendenti dalla domanda interna (i secondi). In sintesi, le aziende familiari sembrano aver reagito con decisione alla crisi che ha colpito il nostro Paese all inizio del 2008: nonostante tutte abbiano sofferto pesantemente gli effetti della crisi, la maggior parte di esse ha saputo resistere continuando a creare ricchezza e a garantire occupazione (+1,8% nel 2010), a testimonianza di un tessuto produttivo sano e vitale. 11 ROI e ROE mediamente superiori di 1,5 punti e 1,7 punti rispetto alle aziende non familiari. 4

5 c. Confronto con le aziende industriali monitorate da Mediobanca e Cerved I dati dell Osservatorio AUB sulle aziende familiari si prestano ad alcuni confronti con le aziende industriali del Paese monitorate da altri importanti istituti di ricerca. Tra questi, è possibile citare Mediobanca, con il rapporto 2012 sui Dati cumulativi di società italiane, 12 e Cerved Group, con il rapporto su tutte le società di capitali italiane. 13 Dai dati di confronto con Mediobanca (limitatamente al periodo ), 14 è possibile notare come le aziende familiari dell Osservatorio AUB abbiano registrato tassi di crescita in linea con le medie e grandi aziende industriali italiane, se non più elevati (9,4% versus 7,9% nel 2010). Con riferimento alle performance reddituali, si evince come le aziende familiari abbiano invece mostrato performance migliori, in media, nell intero decennio, risentendo però in misura superiore della crisi nel biennio Il profilo patrimoniale evidenzia invece una situazione meno solida per le aziende familiari, da ricondurre principalmente alla presenza di aziende di minori dimensioni nell Osservatorio AUB. I dati che emergono dal confronto con il rapporto Cerved Group, 15 che può essere considerato un ulteriore benchmark appropriato per l Osservatorio AUB, 16 appaiono ancora più confortanti. Sia in termini di crescita che di redditività, ma soprattutto di valore aggiunto, i dati mostrano una maggiore capacità di ripresa da parte delle aziende familiari. 2. I modelli di governo e le performance: le evidenze dell Osservatorio AUB Come già evidenziato nella precedente edizione dell Osservatorio AUB, le aziende familiari si caratterizzano per una grande varietà di modelli di governo, seppur in lenta evoluzione nel decennio appena trascorso. Sulla base dell esperienza fin qui appresa dall Osservatorio AUB, è possibile ricondurre tale varietà a tre differenti modelli: a) le aziende con un Amministratore Unico (il 18,2% dei casi); b) le aziende con una leadership individuale, caratterizzate dalla presenza di un Consiglio di Amministrazione (CdA) a supporto della figura del leader aziendale, alternativamente rappresentato da un Presidente Esecutivo o da un Amministratore Delegato (il 47,0%); c) le aziende guidate da due o più Amministratori Delegati, con funzioni e deleghe di simile ampiezza (il 34,8%). Partendo da queste evidenze, è possibile trarre alcune considerazioni di carattere più generale. i) La grande varietà dei modelli di governo dimostra la continua ricerca da parte delle aziende familiari del giusto fit tra modello di governo e strategia aziendale. Dall esperienza passata e presente dell Osservatorio AUB appare chiaro come i modelli di governo semplici siano più adatti a strategie semplici, mentre i modelli più complessi si addicano ad aziende con ambizioni di crescita, o con compagini proprietarie più articolate. In particolare, si evince come a ciascun modello di governo corrispondano 12 Il rapporto monitora tutte le aziende con oltre 500 dipendenti e un sesto delle aziende di medie dimensioni (ossia con meno di 500 dipendenti e un fatturato non superiore a 330 milioni di euro), per un totale di imprese. 13 Ogni anno Cerved Group pubblica un rapporto con i dati di bilancio di una popolazione di società di capitali, rappresentativa dell universo delle imprese esistenti in Italia. In particolare, i rapporti 2008 e 2009 sono realizzati su circa bilanci, il rapporto 2010 su circa bilanci e il rapporto 2011 su circa bilanci; 14 Gli indicatori sono stati calcolati sulla base dei valori cumulati delle poste di bilancio presentate nell indagine Mediobanca. Tale metodologia di calcolo, utilizzata anche per le aziende dell Osservatorio AUB al fine di rendere comparabili le analisi, ha condotto in alcuni casi a risultati parzialmente differenti da quelli presentati nella sezione precedente del rapporto. 15 Per uniformità di calcolo con il rapporto Cerved Group, tutti i dati riportati in questa sezione sono relativi ai valori mediani delle aziende dell Osservatorio AUB. 16 I confronti sono stati operati anche con le aziende con ricavi superiori a 50 milioni di euro per renderli comparabili con l Osservatorio AUB. 5

6 alcune caratteristiche peculiari: a) i modelli con un AU sono tipici delle aziende di minori dimensioni, con una compagine sociale ristretta (meno di tre soci) e nella maggior parte dei casi legati alla figura del fondatore, ragione principale per la quale realizzano performance mediamente superiori alla media; b) i modelli con una leadership individuale sono diffusi in prevalenza nelle aziende più grandi, con una compagine sociale meno ristretta (costituita in media da 5 soci), e sono caratterizzati da una maggiore apertura verso i consiglieri non familiari; c) i modelli con una leadership collegiale sono diffusi in prevalenza tra le aziende di medie dimensioni, dove si rileva una compagine sociale allargata (con un numero di soci superiore a 8), ma spesso (nel 42,5% dei casi) con un team di vertice aperto a un Amministratore Delegato non familiare. La concentrazione della compagine proprietaria sembra dunque essere uno dei fattori determinanti per la scelta tra un modello di leadership individuale o collegiale da parte della famiglia proprietaria: il peso della leadership collegiale passa dal 15,2% nelle aziende con una compagine proprietaria molto concentrata al 43,7% nelle aziende con una compagine proprietaria allargata. 17 ii) Nonostante le aziende familiari siano la forma proprietaria con performance migliori, si rileva come a fronte di una elevata varietà di assetti di governo corrispondano differenti risultati economico-finanziari. Anche in questo caso, partendo da alcuni risultati consolidati nell Osservatorio AUB, è possibile confermare alcune tendenze relative ai due principali modelli di governo. 18 In particolare, mentre i modelli di leadership collegiale presentano, almeno fino al 2008, performance inferiori al modello individuale, a partire dal 2009 si assiste ad una inversione di tendenza, con una leadership collegiale in grado di generare una redditività superiore rispetto ai modelli più semplici (+2,1 punti in termini di ROE nel 2010). Anche se l analisi dei dati impone cautela nell interpretazione del fenomeno, è possibile rilevare che nei periodi post-crisi la superiorità della leadership individuale è quantomeno messa in discussione. 19 Questi risultati indicano come le differenze medie di performance non siano necessariamente generalizzabili, richiedendo opportuni approfondimenti e contestualizzazioni. Nel caso specifico, i migliori risultati osservati negli anni recenti dal modello di leadership collegiale possono far pensare che la sfida non sia soltanto quella di comprendere quali siano le caratteristiche dell azienda più adatte ad uno specifico modello di governo, ma anche di apprendere (a livello proprietario come a livello organizzativo) come gestire nel modo più efficace possibile i modelli di governo più complessi. iii) L impatto dei modelli di governo sulle performance dipende dal tipo di azienda. Ulteriori indicazioni sulle performance economico-finanziarie emergono laddove si consideri il differente impatto che può avere un leader familiare o non familiare in aziende con differenti modelli di governo. Partendo da alcune considerazioni già formulate nella precedente edizione dell Osservatorio 20 si è cercato di realizzare un ranking dei modelli di governo, che prenda in considerazione simultaneamente il grado di complessità dell azienda (dal punto di vista proprietario e di governo) e la familiarità del leader. In tal senso, se da un lato viene confermato come i leader familiari facciano (molto) bene alle loro aziende, 21 seppur con alcune 17 Le classi di concentrazione della proprietà sono state definite dividendo in quartili l indice di contrazione della proprietà (indice di Herfindahl). 18 In questa sede, per la particolarità del modello di governo sono state tralasciate le aziende con un AU. 19 Una minore performance da parte dei modelli di leadership individiuale si rileva anche nel biennio successivo alla crisi del Ad una prima analisi, si evince come i leader esterni alla famiglia di controllo generino performance mediamente inferiori, sia nei modelli individuali che in quelli collegiali. Tale evidenza, peraltro, trova riscontri positivi anche durante gli ultimi anni di analisi ( ), più sollecitati dalla crisi economica. 21 Rapporto AUB 2010 su tutte le aziende familiari di medie e grandi dimensioni, pg 14. 6

7 differenze, 22 dall altro si evidenzia come l impatto di un leader non familiare sulle performance possa essere molto differente in base al tipo di azienda. Come il ranking dei modelli di governo dimostra, mentre l inserimento di un leader familiare apporta risultati economico-finanziari sostanzialmente indifferenti al modello in essere, l inserimento di un leader esterno appare molto più dipendente dal tipo di azienda, sia in termini di concentrazione della proprietà che di modello di leadership. In particolare, la leadership non familiare può garantire un apporto fondamentale nelle aziende con una compagine sociale allargata, ma generare attriti quando la proprietà risulti molto concentrata, soprattutto nei casi in cui un leader non familiare non sia inserito all interno di un team. La coesione con la famiglia proprietaria, dunque, si rileva spesso più importante dell apporto di (nuove) competenze da parte di figure esterne alla famiglia. iv) L analisi congiunta delle evidenze finora apprese dall Osservatorio AUB dimostra quanto sia complesso e delicato il tema dell inserimento di manager non familiari in un azienda familiare. Tali riflessioni si inseriscono nel dibattito di grande attualità sulla necessità di aprire gli organi di governo a professionalità esterne alla famiglia. I primi risultati dell Osservatorio AUB consentono di affermare come le famiglie imprenditoriali del nostro Paese, prima di ogni altra cosa, dovrebbero riflettere attentamente sulle caratteristiche della propria azienda e sulle sue specificità. Si osserva infatti come l inserimento di un manager non familiare possa essere di beneficio in alcuni contesti, ma allo stesso tempo presentare alcuni fattori di rischio che occorre conoscere e presidiare. A tal proposito, si osserva come le famiglie già abituate ad una leadership non familiare sembrano beneficiarne più delle altre, dimostrando come le aziende familiari possano (e debbano) imparare a gestire anche le criticità che possono sorgere in alcune fasi di passaggio o di transizione di un azienda familiare. 3. Le transizioni necessarie nelle aziende familiari a. Monitorare il grado di complessità nei modelli di vertice La varietà dei modelli di governo sopra discussa sembra discendere da una evoluzione seppur lenta che ha caratterizzato le aziende familiari dell Osservatorio nell ultimo decennio osservato. In particolare, durante il periodo considerato, oltre il 50% delle aziende familiari ha cambiato il proprio modello di governo: il 32,2% muovendosi verso un modello di governo più complesso (partendo da uno più semplice), 23 e il 18,6% verso un modello di governo più semplice (partendo da uno più complesso). 24 Ipotizzando che le aziende familiari adottino modelli di governo più complessi al crescere della complessità aziendale (organizzativa o proprietaria), è possibile notare come le aziende che hanno affrontato un cambiamento in senso involutivo rispetto a quelle che hanno affrontato un cambiamento in senso contrario (o evolutivo ), siano notevolmente aumentate nella seconda metà del decennio, ed in particolare nell ultimo biennio. Se in una fase congiunturale positiva, come quella attraversata fino al 2007, molte aziende familiari hanno accettato la sfida di far evolvere il proprio modello di governo, durante gli ultimi anni di crisi economico-finanziaria tale trend si è interrotto e molte famiglie imprenditoriali hanno preferito rimandare tale sfida a tempi migliori o, in alcuni casi, ritornare sui propri passi. Questi risultati appaiono ancora più comprensibili ove si consideri che il passaggio ad una leadership collegiale ha rappresentato, per molte famiglie imprenditoriali, il momento di apertura verso leader esterni 22 Si rileva, ad esempio, come i leader familiari siano in maggior difficoltà nelle aziende con un assetto proprietario più frammentato. 23 I cambiamenti verso modelli di governo più complessi possono essere di tre tipi: 1) da un AU a una leadership individuale; 2) da una leadership individuale ad una leadership collegiale; 3) da un AU ad una leadership collegiale. 24 I cambiamenti verso modelli di governo più semplici, del tutto speculari ai precedenti, sono: 1) da una leadership collegiale ad una individuale; 2) da una leadership individuale ad un AU; 3) da una leadership collegiale ad un AU. 7

8 alla famiglia: 146 aziende delle 424 totali (ossia il 35% circa) hanno inserito (almeno) un secondo AD non appartenente alla famiglia proprietaria. In altre parole, la sfida di apprendere come gestire nel modo più efficace un modello di governo più complesso è spesso legata ad un altra sfida, quella dell apertura all esterno. Ponendo l attenzione su uno dei cambiamenti più frequenti all interno delle aziende familiari, ossia il passaggio da una leadership individuale ad una collegiale, si evince come tale cambiamento produca risultati mediamente negativi allorquando affrontato in aziende di prima generazione. Tale risultato è probabilmente dovuto alla eccessiva dipendenza dalla figura carismatica del suo leader (in molti casi anche fondatore), che lascia spesso impreparate le aziende di prima generazione ad un cambio di leadership che porti le leve del comando in mano a più persone. b. Evitare la convivenza (a tutti i costi) tra generazioni Le aziende con una leadership collegiale possono essere guidate da Amministratori Delegati coetanei (o quasi) oppure caratterizzati da un divario di età più o meno ampio. Sulla base della differenza di età tra l AD più anziano e l AD più giovane sono stati identificati i team composti da membri della stessa generazione ( intragenerazionali ) o da generazioni differenti ( intergenerazionali ). 25 La probabilità che nel team di vertice convivano generazioni differenti sembra correlata alla longevità aziendale, ma ancor di più alla numerosità del team. Inoltre, così come la diffusione della leadership collegiale, anche i team intergenerazionali registrano marcate differenze nelle diverse aree del Paese: le regioni e le province con una elevata diffusione del modello collegiale sono anche quelle con un incidenza maggiore dei team intergenerazionali. Dall analisi dei dati di performance si evince inoltre come i team intergenerazionali generino risultati reddituali meno positivi dei team intragenerazionali. Tale dato induce a ritenere che la convivenza tra generazioni differenti nel team di vertice possa produrre, in alcuni casi, conflitti tra membri della famiglia con poteri paritari, con un impatto negativo sulle performance. 26 Tali conflitti, in alcuni casi, possono essere mitigati dall ingresso di un leader non familiare nel team. Nei team intergenerazionali composti soltanto da membri della famiglia che cooptano un membro non familiare, si registrano infatti performance reddituali in rapida ascesa nel triennio successivo. Tale dinamica induce a ritenere che l ingresso di un leader non familiare possa servire a risolvere (e in molti casi anche a prevenire) conflitti tra leader appartenenti a generazioni differenti alla guida dell azienda. c. Pianificare la successione al vertice (prima che sia troppo tardi) Nonostante una accelerazione del ricambio al vertice nel 2009, quale probabile risposta alla crisi, anche il dato del 2010 conferma come nell ultimo decennio le successioni al vertice siano rimaste confinate nell intorno di un ricambio fisiologico. Inoltre, tale accelerazione sembra interessare soltanto le aziende in maggiore difficoltà, come testimoniano i dati sulle successioni al vertice avvenute nelle aziende con performance (ROE) negative. Tale fenomeno è indice di un processo quantomeno non programmato. Questa difficoltà nel preparare per tempo la successione al vertice sembra affliggere in misura superiore le aziende di prima generazione: l anzianità di servizio del leader è più elevata rispetto a quella di 25 Le generazioni sono state definite utilizzando un intervallo temporale di 25 anni quale discrimine tra una generazione e la successiva. 26 Nel 61% dei casi, i team intergenerazionali sono composti soltanto da membri della famiglia proprietaria. 8

9 aziende di seconda e terza generazione (oltre che in crescita nel decennio appena trascorso). 27 Tale fenomeno mette in evidenza come il ricambio generazionale venga affrontato con maggior ritardo nelle aziende di prima generazione. Come già evidenziato nelle precedenti edizioni dell Osservatorio, analizzando la relazione tra età del leader e risultati conseguiti dall azienda, si assiste ad un sensibile peggioramento delle performance a partire dai 60 anni, e in modo particolare oltre i 70. Tali dati risultano amplificati per i fondatori, sia in termini di resistenza alla crescita (-1,8 punti, contro -0,8 per le generazioni successive di ultrasettantenni) che di redditività del capitale netto (-3,0 punti, contro -1,6 per le generazioni successive di ultrasettantenni). Tutto ciò testimonia l urgenza, soprattutto per le aziende che si accingono a farlo per la prima volta, di pianificare il ricambio al vertice prima che sia troppo tardi. Peraltro, la successione di un leader familiare si rivela molto più traumatica per le aziende di prima generazione: la sostituzione di un leader familiare, sia l entrante un familiare o meno, provoca sempre una caduta nelle performance aziendali (-2,2 punti di ROI nel caso in cui l entrante sia un non familiare, e -1,8 punti di ROI nel caso l entrante sia un familiare). d. Aprire ai giovani Sebbene i dati dell Osservatorio AUB confermino che i leader giovani (con età inferiore a 50 anni) conseguono risultati sensibilmente superiori alla media, la loro presenza risulta in calo nel decennio appena trascorso, passando dal 33,6% nel 2001 al 26,9% nel Con la presente edizione dell Osservatorio si è voluto approfondire quali caratteristiche abbiano le aziende che hanno deciso di far largo ai giovani. Si tratta, in estrema sintesi, di aziende di minori dimensioni, più giovani e con una compagine sociale più ristretta. La maggiore propensione al rischio si intuisce anche dal grado di indebitamento delle aziende in cui operano, superiore di 1,3 punti rispetto alle aziende guidate da ultracinquantenni. Un maggior utilizzo della leva del debito è però sostenuto da una maggiore redditività, anche durante la crisi: i leader giovani mostrano risultati reddituali superiori anche durante il periodo Il maggior ricorso al credito ha rappresentato uno strumento per non tagliare gli investimenti e continuare a sostenere il percorso di crescita intrapreso. 28 La tendenza generale verso una migliore performance da parte dei leader giovani merita dunque degli approfondimenti, che rivelano importanti eccezioni. Dall analisi della redditività del capitale in aziende di diversa classe dimensionale ed in corrispondenza di diversi livelli di concentrazione proprietaria, si evince come i leader giovani producano risultati negativi in alcuni modelli di azienda. In particolare, mentre nelle aziende piccole e con proprietà concentrata i giovani sembrano registrare performance decisamente superiori (+3,4 punti di ROE rispetto agli ultracinquantenni), nelle aziende grandi e con proprietà allargata accade il contrario, ossia sono gli ultracinquantenni a garantire risultati migliori (+0,8 punti di ROE). Dall analisi di cui sopra derivano importanti indicazioni per le aziende familiari del nostro Paese che stanno programmando un ricambio al vertice. I leader giovani sembrano funzionare molto bene nelle aziende più semplici, mentre in quelle più complesse la necessità di una maggiore esperienza sembra non giocare a favore dei giovani. Almeno in parte, tali indicazioni sembrano esser state ben recepite dalle 27 L anzianità di servizio dei leader di prima generazione è passata da 10,3 anni nel 2000 a 14,9 nel 2010, contro un anzianità di servizio (nel 2010) pari a 12,1 e 9,1 anni, rispettivamente, per i leader di seconda e terza generazione. 28 Il tasso medio di crescita nel decennio dei leader giovani è stato pari al 6%, contro il 4,8% degli ultracinquantenni. 9

10 aziende familiari del nostro Paese: non è un caso, infatti, che i leader giovani siano presenti in misura maggiore nelle aziende più piccole e con una proprietà più concentrata. e. Aprire ai consiglieri non familiari (almeno in alcuni contesti) Nonostante le diverse sollecitazioni da parte di commentatori esterni, la presenza di consiglieri non familiari nei CdA delle aziende familiari appare contenuta, seppur con differenze sensibili nelle aziende di diversa dimensione. Inoltre, in tutte le classi di aziende, si assiste nell ultimo decennio ad una riduzione di consiglieri non familiari. I dati dell Osservatorio AUB mostrano performance peggiori per le aziende con almeno un consigliere non familiare nel CdA. In realtà, l apertura verso i consiglieri non familiari si manifesta soprattutto nelle aziende con maggiori difficoltà economiche, rendendo abbastanza chiaro perché le aziende più aperte verso l esterno mostrino performance inferiori. La scelta di aprire il CdA a consiglieri non familiari avviene spesso in aziende che registrano performance decrescenti già da qualche anno, beneficiando di un ampio recupero di redditività nei tre anni successivi. E possibile dunque affermare come l apertura ai consiglieri non familiari sia spesso il frutto di un processo patologico, dettato dal progressivo calo di redditività aziendale. In questi casi, l inserimento dei consiglieri non familiari costituisce un iniezione di competenze esterne che consente di non rimandare ulteriormente quelle scelte di business più rilevanti per reagire al calo di redditività. Alcuni approfondimenti effettuati dall Osservatorio AUB suggeriscono però come la presenza di almeno un consigliere non familiare sia sempre di beneficio per le performance aziendali in alcuni contesti, e non soltanto nelle aziende in difficoltà. In particolare, sono state individuate tre particolari condizioni di contesto: a) la dimensione aziendale; b) la leadership familiare; c) la quotazione su un mercato regolamentato. Nel primo caso, al crescere della dimensione aziendale appare necessario progettare una struttura di governo più articolata, con una presa meno forte dei membri della famiglia sull azienda, che consenta di dotarsi di uno spettro più ampio di competenze ed esperienze. Sotto queste condizioni, risulta dunque più probabile che venga selezionato un consigliere con le competenze necessarie tra un ampio pool di soggetti presenti sul mercato piuttosto che all interno dei confini ristretti della famiglia proprietaria. Nella seconda circostanza, la presenza di un leader familiare può rappresentare una sorta di attivatore di quelle risorse critiche che i consiglieri possono apportare, garantendo allo stesso tempo piena legittimazione del consigliere non familiare agli occhi degli altri membri della famiglia. Infine, con riferimento alle società quotate, l adozione delle best practices in materia di corporate governance è stata istituzionalizzata in un Codice di Autodisciplina da oltre un decennio. Per tale motivo, le rigidità iniziali o il parziale disaccordo da parte di alcuni membri della famiglia sulla necessità di coinvolgere membri non familiari nel governo dell azienda possono essere considerati degli ostacoli ormai superati nelle società quotate. In altri termini, si può affermare che le società quotate sono abituate ad avere consiglieri non familiari all interno del proprio CdA, ed hanno già maturato una certa esperienza nell utilizzare al meglio le loro competenze. f. Superare il glass ceiling Come da tradizione ormai consolidata nell Osservatorio AUB, uno spazio è stato dedicato all apertura nei confronti delle donne. A un anno di distanza dall entrata in vigore della normativa sulle quote di genere 10

11 nelle aziende quotate, nulla (o quasi) sembra esser cambiato nelle medie e grandi aziende familiari del Paese; anche il rumore alimentato dal dibattito che negli anni recenti ha accompagnato l entrata in vigore della nuova normativa sulle quote rosa sembra essersi attenuato. Se da un lato la presenza delle donne risulta ancora marginale, soprattutto in posizioni di leadership, è altresì vero che la maggioranza delle aziende familiari (il 54,7%) riserva almeno un posto in CdA ad un consigliere donna. 29 Seguendo tale prospettiva, e combinando il grado di apertura nei confronti delle donne nei modelli di leadership e di governo, sono stati definiti tre modelli differenti: maschili, misti e femminili. 30 I tre modelli, pur mettendo in luce alcune specificità geografiche, confermano come i modelli femminili si concentrino nelle province rosa già individuate nelle edizioni precedenti. Al contempo, si confermano e si rafforzano alcune importanti conclusioni sulla relazione (positiva) esistente tra apertura alle donne e impatto sulle performance. Ad esempio, le aziende con modelli femminili conseguono performance superiori rispetto alle aziende con modelli maschili (+3,6 punti in termini di ROE in caso di leadership individuale, e +0,6 punti in caso di leadership collegiale). Alla domanda se le donne possono essere anche un opportunità per le aziende familiari, la risposta è affermativa, come confermato ormai da quattro edizioni dell Osservatorio. La spiegazione principale, seppur nell ambiguità dei risultati delle varie ricerche condotte sul tema, è da rintracciare nel grande processo di selezione a cui sono sottoposte le donne che raggiungono posizioni di vertice. 29 Nella terza edizione dell Osservatorio AUB si era preferito privilegiare la soglia minima di donne nel CdA imposta dalla normativa sulle quote rosa, pari al 20% a partire dal Sono stati definiti femminili i modelli con almeno un consigliere donna nel CdA e una donna nella leadership (o almeno un AD donna in caso di leadership collegiale); misti i modelli con almeno un consigliere donna nel CdA ma senza nessun incarico di leadership; maschili i modelli che non registrano la presenza di donne né in CdA né in ruoli di leadership. 11

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