La struttura del sistema tributario

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1 La struttura del sistema tributario Ernesto Longobardi maggio I principi di distribuzione del carico tributario Consideriamo tre principali criteri per ripartire il carico tributario: 1. il principio della controprestazione (o principio del beneficio in senso stretto) 2. il principio del beneficio (in senso lato) 3. il principio della capacità contributiva Nel primo caso, nella terminologia italiana, il tributo prende il nome di tassa, quando si applicano gli altri due criteri si parla di imposta. 1.1 Il principio della controprestazione (o principio del beneficio in senso stretto) Definizione 1 (Principio della controprestazione). L onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto, in tutto o in parte, a carico dei beneficiari. Condizione tecnica necessaria per l applicazione del criterio della controprestazione è l escludibilità: si deve poter escludere dall accesso al servizio chi non paga. Si ha escludibilità in presenza di un atto individuale di domanda. Esempi di servizi pubblici escludibili sono la spesa per l istruzione, per la sanità, per la viabilità ecc. In questo caso il tributo assume il significato di un corrispettivo, e, sotto un importante profilo, risulta simile al prezzo nello scambio di mercato: il singolo individuo rimane libero di scegliere se acquistare o meno il servizio. 1

2 Longobardi - La struttura 2 I casi di spesa pubblica non escludibile sono rari. Eppure il ricorso al principio della controprestazione è piuttosto limitato: in Italia come negli altri paesi, nei bilanci degli enti pubblici, le imposte prevalgono largamente sulle tasse. In molti casi, dunque, si rinuncia ad applicare il principio della controprestazione anche quando sarebbe tecnicamente possibile. I motivi possono essere raggruppati in tre gruppi. 1. Motivi di tipo tecnico-amministrativo, consistenti nell elevato costo dell esazione delle tasse in relazione al gettito. Si tratta di un fattore ampiamente variabile nel tempo in ragione degli sviluppi tecnologici (es. autostrade, accesso ai centri storici ecc.). 2. Motivi di efficienza. Sono di due tipi: 2.1 Assenza di rivalità nel consumo. In questo caso, il livello ottimo di quantità prodotta si ha in corrispondenza di un prezzo pari a zero. Si noti come i casi di non escludibilità e di assenza di rivalità richiamino, insieme, il concetto di bene pubblico: un bene il cui razionamento mediante il meccanismo dei prezzi non è possibile e, quando anche lo fosse, non risulterebbe desiderabile. 2.2 Esternalità positive. In presenza di esternalità positive parte dei benefici è goduta da un gruppo più ampio rispetto a quello degli utenti del servizio pubblico. Se questi ultimi fossero chiamati a sopportare l intero costo del servizio, la quantità prodotta risulterebbe inferiore alla quantità ottima. Esempi tipici sono ancora quelli della sanità e dell istruzione. 3. Motivi di equità. La rinuncia ad applicare il principio della controprestazione può poggiare sull idea che l accesso ad alcuni servizi pubblici debba essere garantito a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche. 1.2 Il principio del beneficio (in senso lato) L applicazione di questo principio non richiede l escludibilità. Si rinuncia infatti a porre direttamente a carico dei beneficiari il costo della spesa pubblica con un meccanismo di razionamento analogo al prezzo di mercato (impostaprezzo). Si persegue tuttavia una distribuzione del carico tributario che rifletta la distribuzione dei benefici della spesa, scegliendo basi imponibili che siano indicatori del beneficio.

3 Longobardi - La struttura 3 Definizione 2 (Principio del beneficio). L onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell intera collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura dei benefici della spesa pubblica. Il campo tradizionale di applicazione del principio del beneficio è quello della tassazione ai livelli inferiori di governo. In molti paesi, per esempio, si assegnano agli enti substatali i tributi sugli immobili (anche in Italia con l ICI): si ritiene infatti che la proprietà immobiliare sia un buon indicatore dei benefici di una parte consistente della spesa dell ente locale (illuminazione, viabilità, ordine pubblico ecc.). Altre forme di tassazione che, ai livelli subcentrali di governo, possono essere giustificate con il principio del beneficio sono le imposte locali sul consumo e le imposte locali sulle attività produttive. Un importante economista italiano, Antonio de Viti de Marco, costruì una teoria della distribuzione del carico tributario basata sull idea che la misura più appropriata del beneficio della spesa pubblica sia il reddito. La differenza fondamentale tra il principio della controprestazione e il principio del beneficio è che, nel primo caso, l individuo, come si è detto, è libero di scegliere se acquistare o meno il servizio pubblico, analogamente a quanto fa di fronte ai beni e ai servizi forniti dal mercato, mentre, nel secondo caso, il pagamento del tributo (l imposta) ha carattere coercitivo. 1.3 Il principio della capacità contributiva L applicazione dei principi del beneficio, nelle due diverse accezioni, è giustificata se si accetta come equa la dotazione iniziale delle risorse. In caso contrario la spesa pubblica e il suo finanziamento possono diventare uno strumento per perseguire obiettivi di redistribuzione delle risorse in ragione di determinati ideali di equità. Si fa in questo caso riferimento al principio della capacità contributiva, con il quale si taglia ogni legame tra pagamento dei tributi e godimento dei benefici della spesa pubblica: il carico tributario viene distribuito in ragione della capacità di ciascuno di contribuire al finanziamento della spesa, cioè, nella sostanza, in base al benessere. Definizione 3 (Principio della capacità contributiva). L onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell intera collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura del benessere.

4 Longobardi - La struttura 4 In Italia la capacità contributiva è un principio costituzionale: l art. 53 della Costituzione, al primo comma, stabilisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 1.4 La capacità contributiva e i principi di equità tributaria L effettiva applicazione del principio della capacità contributiva richiede: 1. la scelta di una misura del benessere; 2. la scelta di un criterio che leghi il pagamento dei tributi a tale misura. Ad entrambi i livelli si intrecciano problemi di equità orizzontale e di equità verticale. Definizione 4 (Equità orizzontale). Il criterio dell equità orizzontale richiede che si riservi lo stesso trattamento tributario ad individui in condizioni economiche eguali. Definizione 5 (Equità verticale). Il criterio dell equità verticale richiede che si riservi un trattamento tributario differenziato ad individui in condizioni economiche diverse. La scelta della misura del benessere ha, in primo luogo, implicazioni molto rilevanti sotto il profilo dell equità orizzontale. Per poter adottare, come base imponibile, un unico indicatore di benessere, senza correttivi e integrazioni, sarebbe necessario che tutti i contribuenti cui risulta associato lo stesso livello dell indicatore si trovino in condizioni economiche eguali indipendentemente da altre circostanze. E molto difficile che questo risulti vero in pratica. Consideriamo le tre principali basi imponibili dei sistemi tributari moderni: il reddito, il patrimonio, il consumo. Per impiegare il reddito come unico indicatore di benessere, sarebbe necessario che tutti i contribuenti che possiedono un determinato ammontare di reddito godessero dello stesso benessere, indipendentemente dal livello del patrimonio e del consumo. Si può invece ragionevolmente supporre che a parità di reddito, il benessere risulti diverso in ragione dell entità del patrimonio. Consideriamo, a titolo di esempio, due contribuenti, A e B, che abbiano lo stesso livello di reddito, Supponiamo ancora che A possieda un patrimonio di e B non abbia alcun patrimonio. Se il tasso di interesse è del 5%, la metà del reddito complessivo di A sarà reddito da patrimonio, l altra metà sarà reddito guadagnato, per esempio reddito da lavoro. Il reddito di B sarà invece per intero reddito guadagnato, supponiamo ancora reddito da lavoro. In circostanze siffatte, A e B non sono in condizioni economiche eguali per due principali motivi:

5 Longobardi - La struttura 5 1. perchè il benessere dipende, oltre che dal livello, anche dalla natura del reddito: si suppone in genere che la disutilità (sforzo) associata alla produzione di un reddito patrimoniale sia inferiore a quella di un reddito da lavoro; 2. perché l esistenza di un patrimonio è di per sé fonte di benessere, indipendentemente dal reddito che produce, per esempio in termini di maggiore sicurezza (possibilità di far fronte ad eventi imprevisti di natura sfavorevole). Considerazioni analoghe valgono per la variabilità del consumo a parità di reddito, in quanto si può sostenere che, in ogni determinato periodo, la capacità contributiva dipenda dal consumo corrente e non dalla parte di reddito che viene risparmiata. Argomentazioni di questo genere possono essere portate a spiegare la presenza di una molteplicità di imposte e di basi imponibili. Tuttavia, anche il ricorso a diverse basi imponibili non consente di risolvere compiutamente tutti i problemi di equità orizzontale, perchè il benessere dipende da un gran numero di fattori e di circostanze delle quali è difficile tenere compiutamente conto con le tecnologie tributarie disponibili. 1.5 La progressività La questione dell equità verticale si risolve, in larga misura, in quella della scelta della forma della funzione che lega l imposta alla base imponibile: T = f(b) (1) dove: T è l imposta (gettito) e B una generica base imponibile. Definizione 6 (Aliquota media). L aliquota media è data dal rapporto tra l imposta e la base imponibile: t = T B (2) Definizione 7 (Aliquota marginale). L aliquota marginale è data dal rapporto tra la variazione dell imposta e la variazione della base imponibile: t = T B (3)

6 Longobardi - La struttura 6 Definizione 8 (Progressività, proporzionalità, regressività). Un imposta è progressiva se l aliquota marginale è superiore all aliquota media, proporzionale se l aliquota marginale è eguale all aliquota media, regressiva se l aliquota marginale è inferiore all aliquota media: La definizione 8 equivale alla: t > t imposta progressiva t = t imposta proporzionale t < t imposta regressiva Definizione 9 (Progressività, proporzionalità, regressività). Un imposta è progressiva se l aliquota media cresce al crescere del reddito, proporzionale se l aliquota media è costante al crescere del reddito, regressiva se l aliquota media diminuisce al crescere del reddito: d t db > 0 imposta progressiva d t = 0 imposta proporzionale db d t < 0 imposta regressiva db 1.6 La progressività del sistema tributario In Italia la progressività è un principio costituzionale. Il secondo comma dell art. 53 della Costituzione recita infatti: il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Si deve sottolineare che il principio si riferisce al sistema tributario e non ai singoli tributi. Per dare un idea di come singoli tipi di tributi possano concorrere a determinare il grado di progressività complessivo del sistema, consideriamo tre imposte: un imposta sul reddito: un imposta sul consumo: T y = f(y ) T c = g(c)

7 Longobardi - La struttura 7 un imposta sul patrimonio: T k = h(k) dove Y, C e K sono, rispettivamente, il reddito, il consumo e il patrimonio. Supponiamo che tutte e tre le imposte siano proporzionali. In questo caso il sistema tributario può risultare progressivo, proporzionale o regressivo. La progressività del prelievo complessivo va infatti misurata rispetto ad un unica grandezza, tipicamente il reddito. Dobbiamo allora considerare due importanti proposizioni: Proposizione 1. Un imposta proporzionale sul consumo risulta regressiva rispetto al reddito, se la propensione media al consumo decresce al crescere del reddito. Dal momento che la propensione media al consumo, sul piano dell osservazione empirica, risulta effettivamente decrescente al crescere del reddito, le imposte sul consumo tendono ad imprimere regressività al sistema tributario complessivo. Proposizione 2. Un imposta proporzionale sul patrimonio risulta progressiva rispetto al reddito, se il rapporto tra patrimonio e reddito cresce al crescere del reddito Dal momento che il rapporto tra patrimonio e reddito, sul piano dell osservazione empirica, risulta effettivamente crescente al crescere del reddito, le imposte sul patrimonio tendono ad imprimere progressività al sistema tributario complessivo. 1.7 Un esempio Consideriamo le tre seguenti funzioni di imposta: T y = 0.30Y T c = 0.20C T k = 0.01K Supponiamo inoltre la seguente relazione tra Y,K,C: Y C K

8 Longobardi - La struttura 8 Ai diversi livelli, le tre imposte saranno allora: T y T c T k Come si vede l imposta sul consumo risulta regressiva rispetto al reddito, l imposta sul patrimonio progressiva: T c /Y T k /Y Se facciamo ora il rapporto tra il prelievo complessivo e il reddito, abbiamo: (T y + T c + T k )/Y Il sistema tributario risulta progressivo, anche se ciascun tributo è proporzionale rispetto alla propria base imponibile; rispetto al reddito, l effetto di progressività dell imposta sul patrimonio prevale, in quest esempio, su quello di regressività dell imposta sul consumo. 1.8 Esercizi 1. Condizioni tecniche per poter applicare il principio della controprestazione sono: (a) La non rivalità (b) L escludibilità (c) La progressività (d) L esistenza di esternalità 2. I motivi per rinunciare ad applicare il principio della controprestazione anche quando tecnicamente possibile sono: (a) La non rivalità

9 Longobardi - La struttura 9 (b) L escludibilità (c) La progressività (d) L esistenza di esternalità positive (e) I costi di esazione (f) Considerazioni di equità 3. Sia data un imposta sul reddito tale che: su un imponibile di 1000, l imposta risulta pari a 300; su un imponibile di 2000, l imposta risulta pari a 800. Calcolare: (a) l aliquota media sul reddito di 1000: (b) l aliquota media sul reddito di 2000 (c) l aliquota marginale quando il reddito passa da 1000 a In un periodo d imposta un contribuente ha un reddito di 100, sul quale paga un imposta di 10. Nel successivo periodo d imposta il reddito sale a 160 e l imposta pagata a 14. L imposta risulta progressiva proporzionale regressiva 5. Si considerino le seguenti ipotesi: A tre livelli di reddito 1000, 2000, 3000 la propensione media al consumo risulta rispettivamente pari a 1, 0.8 e 0.7; in corrispondenza degli stessi livelli di reddito il valore del patrimonio è pari a 0, 2000, 4000; il sistema tributario è composto di: un imposta sul consumo con aliquota del 20%; un imposta sul patrimonio con aliquota del 2%; un imposta proporzionale sul reddito con aliquota del 30% (a) Calcolare il prelievo complessivo in percentuale del reddito ai tre livelli di reddito.

10 Longobardi - La struttura 10 (b) Come risulta la distribuzione del prelievo complessivo? 6. Vero o falso progressiva proporzionale regressiva nessuna delle precedenti (a) Il principio di equità orizzontale dice che si deve riservare un trattamento tributario differenziato ad individui in condizioni economiche diverse (b) Un imposta si dice progressiva se cresce al crescere della base imponibile (c) Il campo tradizionale di applicazione del principio del beneficio è quello della tassazione ai livelli inferiori di governo (d) La tassazione del reddito, del patrimonio, del consumo può essere giustificata sia in base al principio del beneficio in senso lato sia in base al principio della capacità contributiva. (e) Il secondo comma dell art. 53 della Costituzione della Repubblica italiana prescrive che le imposte sul reddito debbano essere progressive (f) Un imposta proporzionale sul consumo risulta regressiva rispetto al reddito se la propensione marginale al consumo decresce al crescere del reddito (g) A parità di reddito la capacità contributiva può risultare diversa a seconda della natura del reddito (h) In Italia l imposta di fabbricazione sugli olii minerali (che colpisce benzina, gasolio, metano ecc.) è anticostituzionale perché regressiva (i) Il principio della capacità contributiva implica un unica distribuzione del carico tributario (j) Condizione necessaria e sufficiente per l applicazione del principio della controprestazione è l escludibilità

11 Longobardi - La struttura 11 2 Una rappresentazione semplificata del sistema economico 2.1 Il valore aggiunto Consideriamo un impresa che in un determinato periodo produce la quantità q di un bene (o di un servizio) impiegando capitale (K) e lavoro (L). Supponiamo, per il momento, che nel periodo considerato non si formino scorte di prodotti finiti, vale a dire che l impresa venda per intero la propria produzione sul mercato ad un prezzo p. Il valore della produzione, che in questo caso equivale al valore delle vendite (ricavi), è dato da pq. Gli acquisti che l impresa effettua da altre imprese vanno nettamente distinti in due tipi: 1. acquisti di beni e servizi intermedi: sono quelli che, una volta impiegati nel processo produttivo, si consumano per intero durante il periodo considerato. I beni e i servizi intermedi che sono impiegati, e pertanto consumati, nel processo produttivo prendono il nome di consumi intermedi (C int ). Se supponiamo che non si formino scorte di beni intermedi, vale a dire che tutti i beni intermedi acquistati siano impiegati nel processo produttivo nello stesso periodo, gli acquisti di beni e servizi intermedi coincidono con i consumi intermedi. 2. acquisti di beni strumentali la cui durata economica si estende per più di un periodo, che costituiscono gli investimenti (I). Tali beni vanno a comporre lo stock di capitale fisso dell impresa: in ogni periodo lo stock di beni strumentali si consuma per una parte del suo valore (ammortamenti, A). Definizione 10 (Il valore aggiunto). Il valore aggiunto è dato dalla differenza tra il valore della produzione e il valore dei consumi intermedi. va = pq C int (4) Il valore aggiunto è una grandezza molto importante: esso esprime il contributo netto dell impresa alla produzione complessiva del sistema economico nel periodo considerato. Se si somma il valore aggiunto di ogni unità produttiva presente nel sistema economico si ottiene un aggregato che misura il valore della produzione complessiva: in contabilità nazionale tale aggregato è chiamato prodotto interno lordo (PIL):

12 Longobardi - La struttura 12 P IL = n va i (5) dove n è il numero delle unità produttive presenti nel sistema economico. 2.2 Prodotto, reddito, spesa Lo stesso aggregato può essere visto sotto due ulteriori punti di vista, come reddito e come spesa. i=1 1. Se consideriamo un sistema economico chiuso il prodotto interno lordo è eguale al reddito nazionale lordo (RNL), cioè alla somma dei redditi percepiti dai residenti nel paese per la loro partecipazione all attività produttiva. Nello schema semplificato che stiamo considerando, che aggrega tutti i fattori nelle due grandi categorie di capitale e lavoro, abbiamo: P IL = RNL = Π L + rk + wl (6) dove: Π sono i profitti r è la remunerazione di mercato di una unità di capitale w è la remunerazione di mercato di una unità di lavoro. Sono importanti due precisazioni: (a) nell equazione (6) i profitti sono al lordo degli ammortamenti. Combinando la (4) e la (6) abbiamo infatti: Π L = pq rk wl C int (7) che tiene conto del costo dei fattori acquistati sul mercato e dei consumi intermedi ma non del deperimento del capitale fisico impiegato nell impresa. E quanto spiega la denominazione di lordo per il prodotto interno e per il reddito nazionale. I profitti netti sono invece: Π L = pq rk wl C int A (8) (b) il profitto non va inteso come remunerazione di un fattore, ma come puro residuo: quanto rimane una volta remunerati tutti i fattori ai prezzi di mercato. Questo comporta che se l impresa

13 Longobardi - La struttura 13 impiega fattori propri, non acquistati sul mercato, nel computo del profitto si deve tenere conto della remunerazione figurativa del lavoro e del capitale di proprietà dell impresa. 2. Il PIL è anche eguale alla spesa complessiva effettuata, nel periodo considerato, dagli utilizzatori finali: se si suppone che non esista un settore pubblico, e ancora nell ipotesi di sistema chiuso, gli utilizzatori finali saranno le famiglie che acquistano i beni di consumo e le imprese che acquistano i beni di investimento. P IL = C f + I (9) dove C f sono i consumi finali (coincidenti, nell ipotesi di assenza di settore pubblico, con i consumi delle famiglie). 2.3 Le scorte di prodotti finiti e di beni intermedi Rimuoviamo ora l ipotesi di assenza di scorte di prodotti finiti e di beni intermedi. All inizio di un determinato periodo l impresa possiede in magazzino un certo ammontare di prodotti finiti pronti per essere venduti: le rimanenze iniziali di prodotti finiti (RI q ). Se, alla fine del periodo, le rimanenze finali di prodotti finiti (RF q ) risultano superiori alle rimanenze iniziali (variazione in aumento delle scorte nel magazzino dei prodotti finiti) vorrà dire che la produzione effettuata (q) è risultata, nel periodo considerato, maggiore della produzione venduta (q v ): parte della produzione, anziché essere venduta, è andata ad incrementare le scorte. La relazione opposta vale nel caso di variazione in diminuzione delle scorte. Abbiamo dunque: RF q > RI q q > q v RF q < RI q q < q v RF q = RI q q = q v La relazione tra q e q v è data da: q = q v + RF q RI q (10) Un discorso analogo vale per i beni intermedi. Se le rimanenze finali di beni intermedi (RF int ) superano le rimanenze iniziali (RI int ), parte degli acquisti di beni intermedi (A int ) non sono stati impiegati nella produzione effettuata nel periodo ma sono andati ad incrementare le scorte. Nel caso

14 Longobardi - La struttura 14 opposto (RF int < RI int ) l impresa avrà invece consumato nella produzione una quantità di beni intermedi maggiore di quella acquistata, attingendo dalle scorte. Si ha dunque: RF int > RI int C int < A int RF int < RI int C int > A int RF int = RI int C int = A int La relazione tra C int e A int è data da: C int = A int + RI int RF int (11) L equazione (4) può pertanto essere riscritta come: va = (pq v + RF q RI q ) (A int + RI int RF int ) (12) oppure, accorpando le rimanenze di prodotti finiti e di beni intermedi: va = pq v A int + RF RI (13) L uguaglianza (9) tra valore della produzione totale (offerta aggregata, misurata dal PIL) e spesa (domanda aggregata) vale anche in presenza di variazioni delle scorte, considerando queste come una forma di investimento: dove VS è la variazione delle scorte. 2.4 La tavola intersettoriale P IL = C f + I + V S (14) Consideriamo un economia chiusa con due settori: il settore 1 che produce il bene q 1 e il settore 2 che produce il bene q 2. Indichiamo con q ij la produzione del settore i impiegata come bene intermedio nel settore j. La tabella 1 descrive i flussi tra i due settori e tra questi e la domanda finale. Tabella 1: Una tavola intersettoriale Impieghi intermedi Impieghi finali settore 1 p 1 q 11 p 1 q 12 C f 1 I 1 V S 1 settore 2 p 2 q 21 p 2 q 22 C f 2 I 2 V S 2 val. agg. va 1 va 2 produzione p 1 q 1 p 2 q 2

15 Longobardi - La struttura 15 Per ciascun settore in riga si leggono gli impieghi del prodotto (output), in colonna i consumi intermedi e il valore aggiunto (input). La somma di riga e la somma di colonna danno entrambe il valore della produzione del settore. Deve valere: che corrisponde alla (14). 2.5 Esercizi va 1 + va 2 = C f 1 + C f 2 + I 1 + I 2 + V S 1 + V S 2 (15) 1. La tabella 2 riporta il conto economico di un impresa. Si calcoli: (a) il valore aggiunto (b) l utile Tabella 2: Il conto economico di un impresa Componenti negativi Componenti positivi Rimanenze iniziali di prodotti finiti 80 Vendita di prodotti finiti 350 Rimanenze iniziali di beni intermedi 20 Rimanenze finali di prodotti finiti 90 Acquisti di beni intermedi 50 Rimanenze finali di beni intermedi 15 Stipendi e salari 150 Quote di ammortamento La tabella 3 rappresenta un esempio numerico della tabella 1. Tabella 3: Una esempio di tavola intersettoriale Impieghi intermedi Impieghi finali settore settore val. agg produzione Si calcoli: 1. Il valore totale dei consumi intermedi 2. Il valore totale degli acquisti di beni intermedi

16 Longobardi - La struttura Il valore aggiunto complessivo 4. Il PIL 5. Il valore complessivo della domanda finale 3 Classificazione delle imposte 3.1 Imposte sul valore aggiunto e sulle sue componenti Ragioni e forme tecniche della tassazione del valore aggiunto Da molti anni l insieme delle imposte che gravano, in diverse forme, sul valore aggiunto o su sue singole componenti produce la maggior parte del gettito dei sistemi tributari. Le ragioni della fortuna del valore aggiunto come fornitore di basi imponibili sono facilmente intuibili. Si tratta in primo luogo di un aggregato molto ampio, i cui confini coincidono con quelli dell intera economia: l ampiezza consente, rispetto a basi imponibili di minori dimensioni, di produrre lo stesso gettito con aliquote meno elevate, limitando gli effetti distorsivi del prelievo in termini di allocazione delle risorse. Il valore aggiunto, inoltre, come si è visto, è una grandezza molto significativa dal punto di vista economico, corrispondendo ad un tempo alla produzione complessiva e al reddito nazionale. In termini aggregati esso offre pertanto l opportunità di finanziare la spesa pubblica prelevando in modo diffuso e potenzialmente uniforme una quota della nuova ricchezza prodotta dall economia privata. A livello delle singole unità (individui/famiglie) chiamate in ultima istanza a sopportare l onere del finanziamento della spesa pubblica, la tassazione del valore aggiunto corrisponde alla tassazione dei redditi distribuiti che, come si è visto, può essere giustificata sia con il principio del beneficio sia con quello della capacità contributiva. La tassazione del valore aggiunto può avvenire attraverso tre forme principali di imposte: un imposta generale sugli scambi; un imposta a carico delle singole unità produttive sulla somma dei redditi prodotti; l imposizione dei redditi. 1. Un imposta generale sugli scambi L imposta generale sugli scambi colpisce tutte le vendite di beni e servizi effettuate dalle singole unità produttive (pq v ). Queste ultime dovranno poi versare all ente impositore l imposta sulle proprie vendite al netto dell imposta che ha gravato i propri acquisti di beni e servizi intermedi.

17 Longobardi - La struttura 17 Si tratta del metodo di tassazione del valore aggiunto detto imposta da imposta. Chiamando t l aliquota dell imposta la relazione tra il prezzo di mercato (p), che è comprensivo dell imposta, e il prezzo che rimane al venditore una volta che ha versato l imposta (p N ) è data da: p = (1 + t)p N (16) Si ha dunque: tp N q v = imposta sulle vendite ta int = imposta sugli acquisti tp N q v ta int = imposta netta (da versare) La base imponibile risulta pertanto: p N q A int (17) Si deve dunque notare che il valore aggiunto preso a base dell imposta non coincide con quello della definizione 10 e dell equazione (4). Il valore aggiunto della definizione 10, che è quello alla base della contabilità nazionale, è in termini di competenza economica (valore della produzione-valore dei consumi intermedi). L imposta generale sugli scambi colpisce invece il valore aggiunto in termini di cassa (valore delle vendite-valore degli acquisti): detto in altri termini, l imposta non grava sulla variazione delle scorte. In termini della Tabella 1 la base imponibile aggregata risulta: (p 1 q 1 p 1 q 11 p 2 q 21 ) + (p 2 q 2 p 1 q 12 p 2 q 22 ) (V S 1 + V S 2 ) = (18) = C f 1 + C f 2 + I 1 + I 2 2. Un imposta a carico delle singole unità produttive sulla somma dei redditi prodotti. Si colpisce il valore aggiunto presso la singola unità produttiva: la tassazione non avviene, come con l imposta sugli scambi, al momento della vendita di beni e servizi, ma si effettua ad intervalli periodici (l anno fiscale) con le tecniche di accertamento e di riscossione tipiche delle imposte sul reddito (scritture contabili, dichiarazione ecc.). Nel seguito,

18 Longobardi - La struttura 18 a puri scopi espositivi, chiameremo un tributo di questo tipo imposta diretta sul valore aggiunto. L imposta può colpire sia il valore aggiunto di competenza (pq C int ) sia il valore aggiunto di cassa (pq v A int ). Il valore aggiunto di competenza può, a sua volta, essere determinato al lordo oppure al netto degli ammortamenti. Il metodo di calcolo dell imposta è detto base da base: l imposta si ottiene applicando l aliquota alla differenza tra valore della produzione e valore dei consumi intermedi (ed eventualemnte degli ammortamenti), oppure tra il valore delle vendite e il valore degli acquisti di beni e servizi intermedi. Nel caso di valore aggiunto lordo di competenza la base imponibile aggregata risulta: (p 1 q 1 p 1 q 11 p 2 q 21 ) + (p 2 q 2 p 1 q 12 p 2 q 22 ) = va 1 + va 2 = (19) = C f 1 + C f 2 + I 1 + I 2 + V S 1 + V S 2 Nel caso di valore aggiunto netto di competenza la base imponibile sarà invece: (va 1 + va 2 ) (A 1 + A 2 ) = C f 1 + C f 2 + I n 1 + I n 2 + V S 1 + V S 2 (20) dove I n rappresenta l investimento al nello degli ammortamenti. Nel caso di valore aggiunto di cassa la base imponibile aggregata è ancora la (18). 3. L imposizione dei redditi. In questo terzo caso le imposte gravano sui redditi che vanno a comporre il valore aggiunto. Si può avere un sistema di imposte separate, ciascuna su un singolo tipo di reddito: per esempio, in relazione al nostro schema semplificato, un imposta sui profitti (Π), un imposta sui redditi da capitale (rk), un imposta sui redditi da lavoro (wl). Oppure si può avere un unica imposta che grava sul reddito complessivo degli individui/famiglie, ottenuto come somma dei redditi dei singoli tipi. Il primo sistema prevaleva nei sistemi tributari del XIX secolo, il secondo si è affermato lungo il XX secolo ed è tuttora largamente prevalente. Come vedremo, il passaggio dall uno all altro si è tuttavia accompagnato ad una progressiva dilatazione del concetto di reddito preso a base dell imposizione oltre i confini del valore aggiunto.

19 Longobardi - La struttura 19 Se si colpiscono tutti i redditi che formano il valore aggiunto (profitti, redditi da lavoro dipendente, redditi da capitale) e se i profitti sono calcolati con il criterio della competenza economica, così come definiti con l equazione (8), la base imponibile aggregata risulta pari al valore aggiunto netto di competenza (equazione (20)) Una precisazione: basi imponibili che includono l imposta e basi imponibili che escludono l imposta Nonostante la base imponibile aggregata possa risultare eguale con le tre distinte forme impositive che si sono considerate, l applicazione di una stessa aliquota non produrrebbe nel caso dell imposta sugli scambi il medesimo gettito prodotto da un imposta diretta sul valore aggiunto o dalla tassazione dei redditi. Questo avviene perchè nel primo caso la base imponibile esclude l imposta (tax exclusive base) mentre nel secondo e nel terzo caso l aliquota si applica su una base imponibile che comprende l imposta stessa (tax inclusive base). Per spiegare, semplifichiamo supponendo l assenza di consumi intermedi e di formazione di scorte di prodotti finiti. In questo caso il valore aggiunto coincide con il valore della produzione a sua volta eguale al valore delle vendite: va = p q = p q v Ipotizziamo ora che siano alternativamente presenti un imposta sul valore aggiunto come imposta sugli scambi con aliquota t e e un imposta diretta sul valore aggiunto con aliquota t i. Nel primo caso, considerando l equazione (16) il gettito (T e ) sarà: T e = t e p N q L aliquota si applica dunque su una base imponibile che esclude l imposta (p N q). Nel caso dell imposta diretta sul valore aggiunto, a parità di prezzo di mercato p, il gettito sarà: T i = t i pq L aliquota si applica su una base imponibile che include l imposta (pq). Per avere lo stesso gettito la relazione tra aliquota dell imposta tax exclusive, t e, e quella dell imposta tax inclusive, t i, deve essere: t e = ti 1 t i (21)

20 Longobardi - La struttura Un esempio Supponiamo che nel nostro schema semplificato a due settori descritto nella tabella 1 i valori dei flussi siano quelli riportati nella tabella 4. Tabella 4: La tavola intersettoriale: un esempio Impieghi intermedi Impieghi finali settore settore val. agg produzione I flussi sono comprensivi delle imposte. Si è supposta assenza di variazione delle scorte sicché il valore aggiunto di cassa e quello di competenza coincidono. Supponiamo che il valore aggiunto sia tassato alternativamente con un imposta sugli scambi e con un imposta diretta sul valore aggiunto. Nel caso dell imposta sugli scambi l aliquota sia pari al 25%. Dalla tabella 3 vediamo che il valore degli acquisti di beni e servizi intermedi, che in questo caso equivalgono ai consumi intermedi, è pari a 750 al lordo dell imposta che corrisponde a 600 al netto dell imposta (sia ha infatti 600*1.25=750). L imposta totale sugli acquisti è quindi 150. Il valore delle vendite (produzione) risulta pari a 2500 al lordo dell imposta e a 2000 al netto dell imposta. L imposta totale sulle vendite risulta pertanto pari a 500. L imposta netta, quella effettivamente versata all ente impositore, è pertanto di 350 ( ). Se, anziché un imposta sul valore aggiunto nella forma dell imposta generale sugli scambi, si fosse avuta un imposta diretta sul valore aggiunto (al lordo degli ammortamenti), lo stesso gettito sarebbe stato prodotto da un aliquota del 20%. Il valore aggiunto totale è infatti pari a 1750, e si ha 1750*0.2=350. Lo stesso varrebbe, ovviamente, se si impiegassero imposte sul reddito. Risulta pertanto verificata l equazione (21): 0.25 = ( 1 0.2). Consideriamo ora i tre tipi di imposte guardano più da vicino la realtà dei sistemi tributari concreti L imposta sul valore aggiunto europea In virtù di accordi che risalgono agli anni 60, i paesi che aderiscono all Unione Europea adottano l imposta sul valore aggiunto come unica forma di tassazione generale sugli scambi. In Italia è stata introdotta con la riforma

21 Longobardi - La struttura 21 tributaria dei primi anni 70. Istituita nel 1972 (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), l Imposta sul valore aggiunto (IVA) è entrata in vigore il 1 gennaio 1973: da allora occupa una posizione di assoluta centralità nel nostro sistema. La base imponibile dell imposta europea è costituita dal valore aggiunto di cassa al netto della spesa di investimento. Nella terminologia fiscale tale aggregato viene chiamato valore aggiunto tipo consumo. In concreto, ad ogni unità produttiva viene riconosciuta, in detrazione dall imposta sulle vendite, l imposta pagata su tutti gli acquisti effettuati da altre imprese, siano essi acquisti di beni e servizi intermedi oppure di beni di investimento: tp N q v = imposta sulle vendite ta int + ti = imposta sugli acquisti tp N q v ta int ti = imposta netta (da versare) La base imponibile risulta pertanto: pq v A int I (22) In termini della Tabella 1 la base imponibile è data da: (p 1 q 1 p 1 q 11 p 2 q 21 )+(p 2 q 2 p 1 q 12 p 2 q 22 ) (I 1 +I 2 ) (V S 1 +V S 2 ) = (23) = C f 1 + C f 2 In aggregato dunque l imposta sul valore aggiunto europea colpisce il valore dei consumi finali Un imposta diretta sul valore aggiunto: l Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) L ipotesi di tassare i risultati di impresa sulla base del valore aggiunto, anziché dell utile, è stata ampiamente discussa nella letteratura internazionale. Nello sviluppo dei sistemi tributari concreti, tuttavia, è di gran lunga prevalsa la tassazione dell utile di competenza economica. Forme di imposte dirette del valore aggiunto sono state al più impiegate ai livelli decentrati di governo. In Italia un importante tributo di questo tipo, l IRAP, è stato introdotto nel 1998 in sostituzione di una serie di imposte preesistenti. La base imponibile dell IRAP è il valore aggiunto di competenza al netto degli ammortamenti: pq C int A

22 Longobardi - La struttura 22 In termini della tabella 1, la base imponibile è dunque quella dell equazione (19) Un riepilogo: le diverse nozioni fiscali di valore aggiunto Abbiamo dunque sviluppato quattro principali nozioni di basi imponibili che si ricollegano al concetto di valore aggiunto. Può essere utile riprenderle brevemente in considerazione. 1. Valore aggiunto (valore aggiunto di competenza tipo prodotto lordo). E dato dalla differenza fra il valore della produzione e il valore dei consumi intermedi. E il concetto di valore aggiunto di contabilità nazionale (ove è alla base della costruzione del PIL), la quale non conosce altre nozioni di valore aggiunto. La dizione tipo prodotto lordo ha origine nella letteratura fiscale, per distinguerlo dalle altre definizioni che seguono. 2. Valore aggiunto di competenza tipo prodotto netto. Si ottiene dal precedente sottraendo gli ammortamenti. In Italia è la base imponibile dell IRAP. 3. Valore aggiunto di cassa. E dato dalla differenza tra valore delle vendite e valore degli acquisti di beni e servizi intermedi. Costituirebbe la base imponibile teorica di un imposta generale sugli scambi che non ammettesse, come fa l imposta europea, la detrazione della spesa per investimenti. 4. Valore aggiunto tipo consumo. Si ottiene sottraendo gli investimenti dal valore aggiunto di casa. E la base imponibile dell imposta sul valore aggiunto europea. Tabella 5: Le diverse nozioni fiscali di valore aggiunto Tipo di valore aggiunto Base imponibile Spesa finale colpita Di competenza tipo prodotto lordo p q C int C + I + V S Di competenza tipo prodotto netto p q C int A C + I n + V S Di cassa p q v A int C + I Tipo consumo p q v A int I C

23 Longobardi - La struttura La tassazione del valore aggiunto con un sistema di imposte sul reddito La tassazione del valore aggiunto con un sistema di imposte che gravano sui redditi distribuiti ai fattori produttivi è tipica dei sistemi tributari dell 800. Il sistema italiano di imposizione dei redditi in vigore dal momento dell unificazione del paese fino alla riforma tributaria del è un buon esempio di tale struttura del prelievo. Il sistema era composto da due imposte sui frutti della ricchezza immobiliare (redditi fondiari): Imposta sul reddito dei terreni Imposta sul reddito dei fabbricati e da un unica Imposta sui redditi di ricchezza mobile la quale, di fatto, si articolava in quattro distinte forme impositive su altrettanti categorie di reddito: redditi di capitale redditi di impresa redditi di lavoro autonomo redditi di lavoro dipendente Si intravedono nettamente, dietro la struttura del prelievo, le remunerazioni dei fattori: la rendita, il capitale, il lavoro. Il profitto risulta incluso nel reddito di impresa, ma non coincide con esso. Nella pratica dei sistemi tributari concreti, il reddito di impresa comprende infatti, accanto al profitto puro, la remunerazione dei fattori non acquistati sul mercato perchè di proprietà dell impresa: in particolare il capitale proprio e, nel caso di imprese individuali, familiari o costiutite in società di persone, anche il lavoro prestato dall imprenditore, dai suoi familiari, dai soci. Se consideriamo separatamente i fattori acquistati sul mercato (K m, L m ) e quelli di proprietà (K p, L p ): K = K m + K p L = L m + L p il reddito di impresa (Y imp ) è dato da:

24 Longobardi - La struttura 24 Y imp = pq rk m wl m = Π + rk p + wl p (24) ed è dunque, insieme, reddito da capitale, reddito da lavoro e profitto. Imposte di questo tipo avevano natura reale. Successivamente i sistemi tributari hanno conosciuto un evoluzione che li ha visti, in tempi diversi, passare dalle imposte reali alle imposte personali Imposte reali e personali Consideriamo dunque la distinzione tra imposte reali e personali. Definizione 11 (Imposte reali e personali). Le imposte reali colpiscono isolatamente i singoli tipi di reddito, senza ricostruire l unità della persona che li possiede. Le imposte personali prendono invece in considerazione la condizione economica complessiva del soggetto passivo. L imposta reale guarda alla res, alla circostanza obiettiva del possesso di un reddito di un determinato tipo e ammontare; ignora la presenza di altri redditi e, in generale, di ogni elemento di carattere soggettivo che concorre a determinare il benessere del contribuente. L imposta personale guarda invece alla persona, poggia sulla ricostruzione della sua situazione economica complessiva. I due tipi di imposta si differenziano dunque per due principali aspetti: 1. mentre l imposta reale colpisce singolarmente un determinato tipo di reddito, l imposta personale colpisce il reddito complessivo, come somma dei singoli tipi di reddito; 2. mentre l imposta reale è insensibile alle circostanze, diverse dal reddito, che concorrono a determinare la capacità contributiva, l imposta personale fa dipendere anche da queste la relazione funzionale che lega il prelievo al reddito. Il passaggio dalle imposte reali alle imposte personali coincide storicamente con un aumento dell influenza del principio della capacità contributiva rispetto ai principi del beneficio. Esso si accompagna, ed è strettamente legato, a due altri passaggi fondamentali: 1. la fuoriuscita del sistema di tassazione dei redditi dall ambito del valore aggiunto; 2. il prevalere di obiettivi di distribuzione progressiva del carico tributario.

25 Longobardi - La struttura Reddito prodotto e reddito entrata Il reddito, quale componente del valore aggiunto, come lo abbiamo finora considerato, nella letteratura fiscale è chiamato reddito prodotto. Esso può risultare uno strumento insoddisfacente per i confronti interpersonali di benessere. Dal punto di vista dell equità orizzontale due individui che, in un determinato periodo, possiedono lo stesso reddito prodotto, non potranno essere considerati in condizioni economiche eguali se uno dei due, a differenza dell altro, associa al reddito prodotto altre forme di entrata. I redditi, o le perdite, che non rientrano nel calcolo del valore aggiunto sono, essenzialmente, dei seguenti tipi: 1. Variazioni del patrimonio netto dovute: (a) a guadagni e perdite di capitale (chiamati anche plusvalenze e minusvalenze), cioè variazioni in aumento o in diminuzione del valore delle attività patrimoniali imputabile, a parità di consistenza fisica, a variazioni nel sistema dei prezzi relativi (può evidentemente trattarsi, con segno opposto, anche di variazione del valore delle passività); (b) trasferimenti di ricchezza a titolo gratuito: tra privati: i. donazioni ii. successioni da enti pubblici a privati: i. contributi in conto capitale alle imprese 2. Trasferimenti correnti di reddito da parte di amministrazioni pubbliche o istituzioni sociali private: (a) prestazioni sociali alle famiglie (b) contributi in conto esercizio alle imprese 3. Entrate di natura occasionale e casuale (vincite, premi, ecc.) E evidente come, in presenza di tali redditi, una distribuzione del carico tributario basata sul reddito prodotto possa risultare molto difettosa in termini di equità orizzontale e verticale. Questo spiega perché, nell evoluzione storica dei sistemi tributari, al rafforzamento dell aspirazione ad una distribuzione del carico tributario in funzione del benessere individuale (o familiare) e al passaggio dalle imposte reali alle imposte personali, si sia accompagnata una tendenza ad espandere gradualmente la base imponibile della tassazione del reddito al di là del concetto di reddito prodotto.

26 Longobardi - La struttura 26 Dal punto di vista teorico, la formulazione più ampia del concetto di reddito, è quella di reddito entrata: esso include tutte le possibili forme di entrata di un soggetto in un determinato periodo di tempo, derivino o meno dalla partecipazione ad un attività produttiva, siano esse in conto reddito o in conto capitale, abbiano natura periodica oppure occasionale. In termini rigorosi il reddito entrata può essere definito in due modi. Definizione 12 (Reddito entrata). Il reddito entrata è quanto, in un dato intervallo di tempo, un soggetto può consumare lasciando immutata l entità del proprio patrimonio netto. Alternativamente: Definizione 13 (Reddito entrata). Il reddito entrata è pari alla somma del consumo effettuato in un dato intervallo di tempo e la variazione del valore del patrimonio netto tra l inizio e la fine del periodo. RE t = C t + (K t K t 1 ) = C t + K t (25) dove: K t 1 = valore del patrimonio netto all inizio del periodo t; K t = valore del patrimonio netto alla fine del periodo. Il reddito entrata può pertanto essere visto come il consumo potenziale, quanto è possibile consumare senza intaccare il patrimonio. Se il consumo effettivo risulta superiore al consumo potenziale si ha un disinvestimento, vale a dire una riduzione del patrimonio netto (K t < K t 1 K t < 0): il soggetto consuma parte del proprio patrimonio. Se, di converso, il consumo effettivo risulta inferiore al consumo potenziale si ha un investimento, vale a dire un aumento del patrimonio netto (K t > K t 1 K t > 0). Nell esperienza concreta, l evoluzione storica dei sistemi impositivi oltre il concetto di reddito prodotto, verso una definizione più ampia, non approda, in nessun paese, ad un pieno accoglimento del concetto di reddito entrata Dalla proporzionalità alla progressività Il passaggio dalle imposte reali alle imposte personali coincide anche con un aumento del grado di progressività dei sistemi tributari. A differenza delle imposte personali, infatti, le imposte reali non sono strumento adatto ad una distribuzione progressiva del carico tributario. Vale infatti la seguente proposizione.

27 Longobardi - La struttura 27 Proposizione 3. Per il principio di equità orizzontale, le imposte reali non devono essere progressive: se lo fossero, l incidenza fiscale verrebbe infatti a dipendere dalla composizione, oltre che dal livello, del reddito. Le imposte personali, invece, possono esssere, e in genere sono, progressive. Si consideri il seguente esempio. Siano date due imposte reali, un Imposta sul reddito dei terreni e un Imposta sul reddito dei fabbricati. Entrambe le imposte siano progressive e tali che: su un reddito di 1000 l aliquota media è il 10% su un reddito di 2000 l aliquota media è il 15% Consideriamo ora due individui, a e b, entrambi con un reddito di A parità di altre circostanze i due individui vanno considerati in condizioni economiche eguali. Supponiamo ora che a tragga l intero reddito dal possesso di fabbricati, mentre l individuo b possieda 1000 di reddito dei terreni e 1000 di reddito di fabbricati. L aliquota media complessiva gravante su a risulterà del 15%, quella su b del 10%, quando invece i due individui, avendo il medesimo reddito complessivo, dovrebbero pagare la stessa imposta. Con l imposta personale, invece, per entrambi gli individui il tributo è commisurato al reddito complessivo e quindi, supponendo la stessa struttura di progressività, entrambi pagherebbero il 15% del proprio reddito L IRPEF La transizione dalle imposte reali all imposta personale muove dal Regno Unito, dove già nel 1840 prende forma un primo embrione di imposta personale. Seguono, lungo il corso del XX secolo, gli altri paesi: gli Stati Uniti nel 1919, la Germania nel 1920, la Francia nel Tra i paesi ad economia avanzata, l Italia è l ultima in ordine di tempo: solo a partire dal 1 gennaio 1974 entra in vigore, in sostituzione del preesistente sistema di imposte reali, l Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). In pochi anni essa diventa, in termini di produzione di gettito, il più importante tributo del paese L imposta sulle società In tutti i paesi ad economia sviluppata all imposta personale sul reddito degli individui (famiglie) viene affiancata un imposta personale sulle società di capitale. Tale circostanza non viola l assunto che l imposta personale, a differenza delle imposte reali, debba essere unica in quanto gravante sul reddito

28 Longobardi - La struttura 28 complessivo, come somma dei redditi di qualsiasi fonte e natura. La duplicità dell imposizione personale del reddito poggia infatti sulla distinzione tra categorie di soggetti passivi non tra categorie di reddito: persone fisiche da una parte, società di capitale dall altra, entrambi tassati, almeno in linea di principio, sul proprio reddito complessivo con due diverse imposte. Nondimeno, la bontà di tale assetto sotto il profilo dell equità tributaria è stata revocata in dubbio. Si è sostenuto che i criteri di distribuzione del carico tributario, siano essi la capacità contributiva o i principi del beneficio, vadano applicati con riguardo agli individui (o alle famiglie) senza conferire autonomo rilievo ad enti collettivi come le società di capitali. L esistenza di un tributo autonomo sulle società di capitale risulterebbe particolarmente discutibile qualora ci si ispiri al principio della capacità contributiva e questo venga interpretato nel senso della progressività: essendo il tributo societario normalmente di natura proporzionale, il risultato della tassazione autonoma delle società sarebbe quello di sottrarre alla distribuzione progressiva del carico tributario un importante componente del reddito prodotto, la quota dei profitti che non viene distribuita ai soci, con conseguenze negative sul piano dell equità orizzontale e verticale. Secondo tale linea di pensiero, dunque, la soluzione migliore, sotto il profilo distributivo, sarebbe quella di un unica imposta personale e progressiva sul reddito degli individui nel cui ambito andrebbe per intero riportato anche l utile delle società di capitale. Si tratterebbe di tassare in capo ai soci sia i dividendi sia i profitti non distribuiti, che andrebbero loro imputati, ai fini fiscali, in ragione delle quote di partecipazione. In molti paesi questo sistema è applicato alle società di persone e da questa circostanza prende il nome: metodo delle società di persone (partnership approach). I sostenitori dell imposta sulle società oppongono che nei moderni sistemi capitalistici il potere economico delle società di capitali non è riconducibile alla somma del potere economico dei singoli soci e sarebbe pertanto giustificato considerarle come soggetti dotati di una propria autonoma capacità contributiva. Considerazioni analoghe sono portate in relazione all applicazione del principio del beneficio, dal momento che le società godrebbero in quanto tali di una serie di vantaggi derivanti dall attività pubblica (a cominciare dalla limitazione della responsabilità loro riconosciuta dall ordinamento giuridico). Sul piano dei fatti, come si diceva, non rimane che rilevare la presenza, in tutti i sistemi tributari dei paesi ad economia sviluppata, di un imposta sulle società, autonoma rispetto all imposta individuale sul reddito, anche se talora a questa legata tramite il sistema di imputazione (l argomento è trattato in una distinta lezione). Tale assetto può essere imputato a pure ragioni di gettito, risultando conveniente ed efficace, sotto profilo tecnico e amministrativo, tassare la produzione di nuova ricchezza in modo unitario e

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