Teorie e tecniche della motivazione sportiva:

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1 Università Cattolica del Sacro Cuore Milano Facoltà di Psicologia Teorie e tecniche della motivazione sportiva: una ricerca sul campo con allenatori e sportivi Elaborato finale Referente: Dott. Giuseppe Riva Laura Ardenghi Anno Accademico

2 INDICE CAP 1 - I PROCESSI MOTIVAZIONALI NELLO SPORT pag La motivazione alla partecipazione e all abbandono sportivo pag Il modello dell impegno sportivo pag La motivazione alla riuscita pag La teoria della motivazione alla competenza pag La teoria della valutazione cognitiva e la motivazione intrinseca ed estrinseca pag Il modello valore-aspettativa di Eccles pag. 9 CAP 2 - LE TECNICHE MOTIVAZIONALI NELLA PSICOLOGIA DELLO SPORT pag Le tecniche utilizzate per migliorare la performance sportiva pag L autoregolazione dell attivazione e la motivazione pag L efficacia dell imagery nella motivazione pag Programmi di training del motivo pag Il colloquio motivazionale pag Il metodo del goal setting pag. 18 CAP 3 - LA MOTIVAZIONE NEGLI ALLENATORI E NEGLI SPORTIVI - pag. 21 <INTERVISTE> Gli obiettivi pag Il campione pag Lo strumento utilizzato pag Analisi dei risultati pag. 25 CONCLUSIONI pag. 30 BIBLIOGRAFIA pag. 33 2

3 CAP 1 I PROCESSI MOTIVAZIONALI NELLO SPORT In generale il termine motivazione può essere inteso come un processo di attivazione dell organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali (Anolli e Legrenzi, 2001). Nell essere umano è raro che una determinata condotta sia il risultato di un unica spinta motivazionale, il più delle volte essa è sovra-determinata, ossia è l esito di una concatenazione di motivazioni. Molti sono stati gli studi che si sono rivolti alla conoscenza dei processi motivazionali e uno dei campi di applicazione della ricerca motivazionale, nato dalla necessità di fornire risposte concrete in campo applicativo ai molti quesiti e alle richieste d aiuto provenienti soprattutto dagli allenatori, riguarda il contesto sportivo. In questo capitolo verrà fornita una rassegna di alcune delle prospettive teoriche e delle ricerche esistenti per l interpretazione dei processi motivazionali 1.1 La motivazione alla partecipazione e all abbandono sportivo In questo paragrafo tracceremo l evoluzione delle ricerche sulla motivazione alla partecipazione e all abbandono sportivo attraverso gli studi descrittivi condotti negli anni 70, 80 e 90. Preliminarmente va specificato come lo sport sia un attività che è praticata per libera scelta, la quale si viene a definire in tre momenti successivi: la scelta - caratterizzata dalla valutazione da parte del soggetto dei diversi elementi sia favorevoli sia contrari alla pratica sportiva, prendendo in considerazione tutte le alternative possibili -, la decisione - di praticare un determinato sport a partire dalla suddetta valutazione - e l attuazione - cioè la pratica concreta dello sport prescelto - (Giovannini e Savoia, 2002). I giovani, sia i ragazzi che le ragazze, possono intraprendere un attività sportiva spinti da un insieme piuttosto ampio di ragioni; obiettivo dei programmi di educazione è quello di sviluppare e mantenere un livello elevato di desiderio di partecipazione allo sport. Spesso tuttavia si assiste al fenomeno dell abbandono dello sport e molteplici sono le cause. La psicologia dello sport offre un contributo per la ricerca dei motivi di abbandono coniugando lo sviluppo complessivo delle competenze del giovane con l acquisizione di quelle strettamente sportive. L interesse per la ricerca della motivazione alla partecipazione emerge negli anni 70 con uno studio chiave condotto da Alderman e Wood (1976) con giovani atleti canadesi. Questi autori trovarono che l affiliazione (l opportunità di stabilire relazioni interpersonali significative), l eccellenza (l acquisizione di abilità sportive per primeggiare su qualcuno o per proprio interesse), lo stress (l opportunità di svolgere attività eccitanti) e il successo (l acquisire status, prestigio e approvazione da parte di altri) sono i motivi principali alla base del coinvolgimento in una disciplina sportiva. Sapp e Haubenstricker (1878) condussero successivamente uno studio su larga scala sulla motivazione alla partecipazione. I risultati rivelarono che le ragioni maggiormente citate per la partecipazione sportiva sono il divertimento, l acquisizione di competenza, la forma fisica e l affiliazione e che le motivazioni sono omogenee per età, sesso, sport praticato e cultura. 3

4 Un grande numero di studi seguirono negli anni 80; alcuni di questi studi testarono la motivazione alla partecipazione attraverso diversi sport (Gill, Gross e Huddleston, 1983) e fecero emergere alcune tematiche comuni alla partecipazione sportiva. Le motivazioni alla partecipazione includono primariamente: a) lo sviluppo di competenze fisiche (imparare nuove abilità, migliorare quelle già possedute e raggiungere obiettivi); b) guadagnare il consenso sociale (farsi nuovi amici, essere parte di un gruppo, guadagnare l approvazione degli adulti significativi); c) accrescere la forma fisica e l aspetto (essere in forma, essere più forti); d) godere di una nuova esperienza (divertirsi, stimolarsi). In tutti questi studi gli intervistati annoveravano come importanti per guidare la loro motivazione motivi multipli, più che singole ragioni. Per quanto riguarda le motivazioni che spingono gli atleti ad abbandonare i programmi sportivi, la ricerca di Sapp e Haubenstricker (1978) ha rivelato che queste sono differenti a seconda delle fasce d età considerate: i più giovani si ritirano principalmente per problemi con gli allenatori, mancanza di divertimento e eccessiva enfasi posta sull aspetto competitivo, mentre gli adolescenti per l emergere di altri interessi (che nella tarda adolescenza coincideranno principalmente con necessità lavorative). In una rassegna sulla motivazione alla partecipazione e all abbandono attraverso gli anni 80, venne affermato che il fenomeno dell abbandono sportivo non deve essere visto necessariamente come un evento negativo. Inoltre venne concluso, che il termine dropout, non è appropriato per etichettare i giovani che si ritirano; questo perchè molti di loro continuano comunque a praticare altri sport, proseguono nello stesso sport ad un diverso livello d intensità oppure prendono decisioni diverse in base al momento di sviluppo che stanno attraversando. Infine venne trovato che il provare o l abbandonare uno sport da parte di molti giovani, che può dipendere da un cambio d interesse o dall opportunità di fare altre attività, suggerisce un normale fenomeno di campionamento delle attività attraverso la scelta di quella che permette di soddisfare gli interessi, le competenze e gli obiettivi attuali (fare quello che fanno gli amici, dimostrare l abilità in uno sport, migliorare l apparenza fisica).(horn, 2002) In contrasto con questi primi studi, negli anni 90 le ricerche si focalizzarono in particolare sul contesto sociale nel quale gli sport vengono praticati, correlandolo con i motivi individuali alla partecipazione. Una ricerca (Buonamano, Cei e Mussino, 1993) condotta in Italia su giovani di 9-18 anni praticanti sport di squadra e individuali suddivisi in modo rappresentativo sull intero territorio nazionale, ha evidenziato ad esempio interessanti differenze in relazione al livello socioeconomico e culturale delle famiglie. Sono stati classificati in particolare quattro diversi livelli, in base al titolo di studio dei genitori, ed è stato evidenziato uno sbilanciamento verso i livelli superiori. Fra i giovani che praticano sport organizzati, infatti: il 21% appartiene a famiglie con un elevato livello socioculturale, il 44% con livello medio alto, il 21,5 con livello medio basso e il 13% con livello basso. Inoltre maggiore è il livello culturale, maggiore è la propensione a cambiare disciplina, maggiore l età in cui si inizia a fare sport. Dai risultati di questa indagine possiamo concludere che, sulla motivazione individuale pesano anche fattori di carattere non strettamente psicologico, ma derivati dalla cultura 4

5 di provenienza. Dopo aver descritto alcune ricerche che hanno indagato i motivi che determinano il coinvolgimento sportivo e la cui carenza invece favorisce l abbandono sportivo, nei prossimi paragrafi esamineremo i maggiori modelli teoretici e concettuali utilizzati nello studio dell orientamento motivazionale e della condotta sportiva. 1.2 Il modello dell impegno sportivo Le conclusioni secondo cui il divertimento e il piacere sono motivi dominanti per la partecipazione sportiva, indussero Scanlan e i suoi colleghi a condurre una serie di studi sulle fonti del divertimento in diversi campioni di atleti varianti per età, genere, etnia e tipo di sport praticato (Scanlan, Carpenter, Schmidt, Simons & Keller, 1993). I risultati rivelarono che, le interazioni sociali positive (con parenti, allenatore e compagni di squadra), le percezioni di competenza e il riconoscimento sociale della competenza, sono le principali cause determinanti del divertimento sportivo. In una sintesi di alcuni lavori sulle fonti del divertimento, Scanlan e Simons (1992) introdussero il divertimento sportivo come un costrutto centrale, entro un ampio modello concettuale sulla motivazione che chiamarono il modello dell impegno sportivo. L impegno sportivo è definito come un costrutto psicologico che rappresenta il desiderio e la decisione di continuare la partecipazione ad uno sport. Il fuoco è sull impegno come stato psicologico che sottolinea la condotta di perseveranza. Il modello dell impegno sportivo proposto da Scanlan e i suoi colleghi consiste in cinque cause determinanti che accrescono o descrescono l impegno sportivo: il divertimento, le alternative, gli investimenti personali, le costrizioni sociali e le opportunità. Il divertimento, rappresenta la principale attrattiva dello sport ed è definito come una risposta positiva che riflette sentimenti di piacere, di contentezza e di soddisfazione. Le alternative riflettono l attrattiva di altre attività che possono competere con la continua partecipazione nell attività corrente. Gli altri tre costrutti rappresentano delle barriere all interruzione di un impegno attuale. Gli investimenti personali riguardano il tempo, lo sforzo e le risorse finanziarie che possono essere perse se la partecipazione all attività è discontinua. Le costrizioni sociali si riferiscono alle pressioni percepite dagli adulti significativi e i pari che insinuano un senso di obbligo a continuare l impegno. Le opportunità sono i benefici attesi, offerti dalla continua partecipazione ad uno sport, quali le amicizie, le interazioni positive con gli adulti, la padronanza delle abilità e il condizionamento fisico. In accordo con le predizioni originate dal modello dall impegno sportivo queste cinque costrutti dovrebbero incrementare l impegno sportivo, mentre la percezione che altre attività sono più attraenti, probabilmente diminuiscono l impegno. In uno studio condotto da Scanlan e colleghi, solo il divertimento e gli investimenti personali predissero significativamente il livello dell impegno sportivo nei giovani giocatori di baseball e softball (Scanlan, Carpenter, Schmidt, et al., 1993). Un predittore non significativo, l'opportunità di coinvolgimento, è invece correlato moderatamente con l impegno sportivo (r =.41) e il divertimento (r =.55). Infine, le costrizioni sociali mostrano una relazione non significativa con l impegno sportivo. Uno studio seguente, con più di atleti (anni 10 19) in tre diversi sport, rivelò che il divertimento, gli investimenti personali e le opportunità di coinvolgimento sono predittori significativi dell impegno sportivo. Contrariamente alle ipotesi del modello, le costrizioni sociali si rivelarono correlate negativamente con l impegno 5

6 sportivo. (Carpenter et al., 1993) Dall integrazione dei risultati dei precedenti studi, Carpenter (1992) modificò ed estese il modello dell impegno sportivo. Alcuni costrutti vennero aggiunti al modello, in particolare due indici addizionali all attrazione: una disposizione negativa allo sport e la soddisfazione, le ricompense e i costi. Altre nuove variabili includono la disponibilità delle alternative, il supporto sociale e l abilità percepita. Sei variabili emersero dunque come determinanti significative dell impegno sportivo: il divertimento, gli investimenti personali, le opportunità di riconoscimento, le alternative di attrattiva, il supporto dei parenti e il dovere verso l allenatore. (Horn, 2002) 1.3 La motivazione alla riuscita La motivazione legata alla riuscita è stata particolarmente approfondita dagli studi di Murray, McClelland e Atkinson, i quali l hanno definita in termini di motivazione alla riuscita e motivazione ad evitare l insuccesso. In particolare, con riferimento agli sportivi di sesso maschile, sembra che un elevato desiderio di successo e una scarsa paura dell insuccesso comportino un livello di abilità più elevato durante la competizione; mentre, al contrario, una limitata predisposizione al successo associata ad una marcata paura dell insuccesso comportano prestazioni migliori durante l allenamento. Ulteriori ricerche hanno messo in evidenza come un livello intenso di paura dell insuccesso associato ad un elevato desiderio di successo può invece favorire prestazioni positive; questo dato può essere interpretato come capacità del soggetto di utilizzare efficacemente i processi di autoregolazione, consentendogli di utilizzare questa ansia pre gara in termini positivi per la competizione. In generale, il modello proposto suggerisce che un elevato desiderio di successo comporta prestazioni migliori in confronto ad una bassa attesa di successo. La critica che però può essere avanzata a questo modello fa riferimento all eccessiva enfasi che questo pone sulla personalità del soggetto, intesa come forza relativamente stabile che determina le caratteristiche motivazionali; infatti oltre alle caratteristiche strettamente individuali una notevole importanza va riconosciuta anche a quelle situazionali, in una reciproca azione sinergica. Ad esempio, non tutti attribuiscono lo stesso significato al concetto di successo nello sport: cioè quando si parla di senso di riuscita alcuni potranno intenderlo come la realizzazione di prestazioni che manifestano un elevato grado di competenza, altri come vittoria nel confronto con gli altri. In particolare, questo esempio fornisce l occasione per distinguere due ulteriori orientamenti motivazionali specifici: cioè l orientamento al compito (per cui il soggetto è interessato a dimostrare un certo grado di competenza/padronanza) e l orientamento al Sé (per cui il soggetto vuole dimostrare il proprio grado di abilità nel confronto con gli altri). La predominanza dell uno o dell altro stile motivazionale è determinata non solo dalla disposizione individuale, ma anche da fattori situazionali, come possono essere ad esempio i rinforzi provenienti dagli adulti oppure il modo in cui è strutturato l ambiente; in questo ultimo caso è chiaro come una competizione caratterizzata dal confronto interpersonale e da una valutazione pubblica eliciterà un orientamento al Sé, mentre una maggiore enfasi posta sull apprendimento e sulla dimostrazione di un certo grado di maestria stimolerà un orientamento al compito (Cei, 1998). È importante quindi non trascurare quelle che sono possono essere delle determinanti di carattere contestuale; con queste s intendono: le strutture di ricompensa che, se legate alla prestazione contro l avversario o alla prestazione contro uno standard, determineranno diverse modalità competitive a cui si assoceranno dei 6

7 corrispondenti orientamenti motivazionali -, l orientamento dell allenatore che a sua volta può essere basato sul controllo oppure sull informazione, modificando la percezione di sé del soggetto nonché la sua motivazione-, le differenze legate al tipo di sport che possono attirare alcuni soggetti e non altri, ed anche i fattori socioculturali (classe sociale, razza, etnia) che possono esercitare una certa influenza sul grado di coinvolgimento del soggetto nello sport stesso- (Giovannini, Savoia, 2002). Questi due orientamenti sono dimensioni indipendenti per cui, non essendo legati tra loro, possono essere presenti entrambi nello stesso soggetto in misure diverse: un individuo può essere fortemente orientato tanto verso il sé quanto verso il compito, oppure un altro potrebbe essere maggiormente focalizzato sul compito e meno sul sé, o viceversa. È stato inoltre messo in evidenza come l orientamento al compito sia in relazione positiva con la percezione dello sport come attività divertente, mentre al contrario l orientamento al sé ridurrebbe l interesse intrinseco per lo stesso (Duda e Nicholls, 1992). 1.4 La teoria della motivazione alla competenza Un altro aspetto motivazionale, riguarda l influenza che la motivazione a essere competenti esercita sull apprendimento e sulla prestazione sportiva. Gli individui principalmente partecipano alle attività fisiche per ragioni intrinseche, come ad esempio il divertimento o l attrazione verso l attività ed il piacere ed il senso di padronanza che viene dall imparare e migliorare le proprie abilità. Le ragioni sociali sono altrettanto importanti, come ad esempio il supporto positivo che deriva dall interazione con adulti significativi, e l inizio o la conferma delle amicizie. Questi concetti sono stati evidenziati dalla teoria della motivazione alla competenza di Harter (1978), un approccio rilevante per capire i modelli e le credenze motivazionali individuali in un campo specifico come lo sport. Il concetto di efficacia o motivazione alla competenza è stato descritto inizialmente da R.W. White (1959), il quale ha descritto e spiegato gli antecedenti e le conseguenze di un desiderio intrinsecamente motivato. La tesi di White era che gli individui sono intrinsecamente motivati a interagire efficacemente con il loro ambiente fisico e sociale. Se la loro competenza viene dimostrata, viene sperimentato il sentimento di efficacia e il piacere inerente, che mantiene o aumenta la conseguente motivazione o il desiderio intrinseco di dominare un ambiente. Harter, ha rivisto ed esteso il modello originale di White in molti modi. Per prima cosa, ha specificato che il processo di motivazione alla competenza può dipendere dallo specifico conseguimento in un campo nel quale accade un tentativo di padronanza (cognitivo, fisico, sociale). Questo vuol dire che i bambini possono differenziarsi nel loro livello di desiderio, curiosità, interesse e orientamento motivazionale nell imparare e padroneggiare abilità in una varietà di aree che spaziano dallo sport, alla matematica, al disegni, al computer. Quindi Harter rifinì il costrutto globale e unitario di White della motivazione alla competenza in un costrutto multidimensionale che considera le variazioni in un interesse come l essere efficace o competente in un particolare compito. Un secondo perfezionamento fatto da Harter al modello originale di White è relativo ai risultati della performance. Mentre White si indirizza verso le conseguenze di successo dei tentativi di padronanza, Harter considera anche le conseguenze delle esperienze d insuccesso. Egli analizza inoltre il ruolo degli agenti sociali, 7

8 insistendo sulla funzione dei rinforzi positivi e sulla dipendenza dei bambini da parte del mondo adulto.(horn, 2002) Alcune ricerche (Weiss, Chaumenton, 1992), evidenziano infine come particolarmente importanti sembrano essere le risposte fornite dal contesto esterno, in particolare dall allenatore: il feedback di quest ultimo influenza notevolmente la percezione della propria abilità e la prestazione sportiva, soprattutto nei giovani adolescenti. I risultati di questi due autori, evidenziano come i giovani prediligano dei rinforzi che non solo li incoraggino ma soprattutto forniscano loro suggerimenti di carattere tecnico volti a farli migliorare, e come questi stessi messaggi stimolino la loro percezione di competenza. 1.4 La teoria della valutazione cognitiva e la motivazione intrinseca ed estrinseca La motivazione alla competenza fa riferimento al concetto di motivazione intrinseca ed estrinseca. Nella prima l individuo compie un attività perché ciò gli reca piacere di per sé, nella seconda, invece, è spinto all azione dalla possibilità di ricevere una ricompensa. Quell area d indagine che ha analizzato la percezione di autodeterminazione e competenza, e che è centrata sulla descrizione di come esse mediano gli effetti di eventi esterni e interni sulla motivazione personale è stata chiamata Teoria della valutazione cognitiva (Deci & Ryan, 1985). Secondo questi autori la motivazione intrinseca è quella tendenza naturale ad essere coinvolti in attività interessanti per cercare e ottenere situazioni di sfida ottimali. Essa è parte integrante di ogni situazione di apprendimento, specie quando si apprende per il piacere di farlo e non per lodi. Questo comportamento è alimentato da rinforzi positivi che il soggetto fornisce a se stesso mentre svolge un attività. Deci e Ryan (1985) elaborarono la teoria della valutazione cognitiva in quattro principi. Il primo principio si riferisce al bisogno intrinseco delle persone di essere autodeterminate e suggerisce che gli eventi esterni possono intaccare la motivazione intrinseca per influenzare il locus di causalità percepito. Le situazioni che promuovono un locus di causalità esterno (in cui i comportamenti sembrano controllati da fattori esterni), possono negare l autodeterminazione e minare la motivazione intrinseca, mentre gli eventi che promuovono un locus di causalità interno (dove i comportamenti sono visti come determinati dalla libertà di scelta), possono facilitare l autodeterminazione e la motivazione intrinseca. Per esempio, i programmi sportivi che permettono ai partecipanti di stabilire input interni o fare scelte riguardo la loro partecipazione e i loro obiettivi, promuovono sentimenti da autodeterminazione. La percezione di uno stile di allenamento rigido o autocratico, al contrario, guida verso sentimenti di coercizione e diminuisce l autodeterminazione. Il secondo principio si riferisce al bisogno delle persone di essere competenti, padroneggiando le situazioni di sfida ottimale. Gli eventi esterni possono influenzare la motivazione intrinseca di una persona fornendo informazioni riguardo al suo o la sua competenza in un compito o in una attività. Le situazioni interpersonali che comunicano informazioni positive riguardo all abilità di una persona (lodi contingenti e appropriate per le performance di successo), possono accrescere la loro percezione di competenza e la motivazione intrinseca. Al contrario, eventi che portano informazioni negative riguardo alle abilità di una persona (ad esempio le punizioni per gli errori), possono diminuire la percezione di competenza e la motivazione intrinseca. 8

9 Il terzo principio afferma che gli aspetti informativi e controllanti che coesistono nelle situazioni esterne possono avere una importanza differente per gli individui. Quindi, lo stesso evento può essere percepito come principalmente informativo o controllante. Per esempio, un individuo può percepire una ricompensa esterna (soldi, trofei) come un indicatore della sua competenza sportiva; un altra persona può percepire la stessa ricompensa come una costrizione o una coercizione per trattenerlo nell attività. Infine, una situazione esterna può essere percepita anche come demotivante. In questo ultimo caso la motivazione intrinseca di una persona si riduce. L ultimo principio base della teoria della valutazione cognitiva afferma che gli eventi informativi interni (l autoricompensa, l autoregolazione) incrementano la percezione di competenza e, come risultato, mantengono o aumentano la motivazione intrinseca. Al contrario, gli eventi controllanti interni (la pressione autoimposta, la colpa) possono diminuire l autodeterminazione e la motivazione intrinseca (Horn, 2002) 1.5 Il modello aspettative-valori di Eccles Eccles e i suoi colleghi (Eccles e coll, 1983) formularono un modello che abbracciava una visione multidimensionale dell importanza (o valore) del raggiungimento di un risultato: il modello aspettative-valori. L interesse di Eccles per le variazioni del rendimento venne suscitato dalle variazioni del rendimento nei giovani che mostravano attitudini e talento simili in un compito dato, specialmente in matematica. Dato un livello di competenza simile, perchè alcuni bambini sentono di poter avere successo nelle abilità o attività a loro richieste, mentre altri indugiano nei propri dubbi? Nella scuola elementare, nonostante abbiano abilità e punteggi simili, le ragazze scelgono meno rispetto ai ragazzi di frequentare un corso di matematica avanzato. Eccles sostiene che i primi predittori della conseguente scarsa motivazione (scelta, sforzo) di frequentare corsi di matematica sono: la bassa percezione di abilità delle ragazze con le conseguenti basse aspettative di successo, e una valutazione negativa del compito. Eccles e i suoi colleghi cercarono di sviluppare un modello comprensivo che potesse spiegare e descrivere le variazioni del comportamento nella scelta del compito, nella persistenza e nella prestazione in bambini ed adolescenti attraverso compiti di rendimento. Tale modello considera la possibilità di valori discreti e, soprattutto, illustra alcune importanti relazioni tra numerosi elementi motivazionali e di prestazione, fra i quali un ruolo centrale è svolto dalle aspettative e dai valori. Le aspettative possono essere definite come le attese nutrite circa la qualità delle prestazioni, mentre per quanto riguarda i valori, per Eccles e colleghi, esse sono credenze circa la desiderabilità di certi risultati o obiettivi. Le aspettative di rendimento sono influenzate dalle aspettative di successo e dal valore soggettivo del compito. Queste sono influenzate, a loro volta, dall interpretazione, da parte del ragazzo, degli eventi passati e, quindi, dalle attribuzioni formulate, dalle aspettative che altri nutrono nei suoi confronti e dei suoi obiettivi, immediati e a lungo termine, incluse le percezioni di sé attuali e future. Questo modello vede pertanto la motivazione ad affrontare un certo compito come il risultato delle proprie percezioni e aspettative circa la difficoltà del compito e le personali capacità per affrontarlo. In definitiva la motivazione è intesa come frutto di stime e valutazioni del soggetto, derivanti dai processi di socializzazione mediati cognitivamente. Il ruolo dei processi di socializzazione e dell ambiente culturale sono stati approfonditi 9

10 più nel dettaglio in un successivo ampliamento del modello (Wigfield e Eccles, 2000), illustrato nella figura 1. Il contesto culturale influenza le aspettative, le credenze e i comportamenti legati alla socializzazione. Quest ultima componente, a sua volta, influenza gli obiettivi, le percezioni di sé e il ricordo delle emozioni associate all apprendimento. Il ricordo delle emozioni associate all apprendimento interfaccia la relazione fra le credenze sul compito e il valore ad esso assegnato e risente dei processi attributivi sottostanti. Le credenze e i comportamenti legati alla socializzazione, a loro volta, sono influenzati dalle attribuzioni. (De Beni e Moè, 2000) Contesto culturale e stereotipi legati al sesso o al Esperienze di rendimento passate e attribuzioni Le aspettative di successo Credenze e comportamenti legati alla socializzazione Le aspettative degli altri Le aspettative di rendimento o motivazione Ricordo delle emozioni associate ll di t Gli obiettivi, gli schemi di sé e le percezioni dei bambini Credenze sul compito (abilità e facilità) Il valore soggettivo del compito Figura 1 Studi specifici hanno applicato successivamente il modello aspettativa-valore di Eccles ai compiti fisici. Questi studi hanno esaminato specificatamente l adeguatezza del modello ai comportamenti di attività fisica e le fonti di valore soggettivo verso il coinvolgimento sportivo. Deeter (1990) testò il modello della motivazione al rendimento di Eccles su alcuni studenti universitari che avevano preso parte ad un corso di educazione fisica. Il valore del compito fu stimato attraverso gli orientamenti al rendimento sportivo (competitività, vincita, obiettivi). La condotta di rendimento venne rappresentata dalla valutazione soggettiva degli istruttori sulle prestazioni degli studenti e dalle misure delle prestazioni oggettive (le percentuali di vincite nelle competizioni, il numero di giri di corsa o camminata). I risultati rivelarono un adeguato adattamento del modello ai dati: le variabili di aspettativa, più che il valore del compito, emergono come forti predittori del comportamento di rendimento. 10

11 Stuart (1997) si interessò all identificazione delle fonti dei valori del raggiungimento, dell utilità e dell interesse verso il coinvolgimento sportivo nei giovani della scuola media e a come queste possono essere comparate alle fonti teoretiche definite nel modello di Eccles. Alcuni bambini e bambine tra i 12 e i 14 anni completarono un questionario i cui item si riferivano a ogni componente del valore del compito, dopodichè trenta di loro, suddivisi a seconda del punteggio ricavato (basso, medio, alto), furono successivamente intervistati sulle ragioni per cui trovavano lo sport interessante, importante, utile o meno. I risultati confermarono le origini del valore soggettivo del compito di Eccles e collaboratori, e che l investimento di energie, la memoria affettiva e gli adulti e i pari significativi, giocano tutti un ruolo nei valori intrinseci dei partecipanti e nella stima del valore di utilità. (Horn, 2002) Possiamo concludere questo primo capitolo, affermando che l orientamento motivazionale nello sport è un costrutto multidimensionale che può essere affrontato da una varietà di approcci teoretici. Nello specifico si è deciso di descrivere alcuni dei maggiori approcci allo studio dell orientamento motivazionale e della condotta sportiva che includono la motivazione alla partecipazione e all abbandono, il modello dell impegno sportivo, la motivazione alla riuscita, la teoria della motivazione alla competenza, la teoria dell attribuzione, la teoria della valutazione cognitiva e infine il modello aspettativa-valore di Eccles. Questi approcci, al di là delle loro specifiche tendenze, mostrano numerosi elementi comuni. Ogni teoria o modello implica l importanza del contesto sociale, inclusi il supporto sociale, le costrizioni degli adulti significativi e dei pari, i fattori situazionali quali il tipo di sport, la cultura, il genere e il clima in cui hanno luogo il rendimento e le conoscenze. Un certo numero di differenze individuali costituiscono il denominatore comune di ogni approccio: l autopercezione, il locus of control, l orientamento al compito o al sé, le alternative o l autonomia percepite, il valore soggettivo del compito. Il fenomeno della motivazione intrinseca o del fare un attività per il proprio interesse, è infine centrale in ogni teoria. CAP 2 LE TECNICHE MOTIVAZIONALI NELLA PSICOLOGIA DELLO SPORT Uno degli obiettivi maggiori della psicologia dello sport è quello di determinare quali fattori massimizzano la condotta di partecipazione nei contesti di attività fisica. L'importanza dell'allenamento mentale come parte integrante della preparazione atletica è ormai generalmente condiviso ed oggetto di numerose ricerche in laboratorio e sul campo. Negli ultimi anni la psicologia dello sport si è diretta sempre più verso la ricerca di programmi integrati e multimodali d'allenamento mentale. Già Martens (1987), uno degli studiosi più importanti e conosciuti nell'ambito della psicologia dello sport, evidenziava la necessità di affrontare in maniera multimodale la preparazione mentale dell'atleta. Martens individuò cinque abilità mentali di base da considerare nei programmi di preparazione mentale: il controllo dei pensieri e dell attenzione, la gestione dello stress, il controllo delle immagini, la modulazione dell arousal e la 11

12 formulazione degli obiettivi. Il lavoro dello psicologo dello sport è diventato quindi molto vario e comprensivo di una serie di attività, migliorative della performance sportiva, atte a migliorare la percezione temporale per renderla più precisa e facilitare perciò l'impiego ottimale delle forze. Nel primo paragrafo, analizzeremo sinteticamente alcune delle tecniche utilizzate dagli psicologi dello sport per aumentare la performance sportiva. In particolare poi, un elemento critico attraverso cui gli individui sostengono il loro coinvolgimento sportivo è proprio il loro orientamento motivazionale, ci soffermeremo pertanto, nel secondo paragrafo, su alcuni programmi di training del motivo sviluppati da studiosi che hanno analizzato le teorie della motivazione. Nel terzo paragrafo analizzeremo il colloquio motivazionale come metodologia per favorire cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita della persona e nel quarto paragrafo, infine, restringeremo il campo d interesse alla tecnica principale utilizzata nello sport per mantenere un alto livello di motivazione: il metodo del goal setting. 2.1 Le tecniche utilizzate per aumentare la performance sportiva I programmi di allenamento mentale prevedono la possibilità di massimizzare lo sviluppo di un insieme di abilità di base, tra loro interdipendenti. Di seguito, prenderemo in considerazione in particolare: l autoregolazione dell attivazione (arousal) e l immaginazione (imagery o visualizzazione) L autoregolazione dell attivazione e la motivazione Per capire la relazione tra motivazione e attivazione sembra perfetta la definizione di Magill (1990), la quale descrive l attivazione come sinonimo di motivazione, quando afferma che motivare un individuo significa attivarlo in modo tale che si prepari a eseguire un compito. Molte sono le teorie che sono state proposte per spiegare l interazione fra livelli di attivazione individuali e processi di autoregolazione messi in atto dai soggetti per ottimizzare le loro prestazioni. La teoria che rimanda al concetto di motivazione è la reversal theory, proposta in psicologia dello sport da Kerr (1990) e basata sulla ricerca condotta da Apter (1984). La motivazione viene definita come lo studio della struttura dell esperienza e del modo secondo cui questa stessa struttura cambia nel tempo. In questo quadro assumono notevole rilevanza i fattori cognitivi ed emotivi. Questa teoria tiene conto dell interpretazione cognitiva dell atleta del livello di attivazione. Cosi: alti livelli d intensità sono vantaggiosi se un atleta percepisce un alta attivazione fisica come positiva, mentre se l intensità è percepita come negativa, questa può avere un effetto debilitante sulla performance. Perciò, perchè una performance abbia successo, gli atleti devono vedere la loro intensità come positiva più che come negativa. Inoltre, la reversal theory afferma che la percezione dell intensità non è stabile ma cambia nel corso di una competizione, in quanto ad esempio, se un atleta può iniziare una competizione sentendosi sicuro e motivato riguardo la sua performance e interpretare l intensità che l accompagna come un beneficio, successivamente, se la competizione prosegue e la performance dell atleta diventa scarsa, lo stesso livello d intensità può venire interpretato come negativo. (Van Raalte & Brewer, 2002) La metodologia più efficace, nelle situazioni in cui è necessario aumentare o diminuire lo stato di eccitazione generale, per ricercare un rendimento sportivo ottimale, è quella di assumere un atteggiamento corretto ed onesto verso il proprio processo soggettivo di attivazione, individuandone regole, tempi e credenze. Se per alcuni atleti professionisti può essere automatico in altri si può riscontrare una difficoltà di avviamento 12

13 per una svariata gamma di motivazioni e in questo caso, numerose sono le tecniche psicologiche che consentono di ridurre o aumentare i livelli di attivazione. Per ridurre il livello di attivazione le tecniche principali sono: OBIETTIVO IN CHE MODO IL Favorire il rilassamento e aumentare la quantità La semplice effettuazione di alcuni respiri CONTROLLO DEL di ossigeno utilizzabile dal sistema profondi e regolari consente all atleta di ridurre RESPIRO cardiovascolare in relazione all attività immediatamente l attivazione. muscolare. IL Consiste di esercizi di graduale contrazionedistensione RILASSAMENTO di specifici distretti muscolari da Si propone di educare l atleta alla riduzione PROGRESSIVO volontaria del tono muscolare e d indurre così svolgere con scadenza giornaliera, che NEURO- MUSCOLARE uno stato di calma mentale. coinvolgono la maggior parte dei muscoli del corpo. (Jacobson, 1929) Si basa sull apprendimento di esercizi di TRAINING Gli esercizi gradualmente determinano il difficoltà crescente che consistono nel far AUTOGENO (TA) (Schultz, 1966) rilassamento globale del soggetto. ripetere mentalemente al soggetto delle frasi affermative, semplici e brevi. MEDITAZIONE (Wallas e Benson, 1972) BIOFEEDBACK La meditazione trascendentale determina un abbassamento del consumo di ossigeno, della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria. La tecnica del biofeedback permette di gestire volontariamente alcune funzioni fisiologiche, relative al sistema nervoso autonomo, che sfuggono al controllo cosciente della persona come il battito cardiaco, la tensione muscolare, la temperatura cutanea, la risposta galvanica della pelle, la frequenza respiratoria e le onde elettroencefalografiche. La tecnica consiste nella ripetizione del mantra (suono di una sillaba, semplice, ripetuta in modo ritmico) mentre il soggetto è seduto in un ambiente tranquillo. Le tecniche di BFB (retroazione biologica) consistono nel fornire ad un soggetto, tramite un apposita apparecchiatura elettronica per l amplificazione dei segnali bioelettrici, un informazione (un feedback) sensorialmente percepibile, continua ed immediata, sull andamento di una sua funzione fisiologica (volontaria o autonoma), con lo scopo di operare una modificazione (permettere l apprendimento di un autocontrollo) della funzione stessa. Esistono inoltre alcune tecniche per favorire un efficace incremento dei livelli di attivazione: 1 Innanzitutto è necessario che gli atleti siano consapevoli di quali sono i parametri che segnalano una condizione di scarsa attivazione e che vi sono i modi per ovviare a questo stato. 2 La respirazione può anche essere utile nei casi in cui serva incrementare l attivazione, attraverso l aumento del respiro, associato, nella fase di inspirazione, a immagini di energia. 3 Anche gli esercizi di stretching e più in generale il riscaldamento effettuato dall atleta, costituiscono un 13

14 ottimo sistema di attivazione non solo organica, ma anche mentale. 4 Altre modalità si riferiscono all uso di parole guida, specifiche per ciascun atleta, per incrementare l attivazione; il cosiddetto self talk è appunto un intenso dialogo con se stessi, costituito da parole, frasi o immagini mentali positive che possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di efficacia e quindi sulla motivazione, che l atleta ha di se stesso in una determinata situazione sportiva. 5 Vi è inoltre l abilità di saper trarre dall ambiente circostante le motivazioni giuste per incitarsi positivamente e la capacità di tradurre sentimenti interni sgradevoli in energia positiva per la prestazione (though stopping). 6 Un modo per incrementare e migliorare la condizione di scarsa attivazione è di stabilire obiettivi che siano raggiungibili ma che nel contempo rappresentino una sfida (vd paragrafo 2.3) 7 Anche l allenatore può svolgere un ruolo decisivo: egli esorta, anche con espressioni colorite, la sua squadra a impegnarsi al massimo delle possibilità oppure può utilizzare in modo strategico la regola che giocheranno solo i giocatori più motivati. (Cei, 1998) L efficacia dell imagery nella motivazione Tra le tecniche più usate per aumentare la performance degli atleti c è l'imagery, che ha a che fare con le immagini usate per allenare l'atleta mentalmente. L imagery è definita come un processo attraverso il quale le esperienze sensoriali sono immagazzinate, richiamate internamente e rappresentate in assenza di stimoli esterni (Murphy,1994). La ricerca del valore dell'imagery sulla performance atletica è stata ed è ancora molto ricca; Ulich (1967), nei suoi esperimenti, scoprì che il training mentale (immaginare una prestazione), migliorava le abilità motorie in un numero di casi essenzialmente lo stesso che nella pratica reale. L'aspetto più interessante degli studi di Ulich è che, alternando periodi di pratica mentale e training attivo (fisico), i soggetti arrivavano a conseguire gli stessi, o addirittura migliori, livelli di abilità che la pratica attiva da sola. In più, le prestazioni allenate mentalmente furono mantenute meglio che le prestazioni allenate fisicamente. La ricerca successiva ha dimostrato, in maniera inequivocabile, come l'imagery possa avere degli effetti positivi sulla prestazione competitiva (Feltz & Landers,1983). Alcuni atleti utilizzano videotape o audiotape per aiutarli a sviluppare e rinforzare le imagery costruttive. Questi video sono composti di due parti: nella prima il giocatore vede se stesso nell atto di eseguire azioni particolarmente efficaci e nella seconda l accento viene spostato sui momenti migliori vissuti dalla squadra. Per ogni giocatore possono inoltre essere realizzati dei video che mostrano solo le azioni maggiormente positive ed efficaci (Cei, 1998). Paivio (1985) suggerisce che una funzione cruciale delle immagini mentali può essere quella di motivare gli atleti quando i rinforzi sono rari. Infatti, dai risultati di una ricerca condotta su atleti di sei sport è emerso che gli atleti spesso immaginano se stessi che vincono o nell atto di ricevere un premio e raramente immaginano di perdere. (Hall e col., 1990). Concludendo, l abilità di immaginare va allenata allo scopo di: 1. aiutare gli atleti a rivedere i propri errori tecnici e correggerli; 14

15 2. affrontare ed eliminare i fattori distraenti; 3. rinforzare lo spirito di squadra; 4. sviluppare la motivazione, divenire consapevoli del proprio valore, gestire l ansia e lo stress, modificare lo stile attentivo e pensare a raggiungere il proprio obiettivo. 2.2 Programmi di training del motivo Hechkhausen (1975) ha elaborato una teoria che coniuga i progressi della ricerca cognitiva sull argomento, con le conoscenze della ricerca motivazionale classica: il modello di autovalutazione della motivazione alla riuscita. Il motivo è descritto come un sistema autostabilizzantesi di tre processi parziali di autovalutazione. Questi ultimi riguardano: 1. il confronto di un risultato con uno standard (per esempio il livello di aspirazione); 2. l attribuzione causale del risultato; 3. il sentimento di soddisfazione/insoddisfazione per la propria abilità, conseguente all autovalutazione. TRE COMPONENTI TIPO DI MOTIVO SPERANZA DI SUCCESSO PAURA DELL INSUCCESSO 1. Determinazione Realistica, compiti di media difficoltà Non realistica, compiti troppo difficili o dell obiettivo / livello di Sforzo, buona abilità personale aspirazione Successo troppo facili Fortuna, compito facile 2. Attribuzione causale Sforzo insufficiente / sfortuna Capacità personali / talento carenti insuccesso 3. Autovalutazione Bilancio positivo di successo / insuccesso Bilancio negativo di successo / insuccesso I tre processi influiscono vicendevolmente l uno sull altro. Gli individui motivati al successo, che si pongono obiettivi realistici, tendono a vedere che l esito dell azione dipende dallo sforzo fatto e che la loro abilità cresce ulteriormente grazie alla pratica. Questa percezione è in sintonia con il modello di attribuzione, volto ad ascrivere i successi alle proprie capacità e i fallimenti a variabili nel tempo, in particolare ad uno sforzo insufficiente. Nel caso di pari distribuzione di successo e insuccesso, il bilancio di autovalutazione risulta nel complesso positivo: più orgoglio e soddisfazione che ansia e prostrazione. Nei motivati all insuccesso l azione concordata dei tre processi parziali si svolge in maniera tipicamente diversa. Evitando compiti realistici, non si colgono il nesso tra sforzo personale e risultato dell azione, né la crescita della propria abilità nel caso essa abbia luogo. In caso di obiettivi non realistici, il successo è una questione di fortuna o di facilità dei compiti. Corrispondono a questo quadro i modelli di attribuzione dei motivati all insuccesso, tesi ad ascrivere i successi a fattori esterni e a spiegare i fallimenti tramite fattori stabili nel tempo, soprattutto tramite capacità carenti. Perfino in caso di pari distribuzione di successo e insuccesso questo tipo di attribuzione dà luogo a bilanci di autoconferma negativi. (Rheinberg, 2002) La rappresentazione del motivo come sistema autostabilizzantesi dei tre processi motivazionali, si è rivelata particolarmente utile ai fini applicativi: si conoscevano ormai tre processi di cui modificare il decorso e l azione concordata per aumentare la speranza di successo degli individui. Sulla base del modello di 15

16 autovalutazione, in particolare Krug (1983), ha sviluppato programmi di training del motivo per allievi di scuola dell obbligo. Egli descrive come degli alunni di scuola elementare, caratterizzati da paura dell insuccesso, abbiano imparato, nel corso di un addestramento guidato, a esperire il nesso esistente tra determinazione dell obiettivo, attribuzione causale e autovalutazione. L addestramento, eseguito sotto la guida di un istruttore ed effettuando esercizi estranei alla sfera scolastica (per esempio, infilare anelli su un perno di legno da una distanza scelta dal soggetto, avendo stabilito preventivamente il punteggio da raggiungere), verteva sulla determinazione di obiettivi realistici, su modelli di attribuzione vantaggiosi e su riflessioni inerenti all autovalutazione. Dopo un periodo di addestramento vertente sulle strategie e strutture cognitive caratterizzate da speranza di successo in una situazione giocosa e, in quanto tale, non minacciosa, sono stati affrontati via via compiti più attinenti all ambito scolastico. Dopo quattro mesi di training è stato riscontrato un progresso relativo ai tre processi parziali inerenti all autovalutazione; erano cambiati inoltre i valori del motivo di riuscita degli allievi, orientati ora ad una maggiore speranza di successo. Da una serie di studi successivi è emerso che gli effetti del training potevano considerarsi alquanto attendibili. Recentemente questo training viene combinato con un training per l incremento del pensiero induttivo. L idea sottostante è che, da un parte, gli effetti della motivazione dovrebbero rafforzarsi quando non si fornisce solamente una strategia d azione realistica ed ottimistica per far fronte alle richieste della situazione, bensì ci si preoccupa anche di stimolare il pensiero, in modo tale che il proprio sforzo si ripercuota in un migliore funzionamento cognitivo. Questo dovrebbe migliorare l esperienza della propria efficacia. Dall altra parte, il training puramente cognitivo del pensiero dovrebbe diventare più attraente se viene arricchito con una graduazione delle difficoltà, con obiettivi e autovalutazioni. Un altro uso del modello di autovalutazione è stato sperimentato con un gruppo di insegnanti, per indurli a impostare le loro lezioni in modo da stimolare negli allievi obiettivi realistici, attribuzioni e autovalutazioni favorevoli. Una strategia per l insegnante consiste nel segnalare agli allievi i diversi risultati conseguiti nell ambito di un raffronto intraindividuale, anziché giudicare le loro prestazioni confrontandole con la media dei risultati conseguiti dalla classe. Un confronto con se stessi di questo genere permette agli allievi di capire nel migliore dei modi quanto l aumento o l arresto delle proprie conoscenze dipendano dall impegno e dallo sforzo personale. Il motivo può essere incentivato facilmente soprattutto durante le ore di insegnamento dedicate all attività sportiva. (Rheinberg, 2002) 2.3 Il colloquio motivazionale Il colloquio motivazionale, elaborato attorno agli anni 80 negli Stati Uniti e nel Regno unito, è propriamente uno stile di intervento centrato sulla persona, ed un elemento della propria espressione è la volontà di sviluppare un atmosfera empatica, di accoglimento e comprensione per meglio favorire cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita della persona. Esso è un metodo efficace per aumentare la motivazione intrinseca attraverso l esplorazione e la risoluzione dell ambivalenza, intesa appunto come fattore critico per stimolare il cambiamento. Le cinque abilità di base del colloquio motivazionale sono: 1. Formulare domande aperte. Le domande aperte sono quelle a cui una persona non può rispondere in modo 16

17 semplicistico con un sì/no e quindi incoraggiano il ricevente a parlare, ad approfondire ed a rappresentare la propria situazione. Esse hanno la capacità di aumentare il contatto relazionale tra psicologo e cliente, stimolando l interazione e l approfondimento delle tematiche, poiché il ricevente si sente motivato a produrre feedback, definendo e sviluppando meglio le proprie idee e le proprie sensazioni. (Esempio: Cosa la soddisfa di più del nuovo programma di lavoro, al posto di: Ti soddisfa il nuovo programma di lavoro? ). 2. L ascolto riflessivo. Ascoltare in modo riflessivo significa analizzare ed intuire in modo ragionevole e responsabile il significato delle parole del cliente e restituire alla persona il suo messaggio sotto forma di affermazione; la nuova formulazione è volta a testare se il significato attribuito alla comunicazione del cliente è congruente con quella che la persona voleva veramente comunicare. L ascolto riflessivo ha lo scopo di verificare il significato che la persona dà alle parole, la invita a continuare a parlare dell argomento, permette di chiarire i significati espressi e di fare supposizioni su quelli inespressi, è in grado di sottolineare, amplificare, deenfatizzare e minimizzare aspetti particolari. 3. Riassumere. Il riassumere è una fase delicata e speciale dell ascolto riflessivo. Risulta efficace in quei momenti in cui il colloquio con il cliente volge al termine o il rapporto professionale è giunto ad una svolta del programma. Schematizziamo una serie di passaggi fondamentali che costituiscono una buona struttura da seguire nella fase del colloquio motivazionale in cui è necessario riassumere: A) Ci si rivolge alla persona con una frase in cui è chiaro il tentativo di riassumere la situazione ( Vediamo se ho capito bene le difficoltà che hai provato in quell esercizio.. ) B) Nel proseguo della frase vengono incluse tutte le informazioni del cliente in modo da rendere chiaro il fatto di aver riconosciuto e messo a fuoco la situazione, mostrare un interesse sincero per le ragioni del cliente ed ottimismo verso le direzioni da prendere insieme. C) Si accennano soluzioni in merito, in base a colloqui precedentemente fatti o proponendo in modo tecnico nuove tipologie di lavoro. D) Si cerca di essere efficacemente concisi concludendo con la richiesta di un commento da parte del cliente ( Che ne dici? ) 4. Sostenere e confermare. Messaggi diretti carichi di rinforzi positivi sono efficacissimi per sottolineare progressi e miglioramenti, evidenziando i feed-back necessari nella motivazione del cliente. Commenti di sostegno e conferma sono altresì fondamentali nei momenti di difficoltà, di ricadute o situazioni particolari in cui il cliente ha abbassato il suo livello di autoefficacia. Si promuove così la percezione su aspetti positivi della persona, offrendo nuovi modi di vedere e comunicando interesse. 5. Evocare affermazioni automotivanti. Le affermazioni automotivanti sono frasi che il cliente dice in cui, grazie al giusto input comunicazionale da parte dello psicologo, sono presenti elementi di riconoscimento della difficoltà e del disagio; una presa di coscienza autonoma della situazione, fiducia ed ottimismo verso le eventuali soluzioni o verso obiettivi già definiti o da definire. Attraverso queste frasi il cliente autopercepisce nelle sue parole il contesto della stuazione e le reali risorse personali nell affrontare il programma di lavoro. La sua motivazione cresce per il fatto di sentirsi gratificato dalla scelta e dalla capacità delle sue azioni, dei suoi gesti e dei suoi pensieri. (Miller e Rollnick, 2004) 17

18 2.3 Il metodo del goal setting Di seguito verrà descritto uno dei sistemi più efficaci per migliorare la prestazione: lo stabilire obiettivi specifici costituisce uno stimolo importante per il mantenimento di un livello elevato di motivazione. La teoria del goal setting nasce come vera e propria tecnica motivazionale all interno del MBO (Management By Objective), utilizzato nel contesto lavorativo e delle organizzazioni. Essa è una metodologia di gestione delle persone in cui il superiore e il subordinato determinano e fissano insieme gli obiettivi d impresa. Il goal setting si differenzia dall MBO perché valuta gli aspetti qualitativi legati alla prestazione del collaboratore e non solo il raggiungimento o meno dell obiettivo. Attraverso il goal setting l atleta lavora sulla programmazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine e, grazie alla possibilità di monitorare costantemente i progressi compiuti ed alla sensazione di controllo delle proprie attività, tale metodologia ha l obiettivo di accrescere la motivazione intrinseca (Martens, 1987). Per obiettivo s intende un qualcosa che si vuole consapevolmente raggiungere, e questo qualcosa è composto essenzialmente da due caratteristiche: direzione o contenuto (vale a dire la scelta di come dirigere la propria azione verso un risultato desiderato) e qualità o intensità (ovvero quanta energia e tempo sono necessari per giungere a questi risultati). L importanza dell obiettivo è ben evidenziata dalle parole utilizzate da Locke e Latham nel libro del 1984 Goal setting. A motivational Theory that Works: Il comportamento può essere sollecitato dal contesto attraverso la definizione di un obiettivo da raggiunger, che rappresenta la meta verso cui orientare le proprie risorse, intensificare gli sforzi, perseverare. Gli obiettivi infatti, spingono le persone a mettersi alla prova, a trovare soluzioni alternative ai problemi e a persistere nelle difficoltà raggiungendo risultati più elevati e prestazioni migliori. Attraverso l assegnazione degli obiettivi, il monitoraggio delle strategie e la verifica dei risultati, la teoria e la tecnica del goal setting integrano i processi di valutazione delle prestazioni e del potenziale. Ciò avviene, in particolare, identificando un percorso in cui l allenatore valuta le capacità specifiche dello sportivo, e al tempo stesso può metterlo alla prova su obiettivi sfidanti che vanno al di là della normale attività e che implicano il ricorso a potenzialità ancora non pienamente messe a frutto. Il goal setting migliora la prestazione fornendo un meccanismo che permette allo sportivo di adattare il suo comportamento e raggiungere efficacemente l obiettivo. Inoltre esso fa crescere le persone consentendo sia all allenatore che allo sportivo di mettersi alla prova nell attività e nella sfera relazionale. Nel corso degli anni 80 e 90, sono state avanzate due categorie generali di spiegazioni per chiarire come gli obiettivi influenzano la performance: il modello meccanicistico e il modello cognitivo. Nel modello meccanicistico di Locke e Latham (1984), vengono identificate cinque variabili che svolgono un azione moderatrice sull impatto che gli obiettivi hanno sulla prestazione. Queste variabili sono: 1. l abilità, rispetto alle attività necessarie al raggiungimento del goal; 2. l impegno, influenzato dall aspettativa di successo e dall importanza del goal; 3. il feedback, cioè il monitoraggio dei propri risultati, che consente di valutare se si è raggiunto lo standard atteso o se è necessario aggiustare il tiro per migliorare la prestazione; 18

19 4. la complessità del compito con la relativa self-efficacy, ovvero la convinzione di possedere le capacità di riuscire a raggiungere il goal 5. e gli elementi situazionali. (Borgogni e Petitta, 2003) Sviluppando questa ricerca in ambito lavorativo ed organizzativo i due ricercatori si sono accorti che alcune linee guida potevano trovare un importante realizzazione nel mondo sportivo e quindi hanno proposto delle ipotesi su come dovrebbe funzionare il goal-setting nello sport. Cercheremo di schematizzare qui di seguito il concetto di goal-setting di Locke e Latham evidenziandolo attraverso questi specifici punti: 1. Degli obiettivi specifici regolano l azione in modo più preciso che degli obiettivi generali. 2. In relazione ad obiettivi quantitativi specifici, più elevato è l obiettivo, migliore sarà la prestazione, fermo restando un livello adeguato di abilità ed impegno. 3. Obiettivi specifici e moderatamente difficili miglioreranno maggiormente la prestazione, rispetto ad obiettivi del tipo fai del tuo meglio o a non obiettivi. 4. La formulazione di obiettivi a breve termine e a lungo termine migliora maggiormente la prestazione, rispetto alla sola formulazione di obiettivi a breve termine, in quanto rendono più motivanti le azioni immediate e donano la sensazione che l obiettivo finale non sia troppo spostato nel futuro. 5. Gli obiettivi agiscono sulla prestazione guidando l attività, mobilizzando l impegno, aumentando la persistenza e motivando alla ricerca di strategie appropriate al compito. 6. La definizione degli obiettivi è efficace solo alla presenza di feedback che evidenzino i progressi compiuti nella direzione del raggiungimento degli obiettivi. 7. Obiettivi difficili richiedono un notevole impegno che determina prestazioni migliori. 8. L impegno può essere ottenuto chiedendo alla persona di accettare l obiettivo, mostrando sostegno, permettendo la partecipazione alla scelta degli obiettivi, dell allenamento, degli incentivi e dei premi. 9. Il raggiungimento degli obiettivi è favorito dalla determinazione di un piano d azione o strategia, specialmente quando il compito è complesso o a lungo termine.(dameli, 2005) Una spiegazione più recente di come gli obiettivi influenzano la performance, viene dal modello cognitivo che argomenta che alcuni stati psicologici come l ansietà, la fiducia e al soddisfazione, interessano il goal setting e la relativa performance. Per esempio, Burton (1989) sostiene che gli atleti che assegnano obiettivi di risultato basati sul vincere o sul perdere, sperimenteranno più ansietà e meno fiducia nei contesti competitivi perchè i loro obiettivi non sono realmente sotto il loro controllo. In una ricerca condotta da Burton (1993), è stato evidenziato che, al termine di un periodo di cinque mesi in cui un gruppo di nuotatori era stato addestrato ad essere maggiormente orientato alla prestazione, si aveva un miglioramento della prestazione effettiva e una maggiore consapevolezza rispetto a nuotatori che non avevano seguito un programma di goal setting competitivo. Burton, ritenendo che alcune differenze individuali svolgano un ruolo determinante nella scelta degli obiettivi (ad esempio gli individui orientati al compito o al risultato), ha formulato un modello che identifica stili individuali di scelta degli obiettivi competitivi. Sulla base del rapporto tra il tipo di orientamento motivazionale scelto dall altleta e il suo grado di percezione di competenza si costituiscono tre stili di goal setting: orientato al compito, orientato al successo e orientato all insuccesso. Questi stili individuali interagiscono con il 19

20 tipo di situazione (ad esempio, allenamento o gara) e con le aspettative dell atleta e solo in seguito vengono determinati gli obiettivi. A questo punto l atleta, dopo aver definito i suoi obiettivi, è consapevole del tipo d impegno che deve mettere in atto per raggiungere queste mete ed è, pertanto, in grado di modulare le sue azioni durante lo svolgimento della prestazione. Al termine della sua prestazione l atleta sarà più o meno soddisfatto del risultato ottenuto e fornirà un interpretazione personale del successo o della sconfitta. L interazione fra queste due componenti determinerà il grado di competenza che il soggetto si attribuisce come atleta (Cei, 1998). Riassumendo, la ricerca di uno stato ottimale d'arousal è una delle prime fasi di un programma di preparazione mentale, che si proponga come obiettivo principale quello di aumentare il livello di motivazione degli atleti. All' aumentare dell'arousal (attivazione) si verifica un progressivo aumento nella prestazione fino ad un punto ottimale, oltre il quale ulteriori aumenti incidono negativamente sulla prestazione. E necessario pertanto utilizzare, a secondo della situazione, tecniche che consentano di aumentare o diminuire il livello di attivazione. Inoltre il giocatore deve sviluppare l abilità di regolare la concentrazione in modo da restringere il focus attentivo quando necessario, per poi rilassarsi e recuperare energie nelle pause. Non è possibile concentrarsi sulla concentrazione ma è possibile imparare a concentrarsi e a dirigere volontariamente l attenzione sugli stimoli facilitanti la prestazione. Ognuno di noi è colpito continuamente da molti stimoli sia interni sia esterni, alcuni importanti e facilitanti la prestazione, altri meno, altri da considerare solo come fattori di distrazione e altri ancora addirittura ostacolanti la riuscita della performance. E quindi fondamentale imparare a riconoscere i diversi stimoli e a selezionarli, in modo da sapere quanto deve essere diffuso o focalizzato il proprio livello attentivo per il buon esito della prestazione. Dal punto di vista emozionale tutte le tecniche di allenamento delle abilità mentali sono mirate a eliminare i pensieri irrilevanti dalla mente (concentrazione, visualizzazione, self talk) per spostare la concentrazione su quelli più importanti. Un primo traguardo in questa direzione viene raggiunto riducendo la tensione muscolare e nervosa eccessiva (rilassamento fisico e mentale), che spesso impedisce di focalizzare l attenzione su pochi elementi, e imparando a concentrarsi su una cosa alla volta, cercando a volte di mantenere passiva l attenzione, magari fermandosi ad ascoltare il ritmo del respiro o del battito cardiaco. Il rilassamento infatti, è una condizione psicologica che consente all organismo di recuperare forza ed energia attraverso l induzione di uno stato di calma generale e di eliminare ogni forma inutile di tensione psicofisica. E molto importante imparare a riconoscere le tensioni dei vari gruppi muscolari per imparare ad indurre uno stato di rilassamento. Il rilassamento si applica, non solo per il controllo della tensione muscolare e per prepararsi mentalmente e psicologicamente all azione ma anche per controllare la respirazione e per immaginare e visualizzare. La percezione e l immaginazione ci consentono la rappresentazione sia del mondo esterno che di noi stessi. Immaginare significa rappresentare qualche cosa, ad esempio un movimento o una situazione, senza viverla nella realtà, bensì vivendola mentalmente. Immaginare fa lavorare il corpo, infatti, durante la fase di 20

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