Campi di vettori e forme differenziali su varietà

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1 Campi di vettori e forme differenziali su varietà Appunti per il corso di Sistemi Dinamici 2 (a.a. 2012/2013) Dipartimento di Matematica, Università di Milano 28 Novembre 2012 In questa dispensa ricordiamo alcune proprietà dei campi di vettori e delle forme differenziali definiti su una varietà differenziabile 1 M. Ricordiamo che possiamo identificare il campo di vettori le cui componenti sono, in coordinate locali, (a 1 (x),..., a n (x)), e l operatore differenziale lineare a i (x)( / x i ). 1 Commutatore di campi di vettori Iniziamo col ricordare alcune proprietà dell insieme V(M) dei campi di vettori differenziabili su M (probabilmente già ben note dai corsi precedenti di Geometria o di Fisica Matematica). Consideriamo un intorno U M e delle coordinate locali (x 1,..., x m ) in questo. Ogni campo di vettori differenziabile X si scrive allora come X = ϕ i (x) x i, con ϕ i funzioni differenziabili. D ora in poi con campo di vettori intenderemo implicitamente un campo di vettori differenziabile. Per ogni coppia di campi di vettori (X, Y ) su M possiamo considerare il loro commutatore Z = [X, Y ] ; questo è definito come il campo di vettori che, per ogni funzione differenziabile Φ : M R e ad ogni punto di M, fornisce Z(Φ) = X[Y (Φ)] Y [X(Φ)]. (1) A prima vista l operatore Z definito da questa formula parrebbe essere di secondo ordine (anziché del primo), e dunque non associato ad un campo di vettori. E dunque opportuno verificare che Z sia in effetti un campo di vettori. Lemma 1. Dati X, Y V(M), il loro commutatore Z := [X, Y ] soddisfa Z V(M). 1 Con ciò intenderemo sempre, almeno in questa dispensa, di classe C. 1

2 Dimostrazione. In effetti, scrivendo in coordinate abbiamo immediatamente X = ξ i i, Y = η i i, X[Y (Φ)] = X[η j ( Φ/ x j )] = = ξ i η j ( 2 Φ/ x i x j ) + [ξ i ( η j / x i )] ( Φ/ x j ); Y [X(Φ)] = Y [ξ i ( Φ/ x i )] = = ξ i η j ( 2 Φ/ x i x j ) + [η j ( ξ i / x j )] ( Φ/ x i ). Segue quindi, cambiando ove opportuno l indice muto su cui si somma, X[Y (Φ)] Y [X(Φ)] = [ξ i ( η j / x i )] ( Φ/ x j ) [η j ( ξ i / x j )] ( Φ/ x i ) = [ ξ j ( η i / x j ) η j ( ξ i / x j ) ] ( Φ/ x i ) + [ ξ j η i ( 2 Φ/ x i x j ) η j ξ i ( 2 Φ/ x j x i ) ] = [ ξ j ( η i / x j ) η j ( ξ i / x j ) ] ( Φ/ x i ). Notiamo che con questo calcolo esplicito abbiamo anche mostrato che le componenti di Z = ζ i i, quando Z = [X, Y ], sono date da ζ i = ξ j ( η i / x j ) η j ( ξ i / x j ) = (ξ ) η i (η ) ξ i. (2) Infine, dalla (2) segue immediatamente che se le ξ i e le η i sono di classe C, lo stesso vale per le ζ i. 2 Dalla espressione esplicita (2) seguono anche immediatamente le ben note proprietà del commutatore, che stabiliamo qui sotto in forma di lemma (la cui dimostrazione è banale e quindi omessa); si noti che alcune di queste proprietà, in particolare la (c) e la (d), sono in effetti implicite nell affermazione che il commutatore dei campi X ed Y è anch esso un campo di vettori (e quindi corrisponde ad un operatore differenziale del primo ordine). Una proprietà appena meno banale è discussa nel seguente lemma 3, di cui forniamo la dimostrazione. Lemma 2. Per qualsiasi campo di vettori X, Y, Z V(M) e qualsiasi funzione differenziabile f, g su M, valgono le seguenti proprietà: (a) [X, Y ] = [Y, X], (b) [X, Y + Z] = [X, Y ] + [X, Z] ; (c) [X, Y ](f + g) = [X, Y ]f + [X, Y ]g, (d) [X, Y ](fg) = f [X, Y ]g + g [X, Y ]f ; (e) [fx, gy ] = f (X(g)) Y g (Y (f)) X + f g [X, Y ] ; (f) [X, [Y, Z]] + [Y, [Z, X]] + [Z, [X, Y ]] = 0. (3) 2 Notiamo che se le ξ i e le η i fossero solo di classe C k, le ζ i sarebbero di classe C k 1. Questo spiega perché abbiamo scelto di considerare l insieme dei campi di vettori differenziabili (cioé C ) su M. 2

3 Lemma 3. Il commutatore di due campi di vettori tangenti ad una sottovarietà S M è ancora tangente alla stessa sottovarietà S M. Dimostrazione. La condizione di tangenza è locale, e possiamo scegliere coordinate locali (x 1,..., x m ) su un intorno U M (tale che S U = S 0 ) tali che (localmente) S è definita da x s+1 =... = x m = 0. Un campo su M è tangente ad S (nell intorno in cui le coordinate locali sono definite) se e solo se non ha componenti lungo x s+1,..., x m ; è ovvio che se i campi X ed Y hanno questa proprietà, anche il loro commutatore Z = [X, Y ] ha la stessa proprietà, come segue agevolmente dalla (2). 2 Algebre e moduli di Lie di campi vettoriali Consideriamo ora un insieme arbitrario (ma finito) A = {X 1,..., X r } di campi di vettori su M. In generale questo non è chiuso sotto l operazione di commutazione, ossia dati dei campi X i ed X j appartenenti a A, il loro commutatore non appartiene a A, né allo spazio lineare generato da A, né si può esprimere come combinazione degli X i con coefficienti funzionali. Quando invece questo avviene, abbiamo una struttura speciale in senso algebrico; e corrispondentemente una geometria speciale. Indichiamo con G(A) lo spazio lineare generato da A, ossia l insieme di campi di vettori X = c i X i con c i numeri reali arbitrari. Indichiamo inoltre con Γ(A) il modulo (con coefficienti funzioni differenziabili su M) generato da A, ossia l insieme di campi di vettori X = Φ i (x) X i con Φ i : M R funzioni differenziabili, cioé Φ i C (M, R). Definizione. Se G(A) è chiuso sotto l operazione di commutazione, diciamo che G(A) è una algebra di Lie, generata dai campi di vettori X 1,..., X r. Definizione. Se Γ(A) è chiuso sotto l operazione di commutazione, diciamo che Γ(A) è un modulo di Lie, generato dai campi di vettori X 1,..., X r. La dimostrazione dei due lemmi seguenti è immediata (per il Lemma 5, usare la proprietà (e) enunciata nel Lemma 2). Lemma 4. L insieme di campi di vettori A V(M) genera una algebra di Lie G se e solo se [X i, X j ] = c k ij X k (4) con c k ij = ck ji dei numeri reali. Lemma 5. L insieme di campi di vettori A V(M) genera un modulo di Lie Γ se e solo se [X i, X j ] = α k ij(x) X k (5) 3

4 con αij k (x) = αk ji (x) delle funzioni differenziabili su M a valori reali. Osservazione. Il senso dei Lemmi 4 e 5 è il seguente: per controllare che un insieme A = {X 1,..., X r } generi un algebra o un modulo di Lie, non è necessario verificare che la proprietà di chiusura sotto il commutatore valga per tutti i campi in G(A) o in Γ(A), ma è sufficiente verificarla per gli X k o comunque per un insieme di campi di vettori che genera G(A) o Γ(A) (dato che si tratta di proprietà di tutto l insieme, è chiaro che possiamo considerare un qualsiasi sistema di generatori). Osservazione. L insieme V(M) dei campi di vettori differenziabili su una varietà M, equipaggiato con l operazione di commutatore, è una algebra di Lie (di dimensione infinita). Lo stesso insieme, sempre equipaggiato con l operazione di commutatore, è un modulo di Lie (di dimensione finita e pari alla dimensione della varietà). Definizione. I numeri reali c k ij che appaiono nella (4) sono detti essere le costanti di struttura per l algebra di Lie G. Le funzioni αij k C (M, R) che appaiono nella (5) sono dette per analogia col caso delle algebre funzioni di struttura per il modulo di Lie Γ. Definizione. Quando i campi di vettori {X 1,..., X r } generano un modulo di Lie, ossia soddisfano la (5), diciamo che essi sono in involuzione; questo concetto è fondamentale per il teorema di Frobenius. 3 Distribuzioni in TM Consideriamo un insieme finito di campi vettoriali A = {X 1,..., X r } su M. Ognuno di questi identifica in ogni punto x M un vettore, cioé un elemento dello spazio tangente ad M in x (questo spazio è indicato con T x M). L insieme dei campi di vettori A identifica quindi, in ogni punto x M, un sottospazio lineare D x di dimensione d(x) r; notiamo che d(x) è il rango del sistema di vettori {X 1 (x),..., X r (x)}. L insieme di questi sottospazi, per x che varia su M, è detto la distribuzione D generata da A. Se d(x) = d 0 è costante per x che varia su M (sulla sottovarietà U M), diremo che la distribuzione D è regolare, o anche non singolare, su M (su U); e che essa ha dimensione d 0. Notiamo infine che la distribuzione può avere singolarità (cioé punti in cui d(x) diviene minore del suo valore generico) in un punto x 0 sia perché alcuni campi di vettori in x 0 si annullano, sia perché pur non annullandosi nessun campo, in x 0 alcuni di essi divengono collineari. La presenza di singolarità (in questo senso) nella distribuzione si indica anche con il nome di caduta del rango ; ovviamente qui ci si riferisce al rango del sistema di vettori A. 4

5 4 Curve integrali e coordinate adattate Un punto p M in cui il campo di vettori X = ϕ i (x) i si annulla (cioé un punto x U in cui ϕ i (x) = 0 per ogni i = 1,..., n) è detto un punto singolare (o anche un punto fisso, o uno zero) per X. 3 Una curva integrale del campo di vettori è una curva γ M (dunque una sottovarietà uno-dimensionale di M) tale che la restrizione di X a γ definisce un campo di vettori tangente a γ, ovvero tale che X(p) T p γ T p M per ogni p γ. In altri termini, una curva integrale è la traiettoria della soluzione dell equazione caratteristica associata al campo di vettori; ricordiamo che se X è scritto in coordinate come X = f i (x)( / x i ), allora l equazione caratteristica è il sistema dx i /dt = f i (x). Segue dal teorema di esistenza ed unicità per le soluzioni di sistemi di ODE (rimandiamo ancora al testo di Arnold sulle ODE per dettagli su questo) e dalle nostre assunzioni sui campi X V(M), che per un punto p non singolare passa una ed una sola curva caratteristica. In un intorno di ogni punto non-singolare p M per X è sempre possibile scegliere un sistema di coordinate (y 1,..., y n ), per esempio con origine nel punto p, adattate ad X, cioé tali che X = ψ(y 1,..., y n ) y 1. Una volta giunto a questa forma, con una ulteriore trasformazione di coordinate y w si giunge facilmente a X = w 1. Questo fatto è anche noto come teorema di rettificazione del flusso. 4 Nelle coordinate adattate, la curva integrale γ p di X che passa per il punto p identificato da y = 0 sarà descritta semplicemente come la sottovarietà y 2 = y 3 =... = y m = 0. Questo mostra anche che la differenziabilità di γ p corrisponde alla differenziabilità della trasformazione di coordinate dalle x alle y. 3 Le proprietà di X vicino ad un punto singolare possono essere complesse. Le proprietà topologiche di M possono comportare che ogni campo vettoriale abbia necessariamente almeno un certo numero o un numero determinato di punti singolari (eventualmente contati con un opportuno indice); si veda ad esempio il libro di Arnold sulle ODEs. 4 Per la sua dimostrazione si veda ad esempio la dispensa sulle caratteristiche, o anche il libro di Arnold sulle equazioni differenziali ordinarie. In alcuni casi può essere sufficiente considerare le coordinate adattate, cioé rettificare il flusso solo nel senso della traiettoria, e giungere a scrivere X = ψ(y 1,..., y n )( / y 1 ). 5

6 5 Forme differenziali Iniziamo col ricordare che una forma su uno spazio vettoriale V è una funzione lineare η : V R. Definiamo una k-forma su V come una funzione k-lineare completamente antisimmetrica ω : V... V R. Ci interessa qui in particolare il caso in cui lo spazio vettoriale considerato è lo spazio tangente in un punto (generico) p ad una varietà M, cioé V = T p M. 5.1 Forme differenziali di grado uno Una forma (o uno-forma) η su T p M è una funzione lineare dallo spazio tangente T p M ai reali. Un operatore di questo tipo si realizza come prodotto scalare con un vettore dato in T p M. In altre parole, introduciamo un prodotto scalare ed una metrica g in M; questa induce un prodotto scalare (.,.) in T p M (se M = R n, possiamo senz altro prendere il prodotto scalare naturale sia su M che su T p M, a cui corrisponde g = δ) e definiamo η [w] p (v) := (w, v) R, (6) per w T p M un vettore dato. 5 E immediato mostrare che η p [w] così definita è lineare; ossia soddisfa, per ogni coppia di numeri reali c i e di vettori v i T p M, ω [w] p (c 1 v 1 + c 2 v 2 ) = c 1 ω p [w] (v 1 ) + c 2 ω p [w] (v 2 ). (7) L insieme delle forme così definite ha una struttura naturale di spazio lineare (ereditata da quella dello spazio T p M) ed è detto essere lo spazio cotangente ad M in p; questo spazio è duale (nel senso del prodotto scalare) a T p M ed è quindi indicato con T pm. Se ora consideriamo un campo di vettori W V(M), possiamo definire un campo di uno-forme η = η [W ] su M, ovvero una uno-forma differenziale, attraverso la relazione [ ] η [W ] (V ) p dove W p e V p sono i valori dei campi W e V in p. Se il campo di vettori W è dato in coordinate locali da W la uno-forma corrispondente η [W ] p = f i (x) = η [Wp] p (V p ), (8) x i, è espressa nelle stesse coordinate da η [W ] p = A i (x) dx i, A i (x) = g ij (x) f j (x). Più in generale, ogni uno-forma si scriverà localmente (in U M) come η = A i (x) dx i (9) 5 Se la metrica in M è g, il prodotto scalare è dato da (w, v) = w i g ij v j. 6

7 per certe funzioni differenziabili A i : U R. L insieme delle uno-forme differenziali (o più brevemente delle uno-forme) su M si indicherà con Λ 1 (M), ed ha una struttura naturale di spazio lineare e di modulo su C (M, R). Allo stesso modo in cui un campo di vettori X appartiene a TM (il fibrato vettoriale ottenuto dall unione di T p M per ogni p M), una forma differenziale appartiene a T M (il fibrato vettoriale ottenuto dall unione di T pm per ogni p M). 6 Allo stesso modo in cui i campi coordinati i forniscono (localmente) una base per TM, le uno-forme coordinate dx i costituiscono (localmente) una base per T M, detta base duale. In effetti è immediato vedere che per costruzione i dx j = ( i, j ) = δ ij. L operazione di prodotto scalare fornisce un numero reale a partire da una uno-forma in T pm ed un vettore in T p M. Estendendo questa all intero M, si ha un operazione che da una uno-forma differenziale η ed un campo di vettori X fornisce una funzione differenziabile reale su M; questa è detta prodotto interno, e si indica con i X (η), od anche X η. Evidentemente, per quanto detto sopra, se in coordinate abbiamo X = f i (x) i, η = A j (x)dx j, allora avremo (sottintendendo la somma sugli indici ripetuti) i X (ω) = X ω = f i (x) A i (x). 5.2 Forme differenziali di grado qualsiasi La nozione di uno-forma differenziale può essere generalizzata a forme di grado più alto. Lo spazio delle k-forme in p è il sottospazio lineare in T [0,k] (p) dei tensori completamente antisimmetrici di tipo (0, k); dunque una k-forma ω p in p è una funzione k-lineare completamente antisimmetrica ω p : T p M... T p M R; scriveremo anche ω p ; v 1,..., v k per indicare il risultato che si ottiene valutando la forma ω p sui vettori v 1,..., v k. E evidente che (per l antisimmetria) se M ha dimensione n, solo le forme di grado k n possono essere non nulle. Una k-forma differenziale è un campo differenziabile di k-forme per p che varia su M. Lo spazio lineare delle k-forme differenziali su M si indica con Λ k (M), con k N (le forme di grado zero sono le funzioni). Se M ha dimensione n, solo le forme differenziali di grado k n possono essere non identicamente nulle su M. La funzione che si ottiene valutando la k-forma ω sui campi di vettori (X 1,..., X k ) sarà indicata come ω(x 1,..., X k ) o anche come ω; X 1,..., X k E chiaro che la somma di due forme in Λ k (M) appartiene ancora a Λ k (M); inoltre, moltiplicando una qualsiasi k-forma differenziale su M per un numero, o anche per una funzione differenziabile, si ottiene ancora una k-forma differenziale. Dunque Λ k (M) è uno spazio lineare (di dimensione infinita), ed anche un modulo (di dimensione finita) sullo spazio delle funzioni C (M, R). 6 Più precisamente, Λ 1 (M) corrisponde all insieme, ed anzi allo spazio lineare, delle sezioni differenziabili del fibrato cotangente T M, allo stesso modo in cui l insieme V(M) dei campi di vettori differenziabili su M corrisponde all insieme, ed anzi allo spazio lineare, delle sezioni differenziabili del fibrato tangente TM. 7

8 5.3 Prodotto esterno Consideriamo ora un intorno U M e coordinate locali x i su questo. Allora Λ 1 (U) è generato da η i = dx i, i = 1,..., n. Le forme coordinate η i così definite sono caratterizzate in termini dei campi di vettori coordinati X i := i dall avere η j (X i ) = X i η j = δ j i. Allo stesso modo possiamo considerare un insieme di generatori per Λ 2 (M), costituito da forme η ij caratterizzate da η ij (X k, X l ) = X l (X k η ij ) = δ i k δ j l δ j k δi l. (10) Si noti che η ji = η ij. Queste forme sono anche scritte come η ij = dx i dx j ; (11) il prodotto che questa relazione definisce implicitamente è detto prodotto esterno (anche) in quanto il prodotto di due elementi di Λ 1 (M) non appartiene a questo spazio. Il prodotto esterno tra due uno-forme è antisimmetrico; esso si estende per linearità ad uno-forme di tipo generale: se α = A i dx i e β = B i dx j, allora α β = A i B j dx i dx j = β α. Richiedendo che il prodotto esterno sia anche associativo, avremo k-forme del tipo dx i1... dx i k. La stessa costruzione vista per le due-forme è possibile considerando forme di grado k m arbitrario: considereremo delle forme η i1...i k caratterizzate dal loro valore sui campi coordinati, fornito da η i1...i k (X j1,..., X jk ) = 1 k! k l=1 ( ) i1...i σ k j 1...j k δ j σ(l) i l, (12) dove σ indica il segno della permutazione. Le forme η i1...i k così definite sono anche scritte come η i1...i k = dx i1... dx i k. (13) Una k-forma generale si scriverà a partire dalle η i1...i k come ω = A i1...i k η i1...i k = A i1...i k dx 1... dx i k. (14) Il prodotto esterno si estende (per linearità) anche alle k-forme. Più precisamente, se α Λ k (M) e β Λ l (M), la forma ω := α β appartiene a Λ k+l (M) ed è definita da ω(x i1,..., X ik ; X ik+1,..., X ik+l ) = 1 σ(p ) α(x P (i1),..., X P (ik )) β(x P (ik+1 ),..., X P (ik+l )), k!l! P 8

9 dove la somma è sulle permutazioni P, e σ(p ) è il segno della permutazione. Si noti che, in termini di algebra tensoriale, stiamo definendo α β = 1 k!l! P σ(p ) (α β) P, dove abbiamo definito (per ogni k-forma ω) il tensore permutato sotto P come ω P (X 1,..., X k ) := ω(x P (1),..., X P (k) ). Segue facilmente dalle proprietà delle k-forme che il prodotto è bilineare e graduato; ossia (per f, g in C (M), α Λ k (M), β Λ l (M)) (f α) (g β) = fg (α β) ; α β = ( 1) kl (β α). (15) 5.4 Derivata esterna Oltre al prodotto esterno, su Λ k (M) è definita una derivata esterna (nuovamente il risultato ottenuto applicando questa operazione ad una forma in Λ k (M), non appartiene a Λ k (M) ma a Λ k+1 (M)). Definiamo questa in coordinate, rimandando a qualsiasi testo di Geometria Differenziale (ad esempio quelli citati in bibliografia) per la sua definizione intrinseca. La derivata esterna d trasforma una k-forma in una (k + 1)-forma, ossia d : Λ k (M) Λ k+1 (M). In particolare, d : Λ 1 (M) Λ 2 (M). Se in coordinate ω Λ 1 (M) è scritta come ω = A i dx i, allora dω = (1/2) ( i A j j A i ) dx 1 dx 2. (16) Più in generale, se ω Λ k (M) è scritta in coordinate come ω = A i1...i k (x)dx i1... dx i k (sottintendendo come al solito la somma sugli indici ripetuti), allora dω = A i 1...i k x j dx j dx i1... dx i k 1 = σ(i1,..., i k+1 ) i1 A i2...i (k + 1)! dxi1 k+1... dx i k+1, (17) dove σ(i 1,..., i k+1 ) è il segno della permutazione (i 1,..., i k+1 ). Nel caso di una uno-forma α, abbiamo che la due-forma dα soddisfa dα(x, Y ) = (Y α) X (X α) Y [X, Y ] α ; (18) ovvero, usando un altra delle notazioni introdotte in precedenza, dα; X, Y = α, X Y α, Y X α, [X, Y ]. (19) 9

10 Segue dalla definizione (17) che d è in effetti un operatore di derivazione, ossia (per α Λ k (M), β Λ l (M)) d(α β) = (dα) β + ( 1) k α dβ. (20) L operatore d ha però una proprietà molto importante diversa da quella valida per l operatore di derivazione ordinaria: infatti, vale d 2 = 0. (21) Per mostrare che questa è vera, notiamo dapprima che per una funzione f Λ 0 (M) abbiamo df = f x j dxj, d 2 f = d(df) = 2 f x i x j dxi dx j, che evidentemente si annulla dato che i j f = j i f e dx i dx j = dx j dx i. Per forme ω Λ k (M), abbiamo e quindi d 2 ω = ω = A i1...i k (x)dx i1... dx i k ( 2 A i1...i k x j x k ) dx j dx k dx i1... dx i k, che si annulla allo stesso modo; abbiamo quindi mostrato la validità della (21). 6 Derivata di Lie La derivata di Lie sotto un campo di vettori X, denotata con L X, di un oggetto (funzione, campo di vettori, forma differenziale) è definita come la variazione dell oggetto sotto il flusso di X; si noti che essa è quindi un oggetto della stessa natura di quello a cui si applica l operatore L X. In questa sezione consideriamo sempre un campo di vettori dato in coordinate locali x da X = f i (x) x i. (22) Sotto il flusso di X abbiamo, a livello infinitesimo, x x = x + εx(x), quindi con x i x i = x i + ε f i (x) + o(ε) ; (23) per esprimere x in termini di x, è sufficiente invertire questa relazione e ricordare che x x a meno di termini di ordine ε. Dunque, avremo anche x i = x i f i (x) + o(ε) = x i ε f i ( x + O(ε)) + o(ε) = x i ε f i ( x) + o(ε). (24) Possiamo ora calcolare la derivata di Lie dei diversi oggetti definiti su M che abbiamo fin qui incontrato. Scriveremo sempre tutte le equazioni a meno di termini di ordine superiore in ε. 10

11 Per una funzione ϕ(x), sotto il flusso di X questa diviene ϕ( x) = ϕ(x + εf(x)) = ϕ(x) + εf j (x) j ϕ(x) ; ne segue immediatamente che ( ) ϕ( x) ϕ(x) L X (ϕ) = lim ε 0 ε = f j (x) ϕ(x) x j = X(f). Abbiamo quindi mostrato che, per ϕ C (M, R), L X (ϕ) = X(ϕ). (25) Passiamo ora a considerare un campi di vettori Y = ϕ j (x) j. Per prima cosa dobbiamo comprendere come cambiano le derivate parziali j sotto X. Esprimendo ( / x i ) in termini delle variabili x i ed usando la (24), abbiamo x i = ( x j x i ) x j = [ δ j i + ε f j ] (x) x i x j. Dunque per il campo di vettori Y avremo, sotto il flusso di X, ( Y ϕ i (x + εf i (x)) x i ε f j ) x i x j = ( ϕ i + εf j ( j ϕ i ) ) ( i ε( i f j ) ) j = ϕ i i + ε [ f j ( j ϕ i ) ϕ j ( j f i ) ] i = Y + ε [X, Y ]. Abbiamo quindi mostrato che per un campo di vettori su M, L X (Y ) = [X, Y ]. (26) Veniamo ora a considerare forme differenziali. Iniziamo con il considerare una uno-forma α = A i (x)dx i. Sotto il flusso di X, avremo α A i (x + εf(x)) d(x i + εf i (x)) = A i (x + εf(x)) (dx i + εdf i ) = A i (x)dx i + ε [ A j df j + f j ( j A i )dx i] = A i (x)dx i + ε [ A j ( i f j ) + f j ( j A i ) ] dx i. Abbiamo dunque mostrato che per una uno-forma α = A i dx i su M, L X (α) = [ A j ( i f j ) + f j ( j A i ) ] dx i. (27) Questa espressione non è però soddisfacente, in quanto fa riferimento alle componenti di α in coordinate (non è cioé intrinseca). 11

12 7 La formula di Cartan E possibile esprimere la (27), ed in effetti la derivata di Lie di forme di qualsiasi grado, in modo intrinseco attraverso la formula di Cartan L X (ω) = X dω + d(x ω). (28) Verifichiamo innanzitutto che la (28) coincida con la (27) quando ω = α è una uno-forma. Applicando la (28) ad α = A i (x)dx i, otteniamo X α = f j A j, d(x α) = (df j ) A j + f j da j = [ ( i f j ) A j + f j ( i A j ) ] dx i ; dα = ( k A l ) dx k dx l, X dα = f j ( j A l )dx l f j ( k A j )dx k = [ f j ( j A i ) f j ( i A j ) ] dx i. Dunque secondo la formula di Cartan dovremmo avere L X (α) = X dα + d(x α) = [( ( i f j ) A j + f j ( i A j ) ) + ( f j ( j A i ) f j ( i A j ) )] dx i = ( ( i f j ) A j + f j ( j A i ) ) dx i, che effettivamente coincide con la (27). Abbiamo dunque mostrato che la formula di Cartan è valida per le uno-forme. Dobbiamo ancora mostrare che essa è valida per forme di grado più alto. Innanzi tutto osserviamo che la derivata di Lie è un operatore di derivazione, e dunque (per α, β forme di qualsiasi grado) L X (α β) = (L X α) β + α (L X β). (29) In effetti, per mostrare questa è sufficiente osservare che sotto il flusso di X avremo α α = α + εl X α, β β = β + εl X β, e dunque α β sarà trasformata in α β = (α + εl X α + o(ε)) (β + εl X β + o(ε)) = α β + ε [(L x α) β + α (L X β)] + o(ε). E anche evidente che L X è un operatore lineare (questo segue dalla linearità di X come operatore differenziale). Una qualsiasi k-forma ω si può scrivere in termini della base delle forme coordinate dx i come ω = A j1...j k dx j1... dx jk. j 1,...,j k Per evitare di avere a che fare con espressioni ricolme di indici, osserviamo che in particolare possiamo sempre scrivere ω = i α i β i (30) 12

13 con α i delle forme di grado q e β i delle forme di grado m q (ad esempio scegliendo q = 1). Procederemo quindi per induzione, mostrando che se la formula di Cartan risulta valida per le forme di grado k 1, allora è valida anche per le forme di grado k. Dato che abbiamo appena dimostrato la sua validità per le forme di grado uno, seguirà la sua validità per forme di grado qualsiasi. Per linearità, è sufficiente lavorare su monomi esterni. Calcoliamo dunque L X (α β) secondo la formula di Cartan; indicheremo con q il grado della forma α, e scriviamo ω = α β. Dalla formula di Cartan (28) abbiamo L X (ω) = X dω + d(x ω) = X (dα β + ( 1) q α dβ) + + d ((X α) β + ( 1) q α (X β)) = (X dα) β + ( 1) q+1 dα (X β) + + ( 1) q (X α) dβ + ( 1) 2q α (X dβ) + + d(x α) β + ( 1) q 1 (X α) dβ + + ( 1) q dα (X β) + ( 1) 2q α d(x β) = [X dα + d(x α)] β + α [X dβ + d(x β)] + + [ ( 1) q + ( 1) q 1] (X α) β + + [ ( 1) q+1 + ( 1) q] dα (X β) = L X (α) β + α L X (β). Otteniamo dunque proprio L X α β + α L X β, come prescritto dalla (29), e dunque la formula di Cartan fornisce il risultato corretto. Il risultato si estende per linearità alle forme del tipo (30), cioé a tutte le forme. In conclusione, abbiamo mostrato che la formula di Cartan (28) si applica a forme di qualsiasi grado. 8 Ideali di Cartan Consideriamo ora un insieme di forme differenziali (non necessariamente tutte dello stesso grado) J ; scriviamo anche J = n k=0 J k Λ(M), con J k = J Λ k (M) Λ k (M). Definizione. L insieme J è un ideale di forme differenziali, o anche un ideale di Cartan, se: (i) è un ideale in Λ(M) rispetto al prodotto esterno; (ii) ogni J k è un sottomodulo in Λ k (M). In altre parole, J è un ideale di Cartan se (i) ω J e η Λ(M), si ha η ω J ; (ii) ω 1, ω 2 J k e f 1, f 2 C (M), si ha f 1 ω 1 + f 2 ω 2 J k. Definizione. L ideale di Cartan J è un ideale di Cartan differenziale, o anche un ideale di Cartan chiuso, se è chiuso sotto la derivata esterna, dj J. In altre parole se e solo se ω J dω J. 13

14 Nel seguito, per comodità di linguaggio, scriveremo a volte semplicemente ideale intendendo ideale di Cartan. Definizione. L insieme di forme differenziali Θ = {θ 1,..., θ r } è un sistema di generatori per l ideale J se per ogni ω J esistono forme ρ j Λ(M) (j = 1,..., r), in generale non uniche, tali che ω = ρ j θ j. 7 Un qualsiasi insieme di forme Θ = {θ 1,..., θ r } genera un ideale di Cartan J [Θ]; più precisamente, J [Θ] è l insieme delle forme scritte come ω = ρ j θ j, con ρ j delle forme arbitrarie in Λ(M). L ideale J [Θ] contiene solo forme di grado non inferiore al minimo dei gradi delle forme θ k. Se tra gli elementi di Θ vi sono delle funzioni (forme di grado zero), l ideale generato è triviale 8. Dunque nel seguito si intenderà sempre che gli ideali considerati non contengano forme di grado zero; in altre parole, supporremo J 0 =. Per un insieme di generatori Θ arbitrario, J (Θ) non sarà in generale un ideale differenziale; d altra parte se per ogni θ i Θ si ha dθ i Θ, necessariamente l ideale generato è un ideale differenziale. Questa semplice osservazione mostra che per un qualsiasi insieme di generatori Θ = {θ 1,..., θ r }, possiamo generare un ideale differenziale considerando il sistema di generatori Θ = {θ 1,..., θ r ; dθ 1,..., dθ r }. Naturalmente, alcune delle dθ j potrebbero coincidere con alcune delle θ i, o loro combinazioni, o comunque appartenere a J [Θ]; in particolare, può accadere che J [ Θ] = J [Θ]. Nel seguito, data una sottovarietà S M, indicheremo con i S : S M l immersione di S in M. Definizione. Una sottovarietà S M è una varietà integrale per l ideale J se i (ω) = 0 per ogni ω J. Osservazione. Dato che i (ω) = 0 implica i (dω) = 0, nello studiare le varietà integrali di ideali di Cartan possiamo limitarci a considerare ideali differenziali. Osservazione. Se Θ = {θ 1,..., θ r } è un insieme di generatori per J, la condizione i (ω) = 0 ω J è equivalente a i (θ) = 0 θ i Θ. Sia J un ideale di Cartan; per ogni punto p M consideriamo il sottospazio K p [J ] di T p M identificato dai vettori v T p M che soddisfano v J (p) J (p) (con J (p) indichiamo le forme di J valutate nel punto p); la dimensione k(p)[j ] dello spazio K p [J ] potrebbe essere diversa per diversi punti di M. Se k p [J ] è costante su M 0 M, diciamo che l ideale J è regolare (o non singolare) su M 0. Se J è regolare su M 0 M, allora l unione dei K p [J ] su p M 0 definisce una distribuzione in M 0 ; questa sarà indicata con K[J ], ed è la distribuzione caratteristica (o il sistema caratteristico) per J. Ogni campo di vettori X K(J ) è detto essere un campo caratteristico per J. Una funzione ϕ : M R che è costante sotto K[J ], ossia che soddisfa X(ϕ) = 0 X K[J ], è detta essere un integrale primo per J. 7 Si noti che non è richiesta nessuna forma di indipendenza tra le forme θ i di un sistema di generatori. 8 In quanto troppo grande : infatti coincide con Λ(M). 14

15 Bibliografia Le nozioni riportate in questa dispensa sono discusse in qualsiasi testo di Geometria Differenziale ed anche nei testi di Meccanica Analitica che adottano un approccio geometrico. Ne segnaliamo di seguito alcuni, badando a scegliere testi che trattino l argomento con una certa agilità. I testi dei Cartan (sia Elie che Henri) e di Flanders sono invece specificamente dedicati alle forme differenziali. V.I. Arnold, Metodi matematici della meccanica classica, Editori Riuniti 1979 V.I. Arnold, Metodi geometrici della teoria delle equazioni differenziali ordinarie, Editori Riuniti 1989 R.L. Bishop and S.I. Goldberg, Tensor analysis on manifolds, MacMillan 1968; Dover 1980 E. Cartan, Les systèmes différentiels extérieurs et leurs applications géométriques, Hermann 1945 H. Cartan, Differential forms, Hermann 1967; Dover 2006 S.S. Chern, W.H. Chen and K.S. Lam, Lectures on Differential Geometry, World Scientific 1999 H. Flanders, Differential forms with applications to the physical sciences, Academic Press 1963; Dover 1989 S.T. Hu, Differentiable manifolds, Holt Rinehart & Winston 1969 Ch. Isham, Modern differential geometry for physicists, World Scientific 1999 Ch. Nash and S. Sen, Topology and geometry for physicists, Cambridge UP 1983; Dover 2010 W.A. Poor, Differential geometric structures, McGraw-Hill 1981; Dover 2007 B. Schutz, Geometrical methods of mathematical physics, Cambridge UP 1980 S. Sternberg, Lectures on Differential Geometry, Chelsea 1964 F.W. Warner, Foundations of differentiable manifolds and Lie groups, Springer 1972 G. Gaeta, 28 Novembre

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