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1 A002248, 1 A FONDAZIONE INSIEME onlus. Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/7/2011, pag 25 <<MANGIANDO S IMPARA>> di Margherita Guidetti (vedi a fine pezzo). Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato. Anna ha 6 anni e la madre si lamenta del suo scarso appetito: per farla mangiare deve quasi sempre prometterle un dolce a fine pasto. A Marco non piace la verdura: la nonna perciò non la cucina e propende per cotolette e patate fritte. Spesso gli adulti responsabili dell alimentazione di bambini e adolescenti non sanno se assecondare i loro gusti o tentare di guidarli verso un alimentazione più sana. Che effetti provoca la scelta dell una o dell altra strategia? Si tratta davvero di due alternative che si escludono a vicenda? La prospettiva psicosociale nello studio delle preferenze alimentari offre qualche spunto per rispondere a queste domande. I gusti alimentari si delineano nell infanzia e, pur con qualche modifica, tendono a essere mantenuti nell età adulta. Gli esseri umani nascono con alcune predisposizioni geneticamente determinate, rispetto al cibo, che sono per la maggior parte universali e hanno una funzione adattiva, assicurando la sopravvivenza della specie in ambienti ostili. Tutti sono tendenzialmente attratti dai gusti dolce e salato, rifiutano l amaro e l aspro e sono piuttosto diffidenti verso i sapori nuovi (neofobia alimentare). Immaginiamo la vita nei boschi dei nostri antenati: era raro trovare alimenti dolci e se ciò avveniva era saggio approfittarne; al contrario le sostanze amare indicavano un pericolo e mangiare cibi nuovi era un opportunità che presentava sempre qualche rischio (dilemma dell onnivoro). Al di là, comunque, di queste predisposizioni innate, i gusti alimentari vengono appresi e tale apprendimento spesso giunge a modificare quelle che possono sembrare preferenze connaturate: pensiamo al caffè o al peperoncino, sapori inaccettabili per i bambini, ma che la socializzazione in una certa cultura insegna ad apprezzare. Come si apprendono, dunque, i gusti alimentari? Le modalità sono due e, spesso, interagiscono tra loro: l esperienza personale con gli alimenti e l influenza delle persone con cui condividiamo il consumo di cibo. Al livello più semplice, i gusti si costruiscono sulla familiarità: impariamo ad apprezzare ciò che siamo abituati a mangiare. Si tratta del noto effetto di mera esposizione : anche in ambito alimentare, le ricerche mostrano che basta assaggiare più volte un cibo per trovarlo sempre più gradevole, e ciò aumenta a sua volta la probabilità di ulteriore consumo.

2 A002248, 2 Per questo è importante continuare ad offrire ai bambini, senza imposizioni e mantenendo un clima sereno, i cibi che inizialmente rifiutano. Per la stessa ragione, se non si vuole accentuare la preferenza innata per il dolce; che nella società dell abbondanza non è più funzionale per la salute, è inutile e controproducente aggiungere zucchero agli alimenti, per renderli più accettabili. È stato invece mostrato che tale preferenza si può ridurre se ci si abitua, meglio se fin da piccoli, ai sapori neutri e alla dolcezza naturale di molti cibi. L esperienza inoltre genera associazioni tra il cibo che mangiamo e particolari situazioni fisiche o psicologiche. Ad esempio, può capitare che episodi di malessere successivi al consumo di un certo alimento (anche se non ne sono conseguenza), come nel caso di un virus gastrointestinale) diano luogo ad avversioni che perdurano per anni. A livello emotivo, invece, alcuni cibi ci riportano a momenti piacevoli, e per questo ci sono particolarmente cari (come la minestra della nonna), oppure, al contrario, ci fanno ricordare momenti spiacevoli, e per questo non ci piacciono (gli spinaci che ci obbligavano a mangiare da piccoli). L influenza sociale completa il quadro: vediamo gli altri mangiare un certo cibo e ci viene voglia di provarlo, sia perché il loro comportamento ci rassicura sulla commestibilità di quell alimento, sia perché ci identifichiamo con loro e vogliamo che ci riconoscano come simili e appartenenti allo stesso gruppo. È ciò che, ad esempio, avviene con i coetanei, quando i bambini iniziano a frequentare il nido o la scuola d infanzia, ma ancor prima con i genitori, in particolare la madre, primo modello a cui ispirarsi. È infatti più probabile che un bambino assaggi un cibo non familiare quando anche la madre lo sta mangiando, rispetto a quando esso è semplicemente offerto. Non basta quindi mangiare insieme: è importante che il cibo del genitore abbia lo stesso aspetto di quello presentato al bimbo. Per questo spesso i bambini piccoli rifiutano con decisione la loro crema di riso, per poi reclamare con altrettanta decisione le tagliatelle al ragù dai piatti di mamma e papà. Il ruolo dei genitori non si limita tuttavia all esempio, pur fondamentale, che forniscono. Essi infatti, accompagnando i figli (più o meno consapevolmente) in questo percorso di apprendimento, circoscrivono la loro esperienza alimentare e così ne influenzano i gusti. In primo luogo, le scelte alimentari della madre danno sapore al liquido amniotico e al latte materno: il feto e il lattante cominciano già ad assaggiare gusti diversi e quanto più la dieta materna è varia e sana tanto più il figlio saprà riconoscere e

3 A002248, 3 apprezzare i cibi proposti con l introduzione dell alimentazione complementare. Questo effetto di esposizione selettiva si protrae ben oltre il periodo dell allattamento: per molti anni infatti sono i genitori a decidere quali cibi sono presenti in dispensa e serviti a tavola. La disponibilità e accessibilità di alimenti genuini (o di cibo spazzatura) in casa è significativamente associata alla salubrità della dieta di bambini e adolescenti. E se l abitudine costruisce i gusti, questa influenza darà i suoi frutti. I genitori controllano inoltre il contesto fisico, sociale ed emotivo in cui i figli mangiano: le ricerche mostrano che bambini e adolescenti presentano comportamenti alimentari più corretti se sono abituati a mangiare a casa (piuttosto che fuori), a condividere i pasti in famiglia e tenendo la TV spenta. Sul piano emotivo, oltre a quanto già detto sul fatto che un cibo può risultare gradito o sgradito a seconda della sua associazione con esperienze positive o negative, anche la qualità dei legami familiari sembra incidere sulla salubrità della dieta. Questo ci conduce alle pratiche genitoriali relative al nutrimento dei figli, quest insieme di comportamenti che vengono messi in atto nel tentativo di limitare il consumo di cibi che considerano poco salutari e di incoraggiarlo per quelli che ritengono sani. In genere, i genitori controllano (monitoraggio) e insistono con i figli perché mangino qualcosa (pressioni) o non mangino qualcos altro (restrizione). Mentre il monitoraggio, cioè l attenzione non interventista a quello che il figlio mangia, favorisce l adozione di una dieta sana (specialmente se accompagnato da certe scelte di acquisto e dall esempio), le ricerche concordano nel mostrare che proibire alcuni cibi o insistere perché i figli ne mangino altri, o perché mangino di più, è controproducente. Restrizione e pressioni risultano, infatti, associate a una dieta poco sana:ad esempio, conducono a gradire e consumare più cibo spazzatura e meno frutta e verdura, ma anche a livelli maggiori di neofobia alimentare e a sensi di colpa. Ancora, promettere un premio in cambio di un piatto vuoto provoca una riduzione del gradimento per l alimento mangiato, che diventa solo un mezzo per ottenere un altro fine, e porta ad assumere più dolci e junk food, che spesso costituiscono la ricompensa. Inoltre, come abbiamo visto, le emozioni negative generate dall obbligo di mangiare o finire un cibo possono venire trasferite al cibo stesso. Benché i genitori spesso si rendano conto degli svantaggi di queste pratiche, esperendo in prima persona sensazioni spiacevoli nell attuarle e registrando le reazioni avverse dei bambini, qualcosa sembra indurli a perseverare in queste modalità.

4 A002248, 4 Si tratta probabilmente dell ansia, della preoccupazione che i figli non mangino abbastanza o che mangino troppo o male o in modo non adeguato. Tale paura nasce dalla scarsa fiducia nelle competenze dei bambini, nella loro naturale capacità di autoregolarsi, mostrata da uno straordinario esperimento condotto negli anni 30 da Clara Davis: 15 bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 mesi consumarono 3 pasti al giorno, per circa 4 anni, nel laboratorio allestito dalla pediatra di Chicago. In ciascun pasto potevano scegliere fra 32 alimenti al naturale (non conditi e non combinati), più acqua e sale. Le infermiere presenti non intervenivano se non per avvicinare ai bambini i piatti verso cui mostravano interesse e dai quali si servivano autonomamente. La scelta di quale e quanto cibo assumere era quindi completamente in mano ai piccoli partecipanti: pur selezionando diete molto diverse tra loro, tutti mostrarono un buon appetito, furono in grado di alimentarsi correttamente e crebbero sani. L interpretazione di questi risultati fa riferimento alla cosiddetta saggezza del corpo e ha recentemente ispirato un nuovo modo di intendere e proporre lo svezzamento come autosvezzamento o introduzione dell alimentazione complementare a richiesta, naturale proseguimento della logica dell allattamento a richiesta. Il trucco, riconosciuto dalla stessa Davis, consiste nel proporre ai bambini soltanto cibi sani, lasciandoli, per il resto, liberi di esplorare e scegliere, senza forzature di alcun tipo. Anche con figli più grandi, le ricerche mostrano che il coinvolgimento nella preparazione dei pasti e la possibilità di scelta fra opzioni salutari si accompagna ad abitudini alimentari mediamente corrette. Al contrario, il controllo esterno da parte dei genitori, che si realizza in forme diverse, dall inganno alle lusinghe, dalle minacce fino all uso della forza, rende i figli meno sensibili agli stimoli interni di fame e sazietà e li priva della capacità di autocontrollo e autoregolazione, aprendo la strada alla tendenza a mangiare in risposta a stimoli ambientali o legati al cibo (alimentazione esterna) o come reazione a stati d animo negativi (alimentazione emotiva), con esiti deleteri su abitudini alimentari, peso e salute. Non c è nulla di originale nel sottolineare la grande responsabilità dei genitori nella formazione degli atteggiamenti e dei comportamenti alimentari dei figli. Tuttavia, spesso le buone intenzioni si traducono in condotte che hanno effetti opposti a quelli desiderati. Che cosa fare, dunque? Come sempre, prevenire è meglio che curare. Fin dai primi contatti con il cibo conviene giocare sull esposizione selettiva e sull esempio, fidarsi dei propri figli e tenere a mente gli obiettivi a lungo termine.

5 A002248, 5 Chiediamoci che cosa è più importante: che i bambini mangino il cavolfiore oggi o che negli anni a venire sviluppino abitudini sane e conservino un buon rapporto con il cibo? RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DAVIS C. M. (1939), <<Results of the self-selection of diets by young children», Canadian Medical Association Journal, 41, GUIDETTI M., CAVAZZA N. (2010), <<De gustibus: l influenza sociale nella costruzione dei repertori alimentari>>, Psicologia Sociale, 3, PIERMARINI L. (2008), Io mi svezzo da solo, Bonomi Editore, Pavia. L AUTRICE. MARGHERITA GUIDETTI, dottore di ricerca in Scienze Umane, insegna Psicologia sociale presso l Università di Modena e Reggio Emilia e Psicologia delle scelte alimentari presso l Università di Parma.

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