STORIA DI IMPRESA. Appunti. A cura di Stefania Aiello

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1 STORIA DI IMPRESA Appunti A cura di Stefania Aiello

2 MODULO A Programma Si può parlare di imprenditore anche nell epoca preindustriale (addirittura vi è qualche cenno anche durante il medioevo). Nella storia si comincia ad avere un pensiero economico quando emerge la definizione di imprenditore: di tale definizione vi sono due concezioni diverse tra la Gran Bretagna e l Europa continentale. La storia d impresa nasce e si afferma negli USA dagli anni 40 in poi. Nella storia bisogna analizzare il concetto d impresa. E importante una classificazione delle imprese per forma e dimensione (classificazione più ampia). Il contesto normativo, culturale-sociale, in rapporto con lo Stato e nei rapporti internazionali influenza la forma d impresa. Lo studio dei casi aziendali nella storia. Si può parlare del concetto d imprenditore già in epoca preindustriale, tenendo in considerazione: le aziende agricole, le quali operano nel settore primario e che producono non solo mirando a un autoconsumo, ma si rivolgono anche al mercato; i mercanti e le compagnie mercantili già presenti in epoca medievale; i mercanti-imprenditori la quale prevede una forma di organizzazione imprenditoriale. Industria rurale a domicilio: ha provenienza cittadina, pur svolgendosi in campagna, e l acquisto di materie prime, prevalentemente tessili, avviene sempre in ambito cittadino, al fine di impiegare tali fattori in campagna, facendoli lavorare alle famiglie contadine. Tali prodotti finiti venivano poi venduti sul mercato. Questa attività si è sviluppata in età preindustriale allo scopo di ridurre i costi di produzione per meglio competere sul mercato rispetto alle corporazioni poiché ci si rivolge a una manodopera non specializzata a salario basso. Tali industrie sono state diffuse per tutto l 800. Compagnie commerciali per commercio transatlantico: sono le cosiddette società anonime dell epoca preindustriale, come ad es. la Compagnia delle Indie Orientali. Attività bancaria privata mercanti-banchieri: hanno origine medievale e si sviluppano in pieno regime tra la fine dell 800 e l inizio del 900 (= epoca preindustriale). Contesto ambientale delle suddette imprese storiche in epoca preindustriale e in epoca contemporanea L epoca preindustriale è caratterizzata da forte incertezza e di maggior rischio d impresa. L età moderna (durante la rivoluzione industriale), rispetto all epoca contemporanea, si caratterizza per un attività agricola in balìa delle condizioni climatiche (ancora oggi il rischio è elevato) fondata sulla rotazione biennale (una semina e un raccolto all anno) o al massimo triennale. Anche i mercanti hanno il rischio di vendere i loro prodotti su piazze lontane, caratterizzati da un ambiente in cui le informazioni non sono sufficienti, così facendo si operava al buio. Mentre l artigianato era mercato in cui la domanda di beni (soprattutto per quanto riguarda quella non di prima necessità, i beni di lusso) era molto variabile, cosicché si trattava di un attività produttiva legata a fattori non controllabili. Ancora in tutti i settori vi erano dei forti vincoli (soprattutto in epoca medievale, ma anche in tempi successivi) in merito alla mobilità dei fattori produttivi (= terra, capitale, lavoro). Soprattutto il sistema feudale (ma vi sono strascichi anche in epoca moderna) era caratterizzato da un ereditarietà nei

3 confronti del primogenito maschio, era un sistema molto rigido in cui difficilmente il contadino poteva permettersi di acquistare la terra, nonostante il suo guadagno. Tutto cambia in età contemporanea, dominata dal capitalismo, caratterizzata da tali fattori: mercato; impiego di macchinari complessi, in cui prevale la macchina sull uomo: erano quindi necessari maggiori investimento in capitale fisso, e tale capitale proveniva principalmente mediante autofinanziamento, ricorso al mercato del credito (sistema bancario) e al ricorso al capitale di rischio (borsa). Così nascono diversi modelli d impresa, tutto in conseguenza all industrializzazione. L epoca preindustriale, man mano che ci si avvicina alla rivoluzione industriale (1492 rivoluzione industriale, che scoppio in Inghilterra nel 700) è caratterizzata dalla convivenza di elementi tipici riguardanti l economia capitalistica ed elementi arretrati tipici del feudalesimo (elementi tradizionali + elementi innovativi). Per tutta l epoca preindustriale lo status giuridico-sociale degli individui ha un ruolo importante, che prevale rispetto alla reale condizione economica stratificazione sociale: essa è basata sui titoli nobiliari, l aspetto economico ha una valenza diversa. Vi sono due studiosi che hanno studiato in particolare il passaggio dall epoca moderna a quella contemporanea, e sono Karl Marx e Adam Smith, il primo ha anche studiato il passaggio dall epoca feudale a quella moderna). In particolare Karl Marx visse in Germania nell 800 e spiega tale passaggio con il variare dei rapporti di produzione, ossia sostiene che la causa del passaggio sia insita in una conflittualità tra titolari dei fattori produttivi. Quando, infatti, sorge un conflitto tra capitale, terra e lavoro (ossia tra capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori) cambia anche l equilibrio, ad es. il feudalesimo finisce quando vi è un conflitto tra proprietari terrieri e i contadini, e tale conflitto sorge alla nascita della borghesia, mentre il passaggio dall epoca moderna a quella contemporanea è caratterizzata da un conflitto tra lavoratori e capitalisti, a quest ultimo conflitto coincide la nascita del proletariato (= classe operaia), infatti. Adam Smith è stato il fondatore della scuola classica scozzese, ed è vissuto in Inghilterra nel 700. E stato anche l ideatore della cosiddetta mano invisibile,teoria che si basava sul non intervento dello Stato nell economia (il mercantilismo, al contrario, era caratterizzato da un forte intervento statale). Smith spiegò il passaggio dall epoca moderna a quella contemporanea con l espansione degli scambi commerciali, motivandola col fatto che la crescita comporti una migliore allocazione delle risorse: tutto ciò è causato dall innovazione tecnologica,la quale comporta una più efficiente divisione del lavoro allargamento del mercato. In sostanza tale studioso sostiene che sia necessario che il mercato si autoregoli senza alcuno intervento da parte dello Stato: è una visione di versa da Marx. Tra le attività prevalenti in epoca preindustriale, vi sono sicuramente le aziende agrarie, le quali implicano un legame tra le attività produttive e il mercato a cui si rivolgono. Tale legame non era, però, così scontato come lo è ai nostri giorni, ma vi erano tre livelli di contatto col mercato: I livello: è quello più rudimentale, l obiettivo primario del contadino era quello di produrre prevalentemente per autoconsumo (la % di autoconsumo definisce il grado di commercializzazione, il livello di rapporto col mercato; l azienda contadina chiusa al

4 100% non esisteva, magari si fondava sul baratto e quindi si apriva allo stesso mercato); II livello: erano le aziende contadine che instauravano rapporti col mercato più numerosi rispetto a quelle di I livello al fine di pagare il canone di locazione della terra (in caso i contadini non fossero stati i proprietari di essa) o l imposta fondiaria (in caso fossero proprietari di questa); III livello: si trattava di aziende contadine che si rivolgevano al mercato anche per acquistare altri prodotti. Le conseguenze di ciò: la specializzazione della propria produzione: l impresa produceva esclusivamente ciò che le rendeva di più, acquistando sul mercato gli altri beni di prima necessità; le campagne diventavano così importante mercato di sbocco, non più confinato solo in città. La conseguenza di una variazione dei prezzi su un azienda agricola era devastante, e ciò ai tempi accadeva di frequente. L aumento (= inflazione) poteva derivare da una crisi agraria, un crollo della produzione o a una carestia. Sulle aziende agrarie di III livello addirittura tale aumento comporta degli effetti positivi, poiché esse aumentano i profitti grazie a tale situazione. Mentre per le imprese di I e di II livello nascevano delle situazioni di difficoltà, a causa dell impiego di tecniche rudimentali di lavorazione, e quindi non solo non si producono nuovi guadagni, ma si generano delle spese più elevate per gli acquisti dei beni di prima necessità. Spesso tale brutta situazione portava addirittura alla vendita dell appezzamento di terra ( rischio ambientale altissimo).

5 Il concetto di imprenditore attualmente è contenuto all interno dell art c.c., il quale enuncia che imprenditore è colui che esercita un attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni/di servizi. Tale definizione è stata utilizzata a partire del 1942, la quale ha sostituito quella del 1882 prevista dal codice di commercio, a sua volta ripresa da quella del 1802 contenuta nel codice napoleonico. Nella norma del codice di commercio non si parlava di imprenditore, ma di commerciante; nel corso del tempo il concetto di imprenditore si è esteso, mentre la figura del commerciante è andata a coincidere con quella del capitalista dell economia classica, il quale era considerato una figura ininfluente, poiché il mercato raggiungeva automaticamente una posizione di equilibrio. Tale situazione viene definita concorrenza perfetta, ed è caratterizzata dal fatto che nessun attore è in grado di influenzare le condizioni del mercato. Si credeva che i fattori produttivi si combinassero automaticamente in tale regime e che l attore principale fosse il mercante. Gli economisti così non si interessano a fornire una definizione di imprenditore. Ancora oggi si fatica a spiegare il ruolo dell imprenditore in funzione dello sviluppo economico (= quanto egli può influenzare il mercato). Vi sono diverse teorie in proposito che sono contrapposte tra loro. Prima della rivoluzione industriale i tentativi di individuare delle definizioni di imprenditore sono pochi. Con la prima rivoluzione industriale, si inizia a individuare la figura dell imprenditore come il capitalista (= colui che investe e coordina i fattori produttivi). Con la seconda rivoluzione industriale, e quindi con l affermazione delle grandi fabbriche, aumenta in maniera esponenziale il ruolo della ricerca scientifica e gli investimenti in capitale fisso: così viene definita la grande impresa che attira l attenzione degli studiosi poiché riguarda una produzione particolare, la quale prevede una scissione tra investitori e gestori dell impresa. In pratica emerge la grande impresa manageriale. Con la terza rivoluzione industriale, alla fine del 900 si diffonde la nuova tecnologia di informazione e comunicazione alla quale succedono nuovi comportamenti da parte delle imprese e nuove forme di esse: la grande impresa manageriale è superata. Le imprese sono più flessibile e nasce un nuovo imprenditore a causa del cambiamento del mercato. Nella storia nascono due filoni per definire l imprenditore: la tradizione continentale (= Europa continentale) e la tradizione anglosassone: Tradizione continentale /fine 800 Nell economia europea vi era spazio per l iniziativa e la creatività dei singoli soggetti, i quali sono in grado di cambiare gli equilibri di mercato. Tradizione anglosassone La concezione oggettiva del funzionamento del sistema economico non prevede che venga lasciato spazio per l analisi dei comportamenti individuali: il mercato è influenzato solamente da variabili macroeconomiche. Tradizione continentale Negli anni vi è lo sviluppo delle attività mercantili, le quali fanno in modo che il profitto del mercante sia la necessaria remunerazione del rischio corso per gli investimenti di capitale da parte dello stesso. Molti intellettuali (ma anche molti mercanti stessi) redigevano dei trattati contenenti le regole dell attività mercantili, in particolare sulle quotazioni delle monete, sul sistema dei cambi, pesi e misure, ecc.. Essi erano considerati e utilizzati come dei

6 veri e propri manuali d istruzione, i quali legittimavano la figura dell imprenditore (anche se esso non viene mai nominato, ma si parla di negozianti e mercanti), in modo che tale rimanesse un concetto intrinseco. La situazione rimane tale per molto tempo. Il primo autore che introduce il termine imprenditore è stato un banchiere francese di origine irlandese Richard Cantillon tra la fine del 600 e l inizio del 700. Parlò nella sua unica opera (pubblicata postuma, dopo la sua morte) del 1755 denominata Saggio sulla natura del commercio in generale, di imprenditore, paragonandolo e denominandolo commerciante. Il termine entrepreneur (= imprenditore in francese) è coniato dallo stesso autore che definì come colui che cercava di sfruttare la discrepanza tra domanda e offerta il vero organizzatore di ciò che produceva (funzione organizzativa dell imprenditore). Egli fa un passo in avanti, ma si rivolgeva pressoché esclusivamente a coloro i quali lavoravano la terra in affitto (= fittavoli) per un periodo di tempo determinato. Durante la seconda metà del 700 e i l inizio dell 800 Nicolas Baudeau, studioso francese ( ) era appartenente alla scuola dei fisiocratici: la scienza fisiocratica è una teoria economica che si sviluppa in Francia contemporaneamente a quella classica, secondo la quale l unico settore economico in grado di fornire ricchezza è quello primario, ossia quello agricolo. Egli individua la figura dell imprenditore e capisce che è diverso sia dal proprietario che dalla manodopera salariata, ma lo circoscrive sempre e solo al settore primario. Definisce l imprenditore come colui che è in grado di incrementare, attraverso le proprie scelte, la ricchezza della terra (riducendo i costi e aumentando i profitti). Egli inoltre riesce a migliorare tale attività apportando migliorie, ma per fare ciò corre anche dei rischi. Quindi Baudeau considera anche l aspetto innovativo, ma rimane ancora improntato sul settore primario. Tra il 700 e l 800 un altro studioso formula importanti teoria: Melchiorre Gioia, è un politico piacentino seguace della scuola classica. Individua l imprenditore come un agente intermedio tra i proprietari (i capitalisti) e la manodopera salariata (gli operai). Durante il periodo tra il 700 e l 800 (periodo molto importante) un economista e industriale francese (l economia ai tempi non era ancora una vera e propria disciplina economica, ma è caratterizzata dal fatto che delle persone scrivano dei trattati in merito per passione della materia) Jean Baptiste Say ( ) scrive un trattato di economia politica (1803) nel quale introduce un concetto di utilità, come elemento che determina il valore di un bene, piuttosto che il suo costo. La figura dell imprenditore è distinta tra quella del capitalista e quella del salariato, ed è considerato l agente principale della produzione,avente capacità organizzative, per sovraintendere, dirigere e controllare la produzione (= capacità di combinare i fattori produttivi). E esponente della teoria classica, e quindi il contesto in cui studia è un contesto statico (equilibrio autonomo del mercato, tra domanda e offerta), in cui l imprenditore non è in grado di influenzare il mercato. Il binomio tra concetto d imprenditore e ambiente dinamico (equilibrio dinamico del mercato (in cui l imprenditore è in grado di influenzarlo) si sviluppa solo alla fine dell 800 con Shumpeter. Tradizione anglosassone Il massimo esponente della teoria classica è stato Adam Smith, inseguito da seguaci. Nella tradizione anglosassone la figura dell imprenditore viene trascurata fino alla lasefconda metà dell 800. Lo stesso Smith nella sua Opera per la Ricchezza delle Nazioni ignora la figura dell imprenditore, ma distingue tra fornitura del capitale e organizzazione dei fattori produttivi, anche se poi le identifica in capo a un unico soggetto. Tale formulazione di teoria deriva dal fatto di situazione del contesto. Infatti in quel periodo l Inghilterra comincia a

7 industrializzarsi mediante l impiantazione di fabbriche di modeste dimensioni a livello familiare, se non addirittura individuale, in cui il capitalista e l organizzatore della produzione coincidono. Così facendo Smith non si poneva il problema dell imprenditore che non coincide con la figura del capitalista. Ancora il settore bancario (mercato del credito) si è sviluppato poco, cosicché difficilmente può nascere tale figura imprenditoriale, le fabbriche si autofinanziano e sono per lo più imprese monofunzionali in cui: proprietario = manager = capitalista. David Ricardo è uno dei seguaci di Smith ( ) che prosegue la sua linea anche se in realtà aveva studiato Jean Baptiste Say senza però recepirne la teoria. Il parere di Ricardo riguarda il raggiungimento automatico dell equilibrio tralasciando completamente l imprenditore. A metà dell 800 John Stewart Mill pubblica un opera, in un paese che però è estremamente industrializzato, caratterizzato dalla costruzione delle ferrovie (railway mania) tramite investimenti privati di capitale in cui non vi sono più le piccole imprese che si autofinanziano, ma nascono le prime grandi imprese, in cui per forza di cose l imprenditore è diverso dal capitalista. Nasce così l impresa manageriale e quindi la funzione manageriale. Mill coglie questo cambiamento e usa il termine entrepreneur senza tradurlo dal francese, classificandolo come un dirigente stipendiato (salariato), comunque senza dargli una grande connotazione, rimanendo così nel regime classico. Egli gli dà una connotazione negativa poiché sostiene che il suo interesse sia derivato esclusivamente dalla percezione di un salario e non a una efficiente combinazione dei fattori produttivi. Karl Marx è vissuto nell 800 ( ) e ha scritto diverse opere tra cui Il Capitale : nel libro terzo di tale opera si allinea abbastanza al pensiero di Mill, addirittura sembra quasi andare oltre. Infatti prevede che l imprenditore, rispetto al capitalista, abbia un ruolo autonomo, ma lo descrive come un funzionario, il quale percepisce un salario di controllo, che risulta più elevato rispetto a quello di un operaio, poiché egli all interno dell impresa ha una funzione più complessa, ricadendo sempre, però nello schema classico. Tradizione continentale (Italia, Francia e Svizzera) Durante gli ultimi decenni dell 800 (II rivoluzione industriale) la situazione cambia rispetto a prima, si ribalta perché rispetto a prima la figura dell imprenditore viene completamente accantonato non considerandola come un fattore produttivo. Leo Walras è uno studioso appartenente alla scuola marginalistica neoclassica diffusasi a partire dalla seconda metà del 600 che basa tutto sull utilità marginale decrescente, per la quale al crescere del consumo di un determinato bene, l unità marginale decresce. Tale teoria giunge dopo la teoria classica e propone la teoria dell equilibrio economico generale, in cui le forze (gli operatori economici: le imprese i consumatori) che agiscono in un sistema economico sono tali e in una determinata posizione la quale permette di sollecitare lo stesso operatore a mutare le proprie scelte. Per meglio capire occorre variare la quantità dei fattori produttivi impiegati da parte delle imprese o a variare le quantità acquistate di beni da parte dei consumatori. Il mercato è in equilibrio, ma non può far nulla per influenzare il mercato. Vilfredo Pareto è uno studioso nato in Francia e vissuto in Italia. Egli aggiunge il concetto di ottimo paretiano, il quale prevede che non sia possibile aumentare l utilità di un consumatore, senza diminuirne l utilità di un altro. Il mercato raggiunge una posizione di equilibrio

8 automaticamente, non vi è nessuno spazio per iniziative imprenditoriali, infatti il mercato è già nella posizione migliore possibile. Sempre seguendo questo filone Alfred Marshall (vissuto tra la fine dell 800 e l inizio del 900) parla inoltre di equilibri parziali: per certi beni la funzione di domanda e offerta sono indipendenti verso altri beni. In pratica non vi è un unico equilibrio, ma vi sono tanti microequilibri per determinati beni. Lo spazio imprenditoriale comincia a essere remunerato con una quota di profitti, ed è definito come colui che organizza (funzione organizzativa):ha un ruolo rilevante e viene considerato dallo studioso come il quarto fattore dell organizzazione, dopo il capitale, la terra e il lavoro. In sostanza si tratta di un nuovo filone di studi sulla tecnica industriale esistente ancora oggi. Tra la fine dell 800 e l inizio del 900 si mette un po da parte il concetto d imprenditore, ma in realtà diversi studiosi analizzano la figura. Karl Menger faceva parte della scuola marginalista, la quale prevede un attività marginale decrescente: l analisi economica non deve basarsi su variabili di macroeconomia, ma sul comportamento degli agenti individuali: consumatore e imprenditore. Un passo in avanti viene fatto da Werner Sombart per quanto riguarda l imprenditore, e da Joseph Shumpeter. Quest ultimo è lo studioso più importante del periodo; egli, nel corso della sua vita, si trasferisce negli USA, cambiando completamente visione sull impresa e sull imprenditore. Infatti la sua storia può essere suddivisa in due fasi: I Shumpeter: quello vissuto in Europa; II Shumpeter: quello vissuto in America. Shumpeter è vissuto tra la fine dell 800 e la metà del 900 ( ), ed è il principale teorico sul cambiamento del sistema economico. Egli ha un approccio dinamico alla visione del mercato ed esce dalla concezione statica classica (la quale prevedeva che l impresa non potesse fare nulla per influenzare il mercato) mettendo al centro il ruolo dell imprenditore: lo sviluppo economico dipende soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, secondo il suo punto di vista, le quali vengono per l appunto introdotte dall imprenditore. Tale introduzione è permessa dall accesso al credito, e viene stimolata da aspettative di profitto monopolistico per un certo periodo: con tale profitto si remunerano i rischi: tasso d interesse; saggio di profitto. Entrambi derivano dalle innovazioni tecnologiche. Analisi dinamica: I Shumpeter L imprenditore è in grado di trasformare un invenzione in innovazione (= invenzione che viene applicata al processo produttivo di produzione), considerando il fatto che spesso le invenzioni possono rimanere fini a sé stesse. L aspettativa dell imprenditore è monopolistica, la quale prevede extraprofitti. Comunque questo corre sempre un rischio, infatti le innovazioni non sempre portano successo. Le innovazioni, comunque, sempre secono Shumpeter, si presentano a grappolo, ossia da un innovazione ne nasce sempre un altra e via dicendo: tipico es. è la I rivoluzione industriale con la filatura tessile. Lo studioso per verificare questa sua idea, risale indietro nel tempo e studia i cicli economici di lungo periodo (lunghe Kondradiev) di durata di circa mezzo secolo in cui vi è ad es. una fase A ascendente e una fase B discendente:

9 I ciclo: (circa) caratterizzato da due importanti innovazioni tipiche della I rivoluzione industriale del settore tessile e di quello metallurgico; II ciclo: dal 1840 alla fine dell 800, periodo a cavallo tra la I e la II rivoluzione industriale, caratterizzata dalle ferrovie e in generale dal vapore per quanto riguarda il settore dei trasporti; III ciclo:dalla fine dell 800 al 1940 nel periodo della II rivoluzione industriale, in cui la più importante innovazione è rappresentata dall automobile, ma anche l industria chimica e quella elettrica. Questa serie di innovazioni genera, quindi un nuovo ciclo di sviluppo economico (da 50 a 150 anni: oggi i cicli economici trascorrono molto più velocemente, quindi durano meno). Ciò viene dimostrato, secondo lo studioso, dagli eventi storici. II Shumpeter Riguarda il periodo in cui si trasferisce negli USA, e in cui studia all università di Harvard (1932). In questa seconda fase è molto meno ottimista, perfino più isolato. Scrive un opera intitolata Capitalism, Socialism, Democracy nel 1942: lo studioso è meno ottimista poiché lo scenario diverso americano smonta un po le sue teorie. Infatti esso è caratterizzato dall affermazione del big business, in cui la vera protagonista è la grande impresa manageriale e non più l imprenditore di Schumpeter, soprattutto l attore fondamentale del sistema è il manager. Le innovazioni nascono sempre meno dalle iniziative imprenditoriali singole ma diventa un fattore endogeno all impresa: infatti all interno di ogni organizzazione vi è il settore dell attività di ricerca e sviluppo, e ancora a capo dell impresa non vi è più l imprenditore individuale, ma i manager. In pratica cambia completamente l ottica, e il potere è nelle mani della gerarchia manageriale. In collaborazione con altri studiosi, Shumpeter fonda un organizzazione di ricerca sulla storia d impresa denominata Research Center in Entrepreneurial History. All interno di tale fondazione vi anche Alfred Chandler, allievo di Schumpeter, il noto studioso che riprese dal suo maestro la teoria secondo la quale al centro dell analisi delle imprese non vi è più l imprenditore ma la grande impresa manageriale. Altro studioso americano che si affianca alla linea del II Shumpeter è Frank Knight; egli, a tal punto, si è soffermato di più sull innovazione, la quale secondo lui si concentra su: il rischio: esso è qualcosa di misurabile e valutabile ex ante dall operatore economico (imprenditore o impresa); l incertezza:essa non è valutabile e non prevedibile è insita al verificarsi di situazioni impossibili da prevedere. Per valutare meglio i rischi l imprenditore deve essere capace di riuscirli a valutare in situazioni di incertezza, deve cioè effettuare una valutazione preventiva: più è bravo a farlo e più avrà successo. La scuola neo-austriaca nasce a metà del 900 fino ai giorni nostri e segue la scuola di studi appena analizzata ponendola sul versante europeo-continentale. Si concentra soprattutto sull attenzione rispetto a ciò che accadrà in futuro. Gli studiosi che più si interessano sono ad es. Friedrich von Hayek, Leopold von Mises e Israel Kirzner tutti vissuti tra la fine dell 800 e la fine del 900. Essi sostengono che l imprenditore deve essere in grado di valutare i prezzi futuri a quale vendere e per quale ragione possono comportarsi di conseguenza. Quindi egli

10 devono acquistare i fattori produttivi in funzione del prezzo di vendita previsione futura al fine di fissare un prezzo di vendita equo anche in futuro. In particolare Leopold von Mises nel 200 scrive che: profitto = prezzo di vendita (costo totale della produzione + interessi sul capitale investito) Israel Kirzner enuncia che l imprenditore è l intermediario che svolge le funzioni intermediarie, per l appunto, sul mercato. Per una buona previsione l impresa ha bisogno di informazioni che deve saper raccogliere, leggere e far fruttare. Deve anche tenere in considerazione il fatto che esse siano spesso incomplete e/o distorte. Problema: su ogni mercato vi sono diversi imprenditori che non si comportano alla medesima maniera, poiché non tutti hanno le stesse informazioni (a causa dei costi di queste e delle abilità rispetto ai legami dei soggetti in questione) e comunque esse vengono interpretati in modo diverso da ognuno di loro: ciò genera comportamenti diversi. Mark Casson, nato nel 1943 ha scritto l opera The entrepreneur. An economic theory nel Egli mette al centro della sua analisi l informazione, le quali sono fondamentali per colui che si specializza a prendere decisioni, anche critiche, le quali servono a coordinare risorse scarse, quindi hanno le finalità di allocare meglio le risorse, ossia collocare al meglio i fattori produttivi. Tali informazioni possono essere reperite facendo riferimento ai consumatori. Per concludere: il tema dell imprenditore continua a essere attuale, infatti ancora oggi è una figura poco nitida, oggetto di dibattito. Fino adesso possiamo dire che è colui che ha a che fare con: l innovazione; i rischi; le informazioni: che deve essere in grado di raccogliere. La storia d impresa si divide anche tuttora in: entrepreneurial history: storia imprenditoriale che pone al centro l imprenditore, il quale coincide con il I Shumpeter; business history: storia d impresa che prende la sua origine dal II Shumpeter, che analizza l impresa (soprattutto la grande impresa) in tutte le sue forme. Entrambi gli orientamenti nascono dal centro delle ricerche di Harvard e vengono ancora oggi portati avanti. Purtroppo tale settore è condizionato da mode: molti studiosi hanno studiato fino agli anni 80 la grande impresa manageriale americana (periodo denominato III rivoluzione industriale). Dagli anni 90 in poi si parla di tipologia produttiva più snella la quale porta nuovamente al centro del sistema, l imprenditore (evoluzione più recente), specie con le nuove forme d impresa. Prima però occorre accennare all impresa del II Shumpeter, la quale è stata studiata fino agli anni 80: essa era posta al centro degli studi. L impresa, in particolare, è analizzata sotto due punti di vista: concezione statica: deriva dalla teoria neo-classica marginalista, per la quale la stessa impresa si adatta alle condizioni di mercato e quindi le sue performance dipendono dalle capacità di adattarsi a esso il mercato è immutabile. Conseguenza: percorso

11 standard seguito dall impresa in cui vi è poco spazio per le abilità delle singole aziende che operano in regime di concorrenza perfetta, le quali subiscono il prezzo di mercato, e non possono fare nulla per influenzarlo. Le stesse adotteranno l utilità marginale, in pratica aumenteranno la produzione finché il profitto marginale non coincida con il costo marginale. La teoria non è interessante; concezione dinamica:valuta le strategie dell impresa; ottica che ha le sue basi nella storia d impresa (= teoria applicata alla storia). Ha una base empirica importante la quale riguarda in particolare l azienda che è in grado di influenzare il mercato. Lo studioso Werner Sombart tedesco nato la seconda metà dell 800 ( ) nella sua opera Capitalismo moderno del 1927, mette insieme la teoria economica con la storia per analizzare e spiegare il processo di formazione e di maturazione dell economia moderna. Definisce il capitalismo come la formazione economica di scambio in cui i proprietari dei mezzi di produzione e i lavoratori nulla tenenti siano, relativamente i soggetti/oggetti economici (soggetti = proprietari mezzi di produzione; oggetti = lavoratori). Tale collaborazione dà origine a una sorta di organizzazione: principio del profitto spirito del capitalista = spirito d impresa (viene mosso da chi vuole guadagnare e/o conquistare delle posizioni sul mercato) + spirito borghese Al vertice di ciò vi è l imprenditore capitalista il quale rappresenta l organizzazione principale che opera all interno di questo meccanismo. Nasce così il capitalismo maturo: all imprenditore del I Shumpeter si stava sostituendo un organizzazione più complessa in cui vi è: separazione tra proprietà e capitale; specializzazione delle attività produttive; integrazione tra attività produttive e attività finanziarie. Così all interno dell impresa nasce la figura del manager. Werner Sombart descrive, quindi, il big business americano, addirittura anticipando il II Shumpeter, e lo descrive in base ai cambiamenti che si stanno verificando. Capitalismo maturo: fenomeno diffuso negli USA dalla fine dell 800 fino al 1980 circa, con l espansione del big business, delle grandi corporazioni, SPA, e SRL gestite dai manager. In questo periodo diminuisce l industria di base. E un fenomeno caratterizzato da critiche: si è sviluppato un movimento contro tali grandi imprese (già dalla fine dell 800), come nel caso delle ferrovie. Sinonimo del movimento è stata la crisi del 29 in cui vi furono molti licenziamenti. Comunque già nel 1887 vennero emanate le leggi antitrust,le quali avevano il fine di limitare le aziende delle grandi corporazioni per evitare accordi di cartello, i quali permettevano la spartizione del mercato. Su tali corporazioni è nato un filone di studi anglosassone che segue il II Shumpeter con gli studiosi Berle e Means che scrivono un opera intitolata The modern corporation and private

12 property del 1900 in cui si analizza il caso americano: in quel periodo le 200 società maggiori americane controllavano circa il 50% della ricchezza del paese (non quella bancaria). Ancora queste società erano a loro volta controllate da 2000 persone che avevano in mano metà della ricchezza americana. Le società in questione hanno la particolarità di essere frammentate in migliaia di azionisti (anche pubblici): se la proprietà risulta frammentata da migliaia di soci vengono denominate public companies, non nel senso di pubbliche ma nel senso della larga diffusione di azionisti tra il pubblico, in pratica rappresentano il patrimonio della comunità). Il controllo di tali imprese è però affidata a un numero ristretto di persone (i manager per l appunto). Questo sistema è addirittura paragonabile al feudalesimo, poiché è caratterizzato di una gerarchi accentuata. Inoltre i due studiosi individuano 3 forme di separazione tra proprietà e controllo dell impresa, le quali: 1. controllo di maggioranza: la maggioranza degli azionisti esercita anche il controllo dell impresa; 2. controllo di minoranza: solo pochi azionisti controllano l impresa; 3. controllo degli amministratori: caso più estremo; la totalità, o quasi, degli azionisti è esclusa dal controllo dell impresa, tutto è nelle mani dei manager caso della public companies. Ancora i due studiosi, negli ultimi due casi, individuano una contrapposizione d interessi tra tutti i proprietari (piccoli azionisti) e i manager. Questi ultimi, infatti, possono avere obiettivi diversi dagli azionisti, come ad es. quello di detenere il controllo. Dagli anni 70 in avanti (dopo lo shock petrolifero) la publico companies va in crisi per via delle grandi imprese giapponesi, le quali proponevano un modello opposto a quello americano (in cui i manager operano solo per i propri interessi e non per quelli degli azionisti). Gli anni 80 sono caratterizzati, sempre in America, dai manager buyout: essi con politiche poco limpide rilevano le proprietà delle grandi imprese (al fine di non essere fatti fuori dagli stessi azionisti). Essendo il capitale frazionato, per detenere il controllo, basta una piccola quota di capitale. Uno studioso nato nel 1910 che si forma negli USA molto importante è Ronald Coase. Egli nel 1937 scrive un opera intitolata The nature of the firm, partendo dagli studi di Berle e Means. Il suo obiettivo è definire meglio il concetto d impresa studiandone la governance.infatti egli riprende il concetto per il quale solo quando il mercato è dominato da tante piccole imprese si è in regime di massima efficienza del mercato (regime di concorrenza perfetta), quella descritta dai neo classici. Questo non è il caso americano, quindi smentisce i neoclassici, infatti su tale panorama vi sono pochi e grandi imprese che dominano il mercato. In merito a ciò definisce i costi di transazione come quelli sostenuti in questo ambiente e le imprese in base a come esse si comportano nei loro confronti. In pratica i costi di transazione sono costi d impiego dei meccanismi di mercato per l utilizzo dei prezzi, ossia per concludere un affare si sostengono dei costi, quali: la raccolta di informazioni, la risoluzione di trattative, il monitoraggio del mercato, la redazione dei contratti, ecc. L azienda può scegliere se internalizzare tali costi o se acquistare questi beni/servizi sul mercato (= esternalizzare), classico es. è l ufficio legale. Conseguenza: l impresa riuscirà a emergere sul mercato internalizzando le transazioni e limitando i costi, ma con la consapevolezza che più si internalizza e più aumentano le dimensioni della stessa (grande impresa = le unità operative aumenteranno). E conveniente internalizzare fino a quando:

13 costo di internalizzazione = costo sul mercato Coase chiama tale fenomeno come equilibrio mobile dell impresa, per il quale si esce dalla concezione statica d impresa limite: non si può internalizzare all infinito, infatti se l azienda cresce troppo rischia che si inneschino dei meccanismi d inefficienza, i quali porterebbero a una cattiva allocazione delle risorse, e si subirebbe la concorrenza delle imprese di piccole dimensioni. Ancora tratta un approccio di studio contrattuale, il quale studia l impresa come un insieme di contratti tra diversi agenti economici, i quali costituiscono un sistema produttivo più efficiente del mercato stesso. In pratica l impresa diventa qualcosa di alternativo al medesimo mercato in cui essa opera. Se non vi fossero dei limiti su di esso opererebbe un unica grande impresa. Il primo punto di arrivo importante è stato imposto dalla studiosa americana Edith Penrose, la quale va a lavorare in Inghilterra. Scrive un opera nel 1959 denominata La teoria della crescita dell impresa in cui spiega le cause della formazione americana, le quali per lungo tempo non sono state considerate (per questo motivo si reca in Gran Bretagna). Considera l impresa come un insieme di risorse materiali e umane coordinate da un organizzazione amministrativa, al fine di produrre beni/servizi da vendere sul mercato per creare profitti insieme di risorse coordinate da un organizzazione amministrativa. Ella ha una concezione dinamica dell impresa, infatti sostiene che ogni azienda sia unica perché le risorse possono essere utilizzate in modo differente ruolo importante delle risorse umane, soprattutto delle risorse manageriali che sono fondamentali per la crescita dell impresa come frutto delle competenze acquisite all interno della stessa. In pratica ciascuna figura ha un percorso pianificato all interno di un azienda, la quale sarà quindi dotata di determinate competenze, le quali sono intrasmissibili. Ancora la studiosa pone attenzione sulle risorse umane che devono predisporre un piano ottimale di crescita per sfruttare meglio le risorse interne, devono aumentare le conoscenze e devono liberare le risorse che danno origine, a loro volta, a nuove opportunità di crescita margine delle risorse inutilizzate, come incentivo dell impresa a espandersi. Di conseguenza il ruolo del manager è centrale per la teoria della crescita dell impresa, ma comunque non si tratta di un meccanismo infinito. Non sempre però le opportunità di crescita sono sfruttate, infatti: l impresa non si rende conto delle possibilità di espansione; l impresa non vuole e/o non può cogliere tali possibilità. I manager devono collegare le risorse inutilizzate con l ambiente esterno, ossia: risorse interne ambiente esterno abilità propensione Problemi: i manager non sempre sono in grado di cogliere le opportunità di crescita a causa dei limiti delle proprie conoscenze; i manager non vogliono cogliere tali opportunità, perché comunque la crescita dimensionale di un azienda ha un limite, oltrepassato il quale diventa inefficiente, infatti differenziare troppo l attività produttiva è rischioso.

14 La Penrose descrive l impresa come una realtà dinamica che non subisce il mercato, ma anzi lo influenza, discostandosi così dalla mentalità neoclassica. E molto vicina alla teoria di Alfred Chandler (lo studioso più importante della storia d impresa). Tale studioso ha caratterizzato tutto il 900, dal 1918 al 2007con le sue teorie: egli ha studiato a Harvard nella scuola di Shumpeter. Egli, più che economista, era uno storico, perché analizza l economia americana nei confronti di altri paesi; le sue opere più famose sono: Strategy and structure del 1962; The visible hand del 1977, la quale si contrappone alla teoria di Adam Smith (che si basava su un meccanismo classico) in cui l impresa si contrappone al mercato; Scale and scope del 1990, in cui confronta il caso americano con quello tedesco e quello inglese. La sua concezione base è denominata organizational synthesis,la quale è un punto di riferimento dominante della storia d impresa per tutto il 900, che prevede: innanzitutto riprende Schumpeter secondo la teoria dell innovazione come motore del cambiamento, ma in più aggiunge che l imprenditore non sia più un regista, ma questo viene sostituito dal manager, il quale ha la funzione di controllare la grande impresa; la gerarchia manageriale applica le strategie di crescita e di conseguenza adegua la struttura aziendale in questo modo: Strategia Pianificazione e sviluppo delle imprese: i manager fissano gli obiettivi di sviluppo a medio/lungo termine, scelgono i criteri di azione e come allocare le risorse, comprese le risorse umane. Struttura L organizzazione è progettata e costruita per amministrare i settori di attività e le risorse dell impresa che comprende tutti i livelli gerarchici e in cui vi sia circolazione delle informazioni. Strategia Struttura In pratica senza una struttura adeguata e senza le necessarie modifiche le strategie di crescita portano solo a inefficienza. L analisi dello studioso ha un limite: l unico punto di osservazione è il big business americano, nella sua analisi, quindi, per molti anni, non si pone il problema della relazione tra la corporate governance (= gerarchia manageriale) e la proprietò e la performance positiva o negativa a seguito di tale rapporto, considerando il fatto che fino a metà del 900 la situazione americana è la medesima: conflitto di interessi tra proprietà e impresa. Secondo tale studioso i manager venivano costretti da istituzioni, i quali esercitavano su di loro delle pressioni al fine di tenere un alto livello, distribuendo così più divedendo possibile, e per raggiungere tale scopo attuavano anche scelte non opportune. L opera La mano visibile percorre le tappe della nascita della grande impresa americana, partendo dai suoi schemi organizzativi (cambiamento delle organizzazioni interne), il suo obiettivo è quello di dimostrare l esistenza di una grande impresa in grado di condizionare il mercato. Ancora Chandler introduce il principio del first mover, per il quale le prime imprese che hanno colto le opportunità di crescita offerte dall innovazione sono quelle che

15 rapidamente hanno raggiunto una posizione dominante (durante la seconda rivoluzione industriale) nel mercato, le prime a concludere un buon risultato.

16 Michael Porter è nato nel 1947 si è formato all Harvard Busines School e riprende il concetto di efficienza dinamica d impresa che riguarda: capacità dell impresa di adattarsi al mercato; capacità di modificare le condizioni del mercato influenzandolo. Questo processo è attuato dal manager che valorizza meglio le risorse dell azienda creando così un vantaggio competitivo, attraverso l utilizzo di una strategia competitiva. In pratica si tratta di ricercare la situazione competitiva favorevole nei confronti di un determinato settore; per fare ciò sono necessarie conoscenze approfondite del medesimo settore e del contesto in cui si opera, anche tenendo in considerazione la presenza della concorrenza. I manager devono capire le strategie della concorrenza per attuare le proprie, che siano migliori a queste. Le forze che influenzano le imprese concorrenti sono: 1. minaccia di nuovi entranti:dipende dalla presenza o meno di barriere all entrata; 2. potere contrattuale dei fornitori: per il costo dei fattori produttivi: più elevato è il potere verso i fornitori e minore sarà il margine; ancora l azienda potrebbe valutare se ha delle valide alternative; 3. potere contrattuale dei clienti: determina il prezzo al quale l azienda può vendere il prodotto, se esso è differenziato o standard, in base appunto al cliente, che può appartenere a un mercato di sbocco unico o ampio; 4. minaccia di prodotti sostitutivi: possono esservi dei prodotti sul mercato simili a quelli proposti dalla concorrenza; 5. eventuali manovre di posizionamento dei concorrenti: che operano sullo stesso mercato di imprese le quali producono il loro medesimo prodotto: in tal caso è opportuno valutare le strategie dei concorrenti. Tali forze devono essere attentamente considerate e valutate dai manager al fine di attuare la strategia più opportuno così da ottenere un buon vantaggio competitivo. In particolare possono essere intraprese 3 grandi categorie di strategie: strategie difensive; strategie di attacco; strategie a lungo termine. Per quanto riguarda le strategie di attacco, specie quelle a lungo termine, si può dire che esse sono le uniche in grado di offrire un vantaggio competitivo, il quale può essere determinato da: riduzione dei costi di produzione; differenziazione del prodotto. Combinando le varie strategie con il contesto in cui si opera, si arriva alla definizione delle strategie, le quali, in particolare, sono di 3 tipi: 1. leadership di costo: si immette il prodotto sul mercato a costi bassi e inferiori a quelli della concorrenza; 2. differenziazione del prodotto: l impresa allarga la gamma dei prodotti offerti sul mercato; 3. focalizzazione: l impresa si focalizza su uno o più (comunque pochi) prodotti.

17 Questa teoria di Porter che riprende quella di Chandler (anch esso diretto verso la strategia) e la perfeziona, rapportandola alla concorrenza e uscendo dalla concezione neoclassica. Studioso che segue Chandler e riprende Coase (sulla teoria basata sui costi di transazione) è Oliver Williamson (nato nel 1932) che abbina gli studi di storia d impresa alla sociologia e alla psicologia. E un seguace della teoria comportamentista (dei primi del 900) di John Watson, il quale dice che i soggetti hanno una razionalità limitata, la quale impedisce loro la perfetta comprensione del sistema economico, e quindi ne influenza le scelte economiche. Egli fa un passo avanti rispetto a Porter, il quale non si è posto il problema di quanto i manager fossero o meno in grado di compiere scelte giuste, considerando il limite dell essere umano che influenza il sistema perché non sempre le sue scelte sono le più adatte. Ma considera che ciascuna impresa è composta da diversi individui, i quali hanno la capacità limitata di comprendere appieno il contesto, in vista del quale devono prendere delle decisioni strategiche. La decisione deve essere unica e deve basarsi su un processo di contrattazione e conciliazione tra i membri della gerarchia manageriale. Tutto ciò avviene in modo aleatorio, per questo motivo le imprese non si comportano tutte alla stessa maniera. Inoltre Williamson, seguendo Coase, menziona i costi di transazione, sostenendo che dipendono dalla natura dell uomo, e concludendo che anche essi siano influenzati dalla razionalità limitata e da opportunismo (= finalità egoistiche, come il caso del conflitto di interessi). Quindi i manager devono valutare, oltre a tutto quello analizzato in precedenza, se: internalizzare make; Make or buy esternalizzare buy. Altro aspetto che è opportuno valutare è il fatto di operare in condizioni d incertezza dovuta a fattori esogeni e a specificità di risorse (come capitale umano e investimenti). Ancora è necessario valutare la frequenza delle transazioni. Teoria evolutiva dell impresa: intrapresa da due studiosi, Richard Nelson e Sidney Winter nella loro opera An evolutional theory of economic changement del Essi rielaborano e riprendono il ruolo delle innovazioni di Schumpeter (nel II Schumpeter). Le imprese vengono considerate i soggetti principali del processo tecnologico e ancora sostengono che la ricerca d innovazione (come d altronde sosteneva Schumpeter), al momento diventa endogena, interna con il settore ricerca e sviluppo, e non è più una cosa eccezionale, ma diviene una routine (come l I-phone della Apple): in pratica l innovazione non è più visto come qualcosa di sconvolgente, come avveniva in caso della prima scoperta, ma si tratta di un innovazione continua. Quindi per Nelson e Winter la routine è definita come l insieme delle conoscenze tacite che sono alla base della maggior parte delle attività d impresa, non solo nel caso dei prodotti ma anche per: politiche d investimento; politiche di ricerca e selezione del personale; riorganizzazione interna dell azienda: ad es. nel caso di adozione della catena di montaggio. Tali competenze si formano nel corso del tempo, tutto però non deve essere analizzato in maniera statica: il potenziale innovativo dell impresa è di rinnovare la propria routine attraverso un processo tecnologico mediante: tentativi di ottenere delle economie di scala;

18 processi di meccanizzazione. Il progresso tecnologico può essere: continuo: all interno dello stesso paradigma tecnologico; discontinuo: cambiamento radicale, innovazione straordinaria (non si parla solo di un innovazione di prodotto). Nelson e Winter mettono insieme al concezione microeconomica (= l impresa) e quella macroeconomica (= ambiente-mercato). Successivamente nasce un filone di studi basato sul concetto di capabilities (= potenzialità dell impresa). E un concetto recente (sviluppato negli ultimi decenni), ed è il risultato del processo di apprendimento che si verifica nell imprenditore nel corso del tempo know how: insieme di elementi principali che differenzia le imprese le une dalle altre. Visione Knowledge based: conoscenza delle imprese, intesa in senso diverso. In pratica l impresa crea conoscenze, insieme a tali capacità si creano delle potenzialità: più l impresa le riesce a usare e più ha la possibilità di raggiungere un vantaggio competitivo all interno del mercato. Ancora importante risulta un particolare filone di studi condotto da Paul David nel 1985 Clio and economics of QWERTY, opera basata sulla diffusione della tastiera QWERTY, in cui si delinea la teoria del path dependance (= dipendenza dal percorso), per la quale l esito finale di un percorso aziendale può essere influenzato da eventi casuali (quindi tutte le teorie menzionate finora avevano lo scopo di mettere in atto le strategie, mentre qui lo studioso si reputa d accordo con esse, ma aggiunge che la conclusione dipende dal caso). David cita la tastiera QWERTY come esempio, poiché essa è stata inventata per la disposizione delle lettere/dei numeri che sembravano ottimali al fine di non fare accavallare i martelletti delle macchine da scrivere di allora. Di conseguenza i primi operatori (= dattilografi) specializzati si formarono su tali tastiere. In futuro, nonostante la scoperta di tastiere più funzionali e efficienti rispetto alla QWERTY, essa rimase sempre la più diffusa (ancora ai nostri giorni). L autore attribuisce questa conclusione a una casualità (non prevedibile) e associa tale tipo di tastiera a un evento casuale in pratica non sempre sparisce sul mercato la tecnologia peggiore. Impresa e contesto Premessa: gli studi in precedenza citati hanno fornito informazioni utili per studiare il comportamento delle imprese (partendo dall imprenditore in generale). Ciò ancora non regge, manca ancora qualcosa in merito: costi di transazione (make or buy): esistenza anche di forme intermedie tra imprese e mercato (= forme ibride), come ad es. le cooperative in cui i soci producono e vendono sia a sé stessi, sia al mercato; i distretti industriali, i quali sono agglomerati di imprese strettamente collegati tra loro; le imprese a partecipazione statale, in cui vengono perseguite politiche pubbliche e il committente è lo Stato;

19 forme di imprese big business:vi è netta separazione tra proprietà e controllo; piccole imprese: la proprietà coincide col controllo. In mezzo alle due forme d impresa appena citate vi sono moltissime forme ibride che non rappresentano né uno, né l altro tipo, che non dipendono dalla dimensione e che si utilizzano dei criteri per sapere chi detiene il controllo. Ad es. controllo del pacchetto azionario minimo, detenere il controllo vuol dire possedere anche un pacchetto minimo di azioni: ciò dipende dalla struttura dell impresa: holding, gruppi di imprese tipiche del modello asiatico, ecc.; comportamento, struttura, storia: fattori influenzati dal contesto e da fattori esterni. Contesto = insieme di fattori culturali, religiosi, politici, casuali, legislativi, formativi presenti in un paese. Sono molti gli elementi considerati per lo sviluppo delle forme d impresa.

20 Quanto ha influenzato il contesto nello sviluppo della storia d impresa? Vi sono diversi aspetti da analizzare: I aspetto: fattori culturali, fattori etici e/o religiosi Non sono facili da definire. Innanzitutto proviamo a definire il concetto di cultura. Essa va intesa come l insieme di valori e credenze condivise (definizione di Casson). Altra definizione è fornita da David Landes ed è: l insieme di consuetudini e di valori morali. In pratica a fare la differenza in campo evolutivo dell impresa è la cultura, e quindi su di esso si pone un accento particolare. La cultura è l insieme delle informazioni a disposizione dei soggetti economici che effettuano delle determinate scelte. Per gli storici d impresa, infatti dal punto di vista pratico, vi è una concezione diversa della stessa tra Europa, USA e Giappone: Europa USA Giappone L impresa intesa come L impresa è impersonale, ed è L impresa è un valore imprenditore che la dirige vista come l insieme di assets, collettivo, come bene comune aspetto personale fattori produttivi, di appartenenza la cultura dell impresa (in base alle organizzativi, ecc. (in base del lavoro è ampiamente stesse che si sono affermate nel territorio europeo). alle stesse sviluppate come ad es. le public companies). sviluppata. I fattori etici e/o religiosi sono molto importanti per lo sviluppo economico. Max Weber diceva che L etica protestante è lo spirito del capitalismo, infatti il protestantesimo ebbe un ruolo centrale nello sviluppo economico, proprio perché l etica protestante vedeva nell attività lavorativa un mezzo per avvicinarsi a Dio. Diversa mentalità prevedeva l etica cattolica,la quale considerava la ricchezza e il benessere economico un fattore pericoloso da evitare. L etica religiosa, ad es. in Italia e in Francia, non ha permesso di accettare fino in fondo lo sviluppo della grande impresa. Ancora lo sviluppo delle imprese è stato influenzato dal contesto sociale. Più in generale occorre definire la parola etica come la concezione che gli individui hanno dello Stato, in quanto esso deve intervenire per creare il contesto favorevole per lo sviluppo delle imprese. In Italia, in Germania e in Giappone esso è stato l assoluto protagonista nell economia di fine 800. In Gran Bretagna, con la II rivoluzione industriale, si fatica a mantenere il passo con la Germania e gli USA (fine 800) a causa di fattori culturali e sociali diversi. Qui vi è un economia già matura, in cui vi è una scarsa separazione tra proprietà e controllo, quindi si tratta di imprese di modeste dimensioni a conduzione familiare scarsa cultura industriale, disagio del progresso, in pratica non si è creata una classe industriale, ma una classe aristocratica (imprese ereditate, giunte alla III generazione) la quale è caratterizzata da: scarsa propensione agli investimenti tecnologici; scarsa tendenza a proiettare la propria attività verso i consumi di massa. In pratica fattori culturali, sociali ed etici impediscono alla Gran Bretagna di essere competitiva nei confronti degli altri paesi, considerato il fatto che anche il livello d istruzione risulta non adeguato per un ottimo sviluppo economico del paese. II aspetto: concezione della famiglia

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