Analisi di solidi elastici 3D mediante elementi finiti ad alta continuità. Formulazione del modello numerico ed implementazione nel codice ABAQUS R

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1 Università della Calabria Facoltà di Ingegneria Laboratorio di Meccanica Computazionale Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Analisi di solidi elastici 3D mediante elementi finiti ad alta continuità. Formulazione del modello numerico ed implementazione nel codice ABAQUS R Relatore Ing. Antonio BILOTTA Candidato Antonio Lorenzo MENDICINO Matr Anno Accademico 2006/2007

2 Alla mia mamma Rosina, a mia sorella Maria e mio cognato Maurizio, al mio papà Alfredo, e a mio zio Cesare, fondamenta di questi miei anni di studi. 1

3 Indice Premessa 4 1 Introduzione L elemento finito HC Utilizzo del codice ABAQUS R Contenuti della tesi Notazione utilizzata Modellazione FEM di solidi 3D Modello di Cauchy Cinematica Statica Formulazione del problema elastico Tecniche di discretizzazione FEM Metodi agli elementi finiti Formulazione variazionale compatibile standard Matrice delle Masse locale Contributo locale al termine noto dovuto ai carichi distribuiti definiti sul contorno Matrice di Rigidezza locale Tecnica d assemblaggio Discretizzazione FEM di un solido Interpolazione spline Approssimazione di funzioni Funzioni Spline Spline nel Computer Aided Geometric Design Vantaggi dell interpolazione spline per un metodo variazionale Interpolazione HC

4 4 Formulazione dell elemento HC Interpolazione High-Continuity Approccio isoparametrico Matrici dell elemento Utilizzo del codice ABAQUS R Elementi solidi 3D di ABAQUS R ABAQUS R User-defined elements Introduzione alla sperimentazione numerica Implementazione HC 3 in ABAQUS Test in campo dinamico Formulazione teoretica di una soluzione esatta tridimensionale Risultati Numerici Test 1: Analisi statica di una mensola tozza Test 2: Analisi statica di una trave tozza appoggiata Test 3.a: Calcolo delle frequenze naturali di una lastra apoggiata Test 3.b: Calcolo delle frequenze naturali di una lastra apoggiata 81 8 Conclusioni 87 Bibliografia 88 3

5 Premessa Nella meccanica computazionale con il termine elementi finiti ad alte prestazioni si intendonono modelli discreti in grado di fornire risultati accurati a costi computazionali ridotti. Nel presente lavoro si descrive la formulazione e l implementazione un elemento finito per l analis di solidi 3D, denominato HC 3, che generalizza l elemento finito ad alta continuità HC (high continuity), già presentato in [1] per problemi elastici 2D. La caratteristica principale di una tale tecnica di interpolazione, che può essere considerata come una generalizzazione dell interpolazione di Bézier, consiste nella sua capacità di riprodurre campi di spostamento di classe di regolarità C 1 con un costo computazionale equivalente ad un interpolazione C 0, cioè, praticamente con una singola variabile per ogni elemento. L efficienza computazionale che ne deriva è stata verificata implementando l elemento finito HC 3 all interno del codice agli elementi finiti ABAQUS R, sfruttando le sue caratteristiche di codice aperto. In tal modo è stato possibile effettuare un estesa sperimentazione numerica comfrontando l elemento HC 3 con altri tipi di elementi finiti. 4

6 Capitolo 1 Introduzione Negli ultimi anni una considerevole parte della letteratura sugli elementi finiti è stata diretta sulla formulazione dei così detti high performance (HP) elements, elementi ad alte prestazioni. Questo attributo discende dalla loro capacità di ottenere risultati accurati con costi computazionali bassi. L interesse verso tali tematiche è evidente viso l utilizzo ormai esteso di strumenti automatici per il calcolo ingegneristico e scientifico. 1.1 L elemento finito HC 3 Il lavoro qui presentato riguarda la formulazione di un elemento finito, denominato HC 3, per l analisi lineare elastica di solidi tridimensionali. L elemento è particolarmente adatto per l analisi di problemi a larga scala e discretizzabili con mesh regolari. In tali situazioni l elemento HC 3 proposto è realmente in grado di fornire risultati accurati a costi computazionali contenuti. L idea alla base della formulazione è stata già proposta e sviluppata per problemi 2D da Aristodemo in [1]. Analogamente a quanto già proposto in [1], la presente formulazione si basa su una interpolazione FEM del campo degli spostamenti che ricorre ad una particolare interpolazione di B-Spline capace di riprodurre spostamenti quadratici con praticamente un parametro per ogni elemento, al riguardo si veda anche [13]. Ciò è possibile poichè la rappresentazione del campo quadratico all interno dell elemento utilizza il nodo dell elemento cui l interpolazionioe si riferisce ed anche i nodi degli elementi adiacenti. Realizzando così un notevole risparmio di parametri discreti richiesti. Come verrà mostrato nelle sezioni successive l interpolazione HC 3 diventa molto conveniente nei problemi tridimensionali per i quali è tipica la crescita molto rapida dei gradi di libertà coinvolti. 5

7 1.2 Utilizzo del codice ABAQUS R ABAQUS R è una suite di programmi di simulazione ingegneristica che consente di risolvere problematiche FEM in ambito statico, dinamico, termico e per l analisi del transitorio dinamico. Tale codice d analisi si basa su una vasta libreria di elementi finiti, mono-, bi- e tri-dimensionali, con i quali è possibile descrivere dal punto di vista geometrico e meccanico qualsiasi tipo di solido. Le possibilità di analisi, da articolare sulla base di step di carico assegnati dall utente, sono veramente molto ampie e comprendono l analisi standard tensioni-spostamenti, diversi tipi di analisi dinamica, analisi di buckling e problemi accoppiati. Accanto alle numerosissime possibilità di modellazione ed analisi già offerte dal codice, è anche possibile implementare elementi finiti, modelli costitutivi e modalità di analisi definiti dall utente. In tal modo, avvantaggiandosi di una struttura di pre-processing, calcolo e post-processing ampiamente collaudata e con un bacino di utenza molto ampio, è possibile verificare ed utilizzare nuove soluzioni definite dall utente. A tal fine occorre implementare la propria soluzione seguendo un protollo predefinito di chiamate a funzioni. Il linguaggio utilizzato non è di tipo proprietario ma è possibile utilizzare sia il linguaggio FORTRAN e sia il linguaggio C++. Pertanto l elemento HC 3 è stato implementato all interno del codice ABAQUS R rendendo possibile, all interno di un ambiente software molto evoluto, il confronto numerico con altri elementi finiti utilizzati per l analisi di solidi 3D. 1.3 Contenuti della tesi Il presente lavoro è organizzato come segue. Nel capitolo 2 viene introdotto il modello di Cauchy e la notazione di base del metodo agli elementi finiti approccio compatibile standard nel contesto dell elasticità lineare 3D. Nel capitolo 3 viene presentato il modello di discretizzazione HC come un caso particolare dell interpolazione spline. Nel capitolo 4 viene introdotta l interpolazione ad alta continuità nel funzionale dell energia potenziale allo scopo di definire la matrice di rigidezza e il vettore dei carichi locale, e nell espressione dell energia cinetica allo scopo di definire la matrice delle masse. Nel capitolo 5 sono dati alcuni cenni sullo strumento software utilizzato ABAQUS. Nel capitolo 6 è fornita un introduzione alla sperimentazione numerica condotta. Nel capitolo 7 sono riportati i test numerici effettuati e sono confrontati con risultati numerici prodotti da altri elementi finiti predefiniti del codice ABAQUS. In ultimo alcune note conclusive sono presentate nel capitolo 8. 6

8 1.4 Notazione utilizzata Per distinguerle dalle quantità scalari, le grandezze costituite da più componenti, vettori e matrici, saranno rappresentate in grassetto. Le loro componenti saranno indicate con indici. Ad esempio, m ij (i, j = 1..3) denota le 9 componenti della matrice m di dimensioni [3x3]. Poichè le grandezze che intervengono nella descrizione del modello sono tipicamente riferite allo spazio tridimensionale, gli indici varieranno di regola nel campo Alcune convenzioni di scrittura saranno utilizzate per rendere le formule più compatte. Le derivate parziali saranno rappresentate con una virgola seguita dall indice che denota la variabile rispetto a cui si deriva. Ad esempio, la derivata parziale della funzione f(x j ) rispetto alla variabile x 1 sarà indicata nel modo seguente f,1 = f x 1 Si adotterà inoltre la convenzione di indicare la somma tra componenti ripetendo l indice su cui va eseguita la somma. Nel seguito si riportano alcuni esempi: v j,j = v 1,1 + v 2,2 + v 3,3 a jk v k = a j1 v 1 + a j2 v 2 + a j3 v 3 a ij b ij = a 11 b 11 + a 12 b a 33 b 33 7

9 Capitolo 2 Modellazione FEM di solidi 3D La modellazione FEM delle strutture e, in generale, dei solidi è uno strumento che occupa una posizione centrale nel bagaglio culturale dell ingegnere. Seguendo un approccio ormai consolidato, i modelli FEM vengono generati a partire da un modello meccanico ben definito introducendo, con una tecnica di interpolazione alla Galerkin, delle opportune rappresentazioni discrete delle quantità incognite. Nel caso di solidi standard la modellazione di base viene effettuta utilizzando la Meccanica dei solidi, termine con il quale si intende lo studio dello stato di deformazione e di tensione di un corpo deformabile, in relazione con le azioni ad esso applicate [8]. L esperienza dimostra che relazioni determinate esistono in ogni tipo particolare di materiale costituente il solido e dipendono da sue particolari proprietà. I modelli materiali presi in considerazione sono quello elastico, plastico, viscoso, etc., ma, tipicamente, queste proprietà si suppongono presenti una alla volta o al più accoppiate. Ovviamente ciò è vero per i solidi ideali, in genere nei solidi reali tali proprietà si trovano accomunate. Un altra ipotesi fondamentale è l idea di solido continuo necessaria per istituire certe relazioni fondamentali in forma differenziale. Tale ipotesi equivale a condurre l analisi meccanica a livello macroscopico anzichè al livello strutturale, atomico o subatomico. Infine un altro aspetto che caratterizza l approccio seguito in Meccanica dei solidi è l adozione di una descrizione matematica del problema sulla base di enti matematici, i tensori 1 della tensione e della deformazione, i 1 Un tensore è un applicazione lineare L che associa ad un vettore, un altro vettore: u = Lv, u V 1, v V 2 essendo V 1 e V 2 due qualsiasi spazi vettoriali, anche di differenti dimensioni. 8

10 quali pur avendo un carattere meno intuitivo dei vettori, sono più adatti alla formulazione delle relazioni in gioco. Nel seguito dopo avere introdotto il modello di continuo più utilizzato nella descrizione dei solidi, il modello di Cauchy, si descriverà una delle tecniche di interpolazione FEM ovvero la discretizzazione con interpolazione del campo degli spostamenti. 2.1 Modello di Cauchy Cinematica Un continuo è un insieme di punti materiali (sistema materiale) che si identificano con i punti di una porzione di spazio continuo (un sottoinsieme compatto di R 3 ) occupata dal sistema in un determinato istante. Data una configurazione ad un istante iniziale t 0, nella quale la posizione del generico punto è rappresentata da una terna (x 1, x 2, x 3 ), la posizione dello stesso punto nella configurazione ad un istante generico t successivo a quello iniziale è data da: y k = y k (x 1, x 2, x 3, t), k = 1, 2, 3 Le y k, k = 1, 2, 3 non possono essere funzioni generiche, affinchè la cinematica del sistema preveda che tutti i punti materiali del continuo, con posizione x 1, x 2, x 3 all istante iniziale t 0, vadano ad occupare una nuova porzione di spazio continuo all istante generico t > t 0, secondo una trasformazione (deformazione 2 o spostamento rigido) che sia continua, e tale da garantire l assenza di distacchi e compenetrazioni. A tal proposito le y k, k = 1, 2, 3 saranno funzioni biunivoche, le quali cioè comportano che ad ogni punto della configurazione deformata corrisponde uno e un solo punto della configurazione indeformata e viceversa, e continue. Per garantire la condizione di funzioni biunivoche continue sarà sufficiente scegliere funzioni continue e iniettive 3. 2 La deformazione per un sistema continuo è il cambiamento di posizione relativa tra i suoi punti materiali nel passaggio da uno stato iniziale ad uno stato attuale. 3 A tal proposito si richiama che: Si definisce funzione una relazione che associa ad ogni elemento appartenente ad un insieme A detto dominio, un solo elemento appartenente all insieme d arrivo B: f : A Bt.c. a A!b Bt.c.f(a) = b Si definisce funzione continua una funzione f : A B t.c. a 0 A, lim a a + 0 f(a) = lim a a f(a) 0 9

11 In genere il corpo non è libero nello spazio, ma su una porzione della superficie che delimita il corpo sono assegnati dei vincoli che prescrivono il valore dello spostamento attraverso equazioni delle forma: u = ū, su Ω u (2.1) Se le condizioni suddette, di continuità e iniettività per le funzioni y k, k = 1, 2, 3 e quelle di spostamento assegnato su Ω u, sono rispettate si ottengono trasformazioni compatibili (o congruenti) cinematicamente [7]. In particolare, si parla di condizioni di compatibilità esterna per le (2.1) e di compatibilità interna per le altre. Viene inoltre ipotizzato che le y k, k = 1, 2, 3 siano sufficientemente differenziabili affinchè siano definibili alcune operazioni su di esse. Per caratterizzare la cinematica di un corpo continuo viene usata la misura di Green, un indicatore locale della deformazione. La misura di Green conduce alla definizione del tensore della deformazione e alla formulazone delle equazioni di compatibilità interna. Si consideri l elemento infinitesimo di lunghezza ds 0 uscente dal generico punto P 0 della configurazione indeformata, di coordinate x 1, x 2, x 3. In seguito ad una deformazione tale elemento si trasforma nell elemento infinitesimo di lunghezza ds uscente dal punto P della configurazione deformata, di coordinate y k = y k (x 1, x 2, x 3 ), k = La misura di Green è pari alla differenza tra il quadrato della lunghezza ds e il quadrato della lunghezza ds 0. Nell ambito della descrizione lagrangiana (y k = y k (x 1, x 2, x 3 )), si ha ds 2 = dy k dy k = y k,i dx i y k,j dx j ds 2 0 = dx i dx i = dx i dx j δ ij dove δ ij rappresenta il delta di Kronecker 4. Tali espressioni sono caratteristica di una metrica pitagorica nello spazio euclideo in cui supponiamo immerse le configurazioni indeformata e deformata. La metrica proposta da Green è assunta a misura della deformazione nell intorno di P 0, perchè la Si definisce funzione iniettiva una funzione f : A B t.c. 4 Il delta di Kronecker vale a 1, a 2 A, a 1 a 2 f(a 1 ) f(a 2 ) δ ij = { 1 se i = j 0 altrimenti 10

12 sua conoscenza permette di conoscere le variazioni di lunghezza di ogni elemento della stella di centro P 0, cioè lo stato di deformazione nel punto P 0. Imponendo risulta ε ij = 1 2 (y k,iy k,j δ ij ) (2.2) ds 2 ds 2 0 = 2ε ij dx i dx j (2.3) dove ε ij sono le componenti del tensore delle deformazioni che fornisce in ogni punto del corpo una misura adimensionale della deformazione. Dalla definizione (2.2) risulta che il tensore ε ij è simmetrico. ε 11 ε 12 ε 13 ε 22 ε 23 sym ε 33 Le (2.3) contengono implicitamente le condizioni di compatibilità interna e conducono alla scrittura delle equazioni di compatibilità interna in forma esplicita ε ij = 1 2 (u i,j + u j,i + u k,i u k,j ) che nell ipotesi di piccoli spostamenti diventano Statica ε ij = 1 2 (u i,j + u j,i ) Per caratterizzare gli effetti delle forze sui corpi continui si usa la tensione di Cauchy 5, una misura locale delle sollecitazioni. La tensione di Cauchy conduce alla definizione del tensore delle tensioni e alla formulazione delle equazioni di equilibrio. Sia dato un corpo continuo V soggetto a forze esterne ed in equilibrio, che venga sezionato da un piano Π n, e siano F n e M n la forza e la coppia risultanti agenti sulla generica area A n appartenente a Π n e dovute alle forze necessarie a garantire l equilibrio delle due porzioni in cui V è diviso da Π n. Secondo le ipotesi di Cauchy: F n lim An 0 = S n, A n M n lim An 0 = 0 A n 5 Augustin Louis Cauchy ( ), matematico. Il suo più grande contribuito alla scienza è nato nell ambito della meccanica del continuo, definito per questo anche continuo di Cauchy 11

13 dove S n è il vettore tensione di Cauchy. L insieme S delle tensioni S n agenti su tutti i piani della stella di centro P (punto a cui tende A n ) viene definito tensione nel punto P. A partire dalla relazione del tetraedro di Cauchy S ni = σ ji n j viene definito il tensore delle tensioni σ ij, e le equazioni di equilibrio sul contorno σ ji n j = t i, i = 1..3 (2.4) Sulla base del tensore delle tensioni definito nelle formule precedenti è possibile riformulare le condizionii di equilibrio alla traslazione ed alla rotazionie nel modo seguente: σ ji,j + b i = 0, i = 1..3 (2.5) σ ij = σ ji (2.6) Infine è possibile riformulare il problema dell equilibrio nel modo seguente: σ ij,j + b i = 0, i = 1..3 σ ij n j = t i, i = Formulazione del problema elastico Per completare la descrizione del modello occorrono le equazioni di legame costitutivo che mettono in relazione i tensori ε ij e σ ij. La relazione per un materiale elastico isotropo è data da σ ij = C ijhk ε hk dove C ijhk il tensore elastico, un tensore del IV ordine che, se si considera il caso isotropo, è dato da: C ijhk = λδ ij δ hk + µ(δ ki δ hj + δ hi δ kj ), i, j, h, k = 1..3 (2.7) dove λ e µ sono le costanti di Lamé e δ ij è il simbolo di Kronecker. Si perviene pertanto all formulazione del problema di un solido elastico di Cauchy. In elasticità lineare, per materiali isotropi e sotto l ipotesi di piccoli spostamenti, per un mezzo soggetto a forze di volume b, trazioni superficiali t sul contorno caricato Ω t e a spostamenti impressi (o cedimenti vincolari) ū sul contorno vincolato Ω u, consiste in un sistema di equazioni alle derivate parziali definite sul dominio Ω 6 divσ + b = 0 (2.8) 6 Gli operatori introdotti assumono il seguente significato: ε = sym u (2.9) σ = Eε (2.10) 12

14 con condizioni sul bordo in parte sugli spostamenti e in parte sulle forze di superficie u = ū, su Ω u (2.11) σn = t, su Ω t (2.12) dove n è il versore normale a Ω t, σ, ε sono rispettivamente il tensore delle tensioni e il tensore delle deformazioni, E è il tensore elastico. Benchè ben posto il problema elastico non è in generale facilmente risolubile in forma chiusa. Per molti importanti casi particolari, soluzioni analitiche sono state peraltro ottenute, sfruttando quelle caratteristiche del problema specifico che consentono di semplificarne la formulazione così da renderla matematicamente trattabile. 2.2 Tecniche di discretizzazione FEM La teoria dell elasticità, permettendo una formulazione matematicamente coerente e meccanicamente ben fondata, rappresenta senza dubbio uno dei risultati più significativi della fisica-matematica dell ottocento. Tuttavia ad oggi è noto come, con le pur importanti eccezioni di un certo numero di problemi specifici, le difficoltà connesse con l effettivo calcolo della soluzione sono notevoli se non addirittura insormontabili, sia pur mantenendo le ipotesi di linearità geometrica (piccoli spostamenti) e/o di materiale. Sono state peraltro ricercate approssimazioni ragionevoli per mezzi continui dotati di particolare struttura, che ne consentissero una più agevole soluzione senza compromettere la correttezza della soluzione (teorie strutturali delle travi, m 11 m m 1n m 11,1 + m 12,2 +...m 1n,n m 21 m m 2n div = m 21,1 + m 22,2 +...m 2n,n. m n1 m n2... m nn m n1,1 + m n2,2 +...m nn,n v 1 v 1,1 v 1,2... v 1,n v 2 v 2,1 v 2,2... v 2,n grad = v n v n,1 v n,2... v n,n m 11 m m 1n m 21 m m 2n m = , sym (m) = 1 2 (m + mt ) m n1 m n2... m nn 13

15 delle piastre, dei gusci). In tempi relativamente brevi, la disponibilità di potenti mezzi di calcolo, ha portato inoltre alla definizione di modelli indipendenti dalle particolari tipologie strutturali, quali quelli a elementi finiti, che consentono raffinate analisi numeriche di strutture anche notevolmente complesse Metodi agli elementi finiti I metodi degli elementi finiti sono tecniche atte ad approssimare le equazioni differenziali che governano un sistema continuo con un sistema di equazioni algebriche in un numero discreto di incognite e generate mediante l impiego di un principio variazionale [10]. La fortuna di tali metodi è dovuta soprattutto alla facilità con cui possono essere tradotti in strumenti di calcolo automatico. Il primo passo da effettuare è una discretizzazione del sistema continuo, oggetto dell analisi. Tale discretizzazione consiste nel suddividere il dominio in sottodomini, detti elementi finiti, e individuare dei punti, chiamati nodi sul contorno o nell interno degli elementi. Un numero finito di parametri (valori della funzione incognita delle equazioni differenziali del sistema continuo o delle sue derivate o parametri di controllo ( 3)) vengono poi assunti come variabili incognite del sistema discreto e la funzione incognita e le sue derivate vengono ricavate mediante funzioni di interpolazione definite sui singoli elementi. Nel caso dei problemi strutturali, vengono scelti come incognite del problema discreto, parametri di spostamento o sforzo, e spostamenti, deformazioni e tensioni in un punto generico sono espresse in termini di tali variabili mediante interpolazione. A seconda che si scelgano come variabili, solo misure del campo degli spostamenti o sia misure del campo degli spostamenti che di quello degli sforzi, si parla rispettivamente di elementi finiti compatibili o elementi misti ( 2.2.2) Formulazione variazionale compatibile standard Nella formulazione compatibile vengono imposte a priori le equazioni di compatibilità e legame costitutivo e vengono imposte in forma debole le equazioni di equilibrio. I gradi di libertà del problema sono quindi gli spostamenti e le equazioni da risolvere sono equazioni di equilibrio. Il principio di minimo dell energia potenziale totale è alla base di tale formulazione e la forma debole ad esso associata è l equazione dei lavori virtuali. Si prenda il funzionale energetico EP T pari a: EP T [u] := 1 C ijhk ( u) ij ( u) hk 2 Ω } {{ } energia elastica 14 tu, (2.13) Ω } {{ t } lavoro esterno

16 il quale attinge il suo minimo in corrispondenza della soluzione del problema. Nel funzionale (2.13), u è il campo degli spostamenti definito sul dominio Ω, t il vettore dei carichi di superficie agenti sulla porzione di contorno Ω t, C ijhk il tensore elastico definito nella (2.7). La riformulazione al discreto del funzionale energia potenziale sulla base dell interpolazione del campo degli spostamenti, consente la definizione della matrice di rigidezza e del vettore dei carichi per l intera struttura. Quindi, la condizione di stazionarietà associata fornisce il sistema algebrico risolvente. La procedura viene effettuata assemblando i contributi provenienti da ciascun elemento della discretizzazione. A tal fine conviene ridefinire le quantità coinvolte sulla base di una notazione vettoriale più adatta alla formulazione del problema algebrico da implementare nel codice di calcolo. Per caratterizzare lo stato di tensione in un punto si introduce il vettore σ T = {σ xx σ yy σ zz τ xy τ xz τ yz } (2.14) dove σ xx, σ yy, σ zz sono le componenti di tensione normali e τ xy, τ xz, τ yz sono le componenti di tensione tangenziali. Il vettore degli spostamenti che misura i cambiamenti nella posizione di un punto all interno di un corpo soggetto a carichi esterni, può essere scritto in funzione delle sue componenti cartesiane come u = u(x, y, z)î + v(x, y, z)ĵ + w(x, y, z)ˆk (2.15) Lo stato di deformazione in un punto è anch esso caratterizzato da sei componenti indipendenti mediante il vettore ε T = {ε xx ε yy ε zz γ xy γ xz γ yz } (2.16) dove ε xx, ε yy, ε zz sono le componenti di deformazione normali e γ xy, γ xz, γ yz sono le componenti di deformazione tangenziali. Sulla base delle quantità sopra introdotte, la relazione di compatibilità è formulabile come: ε = Du (2.17) dove D è l operatore differenziale lineare: D = 0 0 x 0 0 y 0 0 z 0 y x 0 z x 0 z 15 y

17 In modo analogo il legame elastico lineare può essere riformulato nel modo seguente: σ = Cε (2.18) dove C = E 1 + ν 1 ν 1 2ν ν 1 2ν ν 1 2ν ν 1 2ν 1 ν 1 2ν ν 1 2ν ν ν ν ν 1 ν ν A questo punto è possibile introdurre l interpolazione del campo degli spostamenti: u = Nw ε = DNw = Bw (2.19) dove N è la matrice delle funzioni di interpolazione del campo degli spostamenti, w il set di parametri discreti di spostamento o coordinate di Lagrange, B l operatore di comatibilità al discreto. Seguendo questa notazione si potrà riscrivere il funzionale energia potenziale riferendosi al dominio discretizzato in elementi finiti, e quindi determinare il sistema algebrico risolvente. EP T = e Ω e u T e D T CDu e Ω e u T e b Ω et u T e t } = e { 1 2 = e { 1 2 Ω e w e T N e T D T CDN e w e Ω e w e T N e T b Ω et w e T N e T t } { 1 2 Ω e w e T B e T CB e w e Ω e w e T N e T b Ω et w e T N e T t } = 1 e w 2 e T B Ω T e CB e e } {{ } K e T w e w e = min Kw = p N T e b Ω } e {{ } p b e T w e N T e t Ω } et {{ } La matrice di rigidezza elastica K e il vettore dei carichi (forze generalizzate nelle coordinate di Lagrange) p possono essere definiti a partire dal principio di minimo dell EPT. Secondo tale definizione la matrice di rigidezza può essere ricavata secondo Φ = 1 2 wt Kw = Ω p t e σ T εdω (2.20)

18 cioé dall uguaglianza energetica fra l energia di deformazione del sistema continuo e quella del sistema discreto equivalente. Analogamente la matrice delle masse si ricava dall uguaglianza fra l energia cinetica del sistema continuo e quella scritta al discreto Ec = 1 2ẇT Mẇ = 1 ρu T udω (2.21) 2 Ω Seguendo un approccio ad elementi finiti compatibili, le matrici di rigidezza e delle masse e il vettore dei carichi della struttura sono ottenute tramite assemblaggio delle matrici e vettori elementari. I contributi elementari si determinano applicando le (2.20), (2.21) al singolo elemento Matrice delle Masse locale La matrice delle masse M e di un elemento, può essere definita mediante l espressione al discreto dell energia cinetica E ce dell elemento stesso E ce = 1 2 w e T M e w e (2.22) dove w e è il vettore dei parametri discreti di velocità. La matrice M e può essere ricavata manipolando e successivamente uguagliando al secondo membro di (2.22), l espressione al continuo di E ce, la quale nel caso di un sistema di dominio Ω e, densità di massa costante ρ e campo di velocità u e, risulta: Sostituendo infatti E ce = 1 2 u e = u e t = { nella (2.23) si ottiene u e1 Ω e ρ u e2 u et u e dω e (2.23) u e3 } T = Ne w e (2.24) 1 E ce = ρu et u e dω e 2 Ω e 1 = 2 ρ u T e u e Ω e t t dω e 1 = 2 w e T ρ N T e N e dω e w e Ω } e {{ } matrice masse M e = ρ N T e N e dω e (2.25) Ω e 17

19 2.2.4 Contributo locale al termine noto dovuto ai carichi distribuiti definiti sul contorno Il contributo p t e al vettore dei termini noti, dei carichi distribuiti costanti t assegnati su una porzione Ω et del contorno dell elemento può essere definito secondo la scrittura al discreto del lavoro di tali carichi: LC Ωet = p t et w e (2.26) dove w e è il vetore dei parametri discreti di spostamento. Il vettore p t e può essere ricavato manipolando e successivamente uguagliando al secondo membro della (2.26), l espressione al continuo di LC Ωet LC Ωet = tu e dω e (2.27) Ω et dove u e sia il campo degli spostamenti. Usando infatti la (2.19) nella (2.27) si ottiene: LC Ωet = tu e dω e Ω et = t N e dω e w e Ω et } {{ } p t e p t e = t Ω et N e dω e (2.28) Matrice di Rigidezza locale La matrice delle rigidezze K e di un sistema, può essere definita mediante l espressione al discreto dell energia di deformazione Φ e del sistema stesso Φ e = 1 2 wt e K e w e (2.29) dove w e è il vettore dei parametri discreti di spostamento. La matrice K e può essere ricavata manipolando e successivamente uguagliando al secondo membro di (2.29), l espressione al continuo di Φ e, la quale nel caso di un sistema di dominio Ω e, campo di tensioni σ e e campo di deformazione ε e, risulta: Φ e = 1 2 Ω e σ T e ε e dω e (2.30) 18

20 Usando infatti le (2.19), (2.18), (2.17) nella (2.30) si ottiene 1 Φ e = σ T εdω e 2 Ω e 1 = ε T CεdΩ e 2 Ω e 1 = we T N T e D T CDN e w e dω e 2 Ω e 1 = 2 wt e B T e CB e dω e w e Ω } e {{ } matrice rigidezze K e = B T e CB e dω e (2.31) Ω e Tecnica d assemblaggio Sia dato un sistema e si consideri una matrice associata ad esso, che esprima le relazioni esistenti fra i suoi gradi di libertà, o un vettore associato ad esso, che esprima una proprietà per ciascun dei suoi gradi di libertà. Sia il sistema partizionato in un insieme di sottosistemi e si voglia poter determinare tale matrice e tale vettore tramite assemblaggio di singoli contributi provenienti da tali sottosistemi. La generica cella (p, q) della matrice assemblata deve esprimere la relazione fra i gradi di libertà p e q. Tale relazione è data perciò dalla sovrapposizione delle relazioni fra p e q contenute nei singoli contribuenti. Analogamente per un vettore, la generica cella p del vettore assemblato esprime la proprietà associata al grado di libertà p ed è dato dalla sovrapposizione delle proprietà legate a p contenute nei singoli contribuenti. Note che siano le relazioni o proprietà locali, i singoli contributi vengono assegnati rispettando una corrispondenza biunivoca fra i gradi di libertà nel riferimento globale e i gradi di libertà nel generico riferimento locale. La tecnica dell assemblaggio viene utilizzata nel metodo ad elementi finiti per la determinazione delle proprietà globali del sistema, in particolare matrici di rigidezza e delle masse e il vettore dei termini noti. I singoli contribuenti sono le matrici e vettori locali. In altre parole, il comportamento globale della struttura, descritto tramite le proprietà globali del sistema, matrice di rigidezza, matrice delle masse e vettore dei carichi generalizzati, viene valutato assemblando il contributo di ogni elemento. K = A e (K e ) M = A e (M e ) p = A e (p e ) 19

21 2.2.7 Discretizzazione FEM di un solido In un modello FEM compatibile tradizionale, che usi cioè interpolazione lagrangiana o hermitiana: vengono individuati gli elementi in cui viene partizionato il dominio globale; vengono individuati alcuni punti del dominio globale, sul contorno o l interno degli elementi, detti nodi, nei quali, ai fini della formulazione teorica dell elemento adottato, vengono imposti a livello locale i valori della funzione incognita o di una sua derivata; i valori nodali della funzione incognita o di una sua derivata imposti per ricavare la formulazione dell elemento adottato, vengono individuati come parametri globali, cioè i gradi di libertà del problema globale, nonchè parametri usati per l interpolazione locale della soluzione. Nel caso del modello HCFEM: vengono individuati gli elementi in cui viene partizionato il dominio globale; vengono individuati alcuni punti del dominio globale, sul contorno degli elementi, detti nodi, nei quali, ai fini della formulazione teorica dell elemento adottato, vengono imposti a livello locale i valori della funzione incognita o di una sua derivata, in funzione di alcuni parametri detti parametri di controllo o parametri HC associati a dei punti del dominio detti punti di controllo o nodi HC; i parametri di controllo vengono individuati come parametri globali, cioè i gradi di libertà del problema globale, nonchè parametri usati per l interpolazione locale della soluzione. Volendo generalizzare, si può dire che per definire un modello FEM compatibile, vengono individuati: gli elementi in cui viene partizionato il dominio i parametri globali e la loro connessione agli elementi e vengono fornite le informazioni relative a tali enti. Conviene definire istanze elemento che saranno caratterizzate da: parametri connessi, 20

22 nodi connessi in cui imporre i vincoli per definire l interpolazione, caratteristiche meccaniche. Conviene definire istanze nodo, nel caso di discretizzazioni lagrangiane o hermitiane, o istanze nodo HC, nel caso di omonime discretizzazioni, che sono caratterizzate da: coordinate, valori del termine noto associati, condizioni di vincolo sui parametri globali associati, parametri globali associati. Il ruolo svolto dai valori nodali nelle interpolazioni lagrangiana ed hermitiana è svolto nell interpolazione HC dai parametri di controllo. Nelle interpolazioni lagrangiana ed hermitiana il set di parametri discreti incognite del problema è costituito da valori nodali della funzione (lagrangiana) ed eventualmente (hermitiana) di una sua derivata. Di conseguenza le matrici del problema saranno scritte con riferimento a tali parametri. Nell interpolazione spline il set di parametri discreti incognite del problema è costituito dai parametri di controllo e ovviamente di nuovo le matrici del problema saranno scritte con riferimento a tali parametri. 21

23 Capitolo 3 Interpolazione spline La necessità di buone tecniche per l approssimazione di funzioni si presenta in molti contesti: data fitting, soluzioni appprossimate di equazioni differenziali e integrali tramite metodi variazionali, formule di integrazione e differenziazione numerica, tecniche numeriche per la risoluzione di equazioni differenziali non lineari del primo ordine [5]. Se si considera, ad esempio, una equazione differenziale ordinaria nell incognita f(x) soggetta a determinate condizioni al bordo, è ben noto che in alcuni casi la soluzione esatta di tale problema non può essere calcolata. Si procede perciò alla ricerca di una buona approssimazione φ(x) della soluzione esatta f(x). Per fare ciò si dovrà stabilire, data la funzione f(x), quali funzioni φ(x) forniscono una buona approssimazione di f(x), che cosa si intende per buona approssimazione e come determinare una buona approssimazione φ(x) di f(x). 3.1 Approssimazione di funzioni Approssimare una data funzione, p. es. reale di una variabile reale, mediante particolari combinazioni di funzioni appartenenti a date classi, è uno dei problemi centrali dell analisi numerica. Le classi funzionali di più frequente impiego sono: polinomi, funzioni di Fourier (sennx, cosnx, n = 0, 1,...). La funzione approssimante, che viene sostituita a quella di partenza, deve essere tale da soddisfare certi requisiti di aderenza a quest ultima ed essere valutabile in maniera sufficientemente facile, con i mezzi di calcolo disponibili. Una delle tecniche di approssimazione più vecchie (risale almeno al XVIII sec. con Eulero e Lagrange e al 1822 con Fourier), è quella di approssimare una data funzione f(x) con la somma finita: φ(x) = c 1 Φ 1 (x) + c 2 Φ 2 (x) c n Φ n (x) (3.1) 22

24 di funzioni note che sono piuttosto semplici da calcolare. Le funzioni Φ k sono le funzioni approssimanti, i coefficienti c k sono costanti che vengono determinati in base a vincoli che vengono imposti su φ(x). Anche la serie di Fourier deriva da questa idea e può essere usata per tentare di dare un espressione di f(x) secondo la somma infinita: f(x) = Σ k=0[c k sinakt + b k cosakt] dove a è una data costante. Troncando tale serie, si ottiene: φ(x) = c 0 + c 1 sinat + b 1 cosat + c 2 sin2at +b 2 cos2at c n sinnat + b n cosnat dove le costanti c i, b i, i = 0..n vengono determinate in base a vincoli su φ(x). Invece di usare come funzione approssimante φ(x) una funzione trigonometrica, si può usare una funzione più semplice, quale ad esempio un polinomio (polynomial) o una polinomiale a tratti (piecewise polynomial). In particolare, scelte Φ k = x k, k = 0..n si ottiene: φ(x) = c n x n + c n 1 x n c 2 x 2 + c 1 x + c 0 che è un polinomio di grado n 1, con coefficienti c k, k = 0..n, che sono delle costanti reali se abbiamo a che fare con un polinomio reale, e che vengono determinati in base ai vincoli posti su φ(x). Supposta f(x) C[a, b], cioè f(x) continua su un dato intervallo [a, b], se si scelgono Φ 1, Φ 2,..., Φ n C[a, b], l approssimazione espressa nella (3.1) φ(x) span(φ 1, Φ 2,..., Φ n ) che è un sottospazio 2 di C[a, b]. Inoltre se Φ 1, Φ 2,..., Φ n sono linearmente indipendenti, allora X n = span(φ 1, Φ 2,..., Φ n ) è un sottospazio di C[a, b] a dimensione n. Scelta come tecnica di approssimazione la (3.1), occorre stabilire un criterio per stimare la qualità dell approssimazione, ad es. si stabilisca che φ(x) è una buona approssimazione di f(x) se f φ è sufficientemente piccolo, dove. sia una norma su C[a, b]. Data in generale una funzione approssimante espressa secondo la (3.1) si avranno n costanti incognite c k, k = 1..n e saranno perciò richiesti almeno n vincoli o condizioni su φ(x). Tali vincoli dovrebbero essere scelti in modo tale che φ(x) sia una buona approssimazione di f(x) e che ci sia una soluzione 1 Un polinomio di grado n in una variabile x p(x) = a n x n + a n 1 x n a 1 x + a 0, con a 0, a 1,..., a n R risulta essere di grado n, p(x) P n a n 0 2 Si vedano in appendice i richiami di algebra lineare. 23

25 unica per le incognite c k, k = 1..n. Sono numerosi i tipi vincoli che si possono imporre su φ(x). Fra questi è possibile citare: Vincoli di interpolazione puri: φ(x i ) = f(x i ) in n distinti punti x i [a, b], i = 1..n; Vincoli di interpolazione e vincoli di regolarità: φ(x i ) = f(x i ) in k distinti punti x i [a, b], i = 1..k φ(x 1 ) = f(x 1 ), φ(x k ) = f(x k ) φ(x) sia due volte differenziabile con continuità Sia data una funzione f(x) C[a, b] da approssimare e sia data una suddivisione a = x 0 < x 1 < x 2 <... < x n = b dell intervallo [a, b], dove x 0, x 1,..., x n sono un numero finito di punti, sono chiamati nodi o punti di collocazione o punti base e possono essere intesi come i punti dove si impongono i vincoli della funzione approssimante. Si voglia trovare un polinomio p(x) che interpoli f(x) nei nodi x 0, x 1,..., x n, cioè t.c. p(x i ) = f(x i ), i = 0..n. L errore f p varierà modificando il grado del polinomio, il numero di nodi e la posizione dei nodi. Fra le interpolazioni polinomiali la tecnica più semplice è quella che usa i polinomi di Lagrange. Il polinomio di Lagrange di grado n associato con la tabulazione è il polinomio (l unico e solo) 3.2 Funzioni Spline Si considerino n + 1 valori y 0, y 1,..., y n in corrispondenza di n + 1 punti base o nodi distinti x 0, x 1,..., x n in un intervallo chiuso [a, b] tali che: a = x 0 < x 1 <... < x n = b. Esiste uno e un solo polinomio di grado n, detto polinomio di interpolazione, che assuma nei punti x i i corrispondenti valori prefissati y i, P n (x i ) = y i, i = 0, 1,..., n cioè sia passante per gli n + 1 punti del piano (x i, y i ), i = 0, 1,..., n. Se n è abbastanza grande, p. es., n 7, questo polinomio presenta in generale un andamento con oscillazioni molto ampie; ciò non è accettabile nel caso in cui si vuole ottenere una curva con oscillazioni poco marcate o, come si dice 24

26 liscia (smooth). In questo caso si può ottenere lo scopo desiderato operando con n polinomi di grado m basso, p. es. m = 3, ciascuno dei quali è definito su uno soltanto degli n sottointervalli individuati dai nodi. Si consideri una partizione di [a, b] individuata dai nodi, cioè una famiglia F di sottointervalli (x i, x i+1 ), i = 0, 1,..., n 1 chiusi aperti o semiaperti ma tali da non avere punti in comune e da esaurire [a, b]. Si dice funzione polinomiale a tratti (polynomial piecewise function) di grado m e nodi x 0, x 1,..., x n associata alla partizione F, una funzione p(x) definita su tutto [a, b], che in ciascun sottointervallo (x i, x i+1 ) coincide con un polinomio p i+1 (x) di grado m. É opportuno notare che una funzione polinomiale non è necessariamente continua nei nodi interni, cioè può in essi mancare il raccordo tra i due tratti contigui di curva e manifestarsi quindi un salto. Nella pratica è interessante prendere in considerazione tra le funzioni polinomiali a tratti quelle che presentano una certa regolarità, cioè sono continue nei nodi interni con le loro derivate fino ad un certo ordine. Assegnati l intervallo [a, b] ed i nodi x 0, x 1,..., x n si chiama funzione Spline, o semplicemente Spline, di grado m e nodi x 0, x 1,..., x n, una funzione s m (x), che: in ciascun sottointervallo (x i, x i+1 ), i = 0, 1,...n 1 coincide con un polinomio s m,i+1 (x) di grado m è continua in [a, b] con le sue derivate s (k) m, k = 1, 2,...m 1 In altre parole: s m (x) (xi,x i+1 ) P m s m (x) C m 1 [a, b]. (3.2) La spline s m (x) sulla suddivisione x 0, x 1,..., x n dipende da (m + 1)n coefficienti, essendo costitutita da n polinomi di grado m, ciascuno dei quali dipendente da m + 1 parametri. I singoli polinomi di gardo m non sono comunque indipendenti perchè sugli n 1 nodi interni devono soddisfare, per la regolarità richiesta, le condizioni lim x xi s (k) m,i(x) = lim x xi s (k) m,i+1(x) (3.3) con k = 0, 1,..., m 1 e i = 1, 2,...n 1. Quindi per determinare univocamente la spline s m (x) è necessario imporre altre m + n condizioni, (m + 1)n } {{ } vincoli richiesti m(n 1) = m + n } {{ } } {{ } vincoli disponibili (3.3) condizioni da aggiungere (dof) la cui natura dipende dal particolare tipo di problema che si vuole risolvere. 25

27 Le spline più utilizzate sono quelle con m = 3, dette spline cubiche, a cui si chiede inoltre di soddisfare le proprietà di interpolazione nei nodi ed opportune condizioni agli estremi dell intervallo. In particolare è detta spline cubica naturale una funzione s 3 (x) univocamente definita secondo: 1. s 3 C 2 [a, b], cioè s 3 (x) è continua con le sue derivate prime e seconde continue in [a,b]; 2. su ciascun sottointervallo (x i, x i+1 ), i = 0, 1,..., n + 1, s 3 (x) è un polinomio s 3,i+1 (x) di terzo grado, cioè s 3,i+1 (x) = A i+1,0 + A i+1,1 x + A i+1,2 x 2 + A i+1,3 x 3 i = 0, 1,..., n 1 3. nei nodi s 3 (x i ) = y i, i = 0, 1,..., n s 3 (x) verifica agli estremi di [a, b] s 3(a) = s 3(b) = 0 Le spline cubiche naturali presentano oscillazioni non troppo numerose nè ampie, mostrando così quelle caratteristiche di approssimazione liscia richieste 3. La dimensione dello spazio S m delle spline s m (x) su [a, b] relative ad n+1 nodi distinti è dim{s m } = m + n. Una spline può essere convenientemente rappresentata come combinazione lineare di dim{s m } funzioni di base tali per cui le proprietà di spline (3.2) siano automaticamente verificate. Vengono generalmente usate come base per le spline, le B-Spline (o bell-spline) 4. La 3 Il vocabolo inglese spline indica un sottile righello flessibile, vincolato a passare mediante opportune guide senza discontinuità o punti angolosi per i punti di un piano (x i, y i ), i = 0, 1,..., n + 1 e usato dai disegnatori per raccordare tali punti. L energia potenziale elastica del righello, compatibilmente con i vincoli assegnati, è minima, ed è minima la sua curvatura. tale comportamento può essere modellizzato matematicamente con una spline cubica naturale; precisamente si può dimostrare la proprietà di minimo: fra tutte le funzioni u(x) C 2 [a, b], che interpolano i punti assegnati, si ottiene il minimo del funzionale b a [u (x)] 2 dt quando u(x) coincide con una spline cubica naturale. 4 Altrove si usa chiamare quelle che qui chiamiamo B-spline, come basis B-Spline, e le combinazioni lineari di tali basis B-Spline, cioè quelle che finora abbiamo chiamato spline, come B-Spline. 26

28 B-Spline Bi m di ordine m relativa ai nodi distinti x i, x i+1,..., x i+m+1 può essere definita secondo la formula ricorsiva: { 1 se x Bi 0 [xi, x (x) = i+1 ], 0 altrimenti, (3.4) Bi m (x) = x x i x i+m x i Bi m 1 (x) + x i+m+1 x x i+m+1 x i+1 Bi+1 m 1 (x), k 1 Dati n + 1 nodi distinti, x i, i = 0..n si possono costruire n m B-spline linearmente indipendenti di grado m, ma restano da saturare ancora 2m gradi di libertà per ottenre una base per S m. Un modo di procedere consiste nell introdurre 2m nodi fittizi x m x m+1... x 1 x 0 a, b x n x n+1... x n+m ai quali vengono associate le B-spline B m i, i=-m..-1 e i=n-m..n-1. Con questo accorgimento ogni spline s m S m potrà essere scritta come: s m (x) = Σ n 1 i= k c ib k i (x) dove c i sono valori reali, detti coefficienti B-spline. 3.3 Spline nel Computer Aided Geometric Design Nel passato si usava distinguere le linee luogo geometrico dalle linee grafiche. Le prime potevano essere controllate con strumenti semplici, come il compasso, e conseguentemente tracciate in cantiere per guidare la costruzione di un muro o di una copertura. Le seconde, invece, nate dal gesto della mano che disegna senza alcun ausilio tecnico, non potevano essere descritte in forma algoritmica ed erano, perciò, difficili da controllare. Per tracciare linee grafiche passanti per punti prefissati,nel disegno architettonico, quale ad esempio la curva dell entasi, cioè la curva che raccorda l imoscapo al sommoscapo nella sezione rastremata del fusto delle colonne di ordine classico, Pietro Cataneo nel 1567, propone di usare un regolo piegabile (si veda Figura 3.1). Un identico problema si presenta nella costruzione degli scafi, degli aerei e delle carrozzerie delle automobili e una identica soluzione è stata utilizzata per controllare queste curve dalla forma libera, fino all avvento dell informatica. Le curve, infatti, venivano tracciate raccordando pochi punti con sottili listelli detti splines, bloccati da pesi (si veda Figura 3.2(d)). Oggi, invece, il termine è usato come acronimo dell espressione smooth polyline e sta ad indicare un algoritmo che permette di descrivere numericamente un curva qualsiasi. Questa soluzione ha numerosi vantaggi: la curva 27

29 Figura 3.1: è controllata analiticamente con grande accuratezza; può essere riprodotta esattamente, ingrandita o rimpiccolita a piacere; permette infine, come vedremo, di descrivere con il medesimo algoritmo curve e superfici da esse generate diversissime, anche le curve e le superfici luogo geometrico, come caso particolare. Una spline è, in generale, una curva, generata analiticamente, che simula il comportamento di una linea grafica ovvero dei listelli flessibili (detti, appunto, spline), usati per disegnare forme avviate, come quelle degli scafi o degli aeroplani. La spline viene governata da una serie di punti isolati, oppure anche dai vertici e dai lati di una linea spezzata: questi punti sono detti poli o punti di controllo (si veda Figura 3.2(a)). Conveniamo di chiamare k l ordine della curva, n il grado del polinomio che la descrive e m il numero dei punti di controllo. Il grado n di una spline è uguale all ordine k diminuito dell unità: n = k-1 Una spline può appartenere ai punti di controllo o semplicemente avvicinarsi ad essi, nel primo caso si dice curva di interpolazione, nel secondo curva di approssimazione. Le spline di interpolazione hanno ordine k = 4 e perciò sono descritte da polinomi di terzo grado (n = 3): si dicono anche curve polinomiali cubiche. Tutti i modellatori dispongono di comandi per costruire le spline cubiche (AutoCAD R, Rhino R, MicroStation R ). Il più noto degli algoritmi di approssimazione è dovuto al matematico francese Pierre Bézier. Una curva di Bézier è una curva di approssimazione che non passa attraverso i punti che 28

30 interpola (con l eccezione del primo e dell ultimo, quando è aperta). L ordine di una curva di Bézier è sempre uguale al numero dei poli. Perciò: una curva di Bézier è una curva di interpolazione che ha un numero di nodi m eguale al suo ordine k (k=m). Quella in Figura 3.2(b), ad esempio, è una curva di Bézier, di ordine 5: il polinomio che la descrive è di quarto grado (n = k-1 = 4). Le proprietà delle curve di Bézier: se è aperta, la curva passa per lo start point e per l end point; se è chiusa passa solo per il primo e l ultimo dei punti di controllo, che coincidono; le tangenti alla curva nei punti suddetti sono il primo e l ultimo segmento della spezzata guida; la curva giace per intero nell involucro convesso della spezzata guida, cioè all interno del poligono convesso che si ottiene avvolgendo la spezzata con un elastico (si veda Figura 3.2(c) tracciato in verde); 29

31 (a) (b) (c) (d) Figura 3.2: (a) Esempio di curva spline; (b) Esempio di curva di Bézier; (c) Proprietà delle curve di Bézier; (d) Strumento spline per il disegno. 30

32 Le B-spline sono curve che discendono dalle curve di Bézier, ma sono formate da più tratti o spans e hanno ordine k minore o uguale al numero p dei poli: per esempio, data una spezzata con 12 vertici, l ordine della curva può variare tra 12 e 2. Se l ordine è 12, la curva è una curva di Bézier, come caso particolare. Se l ordine è 2, la curva degenera e coincide con la spezzata di controllo. Le curve di Bézier sono dunque un caso particolare delle B-spline. In Figura 3.3(a) si vede una spezzata con sei vertici che controlla quattro B-spline di ordine 3 (in grigio chiaro), 4, 5 e 6 (in blu). La B-spline blu è una curva di Bézier. Riassumiamo qui di seguito le proprietà delle B-spline che consentono di modellarle. la B-spline è una curva il cui ordine k può essere uguale o minore del numero mdei poli; la curva passa per lo start point e per l end point; le tangenti alla curva nei punti suddetti sono il primo e l ultimo segmento della spezzata guida; la curva giace per intero nell involucro convesso generato dai k vertici contigui della spezzata guida, dove k è l ordine della curva ad esempio: nella Figura 3.3(b) è stata costruita una B-spline controllata da sei vertici di una spezzata (in rosso); l ordine della spline è 4; se si costruisce un poligono di 4 lati con i primi quattro vertici della spezzata, si vede che la parte della B-spline interessata dai quattro vertici del poligono è tutta al suo interno; analogamente per il poligono successivo (in verde), e così via. la curva si allontana dai poli tanto più, quanto più è grande il suo ordine k (si veda il primo esempio di B-spline dato sopra); quindi, più si desidera smussare la spezzata di controllo, più alto deve essere il grado della curva; se la spezzata guida possiede k nodi consecutivi allineati, la curva in quel tratto è rettilinea; ad esempio: nella Figura 3.3(c)la spezzata possiede otto vertici, quattro dei quali allineati; la B-spline gialla ha ordine 8, la verde ordine 4; la B-spline verde ha un tratto rettilineo compreso tra i quattro punti di controllo allineati; la B-spline consente il controllo locale della forma: se si cambia un nodo, vengono influenzati k tratti soltanto; viceversa, ogni tratto della curva è influenzato da k punti di controllo. se due o più punti di controllo coincidono, la curva si avvicina al nodo, tanto più, quanto maggiore è il numero dei punti coincidenti; per k nodi coincidenti, la curva passa per il punto di controllo; la spezzata, nella Figura 3.3(d), ha tre punti di controllo coincidenti nel vertice in basso; la spline blu, di ordine 3, passa per il vertice, spezzandosi; la spline rossa, di ordine 6, non passa per il vertice, ma gli si avvicina. 31

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