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1 Introduzione Il presente lavoro si pone l obiettivo di tracciare un quadro generale del fenomeno dell alternanza di codice, ovvero l uso alternato di due o più lingue in un medesimo soggetto all interno della stessa conversazione o frase. Il termine racchiude sia la commutazione di codice che la commistione di codice, nonché il prestito e l interferenza. La maggior attenzione viene posta sulla commutazione di codice (code-switching), un termine utilizzato da molti autori come denominazione generale per indicare sia la commutazione che la commistione di codice. Tutti questi fenomeni sono dovuti al contatto fra lingue diverse (e quindi anche fra dialetti) all interno dello stesso soggetto e della stessa situazione comunicativa e sono dunque ritrovabili nell ambito del bilinguismo. Dato che vengono analizzati gli aspetti psico- e neurolinguistici del bilinguismo e in particolare dell alternanza di codice, si considera il bilinguismo individuale, ossia la compresenza di due lingue in una persona, e non il bilinguismo sociale, caratterizzato dalla compresenza di due lingue in una società. Nella prima parte del lavoro vengono presentati il fenomeno del bilinguismo e le varie classificazioni che sono state fatte per definire il soggetto bilingue. In tal modo vengono descritti i gradi di competenza individuati e le diverse tipologie di bilinguismo, prendendo in considerazione l età e gli ambienti in cui è avvenuta l acquisizione e la frequenza con la quale le due lingue vengono usate. A questo punto viene annotato che ogni qualvolta venga utilizzata l espressione due lingue si intendono sempre due o più lingue. La seconda parte del lavoro presenta il fenomeno dell alternanza di codice, i suoi iponimi (v.s.) e i diversi tipi di commutazione (interfrastica, intrafrastica e singola). Il fenomeno della commutazione di codice viene descritto ed analizzato sotto varie prospettive di tipo sociolinguistico e grammaticale con particolare attenzione alle teorie sociolinguistiche sulla base di studi compiuti da alcuni linguisti e sociolinguisti. In seguito vengono individuati i fattori sociali ed individuali per ricorrere all uso della commutazione di codice per poi giungere alle spiegazioni psicolinguistiche del fenomeno. La terza ed ultima parte del lavoro è dedicata agli aspetti neurolinguistici riferiti al bilinguismo e alla commutazione di codice. Alla introduzione ai concetti fondamentali della neurolinguistica seguirà la descrizione dei diversi tipi di memoria coinvolti nell acquisizione/apprendimento delle lingue. Vengono inoltre riportate le varie ipotesi sulla rappresentazione cerebrale delle lingue nel soggetto bilingue, più precisamente sulla lateralizzazione e la localizzazione delle lingue nel cervello. Infine la commutazione di codice verrà analizzata dalla prospettiva neurolinguistica, presentando le varie ipotesi riguardanti 1

2 l eventuale area cerebrale responsabile della commutazione e riportando a questo proposito le più recenti acquisizioni. 1. Il bilinguismo 1.1. Descrizione e definizioni del fenomeno Nell indagine sul fenomeno del bilinguismo è importante tener presente che esso contrariamente alla visione comune costituisce la norma piuttosto che l eccezione. In passato il monolinguismo è stato associato spesso all identità nazionale unica, e solo recentemente si è iniziato a considerare che la diffusione di una lingua non corrisponde ai confini politici o nazionali di un territorio (Kess, 1979: 233). In conseguenza a ciò linguisti come François Grosjean hanno fatto notare che più della metà della popolazione mondiale è bilingue: Bilingualism is present in practically every country in the world, in all classes of society, in all age groups; in fact, it has been estimated that half the world s population is bilingual (1982). Sia da questo punto di vista, che da quello delle predisposizioni della specie umana di acquisire ed utilizzare diverse lingue possiamo dunque sostenere che il bi- o multilinguismo costituisca la norma. Con il sostegno delle recenti scoperte dei ricercatori, soggetti che oltre ad una lingua nazionale conoscono anche un dialetto non possono essere considerati come monolingui. In effetti i dialetti costituiscono dei sistemi linguistici a sé stanti con restrizioni a volte sull asse diamesico e non vengono più considerati come parlate primitive. Come afferma Noam Chomsky (1981), un linguista che non sa nulla dei confini o delle istituzioni politiche non distinguerebbe le lingue dai dialetti come si fa nell uso ordinario. Infatti, dal punto di vista linguistico, anche la lingua standard non è che un dialetto riconosciuto politicamente e socialmente come lingua ufficiale. Bisogna inoltre considerare che si possono trovare fenomeni che si avvicinano notevolmente alle dinamiche del bilinguismo anche in casi di monolinguismo, in quanto ogni lingua presenta alternanze nelle forme linguistiche, come i fenomeni di variazione sociolinguistica. Ciò significa che il modo di esprimersi è scelto in relazione alla situazione, all interlocutore ecc. (Moretti e Antonini, 2000: 37). Dal punto di vista sociolinguistico, per bilinguismo si intende la compresenza in un repertorio di due lingue (Abstandsprachen) diverse (Berruto, 1995). A seconda del rapporto 2

3 tra le due varietà linguistiche si parla di bilinguismo o di diglossia. Come affermano Giorgio Graffi e Sergio Scalise (2002: 237), si ha una situazione di bilinguismo quando tutti i parlanti padroneggiano le due varietà e una situazione di diglossia quando le due varietà sono usate in modo complementare; una varietà ha uno statuto socioculturale più alto e l altra uno statuto più basso. L attenzione viene ora rivolta al bilinguismo individuale, ovvero alla compresenza di due codici linguistici in uno stesso parlante. Secondo il neurolinguista Franco Fabbro, un soggetto è bilingue se conosce, comprende e parla: a) due lingue, oppure b) due dialetti, oppure c) una lingua e un dialetto (1996: ). Sul soggetto bilingue esistono tuttavia numerose definizioni, le quali variano molto tra di loro, soprattutto per quanto riguarda il livello di padronanza. Haugen (1953) ad esempio usa il termine per denotare tutte le situazioni in cui una persona usa due lingue, indipendentemente dal livello di padronanza. MacNamara (1967) propone addiritura la seguente definizione: Bilingue è chi possiede una competenza minima in uno dei seguenti quattro compiti linguistici: comprensione, produzione orale, lettura, scrittura in una lingua che non sia la lingua materna. Altri studiosi come Bloomfield invece considerano il bilinguismo individuale come the native-like control of two languages (1933: 56). Tra le definizioni classiche italiane si può ricordare quella di Renzo Titone: Il bilinguismo consiste nella capacità da parte di un individuo di esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente ai concetti e alle strutture che a tale lingua sono propri, anziché parafrasando la lingua nativa (1972: 13). Sembra allora che il fenomeno bilingue come stato e come processo è di tale complessità che non può essere ridotto a una semplice definizione né compreso da una semplice descrizione (Titone, 1995: 9). Bisogna quindi considerare il bilinguismo un continuum di abilità: ad una estremità vi sono i monolingui e, all altra, i bilingui capaci di parlare in maniera perfettamente scorrevole e simile al proprio linguaggio nativo anche un altra lingua. Inoltre si può constatare che il valore del termine tende ad essere relativo dal punto di vista del valutatore. Spesso il bilingue tende ad autovalutarsi in modo severo a causa di aspettative troppo alte e dunque a non ritenersi bilingue. Per un individuo monolingue appare invece più semplice considerare altre persone bilingui. Queste considerazioni hanno portato alla necessità di classificare e valutare il parlante bilingue secondo vari gradi di competenza e di considerare diverse tipologie di bilinguismo. I parametri che vengono riportati in seguito si riferiscono all età di acquisizione, agli ambienti in cui è avvenuta l acquisizione e alla frequenza con la quale le due lingue vengono usate. 3

4 1.2. Gradi di competenza Il fatto che non tutti i bilingui arrivino allo stesso grado di competenza in entrambe le lingue ha motivato la ricerca a coniare e definire denominazioni differenti per i vari tipi (viene fatto riferimento a Moretti e Antonini, 2000). Vengono classificati quattro livelli di competenza, dall ambilinguismo (o bilinguismo perfetto ) da una parte al semilinguismo dall altra. I due livelli centrali, ovvero il bilinguismo equilibrato e il bilinguismo non equilibrato, colgono la maggior parte dei casi di bilinguismo. Il livello più alto di competenza, l ambilinguismo, caratterizza una persona che è in grado di funzionare ugualmente bene in entrambe le lingue in tutti i contesti e senza tracce di una lingua nell uso dell altra. Questo tipo di bilinguismo è piuttosto raro, e il termine alternativo bilinguismo perfetto indica l irrealtà del termine, in quanto è altrettanto insensato quanto parlare di un monolinguismo perfetto (Moretti e Antonini, 2000: 51). Assai più realistico e frequentemente riscontrabile è il bilinguismo equilibrato (o equilinguismo ). Questa definizione mette l accento sulla conoscenza molto avanzata in entrambe le lingue, simile a quella di un parlante nativo. A differenza del livello precedente però si possono trovare influenze reciproche e capacità di sfruttare il contatto tra le lingue per scopi comunicativi. Di norma questo tipo rappresenta il bilingue prototipico, ovvero colui che ha due lingue materne. Al calare della competenza in una delle due lingue si arriva man mano alla categoria del bilingue non equilibrato (o non fluente), definito come colui la cui competenza in una delle due lingue è notevolmente inferiore a quella di un corrispondente monolingue. A questo proposito è importante tener presente che spesso le due lingue vengono usate in ambienti o contesti diversi. Ne consegue che esse vengono possedute in modo migliore nei rispettivi domini, o che una delle due sia impiegabile in un numero maggiore di situazioni. È fondamentale in questo caso il concetto di dominanza, il quale viene discusso più avanti. L ultimo livello sulla scala qui riportata, il semibilinguismo, descrive il caso problematico in cui un parlante non sa bene né una lingua né l altra (Moretti e Antonini, 2000: 53). Secondo gli autori, questo termine va però rifiutato nelle sue correlazioni con il bilinguismo, in quanto ha a che fare con la problematica generale dell accesso ai compiti linguistici superiori, e propongono che il concetto con il quale si dovrebbe lavorare sia piuttosto quello di semi-alfabetizzati o semi-scolarizzati. Facendo queste classificazioni bisogna annotare che è impossibile definire il grado di perfezione a cui un buon parlante straniero diviene bilingue (Titone, 1972: 14). Inoltre, non 4

5 tutti i parlanti nativi sono egualmente sensibili e non tutti posseggono la medesima ricchezza di vocabolario o la medesima versatilità nella scelta delle strutture. In aggiunta va notato, come sottolinea Mackey (1962), che la valutazione del grado di abilità dei bilingui deve prendere in considerazione la loro padronanza delle quattro capacità di comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta, perché la padronanza di una certa area non significa automaticamente la capacità anche delle altre. Molti parlanti possono essere considerati bilingui per quanto riguarda l espressione e la comprensione orale, ma a causa di mancanza di allenamento possono non avere alcuna capacità nella comprensione o nella espressione scritta (un caso tipico è rappresentato dalla maggior parte dei parlanti delle lingue amerinde nel Nord America). Oppure, vi sono parlanti che dominano perfettamente la sintassi e il vocabolario delle due lingue ma la pronuncia soltanto di una (Titone, 1972: 14). Esistono anche casi in cui una persona può avere una buona competenza in un settore particolare della lingua, come per esempio nel sottocodice dell informatica, ma non essere in grado di leggere fluentemente un romanzo nella stessa lingua (Moretti e Antonini, 2000: 50). Considerando tutte queste restrizioni risulta difficile classificare i parlanti bilingui, perciò molti studiosi hanno cercato di distinguere questi soggetti in base all età di acquisizione delle due lingue, attribuendo importanza a due opzioni: se le due lingue sono state apprese simultaneamente o se la seconda è stata appresa solo successivamente Bilinguismo precoce e bilinguismo tardivo Questa importanza proviene dalla distinzione fondamentale dei concetti di acquisizione e apprendimento, in quanto coincidono spesso ma non sempre con il bilinguismo precoce e il bilinguismo tardivo Acquisizione e apprendimento Come scrive Franco Fabbro, l acquisizione di una lingua viene effettuata con modalità naturali, in un ambiente informale e con il coinvolgimento soprattutto della memoria implicita (1996: 120). O, per citare Krashen (1985) il processo avviene a livello subconscio. L apprendimento di una lingua, invece, si realizza prevalentemente con modalità formali, cioè per regole, spesso in un ambiente istituzionale e quindi a livello conscio e con un incremento delle conoscenze esplicite sulla lingua. Questa distinzione viene considerata importante 5

6 soprattutto nell ambito della neurolinguistica (vedi 3.2.), in quanto sembra che vi sia un coinvolgimento di strutture cerebrali diverse a seconda che si tratti di processi di acquisizione o di apprendimento (Fabbro, 1996: 120). Secondo Krashen, i due processi sono distinguibili quando il parlante si trova di fronte al compito di dare un giustizio di grammaticalità relativo ad una frase che sente. Se questo giudizio si basa su una regola che il parlante è in grado di formulare e quindi di esplicitare, allora abbiamo a che fare con un caso di apprendimento; se invece il parlante si basa sulle sue sensazioni e non è in grado di motivarle [ ] abbiamo a che fare con un caso di acquisizione (1985). A questo proposito è importante notare che esiste anche una modalità intermedia, ovvero l apprendimento naturale (o spontaneo) (Moretti e Antonini, 2000: 38), che si distingue dall apprendimento guidato in quanto oltre all istruzione formale il soggetto acquisisce la lingua nella vita quotidiana. Anche Fabbro intende questa modalità intermedia quando scrive che è possibile acquisire una seconda lingua anche da adulti, sempre attraverso strategie informali (1996: 120). Questo avviene ad esempio quando si impara una lingua nel paese in cui viene parlata, quindi sia attraverso metodi d insegnamento, sia in modo naturale comunicando con i parlanti nativi del posto. Come sostiene Charles Bouton (1987: ), quando la lingua è un mezzo di insegnamento e non semplicemente un oggetto di insegnamento [ ] essa può acquisire uno status di quasi uguaglianza con la prima Età di acquisizione Anche per quanto riguarda queste definizioni, gli studiosi non sono del tutto unanimi da quale età in poi il bilinguismo si deve chiamare tardivo; il confine tra i due tipi di bilinguismo non è quindi fissato in modo rigido. Per alcuni, come per Maria Teresa Guasti, si ha un acquisizione precoce se i soggetti hanno appreso la seconda lingua entro la pubertà, e un acquisizione tardiva di L2 se la seconda lingua è stata appresa in età adulta (2007: 248). Anche lei però distingue a questo proposito il modo in cui la seconda lingua è stata imparata, se acquisita in una situazione naturalistica nel paese in cui viene parlata, oppure se è stata appresa consciamente in un contesto di istruzione formale. De Houwer (1995) invece propone un ulteriore suddivisione, distinguendo tra bilingual first language acquisition, quando il contatto con entrambe le lingue avviene dalla nascita, e bilingual second language acquisition, quando l esposizione alla seconda lingua non si ha prima del primo mese, ma prima di due anni. 6

7 McLaughlin (1978) pone il discrimine tra le categorie di infant bilingualism e child bilingualism attorno ai 3 anni, e quello con il bilinguismo tardo attorno alla pubertà. Secondo alcuni il confine fondamentale si trova dunque nella prima età, attorno ai 3 anni, secondo altri invece nella pubertà. Tutte le suddivisioni ruotano quindi sull esistenza di predisposizioni differenti in momenti differenti dello sviluppo linguistico e fanno emergere il problema dell età critica Il problema dell età critica Secondo l ipotesi del periodo critico (o periodo sensibile), gli esseri umani sono maggiormente disponibili a imparare una o più lingue tra la nascita e la pubertà. Si presuppone che in questo periodo avvenga la lateralizzazione del cervello, cioè la specializzazione prevalente dei due emisferi che assumono primariamente compiti differenti. Nella maggior parte dei casi è l emisfero sinistro che si specializza nella gestione del linguaggio. Dopo la pubertà quindi il cervello perderebbe di plasticità e di abilità di imparare lingue (Penfield e Roberts, 1959). Vari studi hanno dimostrato però che non c è una base biologica che spiega il periodo critico. L esistenza della lateralizzazione come fenomeno di specializzazione delle differenti parti del cervello non presuppone un processo di lateralizzazione nel periodo critico (Moretti e Antonini, 2000: 67). Secondo gli autori si tende invece ad accettare più facilmente che ci siano dei periodi, non necessariamente legati alla lateralizzazione del cervello, in cui il bambino è più disponibile per sviluppare alcuni compiti neuro-muscolari collegati al linguaggio, come per esempio all apprendimento della pronuncia. Ipotizzano che esista comunque un periodo di una maggiore disponibilità entro il quale deve aver avuto luogo l acquisizione almeno della prima lingua (e sarebbe intorno ai 4 anni). Il calo della disponibilità ad apprendere sembra essere molto più lento e pare continuare anche in età adulta, tenendo però presente che le probabilità di un apprendimento soddisfacente sono tanto più grandi quanto prima inizia l apprendimento. Guasti riporta che sul breve periodo hanno maggior successo nell acquisizione di una L2 gli adulti o i bambini più grandi; ma sul lungo periodo, sono i bambini che hanno iniziato presto ad acquisire una L2 che ottengono prestazioni migliori, almeno per quanto riguarda morfologia e sintassi (2007: 269). L autrice distingue i vari periodi sensibili non per età ma a seconda della componente linguistica messa in gioco, affermando quindi che diverse abilità linguistiche sono soggette a periodi sensibili diversi. La studiosa fa riferimento a Perry e 7

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