CAPITOLO I IL VALORE DEL GIOCO NELL INFANZIA

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1 CAPITOLO I IL VALORE DEL GIOCO NELL INFANZIA Le teorie del gioco. La considerazione del rapporto tra gioco e educazione ha attraversato fasi alterne nella storia del pensiero pedagogico, ora per guardare al gioco come occupazione né seria né utile ma necessaria come valvola di svago e ricreazione, ora per indagare le caratteristiche del gioco in quanto dimensione fondamentale dell esperienza umana e infantile in particolare; ora per guardare al gioco con sospetto in quanto pericolosa forma di ozio, di allontanamento e fuga dalla realtà, ora per riconoscere la valenza positiva e formativa di abilità come l immaginazione, la creatività, la finzione attivate dal gioco, ora per ritenere il gioco un attività di rango inferiore in quanto occupazione e forma di pensiero irrazionale, attività ingannevole da limitare e controllare nelle sue forme più libere e istintive oppure da piegare a fini didattici solo nelle sue forme più regolamentate-strutturate, ora per sottolineare le possibilità evolutive connesse all esperienza ludica e la sostanziale abilità tra gioco e lavoro. La letteratura sul gioco infantile riflette infatti questa intensa ambivalenza connaturata del gioco stesso; la rivalutazione del gioco in pedagogia risale al XIX secolo e va collegata all emergere e alla progressiva evoluzione del sentimento dell infanzia. A partire dall epoca moderna si fa avanti, infatti, una considerazione dell infanzia come età separata e protetta (la separazione tra mondo degli adulti e mondo dei bambini che caratterizza la nascita della famiglia borghese) che è collegabile anche al progressivo diffondersi della letteratura per l infanzia nelle scuole e allo sviluppo del mercato del giocattolo. Il gioco nasce come categoria pedagogica associata all infanzia e si assiste a un proliferare di teorie positive sul gioco che ne mettono in luce le valenze e le potenzialità evolutive, le qualità socializzanti, cognitive e affettive, il significato formativo e la sua sfruttabilità educativa e didattica. 1 Si pensi a quella di Frobel che per primo pone il gioco al centro della formazione infantile e intuisce la potenza degli oggetti e dei materiali che, impregnati di indicazioni e suggerimenti, orientano le condotte ludiche, mediano i processi di conoscenza e sostengono, simbolicamente, l intuizione della totalità del reale e 1 G. Staccioli, Il gioco e il giocare, Carocci, Roma,

2 delle sue strutture fondamentali: Il più alto grado di sviluppo del bambino e del genere umano è rappresentato dal gioco, che libera manifestazione del mondo interiore, obbediente alle profonde esigenze di questo mondo. 2 La riflessione pedagogica sul rapporto gioco/educazione, sulle origini e le funzioni del gioco si avvale di ipotesi e categorie mutuate anche da altri ambiti disciplinari: l interrogazione sui significati dell esperienza ludica ha interessato infatti la filosofia, l etologia, l antropologia, la storia, la psicologia dello sviluppo, la psicoanalisi, ma anche scienze esatte come la biologia o la matematica e ha prodotto a partire dal secolo scorso numerose teorie del gioco che ne hanno messo in luce il nesso con lo sviluppo, la cultura, la formazione dell uomo Il gioco nella teoria antropologica. La connessione tra gioco e cultura è stata evidenziata soprattutto dagli studi antropologici che considerano il gioco come un fenomeno rivelatore di meccanismi mediante i quali le società elaborano e trasmettono i propri valori e la propria organizzazione: i modi di giocare e i giocattoli riflettono la cultura di appartenenza (in quanto si basano su simboli e convenzioni sociali). Il gioco è un fenomeno storicamente e culturalmente situato e quindi un potente evidenziatore dei modelli culturali di un dato contesto sociale. La teoria di Caillois, che approda alla classificazione delle diverse forme di gioco, ben esemplifica l approccio antropologico allo studio della dimensione e dei fatti ludici. Il gioco ha una funzione di acculturazione, di preparazione alla vita adulta, di trasmissione di valori e modelli comunicativi: i giochi possono essere considerati simulazioni di problemi di adattamento, dice Sutton Smith, e servono per ridurre quello stesso problema a una dimensione più accettabile. 4 Ma il gioco è anche un dispositivo di trasgressione regolata/controllata/consentita, un indicatore dei controvalori negativi della cultura ufficiale che, nel metterne in scena gli esiti pericolosi e negativi, ne consente l elaborazione e il controllo. Il concetto di gioco come antistruttura (Turner, 1969) e quello di gioco profondo (Gertz, 1972) vengono utilizzati in ambito antropologico per spiegare come i 2 F. Frobel, L educazione dell uomo, Trad. It. Signorelli, Roma, 1973, p P. Braga, Gioco, cultura e formazione, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, p Sutton Smith, Nel paese dei Balocchi. I giocattoli come cultura, Trad. It. L. Meridiana, Bari, 2002, p.91. 6

3 giochi sociali in particolare rivelino i valori e i controvalori di un dato contesto sociale. 5 Secondo Sutton -Smith le pratiche e le ideologie, di cui gli adulti sono portatori prima ancora dei bambini, possono essere sostanzialmente ricondotte a due tipi di cultura ludica: le società semplici, patriarcali, dove le famiglie sono estese e il potere è gestito in modo autoritario e arbitrario e dove non c è differenza tra le generazioni, dove vedono una prevalenza di giochi di tipo gerarchico e di esercizio delle abilità fisiche e dove i giochi dei bambini sono più intrecciati con le attività lavorative degli adulti; i giochi immaginativi-simbolici e di tipo egualitario sarebbero invece più tipici delle società occidentali complesse dove il gioco dei bambini è più separato dal mondo degli adulti. La tendenza degli adulti a prendere parte ai giochi dei bambini o comunque a predisporre contesti deputati e protetti per promuovere e sostenere l esperienze ludiche infantili è molto diffusa nel mondo occidentale, ma nelle culture e nei contesti sociali a orientamento più collettivistico (come alcuni paesi asiatici o società africane) non è tanto il gioco il principale veicolo di apprendimento e acculturazione dei piccoli, quanto la maggiore possibilità di accesso e partecipazione dei bambini alle attività quotidiane e lavorative degli adulti. Più recentemente anche gli studi di Barbara Rogoff, che si collocano al confine tra la psicologia e l antropologia dell educazione, collegano la variabilità delle forme e delle modalità ludiche alle diverse possibilità di accesso dei bambini alle attività della comunità. Il gioco dei bambini si basa su ciò che hanno la possibilità di osservare e differisce notevolmente a seconda che essi vengano inclusi in tutte le attività sociali o che siano invece separati dai contesti riservati agli adulti. 6 Le idee degli adulti sul gioco sono state indagate anche nell ambito di alcune ricerche di antropologia volte a rivelare le rappresentazioni di infanzia e di educazione in una prospettiva interculturale. Le ricerche di Joseph Tobin, per esempio, mostrano come anche una discussione sul gioco e sui giocattoli può essere impregnata dei valori di un dato contesto sociale o comunità culturale. La funzione adottiva del gioco è sottolineata anche dagli studi etologici che, nel considerare le forti basi biologiche del comportamento ludico, descrivono le analogie e la continuità tra il gioco degli animali superiori e quella infantile e ne 5 J.S. Bruner, Il gioco, Vol. IV, Armando, Roma, 1981, p B. Rogoff, La natura culturale dello sviluppo, Trad. It. Cortina, Milano,

4 evidenziano il carattere di preparazione / esercitazione ai compiti necessari alla sopravvivenza dell individuo e del gruppo, attraverso il gioco i cuccioli si esercitano, in situazione protetta, a sviluppare le abilità che saranno loro utili da adulti per procurarsi il cibo, accoppiarsi, socializzare. La teoria di Groos sul gioco come pre-esercizio risente infatti della prospettiva evoluzionistica: l utilità del gioco consiste nella pratica e nell esercizio che esso fornisce in relazione ad alcuni dei più importanti compiti che l animale si trova a fronteggiare nel corso della sua vita sostiene Groos e gli animali non giocano perché sono giovani, ma dispongono di un periodo giovanile perché devono giocare. 7 Ma l interrogativo sulle origini e lo sviluppo del gioco si è articolato soprattutto all interno della psicologia dello sviluppo che ha prodotto anche modelli descrittivi dell evoluzione dei comportamenti ludici nelle diverse età Il gioco nella teoria dello sviluppo di Jean Piaget. La teoria del gioco come pre-esercizio (Groos) viene contrastata da Piaget che, pur riconoscendo al gioco un ruolo di sostegno allo sviluppo del pensiero (in particolare della funzione simbolica) non attribuisce alle condotte ludiche una funzione di apprendimento: il gioco, secondo Piaget, avrebbe solo una funzione di post-esercizio, di esercizio della padronanza e di consolidamento di abilità già acquisite attraverso le condotte adattive/esplorative. Quando il bambino gioca sospende l adattamento intelligente, lo sforzo adattivo e si limita a esercitare e consolidare schemi e condotte già acquisiti; giocando il bambino incorpora qualsiasi oggetto/condotta nuovo in schemi che già possiede, al solo scopo di esercitarli senza però che questa incorporazione provochi una modificazione di tali schemi. 8 Il gioco non produce avanzamenti cognitivi e, nel processo di adattamento, rappresenta il polo assimilatorio: in particolare il gioco simbolico è assimilazione e pensiero egocentrico allo stato puro. Piaget quindi non ritiene il gioco una molla/motore di sviluppo: le condotte ludiche non implicano uno sforzo per apprendere, ma soltanto una felice esibizione di azioni note. 9 7 K. Groos, Il gioco degli animali: gioco e istinto, op. cit. p J. Piaget, La formazione del simbolo nel bambino, Trad. It. La Nuova Italia, Firenze, J. Piaget, Gioco e padronanza, in J. S. Bruner, A. Jolly, K.Sylva, Vol. II, op. cit. p

5 La classificazione di Piaget delle diverse forme di gioco rispecchia l evoluzione stadiale dello sviluppo dell intelligenze e di costruzione del reale: l adattamento del bambino all ambiente avviene attraverso i processi dell assimilazione e dell accomodamento. Secondo il modello piagetiano lo sviluppo dell intelligenza passa da una modalità senso-motoria/pratica a una modalità rappresentativa attraverso diverse fasi, suddivise in stadi, e ogni fase dello sviluppo del pensiero è caratterizzata da una particolare modalità ludica: compaiono in successione diacronica da prima il gioco di esercizio sensoriale e motorio (caratteristico dei primi due anni di vita), poi il gioco simbolico (dai 18 mesi ai sette anni) e infine il gioco di regole (che compare dai quattro ai sette anni, ma continua a svilupparsi anche in seguito). Come in ogni modello stadiale, l emergere di una forma di gioco superiore non annulla quelle precedenti ma diventa la modalità di gioco più caratteristica di quel particolare stadio di evoluzione del pensiero. I primi a comparire sono i giochi di esercizio, che, insieme ai giochi simbolici, sono caratterizzati dal prevalere dell assimilazione; i giochi con regole e i giochi di costruzione comportano invece, secondo Piaget, dei tentativi di accomodamento alla realtà e rappresentano la transizione dall attività strettamente ludica alle condotte adattate Il gioco nella teoria dello sviluppo di Lev S. Vygotskij. La teoria del gioco di Vygotskij è diversa da quella di Piaget così com è diverso il loro modo di concepire lo sviluppo e l apprendimento: un processo che va dall individuale al sociale secondo Piaget e che procede invece dal sociale all individuale secondo Vygotskij. 11 Se per Piaget il valore evolutivo del gioco, e del gioco simbolico in particolare, è relativo, per Vygotskij il gioco è fonte di sviluppo e crea la zona di sviluppo prossimale: nel gioco il bambino è sempre al di sopra della propria età media, del proprio comportamento quotidiano; nel gioco è come se egli crescesse di un palmo. Come il fuoco di una lente di ingrandimento il gioco contiene tutte le 10 P. Braga, Gioco, cultura e formazione, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, P Lev S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Trad. It. La terza, Bari,

6 tendenze dello sviluppo in forma condensata: nel gioco è come se il bambino cercasse di saltare oltre il livello del proprio comportamento normale. 12 I due paradigmi (piagetiano e vygotskiano) differiscono essenzialmente per il ruolo attribuito ai fattori affettivi e sociali nello sviluppo cognitivo. Piaget ha analizzato soprattutto il rapporto tra gioco e sviluppo cognitivo, mentre Vigotskij ne ha evidenziato in essi lo sviluppo sociale ed emotivo e la comprensione dei significati e delle funzioni del gioco simbolico, richiedendo, quindi, un integrazione tra i due modelli evolutivi. Se per Piaget il gioco simbolico nasce da motivazioni cognitive, Vygotskij ritiene invece che l origine del simbolo è emozionale: il gioco nasce da desideri insoddisfatti, e la realizzazione immaginaria e illusoria di un desiderio si sviluppa grazie all immaginazione, la cui potenza si manifesta compiutamente solo intorno ai tre anni. Le situazioni riprodotte nel gioco inizialmente sono più un effetto dei ricordi che non dell immaginazione vera e propria e il gioco con una situazione immaginaria è qualcosa di più evoluto e quindi non praticabile da un bambino prima dei tre anni. Secondo Vygotskij, infatti, prima dei tre anni la forza motivazionale del gioco è data soprattutto dalle cose e quando un bambino è molto piccolo il suo comportamento è tendenzialmente dettato dalle condizioni in cui l attività ha luogo; sono le cose stesse a dirgli quello che deve fare (una porta chiede di essere aperta o chiusa); se il gioco dei bambini piccoli è più convenzionale e condizionato da vincoli posti dalla realtà esterna e l oggetto prevale sul significato, in seguito il gioco prende le mosse dell immaginazione. Quando il bambino è molto piccolo prevale la coercitività del contesto, sono le cose lo stimolo all attività, in seguito nel gioco le cose perdono la loro forza motivazionale, il loro carattere di impulso all attività e il bambino comincia ad agire indipendentemente da ciò che vede e sente e giocando l azione prende le mosse più dalle idee che dal contesto fisico. Secondo Vygotskij il gioco rappresenta la linea predominante dello sviluppo del bambino in età prescolare: nella prima infanzia il gioco del bambino è serio perché egli non distingue la situazione fittizia da quella reale, in seguito nel gioco il bambino crea un situazione fittizia, impara ad agire in una situazione conoscibile, cioè mentale e 12 Lev S. Vygotskij, Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in Bruner, Jolly, Sylva, 1981,op.cit. p

7 non in una situazione visibile, basandosi su impulsi e motivi interiori e non su motivi o impulsi che vengono dalle cose. 13 Ciò segna un cambiamento fondamentale nel rapporto con la realtà e il gioco funge da mediatore nel passaggio dalla totale dipendenza dalla realtà alla capacità di agire su di essa e di trasformarla. Secondo Vygotskij il gioco in tutte le sue forme favorisce lo sviluppo del pensiero astratto, la capacità di separare le parole dalle cose, i significati dagli oggetti, proprio grazie all immaginazione che fa del gioco una fonte di sviluppo. L immaginazione ha a che fare anche con l interiorizzazione delle norme e l autoregolazione del comportamento: il gioco favorisce il controllo degli impulsi immediati perché ha sempre delle regole Il gioco nella prospettiva socio-costruttivista. Le potenzialità evolutive del gioco, e quindi la stretta connessione tra gioco e sviluppo/apprendimento, vengono riconosciute dalle ricerche di matrice sociocostruttivista, che integrano la prospettiva piagetiana con il contributo di Vygotskij, dalla prospettiva cognitivo-affettiva e dagli studi psicoanalitici che, se pur da presupposti diversi, vedono il gioco come qualsiasi altro fenomeno che riguarda lo sviluppo, come un impresa congiunta tra il bambino e i suoi partner, un fenomeno che nasce e si sviluppa all interno di una relazione: esiste un altro bambino, antecedente a quello piagetiano scopritore e costruttore della realtà, e il gioco ha fin dall inizio una spiccata qualità sociale. 15 A giocare si impara (Garvey, 1977) e la dimensione del come se viene appresa dal bambino fin dai primi contatti con i genitori o con chi lo accudisce: è la madre che quotidianamente, anche nei momenti delle cure del corpo, nell enfatizzare alcuni gesti, smorfie, buffe verbalizzazioni, introduce il bambino alla dimensione della non-letteralità, gli mostra la possibilità di un trattamento non letterale (non realistico) delle esperienze. Secondo la Garvey la maggior parte degli aspetti del gioco emergeranno spontaneamente se il bambino molto piccolo fa esperienza di alcuni modelli basilari di trattamento non letterale delle risorse; il lattante incontra 13 Lev S. Vygotskij, Immaginazione e creatività nell età infantile, Trad. It. Editori Riuniti, Roma, p Ibidem, p A. Bondioli, S. Mantovani, Manuale critico dell asilo nido, Franco Angeli, Milano, 1986, p

8 modelli non letterali che vengono chiaramente segnalati come tali ( per esempio il solletico) e che sono in contrasto con trattamenti letterali. 16 Anche le competenze richieste dal gioco organizzato con regole prendono le mosse dalle prime esperienze sociali in cui il bambino è coinvolto: la prima squadra è di solito composta da un lattante e un adulto. Lo stesso concetto della matrice sociale della competenza ludica è veicolato dalla metafora del gioco come rappresentazione teatrale a cui ricorre Sutton Smith quando parla dei diversi ruoli agiti nel gioco: il bambino è essenzialmente spettatore e coattore delle sequenze ludiche e solo in seguito impara a svolgere il ruolo di attore e poi di regista della scena ludica, ruoli che inizialmente si assume l adulto; è il genitore che inizialmente finge che il cagnolino di peluche abbai o che mangi la pappa e il bambino ricoprirà attivamente il ruolo di attore e di regista del gioco invitando l adulto a giocare o a fare da spettatore. Il gioco non è mai semplicemente un azione solitaria, ma è sempre una rappresentazione di fronte ad altri, reali o immaginari che siano Giochi e giocattoli in rapporto all età evolutiva. Il gioco nella sua estesissima differenziazione di forme e di modi, può essere ricondotto ai tre tipi fondamentali dell impersonificazione o del gioco di ruolo (di cui il role-playing costituisce la versione addestrativa, terapeutica o formativa per adulti), del gioco con oggetti e del gioco fisico. Le osservazioni dirette dei bambini mentre giocano hanno mostrato che tra il secondo e il terzo anno di vita i bambini intraprendono per lo più il gioco solitario, in cui non prestano attenzione ai coetanei, o il gioco parallelo, in cui giocano l uno a fianco all altro senza interagire. La tipologia di gioco con i coetanei ben difficilmente compare prima dei due anni, che rappresenta il principale veicolo dello sviluppo dei rapporti con i coetanei. In quanto nel periodo in cui il bambino comincia a fare i primi passi si osserva un cambiamento nelle sue modalità di gioco: a risposte di tipo fondamentalmente senso motorio, come correre in giro o battere con un martello, subentrano modalità di gioco maggiormente simboliche e solitarie, come ad esempio fare finta di guidare una macchina o cambiare il pannolino ad una bambola. Durante questo periodo i bambini mostrano verso i giocattoli e gli oggetti un interesse 16 C. Garvey, Il gioco: l attività ludica come apprendimento, Armando, Roma, 1979, p B. Sutton Smith, Il gioco come rappresentazione, La Nuova Italia, Firenze, 1989, p

9 maggiore rispetto agli altri bambini che hanno accanto; tuttavia accade che tra di loro si stabiliscano contatti reciproci sia pure in contesti di incontri di breve durata, i bambini sorridono, si tirano i capelli, si imitano l un l altro. Nel periodo tra i tre e i cinque anni le interazioni tra i bambini si fanno più frequenti, più intense, più complesse e acquisiscono un carattere maggiormente sociale. Dopo i tre anni compaiono con maggiore frequenza o il gioco associativo, in cui i bambini giocano insieme ma non in modo coordinato, o quello collaborativo (o cooperativo), in cui i bambini interagiscono aiutandosi vicendevolmente a raggiungere un obiettivo comune assumendo ruoli diversi. Il gioco di finzione può essere un attività solitaria o di gruppo. Il gioco di drammatizzazione in gruppo compare verso i tre anni, anche se non è ben coordinato. La frequenza del gioco di finzione o di drammatizzazione in gruppo aumenta costantemente tra i tre e i sei-sette anni; col tempo questa forma di gioco si fa gradualmente più complessa. Visto che il gioco di finzione si basa sulla fantasia dei giocatori messa in comune e comprende l integrazione di azioni complementari e caratterizzate da reciprocità, nonché i rapporti tra i ruoli diversi (ad esempio medico-paziente, madre-bambino). Tali tipologie di gioco risultano emergere e avvicendarsi secondo sequenze determinate nell infanzia, per poi incrociarsi nelle varie attività di vita, gli ingredienti risultano essere, come rileva Genovesi, la finzione, l imitazione, la regola e la recitazione. Tale è il quadro operativo del gioco, al cui interno si accampano gli usi familiari, didattici, privati e di banda. Dopo i tre anni i coetanei assumono un importanza crescente nella vita sociale del bambino. Le interazioni tra i bambini diventano più numerose e sono connotate da un carattere più positivo; molti bambini iniziano a giocare, a collaborare e a saper fare a turno. In genere questo è il gioco che, portando i bambini a stare insieme, fornisce un contesto per la formazione e il consolidamento dei rapporti sociali, amicizie comprese. Per quanto riguarda il gioco con i giocattoli, il giocattolo in fondo resta un oggetto di cui conta solo il significato attribuito da chi lo usa, il grado di attribuzione immaginativa o di mobilitazione funzionale che induce. Da questo punto di vista il giocattolo rappresenta a pieno titolo uno strumento e anche un espediente di strategie educative, finalizzate alla sollecitazione di comportamenti creativi e di 13

10 condotte complesse. Tuttavia il giocattolo va gestito come occasione all interno di un ambiente di gioco, nel quale sta anzitutto colui che gioca, chi sospende le regole di realtà per inventarne altre: in questo senso il gioco e il giocattolo non possono essere luoghi di condizionamenti, ma piuttosto spazi di condivisione e di incontro relazionale, di partecipazione culturale, in conflitto con velleità di tipo troppo istruzionale. Si deve lasciare al bambino questo suo territorio, come spazio autogestito all interno di una dimensione, quella scolare, che mira, per definizione, a gestire e controllare. D altro canto, proprio nel gioco sociale, troviamo un prezioso strumento per consentire un divertente apprendimento della norma e anche della didattica, capace di produrre livelli di miglior adattamento al sociale, in termini di motivazione all apprendimento, di maggiore autonomia, creatività e attività La funzione del gioco e definizione. Qualsiasi discorso intorno al gioco pone fin da subito un problema di definizione. Non è cosa semplice definire il gioco in quanto il concetto è per sua natura ambiguo e sfuggente, sia che ci si riferisca alla dimensione ludica nel mondo adulto o a quella infantile: è quasi paradossale l ambiguità concettuale della definizione di gioco, la difficoltà cioè di descrivere un attività che, invece, a livello di pratica quotidiana, tutti sappiamo individuare e riconoscere. 19 La difficoltà di trovare una definizione univoca e onnicomprensiva di gioco è da ricondursi in primo luogo al fatto che si tratta di un fenomeno molto poliedrico che copre un ampia gamma di manifestazioni e condotte anche molto diverse tra loro, dai più semplici giochi motori alle forme più complesse di gioco simbolico di lotta a quelli di abilità di calcolo, basti pensare alle numerose classificazioni di giochi e giocattoli rintracciabili anche oltre i confini della letteratura psicopedagogica. Tutti gli autori che hanno ricercato una definizione di gioco concordano nel ritenere che si tratti di una condotta spontanea, un azione volontaria, liberamente scelta dal soggetto e che si fa per il puro piacere di farla, ovvero un attività automotivata che si colloca al di fuori dalle urgenze e dai confini della vita ordinaria. La combinazione di questi fattori non esaurisce la descrizione delle 18 Massa, Istituzioni di pedagogia e scienze dell educazione, ed. Laterza, Roma, S. Mantovani, Adulti e bambini: educare e comunicare, Juvenilia, Bergamo, 1983, p

11 qualità dell esperienza ludica, ma è sicuramente il tratto distintivo più evidente del gioco, della disposizione ludica. Ma il gioco esprime anche un dualismo di fondo: è distanziamento e allontanamento dalla realtà, è una sospensione delle attività della vita ordinaria, è finzione e parodia della realtà, ma è anche imitazione della realtà, un modo per misurarsi con essa e comprenderla. E divertimento, euforia, gioia e risata, ma è anche impegno, concentrazione e serietà; è superfluo ma anche necessario; è adattivo e trasgressivo, biologico e culturale; è libertà e improduttività ma è anche vincolo, calcolo, regola e strategia. 20 La regola è elemento caratterizzante di ogni tipo di gioco, anche quelli più destrutturati, di puro sfogo motorio, trastullo e improvvisazione: la regola del gioco è nel contempo ferrea e arbitraria, è una regola autoimposta, che il giocatore ha deliberatamente scelto e che, anzi, produce il piacere della sfida di cui il gioco è intriso. La funzione fondamentale del gioco nei processi di sviluppo del bambino è evidenziata da tutti i più recenti studi in materia; in particolare il rapporto esistente tra gioco e apprendimento è stato ampiamente sottolineato dalla pedagogia contemporanea. Il bambino impara a conoscere autonomamente il mondo nel momento in cui inizia a giocare e giocando riesce ad elaborare e superare le proprie ansie, ad accettare le regole del vivere civile e ad aprirsi agli altri. Ma perché il bambino possa crescere psicologicamente in modo sano è necessario che l adulto possieda qualità di ascolto, presenza affettiva e mentale, libertà e guida; l educazione familiare e scolastica può infatti modificare la dotazione naturale di sensibilità, intelligenza e creatività del bambino, di conseguenza, il destino del futuro adulto. In particolare il ruolo di accudimento e guida del bambino, che l adulto svolge per professione, necessita di una solida formazione professionale, ma, ancor più, di una formazione personale, in quanto non vi è alcun orientamento ovvero insegnamento psicologico, pedagogico che possa mettere al riparo dalle proprie immaturità psicologiche, rigidità, nevrosi, storie personali che possono, anche in modo eccessivo, influenzare l operato perfino degli insegnanti più volenterosi e di considerevole esperienza. 20 P. Braga, Gioco, cultura e formazione, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, p

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