Complementi sulla forma canonica di Jordan

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1 Complementi sulla forma canonica di Jordan In questa nota, facendo riferimento per definiioni e notaioni al Capitolo di Introduione ai sistemi dinamici del Prof. Guido Gentile (d ora in poi citato come [G]), vogliamo enunciare alcuni risultati ed esporre alcuni esempi sulla forma canonica di Jordan di una matrice A n n. Penseremo A come la matrice associata ad un operatore lineare T su R n nella base canonica {e,...,e n }: A ij (Te j ) i. Supponiamo che lo spettro di T (i.e. l insieme delle n radici del polinomio caratteristico p n (λ) associato a T) contenga l autovalore λ n volte, l autovalore λ 2 n 2 volte,..., l autovalore λ m n m volte. Naturalmente n + n n m n. E noto (vedi [G]) che R n puo essere scritto come somma diretta dei sottospai E(T, λ i ) ker(t λ i ) ni, i,...,m, e che, se T i T E(T, λ i ) e la restriione di T al sottospaio E(T, λ i ), T puo essere scritto come la somma diretta dei T i : T T T 2 T m. In altre parole se scegliamo una base F {f,..., f n } tale che: i primi n vettori {f,...,f n } siano una base di E(T, λ ), i successivi n 2 vettori {f n+,...,f n+n 2 } siano una base di E(T, λ 2 ), e cosi via, la matrice B che rappresenta T nella base F e diagonale a blocchi. Restringiamoci allora ad uno dei sottospai E(T, λ i ) e cerchiamo in questo sottospaio qual e la base in cui T i e rappresentata da una matrice in forma canonica di Jordan. Ricordiamo la definiione di blocco elementare di Jordan e di matrice in forma canonica di Jordan (in una forma lievemente diversa da quella riportata in [G]). Definiione (Blocco elementare di Jordan). Sia λ C; la matrice r r J λ λ λ λ (0.0) prende il nome di blocco elementare di Jordan di ordine r. Se r, J λ. Definiione (Matrice in forma canonica di Jordan). Una matrice si chiama matrice in forma canonica di Jordan ( o in forma normale di Jordan) se è costituita da blocchi elementari di Jordan. Per costruire la base di E(T, λ i ) in cui T i e rappresentata da una matrice in forma canonica di Jordan si puo procedere nel modo seguente. Si risolva l equaione (T λ i )v 0. In generale si troveranno soluioni indipendenti g (),...,g(), che chiameremo gli autovettori propri dell operatore T. Consideriamo per primo g () e risolviamo l equaione (T λ i )v g (). Se troviamo una soluione g(2), procediamo ancora cercando un vettore v tale che (T λ i )v g (2), e cosi via, fino a che non

2 troviamo una catena massimale di vettori C {g (), g(2),..., g(m(i) ) } mandati uno nell altro dall operatore T λ i : (T λ i )g () 0 (T λ i )g (2) g ()..... (T λ i )g (m(i) ) g (m(i) ), (0.) Chiamiamo la catena massimale se non e possibile continuarla, ovvero se l equaione (T λ i )v g (m(i) ) non ammette soluione. Procedendo allo stesso modo per gli autovettori propri g () 2,..., g(), costruiamo altre catene massimali di vettori C 2 {g () 2, g(2) 2,..., g(m(i) 2 ) 2 },..., C ki {g (), g (2),..., g (m (i) ) }, tutte con le stesse proprieta di C. Siamo allora pronti ad enunciare (sena dimostraione) il risultato principale esposto in questa nota. Teorema Sia T i la restriione a E(T, λ i ) dell operatore T su R n. E sempre possibile costruire catene di vettori C,...,C ki, come descritto sopra. L unione delle catene costituisce una base C (i) ki j C j di E(T, λ i ) (in particolare la somma delle dimensioni delle catene e uguale alla dimensione n i di E(T, λ i ): m (i) + m(i) m (i) n i ). Nella base C (i) l operatore T i e rappresentato da una matrice in forma canonica di Jordan, con blocchi di dimensioni m (i),...,m(i), ciascuno dei quali ha l autovalore λ i sulla diagonale. Mostriamo adesso esplicitamente in due esempi la validita del Teorema. Esempio Supponiamoche l operatore T su R 3 nella base canonica sia rappresentato dalla matrice A Il polinomio caratteristico dell operatore 0 lineare A è p(λ) (2 λ) ( λ 2 4 ) + ( 2λ 4) + 2 (2 + λ) (2 λ) ( λ 2 4 ) (2λ + 4) + (2λ + 4) (2 λ) ( λ 2 4 ) (2 λ)(λ 2)(λ + 2), così che lo spettro di A è costituito dagli autovalori (0.2) λ 2, λ 2 2, λ 3 2 : (0.3) abbiamo quindi due autovalori distinti λ 2 e λ 3 2 di molteplicità rispettivamente n 2 e n 3. 2

3 Possiamo scrivere E R 3 come somma diretta E E E 2, E ker(a 2) 2, E 2 ker(a + 2). (0.4) Cerchiamo una base {v, v 2, v 3 } in E costituita da elementi di due basi: {v, v 2 } in E, con le proprieta descritte sopra (i.e. v e v 2 o sono due autovettori propri o formano una catena) e {v 3 } in E 2 : in tale base l operatore T sara rappresentato da una matrice B in forma canonica di Jordan. Iniiamo a costruire la base {v, v 2 }. Cerchiamo le soluioni (x, y, ) non banali dell equaione Si ha che fornisce le relaioni (A 2) (A 2) (0.5) 0, (0.6) y + 2 0, x + y 2 0 (0.7) che, per esempio, ammettono la soluione v (0, 2, ). Vediamo che T ammette un solo autovettore proprio, e quindi cerchiamo v 2 come soluione dell equaione: (A 2) , (0.8) che fornisce le relaioni y + 2 0, x + y 2 (0.9) che, per esempio, ammettono la soluione v (, 0, 0). Una base {v 3 } di E 2 è data dall autovettore associato all autovalore λ 3 2, i.e. dal vettore di componenti (x, y, ) tali che (A + 2) da cui si ottengono le equaioni , (0.0) { 4x y + 2 0, x + y + 2 0, (0.) 3

4 così che la somma delle prime due dà mentre la loro differena dà quindi una soluione non banale è (fissando 5) 5x + 4 0, (0.2) 3x 2y 0, (0.3) v 3 (4, 6, 5). (0.4) Il Teorema ci dice che, nella base {v, v 2, v 3 }, T e rappresentato dalla matrice B nella forma canonica di Jordan: B (0.5) Verifichiamolo esplicitamente. Si ha v v 2 P e e 2, P , (0.6) v 3 e se {e, e 2, e 3 } è la base standard in cui l operatore lineare T è rappresentato dalla matrice A. Siano y le coordinate nella base definita dagli autovettori {v, v 2, v 3 }. Si ha allora Quindi così che detq 6. Si ha quindi y Qx, Q P T. (0.7) Q Q (0.8) (0.9) 0 2 Si ha quindi B QAQ , (0.20)

5 come volevasi dimostrare. Esempio 2 Supponiamo( che l operatore ) T su R 2 nella base canonica sia rappresentato dalla matrice A 0 ω 2. Il polinomio caratteristico dell operatore 2ω lineare A è p(λ) λ( 2ω λ) + ω 2 λ 2 + 2λω + ω 2 (λ + ω) 2 (0.2) così che lo spettro di A è costituito dai due autovalori coincidenti λ, λ 2 ω. Cerchiamo la base {v, v 2 } di R 2 in cui l operatore T e rappresentato da una matrice B in forma canonica di Jordan. Cerchiamo le soluioni (x, y) non banali dell equaione Si ha (A + ω) (A + ω) x 0. (0.22) y x ω x y ω 2 0, (0.23) ω y che fornisce la relaione ωx + y 0 che, per esempio, ammette la soluione v (, ω). Vediamo che T ammette un solo autovettore proprio, e quindi cerchiamo v 2 come soluione dell equaione: (A + ω) x ω x y ω 2, (0.24) ω y ω che fornisce la relaione ωx+y che, per esempio, ammette la soluione v 2 (0, ). Il Teorema ci dice che, nella base {v, v 2 }, T e rappresentato dalla matrice B nella forma canonica di Jordan: ω B. (0.25) 0 ω Verifichiamolo esplicitamente. Si ha v P v 2 ( e e 2 ), P ω, (0.26) 0 se {e, e 2 } è la base standard in cui l operatore lineare T è rappresentato dalla matrice A. Siano y le coordinate nella base definita dagli autovettori {v, v 2 }. Si ha allora y Qx, Q P T. (0.27) 5

6 Quindi così che detq. Si ha quindi Q Q 0. (0.28) ω 0. (0.29) ω Si ha quindi B QAQ ω ω 2 2ω ω 0 0 ω 2 ω ω ω, 0 ω (0.30) come volevasi dimostrare. 6

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