La Struttura Matematica della Meccanica Quantistica e teoria spettrale in spazi di Hilbert.

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1 La Struttura Matematica della Meccanica Quantistica e teoria spettrale in spazi di Hilbert. Dispense per il Corso di Dottorato di Ricerca in Matematica Anno accademico Valter Moretti 1 Dipartimento di Matematica Facoltà di Scienze M.F.N Università di Trento 1 moretti@science.unitn.it 1

2 Indice 1 Introduzione La MQ come teoria matematica La MQ nel panorama della Fisica attuale Convenzioni generali e prerequisiti fisico matematici I Elementi di teoria degli operatori limitati su spazi di Hilbert 9 2 Alcune nozioni e teoremi generali nella teoria degli spazi normati e di Banach Spazi normati, di Banach e algebre Operatori, spazi di operatori, norme di operatori I tre teoremi fondamentali negli spazi di Banach e le topologie deboli Proiettori *Norme equivalenti Spazi di Hilbert ed operatori limitati Nozioni elementari, teorema di Riesz e riflessività Basi hilbertiane Aggiunto di un operatore limitato, operatori autoaggiunti, normali, unitari, positivi e proiettori ortogonali, C -algebre di operatori limitati Proiettori ortogonali Radici quadrate di operatori positivi e decomposizione polare di operatori limitati *La trasformata di Fourier-Plancherel Proprietà elementari degli operatori compatti, di Hilbert-Schmidt e di classe traccia nello spazio di Hilbert Generalità sugli operatori compatti in spazi normati, di Banach e Hilbert Operatori compatti in spazi di Hilbert Operatori di Hilbert-Schmidt Operatori di classe traccia (o nucleari)

3 II Il formalismo della Meccanica Quantistica e la Teoria Spettrale Brevi cenni di fenomenologia dei sistemi quantistici e di Meccanica Ondulatoria Generalità sui sistemi quantistici Alcune proprietà particellari delle onde elettromagnetiche Effetto Fotoelettrico Effetto Compton Cenni di Meccanica ondulatoria Onde di de Broglie Funzione d onda di Schrödinger e interpretazione probabilistica di Born Principio di indeterminazione di Heisenberg Le grandezze compatibili ed incompatibili La costruzione del formalismo matematico della MQ: il teorema di Gleason Le idee che stanno alla base dell interpretazione standard della fenomenologia quantistica Stati classici come misure di probabilità sulla σ-algebra delle proposizioni elementari Stati e misure di Borel Proposizioni e insiemi Interpretazione insiemistica dei connettivi logici Proposizioni infinite e grandezze fisiche Il reticolo distributivo, limitato, ortocomplementato e σ-completo delle proposizioni elementari Le proposizioni relative a sistemi quantistici come insiemi di proiettori ortogonali Reticoli di proiettori ortogonali su spazi di Hilbert Appendice A: Relazioni d ordine e Insiemi Parzialmente Ordinati Appendice B: Dimostrazione di alcuni teoremi Appendice C: Integrale di funzioni a valori spazi di Banach. 133 Ringraziamenti. Vorrei ringraziare il dr. Riccardo Aramini ed il dr. Gianmarco Bramanti per avere letto con cura queste dispense segnalandomi diversi errori di vario genere che ora sono stati corretti. 3

4 Capitolo 1 Introduzione In queste dispense ci occuperemo di esporre i fondamenti matematici della Meccanica Quantistica (MQ) in modo matematicamente rigoroso. Escludendo alcune prime parti della dispensa, la fenomenologia fisica sarà lasciata sullo sfondo per concentrarci sugli aspetti logico-formali della teoria. In ogni caso daremo delle esemplificazioni fisiche del formalismo per non perdere il contatto con la realtà. Le dispense sono divise in due parti. Nella prima parte ci occuperemo di enunciare la teoria generale degli operatori limitati in spazi di Hilbert (dando anche alcune nozioni valide per contesti più generali: spazi di Banach). Nella seconda parte svilupperemo la teoria spettrale per operatori normali limitati ed autoaggiunti non limitati in spazi di Hilbert contestualmente al formalismo matematico della Meccanica Quantistica. 1.1 La MQ come teoria matematica. Dal punto di vista matematico la Meccanica Quantistica rappresenta una rara sintesi di eleganza matematica e profondità decrittiva del contesto fisico. La teoria usa essenzialmente tecniche di analisi funzionale lineare, ma con diverse intersezioni con la teoria della misura, la teoria della probabilità e la logica matematica. Esistono (almeno) due possibili formulazioni matematiche della Meccanica Quantistica. La più elementare e più antica in ordine storico, dovuta essenzialmente a von Neumann (1932), è formulata usando il linguaggio della teoria degli spazi di Hilbert e della teoria spettrale degli operatori non limitati su tali spazi. La formulazione più recente ed avanzata, sviluppata dalla scuola del matematico Gel fand nel tentativo di risolvere alcuni problemi fisico-matematici della teoria quantistica dei campi, è presentata nel linguaggio delle algebre astratte ( -algebre e C -algebre) costruite sul modello delle algebre di operatori definite e studiate dallo stesso von Neumann (oggi note come W algebre o algebre di von Neumann), ma emancipandosi dalla struttura di spazio di Hilbert (vedi per es. il testo classico sulle algebre di operatori [7]). Tale formulazione ha il suo centro nel famoso teorema GNS [9, 7]. La seconda formulazione, in un senso molto specifico che non possiamo chiarire qui, può considerarsi un estensione della prima formulazione anche per i 4

5 nuovi contenuti fisici introdotti. In particolare essa permette di dare un senso matematicamente preciso alla richiesta di località delle teorie di campo quantistiche relativistiche [9] e permette l estensione delle teorie quantistiche di campo in spaziotempo curvo. In queste dispense ci occuperemo unicamente della prima formulazione che ha comunque una complessità matematica notevole accompagnata da una notevole eleganza formale. Uno strumento matematico fondamentale per sviluppare la MQ è il cosiddetto teorema spettrale per operatori autoaggiunti (generalmente non limitati) definiti in varietà lineari dense in uno spazio di Hilbert. Tale teorema, che può essere esteso al caso di operatori normali, fu dimostrato per la prima volta proprio da von Neumann nel suo libro fondamentale sulla struttura matematica della MQ [10] che può considerari una pietra miliare della fisica matematica oltre che della matematica pura del XX secolo 1. Il legame tra MQ e teoria spettrale è dovuto al seguente fatto. Si vede in modo naturale nell interpretazione standard della MQ che le grandezze fisiche misurabili su sistemi quantistici possono essere associate ad operatori autoaggiunti non limitati in un opportuno spazio di Hilbert. Lo spettro di ciascuno di questi operatori coincide con l insieme dei valori assumibili dalla grandezza associata. La procedura di costruzione delle grandezze fisiche a partire dalle proprietà o proposizioni elementari del tipo il valore della grandezza cade nell intervallo (a, b], che nello schema matematico adottato corrispondono a proiettori ortogonali, non è altro che una procedura di integrazione su una appropriata misura spettrale a valori di proiezione. Tale procedura ricorda molto da vicino il metodo per definire l integrale di Lebesgue di una funzione misurabile. Il teorema spettrale in sostanza altro non è cheun metodo che permette di costruire operatori più complessi partendo da proiettori o, viceversa, di decomporre operatori in termini di misure a valori di proiezione. La formulazione che daremo della teoria spettrale è sicuramente differente da quella originale di von Neumann che però conteneva tutti gli elementi fondamentali. Ancora oggi il testo di von Neumann (che è stato scritto nel lontano 1932) rivela una profondità impressionante specie nei problemi più difficili dell interpretazione fisica del formalismo della MQ di cui, leggendo il libro, si evince che von Neumann era chiaramente conscio a differenza di molti dei suoi colleghi. Sarebbe interessante fare un paragone tra il testo di von Neumann e il più famoso (a nostro parere immeritatamente) testo di Dirac [11] sui fondamenti della MQ, cosa che lasciamo al lettore interessato. In ogni caso la profondità dell impostazione data da von Neumann alla MQ comincia anche ad essere riconosciuta da chi si occupa di Fisica sperimentale ed in particolare di misure quantistiche [8]. Le cosiddette Logiche Quantistiche nascono dal tentativo di formulare la MQ dal punto di vista più radicale possibile attibuendo alla stessa logica usata nel trattare i sistemi quantistici alcune proprietà differenti da quelle che si usano nella formulazione usuale del calcolo proposizionale e nella teoria dell interpretazione. Per esempio, sono usati più di due valori di verità e il reticolo booleano delle proposizioni è rimpiazzato da una struttura non distributiva più complessa. Nella prima formulazione della logica quantistica, oggi denominata Logica Quantistica Standard, proposta da Von Neumann e Birkhoff nel 1936, la struttura dell algebra booleana delle propo- 1 La definizione del concetto di pazio di Hilbert infinitodimensionale e gran parte della teoria generale degli spazi di Hilbert così come la conosciamo oggi sono anch essi dovuti a von Neumann e alla sua formulazione della MQ. 5

6 sizioni era rimpiazzata con quella di un reticolo ortocomplementato, ortomodulare e completo che di fatto ha come modello l insieme dei proiettori ortogonali su uno spazio di Hilbert ovvero, l insieme dei sottospazi chiusi su cui proiettano i proiettori [5], unitamente ad alcune regole di composizione. È noto che, a dispetto della sua eleganza, tale modellizzazione contiene alcuni difetti quando si cercs di tradurla in termini operativi (o più precisamente operazionali) fisici. Noi non ci spingeremo pertanto così avanti, non svilupperemo alcuna logica quantistica [5], non assumeremo la struttura completa di reticolo ortocomplementato, ortomodulare e completo anche se assumeremo come assioma fondamentale quello che afferma che le proprietà elementari dei sistemi fisici quantistici sono descritte da un reticolo di proiettori ortogonali su uno spazio di Hilbert complesso. 1.2 La MQ nel panorama della Fisica attuale. La Meccanica Quantistica genericamente parlando la teoria della fisica del mondo atomico e sub atomico insieme alla Teoria della Relatività Speciale e Generale (RSG) genericamente parlando la teoria fisica della gravità, del mondo macroscopico e della cosmologia costituiscono i due paradigmi attraverso i quali si è sviluppata la fisica del XX secolo e quella dell inizio del secolo attuale. I due paradigmi si sono fusi in vari contesti dando luogo a teorie quantistiche relativistiche, in particolare alla Teoria Quantistica Relativistica dei Campi [3, 4], che ha avuto uno sviluppo impressionante con straordinari successi esplicativi e predittivi nel contesto della teoria delle particelle elementari e delle forze fondamentali. A titolo d esempio tale teoria ha previsto, all interno del cosiddetto modello standard delle particelle elementari, l unifcazione della forza debole ed elettromagnetica che è poi stata confermata sperimentalmente alla fine degli anni 80 con un esperimento spettacolare al C.E.R.N. di Ginevra in cui si sono osservate le particelle Z 0 e W ± previste dalla teoria dell unificazione elettrodebole. La previsione del valore di una grandezza fisica che è stata poi confermata con una delle maggiori precisioni di tutta la storia della Fisica si è avuta nell elettrodinamica quantistica. Si tratta del valore del cosiddetto rapporto giromagnetico dell elettrone g. Tale grandezza fisica è un numero puro. Il valore previsto dall elettrodinamica quantistica per a := g/2 1 è: ± , quello ottenuto sperimentalmente è risultato essere ± Molti fisici ritiengono che la MQ sia la teoria fondamentale dell Universo (più profonda delle teorie relativistiche) anche per il fatto che risulta essere valida per scale lineari di lunghezza che variano in uno spettro di ampiezza impressionante: da 1m (condensati di Bose-Einstein) almeno fino a m (interno dei nucleoni: quarks). La MQ ha avuto un enorme successo sia teorico che sperimentale anche nella scienza che studia la struttura della materia solida, nell ottica, nell elettronica, con diverse importantissime ricadute tecnologiche: ogni oggetto tecnolgico di uso 6

7 comune che sia moderatamente sofisiticato (giocattoli per i bambini, telefonini, telecomandi...) da contenere qualche elemento semiconduttore sfrutta proprietà quantistiche della materia. Tornando ai due paradigmi scientifici del XX secolo MQ e RSG rimangono diversi punti oscuri in cui i due paradigmi sembrano venire in conflitto, in particolare il problema della cosiddetta quantizzazione della gravità e della struttura dello spaziotempo alle scale di Planck cm, s le scale di lunghezza e di tempo che si ottengono combinando le costanti fondamentali delle due teorie: la velocità della luce, la costante di gravitazione universale e la costante di Planck. La necessità di una struttura discontinua dello spaziotempo a scale ultramicroscopiche è suggerita anche da alcune difficoltà matematiche (ma anche concettuali) non completamente risolte dalla cosiddetta teoria della Rinormalizzazione quantistica, dovute all apparire di infiniti che si incontrano nei calcoli dei processi dovuti alle interazioni fondamentali tra le particelle elementari. Tutti questi problemi hanno dato luogo a recenti ed importanti sviluppi teorici, che hanno avuto influenze nello sviluppo della stessa matematica pura, come la teoria delle (super) stringhe (e brane) e le varie versioni di Geometria non commutativa, prima fra tutte quella di A. Connes. La difficoltà nel decidere quale di queste teorie abbia un senso fisico e descriva l universo alle scale piccolissime è anche di natura tecnologica: la tecnologia attuale non è in grado di preparare esperimenti che permettano il discernimento tra le varie teorie proposte. Altri punti di contrasto tra MQ e RSG, su cui la discussione è oggi un po più pacata rispetto al passato, riguardano il rapporto della MQ con concetti di località di natura relativistica (paradosso Einstein-Podolsky-Rosen[5]) in relazione ai fenomeni di entanglement della MQ. Anche ed in particolare in seguito a celebri esperimenti di Aspect che hanno dato torto alle aspettative di Einstein e ragione all interpretazione di Copenhagen, sembra ormai condivisa dalla maggior parte dei fisici l idea che la MQ coinvolga processi fisici non locali, ma che ciò non implichi alcuna reale violazioni dei fondamenti della Relatività (l entanglement quantistico non coinvolge trasmissione superluminare di informazioni e violazione della causalità [5]). Nell interpretazione standard della MQ detta di Copenhagen, rimangono punti fisicamente e matematicamente poco chiari, ma di estremo interesse concettuale. In particolare non è per nulla chiaro come la meccanica classica si possa ottenere come sottocaso o caso limite della MQ e come si possa fissare un limite (anche provvisorio o impreciso) tra i due mondi. Ulteriormente rimane aperto il problema della descrizione fisica e matematica del cosiddetto processo di misura quantistica di cui parleremo più avanti e che è strettamente connesso a quello del limite classico della MQ. Anche prendendo spunto da questo problema sono nate altre interpretazioni del formalismo della MQ, profondamente differenti dall interpretazione di Copenhagen. Tra queste nuove interpretazioni, una volta considerate eretiche, di grande interesse è in particolare quella a variabili nascoste di Bohm [5, 6]. 1.3 Convenzioni generali e prerequisiti fisico matematici. Nel seguito, se non sarà precisato altrimenti il campo degli scalari di uno spazio di Hilbert sarà sempre quello complesso C. Il complesso coniugato di un numero c sarà indicato con c. 7

8 Il prodotto scalare hermitiano tra due vettori ψ, φ di uno spazio di Hilbert sarà indicato con (ψ φ) eccetto nel caso in cui si userà la notazione bra-ket di Dirac di cui diremo nel paragrafo relativo. Si supporrà sempre che l entrata di sinistra del prodotto scalare sia quella antilineare: (cψ, φ) = c(ψ, φ). La locuzione sottospazio sarà riservata ai sottospazi rispetto alla semplice struttura di spazio vettoriale anche nel caso in cui esista un ulteriore struttura (spazio di Hilbert, Banach o altro) nello spazio ambiente. L operazione di coniugazione hermitiana sarà sempre indicata con e operatore hermitiano, operatore simmetrico ed operatore autoaggiunto non saranno considerati sinonimi; si vedano le definizioni corrispondenti nel seguito. Prerequisiti matematici necessari per comprendere il contenuto di queste dispense sono essenzialmente, oltre ai contenuti di un normale corso completo di algebra lineare uno di analisi per funzioni di una e di più variabili, qualche nozione di topologia elementare degli spazi metrici, i fondamenti della teoria della misura su sigma algebre (in particolare il teorema di Riesz) [1], qualche nozione di teoria elementare delle funzioni di una variabile complessa. Dal punto di vista fisico è necessaria la conoscenza di alcuni argomenti dei corsi universitari elementari di argomento Fisico. Più precisamente le nozioni di Meccanica elementare con alcuni elementi di Meccanica Analitica (formulazione di Hamilton della dinamica) unitamente ad alcune nozioni di Elettromagnetismo (proprietà elementari delle Onde Elettromagnetiche e fenomeni ondulatori principali quali interferenza, diffrazione, diffusione). Le nozioni meno elementari sia di Matematica che di Fisica ed altre nozioni utili solo in alcuni punti verranno comunque riassunte brevemente nel testo. Gli esempi presentati nei vari capitoli devono considerarsi come parte integrante del testo e non possono essere omessi quasi mai. Alcuni risultati ottenuti negli esercizi verranno successivamente usati nel testo come proposizioni note. Gli esercizi in questione sono corredati di soluzione. I paragrafi il cui titolo è preceduto da un asterisco possono essere omessi in una prima lettura della parte I, ma possono essere richiesti per la comprensione della parte II. 8

9 Parte I Elementi di teoria degli operatori limitati su spazi di Hilbert 9

10 Capitolo 2 Alcune nozioni e teoremi generali nella teoria degli spazi normati e di Banach. In questo capitolo presenteremo alcune nozioni ed alcuni risultati fondamentali della teoria generale degli spazi normati e degli spazi di Banach. Introdurremo anche alcune strutture algebriche modellizzate su algebre naturali di operatori sugli spazi di Banach. Le algebre di Banch di operatori svolgono un ruolo di grande importanza nelle formulazioni moderne della Meccanica Quantistica. Questo capitolo serve essenzialmente ad introdurre il linguaggio e gli strumenti elementari della teoria degli spazi di operatori lineari. Le nozioni più importanti di questa sezione sono sicuramente la nozione di operatore limitato e le varie nozioni di topologia (indotta da norme o da seminorme) negli spazi di operatori. L importanza di questi strumenti matematici deriva dal fatto che il linguaggio degli operatori lineari su spazi lineari è il linguaggio con cui è formulato la Meccanica Quantistica. In questo contesto la classe degli operatori limitati riveste un ruolo tecnico centrale anche se, per motivi di carattere fisico, in Meccanica Quantistica ci si trova costretti ad introdurre e lavorare anche con operatori non limitati. Vedremo tutto ciò nella seconda parte. 2.1 Spazi normati, di Banach e algebre. Diamo di seguito le principali definizioni sugli spazi normati e sulle algebre. Definizione 2.1. Sia X uno spazio vettoriale sul campo K = C o R. Un applicazione N : X R si dice norma su X e (X, N) si dice spazio normato, quando N soddisfa le seguenti proprietà: N0. N(u) 0 per u X, N1. N(λu) = λ N(u) per λ K e u X, N2. N(u + v) N(u) + N(v), per u, v X, 10

11 N3. N(u) = 0 u = 0, per u X. Se N0, N1 e N2 sono soddisfatte ma non lo è necessariamente N3, N si dice seminorma. Nota. È chiaro che da N1 discende che N(0) = 0. Notazione 2.1. Nel seguito e p( ), aggiungendo eventuali indici quando necessari, indicheranno sempre rispettivamente norme e seminorme. È chiaro che ogni spazio normato ammette una topologia metrica naturale indotta dalla metrica d(u, v) := u v per u, v X. (d : X X [0, + ) è una metrica in quanto per costruzione è simmetrica, positiva, nulla solo se u = v e vale la disuguaglianza triangolare x y x z + z y per x, y, z X.) Nel seguito ci riferemo quasi sempre a tale topologia usando concetti topologici in uno spazio normato. Definizione 2.2. Se (X, X ) e (Y, Y ) sono spazi normati sullo stesso campo C o R, un applicazione lineare L : X Y è detta isometria se soddisfa L(x) Y = x X per ogni x X. Se l isometria L : X Y è anche suriettiva, è detta isomorfismo di spazi normati. Se esiste un isomorfismo di spazi normati (L) dallo spazio normato X allo spazio normato Y, tali spazi si dicono isomorfi (secondo L). Note. (1) Frequentemente si trova in letteratura una definizione alternativa e non equivalente di isomorfismo di spazi normati. Tale definizione richiede che l isomorfismo sia un applicazione lineare bicontinua (omeomorfismo). È chiaro che un isomorfismo nel senso della definizione 2.2 lo è anche rispetto a questa seconda definizione, tuttavia non vale il viceversa. (2) È chiaro che ogni isometria L : X Y è iniettiva per N3, ma può non essere suriettiva (se vale X = Y la non suriettività può esserci solo se la dimensione dello spazio X non è finita). Ogni isometria è ovviamente continua rispetto alle due topologie metriche dei due spazi e, se è suriettiva (cioè se è un isomorfismo), la sua inversa è ancora un isometria e quindi un isomorfismo. Definizione 2.3. Uno spazio normato si dice spazio di Banach quando è completo nella sua topologia metrica (cioè ogni successione di Cauchy di elementi dello spazio converge a qualche elemento dello spazio.) È chiaro che la proprietà di completezza è invariante per isomorfismi di spazi normati ma non lo è sotto omeomorfismi. Un controesempio è dato dalla coppia di spazi R e (0, 1) entrambi dotati della norma valore assoluto. I due spazi sono omeomorfi ma il primo è completo, mentre il secondo non lo è. È immediato provare che ogni sottospazio chiuso di uno spazio di Banach è a sua volta uno spazio di Banach rispetto alla restrizione della norma. È un fatto noto che ogni spazio normato può essere completato producendo uno spazio di Banach in cui lo spazio di partenza è rappresentato 11

12 da un sottospazio denso. Vale a tal proposito il: Teorema del completamento per spazi di Banach. Sia X uno spazio vettoriale sul campo K = C o R dotato di una norma N. (a) Esiste uno spazio di Banach (Y, M) su K, detto completamento di X tale che X si identifica isometricamente con un sottospazio denso di Y tramite un applicazione lineare iniettiva J : X Y. In altre parole, esiste un applicazione lineare iniettiva J : X Y con J(X) = Y e M(J(x)) = N(x) per ogni x X. (b) Se la terna (J 1, Y 1, M 1 ) con J 1 : X Y 1 lineare isometrica e (Y 1, M 1 ) spazio di Banach su K è tale che X si identifica isometricamente con un sottospazio denso di Y 1 tramite J 1 allora esiste ed è unico un isomorfismo di spazi normati φ : Y Y 1 tale che J 1 = φ J. Schema della dimostrazione. Diamo solo l idea generale della dimostrazione. (a) Conviene considerare lo spazio C delle successioni di Cauchy di elementi di X e definire la relazione di equivalenza in C: x n x n esiste lim n x n x n = 0. È chiaro che X C/ identificando ogni x di X con la classe di equivalenza della successione costante x n = x. L applicazione che definisce tale identificazione la indicheremo con J. Si prova facilmente che C/ è uno spazio vettoriale su K normato rispetto alla struttura indotta naturalmente da quella di X. Si prova infine che C/ è completo, che J è lineare, isometrica (e quindi iniettiva) e che J(X) è denso in Y := C/. (b) J 1 J 1 : J(X) Y 1 è una trasformazione lineare isometrica continua definita su un insieme denso J(X) Y a valori in uno spazio di Banach Y 1, e pertanto si estende unicamente ad una trasformazione φ lineare continua ed isometrica su Y (vedi esercizi (3) e (4) in esercizi 2.1). Essendo φ isometrica, è anche iniettiva. La stessa cosa si può dire per l estensione φ di J J1 1 : J 1 (X) Y e per costruzione (J J1 1 ) (J 1 J 1 ) = id J(X). Estendendo per continuità su J(X) = Y troviamo che φ φ = id Y e con un analogo ragionamento troviamo anche che φ φ = id Y1. Concludiamo che φ e φ sono anche surgettive ed in particolare φ è un isomorfismo di spazi normati e che per costruzione vale J 1 = φ J. L unicità di un isomorfismo φ : Y Y che soddisfa J 1 = φ J si ha facilmente notando che ogni altro siffatto isomorfismo di spazi normati ψ : Y Y 1, per linearità deve soddisfare J J = (φ ψ) J e quindi (φ ψ) J(X) = 0. L unicità dell estensione dell applicazione (φ ψ) J(X), continua con dominio J(X) denso, a J(X) = Y prova che φ = ψ. Come vedremo esiste uno stretto legame tra algebre e spazi normati, tale legame passa per la nozione di operatore lineare su uno spazio normato. Le definizioni principali riguardante la nozione di algebra sono riassunte di seguito. 12

13 Definizione 2.4. Un algebra A sul campo K = C o R è uno spazio vettoriale su K dotato di un ulteriore applicazione detta prodotto dell algebra: : A A A tale che: A1. a (b + c) = a b + a b per a, b, c A, A2. (b + c) a = b a + c a per a, b, c A, A3. α(a b) = (αa) b = a (αb) per α K e a, b A. L algebra A è detta: commutativa o abeliana se A4. a b = b a per ogni coppia a, b A; algebra con unità se contiene un elemento I, detto unità dell algebra, tale che: A5. I u = u I = u per ogni a A; algebra normata ovvero algebra normata con unità se è uno spazio vettoriale normato con norma che soddisfi la relazione A6. a b a b per a, b A; e, nel caso di algebra normata con unità, valga anche: A7. I = 1; algebra di Banach ovvero algebra di Banach con unità se A è spazio di Banach e rispettivamente algebra normata, o algebra normata con unità rispetto alla stessa norma. Un omorfismo di algebre (con unità, normate, di Banach), φ : A A è un omomorfismo rispetto alla struttura di spazio vettoriale (funzione lineare) che preserva il prodotto delle algebre e l unità se presente. φ è detto isomorfismo di algebre (con unità, normate, di Banach) se è anche biettivo. Se esiste un isomorfismo φ : A A, le algebre A e A (con unità, normate, di Banach) sono dette isomorfe. Note. (1) Si dimostra immediatamente che l unità, se esiste è unica. (2) La nozione di norma non viene coinvolta nella definizione di omomorfismo e isomorfismo di algebre con unità, normate, di Banach. Notazione 2.2. Nel seguito, se ciò non darà luogo a fraintendimenti, indicheremo il prodotto di due elementi di un algebra semplicemente con ab invece che con a b. Esempi 2.1. (1) I campi C e R sono banalmente algebre commutative di Banach. In entrambi i casi la norma è l operazione di estrazione del valore assoluto o modulo. (2) Se X è un insieme qualsiasi e K = C o R, indichiamo con L(X) l insieme di tutte le funzioni f : X K limitate (cioè sup x X f(x) < ). L(X) ha una struttura naturale di spazio vettoriale su K rispetto alla solita operazione di composizione lineare di funzioni. Possiamo aggiungere un prodotto che rende L(X) un algebra: se f, g L(X), fg è definita come, punto per punto, (f g)(x) := f(x) g(x). Si osservi che l algebra è commutativa e con unità (data dalla funzione che vale sempre 1). Una norma che rende L(X) algebra di Banach commutativa è quella del- 13

14 l estremo superiore: f := sup x X f(x) [1]. (3) Se sull insieme X di sopra definiamo una σ-algebra, Σ, la sottoalgebra delle funzioni Σ- misurabili, M(X, Σ) L(X), è un insieme chiuso in L(X) rispetto alla topologia della norma dell estremo superiore. Quindi M(X, Σ) è a sua volta un algebra di Banach commutativa [1]. (4) Se X è uno spazio topologico, lo spazio vettoriale delle funzioni continue a valori nel campo C si indica con C(X). C b (X) C(X) denota il sottospazio delle funzioni continue limitate, C c (X) C b (X) denota infine il sottospazio delle funzioni continue a supporto compatto. Nel caso X sia compatto i tre spazi coincidono evidentemente. I tre spazi sono sicuramente algebre commutative rispetto alle operazioni dette nell esempio (2). C(X) e C b (X) sono algebre con unità data dalla funzione costante di valore 1, mentre non lo è C c (X) quando X non è compatto. Rispetto alla norma dell estremo superiore definita nell esempio (2) C b (X) è algebra di Banach. È un risultato importante delle teorie delle algebre di Banach [2] che ogni algebra di Banach con unità e commutativa sul campo C è isomorfa ad un algebra C(K) con K compatto. Se X è uno spazio topologico di Hausdorff (cioè per ogni coppia di punti x, y X con x y esistono due aperti A, B tali che A x, B y e A B = ) che sia anche localmente compatto (cioè per ogni punto p X c è un aperto A ed un compatto K tali che p A K), completando lo spazio normato C c (X) si ottiene un algebra di Banach (senza unità) commutativa, tale algebra di Banach si chiama l algebra delle funzioni continue che tendono a zero all infinito in X [1]. Si tratta delle funzioni continue f : X C, tali che, per ogni ɛ > 0 esiste un compatto K ɛ X (dipendente da f in generale) con f(x) < ɛ se x X \ K ɛ. (5) Se X è spazio di Hausdorff compatto, consideriamo in C(X) una sottoalgebra A che soddisfi i seguenti requisiti: contenga l unità (data dalla funzione che vale ovunque 1) e sia chiusa rispetto alla coniugazione complessa se f A allora f A, dove f (x) := f(x) per ogni x X in cui la barra indica la coniugazione complessa. Diremo che A separa i punti di X, se per ogni coppia x, y X con x y esiste f A con f(x) f(y). Il teorema di Stone-Weierstrass [2], prova che: ogni sottoalgebra A C(X), con X di Hausdorff compatto, che contenga l unità, sia chiusa rispetto alla coniugazione complessa e separi i punti, è tale che la sua chiusura rispetto alla norma dell estremo superiore coincide con C(X) stessa. Un esempio tipico è quello in cui X è un compatto di R n e A è l algebra dei polinomi complessi ad n variabili (le coordinate di R n ) ristretti ad A. Dal teorema di Stone-Weierstrass si ricava che con i polinomi possiamo approssimare uniformemente ogni funzione complessa continua definita su X. Tale risultato è utile nella teoria degli spazi di Hilbert per costruire basi hilbertiane. (6) Se (X, Σ, µ) è uno spazio con misura positiva e 1 p < valgono le disuguaglianze di 14

15 Hölder e di Minkowki, rispettivamente: f(x)g(x) dµ(x) ( X X f(x) + g(x) p dµ(x)) 1/p ( ( X X ) 1/p ( f(x) p dµ(x) X 1/p ( f(x) dµ(x)) p + g(x) q dµ(x)) 1/q, (2.1) X g(x) p dµ(x)) 1/p, (2.2) dove f, g : X C sono funzioni misurabili e 1/p + 1/q = 1 [1]. Se indichiamo con L p (X, µ) l insieme contenente tutte le funzioni f : X C che sono µ-misurabili e tali che X f(x) p dµ(x) <, si prova facilmente che, in base alle disuguaglianze di sopra, L p (X, µ) è uno spazio vettoriale rispetto alle solite composizioni lineari di funzioni e che P p definita sotto è effettivamente una seminorma: ( 1/p P p (f) := f(x) dµ(x)) p (2.3) X Per ottenere una vera norma, cioè per avere che sia soddisfatta N3, bisogna fare in modo da identificare con la funzione nulla ogni funzione che differisce da essa per un insieme di misura nulla. Tali funzioni pur non essendo nulle annullano l integrale di sopra violando N3 a P p. A tal fine si può definire la relazione di equivalenza su L p (X, µ) data da f g se e solo se f g è nulla quasi ovunque rispetto a µ. Si indica con L p (X, µ) lo spazio quoziente L p (X, µ)/. Questo spazio eredita naturalmente una struttura di spazio vettoriale su C da quella di L p (X, µ) semplicemente definendo [f] + [g] := [f + g] e α[f] := [αf] (si verifica che le definizioni non dipendono nei secondi membri dai rappresentanti scelti nelle classi di equivalenza usate a primo membro). Si riesce a provare ([1], teorema 3.11) che L p (X, µ) è spazio di Banach rispetto alla norma ( [f] p := X f(x) p dµ(x)) 1/p (2.4) dove f è un rappresentante arbitrario di [f] L p (X, µ). Lo spazio di Banach ottenuto non è algebra rispetto al prodotto puntuale dato che il prodotto puntuale di funzioni di L p (X, µ) non è, in generale elemento dello stesso spazio. N.B. Nella letteratura corrente prevale l uso del simbolo f per denotare la classe di equivalenza [f] L 2 (X, µ). Noi seguiremo tale uso nelle situazioni in cui ciò non produrrà confusione. (7) In riferimento all esempio (6), consideriamo il caso particolare in cui X è un insieme non necessariamente numerabile, Σ è l insieme delle parti di X e µ è la misura che conta i punti : se S X, µ(s) = numero di elementi di S e µ(s) = se S contiene infiniti punti. In questo caso lo spazio L p (X, µ) si indica semplicemente con l p (X). I suoi elementi sono le successioni di complessi etichettati su X {z x } x X tali che z x p <, x X 15

16 dove la somma è definita come sup z x p x X 0 X 0 X, X 0 finito. Si osservi che, nel caso X sia numerabile, X = N o Z in particolare, la definizione data sopra di somma di un insieme di numeri positivi etichettati su X si riduce a quella solita di somma di una serie (vedi definizione 3.4 e proposizione 3.2 nel capitolo 3). (8) Se (X, Σ, µ) è uno spazio con misura positiva e f : X C una funzione misurabile definiamo S f := {r R µ( f 1 (r, )) = 0}. Le funzioni misurabili f : X C per cui S f costituiscono un algebra commutativa con unità con le solite operazioni definite negli esempi di sopra per gli spazi di funzioni. È possibile definire una norma su tale algebra rispetto alla quale si abbia un algebra di Banach (vedi [1], teorema 3.11 per la dimostrazione della completezza): f := ess supf dove l estremo superiore essenziale di f, ess supf, è definito come inf S f ossia ess supf := inf { r R µ( f 1 (r, )) = 0 }. (2.5) L algebra di Banach che si ottiene si indica con L (X, µ) e si chiama l algebra delle funzioni essenzialmente limitate. (9) In riferimento all esempio (8), nel caso particolare in cui Σ è l insieme delle parti di X e µ è la misura che conta i punti, lo spazio L (X, µ) si indica semplicemente con l (X). I suoi elementi sono le successioni di complessi etichettati su X {z x } x X tali che sup x X z x <. (Per cui, in riferimento alla notazione usata nell esempio (2), l (X) = L(X).) 2.2 Operatori, spazi di operatori, norme di operatori. Definizione 2.5. Siano X e Y spazi vettoriali sullo stesso campo K := R o C. (a) T : X Y è detto operatore lineare (o semplicemente operatore) da X in Y se è lineare. L(X, Y ) denota l insieme degli operatori lineari da X in Y. Quando X e Y sono normati, B(X, Y ) L(X, Y ) denota il sottoinsieme degli operatori lineari continui. In particolare L(X) := L(X, X) e B(X) := B(X, X). (b) T : X K è detto funzionale lineare (o semplicemente funzionale) su X se è lineare. (c) Lo spazio X := L(X, K) è detto duale algebrico di X mentre, se K è inteso come uno spazio normato rispetto alla norma indotta dal valore assoluto, X := B(X, K) è detto duale topologico (o semplicemente duale) di X. Al solito se T, T L(X, Y ) e α, β K, la combinazione lineare αt + βt è definita come l applicazione (αt + βt ) : u α(t u) + β(t u) per ogni u X ed è quindi ancora un elemento di L(X, Y ). Dato che come è facile provare vale anche che ogni combinazione lineare di operatori continui è un operatore continuo concludiamo che L(X, Y ), L(X) e X e B(X, Y ), B(X) e X, 16

17 sono tutti spazi vettoriali su K. Introduciamo il concetto di operatore e funzionale limitato. Teorema 2.1. Siano (X, X ), (Y, Y ) spazi normati sullo stesso campo K = C o R. Si consideri T L(X, Y ). (a) Le seguenti due condizioni sono equivalenti (i) esiste K R tale che T u Y K u X per ogni u X; T u (ii) esiste sup Y u X\{0} u X < +. (b) Se vale la condizione (i) allora { } T u Y sup u X u X \ {0} = inf {K R T u Y K u X per ogni u X}. T u Prova. (a) Se vale (i), per costruzione sup Y u X\{0} u X K <. Se vale (ii) posto T u A := sup Y u X\{0} u X, K := A soddisfa (i). T u (b) Detto I l estremo inferiore dell insieme dei K che soddisfano (i), valendo sup Y u X\{0} u X T u K deve essere sup Y u X\{0} u X I. Supponiamo per assurdo che valga la disuguaglianza stretta. Sia allora J un punto con sup Y T u u X\{0} u X < J e J < I. Dalla prima condizione segue che T u Y < J u X per ogni u 0 e quindi T u Y J u X per ogni u X, ma allora J soddisfa la condizione (i) e ciò contraddice J < I. Nel seguito ometteremo gli indici nelle norme per denotare gli spazi su cui sono definite se ciò sarà ovvio dal contesto. Definizione 2.6. Siano X, Y spazi normati sul medesimo campo C o R. T L(X, Y ) è detto limitato se vale una delle due condizioni equivalenti dette in (a) nell enunciato del teorema 2.1. In tal caso il numero T u T := sup. (2.6) u =0 u è detto norma (operatoriale) di T. Nota. Dalla definizione di T si ha subito che se T : X Y è limitato vale l utile proprietà: T u T u, per ogni u X. (2.7) La norma operatoriale può essere calcolata anche in altri modi talvolta utili nelle dimostrazioni. Vale la seguente proposizione in proposito. 17

18 Proposizione 2.1. Siano X, Y spazi normati sul medesimo campo C o R. T L(X, Y ) è limitato se e solo se esiste ed è finito uno dei secondi membri delle tre identità di sotto ed in tal caso tali identità sono verificate. ovvero ovvero T = sup T u, (2.8) u =1 T = sup T u, (2.9) u 1 T = inf {K R T u K u per ogni u X}. (2.10) Prova. Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.8) esista e sia finito e la stessa identità (2.8) seguono facilmente dalla linearità di T e dalla proprietà N1 delle norme. Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.9) esista e sia finito e la stessa identità (2.9) seguono facilmente dal seguente ragionamento. Dato che l nsieme degli u con u 1 include l insieme degli u con u = 1, vale sup u 1 T u sup u =1 T u. D altra parte, se u 1, vale T u T v per qualche v con v = 1 (qualunque v suddetto se u = 0 e v = u/ u altrimenti). Quindi vale anche sup u 1 T u sup u =1 T u, da cui si ottiene sup u 1 T u = sup u =1 T u che dimostra quanto volevamo. Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.10) esista e sia finito e la stessa identità (2.10) seguono facilmente da (b) del teorema 2.1 Il legame tra continuità e limitatezza è dato dal seguente teorema che prova, tra l altro, che gli operatori limitati sono tutti e soli quelli continui. Teorema 2.2. Sia T L(X, Y ) con X, Y spazi normati sul medesimo campo. I seguenti fatti sono equivalenti: (i) T è continuo in 0; (ii) T è continuo; (iii) T è limitato. Prova. (i) (ii). La continuità implica banalmente la continuità in 0. Mostriamo che la continuità in 0 implica la continuità. Valendo (T u) (T v) = T (u v) si ha che (lim u v T u) T v = lim u v (T u T v) = lim (u v) 0 T (u v) = 0 per la continuità in 0. (i) (iii). Dalla continuità in 0, esiste δ > 0 tale che, se u < δ allora T u < 1. Scelto δ > 0 con δ < δ, se v X \ {0}, u = δ v/ v ha norma inferiore a δ per cui T u < 1, che in termini di v si scrive T v < (1/δ ) v. Vale allora la condizione (a) del teorema 2.1 con K = 1/δ e pertanto, per la definizione 4.2 T è limitato. 18

19 (iii) (i). Si tratta di un fatto ovvio. Se T è limitato allora T u T u da cui la continuità in 0.. Il nome norma per T non è casuale; in effetti la norma di operatori rende a tutti gli effetti B(X, Y ), e quindi in particolare B(X) e X, uno spazio normato come proveremo tra poco. Più precisamente, vedremo che B(X, Y ) è uno spazio di Banach se Y è di Banch e quindi, in particolare X è sempre spazio di Banach. Il teorema che segue riguarda anche un altro importante fatto in relazione alla struttura di algebra. Cominciamo con l osservare che la composizione di operatori di L(X), rispettivamente B(X), produce operatori nello stesso spazio (in particolare perché la composizione di funzioni continue produce funzioni continue). Ulteriormente, è immediato provare che lo spazio vettoriale L(X), rispettivamente B(X), soddisfa gli assiomi A1, A2 e A3 della definizione di algebra quando il prodotto dell algebra è definito come la composizione di operatori. In questo modo risulta chiaro che L(X) e B(X) possiedono una struttura naturale di algebra con unità, quest ultima data dalla funzione identità I : X X, inoltre B(X) risulta essere una sottoalgebra di L(X). Nell ultima parte del teorema seguente si rafforza ulteriormente il risultato, provando che B(X) è sempre un algebra normata con unità rispetto alla norma operatoriale ed è ulteriormente algebra di Banach se X è uno spazio di Banach. Teorema 2.3. Siano X, Y spazi normati sullo stesso campo. (a) L applicazione : T T, dove T è definita da (2.6) per T B(X, Y ), è una norma su B(X, Y ) e rende B(X, Y ) spazio normato. (b) Sull algebra con unità B(X) valgono le ulteriori relazioni che la rendono algebra normata con unità: (i) T S T S e T, S B(X), (ii) I = 1. (c) Se Y è completo B(X, Y ) è uno spazio di Banach. In particolare: (i) se X è uno spazio di Banach, B(X) è un algebra di Banach; (ii) X è sempre uno spazio di Banach rispetto alla norma dei funzionali, anche se X non è completo. Prova. (a) è diretta conseguenze della definizione di norma di un operatore: le proprietà definitorie della norma N1, N2, N3 per la norma operatoriale possono essere immediatamente verificate usando le stesse proprietà N1, N2, N3 per la norma dello spazio Y, la formula (2.8) per la norma operatoriale e la definizione di estremo superiore. (b) Il punto (i) è immediata conseguenza della (2.7) e della (2.8). (ii) è di immediata verifica usando l espressione per la norma operatoriale (2.8). Passiamo a provare la parte (c). Proviamo che se Y è completo allora B(X, Y ) è uno spazio di Banach. Sia {T n } B(X, Y ) una successione di Cauchy rispetto alla norma operatoriale. Da 19

20 (2.7) segue che T n u T m u T n T m u, il fatto che {T n } sia di Cauchy implica che sia di Cauchy la successione dei vettori T n u. Essendo Y completo, per ogni fissato u X esisterà un vettore di Y : T u := lim n T nu. X u T u è una funzione lineare essendo tali tutte le funzioni T n. Mostriamo, per concludere, che T B(X, Y ) e che T T n 0 per n. Essendo {T n } una successione di Cauchy, se ɛ > 0, varrà T n T m ɛ per n, m sufficientemente grandi e quindi anche T n x T m x T n T m u ɛ u. Allora: T u T m u = lim T nu T m u = lim T nu T m u ɛ u n + n + se m è grande a sufficienza. Dalla stima ottenuta, essendo T u T u T m u + T m u ed usando (2.7), segue ancora che T u (ɛ + T m ) u. Ciò dimostra che T è limitato e quindi T B(X, Y ) per il teorema 2.2. Valendo, come provato sopra, T u T m u ɛ u si ha anche che T T m ɛ dove ɛ può essere scelto arbitrariamente piccolo pur di scegliere m grande a sufficienza. In altre parole T T n 0 se n. La prova dei sottocasi (i) e (ii) è immediata. (i) segue dal fatto che B(X) = B(X, X) e (ii) segue dal fatto che X := B(X, K) ed il campo di X, K = C o R è completo come spazio normato. Esempi 2.2 (1) Consideriamo X spazio topologico di Hausdorff localmente compatto. Sappiamo che l algebra normata C c (X) ha come completamento nella norma dell estremo superiore l algebra di Banach C 0 (X) delle funzioni che si annullano all infinito ((4) in esempi 2.1). Se µ è una misura di Borel complessa [1], e µ è la misura positiva di Borel detta variazione totale di µ (se E è insieme di Borel in X, µ (E) := sup{ i µ(e i) {E i } partizione di E di insiemi di Borel}). La variazione totale di una misura complessa soddisfa sempre µ (X) < per definizione di misura complessa. (N.B. Quando µ è una misura di Borel positiva, l applicazione diretta della definizione di sopra produce µ = µ, ma in questo caso la finitezza di µ (X) non è assicurata e vale se e solo se µ è finita; le misure di Borel con segno si intendono qui un sottocaso di quelle complesse). Nelle ipotesi fatte definiamo µ := µ (X). È chiaro che, se f C 0(X), fdµ µ f, X dove f = sup x X f(x). Da tale fatto segue subito che ogni misura complessa definisce un elemento del duale (topologico) di C 0 (X). Ricordiamo che una misura di Borel complessa è 20

21 detta regolare se è tale la sua variazione totale 1. Il teorema di Riesz nel caso di misure complesse [1] prova che questo è in realtà il caso generale precisando anche qualcosa in più: se X è uno spazio topologico di Hausdorff localmente compatto, se Λ : C 0 (X) C è un funzionale lineare continuo, allora esiste un unica misura di Borel regolare µ Λ tale che, per ogni f C 0 (X): Λ(f) = fdµ Λ. Vale inoltre Λ = µ Λ. Si osservi che dato che C c (X) è denso in C 0 (X), un funzionale continuo sul primo spazio ne individua univocamente uno sul secondo, per cui il teorema caratterizza anche i funzionali, continui rispetto alla norma dell estremo superiore, su C c (X). (2) In riferimento all esempio (6) in esempi 2.1, se 1 p < + e 1/p + 1/q = 1, il duale di L p (X, µ) risulta essere L q (X, µ) nel senso che l applicazione L q (X, µ) [g] Λ g dove Λ g (f) := X fg dµ, è un isomorfismo di spazi normati da Lq (X, µ) a (L p (X, µ)). Analogamente il duale di L 1 (X, µ) si identifica con L (X, µ). Esercizi 2.1. (1) Provare che ogni seminorma p soddisfa p(x) = p( x). (2) Si dimostri che in uno spazio normato (X, N) ogni successione convergente è successione di Cauchy. Soluzione. Sia {x n } n N X convergente a x nella topologia indotta dalla norma N. Valendo N(x n x m ) = N(x n x+x x m ) N(x n x)+n(x x m ) per la disuguaglianza trinagolare, si ha che per ogni ɛ > 0 esiste M ɛ > 0 per cui se n, m > M ɛ, N(x n x) < ɛ/2 e N(x m x) < ɛ/2. Quindi per ogni ɛ > 0 esiste M ɛ > 0 per cui se n, m > N ɛ, N(x n x m ) < ɛ e la successione è di Cauchy. (3) Si consideri una coppia di spazi normati X, Y, con Y spazio di Banach, e un sottospazio S X la cui chiusura rispetto alla norma di X coincida con tutto X (in altre parole S è denso in X). Sia poi T : S Y un operatore lineare limitato su S. Si dimostri che esiste un unica estensione limitata di T, T : X Y. Soluzione. Se x X ci sarà una successione {x n } di elementi di S che converge a x. Vale T x n T x m K x n x m con K + per ipotesi. Dato che x n x, la successione degli x n è di Cauchy e quindi lo è anche quella dei vettori T x n. Dato che Y è completo, esiste dunque T x := lim n T x n Y. Tale limite dipende solo da x e non dalla successione in S usata per approssimarlo: se S z n x allora per la continuità delle norme lim T x n lim T z n = n + n + X lim T x n T z n n + lim K x n z n = K x x = 0. n + Ovviamente T S = T, cioè T è un estensione di T e questo si prova scegliendo per ogni x S la successione costante di termini x n := x che tende a x banalmente. Le proprietà di linearità di 1 Se µ è una misura di Borel positiva sullo spazio di Hausdorff localmente compatto X, µ è detta regolare se per ogni boreliano E, µ(e) coincide con l estremo superiore dell insieme dei numeri µ(k) dove K E è compatto, e con l estremo inferiore dell insieme dei numeri µ(v ) dove V E è aperto. 21

22 T sono di verifica immediata dalla stessa definizione. Infine prendendo il limite a n + ad ambo membri di T x n K x n si ricava che T x K x per cui T è limitato. Veniamo alla prova dell unicità. Se U è un altra estensione limitata di T su X allora, per ogni x X, per continuità T x Ux = lim n + (T x n Ux n ) dove gli x n appartengono a S (denso in X). Essendo T S = T = U S il limite è banale e fornisce T x = Ux per ogni x X ossia T = U. (4) In riferimento all esercizio precedente, si provi che l unica estensione limitata T di T soddisfa anche T = T. Soluzione. Se x X e {x n } S converge a x: T x = lim T x n lim T x n = T x, n + n + per cui T T. Ma essendo anche S X e T S = T, { T T } { x = sup T } { x 0 x X x sup T x x 0 x S = sup x } 0 x S. L ultimo termine nella catena di identità scritta sopra è T. Quindi T T. Allora T = T. (5)* Se definiamo un isomorfismo di spazi normati come un applicazione lineare continua con inversa continua, la proprietà di completezza di uno spazio normato è invariante sotto isomorfismi? Suggerimento. Se non si arriva ad una conclusione si legga il paragrafo 2.5 generalizzando la proposizione 2.6 al caso di due spazi normati connessi da un applicazione lineare continua con inversa continua. 2.3 I tre teoremi fondamentali negli spazi di Banach e le topologie deboli. Riportiamo gli enunciati de i tre teoremi fondamentali della teoria degli spazi normati e di Banach nella versione più elementare possibile. Le dimostrazioni sono date in Appendice B. Dimostrazioni anche con formulazioni più complesse di questi teoremi, si possono trovare per esempio in [1] e [2]. Le appiicazioni del secondo teorema, quello di Banach-Steinhaus, forniscono l occasione per introdurre diverse topologie negli spazi di operatori. Tali topologie rivestono un ruolo importantissimo in Meccanica Quantistica quando lo spazio di Banch di partenza è lo spazio di Hilbert della teoria, l algebra di operatori limitati di interesse è costituita da (alcune) osservabili della teoria, mentre le proprietà elementari del sistema quantistico associuate ai processi di misura sono una sottoclasse della classe degli operatori di proiezione ortogonale. Per passare con continuità dall algebra delle osservabili a quella dei proiettori sono necessarie topologie più deboli rispetto a quella standard. Questo genere di problematiche che discuteremo più oltre hanno portato alla nozione di algebra (di operatori) di Von Neumann. 22

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