Variabilità genetica - Frequenze genotipiche e geniche

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1 Variabilità genetica - Frequenze genotipiche e geniche Questo documento è pubblicato sotto licenza Creative Commons Attribuzione Non commerciale Condividi allo stesso modo Linee pure di topo I ceppi di topo da laboratorio rappresentano il paradigma della minima possibile variabilità genetica che si può ottenere in una specie animale. Nel 1909 fu fondato il primo ceppo di topo inincrociato (detto DBA, dalle sigle degli alleli per il colore del mantello di quel particoalre ceppo: dilute, d; brown, b; non-agouti, a), con l esplicito scopo di ottenere una linea completamente omozigote da usare negli esperimenti di genetica. Lo schema era (e tuttora è) quello di accoppiare ad ogni generazione fratelli con sorelle: in questo modo la percentuale di loci che sono resi isogenici aumenta di generazione in generazione, fino a rendere tutto il genoma perfettamente omozigote. A quel punto solo la mutazione genetica può introdurre variabilità genetica

2 L inincrocio in accoppiamenti fratello-sorella In un accoppiamento fratello-sorella, la probabilità che uno qualunque di quattro tratti omologhi di DNA dei loro genitori si trovi identico per duplicazione in un loro figlio è del 25% Se i quattro tratti omologhi vengono designati A1, A2, A3 e A4, i (. ecc genotipi possibili di ciascun figlio sono 4 (A1/A3, A1/A4, Se ora consideriamo le probabilità con cui i figli formano i propri gameti troviamo ¼ A1, ¼ A2, ¼ A3, e ¼ A4. Le probabilità dei genotipi dei figli di una coppia di fratelli pieni si trovano quindi facilmente con un diagramma di Punnett: ¼ di tutti i possibili figli risulta omozigote per l'uno o l'altro dei geni dei due nonni L'aumento dell'omozigosità Ad ogni generazione di inincrocio una quota ulteriore dei loci rimanenti viene ridotta in omozigosi, cosicchè il coefficiente di inincrocio si approssima rapidamente a 1 (quando gli individui diventano tutti ( identici omozigoti e tutti geneticamente In un sistema di accoppiamento fratellosorella, il 98,6% del genoma è stato reso isogenico alla ventesima generazione, che è il limite convenzionalmente usato per definire commercialmente una linea di topo pura

3 La depressione da inincrocio Se il 98,6% del genoma è stato reso isogenico, tutti gli individui che nascono da quel momento da qualsiasi coppia del ceppo inincrociato sono quasi geneticamente identici e omozigoti per quasi tutti i geni Resta un 1,4% del genoma che ancora rappresenta la variabilità genetica esistente prima dell inizio dell inincrocio, la quale continua a ridursi continuando con lo stesso sistema di accoppiamento I topi isogenici sono organismi molto particolari. Sono animali che possono sopravvivere solo nelle condizioni particolarmente permissive dell allevamento artificiale, sono poco fertili (nonostante per definizione siano selezionati per dare prole fertile in condizione di inincrocio) e in generale sono poco vitali se confrontati con i ceppi selvatici. Questo è il fenomeno della depressione da inincrocio Il problema della variabilità genetica In generale, quanta variabilità genetica esiste nelle popolazioni naturali, tale che si manifesta sotto forma di quelle variazioni morfologiche, fisiologiche e comportamentali che sono la base dell' adattamento nella vita selvaggia? Considerando i ceppi isogenici, quanta variabilità genetica era presente nella popolazione selvatica da cui sono stati campionati gli animali fondatori, e che in questi animali è stata ridotta fino quasi a zero? Il caso del cane è paradigmatico: la variabilità genetica che sottostà alla variazione fra razze riflette evidentemente l entità della diversità genetica presente nel progenitore del cane, il lupo, a parte poche mutazioni insorte dopo la domesticazione e conservate in alcune razze. Questo ci dice che le popolazioni naturali devono possedere una riserva considerevole di variabilità genetica: il problema è capirne la natura e darne una descrizione esauriente

4 Tecniche di studio della variabilità genetica Storicamente lo studio della variabilità genetica nelle popolazioni naturali ha seguito il percorso delle tecniche che sono state via via messe a punto nella genetica sperimentale per i primi decenni del secolo scorso erano disponibili per l analisi i rari mutanti visibili, alcuni gruppi sanguigni e i loci polimorfici responsabili delle differenze della pigmentazione cutanea a partire dalla metà degli anni 60 l elettroforesi delle proteine rivelò una quota insospettata di variabilità genetica, soprattutto per gli enzimi coinvolti nel metabolismo delle fonti energetiche solo con lo sviluppo delle tecniche di manipolazione del DNA (anni 80) e soprattutto con lo sviluppo della reazione a catena della polimerasi è diventato possibile studiare direttamente la variabilità genetica al suo livello fondamentale. Polimorfismi genetici Consideriamo un singolo tratto di DNA non eccessivamente lungo (diciamo un migliaio di coppie di basi) preso a caso dal genoma di una popolazione selvatica, e supponiamo di esaminare un campione non proibitivamente grande di individui (diciamo 500 fra maschi e femmine, quindi in tutto 1000 tratti omologhi indipendenti). Possiamo distingure vari casi possibili tutte le sequenze di tutti gli individui del campione sono identiche: in questa situazione si dice che il nostro locus è monomorfico. se in un piccolo numero (diciamo da 1 a 10) dei cromosomi campionati identifichiamo una sequenza diversa parliamo di variante rara se troviamo una variante più frequente, diciamo presente in più di 10 cromosomi del nostro campione (frequenza >1%), parliamo di polimorfismo genetico Se nel nostro campione sono presenti più di due diverse sequenze a frequenza apprezzabile parliamo di locus multiallelico se infine sono presenti molti alleli diversi (diciamo più di 5) a frequenze apprezzabili, parleremo di locus ipervariabile.

5 La relatività del polimorfismo genetico Come è distribuito il polimorfismo genetico rispetto alle sequenze reali del DNA di una popolazione naturale? La risposta dipende molto dal tipo di sequenza che stiamo esaminando, a seconda cioè se si tratta di un segmento codificante o meno, se fa parte di un gene (introne) o no, se al suo interno è presente un microsatellite, ecc. Quindi i generale i livelli di polimorfismo genetico devono essere riferiti a classi specifiche di elementi genetici. A quel punto si possono confrontare fra loro i livelli osservati di variabilità genetica, fra loci o fra popolazioni, perchè si stanno esaminando oggetti omogenei fra loro. Qual è significato fenotipico delle varianti genetiche? La grande maggioranza della variazione genetica presente in natura è neutrale, in quanto si trova in DNA la cui sequenza non ha uno specifico rilievo funzionale. È comunque un compito difficile quello di stabilire se una certa variante è coinvolta, e quanto, nell espressione di un tratto fenotipico. Un esempio: proteine seriche Un esempio di variazione genetica entro e fra popolazioni è riportato nell articolo di M. K. Das, K. Das e S. S. Mastana: Genetic Variation of Serum Proteins Among the Koch Sub-populations of West Bengal, India (Int J Hum Genet, 2(4): , 2002), relativo a tre popolazioni umane del Bengala occidentale tipizzate per quattro proteine seriche. Le proteine seriche fanno parte dei marcatori genetici classici, che erano già disponibili prima dell avvento dell analisi del DNA. La tipizzazione fa uso della tecnica di elettroforesi in gel d amido sviluppata a metà degli anni 50, che consente di separare miscele di proteine diverse sulla base delle loro dimensioni e cariche elettriche. Miglioramenti successivi sono stati l introduzione della focalizzazione isoelettrica (elettroforesi in gradiente di ph), che consente una ulteriore separazione delle proteine non risolte, e l introduzione del gel di poliacrilamide. L'analisi di alcune proteine seriche fa parte degli esami routinari del sangue, mentre altre hanno interesse solo per la variabilità genetica che mostrano nelle popolazioni

6 Numerosità osservate Una parte della tabella di Das et al., relativa ad uno dei marcatori tipizzati, è riportata nella figura seguente. La colonna di sinistra mostra il nome del locus (Componente Gruppo Specifico o GC), i fenotipi individuati e il nome degli alleli; a destra seguono i dati di due delle tre popolazioni studiate. Consideriamo la colonna Obs. No. (numerosità osservata): vediamo ad es. che 5 soggetti sono ISIS, e dall elenco degli alleli deduciamo che si tratta di soggetti attribuiti al genotipo omozigote per l allele IS. I totali dei due campioni sono 38 e 45 soggetti Frequenze alleliche Per questo locus sono stati individuati 3 alleli, denominati *IS, *IF e *2, che sono presenti nei campioni in 5 delle 6 combinazioni possibili, le cui frequenze sono 0,474, 0,329 e 0,197 Come sono calcolate le frequenze alleliche? In questo caso gli alleli sono distinguibili l'uno dall'altro (codominanza) e il calcolo è elementare. Si tratta semplicemente di contare la numerosità di ciascun allele nel campione e di riportarla a 1 per l allele *IS, 10 copie sono presenti nei 5 genotipi ISIS, e 13 copie sono presenti sia nel genotipo ISIF che nel genotipo 2IS; quindi abbiamo 36 copie *IS, che riportate al totale dei geni esaminati per il sistema GC (che è il doppio degli individui tipizzati, 2N =76) fa esattamente 0,474. (Nota: c è un errore di stampa nella frequenza di questo allele nella seconda popolazione). Analogamente si contano le numerosità degli altri due alleli e si riportano in frequenza relativa

7 Frequenze alleliche per sistemi codominanti Dunque nel caso di sistemi codominanti si può scrivere la regola generale p i = (2n ii + Σ j i n ij )/(2n), cioè anche p i = (n ii + ½ Σ j i n ij ( 1 ) n/( dove p i è la frequenza dell allele i (i = 1, 2, o 3 nel caso del sistema GC), n ii è la numerosità del genotipo omozigote per l'allele i e Σ j i n ij indica la somma di n ij per tutti i valori di j ( j = 1, 2, 3), tranne quando j = i; n èil numero totale degli individui del campione Se le frequenze genotipiche sono espresse in frequenze relative (a somma 1), f ij (= n ij /N, Σ f ij = 1), esse possono essere usate al posto di n ii nell eq. (1). La stima delle frequenze alleliche e del loro errore In effetti noi non siamo interessati tanto alla frequenza allelica osservata in un dato campione quanto piuttosto alla frequenza allelica nella popolazione che quel campione rappresenta. Cioè noi esaminiamo un campione assumendo che esso sia rappresentativo della popolazione cui esso appartiene, e inferiamo le proprietà di questa dal campione stesso. Nel caso di sistemi codominanti si può mostrare che la miglior stima della frequenza (π i ) dell i-esimo allele nella popolazione è data dall eq. (1). Quindi semplicemente poniamo π i = p i. Però ci dobbiamo porre il problema dell errore dovuto al campionamento: se si estraggono a caso un numero limitato di genotipi, ci sarà inevitabilmente una certa variazione casuale delle frequenze alleliche calcolate nel campione rispetto a quelle della popolazione, e più è piccolo il campione, più grande è la deviazione che mediamente ci aspettiamo.

8 Errore standard delle frequenze alleliche Assumendo che il campionamento sia multinomiale, la varianza teorica delle frequenze alleliche V(π i ) è data da V(π i ) = π i (1 - π i ( 2N )/( Questa è la varianza attesa in un gran numero di campioni della stessa dimensione estratti a caso da una popolazioni in cui la frequenza allelica è π i. Quindi l errore standard delle frequenze alleliche [s.e.(p i )] si stima come s.e.(p i ) = V(π i ) ½. Ad esempio gli errori standard delle frequenze di *IS, *If e *2 nella prima popolazione di Das et al. sono rispettivamente [0,474 x (1 0,474)/76] ½ = 0,057, [0,329 x (1 0,329)/76] ½ = 0,054, e [0,197 x (1 0,197)/76] ½ = 0,046, come riportato in tabella accanto alla stima delle frequenze alleliche. Eterogeneità delle frequenze alleliche fra popolazioni L errore standard delle frequenze è essenziale per calcolare la significatività delle differenze osservate fra popolazioni. Per esempio, un modo molto semplice per decidere se una differenza osservata fra le frequenze alleliche di due popolazioni è significativa al livello del 5% è quello di calcolare i limiti di confidenza del 95% (95% C.L.) delle frequenze stimate, che si trovano come 95% C.I. = p i ± 1,96 x s.e.(p i ), e controllando se non ci sia sovrapposizione fra i due intervalli delimitati da questi limiti. Si può facilmente verificare che le frequenze alleliche stimate nelle due popolazioni di Das et al. non sono significativamente diverse le une dalle altre; quindi sulla base di questi due campioni non possiamo concludere che ci troviamo in presenza di popolazioni eterogenee per frequenze alleliche

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