COMPLEMENTI DI MECCANICA QUANTISTICA E STATISTICA

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1 Università degli studi di Roma La Sapienza Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Appunti del corso di COMPLEMENTI DI MECCANICA QUANTISTICA E STATISTICA Massimiliano Carfagna maxcarfagna@aliceposta.it Corso svolto nel II trimestre del III anno dal Prof. Petrarca Corso di Laurea in Fisica ed Astrofisica Dipartimento di Fisica A.A. 2004/05

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3 Parte I Complementi di Meccanica Quantistica 3

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5 Capitolo 1 Momento angolare 1.1 Momento angolare orbitale Così come in Meccanica Classica, anche in meccanica Quantistica possiamo dare una definizione di momento angolare: data una particella di massa m che si muove con velocità v in un sistema di riferimento inerziale, il cui raggio vettore è detto r, definiamo momento angolare orbitale L la seguente quentità L = r m v = r p = i j k x y z = i(yp z zp y ) + j(zp x xp z ) + k(xp y yp x ) (1.1) p x p y p z Si può notare che le singole componenti del momento angolare commutano con loro stesse, ovvero, ad esempio [L x, L x ] = 0, ma non commutano tra loro, si ha infatti che: [Lx, Ly] = [yp z, zp x ] + [zp y, xp z ] = allo stesso modo per le altre componenti si avrà che: = y[p z, z]p x + p y [z, p z ]x = = y( i )p x + p y (i )x = = i (p y x ypx) = i Lz (1.2) [Ly, Lz] = i Lx (1.3) [Lz, Lx] = i Ly (1.4) Di particolare interesse è il quadrato del momento angolare orbitale, il quale ha la caratteristica di essere hermitiano e di commutare con qualsiasi componente del momento angolare stesso, ovverosia: L 2 = L 2 x + L 2 y + L 2 z = [ L 2, L i ] = 0 con i = x, y, z (1.5) In generale indicheremo con lettere diverse i diversi momenti angolari che incontreremo, infatti oltre al momento angolare orbitale L appena introdotto, si vedrà in seguito che ogni particella ha la caratteristica di avere un momento angolare intrinseco detto anche spin S. Quando si vorranno dedurre proprietà valide sia per il momento angolare orbitale, sia per il momento di spin si utilizzerà la lettera J che indica un momento angolare generico. Definito l operatore momento angolare orbitale, è necessario calcolare autovalori ed autostati associati all operatore; per farlo, però, si procede prima alla definizione di altri operatori (simili, per altro, agli operatori di creazione e distruzione utilizzati nell oscillatore armonico), introdotti mediante la seguente relazione: L ± = L x ± ily (1.6) 5

6 6 CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE Questi operatori di servizio sono stati definiti in quanto, tramite essi è possibile esprimere altre quantità che saranno utili nel calcolo degli autovalori e delle autofunzioni dell operatore momento angolare. Si ha infatti che, mediante qualche calcoletto, si dimostrano le seguenti uguaglianze: [L +, L ] = 2 L z (1.7) [L z, L ± ] = ± L ± (1.8) L 2 = L + L + L 2 z L z = L L + + L 2 z + L z (1.9) A questo punto, una volta ricavate tutte le relazioni utili nei calcoli, siamo pronti per cercare gli autovalori e gli autovettori del momento angolare orbitale di una particella. Come si può noatre dalla 1.8 che solo la componente z del momento angolare viene messa in relazione agli operatori di servizio; d altrocanto le 1.9 mostrano che la componente z è in relazione al quadrato del momento angolare L 2, per cui, piuttosto che cercare gli autovalori e gli autostati di L, si cercano gli autovalori e gli autostati degli operatori L z e L 2. Prima di dimostrare il procediemnto utilizzato enunciamo già il risultato ottenuto: L z l.m = m l, m (1.10) L 2 l.m = l(l + 1) 2 l, m (1.11) l = 0, 1 2, 1, 3 2, 2,... l m l (1.12) É importante noatre che gli autovalori di L z ed L 2 sono legati tra loro dalle relazioni 1.12, quindi l ed m non sono gli autovalori degli operatori suddetti, bensì i numeri quantici associati ad essi! Per ricavare le relazioni 1.12 che intercorrono tra gli autovalori m e l(l+1) 2 è necessario utilizzare gli operatori di servizio definiti in precedenza. Partiamo scrivendo in modo generico la 1.11, supponendo di non sapere il risultato, si avrebbe che: L 2 ψ = λ ψ (1.13) dato che, dalla 1.12 si nota che gli autovalori di L 2 sono positivi (in quanto l(l + 1) è una quantità positiva perchè l può assumere solo valori positivi), la prima cosa da fare è dimostrare che l può assumere solo valori positivi: moltiplichiamo la 1.13 per il bra generico e sostituiamo l espressione 1.5, ottenendo così ψ L 2 ψ = ψ (L 2 x + L 2 y + L 2 z) ψ = = ψ (L xl x + L yl y + L zl z ) ψ = = ψ L xl x ψ + ψ L yl y ψ + ψ L zl z ψ = = L x ψ 2 + L y ψ 2 + L z ψ 2 > 0 (1.14) in quanto la norma al quadrato di un ket è necessariamente un numero postivo, dunque ciò dimostra che il primo membro della 1.13 è positivo, per cui lo sarà anche il secondo membro, e conseguenzialmente λ > 0. Ciò dimostra che, essendo λ = l(l + 1) 2, i valori di l non possono che essere positivi. Il secondo passo consiste nel dimostrare che gli autovalori di L z devono avere m compreso tra ±l. Per farlo si procede utilizzando gli operatori di servizio nel modo seguente: calcoliamo la norma al quadrato di L + l, m 2 = l, m L L + l, m (1.15) L l, m 2 = l, m L + L l, m (1.16)

7 1.1. MOMENTO ANGOLARE ORBITALE 7 e lo facciamo sfruttando 1.9 nel modo che segue: L + l, m 2 = l, m L L + l, m = = l, m L 2 L 2 z L z l, m = = l, m l(l + 1) 2 (m ) 2 (m ) l, m = = 2 ( l(l + 1) m 2 m ) l, m l, m = = 2 ( l(l + 1) m 2 m ) = = 2 ( l 2 m 2 + l m ) = = 2 ((l m)(l + m) + (l m)) = = 2 (l m) (l + m + 1) > 0 (1.17) L l, m 2 = l, m L + L l, m = = l, m L 2 L 2 z + L z l, m = = l, m l(l + 1) 2 (m ) 2 + (m ) l, m = = 2 ( l(l + 1) m 2 + m ) l, m l, m = = 2 ( l(l + 1) m 2 + m ) = = 2 ( l 2 m 2 + l + m ) = = 2 ((l m)(l + m) + (l + m)) = = 2 (l + m) (l m + 1) > 0 (1.18) per cui, dato che entrambe le norme devono essere positive, si ricavano i deguenti sistemi di disequazioni, dai quali è possibile dedurre le relazioni 1.12, infatti { { l m 0 l + m 0 (1.19) l + m l m dalla prima delle 1.19 si ricava che l + 1 m l, mentre dalla seconda si ricava che l m l + 1, per cui unendo i due risultati si ottiene la seconda delle Ci manca da dimostrare che i numeri quantici l possano assumere solo valore intero o semintero. Per dimostrare questo possiamo partire dalla 1.8 calcolata esplicitando L z L, e applicando ad essa l autostato (scritto in forma generica, dato che ancora non conosciamo la forma esplicita); si ha quindi: L z L l, m = (L L z L ) l, m = = L L z l, m L l, m = = L m l, m L l, m = = (m ) L l, m (1.20) Della 1.20 si nota che L z L l, m = ml l, m = (m ) L l, m, per cui se m è autovalore di L z con L l, m 1 come autovettore, lo sarà anche (m ). Così come accadeva per l oscillatore armonico, anche nel caso del momento angolare orbitale, l operatore L abbassa di un fattore l autovalore associato ad L z. Infatti, iterando il procedimento seguito in questo caso si giunge a trovare che, per ogni ciclo si avrebbe: m, m, m 2,..., m p = λ, (1.21) in quanto, per via della seconda delle 1.12, m ha come limite inferiore il valore l, quindi chiameremo l autovalore corrispondente λ. É possibile ripetere il procedimento seguito in 1.20 utilizzando la relazione di commutazione [L z, L + ] = L + ; si giunge, con un ragionamento analogo a creare una successione di autovalori del seguente tipo: m, m +, m + 2,..., m + q = λ, (1.22) 1 Si ricorda che l autovalore di L z è m ; m è l autovalore che soddisfa alla L z L l, m = ml l, m e non alla L z l, m = m l, m!

8 8 CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE in questo caso si nota che gli autovalori di L z aumentano di un fattore, ma, sempre per via della condizione 1.12, hanno come limite superiore l autovalore λ, il quale è funzione di l, così come avveniva nel caso precedente. A questo punto, possiamo notare che p e q sono numeri interi e l intervallo [ l, l] comprenderà, al suo interno, un numero intero di sottointervalli n dato dalla somma n = p + q, la quale sarà, ovviamente, un numero intero 2. Quindi, possiamo scrivere questa somma in funzione di l e constatare che: { m p = λ m + q = λ dalle quali si ricava che { p = λ+m q = λ m n = p + q = λ + m + λ m = 2λ = λ = n (1.23) 2 ciò mostra che l autovalore di L z prende valori interi o seminteri di, ne segue, quindi, che, data la genericità dellìintero, posso imporre che (n/2) = l, cosicchè si avrà: l = 0, 1 2, 1, 3, 2,... (1.24) 2 Dopo aver dimostrato le relazioni 1.12 e, conseguenzialmente, la validità delle 1.10 e 1.11 è necessario calcolare gli autostati dell operatore momento angolare orbitale, ovvero le autofunzioni di L. Per farlo, però, è più utile usufruire di un cambio di coordinate; passiamo alle coordinate sferiche, le quali sono definite come segue: x = r sin(θ) cos(ϕ) y = r sin(θ) sin(ϕ) z = r cos(θ) inoltre il differenziale in ccordinate sferiche diventa: con r 0 0 θ π 0 ϕ 2π (1.25) d x 3 = dxdydz = r 2 dω = r 2 sin(θ)drdθdϕ (1.26) Dopo aver calcolato l impulso P = i in coordinate sferiche, e dopo aver applicato le relazioni 1.25 alle componenti del momento angolare date in 1.1 3, si giunge a scrivere queste ultime, in coordinate polari, nel modo che segue: ( L x = i sin(ϕ) θ + cos(ϕ) tan(θ) ϕ ) ( ; L y = i cos(ϕ) θ + sin(ϕ) tan(θ) ϕ ) ; L z = i ϕ (1.27) tra l altro è utile noatre che, calcolando L 2 si può notare che esso non dipende da r, così come non dipendono da r neanche le componenti le momento angolare orbitale: ( L 2 = 2 sin(ϕ) 2 θ tan(θ) θ ) sin 2 (θ) ϕ 2 (1.28) A questo punto, vogliamo trovare delle autofunzioni che soddisfino l equazione di Schrödinger; le indicheremo con Y l,m (θ, ϕ) in quanto le autofunzioni non dipenderanno da r, proprio perchè nenche le componenti di L dipendono da r. É importante notare che, in generale (ossia per altri operatori posti in coordinate sferiche, come ad esempio l hamiltoniana di un potenziale centrale) le autofunzioni comprendono anche una componente radiale R( r ), oltre alla parte in θ e ϕ. Per il calcolo della parte non radiale utilizzeremo le 1.10 e 1.11 alle quali, al posto degli autostati scritti informa generica, sostituiremo le autofunzioni incognite: L z Y l,m (θ, ϕ) = m Y l,m (θ, ϕ) (1.29) 2 La somma di un intero non può che essere un intero! 3 Calcoli tediosi! L 2 Y l,m (θ, ϕ) = l(l + 1) 2 Y l,m (θ, ϕ) (1.30)

9 1.1. MOMENTO ANGOLARE ORBITALE 9 nelle quali è possibile sostituire a L z ed L 2 le espressioni esplicite in coordinate polari, ottenendo che ( 2 sin(ϕ) 2 θ tan(θ) i ϕ Y l,m(θ, ϕ) = m Y l,m (θ, ϕ) (1.31) θ + 1 sin 2 (θ) ϕ 2 2 ) Y l,m (θ, ϕ) = l(l + 1) 2 Y l,m (θ, ϕ) (1.32) Per trovare la soluzione, ovviamente risluviamo l eq. diff in modo che si avrà: i ϕ Y l,m(θ, ϕ) = my l,m (θ, ϕ) Y l,m (θ, ϕ) = A(θ)e imϕ (1.33) Questa relazione ci spinge a riflettere su quale valore di m possa effettivamente rendere vera la 1.23: infatti si vede che se m = n/2 dove n è un intero allora la relazione precedente assume due soluzioni per uno stesso valore, ossia, ad esempio, per ϕ = 0 la soluzione è A(θ), mentre per ϕ = 2π la soluzione è ±A(θ) 4. Affichè non ci sia questa ambivalenza di soluzione è necessario che m sia intero, e non semiintero; ma se ciò è vero allora risulterà che anche l dovrà essere necessariamente intero! Riassumendo, per il momento angolare orbitale si ha: l = 0, 1, 2,... m 0 : 0 m 1 : 1, 0, 1 m 2 : 2, 1, 0, 1, 2 (1.34) Per trovare l espressione esplicita della A(θ) è necessario partire da qualcosa di noto, ovverosia da un autostato particolare di cui sappiamo già la forma esplicita. Per farlo partiamo dal minimo o dal massimo autostato possibile, ovverosia l, l o l, l. In queste condizioni gli autostati appena citati, applicati ad un qualsiasi opertaore sono nulli in quanto al di fuori dell intervallo [ l, l] non esistono valori permessi di m, per cui, per convenienza, applichiamo L + allo stato l, l ed uguagliamo a zero; dato che è nota l espressione in coordinate polari di L + allora posso scrivere che: L + l, l = e iϕ ( θ + i cot(θ) ϕ ) l, l = e iϕ ( θ + i cot(θ) ϕ ne segue che, risolvendo per separazione delle variabili si ha: ( θ + i cot(θ) ) A(θ) = 0 ϕ A(θ) θ da(θ) A(θ) da(θ) A(θ) = l cos(θ) sin(θ) A(θ) = l cos(θ) sin(θ) dθ d(sin(θ)) = l dθ sin(θ) ln A(θ) = ln sin(θ) l ) A(θ)e ilϕ = 0 (1.35) A(θ) = C l sin(θ) l (1.31) nella quale resta da determinare la costante di integrazione C l la quale deriva risolvendo il seguente integrale di normalizzazione della parte non radiale dell autofunzione: 2π 0 dϕ π 0 Y l,m (θ, ϕ) 2 sin(θ)dθ = 2π 0 dϕ π 0 C l sin(θ) l e ilϕ 2 sin(θ)dθ = 1 (1.32) Da questa normalizzazione risulta che il valore della costante di integrazione in funzione di l sarà il seguente 5 : (2l + 1)! C l = 2 l l! (1.33) 4π 4 Dato che e inπ = ±1 per n intero. 5 L integrale di normalizzazione non viene svolto in quanto non è banale dal punto di vista del calcolo.

10 10 CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE In definitiva l autofunzione del momento angolare orbitale per m l sarà la seguente: (2l + 1)! l, l = Y l,l (θ, ϕ) = 2 l l! 4π sin(θ)l e ilϕ (1.34) nella quale la fase associata alla costante di integrazione è stata posta uguale a zero per comodità. Tutte le altre autofunzioni si troveranno applicando l operatore di servizio L allo stato l, l, ovvero Y l,m (θ, ϕ) = l, m = L l, l = L Y l,l (θ, ϕ) (1.35) L applicazione di questo operatore fornisce la formula più generale che comprende, al variare di l ed m, la parte non radiale delle diverse autofunzioni del momento angolare orbitale; la parte non radiale delle autofunnzioni prende anche il nome di armoniche sferiche 1.2 Proprietà delle armoniche sferiche Data l importanza delle armoniche sferiche (in quanto vedremo che esse ricorreranno anche nelle autofunzioni di altri operatori) è utile calcolarne alcune ed enunciare delle proprietà utili ai calcoli. Le principali armoniche sferiche per l = 0, 1, 2 sono raccolte nella seguente tabella: l m Y l,m π π sin(θ) eiϕ 3 0 4π cos(θ) π sin2 (θ) e 2iϕ π sin(θ) cos(θ) eiϕ ( 0 3 cos 2 (θ) 1 ) 5 16π Nella tabella precedente non sono state inserite le armoniche sferiche relative agli m negativi in quanto per il calcolo di queste ultime sussite la seguente relazione: Y l, m (θ, ϕ) = ( 1) m Y l,m(θ, ϕ) (1.36) Comportamento delle armoniche sferiche sotto partità. In pratica cosa succede quando si applica l operatore parità P ad uno stato descritto da un armonica sferica? Ciò che accade è che, in coordiante cartesiane il vettore posizione si trasforma in modo che P φ( x) = φ( x), ma, in coordnate sferiche, operare per riflessione vuol dire mandare r r ; θ π θ ; ϕ ϕ + π (1.37) per cui si verifica che le armoniche sferiche si modificano semplicemente applicando una costante dipendnete da l, ovverosia: P Y l,m (θ, ϕ) = ( 1) l Y l,m (θ, ϕ) (1.38) in cui ( 1) l è l autovalore associato all operatore parità. Ortogonalità e proiezione di uno stato. Così come accade nel caso unidimesnizonale, anche nel caso tridimensionale (di cui il momento angolare orbitale è il primo esempio) la relazione di ortogonalità si scrive nella forma canonica, ossia π 0 sin(θ)dθ 2π 0 Y l,m(θ, ϕ)y l,m (θ, ϕ)dϕ = δ l,l δ m,m (1.39) nella quale l l e m m, ed inoltre δl, l e δm, m rappresentano il simbolo di Kronecher, per cui saranno non nulli ed uguali ad uno se e solo se, rispettivamente si avrà che l = l ed m = m. Inoltre, data una generica funzione d onda g(θ, ϕ), rappresentante uno stato qualsiasi del sistema, si ha che la sua proiezione nella base delle autofunzioni dell operatore momento angolare sarà: g(θ, ϕ) = + l l=0 m= l C l,m Y l,m (θ, ϕ) con C l,m = π 0 sin(θ)dθ 2π 0 Y l,m(θ, ϕ)g(θ, ϕ)dϕ (1.40)

11 Capitolo 2 Spin 2.1 Esperimento di Stern - Gerlach Supponiamo di avere un forno in cui è contenuto dell argento; da un foro presente sulla parete del forno fuoriesce un gascio di atomi di Ag; l Ag ha 47 elettroni, di cui quello di valenza è posto su un orbitale di tipo s, per cui ha l = 0 e dunque momento angolare orbitale nullo. Il fascio viene collimato mediante dei piani forati e viene fatto passare attraverso un magnete il cui traferro è fatto a cuneo in modo da provocare un campo magnetico fortemente disomogeneo in cui prevale la componente z della forza secondo la relazione F = ( e L 2mc B ) = ( µ B ) = B z µz z ˆk (2.1) Il fatto che prevalga la sola componente z della forza dipende espressamente dalla disomogeneità del campo nel traferro. É, inoltre, necessario specificare che l atomo d argento possiede momento angolare orbitale totale sostanzialmente nullo, in quanto la distribuzione di carica è tale da annullare vicendevomente il momento orbitale totale, in più l unico elettrone che potrebbe squilibrare il sistema è quello di valenza, ma esso è di tipo s, per cui ha momento angolare orbitale nullo in quanto gli orbitali s hanno l = 0. Utilizzando lo schema classico di ragionamento ci si aspetterebbe che, non avendo direzioni privilegiate di orientazione per via del fatto che L Ag,T ot = 0, ogni singolo atomo venga deviato nella direzione z della forza F. Il risultato dell esperimento è differente: il fascio di atomi si suddivide in due zone di aggregazione sul piano ortogonale al fascio; la prima zona si ha per le z positive, la seconda per le z negative. Ciò è del tutto incongruente con la teoria classica del momento angolare orbitale, infatti, se esso è nullo, come si spiega questa doppia distribuzione? Ripetendo l esperimento con un fascio di atomi di Ag ionizzati, ossia privi dell elettrone di valenza, il risultato ottenuto è quello classico: una sola zona di aggregazione nella direzione positiva dell asse z. Tutto ciò induce a pensare che la soluzione del mistero risieda nell elettrone. Nel 1925 due giovani fisici Uhlenbeck e Goudsmit ebbero l ardire di pubblicare un articolo in cui si ipotizzava, per la prima volta, che l esprimento di Stern - Gerlach trovava spiegazione se si fosse associato all elettrone un momento angolare intrinseco detto spin, il quale potesse assumere solo i seguenti valori: /2 e + /2. Ciò spiegava le due zone di aggregazione del fascio di atomi di Ag non ionizzato. La comunità scientifica non accolse con favore questa idea in quanto, come parecchie altre idee della fisica atomica dell epoca, era completamente al di fuori dell ortodossia accademica della Meccanica Classica. Infatti non si riscontrava nessuna ragione fisica valida per la quale l elettrone dovesse avere un momento angolare intrinseco 1, il quale aveva anche la caratteristica di essere quantizzato ossia tale da assumere uno spettro di valori discreti. C è un modo per visualizzare lo spin? Nell interpretazione classica del modello atomico (sistema planetario) si può pensare che l elettrone ruota su se stesso, e questa rotazione è la causa del momento angolare intrinseco. In questa interpretazione anche la rotazione stessa deve essere considerata intrinseca, ossia tale che, nel caso di ingerenze esterne sul sistema (ad esempio l arrivo di un fotone di energia 1 Termine che stava a sottolineare il fatto che fosse una quantità che la natura gli aveva associato e continuava ad esistere anche quando l elettrone era libero, ossia quando l elettrone poteva essere considerato come un sistema isolato. 11

12 12 CAPITOLO 2. SPIN sufficiente a modificare lo stato dell elettrone) l elettrone non perda o modifichi questa rotazione. É necessario specificare che questa intepretazione è solo una modellizzazione classica di un fenomeno quantistico, dunque un interpretazione non confacente alla realtà, tant è che se si considera l elettrone, non più come una pallina di massa m e e carica e, bensì come una nube elettronica delocalizzata 2, la precedente interpretazione perde completamente di senso. Accettata, quindi, l idea di spin, l esperienza fenomenologica mostra che esistono due classi di particelle che si distinguono per i valori di spin che possono assumere: i fermioni che posseggono valori si spin semi-intero (escluso lo zero), ed i bosoni che hanno valori di spin intero (incluso lo zero). Di seguito sarà sviluppata la teoria matematica per i fermioni. 2.2 Formulazione matematica per i fermioni ( s = 1/2) In questo paragrafo analizzeremo lo sviluppo della teoria operatoriale per i fermioni, particelle con spin semintero e non nullo. Supponiamo che l operatore di spin sia definito come S = (S x ; S y ; S z ) e prendiamo un generico versore ê; per via di quanto descritto nell esperimento di Stern - Gerlach, lo spin può assumere solo valori /2 e + /2, per cui questi saranno anche gli autovalori dell operatore S, per cui in generale, l equazione di Schrödinger stazionaria può essere scritta come: S ê ê, ± = ± ê, ± (2.2) 2 ma, per via della generalità del versore scelto, si può semplificare il tutto scegliendo la direzione z ed il suo versore ˆk, cosichhè, lo stesso operatore S potrà essere sostituito con la sua componente S z, si ha quindi, che: S z ˆk, + = + 2 ˆk, + (2.3) S z ˆk, = 2 ˆk, (2.4) Inoltre, per semplicità di notazione si ha l abitudine di indicare gli autostati dell operatore spin nei seguenti modi equivalenti: per cui l equazione agli autovalori prende la seguente forma: ˆk, + + (2.5) ˆk, (2.6) S z + = + + (2.7) 2 S z = (2.8) 2 Dato che, come si è verificato per via sperimentale, lo spin è un osservabile fisica, risulterà, per via dei postulati della Meccanica Quantistica, che S z è un operatore hermitiano, ciò implica che i suoi autostati formeranno una base completa ortonormale per lo spazio di Hilbert associato; per gli autostati varranno quindi le seguenti proprietà: = 0 ; = = 1 (2.9) A questo punto, per trovare la forma esplicita della base utilizzata, possiamo ragionare come segue: prendiamo, ad esempio, l operatore S 3 z e scriviamolo nella base scelta, ovvero applichiamo la seguente relazione: ( ) Sz S S z = z (2.10) S z S z 2 Interpretazione probabilistico - quantistica dell elettrone 3 Questo ragionamento si estende in maniera analoga anche a S x ed S y.

13 2.3. IL MOMENTO MAGNETICO 13 Essendo noti gli autovalori dell operatore si possono sostituire all operatore stesso. l autovalore positivo, ottenendo che: ( S z = 2 2 ) 2 2 = ( ) 2 = ( ) Sostituiamo (2.11) per l autovalore negativo, invece, si ottiene che: ( S z = 2 2 ) 2 2 = 2 ( ) = ( ) (2.12) Questa forma non è corretta, in quanto lo stesso operatore è rappresentato da due matrici diverse, quindi la base è differente per i due autovalori. Se applico gli autostati up e down all operatore scritto in forma matriciale ottengo che: ( ) 1 0 S z = 2 ( S z = ( 1 0 = ) = 2 ( ) ( ) 1 = 0 2 σ y ) ( ) 0 = 1 2 σ y (2.13) Tutto ciò dimostra che la base di autostati dell operatore S z è la seguente: ( ) ( ) 1 0 = ; = 0 1 (2.14) inoltre è stata introdotta una delle tre matrici di Pauli, ossia qualla relativa alla componente S z trattata nell esempio. Le tre matrici di Pauli, ricavabili in modo analogo a quello svolto per la matrice σ z sono le seguenti: σ x = ( ) ; σ y = ( 0 i i 0 ) ; σ z = ( ) (2.15) Esse rappresentano le matrici del cambiamento di base dalla componente dell operatore spin corrispondente, da una base qualunqe alla base degli autostati up e down. Il formalismo sviluppato per il momento angolare orbitale può essere esteso, senza nessuna modifica formale, anche al momento angolare intrinseco. L unica differenza consiste nel cambio di notazione, infatti indicheremo con s i numeri quantici indicati con l nel caso del momento angolare orbitale. Avremo quindi che: S ± = S x ± is y ; S x = S ++S 2 ; S y = S + S 2i Per ciò che riguarda i commutatori possiamo scrivere che: (2.16) [S i, S j ] = i ɛ ijk S k ; [S z, S ± ] = ± S ± ; [S +, S ] = 2 z (2.17) Inoltre, così come è stato fatto per il momento angolare orbitale, anche in questo caso si definiscono i seguenti operatori: { S 2 s, m = s(s + 1) 2 s, m (2.18) S z s, m = m s, m in cui s prende solo valori seminteeri e diversi da zero per via del fatto che in questo paragrafo stiamo sviluppando la teoria per i f ermioni. 2.3 Il momento magnetico Se si considera l approccio classico alla teoria atomica è possibile riscontrare che esiste un momento magnetico m L associato al momento angolare orbitale L. Ci chiediamo, cosa c entra tutto questo con lo spin? La risposta è semplice: essendo lo spin un momento angolare, allora sarà possibile associare anche

14 14 CAPITOLO 2. SPIN ad esso un momento magnetico m S, che in generale sarà diverso dal momento magnetico associato al momento angolare orbitale, ossia m L m S. Cominciamo a ricavarci la relazione tra m L ed L. Dato un elettrone di carica e che ruota attorno ad un protono con un periodo T, è chiaro che la corrente elettrica che genererà sarà I = dq/dt = e/t. Per scrivere questa corrente in funzione del momento angolare possiamo ricordare che il periodo è dato dalla distanza percorsa nell unità di tempo (ossia la lunghezza l = 2πr della circonferenza dell orbita) diviso la velocità v dell elettrone. Sostituendo nella formula della corrente e moltiplicando numeratore e denominatore per m r si ottiene che: I = e T = e v l = e v 2πr = e v r m 2πr 2 m = e L 2πr 2 m (2.19) A questo punto l orbita elettronica può essere considerata come una spira percorsa da corrente e conseguenzialmente è possibile applicare ad essa il teorema di Ampere, secondo il quale il modulo del momento magnetico applicato alla spira percorsa da corrente è il prodotto della corrente per l area della spira: m L = A I = πr 2 e L 2πr 2 m = el 2m (2.20) Moltiplicando e dividendo quest ultima per otteniamo che la costante di proporzianalità che ne deriva è indipendnete dall atomo e prende il nome di magnetone di Bhor µ B m L = e 2m L m L = µ B L (2.21) Ora ci chiediamo: il momento magnetico di spin m S come sarà fatto? Possiamo ipotizzare che sia proporzioanle ad m l per un fattore g detto fattore giromagnetico, cosicchè si avrà: m S = g µ B L = g m L (2.22) Si ricava sperimentalmente che il fattore giromagnetico per l elettrone ha il seguente valore: g = m S m L = (2.23) Risulta, quindi evidente che il momento magnetico dell elettrone sarà la somma dei due momenti magnetici appena calcolati, ovverosia: m = m L + m S = (1 + g)m L (2.24)

15 Capitolo 3 Sistemi di particelle identiche 3.1 Principio di indistinguibilità Supponiamo di avere due particelle, che abbiano loro proprietà intrinseche (massa, spin, carica,...) ugualitra loro, e le inidvidueremo con le variabili ξ 1 e ξ 2, rispettivamente per la prima e la seconda particella. Secondo la Meccanica Classica, assegnati i dati iniziali (posizione e velocità), è possibile, mediante il formalismo hamiltoniano, conoscere la posizione e la velocità di ognuna delle singole particelle in qualsiasi istante del loro moto, in quanto l hamiltoniana è invariante sotto scambio di particelle. In Meccanica Quantistica, il concetto di traiettoria non è più valido per via del Principio di Indeterminaizone; ciò implica che la sostituzione del concetto di traiettoria con il concetto di probabilità di trovare la particella in una data regione di spazio, propbabilità calcolata a partire dal modulo quadro della funzione d onda della particella stessa. Dunque l applicazione del Principio di Indeterminazione porta a non poter conoscere con assoluta certezza l istante o la poszione iniziale (o ad una dato istante generico) di nessuna delle particelle considerate, ne consegue che, se esse sono identiche, saranno quindi indistinguibili. Riassumendo, possiamo dire che: Meccanica Classica : due particelle identiche sono sempre distinguibili, per via del determinismo che regola le equaizoni del moto. Meccanica Quantistica : due particelle identiche sono sempre indistinguibili, per via del Principio di Indeterminazione che ne regola il moto. 3.2 Funzione d onda delle particelle identiche Supponiamo di avere un sistema quantistico con N particelle identiche (quindi indistiguibili), la funzione d onda che descriverà il generico stato del sistema sarà del tipo: ψ = ψ(ξ 1,..., ξ j,..., ξ k,..., ξ N ) (3.1) se scambiamo lo stato di due particelle qualsiasi, la funzione d onda verrà scritta nel modo seguente: ψ = ψ (ξ 1,..., ξ k,..., ξ j,..., ξ N ) (3.2) le due funzioni d onda, per via del Principio di Indistinguibilità per particelle identiche, potranno variare tra loro al più di un fattore di fase arbitrario, ossia si avrebbe che: ψ = e iα ψ ψ (ξ 1,..., ξ k,..., ξ j,..., ξ N ) = e iα ψ(ξ 1,..., ξ j,..., ξ k,..., ξ N ) (3.3) Se riportiamo il sistema nelle condizioni iniziali, effettuiamo un secondo scambio di particelle identiche, il quale modificherà di un altro (identico) fattore di fase la funzione d onda, ossia: ψ = e iα ψ ψ = e 2iα ψ (3.4) dato che le particelle sono tornate nella posizione di partenza, allora ψ coincide con ψ e dunque la relazione precedente si riduce semplicemente alla: e 2iα = 1 ( e iα) 2 = 1 e iα = ±1 (3.5) 15

16 16 CAPITOLO 3. SISTEMI DI PARTICELLE IDENTICHE Questo risultato così semplice ha un significato fisico molto profondo: sotto scambio di particelle le funzioni d onda non si modificano nella loro forma, bensì diventano solamente simmetriche o antisimmetriche rispetto alla funzione originaria (prima dello scambio). Ora la domanda è: da cosa dipende la parità della funzione sotto scambio? Detta in modo meno tecnico: il fatto che un funzione passi da simmetrica ad antisimmetrica oppure da simmetrica a simmetrica a cosa è legato? Semplicemente alla natura di spin delle particelle. In precedenza si è detto che le particelle con spin intero o nullo vengono chiamate bosoni, mentre quelle con spin semintero prendono il nome di fermioni. Si dimostra che: i bosoni hanno funzioni d onda simmetriche sotto scambio di particelle identiche; i fermioni hanno funzioni d onda antisimmetriche sotto scambio di particelle identiche A questo punto è utile fare un esempio di come si compongono le funzioni d onda di due particelle, a seconda che siano fermioni o bosoni. Supponiamo di avere due particelle identiche le cui proprietà intrinseche sono descritte, rispettivamente da ξ 1 e ξ 2, e supponiamo che esse si trovino in un sistema che possegga solamente due stati quantistici s 1 ed s 2 ; la funzione d onda risultante deve tener conto delle diverse probabilità, ossia che la particella (1) si trovi nello stato (1) e la particella (2) nello stato (2), sommata alla probabilità che accada il contrario (quindi bisogna invertire le particelle identiche), per i bosoni si ha che: mentre per i fermioni si ha: ϕ B (ξ 1, ξ 2 ) = 1 2 (ψ s1 (ξ 1 )ψ s2 (ξ 2 ) + ψ s2 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 )) (3.6) ϕ F (ξ 1, ξ 2 ) = 1 2 (ψ s1 (ξ 1 )ψ s2 (ξ 2 ) ψ s2 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 )) (3.7) A questo punto ci chiediamo: ma se le due particelle si trovano nello stesso stato quantistico, ad esempio s 1, cosa accade? A seconda che le particelle siano bosoni o fermioni, si ha che: ϕ B (ξ 1, ξ 2 ) = 1 2 (ψ s1 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 ) + ψ s1 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 )) = 2ψ s1 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 ) (3.8) mentre per i fermioni si ha: ϕ F (ξ 1, ξ 2 ) = 1 2 (ψ s1 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 ) ψ s1 (ξ 1 )ψ s1 (ξ 2 )) = 0 (3.9) Il fatto che due fermioni identici non possano occupare lo stesso stato quantico (perchè lo dimostra il fatto che quando ciò accade la funzione d onda si annulla) prende il nome di Principio di esclusione di Pauli.

17 Capitolo 4 Addizione dei momenti angolari 4.1 Introduzione In Meccanica Quantistica come si sommano due momenti angolari 1? Dunque il problema che si pone è sostanzialmente di due tipi: in un sistema atomico è necessario sommare il momento angolare orbitale con il momento angolare intrnseco dell elettrone, ovverosia J = L + S, oppure ci si può trovare di fornte alla somma di momenti angolari intrinseci o orbitali di più elettroni, ossia J = L 1 + L 2, oppure J = S 1 + S 2. In generale, indicando con J i con i = 1, 2 i generici momenti angolari (intrinseci od orbitali), il problema da risolvere è il seguente: J = J 1 + J 2 (4.1) La difficoltà di questo problema risiede nella natura stessa dei momenti angolari, i quali, nel formalismo quantistico non sono dei puri e semplici vettori, bensì, come si è visto in precedenza, sono degli operatori. Dunque la loro somma deve essere trattata con cautela. 4.2 Formalismo matematico La prima cosa da ricordare è che i due momenti angolari Ji con i = 1, 2 sono posseggono tutte le caratteristiche generali già ricavate in precedenza. Ricordiamo, quindi, che, per essi valgono le: J 1 2 j 1, m 1 = j 1 (j 1 + 1) 2 j 1, m 1 ; J 2 2 j 2, m 2 = j 2 (j 2 + 1) 2 j 2, m 2 J 1,z j 1, m 1 = m 1 j 1, m 1 ; J 2,z j 2, m 2 = m 2 j 2, m 2 (4.2) Per via del fatto che i due momenti angolari trattati sono due osservabili indipendenti, segue che il loro commutatore è nullo. Ciò garantisce che, per essi, valgono tutte le proprietà ricavate per il momento angolare orbitale, ovverosia: [ J 1, J 2 ] = 0 ; [J 1i, J 1j ] = i ɛ ijk J 1k ; [J 2i, J 2j ] = i ɛ ijk J 2k (4.3) Queste proprietà garantiscono che tutte le proprietà suddette valgono anche per il momento angolare totale J, dato come somma dei due. Come verifica di questa affermazione possiamo calcolare il commutatore delle compoenenti di J e verificare che anche per esso risulti che [J i, J j ] = i ɛ ijk J k ; si ha, infatti, che: [J i, J j ] = [(J 1i + J 2i ), (J 1j + J 2j )] (4.4) = [J 1i, J 1j ] + [J 2i, J 2j ] = i ɛ ijk J 1k + i ɛ ijk J 2k = i ɛ ijk (J 1k + J 1k ) = i ɛ ijk J k 1 Se, ad esempio, una particella possiede un momento angolare orbitale L, oltre al suo intrinseco spin S, come si procede? 17

18 18 CAPITOLO 4. ADDIZIONE DEI MOMENTI ANGOLARI Dunque la validità di quest ultima relazione garantisce che la quantità J possiede tutte le proprietà dei momenti angolari, quindi, di fatto, può essere interpretata come momento angolare risultante. A questo punto ci chiediamo: è possibile sfruttare le autofunzioni e gli autovalori di J 1 e J 2 per trovare le autofunzioni e gli autovalori di J? In linea di principio è possibile in quanto si è dimostrato che per J valgono le regole di commutazione che valgono per qualsiasi momento angolare. Scriveremo allora l autostato di J come prodotto degli autostati di J 1 e J 2, ossia: j 1, m 1 j 2, m 2 = j 1 j 2, m 1 m 2 (4.1) É di fondamentale importanza notare che il prodotto degli autostati, èer via delle regole di commutazione nulle, è autofunzione degli operatori J 1, J 2, J 1z, J 2z e J z, in quanto J commuta con ognuno di essi. Formalmente tutto questo significa che: J 2 1 j 1 j 2, m 1 m 2 = j 1 (j 1 + 1) 2 j 1 j 2, m 1 m 2 J 2 2 j 1 j 2, m 1 m 2 = j 2 (j 2 + 1) 2 j 1 j 2, m 1 m 2 J 1,z j 1 j 2, m 1 m 2 = m 1 j 1 j 2, m 1 m 2 J 2,z j 1 j 2, m 1 m 2 = m 2 j 1 j 2, m 1 m 2 J z j 1 j 2, m 1 m 2 = (m 1 + m 2 ) j 1 j 2, m 1 m 2 (4.2) Tutto ciò porta a concludere che essi formano una base, in quanto commutano tra loro, e una base che solitamente si sceglie è quella composta dai seguenti operatori: J 2 1 ; J 2 2 ; J 1,z ; J 2,z (4.3) Ma essa, come si può notare, lega solo i diversi momenti angolari componenti e non il momento angolare risultante. Una base che prevede anche l introduzione degli operatori J 2 e J z è quella formata dai seguenti operatori: J 2 1 ; J 2 2 ; J 2 ; J z (4.4) nella quale non compaiono J 1z e J 2z in quanto dimostreremo tra un attimo che essi non commutano con J 2, ossia che [ J 2, J iz ] 0 con i = 1, 2. Dunque gli autostati di questa base, per lo stesso motivo della 4.2 dipenderanno dai numeri quantici j ed m relativi a J 2 e a J z, ma anche dai numeri quantici j 1 e j 2 relativi J 1 2 J 2 2, per cui saranno del tipo jm, j 1 j 2. Lo scopo è quello di poter esprimere la somma dei momenti angolari in entrambe le basi citate, ma per farlo è necessario trovare la trasformazione che ci porti dall una all altra base, ovverosia i coefficienti della combinazione lineare degli stati jm, j 1 j 2, in funzione degli stati j 1 j 2, m 1 m 1. In maniera formale, il problema da risolvere è quello di trovare i coefficienti della seguente combinaizone lineare: jm, j 1 j 2 = c m1,m 2 j 1 j 2, m 1 m 1 = j 1 j 2, m 1 m 1 j 1 j 2, m 1 m 1 jm, j 1 j 2 (4.5) m 1,m 2 m 1,m 2 in cui i termini c m1,m 2 = j 1 j 2, m 1 m 1 jm, j 1 j 2 sono detti coefficienti di Clebsch - Gordan. In precedenza non è stata dimostrata la proprietà [ J 2, J iz ] 0 con i = 1, 2, per cui è necessario, ora, dimostrarla. Dim: [ J 2, J iz ] 0: come prima cosa scriviamo J 2 in modo esteso, così da avere che: J 2 = J J J 1 J2 = {}}{ = J1 2 + J J 1x J 2x + 2J 1y J 2y +2J 1z J 2z = A = J J J 1z J 2z + A (4.4) A questo punto scriviamo A in funzione degli operatori di creazione e distruzione, nel seguente modo: [ ] J1+ + J 1 2J 1x J 2x = 2 J2+ + J 2 = 2 2 = 1 2 [J 1+J 2+ + J 1+ J 2 + J 1 J 2+ + J 1 J 2 ] (4.4)

19 4.2. FORMALISMO MATEMATICO 19 [ ] J1+ J 1 2J 1y J 2y = 2 J2+ J 2 = 2i 2i = 1 2 [J 1+J 2+ J 1+ J 2 J 1 J 2+ + J 1 J 2 ] (4.4) Sommando membro a membro queste due relazioni si ottiene che: 2J 1x J 2x + 2J 1y J 2y = J 1 J 2+ + J 1+ J 2 = A (4.5) dunque J 2 può essere scritto, in funzione degli operatori di servizio, come: J 2 = J J J 1x J 2x + J 1 J 2+ + J 1+ J 2 (4.6) Sviluppiamo il commutatore e sostituiamo al suo interno la 4.2, ottenendo: [ J 2, J 1z ] = J 2 J 1z J 1z J 2 = = (J 1 J 2+ + J 1+ J 2 ) J 1z J 1z (J 1 J 2+ + J 1+ J 2 ) = = J 1 J 2+ J 1z J 1z J 1 J 2+ + J 1+ J 2 J 1z J 1z J 1+ J 2 = [J 1 J 2+, J 1z ] + [J 1+ J 2, J 1z ] (4.4) dove si ricorda che J 1z commuta con J 2 1 e J 2 2 e quindi i prodotti con questi operatori si annullano. Ricordando che [J z, J i± ] = ± J i± ed utilizzando la seguente proprietà dei commutatori: [ab, c] = a[b, c] + [a, c]b (4.5) si ottiene che: [ J 2, J 1z ] = [J 1, J 1z ] J z+ + J 2 [J 1+, J 1z ] = = (J 1 J 2+ + J 2 J 1+ ) 0 (4.5) Ovviamente lo stesso ragionamento può essere fatto per il commutatore [ J 2, J 2z ] ottenendo un risultato analogo. C.V.D.

20 20 CAPITOLO 4. ADDIZIONE DEI MOMENTI ANGOLARI

21 Capitolo 5 Il potenziale centrale 5.1 Particella sottoposta ad un campo centrale Ci occuperemo, ora, dell interpretazione quantisctica del moto di una particella di massa m all interno di un campo di forze descritto da un potenziale centrale. Il prolema verrà trattato in coordinate sferiche, quindi le autofunzioni che troveremo saranno nelle variabili r, θ, ϕ. Vedremo inoltre che, grazie alla conoscenza delle autofunzioni del momento angolare, sarà possibile separare la parte radiale dell autofunzione dalla parte angolare, ipotizzando che la parte angolare sia descritta proprio dalle armoniche sferiche Y l,m (θ, ϕ) precedentemente studiate. Come prima cosa, a partire dall hamiltoniana classica, scriviamo la sua forma in coordinate sferiche 1 : P H = 2 ( V ( r ) H = 2m 2m r r 2 ) + L 2 + V (r) (5.1) 2mr2 Applicandola all eq.ne di Schrödinger stazionaria, ed inserendo, in essa l ipoesi semplificativa preannunciata, secondo la quale lo stato ψ(r, θ, ϕ) = R(r) Y l,m (θ, ϕ), si ottiene: [ Hψ(r, θ, ϕ) = Eψ(r, θ, ϕ) = ( 1 2 ) L 2m r r 2 + ] 2 2mr 2 + V (r) R(r) Y l,m (θϕ) (5.2) la quale si riduce facilmente alla successiva sostituendo i gli autovalori e semplificando la parte angolare: [ ( 1 2 ) ] l(l + 1) 2 2m r r 2 + 2mr 2 + V (r) R(r) = ER(r) (5.3) Ne segue che, il nostro problema risiede nel trovare la forma esplicita della R(r). Per scrivere quest ultima relazione in una forma tale da poter essere risolta, ipotizziamo che la R(r) abbia un andamento del tipo R(r) = u(r)/r in cui, ovviamente u(r) sia da determinare; sostituendo questo andamento nella 5.1 si ottiene che: d 2 l(l + 1) 2 + 2m dr2 2mr 2 + V (r) u(r) = Eu(r) (5.4) }{{} V eff in questo modo risulta evidente che il termine denominato con l indicazione V eff rappresenta il cosiddetto potenziale efficace, ovverosia la somma di un potenziale centrale ancora generico V (r) e di un termine centrifugo. I tre andamenti sono graficati in Figura 5.1. In ogni caso, prima di procedere alla soluzione dell equazione differenziale, è opportuno discutere circa le condizioni al contorno necessarie. La più importante condizione al contorno è quella per cui la soluzione non deve avere singolarità in zero, per cui u(0) = 0. Per la risoluzione esplicita, però, conviene applicare delle ipotesi semplificative: possiamo trovare la soluzione prima nel limite r 0 è poi per r. 1 Il procedimento per effettuare questo passaggio non è immediato ed è descritto a pag 133 del testo Meccanica Quantistica - Franz Schwabl - Zanichelli Editore. 21

22 22 CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE Figura 5.1: Potenziali a confronto: dal basso verso l alto si ha il potenziale gravitazionale 1/r, il potenziale efficace ed il potenziale centrifugo 1/r 2.

23 5.2. POTENZIALE DI COULOMB: RICERCA DEGLI AUTOVALORI 23 Soluzione per r 0: in questo caso la 5.1 può essere scritta, portando al primo membro l energia, come: [ d 2 ] l(l + 1) 2 + 2m dr2 2mr 2 + (V (r) E) u(r) = 0 (5.5) nella quale si può noatre che per distanze piccole il termine crescente è dominante rispetto al termine (V (r) E), in quanto quest ultimo, al più, andrà come 1/r, mentre il termine centrifugo va come 1/r 2. Ciò implica che [ 2m d 2 l(l + 1) 2 + dr2 2mr 2 ] u(r) = 0 u(r) = Ae l+1 + Be l (5.6) Il termine Be l, però, è incompatibile con la condizione di normalizzazione in quanto fà divergere il modulo quadro della funzione d onda, per cui la soluzione, in questo limite deve essere della forma u(r) = Ae l+1 (5.7) in cui la il termine A, in generale, può dipendere da r (in seguito ci occuperemo in dettaglio di questo termine). Soluzione per r : quando r è grande, invece, è l intero potenziale efficace che può essere trascurato, in quanto predomina il termine E, cosicchè la 5.1 sarà semplicemente: [ 2m d 2 dr 2 ] u(r) = Eu(r) u(r) = Ce 2m( E) r + De + 2m( E) r ma anche in questo caso, la costante di normalizzazione impone che la funzione d onda, all infinito si annulli, dunque il termine con esponente positivo (divergente) deve essere nullo, dunque la soluzione sarà: (5.8) u(r) = Ce 2m( E) r = Ce κr (5.9) 5.2 Potenziale di Coulomb: ricerca degli autovalori Fino ad ora non è stato specificato il tipo di potenziale al quale era sottoposta la particella, ora considereremo il caso di un elettrone nel campo di un nucleo atomico. Il potenziale in questione è il potenziale di Coulomb: V (r) = q2 1 4πɛ 0 r = e2 r (5.10) in cui q è la carica del singolo elettrone dell atomo considerato. Per la soluzione del problema agli autovalori è necessario risolvere la seguente equazione differenziale: [ 2m d 2 l(l + 1) 2 + dr2 2mr 2 ] e2 r E u(r) = 0 (5.11) A questo punto è opportuno effettuare un cambio di variabile, ovverosia, invece di studiare la soluzione in funzione di r, possiamo introdurre la variabile adimensionale ρ = r a 0 = r me2 2 d2 dr 2 = 1 d 2 a 2 0 dρ 2 (5.12) quindi, sostituendo il tutto nella 5.2 si ottiene che: [ me4 d dρ 2 + me4 l(l + 1) 2 2 ρ 2 me4 1 2 ρ E ] u(ρ) = 0 (5.13)

24 24 CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE a questo punto metto in evidenza la quantità me 4 /2 2 ed impongo che E i me 4 /2 2, ottenendo che: [ me4 d 2 l(l + 1) 2 2 dρ2 ρ ) ] ( ρ 2 2 me 4 E u(ρ) = 0 (5.14) semplificando ed imponendo che λ 2 = E/E i si ottiele l equazione differenziale da risolvere: [ d 2 l(l + 1) dρ2 ρ 2 + 2Z ] ρ λ2 u(ρ) = 0 (5.15) La soluzione di una equazione differenziale di questo tipo è data dalla seguente funzione [ ] k 1 u(ρ) = y(ρ)e ρλ = c 0 + c s ρ s e ρλ = ( c 0 + c 1 ρ + c 2 ρ c k 1 ρ k 1) e ρλ (5.16) s=1 con k = 1, 2, 3,... La serie che compare nella soluzione in realtà è una serie troncata, per cui è, di fatto, un polinomio di grado k 1. Ricordiamo, inoltre, che k è il cosiddetto numero quantico radiale è prende solo valori interi. Dallo studio della convergenza della serie, si ricava la seguente relazione tra i coefficienti: c s = 2(λ(s + l) 1) s(s + 2l + 1) c s 1 (5.17) nella quale l indice s è l indice generico della serie. Come si è già detto, per ragioni di convergenza la serie deve essere finita; per via della 5.2 k 1 è il termine con cui termina la serie, quindi per s = k si ha che c k = 0, in quanto il polinomio non ha un termine in k essendo troncato a k 1; ciò comporta che c k = 0 = 2(λ(s + l) 1) k(k + 2l + 1) c k 1 (λ(k + l) 1) = 0 λ = 1 k + l (5.18) sostituendo il valore esplicito di λ e indicando con n = k + l, detto anche numero quantico principale, gli autovalori diventano: λ = 1 k + l E = 1 E i n E = E i n 2 (5.19) in definitiva gli autovalori sono: E n = me n 2 con n = 1, 2, 3,... (5.20) Una volta trovati gli autovalori, ossia la quantizzazione dell energia, è possibile, riunendo i pezzi, calcolare anche la parte radiale delle autofunzioni, ovverosia qualla che inizialmente avevamo inidcato con R(r). Si ha infatti, che R(r) = u(r)/r, ma anche che ρ = r/a 0 per cui, effettuando qualche sostituzione possiamo dire: [ ] [ k 1 k 1 ( ) ] s r u(ρ) = y(ρ)e ρλ = c 0 + c s ρ s e ρλ = c 0 + c s a 0 s=1 s=1 e r a 0 ( k+l) 1 (5.21) dalla quale, dividendo per il raggio, e ponendo l attenzione sulla dipendenza dai numeri quantici k ed l, è possibile scrivere la formula conclusiva della parte radiale: [ R k,l (r) = 1 k 1 ( ) ] s r c 0 + c s r a 0 s=1 e r a 0 ( k+l) 1 (5.22) nella quale il coefficiente c 0 si ricava mediante l imposizione della normalizzazione, mentre i coefficienti c s sono calcolati mediante la 5.2.

25 5.3. ANALISI DEI RISULTATI OTTENUNTI Analisi dei risultati ottenunti Riassumiamo qui di seguito ciò che è stato ottenuto mediante gli sviluppi matematici appena conclusi: mediante l ipostazione quantistica del problema di una particella sottoposta ad un campo di forze coulombiano (problema dell atomo di idrogeno), siamo riusciti a dimostrare che la particella, ovverosia l elettrone, non ha la possibilità di assumere valori continui di energia, ma dei multipli di una certa quantità, per cui le energie che l elettrone può assumere sono regolate dalla seguente formula: E n = me n 2 con n = 1, 2, 3,... (5.23) Nella formula compare il numero quantico principale n, ma è bene ricordare che esso è somma di altri due numeri quantici k ed l, ed, a sua volta, l è legato ad un altro numero quantico m; le relazioni che legano i numeri quantici sono le seguenti: k = 0, 1, 2,... l = 1, 2, 3,..., n 1 n = k + l l < m < l (5.24) Questi risultati erano stati dedotti, per l atomo di idrogeno, anche da Bohr, utilizzando un approccio classico; in raltà però, l approccio quantistico riesce ad andare ben oltre la previsione dell energia, in quanto, nei precedenti paragrafi sono state trovate anche le funzioni d onda che descrivono il fenomeno. Sappiamo bene che le funzioni d onda non sono quantità fisicamente rilevabili, in quanto complesse e non reali, però vale la pena ricordare che il loro modulo quadro rappresenta la probabilità. Nel nostro caso, quindi, rappresentano la probabilità che l elettrone si trovi nello stato quantico descritto dai numeri quantici che associamo alla funzione d onda che stiamo quadrando. Per capire meglio quanto detto è bene visualizzare quale sia la funzione d onda utilizzando i risultati ricavati nei precedenti paragrafi: siamo partiti dicendo che volevamo risolvere l equazione di Schrdoninger stazionaria scrivendo l autofunzione (incognita) come prodotto di una parte radiale R(r) ed una parte descritta dalle armoniche sferiche Y l,m (θ, ϕ), e poi abbiamo calcolato, risolvendo l equaizone differenziale associata, la parte radiale ottenendo la 5.2, quindi la funzione d onda, per una terna generica di numeri quantici n, l, ed m si scrive, formalmente, come: ψ n,l,m (r, θ, ϕ) = R n,l (r) Y l,m (θ, ϕ) (5.25) nella quale si ricorda sempre che n = k + l. In pratica, a seconda del livello energetico, si possono avere una o più funzioni d onda complessive, le quali possono essere sommate e fornire la funzione d onda definitiva del livello energetico considerato. Facendo il modulo quadro di ciò che deriva dalla somma si ottiene la distribuzione di probabilità di trovare l elettrone nello stato descritto dai numeri quantici assegnati alla funzione d onda. Inoltre, è possibile dare una connotazione spaziale a questa distribuzione di probabilità; infatti è possibile calcolare la probabilità di trovare l elettrone tra un valore r ed r + dr di raggio ed all interno dell angolo solido dω, se si calcola, per uno stato assegnato, la seguente ralzione: d 3 P n,l,m = ψ n,l,m (r, θ, ϕ) 2 r 2 drdω = R n,l (r) 2 r 2 dr Y l,m (θ, ϕ) 2 dω (5.26) che, in pratica, rappresenterebbe la cosiddetta nube elettronica, ovverosia la delocalizzaione dell elettrone. A questo punto è opportuno fare una riflessione sul legame che esiste tra gli aurovalori dell energia e la forma che assumono i cosiddetti orbitali. Per orbitali, in effetti, si intende ciò che è stato appena detto, ossia la densità di probabilità di trovare, in una certa regione di spazio, l elettrone appartenente allo stato quantico a cui fa riferimento la funzione d onda. La forma di questa distribuzione, però, è in gran parte determinata dal modulo quadro delle armoniche sferiche, per cui, di solito, basta rappresentare queste ultime, le quali sono funzioni bidimensionali sul piano polare, e farle ruotare attorno al loro asse principale di simmetria per ottenere la forma dell orbitale. Dato che gli orbitali, come si è detto, sono determinati dalle armoniche sferiche, essi, a seconda del valore di l, vengono indicati con le lettere seguenti:

26 26 CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE l Tipo Orbitale s p d f... Il legame tra valori dell energia ed orbitali puo essere chiarito con un esempio: supponiamo di voler calcolare le funzioni d onda per i livelli energetici n = 1 ed n = 2, cio che si otterrebbe e la seguente situaizone: En E1 n 1 l 0 m 0 Orbitale 1s E s ψ2,0, p ψ2,1,1 = Funzione d onda ψ1,0,0 = 1 3 e r/a0 ³ πa0 = ar 0 e r/2a0 8πa0 r r/2a0 e sin θeiϕ πa30 a0 ψ2,1,0 = 1 3 ar0 e r/2a0 cos θ 4 2πa0 ψ2,1, 1 = 1 3 ar0 e r/2a0 sin θe iϕ 8 πa 8 0 Questa tabella dimostra, come, ad esempio, quando l elettrone si trova al livello fondamnetale En la funzione d onda e unica e l orbitale corrisponde ad una sfera, ma gia al primo livello eccitato l elettrone possiede quattro differenti possibili funzioni d onda, le quali, per il principio di sovrapposizione, si sommano, per cui gli orbitali si sovrappongono tra loro. Nella figura che segue sono stati riassunti i legami tra energia e tipo di orbitale corrispettivo.

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