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1 Indice Elenco delle figure Elenco delle tabelle iii v 1. Introduzione 1 2. Metodi numerici di risoluzione di problemi Quanto-Meccanici Metodi a principi primi Metodi Semiempirici Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni Metodo di Hartree Fock Le Equazioni di Hartree-Fock Proprietà della funzione d onda di Hartree-Fock Conseguenze dello Spin Teoria del funzionale densità Teoremi di Hohenberg-Kohn Metodo di Kohn-Sham Approssimazione locale per il potenziale di scambio e correlazione Effetti di core su sistemi nanostrutturati Nanostrutture di carbonio Nanotubi di carbonio Geometria di un nanotubo di carbonio i

2 Indice Proprietà dei nanotubi di carbonio Sistema di lavoro Analisi delle proprietà elettroniche Informazioni generali Autosistema: Energie di core e valenza Densità degli stati e spettro di valenza Fotoemissione da nanotubi di carbonio Risultati Conclusioni 43 A. Unità di misura 44 B. Dettagli computazionali 46 B.1. Introduzione al software GAMESS B.2. Creazione Input B.3. Set di Base B.4. Esempio di input GAMESS Bibliografia 52 ii

3 Elenco delle figure 4.1. Un esempio di nanotubo di carbonio a parete singola e a parete multipla Possibili orientazioni degli esagoni di carbonio in un nanotubo: (a) armchair, (b) zig-zag e (c) chirale Cella unitaria di un nanotubo formato da esagoni di carbonio Densità degli stati di un nanotubo armchair (5, 5), in cui la densità degli stati al livello di Fermi non è nulla, e di un nanotubo a zig-zag (7, 0), dove la densità degli stati al livello di Fermi è nulla Andamento tipico di uno pseudopotenziale in funzione della distanza elettrone-nucleo: in blu è riportata la funzione d onda di un elettrone di valenza che vede gli elettroni di core, in rosso possiamo osservare come cambia la funzione dopo l eliminazione delle shell interne e l applicazione dello pseudopotenziale Struttura del nanotubo di carbonio (3,3) in esame: in viola sono rappresentati gli idrogeni, in grigio gli atomi di carbonio, in arancione gli atomi vicini al carbonio a cui verrà applicata la lacuna di core. L atomo ionizzato si trova al centro tra quelli in arancione Andamento delle energie in funzione degli stati in un nanotubo (3,3) Andamento delle energie in funzione degli stati in un nanotubo (10,10) iii

4 ELENCO DELLE FIGURE 4.9. Densità degli stati:le linee blu e gialla corrispondono al calcolo ionizzato, quelle rossa e verde a quello neutro Spettro di valenza Fotoemissione su nanotubi di carbonio, eccitazioni a uno e a due corpi: andamento della funzione risposta rispetto all energia. La linea gialla rappresenta l andamento di tale funzione in un gas di elettroni liberi, i punti verdi rappresentano la stessa funzione con un allargamento minore. I punti blu rappresentano i dati da noi calcolati secondo la (4.14). La linea gialla è una rappresentazione numerica dei dati ottenuti secondo la (4.17) Risultato sperimentale di un fascio di nanotubi sottoposto a fotoemissione in un sincrotrone. I punti sono il risultato del dato sperimentale, in rosso abbiamo il segnale globale del sistema, in blu la risposta dei nanotubi di tipo zigzag e con gap energetica intorno a 0.8 ev, in verde si hanno i risultati raffiguranti i tubi di tipo armchair e con gap energetica inferiore rispetto alla precedente. 42 iv

5 Elenco delle tabelle 4.1. Stati ed energie significative nel nanotubo (3, 3) Stati ed energie significative nel nanotubo (10, 10) v

6 Capitolo 1 Introduzione La meccanica quantistica è una teoria che descrive il comportamento della radiazione, della materia e delle loro interazioni, con particolare interesse ai fenomeni tipici delle scale di lunghezza o energia dell ordine atomico o subatomico. Gli esperimenti effettuati in questo ultimo secolo hanno potuto dimostrare la validità di questa teoria. È noto però che sono pochi i problemi a cui si riesce a dare una soluzione analitica. Si possono, infatti, determinare gli stati stazionari ed i livelli energetici di una particella in una buca di potenziale, dell oscillatore armonico, o ancora dell atomo di idrogeno. Quando si ha un problema in cui è presente più di un elettrone, la risoluzione diventa alquanto laboriosa, fino ad essere estremamente difficile se non impossibile. Si devono allora utilizzare delle procedure di approssimazione che consentono di indagare su particolari proprietà del sistema. Alcuni di questi metodi sono stati codificati negli ultimi due decenni in software di calcolo, di cui cercheremo di illustrare le caratteristiche principali. La ricerca in Fisica della materia dell ultimo decennio si è in larga parte basata sullo studio di sistemi estesi su scale di lunghezza molto piccole, dell ordine del nanometro. Tali sistemi possono essere pensati come composti molecolari, i quali presentano un grande numero di particelle fortemente correlate e interagenti con varie forme di radiazione. Le peculiarità di questi fenomeni sono interesse strategico, sia da un punto di vista fondamentale che tecnologico. Storicamente, l effetto fotoelettrico rappresenta uno dei primi studi dell interazione di una radiazione elettromagnetica con un sistema di elettroni interagenti. 1

7 Cap. 1 Introduzione Fu Albert Einstein, che nel 1905 riuscì a fornire una spiegazione del fenomeno, noto fin dal 1880, introducendo il concetto di fotone e contribuendo allo sviluppo dell ipotesi di Planck sulla quantizzazione della materia, interpretazione che gli valse il premio Nobel per la Fisica nel Ulteriori conferme sulla quantizzazione della materia provengono del modello semiclassico di Niels Bhor (1913) e dall ipotesi di de Broglie (1924) che portarono allo sviluppo della Meccanica quantistica, mediante la meccanica delle matrici (Heisenberg, Born, Jordan, 1925) e la meccanica ondulatoria (Schrödinger, 1926). L equivalenza tra le due formulazioni (Schrödinger, 1926) appare evidente nel formalismo di Dirac (1928). A uno solo anno dall introduzione dell equazione di Schrödinger, Douglas Hartree elaborò un metodo in grado di ricavarne le soluzioni per sistemi atomici a pochi elettroni. Questo procedimento, denominato teoria del campo auto-consistente (self consistent field, SCF, 1927), fu applicato fin dal 1928 allo studio delle proprietà di cristalli di Sodio e Cloro. Parallelamente alla ricerca di potenziali autoconsistenti per trattare in maniera efficacie l interazione elettrone-elettrone, Llewellyn Thomas ed Enrico Fermi (1927) svilupparono un modello statistico per i sistemi atomici a molti elettroni, basato sul concetto di densità elettronica. Nel 1930 Vladimir Fock introdusse dei correttivi aggiuntivi al campo di Hartree, sfruttando le proprietà di antisimmetria degli elettroni e definendo quello che oggi conosciamo come metodo di Hartree-Fock. Un ultimo fondamentale contributo, è legato ai lavori di Pierre Hohenberg, Walter Kohn e Lu Jeu Sham che, fra il 1964 e il 1965, svilupparono la teoria del funzionale densità, la quale prende spunto dal modello di Thomas-Fermi, dimostrato essere inadeguato a descrivere il legame molecolare (Teller, 1962), e introduce un ulteriore miglioramento e semplificazione del metodo Hartree-Fock. In questi tesi, proponiamo lo studio di una simulazione di un sistema composto da molti elettroni in interazione con una radiazione elettromagnetica di raggi X. Andremo a ricercare ed analizzare gli effetti dell assorbimento dei fotoni, e della conseguente fotoemissione di un elettrone, sugli altri elettroni del sistema, mettendo in evidenza le differenze tra lo stato iniziale e lo stato finale della struttura in esame. 2

8 Capitolo 2 Metodi numerici di risoluzione di problemi Quanto-Meccanici. Per indagare in termini quanto-meccanici sulle proprietà di una struttura molecolare si ricorre principalmente a due diversi approcci, che utilizzano metodi a principi primi ( ab-initio ) e metodi semiempirici [1]. I metodi a principi primi sono utilizzati per risolvere l equazione di Schrödinger senza introdurre alcun parametro determinato da misure sperimentali, ma tramite l uso di metodi ed approssimazioni matematiche. I metodi semiempirici utilizzano invece parametri ottenuti sperimentalmente al fine di fornire un modello base sufficientemente adeguato ed evitare un appesantimento eccessivo del calcolo Metodi a principi primi. In sistemi di interesse chimico-fisico, ogni elettrone è rappresentato da una funzione d onda, il cui modulo quadro corrisponde ad una densità di probabilità, descritta da una funzione di distribuzione delle sue coordinate. Una molecola è un complesso polielettronico, e l equazione di Schrödinger HΨ = EΨ va risolta considerando la funzione d onda totale del sistema Ψ, e la sua energia E. Da quest ultima dipendono i valori medi degli operatori in gioco e dunque le quantità misurabili. Una soluzione accurata può essere ricavata solo tramite processi iterativi che sono generalmente basati su due principali approssimazioni: la prima consiste 3

9 Cap. 2 Metodi numerici di risoluzione di problemi Quanto-Meccanici. nel tentare di disaccoppiare l evoluzione delle proprietà nucleari da quella delle proprietà elettroniche; questa approssimazione, detta di Born-Oppenheimer, è di tipo adiabatico, e si può effettuare poiché le velocità caratteristiche dei moti nucleari sono molto minori di quelle elettroniche. Una seconda approssimazione riguarda la forma degli orbitali elettronici, ed è nota con l acronimo LCAO (Linear Combination of Atomic Orbitals); questa permette di esprimere la funzione d onda polielettronica Ψ come prodotto di funzioni d onda monoelettroniche ψ i, che individuano gli orbitali molecolari del sistema: Ψ(r 1, r 2,..., r n ) = ψ 1 (r 1 )ψ 2 (r 2 )...ψ n (r n ) (2.1) In tutti i metodi ab-initio, su aggregati di atomi di taglia finita, si suppone che l orbitale molecolare ψ i sia dato dalla combinazione lineare ψ i (r i ) = c i1 φ 1 (r i ) + c i2 φ 2 (r i ) c in φ n (r i ), (2.2) che coinvolge un insieme di funzioni atomiche φ j, generalmente costituite da una o più gaussiane centrate sugli atomi. I coefficienti della combinazione lineare, c ij, sono degli scalari da determinare. L insieme delle φ j rappresenta il set di base, cioè l insieme delle funzioni di distribuzioni atomiche, non necessariamente ortogonali, con le quali vengono rappresentati gli orbitali molecolari ψ i. L equazione di Schrödinger si riduce quindi ad un equazione per i soli coefficienti, poiché il set di base, una volta scelto in maniera opportuna, non viene più fatto variare. La funzione d onda corrispondente all orbitale molecolare ψ i potrà dunque cambiare solo effettuando opportune modifiche sui coefficienti. Il primo passo per trovare le funzioni d onda degli orbitali molecolari, e quindi definire un equazione di Schrödinger per i coefficienti, è quello di utilizzare il teorema variazionale. Delle infinite funzioni d onda totali Ψ, e delle autoenergie associate ad esse, siamo interessati a quella che da luogo all energia più bassa, quindi quella Ψ 0 che rappresenta la funzione di distribuzione polielettronica del cosiddetto stato fondamentale. Per fare ciò, è sufficiente determinare i coefficienti c ij che minimizzano il valore d aspettazione dell operatore energia totale del sistema. In termini matematici, si deve calcolare la derivata del funzionale E [Ψ] = Ψ Ĥ Ψ rispetto a tali coefficienti ed eguagliarla a 0. Si avrà un numero di equazioni pari 4

10 Cap. 2 Metodi numerici di risoluzione di problemi Quanto-Meccanici. al numero di coefficienti, e quindi pari al numero di funzioni del set di base: ψ 1 = c 11 φ 1 + c 12 φ c 1n φ n ψ 2 = c 21 φ 1 + c 22 φ c 2n φ n... ψ n = c n1 φ 1 + c n2 φ c nn φ n Ogni set corrisponde ad uno spin-orbitale molecolare ψ i che è caratterizzato da un energia ε i, anch essa ottenuta dalla risoluzione del sistema. Vi è un ulteriore considerazione sull iteratività delle soluzioni: come è già stato accennato, i termini del funzionale energia che entra nel teorema variazionale dipendono da Ψ. Al primo passo della procedura di minimizzazione, non si conosce né Ψ né E [Ψ]; si può utilizzare un valore approssimato per il valore medio degli operatori in gioco e calcolare di conseguenza la Ψ, che verrà riutilizzata per calcolare nuovamente i valori medi dell operatore energia. Questo processo viene iterato finchè non cambiano più la forma del funzionale E [Ψ] e della funzione Ψ, entro una certa tolleranza, e questo è il motivo per cui questi metodi vengono anche detti autoconsistenti Metodi Semiempirici. I metodi semiempirici sono basati sugli stessi concetti dei metodi ab-initio. Differiscono da quest ultimi per i livelli di approssimazione che sono generalmente considerati più rozzi. Sono semplici ma spesso molto efficaci, poichè sono in grado di spiegare bene le strutture elettroniche di alcuni sistemi che richiederebbero tempi di calcolo a principi primi pari all età dell Universo! In particolare, nei processi ab-initio tutti gli elettroni sono inseriti nella procedura variazionale, mentre in quelli semiempirici vengono presi in considerazione solo gli elettroni più significativi implicati in un dato processo fisico. Ad esempio, le proprietà ottiche dei solidi sono legate ai soli elettroni di valenza, per cui è possibile trattare gli elettroni più legati, o elettroni di core, come parte del nucleo atomico, attraverso l introduzione di parametri esterni ricavati da misure sperimentali. Anche per gli elettroni di valenza, nel calcolo dei valori medi, vengono adottate particolari approssimazioni. 5

11 Cap. 2 Metodi numerici di risoluzione di problemi Quanto-Meccanici. I metodi semiempirici risultano quindi di più facile applicazione, e talvolta sono inevitabili. Ma è evidente che con l utilizzo di questi a risentirne è l accuratezza dei calcoli e dei risultati. 6

12 Capitolo 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. Analizziamo ora il problema di come si calcolano gli orbitali appropriati per un sistema fisico a molti corpi. Come si è potuto, intuire un approccio conveniente è quello di ottenere degli orbitali come soluzioni di un problema monoelettronico, cioè dell equazione agli autovalori per un elettrone isolato. Un sistema polielettronico è intrinsecamente non assimilabile ad un tale modello, in quanto l Hamiltoniano del sistema non è separabile in un operatore che descriva il singolo elettrone a causa della presenza del termine di coppia 1/r ij. Vediamo quindi, come è possibile applicare questa approssimazione monoelettronica nel modo più efficace [2] Metodo di Hartree Fock Supponiamo di isolare artificiosamente un elettrone i di un sistema di N elettroni, e di voler ricavare una forma plausibile per il suo Hamiltoniano. Questo dovrebbe contenere naturalmente il termine di energia cinetica, quello di interazione con i nuclei e si ha la necessità di un termine di energia potenziale, che simuli l interazione con tutti gli altri j elettroni. Se questi elettroni sono a loro volta descritti da orbitali ben precisi φ j, ognuno di essi produrrà un potenziale Coulombiano del 7

13 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. tipo J (j) (r) = φj (r ) 2 d 3 r r r, (3.1) dal quale è possibile ricavare l operatore coulombiano: Ĵ = N Ĵ (j) (3.2) j=1 Una prima forma per l equazione efficace dell elettrone i è la seguente: F φ i = ε i φ i, (3.3) dove l operatore ˆF = ĥ + Ĵ (3.4) contiene un termine ĥ dovuto all energia cinetica e all interazione con i nuclei, di rappresentazione spaziale h(, r) = α Z α r R α, (3.5) mentre J = N j=1 φ d 3 j (r ) 2 r r r (3.6) descrive l interazione con gli altri elettroni. A questo livello si deve effettuare una correzione sull operatore (3.6), poichè non ha senso considerare il termine i-esimo della somma che rappresenta il potenziale dovuto all orbitale φ i, in quanto un elettrone non interagisce con se stesso. Quello che abbiamo ottenuto fin ora, non è quindi un sistema di equazioni riconducibile ad un unica equazione agli autovalori di cui gli orbitali sono soluzione, ma N equazioni accoppiate, una per ciascun orbitale. Le (3.3) costituiscono la base del metodo di Hartree per determinare gli orbitali di un sistema atomico o molecolare. Si nota subito la caratteristica autoconsistente di queste equazioni che vanno risolte in modo iterativo. 8

14 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. Una volta che gli orbitali φ i sono stati determinati, l energia totale del sistema E h = N H ii + 1 N J ij, (3.7) 2 i=1 i j=1 è data dalla somma dei valori medi delle energie dei singoli elettroni nel campo dei nuclei fissi, H ii = d 3 rφ i (r)h(, r)φ i (r), (3.8) e dalla risultante delle loro mutue interazioni J ij = d 3 r d 3 r φ i(r) 2 φj (r ) 2. (3.9) r r Si può osservare come la (3.7) corrisponda all energia elettrostatica classica di N distribuzioni di carica spaziale φ i (r) Le Equazioni di Hartree-Fock L interazione fra gli elettroni è più complicata della sola energia coulombiana rappresentata dall operatore Ĵ. Si deve considerare anche un interazione di scambio dovuta alla natura antisimmetrica della funzione d onda, cioè al fatto che essa è un determinante e non un semplice prodotto di orbitali. Questo suggerisce di aggiungere all operatore (3.4) dei termini attrattivi, intrinsecamente quantistici, che danno luogo all operatore K (j) (r)φ i (r ) = φ j (r) d 3 r φ j(r )φ i (r ), (3.10) r r ˆK = N j=1 ˆK (j), (3.11) il quale produce una correzione negativa all energia Coulombiana. Anche in questo caso, si dovrà escludere il termine di autointerazione ˆK (i). Si può però notare, che l aggiunta stessa dell operatore di scambio porta di per sè una 9

15 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. nuova proprietà di simmetria: K (i) (r)φ i (r ) = φ i (r) d 3 r φ i (r )φ i (r ) r r = J (j) φ i (r) (3.12) L effetto dell autointerazione di scambio è identico all effetto di autointerazione coulombiana, le due si cancellano reciprocamente così che non c è più il bisogno di eliminarle esplicitamente dall operatore Ĵ ˆK. Si ha pertanto un unico operatore uguale per tutti gli orbitali, e quindi un insieme di equazioni: F φ i = ε i φ i (3.13) in cui ˆF = ĥ + Ĵ ˆK (3.14) Queste sono le equazioni fondamentali del metodo Hartree-Fock (HF) e l operatore (3.14) è detto operatore di Fock. È bene osservare che la derivazione qui proposta delle equazioni di Hartree-Fock, è stata effettuata tramite ragionamenti qualitativi su come ci si aspetta che debba essere un plausibile operatore monoelettronico per gli orbitali. Il modo rigoroso per dimostrare la validità delle (3.13) si basa sul teorema variazionale [3]. Infatti, il modello orbitalico consiste nell esprimere la funzione d onda del sistema come un unico determinante di spin-orbitali di elettrone singolo (determinante di Slater) Ψ = 1 N! φ 1 (r 1 )η(1) φ 2 (r 1 )η(1) φ N (r 1 )η(1) φ 1 (r 2 )η(2) φ 2 (r 2 )η(2) φ N (r 2 )η(2)....., (3.15). φ 1 (r N )η(n) φ 2 (r N )η(n) φ N (r N )η(n) in cui i termini η =, descrivono i gradi di libertà di spin. Gli spin-orbitali φ i (r)η ottimali saranno quelli che rendono stazionario il funzionale energia. Si deve dunque impostare il problema matematico della stazionarietà dell energia del determinante rispetto a variazioni infinitesimali degli orbitali φ i. Si ricorda, inoltre, che una caratteristica peculiare delle equazioni di Hartree-Fock 10

16 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. è l autoconsistenza, rendendo quindi l operatore di Fock, per via degli operatori di Coulomb e di scambio, una funzione degli N orbitali presenti nel determinante, cioè delle sue autofunzioni. L operatore di Fock ha uno spettro di soluzioni completo, che verrà supposto avere una parte discreta, assumendo che esista almeno uno stato legato, e che, in presenza di più stati legati, lo stato fondamentale sia non degenere. Dato un operatore di Fock, gli orbitali che ne sono autofunzione sono in linea di principio infiniti; ma solo N di questi orbitali, detti orbitali occupati, verranno usati per descrivere gli elettroni del sistema, mentre i restanti saranno detti orbitali virtuali. Gli orbitali occupati saranno quelli da inserire nel determinante di Slater (3.15) e saranno quelli che definiscono gli operatori coulombiano, di scambio e l operatore di Fock stesso Proprietà della funzione d onda di Hartree-Fock. Data la natura dell operatore di Fock, è naturale interpretare i suoi autovalori ε i come energie degli orbitali. Vanno però effettute alcune precisazioni. Poichè l Hamiltoniano del sistema non è la somma degli operatori di Fock, l energia della funzione d onda totale Ψ non può risultare dalla somma delle energie degli orbitali φ i. Simili considerazioni si possono trarre anche per il modello di Hartree. In realtà, l energia totale del determinante (3.15) è data dalla relazione E hf = E[Ψ] = N H ii + 1 N (J ij K ij ), (3.16) 2 i=1 i,j=1 in cui le interazioni di scambio K ij = d 3 r d 3 r φ i (r)φ j(r )φ i (r )φ j (r) r r (3.17) non sono più riconducibili ad una forma classica. Si nota subito come somma dei valori di aspettazione dell operatore di Fock ĥ + Ĵ ˆK negli orbitali φ i non corrisponda ad E hf. In effetti, la somma dell energia degli orbitali contiene il doppio dell energia di repulsione fra gli elettroni rispetto alla vera energia Hartree- Fock. Questa differenza è di facile comprensione: nell energia ε i di un orbitale φ i 11

17 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. compare il contributo dell interazione con qualsiasi altro orbitale, ad esempio φ j. Questo contributo compare allo stesso modo nell energia ε j. Quando si sommano le due energie, succede che lo stesso contributo viene contato due volte, mentre in realtà questo è presente una sola volta nell energia totale del sistema. Questo particolare mette in evidenza il fatto che, nonostante gli elettroni siano descritti da funzioni d onda individuali, queste non saranno del tutto indipendenti, poichè l operatore di Fock di cui sono soluzioni le accoppia tramite i termini coulombiani e di scambio Conseguenze dello Spin Descrivendo il metodo Hartree-Fock mediante le equazioni (3.13) non sono state considerate esplicitamente le simmetrie dovute allo spin dell eletrone. Supponendo a questo punto di tenere conto dei termini η(i) nella funzione d onda totale (3.15), si vuole valutare come utilizzare gli operatori Ĵ e ˆK. Il termine diretto rappresenta il potenziale coulombiano dovuto a tutti gli orbitali, ed agisce allo stesso modo su di essi indipendentemente dallo spin. L operatore ˆK va invece visto come la somma di due distinti operatori ˆK ( ) e ˆK ( ), dove il primo rappresenta il potenziale di scambio dovuto agli n elettroni con spin 1/2 ed agisce solo su questi, mentre ovviamente il secondo è dovuto agli n = N n elettroni con spin 1/2 ed agisce solo su questi. Si possono, a questo punto, separare le (3.13) in due distinti insiemi di equazioni, ognuno dei quali è associato ad grado di libertà di spin, poichè gli operatori Ĵ, ˆK( ) e ˆK ( ), così come ĥ hanno elementi di matrice nulli fra orbitali di spin opposto. Ne segue la definizione di un operatore di Fock polarizzato: ˆF η = ĥ + Ĵ ˆK η η =,. (3.18) Poichè l operatore coulombiano Ĵ accoppia indirettamente orbitali di spin opposto, le due equazioni per ˆF e ˆF non sono comunque da considerare indipendenti. Le equazioni HF espresse in questo modo definiscono il metodo HF non-ristretto, o UHF. Se si considera un sistema in cui n = n = N/2, i due operatori ˆK( ) e saranno formalmente identici ed esiste sicuramente un insieme di orbitali che sono ˆK ( ) 12

18 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. autofunzioni di entrambi. Il determinante risultante sarà formato da N/2 orbitali, ciascuno usato due volte con spin opposto. Imponendo queste condizioni ci si può liberare fin dall inizio dello spin e formulare il problema per N/2 orbitali appaiati che occupano un insieme di shell chiuse (closed-shell). Questo è il caso del metodo di HF ristretto, o RHF. Quando si ha invece n n, gli elettroni sono spaiati, cioé producono uno spin totale diverso da zero in almeno una shell. In questo caso si dice che il sistema è a shell-aperta (open-shell), e le equazioni UHF forniscono soluzioni diverse per gli orbitali di spin e. La funzione d onda (3.15) sarà dunque un determinante di N orbitali diversi, ciascuno dotato del proprio spin Teoria del funzionale densità Uno dei limiti dell utilizzo del metodo Hartree-Fock, che peraltro rappresenta la principale semplificazione teorica, consiste nel trascurare le singole interazioni elettroniche e tenere conto piuttosto dell effetto totale medio di tali interazioni. Questo da spesso origine a notevoli discrepanze tra l energia calcolata e le energie sperimentali. Ad una più attenta analisi, l approssimazione cruciale consiste nel prendere come funzione di prova, da inserire nel calcolo variazionale, un singolo determinante di Slater di un insieme di funzioni d onda di particella singola del tipo (2.2). Nessuna considerazione quanto-meccanica garantisce l esattezza dell approccio. Infatti, lo stato esatto del sistema sarà una combinazione lineare di infiniti determinanti di Slater, in cui andranno compresi tutti gli stati eccitati a singolo determinante. Non è dunque sorprendente scoprire come i risultati di un calcolo HF dipendano dalla scelta della base di elettrone singolo, e che per ogni sistema esista un insieme di basi limitate che meglio si prestano alla sua descrizione. La bontà di una base sta nel maggior peso relativo dello stato fondamentale a singolo determinante di Slater rispetto agli stati eccitati. La verifica ultima della correttezza di una procedura HF è sempre rimandata al confronto con le misure. D altra parte, la grandezza fondamentale del sistema è la sua funzione d onda totale, che per N elettroni dipenderà da 3N variabili spaziali e da N variabili di spin. È allora evidente che calcolare la funzione d onda per un numero di elettroni particolarmente elevato diventa un problema formidabile. Conoscere la distribuzione delle posizioni, delle quantità di moto, delle energie, dei momenti 13

19 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. angolari e dei momenti di spin di tutte le particelle di un sistema è possibile solo in presenza di strutture di pochi semplici atomi. Nella teoria del funzionale densità, in breve DFT [4, 5], la grandezza fondamentale è la densità di carica elettronica ρ(r), che dipende solo da tre variabili, qualsiasi sia il numero di elettroni Teoremi di Hohenberg-Kohn L Hamiltoniano di N elettroni interagenti con uno sfondo (background) di nuclei classici è della forma: Ĥ = ˆT + ˆV ext + ˆV ee (3.19) in cui ˆT denota il termine di energia cinetica, ˆV ee rappresenta l interazione elettroneelettrone e ˆV ext è il potenziale totale dei nuclei. Se ogni nucleo è descritto da un potenziale efficacie V (r), la (3.19) ammette la rappresentazione H = N i=1 ( ) 2 i + 2 N V (r i ) + 1 V ee ( r i r j ), (3.20) 2 i=1 i.j nella base delle coordinate. Gli stati del sistema, in particolare lo stato fondamentale, dipendono solo da N e da V (r), ed essendo che tutte le proprietà osservabili sono poi ricavabili dallo stato fondamentale Ψ 0, possiamo dire che: E 0 = E 0 [Ψ 0 ] = E 0 [N, V (r)] (3.21) Il primo teorema di Hohenberg-Kohn afferma che il potenziale V (r) è univocamente determinato, a meno di una costante additiva, dalla densità elettronica ρ(r) dello stato fondamentale. Si può quindi stabilire che ad ogni densità è univocamente associata l energia di stato fondamentale, che è quindi un funzionale della sola densità, E 0 = E 0 [ρ(r)] come qualsiasi altra grandezza deducibile dalla funzione d onda. Pertanto, dalla 14

20 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. (3.19) si ricava: E [ρ] = T [ρ] + V ext [ρ] + V ee [ρ] = F hk [ρ] + d 3 r ρ(r) V (r) (3.22) dove F hk è un funzionale universale, indipendente dal potenziale che origina la densità ρ. In linea di principio questa equazione, nota la densità elettronica del sistema, permette di conoscere l energia dello stato fondamentale. Il secondo teorema di Hohenberg-Kohn fornisce un metodo variazionale per la densità elettronica. Per ogni densità di prova ρ(r), definita positiva ρ(r) 0 e normalizzata d 3 r ρ(r) = N, si ha: E [ρ] = E 0 E [ ρ] (3.23) Come è stato già detto, ad una determinata densità di carica ρ(r) si può associare univocamente un potenziale esterno V (r) ed una funzione d onda Ψ 0 di stato fondamentale. Inoltre, per il teorema variazionale: E 0 = Ψ Ĥ Ψ Ψ Ĥ Ψ = Fhk [ ρ] + d 3 r ρ(r)v (r) = E [ ρ] (3.24) Si può a questo punto impostare un problema di ottimizzazione vincolata al variare della densità: [ ( δ E [ρ] µ )] ρ (r) d 3 r N = 0 (3.25) che si traduce nell equazione di Eulero-Lagrange: µ = δe [ρ] δρ (r) = V (r) + δf hk [ρ] δρ(r) (3.26) Metodo di Kohn-Sham La risoluzione dell equazione (3.26) comporta diversi problemi, dovuti alla difficoltà di ottenere una buona approssimazione del funzionale F hk, soprattutto per quel che riguarda il termine di energia cinetica. 15

21 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. Kohn e Sham proposero un modello risolutivo costruito su un set di stati di particella singola, per elettroni non interagenti. Essi ridefinirono il funzionale F hk come: F [ρ] = T s [ρ] + J [ρ] + E xc [ρ] (3.27) dove J [ρ] è l integrale coulombiano diretto introdotto nel paragrafo 2.1, qui espresso in termini della densità di carica J [ρ] = 1 2 d 3 r d 3 r 1 r r ρ (r) ρ(r ) (3.28) Il termine E xc [ρ] contiene la differenza tra l energia cinetica vera del sistema e quella del sistema di elettroni non interagenti, e il termine di interazione elettroneelettrone. Si sta quindi raggruppando tutto quello che non si sa calcolare semplicemente, in un unico termine. È proprio questo uno dei principali successi del metodo di Kohn-Sham, che consente di approssimare l energia di scambio e correlazione in maniera abbastanza efficace. Ritornando all equazione (3.26), si può scrivere: µ = V (r) + δj [ρ] δρ(r) + δe xc [ρ] + δt s [ρ] δρ(r) δρ(r) = V eff(r) + δt s [ρ] δρ(r) (3.29) con V eff (r) = V (r) + d 3 r ρ(r ) r r + V xc (r), V xc (r) = δe xc [ρ] δρ (r) Il termine V xc (r) rappresenta il potenziale di scambio e correlazione; scritto in questo modo, sembrerebbe che questo termine sia una quantità locale per la dipendenza dalla sola r, ma in realtà V xc dipende anche da ρ, il che significa che il potenziale è assolutamente non locale. D altra parte, a ρ fissata, V xc (r) è una quantità locale. Si tratta ora di risolvere il problema di ottimizzazione per il funzionale E [ρ], con i vincoli di ortonormalità degli stati di singola particella, che contengono 16

22 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. implicitamente il requisito di normalizzazione della densità. Si ha quindi: δ [ E (ρ) i,j ɛ ij ( d 3 rψ i (r)ψ j (r) δ ij ) ] = 0 (3.30) che si traduce nell equazione di Eulero-Lagrange: ɛ ij ψ j = i,j δe (ρ) δψ i (r ) ] δe (ρ) = δρ(r ) ψ i = [ V eff(r) ψ i = h eff ψ i (3.31) Essendo V eff (r) un potenziale locale per ρ fissata, possiamo concludere che h eff è un operatore hermitiano; possiamo quindi effettuare una trasformazione unitaria degli orbitali, che diagonalize ɛ ij lasciando invariante l Hamiltoniano. Si può quindi riscrivere la (3.31) come: ] [ V eff (r) ψ i = ε i ψ i (3.32) dove le funzioni ψ i che compaiono in (3.31) sono diverse da quelle che compaiono nella (3.32), anche se legate a quelle da una trasformazione unitaria. Anche in questo caso il problema si configura come un calcolo autoconsistente: ad ogni iterazione è necessario ricalcolare i termini che entrano nelle equazioni di Kohn-Sham e risolverle Approssimazione locale per il potenziale di scambio e correlazione. La ridefinizione del funzionale in (3.27) risolve il problema di ottenere una stima ragionevole dell energia cinetica, ma scarica sul funzionale E xc tutte le difficoltà del calcolo della correlazione elettronica. Si utilizzano così dei funzionali approssimati che possono essere di tre tipi [5]: LDA (Local Density Approximation) o funzionali locali 17

23 Cap. 3 Metodi a principi primi per la trattazione di sistemi a molti elettroni. GGA (Generalized Gradient Approximation) o funzionali non locali Funzionali ibridi. In generale il funzionale di correlazione e scambio viene diviso in due contributi: il funzionale di scambio E x, che fa riferimento al contributo di scambio esatto ottenuto col metodo HF, e il funzionale di correlazione E c. Nell approssimazione LDA tutti gli effetti non locali sono trascurati, e solo il valore della densità elettronica in un dato punto dello spazio determina il contributo di questo punto all energia E xc. Il sistema viene trattato come se contenesse un gas di elettroni omogeneo in un campo di carica positiva distribuita uniformemente. Questa è un approssimazione non realistica che sottostima l energia di scambio e sovrastima l energia di correlazione, ed inficia l accuratezza nelle stime delle gap di energia nelle simulazioni di materiali semiconduttivi, tuttavia il funzionale LDA fornisce una struttura elettronica ragionevole in molti sistemi nanostrutturati a base di carbonio. L approssimazione GGA dei funzionali non locali, aggiunge un termine che considera il gradiente della densità elettronica in un dato punto, rendendo quindi in parte conto della distribuzione non omogenea della densità elettronica e dunque degli effetti non locali. Oltre a questi funzionali puri esistono funzionali ibridi, che combinano empiricamente il funzionale GGA, tipico della DFT, e lo scambio esatto del metodo HF. 18

24 Capitolo 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. Analizziamo ora una situazione di interazione tra un sistema con molti elettroni e una radiazione elettromagnetica. Per fare questo, ricorriamo a due software: il primo, GAMESS [6] (appendice B), permette la creazione di strutture molecolari estese ed è in grado di effettuare calcoli HF e DFT, restituendo i coefficienti e le energie dei vari stati del sistema; il secondo, Mathematica [7], è un programma di calcolo ad alto livello con il quale si possono analizzare la struttura elettronica e le proprietà del sistema, sfruttando i coefficienti e le energie calcolate da GAMESS. Il sistema è un nanotubo di carbonio sul quale incide un fascio di fotoni monocromatico, in grado di estrarre un elettrone fortemente legato. Lo scopo dello studio è quello di analizzare le differenze nella struttura elettronica del sistema prima e dopo la sua ionizzazione. Il fotone andrà ad incidere su un atomo del nanotubo, ad un energia dell ordine del kev, ed andrà a creare quindi in questo una lacuna di core Nanostrutture di carbonio Il carbonio è il sesto elemento della tavola periodica, ha sei elettroni disposti secondo la configurazione elettronica [C] = 1s 2 2s 2 2p 2. I due elettroni che occupano lo stato 1s presentano energie di legame dell ordine dei 300 ev, e nel carbonio rappresentano gli elettroni di core. Gli altri quattro elettroni, appartenenti agli orbitali 2s e 2p, sono di valenza e hanno energie di legame minori di 20 ev. È noto che il carbonio è un atomo unico, avendo infatti una vasta gamma di forme 19

25 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. allotropiche. Recenti scoperte hanno portato ad effettuare numerosi studi sulle diverse strutture che il carbonio è in grado di generare come i fullereni, i nanotubi di carbonio, ed i composti a base di grafene, dette per l appunto nanostrutture. In questo lavoro, abbiamo investigato la risposta di particolari nanotubi di carbonio soggetti al fenomeno della fotoemissione Nanotubi di carbonio Una delle principali caratteristiche, che distingue le diverse strutture che il carbonio è in grado di formare, è il tipo di ibridizzazione degli orbitali molecolari. Un nanotubo di carbonio può essere idealmente visto come un foglio di grafene arrotolato. Il grafene è un reticolo esagonale di atomi di carbonio con passo reticolare pari ad a c c = 1.42 Å. Il reticolo è generato dai vettori primitivi a 1 = ( ) 3 2 a, a 2 e a 2 = ( ) 3 2 a, a, (4.1) 2 che godono della proprietà a 1 a 2 = a2 2, dove a = a 1 = a 2 = 3a c c = 2.49 Å, corrisponde alla distanza tra due atomi primi vicini equivalenti. In questa struttura, gli elettroni di valenza del singolo atomo formano legami ibridizzati di tipo sp 2. Il reticolo che gli atomi di carbonio formano nei nanotubi è anch esso esagonale, ma con una distanza reticolare di a c c = 1.44 Å. L arrotolamento del foglio di grafene porta ad una struttura cilindrica di diametro compreso tra 0.7 e 10.0 nm, da considerare geometricamente unidimensionale; infatti, il rapporto tipico tra la lunghezza e il diametro di un nanotubo, trascurando gli estremi, è dell ordine di Generalmente, i diversi nanotubi tendono a formare aggregati poichè si attraggono fortemente tra loro, ed è quindi molto difficile separare un singolo nanotubo; inoltre, la maggior parte dei nanotubi che si sono riusciti ad osservare presentano la caratteristica di essere a parete multipla (MWNT ), cioé fatti da nanotubi concentrici, uno dentro l altro, con diametro che, ovviamente, diminuisce sempre di più andando verso i tubi più interni. Simulare una tale struttura con metodi non periodici è ancora estremamente difficile, quindi si è cercato di ricavare dei risultati per un singolo nanotubo, privo di altri tubi al suo interno. Una tale geometria costituisce un nanotubo a parete singola(swnt), comunemente osservato in grovigli o bundles. 20

26 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. Figura 4.1.: Un esempio di nanotubo di carbonio a parete singola e a parete multipla. Un fattore determinante della struttura elettronica di un nanotubo è l orientazione degli esagoni degli atomi di carbonio. Una prima classificazione delle sue simmetrie è basata sul concetto di chiralità: i nanotubi possono essere achirali (simmorfici), o chirali (non simmorfici); un nanotubo achirale può essere definito come un sistema la cui struttura riflessa non corrisponde a quella di partenza. Vi sono solo due casi di nanotubo achirale: nanotubi armchair e a zig-zag, come mostrato nelle figure 4.2 (a) e (b), rispettivamente. È evidente che l immagine riflessa dei nanotubi achirali non può essere sovrapposta senza differenze a quella di partenza. Possiamo inoltre vedere in figura 4.2 come alle estremità dei nanotubi si formino due terminazioni che si possono assimilare a due semisfere di fullerene ( caps ). Figura 4.2.: Possibili orientazioni degli esagoni di carbonio in un nanotubo: (a) armchair, (b) zig-zag e (c) chirale. I nanotubi di carbonio a parete singola, furono scoperti per la prima volta da un gruppo di ricercatori guidati da Sumo Iijima, utilizzando un microscopio a trasmissione elettrica. Questi elaborarono anche un metodo per riprodurli usando catalizzatori realizzati con metalli di transizione [8]. 21

27 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati Geometria di un nanotubo di carbonio La struttura di un nanotubo è specificata dal vettore che corrisponde alla sezione del tubo, perpendicolare al suo asse. Nella figura 4.3 l asse del nanotubo è descritto dal vettore OB, mentre il vettore che ne descrive la sezione corrisponde al vettore OA. Questa figura ci da un immagine di un nido di esagoni di carbonio, che può essere assimilato, volendo, a un foglio di grafene. Prendiamo quindi in considerazione i punti O, A, B e B : questi formano un foglio rettangolare, che rapresenterà la cella unitaria unidimensionale del nanotubo, arrotoliamo questo foglio in modo da far coincidere il punto O con il punto A, ed il punto B con il punto B, eliminando gli atomi in posizioni ripetute. Avremo così il nanotubo di carbonio nel quale chiameremo OA vettore chirale (C h ), e OB vettore di traslazione (T). Utilizzando i vettori (4.1), generatori della cella unitaria del grafene nello spazio reale, con la distanza a c c dei nanotubi [9], si può scrivere C h = na 1 + ma 2 (n, m) (4.2) dove n ed m sono interi con 0 m n. La classificazione geometrica dei tre tipi di nanotubi, riportati in figura 4.2, può essere fatta confrontando gli indici (n, m) del vettore chirale: se n = m, per cui il vettore chirale si scrive C h nanotubo armchair (figura 4.2 (a)); (n, n), abbiamo un se m = 0, quindi C h (n, 0), abbiamo un nanotubo a zigzag (figura 4.2 (b)); tutti gli altri casi in cui n m, e cioè C h (n, m), generano un nanotubo chirale (figura 4.2 (c)). Il diametro di un nanotubo può essere definito come d t = L, dove L è la lunghezza π della circonferenza del tubo, data da L = C h = C h C h = a n 2 + m 2 + nm. L angolo chirale θ, che rappresenta l angolo tra i vettori C h e a 1 e fornisce l inclinazione degli esagoni rispetto all asse del tubo, specificando la simmetria chirale, 22

28 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. Figura 4.3.: Cella unitaria di un nanotubo formato da esagoni di carbonio. può essere ricavato tramite il prodotto scalare dei due vettori: con 0 θ 30. cos θ = C h a 1 C h a 1 = 2n + m 2 n 2 + m 2 + nm, Il vettore di traslazione T è anch esso esprimibile come combinazione lineare dei vettori (4.1) per due interi t 1 e t 2, la cui forma può essere ricavata dal prodotto scalare C h T: T = t 1 a 1 + t 2 a 2 (t 1, t 2 ). (4.3) Il numero di esagoni per cella unitaria si ottiene calcolando l area della cella unitaria C h T e dividendo per l area della di un esagono a 1 a 2 N = C h T a 1 a 2. Tale numero dipende dagli indici chirali n ed m Il vettore R, infine, chiamato vettore di simmetria, permette di generare le coordinate degli atomi di carbonio nel nanotubo. Anche R può essere espresso nella base dei vettori (4.1): R =pa 1 + qa 2 (p, q) (4.4) 23

29 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. mediante due interi, p e q, primi tra loro Proprietà dei nanotubi di carbonio. Dalla scoperta dei nanotubi di carbonio, è stato messo in evidenza il loro potenziale utilizzo come materiali altamente tecnologici. Si è potuto osservare che questi materiali sono molto resistenti alla trazione, ma ben più interessanti sono le loro proprietà elettriche. Abbiamo infatti che, a seconda della sua chiralità, un nanotubo di carbonio può avere delle proprietà di conduttore o semiconduttore. In un solido, abbiamo tre possibili bande di energia per gli elettroni disposti sugli orbitali più esterni [10]: La banda di valenza, che è l insieme dei valori di energia che possiede un elettrone vincolato agli atomi reticolari; La banda proibita, che consiste in un insieme di valori di energia che un elettrone non può possedere; La banda di conduzione, che rappresenta la banda energetica per la quale l elettrone acquista una tale energia da essere in grado di abbandonare l atomo e di essere quindi libero. Il livello di Fermi rappresenta lo stato occupato ad energia più elevata, in una banda di valenza. L ampiezza della banda proibita permette di capire se un determinato sistema è isolante, semiconduttore, o metallico (conduttore). Avremo infatti che tale banda, che può essere anche vista come il gap energetico tra la banda di valenza e la banda di conduzione, sarà nulla nei metalli, molto grande e quindi difficile da superare negli isolanti, mentre nei semiconduttori il gap energetico da colmare sarà minore che negli isolanti, e quindi statisticamente superabile. I nanotubi di tipo armchair presentano una banda proibita di ampiezza nulla, comportamento assimilabile a quello dei metalli, mentre una situazione particolare si verifica se consideriamo un nanotubo a zigzag. In questo caso, il comportamento della struttura cambia con il vettore chirale. In generale, un nanotubo zigzag, il cui vettore chirale è C h (n, 0), assume un comportamento di conduttore se n è un multiplo di 3, mentre ha un comportamento di semiconduttore se n non è 24

30 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. un multiplo di 3. Nella figura 4.4 sono state prese in considerazione le densità degli stati di due nanotubi, uno di tipo armchair e uno di tipo zig-zag. Per il nanotubo armchair (5, 5) il grafico indica chiaramente che le densità degli stati di valenza e di conduzione sono non nulle all energia di Fermi, e questo è indicatore del fatto che non vi è nessun gap energetico tra le due bande. La struttura avrà un comportamento metallico; per il nanotubo a zigzag (7, 0) invece la densità degli stati è nulla nell intervallo di energie che costituisce il gap tra le bande di valenza e di conduzione. Il sistema assume quindi il comportamento di un semiconduttore. Figura 4.4.: Densità degli stati di un nanotubo armchair (5, 5), in cui la densità degli stati al livello di Fermi non è nulla, e di un nanotubo a zig-zag (7, 0), dove la densità degli stati al livello di Fermi è nulla. Nei nanotubi chirali la situazione è simile a quella dei nanotubi a zigzag: avremo infatti che se la differenza n m è un multiplo di 3, questi si comportano come metalli, se invece n m non è un multiplo di 3 questi si comportano come semiconduttori. 25

31 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati Sistema di lavoro Lo scopo di questo studio è definire una procedura di simulazione per l assorbimento di un fotone da parte di un nanotubo di carbonio, con conseguente ionizzazione del sistema e emissione di un elettrone profondo dal core di un atomo della struttura. Per descrivere questa situazione è necessario considerare un potenziale efficacie per gli elettroni 1s, ossia uno pseudopotenziale che descriva l effetto degli elettroni profondi del nanotubo sugli elettroni di valenza. Figura 4.5.: Andamento tipico di uno pseudopotenziale in funzione della distanza elettrone-nucleo: in blu è riportata la funzione d onda di un elettrone di valenza che vede gli elettroni di core, in rosso possiamo osservare come cambia la funzione dopo l eliminazione delle shell interne e l applicazione dello pseudopotenziale. Lo pseudopotenziale è un tentativo di rimpiazzare gli elettroni di core e il nucleo con un potenziale efficacie che entra nei termini a un corpo dell equazione di Shrödinger, invece che nel potenziale Coulombiano. Con questo approccio, è come se gli elettroni di core insieme al nucleo fossero congelati e solo gli elettroni otticamente attivi vengono simulati. Come si potrà osservare a breve, il concetto di pseudopotenziale è fondamentale per la creazione dei nostri sistemi. Prima di descrivere l effetto della creazione di una lacuna profonda in un nanotubo, analizziamo una situazione simile su un semplice composto molecolare carbonioidrogeno come il metano (CH 4 ). Si è osservato sperimentalmente che ionizzando il core dell atomo di carbonio, si ha una riduzione della lunghezza dei legami C H, 26

32 Cap. 4 Effetti di core su sistemi nanostrutturati. ( ) lunghezza misurata in una differenza δr = R e (CH 4 ) R e C H 4 + compresa tra 4.7 e 5.2 pm [11]. Nelle simulazioni, costruiamo una molecola di metano neutro, che rappresenta lo stato iniziale del sistema, dove l atomo di carbonio è descritto da uno pseudopotenziale di core (ECP) [5]. Lo stato finale, cioè quello in cui all atomo di carbonio viene sottratto un elettrone dal core è ottenuto mediante due approssimazioni: la prima consiste nell utilizzare il metodo del livello di core equivalente [12], in cui il livello profondo ionizzato di un atomo con carica nucleare Z viene equiparato al livello di valenza ionizzato di un atomo con carica nucleare Z + 1, con un opportuna modifica dei coefficienti di contrazione della base [13]; la seconda riguarda il coefficiente dello pseudopotenziale corrispondente alla shell 1s [11], che viene dimezzato così da tenere conto di un solo elettrone. Per costruire la molecola di CH + 4, il cui core dell atomo di carbonio contiene un solo elettrone, prendiamo dunque in considerazione la molecola di NH + 4, dove i coefficienti della base dell azoto sono ridotti di un fattore pari a Ottimizzando la geometria della molecola, con questa sola approssimazione, otteniamo una sovrastima della differenza di legame (δr = 6.4 pm). Dunque, il principio di equivalenza non basta, poichè contiene degli errori intrinseci che non permettono una descrizione accurata dell interazione tra gli elettroni di valenza e quelli rimanenti di core. Con la correzione dello pseudopotenziale di core abbiamo invece δr = 5.4 pm, un valore molto più simile al dato sperimentale. Possiamo ora descrivere nello specifico due nanotubi di tipo armchair di diametro diverso, caratterizzati dagli indici chirali (3, 3) e (10, 10). Di questi due nanotubi, abbiamo simulato: una prima struttura in cui tutti gli elettroni del sistema entrano in gioco, una seconda dove un singolo atomo di carbonio centrale è descritto dall ECP, ed infine una terza dove il core dello stesso atomo centrale viene ionizzato trovandosi con un solo elettrone. Agli estremi dei tubi, abbiamo posizionato degli atomi di idrogeno, per meglio rappresentare una situazione di nanotubo tagliato, e ottenere una maggiore stabilizzazione che si traduce in una convergenza più veloce delle equazioni autoconsistenti. La base di funzioni utilizzata per gli atomi di questo sistema, sia per gli idrogeni sia per i carboni, è il set minimale STO-3G. La scelta di questo insieme di base è necessaria per il grande numero di atomi che abbiamo inserito nella simulazione ( ). La caratteristica di questa base, è che sia gli orbitali di core sia quelli di valenza hanno lo stesso numero di gaussiane primitive (3). Questo tipo di base è quindi applicata a tutti gli atomi del sistema, tranne all atomo di carbonio scelto per creare la 27

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